Estremo lembo orientale della Siberia, la Kamčatka è una penisola lunga circa 2000 km, stretta tra il golfo d'Okhotsk a occidente e l'oceano Pacifico ad oriente. Anche oggi quasi disabitata (con un territorio poco maggiore di quello italiano, conta circa 300.000 abitanti), con un clima subartico e paesaggi mozzafiato, dominati dai numerosissimi vulcani, è un paradiso della biodiversità, con ambienti geologici unici, un fitto manto forestale, una ricchissima fauna - famosi su tutti gli orsi, che ne sono un po' il simbolo - e una flora varia e diversificata. Nel XVIII secolo, era abitata da circa 50.000 persone di etnia itelmena, che vivevano di caccia e pesca; la penetrazione dell'impero russo, che vi inviò nuclei di cosacchi e impose un tributo in pellicce ai locali, era iniziata da pochi decenni. Il primo a studiarla in modo sistematico fu Stepan Krašeninnikov, il più promettente degli studenti che parteciparono alla Grande spedizione del Nord. Secondo il progetto iniziale, a esplorare la penisola avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma essi preferirono rimanere in Siberia e inviare al loro posto l'allievo. Giunto in Kamčatka nell'autunno del 1737, egli nell'arco di tre anni ne percorse in un lungo e in largo il territorio, raccogliendo una grande massa di informazioni benché lavorasse in condizioni difficilissime. Soltanto alla fine del 1740 arrivò da San Pietroburgo Georg Wilhelm Steller, che prese su di sé il comando della missione e gli ingiunse di rientrare nella capitale. L'arroganza del tedesco non lo ha tuttavia privato della gloria di essere stato il primo naturalista ad esplorare e descrivere la Kamčatka; gli si deve infatti Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka", il primo resoconto geografico, etnografico, linguistico e naturalistico della penisola, per la cui redazione Krašeninnikov poté avvalersi anche dei materiali di Steller. Titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e curatore dell'Orto botanico dell'Accademia di San Pietroburgo, fu tra i primi russi ad essere ammesso in questa istituzione all'epoca ancora dominata da studiosi stranieri. A ricordarlo, oltre a diverse località della Kamčatka, il nome specifico di varie piante che fu il primo a descrivere, e il genere Krascheninnikovia, dedicatogli da un altro esploratore delle terre russe, Johann Anton Güldenstädt. Krašeninnikov l'esploratore Dominata da vulcani attivi, ricca di fiumi dalle acque purissime, con un manto forestale che offriva rifugio e alimento a una abbondante fauna selvatica, all'inizio del XVIII secolo la Kamčatka era abitata da circa 50.000 nativi che vivevano di caccia e di pesca. I russi li chiamavano Kamčadal, ma essi si definivano Itelmen. I primi nuclei russi, costituiti da distaccamenti militari di cosacchi incaricati di imporre ai nativi un tributo in pellicce, vi arrivarono nel corso del Seicento, creando piccoli insediamenti soprattutto sulla costa occidentale. Il più importante era il forte di Bolšeretsk, in realtà un minuscolo accampamento fortificato che nel 1728, quando Bering vi giunse durante la Prima spedizione in Kamčatka, contava appena 14 abitazioni. Proprio muovendo da Bolšeretsk Bering e i suoi uomini tra l'autunno e l'inverno 1728-29 compirono una difficile marcia attraverso le montagne per raggiungere la costa orientale, dove la primavera successiva costruirono la nave con la quale avrebbero esplorato il Pacifico settentrionale alla ricerca del passaggio a Nord est. Era il primo contatto scientifico con la penisola, sufficiente a mostrarne il grande interesse geologico e l'enorme potenziale naturalistico e economico (vale la pena ricordare che le pellicce erano la prima voce nelle esportazioni dell'Impero russo). L'esplorazione sistematica del suo territorio fu dunque uno dei principali obiettivi scientifici della Seconda spedizione in Kamčatka; ad occuparsene avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma le cose andarono diversamente. Infatti, quando giunsero a Yakutsk, dove si trovava il quartier generale di Bering, Müller e Gmelin cambiarono programma. Il primo era seriamente ammalato, mentre il secondo aveva perso buona parte delle sue raccolte in un incendio. Decisero così di rimanere in Siberia e di inviare in avanscoperta in Kamčatka il loro studente più promettente, Stepan Petrovič Krašeninnikov, che intendevano raggiungere in un secondo tempo. Cosa che non avvenne mai. Fu così che il primo studioso a esplorare la penisola, e più tardi a pubblicare i risultati nella sua lingua madre, non fu uno dei numerosi scienziati tedeschi che dominavano l'Accademia della scienze, ma un figlio della grande madre Russia. In tal modo, il viaggio in Kamčatka di Krašeninnikov costituisce una tappa importante della nascita della scienza russa e della sua emancipazione dai mentori occidentali. In una Russia che non aveva conosciuto né il Rinascimento né la Rivoluzione scientifica, non esisteva infatti personale scientifico formato. Per sopperire in tempi rapidi a questa lacuna, su suggerimento di Leibnitz, con il quale si era intrattenuto a lungo durante il suo viaggio in Europa, Pietro il Grande volle creare l'Accademia russa delle Scienze (l'atto di fondazione è del 1724, poco prima della morte dello zar), che era allo stesso tempo una società scientifica e un centro didattico, da cui dipendevano un ginnasio e un'università. Le lezioni, in lingua latina, erano tenute dagli accademici, tutti stranieri provenienti da università dell'Europa occidentale; nel disegno di Pietro, in tal modo sarebbe stata formata una leva di giovani studenti russi che sarebbero diventati gli studiosi di domani, nonché i tecnici e i funzionari necessari al progresso del paese. Capiamo dunque bene perché la seconda spedizione in Kamčatka, cui l'Accademia fornì personale e supporto scientifico, accanto a tecnici e studiosi stranieri, come lo stesso Bering, danese, oppure il francese de l'Isle de la Croyère e i tedeschi Müller, Gmelin e Steller, abbia visto la partecipazione di un gruppetto di promettenti studenti russi, provenienti dai ranghi del ginnasio o dell'università dell'Accademia, oppure dalla migliore delle scuole moscovite, l'Accademia slavo-greco-latina. La spedizione, in tal modo, fu anche un gigantesco laboratorio didattico in cui gli studenti apprendevano il metodo e il linguaggio scientifico affiancando i propri professori sul campo. Uno di loro era il nostro protagonista, Stepan Petrovič Krašeninnikov. Figlio di uno soldato povero, si era distinto tra gli studenti dell'Accademia slavo-greco-latina, che offriva un corso di studi ancora tradizionale, basato essenzialmente sullo studio delle lingue classiche e della logica aristotelica. Proprio in vista della spedizione, nel 1732 (all'epoca era ventenne) fu inviato a San Pietroburgo dove venne istruito dai professori che poi avrebbe accompagnato nella spedizione, in particolare Gmelin e Müller. Partito con loro nell'agosto 1733, li accompagnò fino a Yakutsk; durante il lungo viaggio, durato circa tre anni, fece osservazioni meteorologiche con Gmelin e fu coinvolto in diverse escursioni a breve raggio, in cui via via affinò la sua capacità di studiare un territorio in ogni suo aspetto, dalla geografia alla geologia, dagli animali e dalle piante alle risorse economiche, senza trascurare la storia, gli usi, i costumi e le lingue delle popolazioni locali (campo in cui dimostrò un'eccezionale attitudine). Tra l'altro, fu incaricato di studiare due caverne e dipinti rupestri nei pressi di Krasnoyarsk e nel luglio 1735 diresse la sua prima spedizione indipendente, in cui esplorò e studiò le sorgenti calde sul fiume Onon. Il progetto iniziale prevedeva che tutto il gruppo proseguisse con Bering e si imbarcasse per la Kamčatka; come ha già anticipato, Müller e Gmelin rimasero invece in Siberia e ordinarono a Krašeninnikov di recarsi in Kamčatka a preparare il campo dove lo avrebbero raggiunto in un secondo tempo. Nel luglio 1737 Krašeninnikov partì dunque con il gruppo di Bering per Okhotsk, raggiunto dopo un faticoso cammino di 47 giorni; si imbarcò quindi con gli altri sulla nave Fortuna in direzione di Bolšeretsk, ma, poiché il battello era sovraccarico, dopo nove ore in balia delle onde, per proseguire si dovette buttare a mare buona parte dei bagagli (Krašeninnikov perse così le provviste per due anni e una parte dell'attrezzatura). Appena sbarcati, nell'ottobre 1747, sperimentarono anche gli effetti di un terremoto, uno tsunami con epicentro nelle Curili, la lunga dorsale di isole che unisce la Kamčatka al Giappone. Mentre il resto della spedizione proseguiva il suo cammino verso la costa orientale, dove sarebbero state costruite le navi per l'esplorazione del Pacifico settentrionale, Krašeninnikov rimase a Bolšeretsk per preparare il campo base e iniziare l'esplorazione della penisola. Era una regione difficile e ostile (oltre a terremoti e al clima rigido, erano frequenti le ribellioni dei locali, poco disposti ad assoggettarsi al tributo imposto dai russi), ma estremamente varia e interessante da ogni punto di vista; intanto, una geologia peculiare con circa 160 vulcani, 29 dei quali attivi, campi di geyser, fonti di acque termali; una grande ricchezza di acque, con migliaia di corsi d'acqua alimentati da oltre 400 ghiacciai e centinaia di migliaia di laghi; un clima fondamentalmente subartico, ma con forti differenze, tra le valli e le cime, le zone interne e quelle costiere, tra la fredda costa orientale e la più mite costa occidentale; ambienti naturali altrettanti vari, in cui alla tundra arida e alle torbiere si alternano praterie erbose, boscaglie e foreste di conifere e latifoglie; una fauna estremamente ricca (lo è ancora oggi, e tanto più lo era trecento anni fa) con numerosi mammiferi, tra cui l'orso, il re e il simbolo animale della penisola, uccelli stanziali e di passo, un eccezionale patrimonio ittico. Appena giunto a Bolšeretsk, Krašeninnikov si attivò per preparare il terreno per l'arrivo dei professori, creando un campo base che includeva un piccolo giardino di acclimatazione per le piante, secondo le indicazioni di Gmelin. Dedicò questi primi mesi a brevi escursioni nella regione più meridionale, quindi nella primavera del 1738, accompagnato da un interprete e da un drappello di soldati, partì per la prima delle undici spedizioni nel corso delle quali avrebbe battuto in lungo e in largo la penisola. Percorse sia lunghi tratti della costa sia l'interno da sud a nord, per un totale di oltre 3500 km. Fu così in grado di descrivere le quattro penisole orientali della Kamčatka e i golfi da esse formati, i maggiori vulcani (tra cui il vulcano attivo più alto d'Eurasia, Ključevskaja Sopka, 4688 metri), i campi di geyser delle valli dei fiumi Paužetka e Banna. Seguirono numerose escursioni minori e una seconda lunga spedizione, iniziata nell'autunno del 1739, in cui Krašeninnikov risalì il fiume Bystra, per poi raggiungere le sorgenti del fiume Kamčatka che scese fino al forte cosacco di Nižne-Kamčatsk, dove raccolse informazioni sull'aurora boreale, chiaramente visibile nel marzo di quell'anno. I suoi informatori erano sia i pochi russi presenti nell'area, sia soprattutto i locali, da cui acquistava manufatti e che interrogava sulle pratiche di caccia e pesca, oltre ad osservarne gli usi e i costumi, secondo le precise indicazioni di Müller. Ovviamente, durante i suoi viaggi non mancava mai di raccogliere esemplari naturalistici che poi inviava a Gmelin, accompagnati da lettere-relazione in latino. Nel settembre 1740, giunsero a Bolšeretsk de l'Isle de la Croyère e Steller. Krašeninnikov, dopo tre anni di esplorazione solitaria, si ritrovò all'improvviso nei panni dello studente. Il tedesco infatti era stato incaricato di prendere il comando delle operazioni in Kamčatka e non senza arroganza ordinò al giovane russo di consegnargli i suoi materiali e di obbedire ai suoi ordini. Nell'inverno del 1740, Krašeninnikov mosse ancora una volta a nord, con l'intento di studiare i Coriachi (stanziati a nord della Kamčatka) e ebbe modo di osservare l'eruzione del vulcano Tolbačik. Tra l'inverno e la primavera del 1741, esplorò insieme a Steller la zona a sud di Bolšeretsk; durante questo viaggio, furono i primi naturalisti a vedere un raro mammifero marino poi denominato "leone marino di Steller", Eumotopias jubatus. Nel frattempo però erano giunti nuovi ordini da San Pietroburgo e Steller ingiunse a Krašeninnikov di raggiungere Gmelin e Müller in Siberia e di rientrare con loro nella capitale. Krašeninnikov l'accademico Krašeninnikov obbedì, ma senza fretta. Lasciata la penisola nel giugno 1741, arrivò a Turinsk, dove lo aspettavano i professori, solo ad ottobre, muovendosi lentamente per arricchire le sue collezioni. Insieme ai suoi maestri, svernò a Yakutsk, dove si sposò con la figlia del governatore locale. Ripercorrendo in parte il cammino dell'andata per completare le raccolte e le osservazioni, il gruppo, che ora includeva anche la neosposa, giunse finalmente a San Pietroburgo nel febbraio 1743. La lunga avventura in Oriente aveva fornito allo studioso russo gli strumenti e le credenziali per entrare nel mondo accademico. Due mesi dopo il suo ritorno, insieme ad altri studenti che avevano partecipato alla spedizione, sostenne un esame orale di botanica e latino, di fronte a una commissione costituita da Gmelin e da Siegesbeck, all'epoca curatore dell'orto botanico dell'Accademia. Nel 1745 venne accolto nell'Accademia come professore aggiunto, discutendo una tesi di dottorato su alcuni pesci della Kamčatka; iniziò anche a lavorare all'orto botanico come assistente di Siegesbeck, che poi sostituì quando questi fu costretto a dimettersi (1747). Krašeninnikov divenne così uno dei primi membri russi dell'Accademia delle scienze. Nel 1749 fece parte della commissione incaricata di respingere le "scandalose" tesi dell'antico maestro Müller, che aveva sostenuto (a ragione) l'origine vichinga dei fondatori della Russia, che egli respinse con forza insieme a Lomonosov e altri studiosi russi. Nel 1750 divenne titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e qualche mese dopo fu nominato rettore dell'Università. Intanto, nel 1745 Steller era morto in Siberia, lasciando un manoscritto tanto ricco quanto indecifrabile, in cui al latino si alternavano il russo e il tedesco. L'Accademia decise di consegnarlo a Krašeninnikov, l'unica persona in grado di venirne a capo, per il perfetto dominio delle tre lingue, la sua lunga esperienza in Kamčatka e la collaborazione con lo stesso Steller. Integrando le note del tedesco con le proprie copiose osservazioni, intorno al 1748 Krašeninnikov incominciò così a scrivere un'opera sulla Kamčatka, che uscì nel 1755, poco dopo la sua morte, con il titolo di Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka". Di carattere enciclopedico, è divisa in due tomi, il primo dedicato alla geografia, alla fauna e alla flora, il secondo alla storia, alla cultura e alle lingue dei popoli nativi. Il primo tomo si apre con una sezione sulle caratteristiche generali della penisola e delle terre confinanti, con particolare attenzione ai fiumi; segue una sezione dedicata alla storia naturale, con approfondimenti sui vulcani, i geyser, gli animali e le piante, il commercio delle pellicce di zibellino, le maree. Nel capitolo dedicato alle piante, oltre a descrivere numerose specie fin ad allora sconosciute alla scienza, si dimostra soprattutto attento al loro uso come medicinali o alimenti, sulla base delle informazioni raccolte dai nativi. Analogamente, anche il secondo tomo è diviso in due parti: la prima descrive i popoli della penisola, le loro usanze, le loro lingue; la seconda espone la storia della conquista russa e le condizioni di vita dei russi e dei locali. Incuriosito e a volte indignato dai costumi di questi ultimi, Krašeninnikov oscilla tra la condanna per ciò che gli appare rozzo o lascivo e l'ammirazione per la libertà e la totale sintonia con il mondo naturale. Nazionalista e convinto assertore dell'imperialismo russo, non manca la difesa del "mite" dominio russo, condita con elogi cortigiani dell'imperatrice (all'epoca regnava Elisabetta, la figlia di Pietro). Accanto alla stesura di quest'opera, negli anni di San Pietroburgo, il principale interesse di Krašeninnikov fu la botanica, cui dedicò quasi tutti gli articoli pubblicati negli Atti dell'Accademia delle scienze. Studiò la flora dei dintorni di San Pietroburgo, lasciando un manoscritto che molti anni dopo fornì materiali a Grigorij Sobolevskij per la sua Flora petropolitana (1799). Nel 1752 visitò il lago Ladoga e Novgorod per studiarne la flora; i materiali da lui raccolti, sistemati da David de Gorter seguendo il sistema linneano, vennero pubblicati nel 1761 sotto il titolo Flora ingrica. Probabilmente minato dai lunghi anni trascorsi in Siberia, morì appena quarantaquattrenne, subito dopo aver terminato la prefazione di Opisanie zemli Kamčatki; secondo la testimonianza di un contemporaneo, si spense proprio il giorno in cui terminò la stampa del suo capolavoro. Nel 2015 le sue avventure in Kamčatka sono state raccontate nel documentario Expedition to the End of the Earth con la regia di A. Samoilov. Una sintesi della sua vita come sempre nella sezione biografie. Krascheninnikovia, una lanosa pianta delle steppe Come pioniere dell'esplorazione della Kamčatka, Krašeninnikov è ricordato da un certo numero di nomi geografici della regione e delle aree limitrofe, come il vulcano Krašeninnikov o la penisola Krašeninnikova. Gli è stato dedicato anche un asteroide e il nome specifico di qualche animale (ad esempio, il salmonide Salvelinus malma krascheninnikova) e di una decina di piante, come Gipsophila krascheninnikovii o Astragalus krascheninnikovii. Nel 1772, un altro grande protagonista dell'esplorazione dell'Impero russo, Johann Anton Güldenstädt (il primo a studiare sistematicamente il Caucaso) volle onorarlo con il genere Krascheninnikovia (famiglia Amaranthaceae). Una seconda dedica giunse molti decenni dopo (1840) da parte del botanico Nikolaj Stepanovič Turčaninov, che intorno agli anni '30 dell'Ottocento ripercorse alcuni dei territori siberiani visitati da Krašeninnikov e dai suoi maestri durante la Grande spedizione del Nord. Anche se la grafia è lievemente diversa, questo genere Krascheninikovia (famiglia Dianthaceae) non è valido per la regola della priorità. Krascheninnikovia Guldenst. è un piccolo genere di arbusti tipico delle steppe aride e fredde dell'emisfero boreale. Il numero di specie è discusso (da uno a tre), perché quella più diffusa, K. ceratoides, è estremamente variabile, con numerose varietà a diffusione locale che in passato sono state considerate specie a sé. Oggi le si riconoscono fondamentalmente due sottospecie: l'euroasiatica K. ceratoides sub. ceratoides e l'americana K. ceratoides sub. lanata. La prima è presente dall'Europa centrale all'Asia nord-orientale, con alcune colonie isolate in Marocco, Egitto e Spagna (relitti di una fase interglaciale a clima più freddo e arido); la seconda negli altopiani e nei deserti freddi dell'America nord-occidentale, dal Canada al Messico settentrionale, con una presenza particolarmente significativa in California. Si tratta di un arbusto o suffrutice alto circa un metro, eretto o prostrato, con piccole foglie tomentose dalle forme assai variabili; le infiorescenze sono dense spighe allungate, con numerosi fiori maschili protetti da grandi brattee lanose e pochi fiori femminili raggruppati in posizione terminale, con brattee più piccole. I semi sono provvisti di lunghi peli setosi bianchi che ne favoriscono la dispersione grazie al vento. La sottospecie americana, nota con il nome comune winter fat, ha un ruolo ecologico molto importante come foraggio per gli erbivori selvatici soprattutto nella stagione invernale. Oggi è talvolta anche coltivata per la bellezza delle foglie argentee, ma anche per le soffici fioriture. Qualche approfondimento nella scheda.
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La "Grande spedizione del Nord", promossa dalla zarina Anna Ivanovna, fu una delle maggiori imprese scientifiche del Settecento, secolo per altro così ricco di grandi viaggi di scoperta. Nell'arco di dieci anni (1733-1743), mobilitò direttamente oltre cinquecento persone, chiamate in primo luogo a mappare le coste settentrionali e orientali dell'Impero russo, ma anche a esplorare le risorse umane e naturali del vastissimo territorio al di là degli Urali. In questo primo post dedicato alla grande impresa, seguiremo le avventure di uno dei "distaccamenti" di terra, quello che sotto la guida di tre professori dell'Accademia russa delle scienze fu incaricato di studiare le regioni interne della Siberia fino alla penisola di Kamčatka, dove i russi avevano iniziato la loro penetrazione da pochi decenni. Il nostro primo protagonista è il giovane professore tedesco Johann Georg Gmelin (quando iniziò la spedizione aveva appena 23 anni), i cui studi sulla geologia, la meteorologia, i fossili, la fauna e la flora siberiana segnarono una tappa fondamentale della conoscenza dell'Asia settentrionale. Scienziato poliedrico, fu un grande botanico, cui si deve la scoperta di almeno 500 specie nuove per la scienza; la sua fondamentale Flora sibirica è importante anche per molte intuizioni che fanno del suo autore uno dei precursori della fitogeografia e dell'evoluzionismo. La Russia esce dall'isolamento: una spedizione titanica La politica dello zar Pietro il Grande (1672-1725) fu guidata dalla ferma volontà di fare uscire la Russia dall'isolamento, inserendola stabilmente tra le grandi potenze europee. Nell'ambito di questo grande progetto, essenziale fu la creazione di una flotta che garantisse all'impero russo nuovi sbocchi sul mare, fin ad allora limitati al mar Bianco, inagibile per quasi metà dell'anno a causa dei ghiacci. A sud, il mare d'Azov, porta del Mar Nero, fu oggetto di una lunga contesa con l'impero ottomano; a nord-ovest, il Baltico fu strappato al dominio svedese e Pietro volle vi si affacciasse la sua capitale, san Pietroburgo, la "finestra della Russia sull'Europa". Ma lo zar era deciso anche ad esplorare le potenzialità del mare orientale, ovvero del lontanissimo oceano Pacifico. I russi erano giunti sulle sue sponde per via terra, navigando lungo i fiumi siberiani, e nel 1647 vi avevano fondato il primo avamposto, Okhotsk; era poi iniziata, tra mille difficoltà, la penetrazione nella regione e l'esplorazione della penisola di Kamčatka. Diverse domande rimanevano ancora senza risposta: in primo luogo, l'Asia e l'America erano separate o erano collegate in qualche modo? in secondo luogo, se erano separate, esisteva una via di comunicazione tra l'Oceano Artico e l'Oceano Pacifico? Insomma, il famoso passaggio a nord-est era leggenda o realtà? Infine, era possibile trovare una via di comunicazione diretta con il Giappone e magari la Cina? Per rispondere a questi interrogativi, nel 1724, Pietro incaricò Vitus Bering (1681-1741), un abile navigatore danese al servizio della Russia, di guidare la prima spedizione navale russa, passata alla storia con il nome di "Prima spedizione in Kamčatka" (1725-30). Muovendo da Okhostk, dove erano state costruite le navi che parteciparono alla missione, Bering esplorò le coste settentrionali del Pacifico fino alla penisola dei Ciukci e attraversò lo stretto che porta il suo nome; anche se non aveva avvistato la costa americana, ritenne di avere prove sufficienti per affermare che i due continenti non erano collegati. Proseguì quindi l'esplorazione verso sud, mappando le coste meridionali della Kamčatka. I risultati erano incoraggianti, ma non definitivi. Era dunque il caso di allestire una seconda spedizione, molto più ampia e ambiziosa; a ordinarla, riprendendo il progetto del grande zio, fu la zarina Anna Ivanovna (che regnò del 1730 al 1740). Nuovamente sotto il comando di Bering, è nota come "Seconda spedizione in Kamčatka", ma anche, per le sue proporzioni colossali, "Grande spedizione del Nord". Durò infatti dieci anni (1733-1743), coinvolse direttamente circa 500 persone tra ufficiali, marinai, scienziati, geodeti, militari e personale di servizio, ma indirettamente forse 3000; fu allo stesso tempo una spedizione navale, geografica, naturalistica e etnografica. Le sue implicazioni politiche erano tali che i progressi e i risultati vennero considerati segreto di stato. Grandiosa negli obiettivi e nei mezzi finanziari, si articolò in otto distaccamenti indipendenti, sei marittimi e due di terra. I primi quattro (distaccamenti del Nord) percorsero e tracciarono la costa russa e siberiana dell'Oceano Artico dal mar Bianco alla foce del fiume Kolyma; condotti con grande impiego di uomini e mezzi, produssero risultati straordinari, in particolare la mappatura di 13.000 km di costa, ma costarono anche enormi perdite, come la morte per fame e scorbuto, nell'inverno del 1735, di 40 su 53 uomini del distaccamento del tratto Lena-Kolyma. Inoltre i ghiacci impedirono ai navigatori russi di spingersi oltre il Capo Baranov, facendo fallire il progetto di ricongiungersi al distaccamento di Bering. A questo ultimo era stato infatti assegnato il comando, oltre che dell'intera spedizione, del quinto distaccamento (primo distaccamento del Pacifico), che doveva riprendere e completare gli obiettivi della prima spedizione, tracciando la rotta per il nord America; sulle sue drammatiche vicende, che coinvolsero anche alcuni naturalisti, tornerò in un altro post. Più felici furono invece gli esiti del secondo distaccamento del Pacifico, guidato da Martin Spanberg, con i compiti di esplorare le isole Curili e cercare una rotta diretta per il Giappone: gli obiettivi vennero brillantemente completati e si aggiunse l'esplorazione della costa di Sakhalin. Il primo distaccamento di terra aveva il compito di testare la navigabilità dei fiumi da Verchneudinsk a Okhotsk; il secondo, guidato da tre professori dell'Accademia delle Scienze russa, doveva studiare le popolazioni e le risorse naturali della Siberia e della Kamčatka e raccogliere esemplari per la collezione privata (Kunst kamera) dell'imperatrice. Gmelin e il Distaccamento dell'Accademia Seguiamo dunque le avventure di questo ultimo gruppo, il più importante per la storia della botanica, poiché segnò l'esordio dello studio della flora siberiana. Ne facevano parte tre professori, cinque studenti, quattro geodeti, un interprete, due pittori e dodici soldati - compreso un tamburino - comandati da un caporale. I professori, tutti stranieri, erano l'astronomo francese Louis de l'Isle de la Croyère (1685-1741), lo storico tedesco Gerhard Friedrich Müller (1705-1783) e il naturalista e botanico Johann Georg Gmelin, anch'egli tedesco (1709-1755). In un secondo momento, oltre a un terzo pittore e un secondo interprete, si aggregarono alla spedizione anche lo storico Johann Eberhard Fischer (1697-1771) e il naturalista Georg Wilhelm Steller (1709-1746). Partiti da San Pietroburgo l'8 agosto 1733, vi rientrarono quasi dieci anni dopo, il 17 febbraio 1743 (diversi membri rimasero anzi in Siberia fino al 1746-47). Va ancora sottolineato che, con l'eccezione del "maturo" de l'Isle, erano tutti giovani o giovanissimi: al momento della partenza, Müller e Steller avevano 27 anni, Gmelin 23, Krasheninnikov, il più dotato degli studenti, 21. Dei novellini rispetto allo sperimentato de l'Isle, che aveva già partecipato a esplorazioni astronomiche e geodetiche nella Russia settentrionale e almeno inizialmente guidò il gruppo; tuttavia Müller e Gmelin sollevarono critiche sulla correttezza delle sue osservazioni, al punto che nel 1737 egli si separò dagli altri per unirsi a Steller nell'esplorazione della Kamčatka. Li ritroveremo entrambi come membri della tragica ultima missione di Bering. Fu dunque l'energico e carismatico Müller a imporsi come leader, tanto più che trovò nel conterraneo (e quasi coetaneo) Gmelin più un amico fraterno che un collaboratore. Il distaccamento esplorò la vastissima area che si estende da ovest a est dagli Urali centrali e meridionali alla Jakuzia e alla Transbaikalia, e da sud a nord dalla Siberia meridionale ai bacini dei fiumi Irtyš, Ob', Enisey e Lena. Müller, il solo dei capi ad aver percorso l'intero itinerario, dichiarò di aver coperto in dieci anni 35.000 verste (ovvero circa 37.000 km). I risultati, in termini di rilievi topografici, osservazioni meteorologiche, informazioni sulla cultura materiale e spirituale delle popolazioni native, valutazione delle risorse economiche e umane, documentazione dei monumenti archeologici, raccolta di esemplari naturalistici e artefatti etnografici, sono incalcolabili e esulano dagli scopi di questo blog. Mi limiterò dunque alla botanica, dunque alle ricerche del naturalista ufficiale del gruppo, Johann Georg Gmelin. Va comunque detto subito che, scienziato completo, anche se il suo compito principale era studiare la flora e la fauna siberiane, si interessò ugualmente di rilevazioni meteorologiche, di geologia e in particolare dei fenomeni carsici e delle rocce vulcaniche e metamorfiche, dello studio dei fossili (elaborando anche una procedura per l'osservazione e la raccolta dei resti di mammut), nonché della popolazione locale e della sua interazione con l'ambiente. Determinò le coordinate di diverse località e soprattutto fornì la prima descrizione dell'ambiente naturale siberiano; fu il primo naturalista a studiare gli effetti sulla flora e sulla fauna delle temperature sottozero e a descrivere il permafrost. Inoltre seppe affrontare con coraggio e determinazione una delle peggiori disavventure che possa capitare a un botanico. Nel novembre 1736, mentre si trovava a Jakutsk, sul fiume Lena, dove Bering aveva fissato il suo quartier generale, la casa dove abitava bruciò, mandando in fumo le sue raccolte e i suoi quaderni di campo; senza lasciarsi scoraggiare, Gmelin a partire dall'estate seguente ricostruì le collezioni, esplorando prima i bacini della Lena e dello Enisej, poi, tornando verso occidente, la Siberia meridionale e il versante asiatico degli Urali. Tornato a Pietroburgo nel 1743, poi in Germania nel 1747, poté così esporre le sue osservazione nella fondamentale Flora sibirica (1747-1769), la prima in assoluto dedicata a questa vasta regione, dove descrisse 1178 specie, 500 delle quali nuove per la scienza. L'opera è importante anche per le numerose conclusioni innovative: Gmelin sottolineò da una parte la cesura tra la flora europea e quella siberiana, dall'altra l'analogia tra la flora asiatica e quella nordamericana, individuando nel fiume Enisej la frontiera naturale tra le due regioni. La grande varietà delle piante e degli animali nei vari ambienti siberiani, in un'epoca in cui nessuno metteva in dubbio che le specie fossero immutabili e create una volta per tutte da Dio, lo spinse a postulare la variazione delle specie come adattamento alle condizioni ambientali, anticipando tanto la fitogeografia quanto l'evoluzionismo. Scritta in latino e pubblicata a San Pietroburgo, Flora sibirica comprende quattro volumi; gli ultimi due uscirono postumi a cura del nipote di Gmelin, Samuel Gottilieb, a sua volta botanico e esploratore (morto tragicamente nel corso della spedizione di Pallas, come ho raccontato in questo post). Un quinto volume, dedicato alle crittogame, fu scritto dall'allievo Stepan Petrovič Krašeninnikov, ma rimase manoscritto. Inoltre Gmelin raccontò il suo viaggio in Reise durch Sibirien von dem Jahr 1733 bis 1743 (1751–1752), pubblicato a Tubinga dove era professore di medicina e direttore dell'orto botanico. Il lavoro, molto importante anche per le numerose proposte innovative in campo economico e sociale, ispirate a uno spirito già illuministico, venne tradotto in molte lingue europee, ma non in russo, dal momento che gli ambienti di corte non apprezzarono le sue critiche all'arretratezza, all'ingiustizia sociale, alla corruzione generalizzata e alla gestione farraginosa che caratterizzavano l'impero russo, bollando il libro come "antirusso". Una sintesi della vita di Gmelin nella sezione biografie. Gmelina: bellezza e utilità Anche se, avendo utilizzato la nomenclatura prelinneana, poche delle denominazioni introdotte da Gmelin sono tuttora valide, la sua importanza come padre fondatore della flora siberiana fu immediatamente riconosciuta. Sono almeno una sessantina le piante che lo ricordano nel nome specifico; tra le altre, Larix gmelinii, Angelica gmelinii, Centaurea gmelinii, Tussilago gmelinii. Linneo aveva in grande stima del collega tedesco, che fu anche suo corrispondente; di lui disse che aveva scoperto più piante di ogni altro botanico. Nella prima edizione di Species Plantarum (1753) volle dunque onorarlo dedicandogli Gmelina, sulla base dell'indiana G. asiatica. Egli, dunque, non scelse una delle numerose specie "scoperte" da Gmelin, ma una pianta che il nostro mai vide o conobbe. Il genere Gmelina, della famiglia Lamiaceae (precedentemente Verbenaceae) comprende una trentina di specie distribuite tra l'India e la Cina meridionale e l'Australia settentrionale e le Fiji. La maggior parte sono alberi di alto fusto, spesso con radici a contrafforte, ma le specie più note sono arbusti o piccoli alberi. Molto apprezzate per la crescita veloce e l'eccellente legname, alcune sono anche state importate in altri paesi tropicali sia come ornamentali sia come alberi da legname. La più importante è sicuramente G. arborea, presente in natura in gran parte dell'India, ma anche in Cina meridionale e nel sud est asiatico ed introdotta in paesi africani come Nigeria e Sierra Leone. Il suo legname è infatti leggero ma robusto, facilmente lavorabile, e adatto alla fabbricazione di oggetti di varia natura, inclusi alcuni strumenti musicali. Per il notevole impatto estetico delle fioriture, che avvengono prima che la pianta rimetta le foglie, e per la gradevole ombra, viene spesso utilizzata anche nei giardini e nelle alberate cittadine. I frutti, prodotti in abbondanza, sono eduli e hanno proprietà medicinali. Due specie di dimensioni contenute, G. ellittica e G. philipinnensis, occasionalmente anche usate come arbusti ornamentali per climi caldi, sono utilizzate come bonsai. Presentano infatti diversi motivi di interesse: il contrasto tra le foglie giovanili trilobate e quelle mature obovate; la bella forma espansa della chioma; la spettacolare fioritura con lunghe infiorescenze pendule giallo brillante che qualcuno paragona al becco di un pappagallo (da cui il nome inglese di G. philippinensis, Parrot's Beak Tree). Decorative sono anche le bacche, prima verdi poi giallastre, Qualche approfondimento sul genere e cenni ad altre specie nella scheda. Con milioni di esemplari venduti ogni anno e sempre nuove varietà immesse sul mercato, Weigela va sicuramente annoverata tra gli arbusti da fiore più popolari, grazie alla facilità di coltivazione e al notevole impatto estetico. Questo genere, che talvolta qualcuno si ostina a chiamare Weigelia, è originario dell'Estremo oriente e fu creato da Carl Peter Thunberg che ne raccolse una specie durante il suo soggiorno in Giappone. Il nome è un omaggio a uno dei suoi corrispondenti, il medico e docente universitario Christian Ehrenfried Weigel, tedesco di lingua e cultura, ma suddito svedese, perché nato in quella parte di Pomerania che per due secoli fece parte del Regno di Svezia. L'Università di Greifswald, dove egli studiò e insegnò per molti anni e dove numerosissimi erano gli studenti svedesi, fu un vero ponte culturale tra i due paesi, nonché uno dei principali poli di diffusione del sistema linneano in Germania. Benché nella maturità Weigel si sia distinto soprattutto come chimico, negli anni giovanili, oltre a dirigere l'orto botanico di Greifswald, scrisse una flora della Pomerania svedese e alcune interessanti osservazioni botaniche. Una regione contesa e una brillante carriera accademica Per circa duecento anni, dal 1630 al 1805, c'è stata una enclave svedese in territorio tedesco: la Pomerania occidentale, occupata durante la Guerra dei Trent'anni da Gustavo Adolfo Vasa e poi trasformata prima in un feudo reale, quindi dal 1648 in un territorio del Regno di Svezia, retto da un governatore svedese. Per le città pomerane, alcune delle quali in passato erano state città libere appartenenti alla Lega anseatica, non fu certo un buon affare, perché significò una sequela di guerre e distruzioni. Per la sua posizione di confine con il regno di Polonia, quella che più ebbe a soffrirne fu sicuramente Greifswald. Nel Medioevo, quando la regione faceva parte del ducato di Pomerania, era un fiorente centro mercantile, con una borghesia di origine per lo più tedesca; nel 1456 vi fu fondata una prestigiosa università di lingua tedesca, la quarta nell'area germanica (dopo Heidelberg, Lipsia e Rostock), che fu anche all'avanguardia nella diffusione del protestantesimo, con un'influente facoltà di teologia luterana. Durante la guerra dei Trent'anni, Greifswald fu dapprima occupata dalle forze imperiali, quindi subì un lungo assedio svedese; nell'arco di pochi anni, perse così due terzi dei suoi abitanti. Seguirono bombardamenti da parte delle truppe del Brandeburgo nel 1659 e nel 1678; durante la Grande guerra del Nord fu trasformata in un accampamento militare; nel 1713 e nel 1736 fu in gran parte distrutta da due devastanti incendi. Nonostante il governo svedese avesse esonerato dalle tasse chi costruisse o ricostruisse una casa, divenne una città fantasma. In tanta distruzione, un faro di civiltà rimaneva l'Università che, soprattutto nella seconda metà dl Settecento, quando finalmente tornò la pace, pur mantenendo il suo carattere tedesco, risentì positivamente del clima di rinnovamento pedagogico della Svezia illuminista; divenne così un ponte culturale tra Germania e Svezia che attirava numerosi studenti svedesi (oltre 1500 nell'arco di un cinquantennio) e favoriva l'interscambio di idee tra le due aree. In questo contesto, giocò un ruolo importante nella diffusione del sistema di Linneo, che dapprima era stato accolto con ostilità in Germania, in particolare dai botanici luterani che consideravano "oscene" le sue basi sessuali (ne ho parlato in questo post). A cancellare questi pregiudizi diede un valido contributo il pastore Samuel Gustav Wilcke (1736-1791); allievo di Linneo a Uppsala, venne a Greifswald a completare gli studi di teologia, vi tenne conferenze di storia naturale e nel 1763 vi fondò l'orto botanico universitario. Divenuto l'anno successivo pastore della Altkirche della limitrofa isola di Rügen, dove visse fino alla morte, fu autore della prima flora dell'area pomerana, Flora gryphica, exibens plantas circa Gryphiam intra miliare sponte nascentes (1765), dedicata alle piante spontanee che crescevano nell'arco di un miglio nelle campagne attorno a Greifswald. Tra i più entusiasti seguaci di Wilke vi fu certamente un giovane studente di medicina, Christian Ehrenfried Weigel, nato a Stralsund, un'altra città della Pomerania svedese, e arrivato a Greifswald sedicenne nel 1764 per iniziare gli studi di medicina e scienze naturali; nel 1769, come tesi di baccalaureato, scrisse un saggio sulla flora locale, poi pubblicata a Berlino con il titolo Flora Pomerano-Rugica, Exibens plantas per Pomeraniam anteriorem svecicam et Rugiam sponte nascentes methodo linneana secundum systema sexuale digestas. Concepito come un supplemento all'opera di Wilke (il raggio si amplia dai dintorni di Greifswald all'intera Pomerania svedese, compresa l'isola di Rügen), il lavoro si segnala in primo luogo per l'ortodossia linneana, esibita orgogliosamente fin dal titolo che fa piazza pulita di ogni remora moralistica. Frutto di molte escursioni e dell'osservazione diretta della flora locale, è un'opera notevole per uno studente ventenne; di ciascuna pianta vengono indicati anche i nomi comuni, la localizzazione, il periodo di fioritura, gli eventuali usi medici. Al momento della stampa di Flora Pomerano-Rugica, Weigel si era già trasferito a Gottinga, dove seguì tra l'altro i corsi di botanica di un altro linneano, lo svedese Johan Andreas Murray, e conseguì il dottorato in medicina nel 1771. Anche se non aveva abbandonato lo studio delle piante, compiendo anche diverse escursioni botaniche in Sassonia e in Assia, il centro dei suoi interessi andava spostandosi verso altri soggetti, in particolare la mineralogia e la chimica. Visitò infatti le miniere dello Harz e come tesi di dottorato presentò una dissertazione di chimica mineralogica. Dopo la laurea, tornò brevemente a Stralsund, dove esercitò la professione medica e continuò le ricerche di chimica nel laboratorio del padre, un medico con forti interessi per la chimica farmaceutica. Nel 1772 tornò a Greifswald come lettore aggiunto e direttore dell'orto botanico fondato da Wilcke (incarico che mantenne fino al 1781); in questa occasione, tenne una prolusione che, stampata con il titolo Observatones botanicae, costituisce il suo maggiore contributo alla studio delle piante. Non si tratta di un'opera organica, ma di una sequenza di 31 capitoletti (observationes) da brevi a brevissimi in stile aforistico di argomento vario: la segnalazione della presenza in Pomerania di specie precedentemente non segnalate; annotazioni sulle variazioni morfologiche di alcune specie in natura e in coltivazione; analisi della letteratura e discussione di specie oggetto di controversia tra i botanici. Il capitolo più ampio (Observatio I), e sicuramente il più interessante, è costituito da una rassegna del genere linneano Bromus, di cui Weigel, sulla base di un'attenta analisi morfologica, propone undici specie; va però notato che la botanica successiva ha ricondotto molte di esse a quelle linneane e nessuna delle sue denominazioni per questo genere è ora accettata. Lo sono invece tra le spontanee Juncus capitatus e tra le esotiche Lantana x mutabilis. Nel decennio successivo, tuttavia, prese il sopravvento l'interesse per la chimica; in questo campo, l'opera maggiore di Weigel è Grundriss der reinen und angewandten Chemie (1777), in due volumi, una delle prime in Germania a rivolgersi a un pubblico anche non universitario, in cui si occupò di chimica sia pura sia applicata in campo medico e soprattutto agricolo. Molte furono anche le sue traduzioni di opere di chimica dal francese, dall'inglese e dallo svedese. Intanto egli continuava una carriera accademica di successo nell'Università di Greifswald: titolare della nuova cattedra di chimica e farmacia della facoltà di medicina dal 1784, rettore dall'Università dal 1787, direttore dell'istituto universitario di chimica dal 1796 alla morte. I rivolgimenti politici che coinvolsero la Pomerania svedese nel primo Ottocento non sembrano lasciare alcuna traccia in questo percorso. Perfettamente inserito nel mondo culturale svedese, si adeguò senza imbarazzo a quello tedesco quando in seguito alle guerre napoleoniche la Pomerania passò alla Prussia: membro dell'Accademia della Scienze svedese dal 1792; protomedico della casa reale di Svezia dal 1795; conte del Sacro Romano impero nel 1806 (aggiungendo al cognome il prefisso nobiliare von); contemporaneamente cavaliere dell'ordine svedese della Stella polare (1814) e cavaliere di terza classe dell'ordine prussiano dell'Aquila rossa (1821). Del resto i tedeschi di Pomerania come lui erano abituati a destreggiarsi tra i due mondi. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Weigela, un arbusto dalle fioriture prorompenti Per gli amanti delle piante, più che come autore di due operine di botanica sostanzialmente dimenticate, Weigel è soprattutto il dedicatario del magnifico genere Weigela (che, per un errore diffuso, molti chiamano Weigelia). A crearlo nel 1780 (all'epoca Weigel era ancora direttore di orto botanico di Greifswald) fu un altro allievo di Linneo, Carl Peter Thunberg, che del medico pomerano fu corrispondente. Il genere Weigela (famiglia Caprifoliaceae) comprende una dozzina di specie arbusti nativi dell'estremo oriente (Siberia, Cina, Giappone, Corea), solitamente rustici e molto adatti ai climi dell'Europa temperata. Grazie alle scarse esigenze, alla resistenza alle malattie e alle fioriture copiose, da almeno 150 anni sono tra gli arbusti più amati e comuni nei nostri giardini. La prima specie ad essere descritta fu W. japonica, raccolta da Thunberg in Giappone e pubblicata appunto nel 1780, ma la prima ad arrivare in Europa fu W. florida, introdotta dalla Cina nel 1845 da Robert Fortune. Questa specie fu anche a lungo la più popolare, tanto che tendiamo ad associare il suo nome quasi automaticamente alle Weigelae dei nostri giardini, anche se in realtà oggi le piante coltivate e vendute a milioni ogni anno sono per lo più ibridi, a volte con genealogie complesse e inestricabili. In effetti, fin dalla seconda metà dell'Ottocento i vivaisti si misero al lavoro per produrre varietà sempre più belle e fiorifere; se nel XIX secolo si preferirono soprattutto grandi arbusti imponenti con cascate di fiori sui lunghi rami arcuati, il gusto odierno, condizionato dalla piccolezza dei nostri spazi verdi, preferisce piante compatte, magari con foglie colorate o variegate. Il colore dominante dei fiori di questo genere è il rosa in tutte le sue sfumature, ma esistono anche tre specie con fiori gialli; alcune specie, poi, hanno fiori che nell'arco della fioritura cambiano colore, in modo tale che su un singolo arbusto vediamo fiori di colori diversi. Insomma, una cascata di bellezza in technicolor. Qualche approfondimento sulle principali specie e sulla storia degli ibridi nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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