Anche se per volontà dell'imperatrice, dell'ammiragliato e dell'Accademia delle Scienze, si era trasformata in una impresa monstre con molti obiettivi collaterali, lo scopo principale della Grande spedizione del Nord era pur sempre riprendere e completare quanto era stato fatto da Bering con la prima spedizione in Kamčatka: confermare che non c'era continuità territoriale tra Asia e America e raggiungere il continente americano, in vista di un possibile insediamento russo. Affidata a Bering in persona, l'impresa, dopo una preparazione decennale, per una serie di coincidenze, errori e fatalità si volse tuttavia in catastrofe, con la morte di ben 30 dei 74 membri dell'equipaggio della nave ammiraglia. Tra i sommersi, lo stesso Bering, morto nell'isola che oggi porta il suo nome insieme a un terzo dei suoi uomini. Tra i salvati, il naturalista tedesco Georg Wilhelm Steller, il primo scienziato ad esplorare la fauna e la flora dell'Alaska (sia pure per sole dieci ore); come medico di bordo, se non riuscì a salvare il capitano, strappò alla morte molti compagni, senza mai smettere, in condizioni difficilissime, di studiare e catalogare la natura dell'isola dove erano stati gettati dalla malasorte. Sono celebri soprattutto le sue scoperte zoologiche, con la prima segnalazione della lontra marina e di vari animali che oggi portano il suo nome. Fu tuttavia anche un grande botanico, con notevoli contributi anche alla conoscenza delle flore della Siberia e della Kamčatka. A ricordarlo nella tassonomia botanica fu Linneo, che volle dedicargli il genere Stellera, che oggi comprende una sola specie, l'asiatica S. chamaejasme. Ma, dato che anche i botanici giocano con gli anagrammi, va aggiunto l'indiretto omaggio di Restella. Dieci anni di preparazione... Nel 1728, appena rientrato dalla prima spedizione in Kamčatka, Vitus Bering propose di organizzarne una seconda, con l'obiettivo di raggiungere le coste americane. Dopo alcuni anni di dilazioni, in cui la lista degli scopi da perseguire non fece che crescere, infine nel 1732 fu posto a capo della gigantesca Grande spedizione del Nord, di cui coordinò tutti i distaccamenti. A lui in persona fu affidato il comando di quello più importante, il cui compito, facile a dirsi e difficile da conseguire, era appunto navigare verso est partendo dalla Kamčatka fino ad incontrare le coste americane. Rinunciando all'idea (che comunque venne messa in campo) di raggiungere la penisola circumnavigando il globo per la via di Capo Horn, si decise di inviare uomini e mezzi via terra, attraversando la Siberia. Le navi necessarie alla spedizione sarebbero state costruite sul posto, ovvero a Okhotsk, l'unico porto russo sul Pacifico. Guidati da Bering e dai suoi secondi Spanberg e Čirikov, i distaccamenti che avrebbero esplorato il Pacifico si misero in marcia tra febbraio e aprile 1733; a percorrere l'enorme distanza ci vollero oltre due anni. Dopo un primo inverno trascorso a Tobolsk, Bering stabilì infine il suo quartier generale a Yakutsk. Dovendo fare i conti, oltre che con la mancanza di strutture, con l'inerzia quando non con l'ostilità delle autorità locali, dovette trattenersi qui circa tre anni per predisporre le attrezzature e le provviste e sorvegliare la costruzione delle imbarcazioni che avrebbero risalito il fiume Lena e l'allestimento dei collegamenti con Okhotsk, dove già era stato spedito Spanberg. Solo nell'estate del 1737, dopo essere stato raggiunto anche dal distaccamento dell'Accademia, Bering partì per Okhotsk. Ma il naturalista che lo avrebbe accompagnato nell'ultimo viaggio non fu uno dei professori dell'Accademia, bensì il medico tedesco Georg Wilhelm Steller, aggregatosi alla spedizione come membro aggiunto solo in un secondo tempo. E' ora dunque di fare entrare in scena il nostro protagonista, e che protagonista! Figlio di un organista e cantore luterano, nato nel 1709 a Windsheim in Franconia con il nome di Georg Wilhelm Stöller, fu destinato dalla famiglia a divenire pastore; dapprima seguì i corsi di teologia a Wittenberg, ma ben presto li abbandonò per la sua vera vocazione, le scienze naturali. Si spostò così a Berlino dove si laureò in medicina presso l'Obercollegium. Fresco di laurea, nel 1734, inseguendo il suo "desiderio insaziabile di visitare paesi stranieri", si imbarcò come medico di bordo su una nave militare russa; si racconta che, giunto a san Pietroburgo senza un soldo e senza appoggi, fosse caduto in tale miseria da essere costretto a dormire nei portoni. Un giorno, mentre visitava l'orto botanico, si sarebbe imbattuto per caso nell'arcivescovo Feofan Prokopovič, stretto collaboratore di Pietro il Grande e uno dei fondatori dell'Accademia delle scienze, che, colpito dal suo fluente latino, lo assunse come medico personale. Ma la storia vera è probabilmente meno romantica: forse quell'incontro casuale ci fu davvero, ma a conquistare la fiducia dell'ecclesiastico contribuirono le lettere di raccomandazione del professore di Berlino di Stöller, Friedrich Hoffmann, membro corrispondente dell'Accademia russa delle Scienze. Il giovane medico tedesco, che nel frattempo aveva cambiato il cognome da Stöller a Steller (più facile da trascrivere in cirillico), lavorò per due anni per l'ecclesiastico che lo introdusse negli ambienti accademici; un altro tedesco, Johann Amman, che insegnava botanica all'Accademia, lo prese come proprio assistente. Con il titolo di membro aggiunto, Steller poté così presentare la sua candidatura per partecipare come volontario alla spedizione in Kamčatka, che venne accettata nel gennaio 1737. Prima di partire per l'Oriente, egli si sposò con la giovane vedova di un altro studioso tedesco, Daniel Gottlieb Messerschmidt, che aveva esplorato la Siberia per sette anni, non sappiamo se più attratto dalle grazie di lei o da quelle dei quaderni di campo che il primo marito le aveva lasciato in eredità. Poté partire solo un anno dopo, nel gennaio 1738; aveva sperato di avere la compagnia della sposa Brigitta, ma, giunta a Mosca, la giovane donna rifiutò di proseguire. Steller si rassegnò così a continuare il viaggio da solo. Al contrario dei professori dell'Accademia, che viaggiavano in comode e calde carrozze o slitte, riveriti e serviti da decine di servitori, si muoveva con un piccolo calesse, con un equipaggiamento spartano, provvedendo a tutto da sé. Ma in questo modo era anche molto più veloce e dopo un anno e mezzo li raggiunse a Enisejsk. Steller era un ottimo naturalista, che si era preparato al suo compito leggendo tutto il leggibile sulla natura siberiana, ma era anche uno spirito libero e un caratteraccio, dipinto da qualche biografo come un attaccabrighe per non dire un asociale; Gmelin fu ammirato dalla sua preparazione e dal suo ardore scientifico, ma anche scioccato dalle sue abitudini e dal suo aspetto poco presentabile: "Non si preoccupava certo dei suoi vestiti. Dato che in Siberia è necessario portare con sé il proprio equipaggiamento, lo aveva ridotto a una bussola. Aveva rinunciato al vino e beveva tanto la birra quanto l'acquavite nella medesima tazza. Aveva un solo piatto dal quale mangiava qualsiasi cibo. Per questo non aveva bisogno di un cuoco e cucinava tutto da sé, accontentandosi di pochissimo e magari cucinando insieme zuppa, verdure e carne. Non usava né parrucca né cipria e qualsiasi tipo di calzatura gli andava ugualmente bene. Le più povere condizioni di vita non sembravano dargli fastidio, anzi più c'erano contrattempi, più sembrava contento. D'altra parte, nonostante il completo disordine del suo modo di vivere, si è sempre dimostrato estremamente meticoloso nelle sue osservazioni e instancabile in tutte le sue imprese". Gmelin fu dunque felicissimo di spedirlo immediatamente in Kamčatka, dove non aveva alcuna intenzione di andare di persona e già aveva inviato il suo allievo Krašeninnikov. Dopo solo sette settimane trascorse con Gmelin e Müller a Eniseisk, nel marzo 1739 dunque Steller ripartì: dedicò la primavera e l'estate all'esplorazione della regione del Baikal e, dopo aver trascorso l'inverno a Irkutsk, si unì al gruppo accademico che doveva esplorare la Kamčatka; oltre a lui ne facevano parte l'astronomo Louis de l'Isle de la Croyère, l'artista Johann Christian Berkan (1709-1751) e lo studente A. P. Gorlanov. Nell'agosto 1740, il gruppo arrivò infine a Okhotsk dove Steller incontrò per la prima volta Bering e gli comunicò il suo vivo desiderio di esplorare terre sconosciute. Dieci ore di esplorazione e un tragico epilogo Torniamo dunque a Bering e ai suoi lunghissimi preparativi. Quando egli giunse a Okhotsk, nel corso del 1737, dovette subito far fronte ai soliti problemi logistici; il più grave era la mancanza di legname, visto che negli anni precedenti erano già state costruite, oltre alla nave appoggio Fortuna, che assicurava il collegamenti con la Kamčatka, i vascelli Gavril, Nadezda e Arkangel Mikhail, che sotto il comando di Spanberg sarebbero stati inviati ad esplorare le Curili. Non mancavano anche fibrillazioni nell'ammiragliato, visto che i costi e gli anni (inizialmente ne erano stati preventivati quattro) erano lievitati a dismisura. Soltanto nel 1740 furono infine pronte le due navi destinate al viaggio americano: la San Pietro (Sv. Petr) comandata dallo stesso Bering e la San Paolo (Sv. Pavel), affidata a Čirikov. Nel frattempo, Steller era arrivato in Kamčatka, dove un po' bruscamente aveva imposto la sua autorità a Krašeninnikov. Giunto qui nel settembre 1740, trascorse l'inverno nel forte di Bolšeretsk, dove, oltre a dedicarsi a studi naturalistici e etnografici, aprì la prima scuola destinata alla popolazione locale, verso la quale, al contrario dell'"imperialista" Krašeninnikov, aveva un atteggiamento aperto e solidale. Insieme a lui, nel febbraio 1741 fece una spedizione in slitta fino al Capo Lopatka, nel corso della quale ebbe a scoprire il primo degli animali marini che porta il suo nome, il leone marino di Steller, Eumetopias jubatus. Intanto Bering con la San Pietro e la San Paolo si era spostato nella baia dell'Avača sulla costa pacifica della Kamčatka, dove su suo ordine era stata creata una base con infrastrutture portuali, abitazioni e magazzini (dal nome delle due navi sarebbe stata chiamata Petropavlovsk; oggi è la capitale e la principale città della penisola). A febbraio scrisse a Steller, invitandolo a unirsi alla sua spedizione come medico di bordo e mineralista; non c'è bisogno di dire che Steller accettò con entusiasmo e all'inizio della primavera raggiunse la baia dell'Avača in slitta. Dopo dieci anni di preparativi, la seconda spedizione in Kamčatka stava finalmente per cominciare, segnata fin da subito da contrattempi e errori che si rivelarono fatali. In primo luogo, la partenza fu ritardata dall'attesa della nave d'appoggio Nadezda, prima trattenuta in porto da una tempesta poi incagliata in un banco di sabbia (privando in tal modo la spedizione dei biscotti che avrebbero permesso di svernare in America). Questo primo incidente ne causò un secondo: le provviste rimanenti dovettero essere trasportate via terra da Bolšeretsk; mancando di uomini, slitte e cani, Bering obbligò al servizio forzato alcuni Coriachi che, allontanati da casa e costretti a una semi schiavitù, si ribellarono, uccidendo sette russi. Seguì una spaventosa spedizione punitiva, che comportò la deportazione dei maschi adulti, l'uccisione di donne e bambini, la fuga o il suicidio di chi non voleva cadere in schiavitù. Uno choc per Steller, un luterano educato al pietismo, che perse ogni stima e rispetto per il comandante. Aggiungiamo un'ultima circostanza. Come vedremo, molti giorni preziosi furono sprecati su una rotta sbagliata, alla ricerca della mitica Terra di Joao da Gama (o Gamaland), un inesistente territorio che avrebbe dovuto trovarsi a nord tra l'Asia e l'America; inesistente ma indicato nella mappa predisposta dal geografo ufficiale della spedizione, Louis de l'Isle de la Croyère, e dai suoi fratelli Guillaume e Joseph-Nicolas. Finalmente le due navi partirono da Petropavlovsk il 4 giugno 1741. Dopo aver seguito per nove giorni una rotta in direzione sudest, dove si supponeva trovarsi Gamaland, virarono verso nordest. Il 20 giugno si imbatterono in una fitta nebbia in cui si persero di vista. Čirikov, mantenendo la rotta a nordest, dopo circa un mese avvistò terra (presumibilmente una piccola isola di fronte all'isola Principe di Galles, nell'Alaska sudorientale); inviati a terra successivamente due uomini, che non fecero ritorno, rinunciò a sbarcare, e, dopo aver avvistato la penisola di Kenai e l'isola di Afognak, dal momento che a bordo incominciava a imperversare lo scorbuto, attraverso le isole Aleutine fece rotta per la Kamčatka, dove era di ritorno in ottobre. Pochi giorni dopo, proprio di scorbuto morì de l'Isle de la Croyère, che era imbarcato sulla San Paolo. Al contrario del suo secondo, dopo la separazione delle due navi, Bering si ostinò a ricercare la Terra di Joao da Gama, indotto in errore anche da Steller che, osservando le alghe portate dalla corrente e la presenza di uccelli terrestri, credette prossima una terra in direzione sudest. Dopo altri quattro giorni perduti, cambiata finalmente rotta, la San Pietro il 16 luglio avvistò in lontananza un'alta montagna coronata di neve, che il capitano chiamò Monte Sant'Elia in onore del santo la cui festa cadeva il 20 luglio, giorno in cui finalmente toccarono terra in una piccola isola, che è stata identificata con Kayak Island, nel golfo d'Alaska. Bering intendeva fermarsi solo il tempo necessario per rinnovare le provviste di acqua dolce; Steller, incredulo, lo pregò prima con le buone poi con le cattive di permettergli di esplorare l'isola. Dopo un violento diverbio, in cui il naturalista minacciò Bering di deferirlo al senato di San Pietroburgo, il comandante si piegò e gli concesse... dieci ore! Dieci ore di esplorazione scientifica costate dieci anni di preparazione, come ebbe più tardi a scrivere l'amareggiato Steller. Come non capirlo! Ma proviamo a metterci nei panni di Bering: sapeva che il tempo per completare il viaggio senza mettere a repentaglio la nave e i suoi uomini era ormai agli sgoccioli. Bisognava rientrare alla base entro ottobre, per evitare di incappare nelle tempeste che a partire da quel mese rendevano impossibile la navigazione nel Pacifico settentrionale; inoltre ogni viaggio per mare che si prolungasse per più di due mesi metteva gli uomini a rischio di ammalarsi di scorbuto (una malattia devastante causata dalla carenza di vitamina C, le cui cause all'epoca erano ancora ignote o mal comprese). Dunque la sua fretta è più che comprensibile. In ogni caso, il nostro naturalista mise a frutto il poco tempo a disposizione e in quella mezza giornata si diede alla raccolta frenetica di piante, minerali e animali. L'incontro con quella che sarebbe stata chiamata ghiandaia di Steller (Cyanocitta stelleri) gli confermò che avevano toccato il continente americano, per la sua somiglianza con la ghiandaia americana (Cyanocitta cristata), che gli era nota grazie alle sue letture. Fu anche il primo scienziato europeo a vedere le lontre marine (che, come scopriremo nei prossimi post, occuperanno un ruolo importante nella storia dell'esplorazione russa del Pacifico settentrionale). Durante la sua escursione, Steller vide anche in lontananza i fumi di un insediamento indigeno e chiese al capitano di inviare una barca ad esplorarla; la risposta di Bering fu assai poco diplomatica: "Porta subito il tuo culo a bordo, se non vuoi che ti lasci a terra". Steller dovette ubbidire. Una volta salito sulla nave con le sue preziose raccolte, dovette subire un ultimo oltraggio: senza fare una piega, Bering fece voltare fuori bordo un esemplare di Rubus spectabilis (salmonberry), che gli sembrava perfettamente identico ai lamponi di casa. Il viaggio di ritorno cominciò così con il comandante e il suo naturalista ai ferri corti, potremmo dire separati in cabina, visto che Steller condivideva la cabina di Bering. Dopo aver costeggiato l'Alaska meridionale, la rotta seguì la cresta delle isole Aleutine, dove in brevissime soste Steller ebbe modo di raccogliere altri esemplari naturalistici e oggetti etnografici. Poté anche osservare molti animali marini. Intanto, uno dopo l'altro, gli uomini cominciarono ad ammalarsi di scorbuto. Il primo a morire fu il marinaio Nikita Šumagin, che venne sepolto in una di quelle che Bering in suo ricordo battezzò isole Šumagin. Mentre l'autunno incombeva e i venti battevano la nave, le condizioni a bordo erano sempre più drammatiche. Quando raggiunsero quella che credevano la costa della Kamčatka, su 78 uomini, 12 erano già morti e 49 ammalati; solo una decina di uomini aveva forze sufficienti per manovrare la nave, che il 10 novembre fece naufragio sulle scogliere in un'isola sconosciuta (oggi porta il nome di Bering). Lotta per la sopravvivenza e scoperte scientifiche Il primo a scoprire che non si trattava della Kamčatka fu proprio Steller, vedendo piante e animali che non aveva incontrato nel continente. Grazie a ciò che aveva appreso sia dalle letture sia dai contatti con le popolazioni native, incominciò subito a cercare piante capaci di combattere lo scorbuto; con un miscuglio di erbe, foglie e bacche, riuscì a mantenere in buona salute se stesso e il proprio servitore, mentre gli ufficiali rifiutavano di cibarsi di quell'intruglio. E così, si continuava a morire. Allo scorbuto e alla scarsità di cibo, si aggiungeva l'inclemenza del clima invernale, con temperature sempre più basse e tempeste devastanti (una delle quali finì di distruggere la San Pietro) e le incursioni degli animali selvatici, come le volpi artiche che non esitavano a penetrare nell'accampamento di quegli sventurati e ad azzannare quelli che lottavano tra la vita e la morte, come Bering (che morì l'8 dicembre; altri 17 uomini subirono la stessa sorte). Vedendo che si manteneva in buona salute, i suoi compagni incominciarono a prendere sul serio Steller e ad accompagnarlo a caccia o alla ricerca di erbe. Insieme a tre di loro, egli scavò nella sabbia dei rifugi dove dormire al riparo delle volpi; riuscì a cacciare queste ultime dal campo e a salvare i superstiti nutrendoli con biscotti intinti in grasso di foca e carne di lontra (efficace contro lo scorbuto perché relativamente ricca di vitamina C). Durante l'inverno, diresse la costruzione di un accampamento scavato nella neve. Nonostante tutte queste incombenze, non tralasciò le osservazioni naturalistiche; ad esempio, costruì un capanno proprio nel mezzo di una colonia di foche, dove poté osservarle non visto per sei giorni. La scoperta più sensazionale fu certamente la ritina di Steller (Hydrodamalis gigas), un gigantesco sirenide lungo fino a 8 metri, un esemplare del quale fornì abbondante cibo e calorie ai naufraghi. Purtroppo, per la caccia eccessiva, questa specie si estinse pochi anni dopo. Quando riconobbe in alcuni uccelli una specie che aveva già notato in Kamčatka (un altro degli animali che porta il suo nome, l'edredone di Steller, Polysticta stelleri) capì che la terra ferma non doveva essere lontana e stimolò i compagni a raddoppiare gli sforzi per mettersi in salvo. A primavera l'abilissimo carpentiere della San Pietro, utilizzando quanto rimaneva della nave, riuscì a costruire un battello più piccolo, battezzato con lo stesso nome. Lasciata l'isola Bering il 14 agosto 1742, dodici giorno dopo i 46 superstiti toccavano in salvo la baia dell'Avača. Le avventure di Steller non erano finite: mentre lavora ai suoi manoscritti (la relazione di viaggio, il trattato sugli animali marini De bestiis marinis, la descrizione delle numerose specie di animali e piante raccolte durante il viaggio e nell'isola Bering), continuò ad esplorare la Kamčatka e alcune delle isole Curili; in urto con l'amministrazione locale per le sue simpatie verso i nativi, fu posto sotto accusa e richiamato a San Pietroburgo; mentre era già sugli Urali, fu arrestato e ricondotto a Irkutsk. Scagionato, riprese il viaggio verso occidente ma morì a Tyumen a soli 37 anni. Una sintesi della sua vita avventurosa e travagliata nella sezione biografie. Stellera, una bellezza pericolosa Steller è noto soprattutto per le importanti scoperte zoologiche, ma quelle botaniche non sono ttrascurabili. Nelle poche ore trascorse in Alaska (durante la sosta a Kayak il 20 luglio e anche più brevemente tra il 30 e 31 agosto a Nagai Island) raccolse e descrisse 143 piante. Non meno significative sono le sue ricerche botaniche nell'isola Bering, in Kamčatka e in Siberia. Tra le piante che lo ricordano nel nome specifico Arabis stelleri, Cassiope stelleriana, Lagotis stelleri, Veronica stelleri, Limnas stelleri, Cryptogramma stelleri. Anche se Steller non poté pubblicare né le sue ricerche né il racconto del proprio viaggio, dopo la sua morte i suoi diari furono pubblicati da Pallas (Reise von Kamtschatka nach Amerika mit dem Commandeur-Capitän Bering) e gli diedero fama europea. Tra i suoi ammiratori, lo stesso Linneo che in Species plantarum (1753) gli dedicò il genere Stellera. Molto più tardivo l'omaggio del botanico russo Nikolaj Turčaninov che nel 1840 lo omaggiò con un secondo genere Stellera; poiché non valido per la regola della priorità, nel 1849 lo sostituì con l'anagrammatico Rellesta (oggi considerato un sinonimo di Swertia). Stellera L. (famiglia Thymelaeaceae) è un genere monospecifico, rappresentato unicamente da S. chamaejasme. Originaria delle regioni montane dell'Asia centrale e meridionale (inclusa la Siberia) è una perenne semilegnosa o un arbustino che, almeno nelle fioriture, ricorda l'affine Edgeworthia con infiorescenze globose assai decorative in diverse sfumature di colori (solitamente rosa, ma anche bianche o gialle). Molto attraente, è adatta ai giardini rocciosi, sebbene la sua coltivazione sia tutt'altro che facile. L'intera pianta è tossica, tanto che anche i suoi fiori sono evitati dagli insetti e nei pascoli di alta montagna del Tibet cinese la sua diffusione è considerata un problema per gli animali. Nonostante ciò, la medicina tradizionale cinese la utilizza da secoli come antinfiammatorio e oggi se ne studiano le proprietà antitumorali. Inoltre in Tibet dalle sue radici si ricava una carta di alta qualità, sottile e allo stesso tempo robusta, oltre che inattaccabile da muffe e insetti. Qualche approfondimento nella scheda. Restella: un anagramma vegetale La storia tassonomica del genere Stellera è assai travagliata; Linneo gli aveva assegnato due specie (S. chamaejasme e S. passerina, oggi Thymelaea passerina) cui se ne aggiunsero via via altre, fino a raggiungere una dozzina di specie. Più recentemente, con l'eccezione appunto di S. chamaejasme, sono state tutte riassegnate ad altri generi. Uno di essi, indirettamente, si ricollega ancora una volta al nostro eroe. Nel 1886 Eduard August von Regel aveva denominato Stellera alberti un arbusto raccolto da suo figlio Johann Albert durante una spedizione in Asia centrale; nel 1941, la botanica russa Evgenija Pobedimova la separò da Stellera e la attribuì al nuovo genere Restella (anagramma di Stellera). Anche Restella Pobed. appartiene ovviamente alla famiglia Thymelaeaceae, e anch'esso comprende una sola specie, appunto R. alberti. E' un bellissimo arbusto dagli sfolgoranti fiori giallo zolfo, endemico di poche località della catena del Tien Shan in Uzbekistan; benché raro, non è a rischio perché le aree in cui vive sono protette. Anche in questo caso, qualche informazione in più nella scheda. Per completezza d'informazione, segnalo che a Steller sono state dedicati indirettamente altri due generi: nel 1893 da van Thiegem Dendrostellera e nel 1950, nuovamente da Pobedimova, Stelleropsis; entrambi oggi sono confluiti in Diathron.
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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