Nel 1824, Nathaniel Wallich dedica "con grande soddisfazione" un bell'arbusto dell'Himalaya, Leycesteria formosa, all'amico William Leycester, giudice della suprema corte di giustizia del Bengala, appassionato orticultore e primo presidente della Agri-Horticultural Society of India. Poco sappiamo di questo personaggio che in tal modo ha donato il suo nome al genere Leycesteria e a questa notevole pianta, di moda nei giardini vittoriani e oggi ingiustamente un po' dimenticata. Nuove introduzioni per migliorare l'orticultura indiana Fino alla grande rivolta dei Sepoy del 1857, che spinse la monarchia britannica a prendere il controllo diretto del Raj, gran parte della penisola indiana era amministrata dai funzionari della Compagnia delle Indie (più correttamente, Compagnia Britannica delle Indie Orientali), una compagnia commerciale privata. Gli storici valutano che verso la metà del secolo, quando sotto il suo controllo passarono anche gran parte della Birmania, Singapore ed Hong Kong, un quinto dell'umanità fosse sottoposto alla sua autorità. Per assolvere i propri immensi compiti amministrativi, la Compagnia si avvalse di una schiera di migliaia di funzionari, reclutati in Gran Bretagna, ma cercò anche di coinvolgere le élites locali (caratteristica che differenziò profondamente il colonialismo britannico, tra gli altri, da quello francese). Un esempio relativamente riuscito di questa politica di integrazione può essere la Agri-Horticultural Society of India, fondata, come si è visto in questo post, nel settembre 1820 da William Carey. Per la sua storia personale, che lo aveva messo in contatto con studiosi, tipografi, filantropi indiani, egli era sicuramente la persona più adatta per imprimere alla nuova società un carattere multietnico. Infatti nel progetto di statuto scrisse esplicitamene: "E' particolarmente desiderabile che i gentlemen nativi possano non solo essere membri, ma anche dirigenti della società esattamente nello stesso modo degli europei". Considerando che le riunioni si tenevano in inglese, i "gentlemen nativi" erano ovviamente notabili colti e anche ricchi, visto che l'iscrizione era abbastanza costosa. Nel primo comitato direttivo, ne troviamo due, che erano anche vecchie conoscenze di Carey. Il primo era Radhakanta Deb (1784-1867), un linguista e uno studioso, autore di un dizionario di sanscrito, ma anche un pedagogo impegnato nella promozione dell'educazione (inclusa quella delle ragazze) e un uomo politico conservatore; egli mise a disposizione della società cinquecento acri di terreno e intervenne assiduamente alle riunioni, presentando diversi contributi sullo stato dell'agricoltura in Bengala. Il secondo, Ramkamal Sen (1783-1844), rappresenta molto bene il tipo del funzionario nativo di successo; all'inizio della sua carriera era un compositore tipografico sotto pagato; poi passò a lavorare al Fort William College e acquisì posizioni di crescente prestigio, fino a diventare tesoriere della Banca del Bengala e segretario dell'Asiatic Society; per le edizioni missionarie di Serampore curò la prima edizione in bengali dell'Hitopadesha, una raccolta di fiabe in sanscrito risalente al XII secolo. Tra i soci c'erano altri bengalesi eminenti. Vale la pena di citare almeno l'uomo d'affari Dwarkanath Tagore (1794-1846), fondatore di una delle prime grandi aziende anglo-indiane, che si occupava tra l'altro della produzione e dell'esportazione di prodotti agricoli, e più tardi fu coinvolta sia nell'introduzione del tè cinese in Assam sia nel traffico dell'oppio in Cina. Era il nonno del poeta premio Nobel Rabindranath Tagore. E' chiaro che né il governatore dell'India, né i funzionari della Compagnia, né tanto meno i magnati e proprietari terrieri indiani, e tutto sommato neppure i missionari, intendevano mettere in discussione la struttura agraria del paese e lo sfruttamento dei piccoli contadini da parte dell'élite rurale degli zamindar (era proprio da questa classe che la Compagnia reclutava gran parte dei suoi funzionari); erano però convinti che le condizioni di vita dei contadini e più in generale l'economia del paese (e della potenza colonizzatrice) avrebbero tratto giovamento dall'introduzione di nuove coltivazioni e di tecniche agrarie più moderne. Nonostante l'ostilità degli ambienti indù più conservatori, che temevano che la Società promuovesse la coltivazione di piante proibite (come l'aglio e le cipolle, il cui consumo era vietato dai testi sacri), il progetto di Carey ottenne un immediato successo, anche grazie all'alto patronato del governatore dell'India e di sua moglie, lord e lady Hastings, che misero a disposizione un terreno a Barrackpore. Il numero dei soci, sia britannici sia indiani, crebbe abbastanza rapidamente e oltre che in Bengala, vennero fondate sezioni in Punjab, a Madras e a Bombay. La presenza tra i soci di un certo numero di esperti permise anche alla società di varare una serie di comitati di studio, dedicati alla coltivazione del cotone, del grano, della canna da zucchero, del tè, del lino e della canapa, del tabacco, all'orticoltura, alla sericoltura e all'allevamento. In una prima fase, più o meno dalla fondazione al 1835, tuttavia, la società si concentrò prevalentemente sulle produzioni orticole su piccola scala e sull'acclimatazione di ortaggi europei, coinvolgendo non solo grandi proprietari terrieri, ma un vasto tessuto di ortolani e giardinieri a cui vennero distribuiti i semi fatti giungere dall'Europa o da altre colonie britanniche. Ad esempio, nel 1824 dalla Colonia del capo giunse una consegna di semi che comprendeva spinaci, carciofi, asparagi, lattuga, insalata pan di zucchero, pastinaca, cavoli, cavolfiori, zucche, cavolini di Bruxelles, sedano, zucchine, rape e crescione. Sul modello delle fiere agricole britanniche, i giardinieri indiani erano incoraggiati a presentare i prodotti migliori in esposizioni periodiche, ben pubblicizzate dalla stampa. La prima si tenne nel gennaio 1827 e premiò cinque bengalesi con medaglie e piccoli premi in denaro. Certamente i risultati non furono trascurabili, tanto da cambiare permanentemente le abitudini alimentari indiane: due casi eclatanti sono l'introduzione del cavolfiore e della patata (giunta dall'Inghilterra nel 1832), ortaggi oggi molti comuni nelle ricette indiane. Tuttavia, dopo il primo decennio, si registrò una certa crisi. Nel 1827, la Compagnia delle Indie decise di utilizzare il terreno di Barrackpore per espandere le coltivazioni sperimentali dell'orto botanico di Calcutta, e la Società fu costretta a cercare una nuova sede, che alla fine fu trovata ad Alipore. Tuttavia già nel 1834 il giardino fu dismesso, in seguito alla bancarotta del tesoriere della società, l'agenzia Alexander and Co. Non si trattava solo di problemi finanziari. La Compagnia delle Indie era insoddisfatta dell'indirizzo assunto dalla società; i risultati economici si facevano attendere, mentre all'introduzione di nuove coltivazioni provvedeva anche meglio l'orto botanico di Calcutta, ora abilmente diretto da Nathaniel Wallich. La Società rispose creando un vivaio all'interno dello stesso orto botanico; l'importazione di semi orticoli e di alberi da frutto dall'Europa non cessò, così come continuarono le mostre orticole, ma venne incrementata l'introduzione di piante alimentari e industriali. Abbiamo già visto il caso delle patate, giunte nel 1832. Nel 1830, da Londra arrivarono semi di cotone e tabacco. Tra le colture introdotte per la prima volta dalla Società, possiamo aggiungere il mais, introdotto dagli Stati Uniti nel 1831; la segale e l'orzo; il lino, importato dalla Scozia nel 1842, e il ramié bianco Boehmeria nivea, giunto dall'orto botanico di Edimburgo nel 1854. Tra le foraggere, il trifoglio e l'erba di Guinea Megathyrsus maximus. Molti sforzi furono anche rivolti all'introduzione di alberi da frutto tipicamente europei (meli, peschi, peri, ciliegi, susini), inclusi piccoli frutti come il ribes e l'uva spina, particolarmente richiesti dai proprietari terrieri indiani. Tuttavia alla fine degli anni '30, la Società aveva ormai cambiato natura. Anche per influenza di personaggi come Dwarkanath Tagore, il focus andava sempre più spostandosi dalle piante alimentari e medicinali a quelle industriali, come la canna da zucchero, dalle necessità della popolazione al profitto e alla produzione per l'esportazione. Non seguiremo questa evoluzione per soffermarci su uno dei protagonisti della prima fase "orticola" della società: William Leycester. Un giudice appassionato di orticultura Purtroppo su di lui sappiamo meno di quanto vorremo. William Leycester (1775 - 1831), giunto in India quindicenne, nel 1790, inizia la carriera dalla gavetta, come scrivano della Compagnia delle Indie. Nel 1802 è esattore nel Bihar. Forse dal 1804 entra in magistratura. Nel 1809 lo troviamo come magistrato e giudice nel distretto di Moradabad (Uttar Pradesh). Nel 1814 è promosso secondo giudice della corte di giustizia di Bareilly (sempre nell'Uttar Pradesh). Nel 1820 diventa primo giudice sia della corte suprema delle entrate sia dell'alta corte di giustizia, entrambe con sede a Calcutta. In questo ruolo, si trovò a conciliare la legge inglese con quelle musulmane e indù, come possiamo notare da diverse sentenze da lui emesse. Il caso più clamoroso riguarda una bimba dodicenne arrestata per aver evirato l'uomo cui era stata venduta dal fratello e condannata da una fatwa del tribunale musulmano; Leycester ne dispose il rilascio, sostenendo l'inapplicabilità della fatwa a un soggetto di età inferiore a tredici anni, non punibile secondo la legge inglese. Più tardi fu uno dei giudici che si pronunciò contro la pratica (sati) di sacrificare le vedove bruciandole vive sulla pira del marito defunto. Era noto come un giudice preparato e imparziale, e difese la separazione delle funzioni di magistrato e di giudice. Le testimonianze del tempo lo dicono appassionato di orticoltura e botanica. Quella più ampia si deve a Nathaniel Wallich che, proprio nel dedicargli Leycesteria, si espresse in questi termini: "E' con grande soddisfazione che lo dedico al mio stimatissimo amico William Leycester, giudice capo della principale corte nativa della Presidenza del Bengala, che in una lunga serie di anni e in varie parti dell'Indostan distanti tra di loro ha perseguito ogni ramo dell'orticultura con munificenza, zelo e successo tali da assicurargli pienamente questa distinzione". Queste esperienze gli garantirono anche l'elezione alla presidenza dell'Agri-Horticultural Society, incarico che mantenne dalla fondazione nel 1820 al 1829, quando ripresentò la sua candidatura ma non fu rieletto; pare che ci fossero stati dissapori con Carey, ma sicuramente fu determinante la svolta della linea di fondo della società, che dalla vocazione orticola stava ormai virando verso le produzioni agricole e industriali. Non che Leycester si disinteressasse del tutto di queste ultime: come membro del comitato del lino e della canapa nel 1822 presentò uno studio sulle potenzialità delle fibre di tre specie di Musa (M. x sapientum, M. ornata, M. textilis). Ma certo era un convinto sostenitore della linea "orticola" e come presidente la sua maggiore incombenza fu l'organizzazione delle esposizioni annuali, di cui ebbe a lamentare lo scarso numero di partecipanti. Si è già visto che Nathaniel Wallich ne aveva grande stima, tanto che nel 1822, quando dovette lasciare momentaneamente Calcutta per recarsi a Singapore con Raffles, Leycester ne fece le veci. In questa occasione, guadagnò anche una medaglia d'argento della Royal Horticultural Society per "il valido dono di piante, semi e frutti conservarti sotto alcool inviati alla Società dall’Orto botanico di Calcutta”. Dal 1821, era anche membro della Asiatic Society. Un arbusto dalla bellezza inconsueta Leycesteria è un piccolo genere della famiglia Caprifoliaceae che raggruppa sei o sette specie di arbusti originari dell'Himalaya e dell'Asia temperata, dal Pakistan al Myanmar. Decidui, hanno rami cavi o con midollo solido, foglie opposte con margini interi o serrati, fiori raccolti in infiorescenze a spiga o in giri sovrapposti, spesso con brattee vistose. E' il caso della specie più nota, L. formosa (quella dedicata da Wallich a Leycester), un notevole arbusto con eleganti rami arcuati e fiori penduli bianchi sottesi da brattee viola porpora. In autunno sono seguiti da bacche lucide viola scuro, molto gradite agli uccelli, ma amare per gli esseri umani. Piacciono molto anche ai fagiani, il che ne ha favorito la voga all'epoca vittoriana quando veniva piantata in grandi quantità nelle macchie di arbusti delle grandi tenute per la gioia dei cacciatori. Poi la moda è cambiata e ora è un po' dimenticata; in Inghilterra è ancora abbastanza coltivata, anche se piuttosto che la specie si privilegiano le cultivar. Da noi non è molto diffusa. E' un peccato, perché è una specie inconsueta, attraente, del tutto rustica e poco esigente. D'altra parte, poiché ogni medaglia ha il suo rovescio, in alcuni paesi, come l'Australia, si è rivelata infestante e pone seri problemi di controllo. Le altre specie non sono in genere coltivate, tranne in qualche orto botanico. La più notevole è L. crocothyrsos, originaria delle valle montane dell'Assam; un arbusto spettacolare, ma non rustico, che ostenta vistosi grappoli di fiori giallo-oro. Altre informazioni nella scheda.
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Il missionario William Carey è una personalità molto nota della storia indiana. Prodigioso poliglotta, tradusse e pubblicò il Vangelo e la Bibbia in molte lingue del subcontinente, creò una tipografia, una rete di scuole, la prima università indiana. Forse è meno noto che era un appassionato botanico e un agronomo sperimentatore, e come tale fu tra i soci fondatori della Società agricola indiana, di cui dettò gli obiettivi. Il suo giardino botanico privato era il più ricco dell'India, secondo solo a quello della Compagnia delle Indie diretto dal suo amico William Roxburgh, a cui Carey donò per altro molte piante. Roxburgh ricambiò con la dedica di Careya, ma Carey lo contraccambio con un inestimabile servizio postumo: la pubblicazione di Flora indica. Una missione rivoluzionaria Nel 1755, la Compagnia danese delle Indie Orientali, in cambio di cinquemila rupie e vari doni, ottenne dal Nawab del Bengala il permesso di commerciare e di stabilire un emporio e un porto. Poté così installarsi a Serampore sulla riva dell'Hoogly, uno dei bracci del delta del Gange, un piccolo centro circondato da villaggi agricoli che già da secoli ospitava un mercato frequentato da portoghesi, olandesi e francesi. Con l'impegno di versare una tassa annuale e di far rispettare la legge e l'ordine, vi creò una minuscola stazione commerciale battezzata Frederiksnagore in onore del re di Danimarca Federico V (anche se è per lo più nota come Serampore). Rispetto a altre città dell'area controllate dalle compagnie francesi e inglesi, era insignificante ma i danesi furono abili a sviluppare attività artigianali e mercantili, attraendo mercanti europei e migliaia di indiani, impiegati soprattutto come tessitori. Nel 1777 l'amministrazione di Serampore passò alla corona danese. Grazie all'abile governatore Ole Bie (1776-1805) la cittadina conobbe un eccezionale sviluppo urbanistico, tanto da essere descritta dai contemporanei come la città più elegante e meglio amministrata dell'India europea. Gli affari andavano a gonfie vele, la presenza danese favoriva lo sviluppo dell'artigianato tessile e incise anche sull'agricoltura: i contadini vennero infatti incoraggiati ad affiancare alla traduzionale coltivazione del riso, quella l'indaco (Indigofera tinctoria), utilizzato nella tintura delle stoffe. Nel 1799 Ole Bie permise a un gruppo di missionari battisti britannici di stabilirsi a Serampore. I primi missionari battisti, John Thomas e William Carey, era arrivati a Calcutta nel 1793, ma avevano dovuto scontrarsi con l'ostilità della Compagnia inglese delle Indie che temeva che la loro attività di proselitismo causasse insanabili attriti con gli indiani; inoltre, come non conformisti con idee sociali avanzate, erano visti come pericolosi sovversivi. Il governatore Bie invece contava su di loro per creare una scuola aperta ai ragazzi tanto indiani quanto europei; per i missionari sarebbe stato un asilo dove iniziare finalmente la sospirata attività di proselitismo. A fondare la missione furono tre energici personaggi, noti come il "trio di Serampore": il maestro Joshua Marsham, il tipografo William Ward e il più famoso di tutti, il reverendo William Carey (1761-1834), una figura così eccezionale che il filantropo William Wilberforce lo definì "una delle principali glorie della nazione britannica", mentre Rabindranath Tagore lo salutò "padre del Bengala moderno". Figlio di un tessitore, nacque in un piccolo villaggio del Northamptonshire dove non esistevano scuole, finché, quando aveva sei anni, suo padre venne assunto dalla parrocchia come funzionario e maestro. Da lui ricevette una sommaria istruzione, rivelando un precoce talento per le lingue (imparò il latino da autodidatta) e un grande interesse per la natura, specialmente per gli insetti e le piante. A quattrodici anni fu collocato come apprendista presso un calzolaio e uno dei suoi compagni lo avvicinò all'ambiente dei dissidenti religiosi. Passò quindi a lavorare per un calzolaio battista; ne abbracciò la fede e ne sposò la cognata, una giovane donna analfabeta. Alla morte del padrone, ne rilevò la bottega; sempre più coinvolto nelle attività della congregazione battista, studiò i testi sacri e imparò da autodidatta altre lingue: il greco, l'ebraico, l'italiano, l'olandese e il francese, sempre con un libro sotto mano mentre fabbricava scarpe. Nel 1785, come mastro si trasferì in un villaggio più grande dove venne invitato a servire come pastore; lo diverrà a pieno tempo nel 1789. Intanto aveva incominciato a interessarsi sempre più alle attività missionarie. Nel 1792 grazie al finanziamento di un amico e correligionario pubblicò An Enquiry into the Obligations of Christians to use Means for the Conversion of the Heathens, un vero e proprio manifesto in cui sostenne che ogni cristiano deve farsi apostolo del messaggio di Cristo. Lo stesso anno fu tra i fondatori della Società battista per la propagazione del Vangelo (poi nota come Baptist Missionary Society) e nel 1793, con la moglie e i figli, partì per l'India insieme al medico John Thomas. Pensava di mantenersi come agricoltore e portò con sé bulbi e semi di piante orticole e alimentari; anche in questo campo era un colto autodidatta: conosceva la classificazione linneana, e aveva una certa esperienza di raccolta sul campo. Giunto in India nel novembre 1793, venne a sapere che in seguito alla morte del colonnello Kyd il posto di intendente del giardino della Compagnia delle Indie era vacante. Si precipitò a Calcutta per presentare la sua candidatura, ma scoprì che era già stato designato William Roxburgh. La cosa non lo amareggiò, anzi andò a fargli visita: fu l'inizio di una grande amicizia. Carey scoprì ben presto che, a causa dell'ostilità della Compagnia delle Indie, gli era impossibile predicare; anche Thomas abbandonò l'impresa. Grazie a un amico, fu assunto come sovrintendente di una piantagione di indaco a Madnabati, dove visse per sei anni. Fu così testimone della miserevole condizione dei contadini indiani e si convinse che fosse compito degli inglesi risollevarla introducendo strumenti migliori e nuove coltivazioni. Vi creò un orto botanico e come l'amico Roxburgh, fece molti esperimenti agricoli. Scriveva agli amici in Inghilterra per ottenere pianticelle di piante da frutto e semi di ortaggi; da Roxburgh ebbe alberi di cannella, noce moscata, teak; a sua volta gli inviava esemplari che raccoglieva in natura. Tra di essi l'albero di sal, che nel 1798 Roxburgh pensò di dedicargli con il nome di Careya saulea. Carey respinse l'omaggio, sia per modestia sia nella convinzione che le piante debbano conservare i nomi indigeni; in effetti, le sue proteste furono accolte e la pianta fu rinominata Shorea robusta (dal nome sanscrito sarja). Furono anni durissimi che gli costarono la perdita di un figlio di cinque anni e l'alienazione mentale della prima moglie. Non aveva certo dimenticato lo scopo per cui era venuto in India; si preparò alla missione imparando il sanscrito e il bengali e tradusse in quest'ultima lingua il nuovo testamento. Dall'Inghilterra giunsero altri confratelli, in particolare Marsham e Ward che nel 1799 lo precedettero a Serampore; acquistarono una grande casa che doveva ospitare sia le loro famiglie sia i locali della scuola. Carey con la moglie e i figli superstiti li raggiunse all'inizio del 1800 portando con sé una macchina da stampa procuratagli dal proprietario della piantagione di Madnabati. Ad occuparsi della scuola furono soprattutto Joshua Marsham e sua moglie Hannah: era aperta a tutti, senza badare alla religione o alla casta: fu l'inizio di una vasta rete di scuole in lingua bengali che nel 1818 ne contava 92 frequentate da 10.000 alunni. Intanto anche la Compagnia delle Indie incominciava a convincersi che i missionari di Serampore non costituivano un pericolo, anzi potevano tornare utili per dare una patina di credibilità alla sua immagine offuscata. Nel 1801 il governatore Wellesley lo chiamò a insegnare bengali al Fort William College, una scuola dove i funzionari della Compagnia studiavano le lingue, le culture, le tradizioni e la storia dell'India. Continuò a dedicarsi con zelo allo studio del maggior numero possibile di lingue indiane e alle traduzioni e insieme a Ward creò una casa editrice, che iniziò la sua attività con la stampa del Nuovo testamento in bengali da lui tradotto; seguirono il Nuovo testamento in sanscrito, in marathi, in panjabi, e l'intera Bibbia in bengalese. Entro il 1835, l'anno successivo alla morte di Carey, la Bibbia era stata tradotta e stampata in non meno di 42 lingue e dialetti. Ma non si pubblicavano solo testi religiosi: nello stesso arco di tempo, la casa editrice giunse a stampare oltre 200.000 volumi: c'erano classici della tradizione indiana come il Mahabaratha e il Ramayana, grammatiche, lessici e dizionari per l'uso del Fort William College, ma anche - come vedremo meglio tra poco - testi scientifici. A partire dal 1818 venne anche pubblicato un quotidiano bilingue, in inglese e bengali. Anche se nel 1812 un devastante incendio distrusse manoscritti, carta, set di caratteri tipografici, le macchine da stampa si salvarono; la tipografia rimase ufficialmente attiva fino al 1837, ma anche dopo questa data uscì ancora occasionalmente qualche volume. Nel 1818 Carey, Marsham e Ward fondarono il Serampore College, destinato sia ai futuri pastori, sia a studenti di "ogni casta, colore o paese". Posto inizialmente sotto la giurisdizione danese, quindi passato sotto controllo britannico dal 1845, è considerato la prima università indiana, di cui ha costituito un duraturo modello. Carey e Roxburgh: una collaborazione fraterna Per Carey, la coltivazione di un giardino era una passione, un svago salutare per la mente e il corpo, ma lo studio delle scienze naturali aveva anche un risvolto religioso: la lettura del libro della natura avvicina a Dio quanto quella della Bibbia. Al suo arrivo a Serampore, portò con sé le piante che coltivava a Madnabati e creò un orto botanico privato; più tardi, quando in seguito a dissidi con la casa madre in Inghilterra lasciò la Baptist Missionary Society e si trasferì nel College, vi spostò anche il giardino. Misurava cinque acri, vantava una collezione di migliaia di piante (seconda solo a quella del giardino di Calcutta della Compagnia delle Indie), quattro vasche per le piante acquatiche, voliere per gli uccelli. Dopo la sua morte (1834), divenuto giardino del Serampore College, fu posto sotto la direzione di Joachim Otto Voigt, che ne scrisse il catalogo, insieme a quello dell'orto botanico di Calcutta (Hortus suburbanus Calcuttensis, 1845). Alcune piante erano state raccolte dallo stesso Carey, molte le aveva ottenute dai suoi corrispondenti, molto numerosi tanto in India quanto all'estero, grazie alla rete delle missioni e ai suoi contatti con studiosi, proprietari terrieri e filantropi indiani. Collezionava anche acquarelli di piante e insetti dipinti da artisti indiani, di alcuni dei quali fece dono alla Linnean Society di Londra di cui divenne membro nel 1823. Fin dai tempi di Madnabati, era molto interessato ai risvolti pratici della botanica e all'agricoltura; per sostenere la missione, progettò una piantagione di alberi da legname, cui dovette rinunciare perché la Compagnia delle Indie non concesse i terreni. Nel settembre 1820, su sollecitazione di lady Hastings, la moglie del governatore generale dell'India, insieme a Joshua Marsham e altri due europei fondò l'Agricultural and horticultural society of India, che entro un mese, posta sotto il patronato di lord e lady Hastings, che concessero anche un terreno sperimentale a Barrackpore, contava già cinquanta soci, metà europei e metà indiani. Gli obiettivi della società, fissati dallo stesso Carey, includevano il miglioramento dei terreni, tramite metodi di coltivazione più avanzati, incluse le più efficienti tecniche di rotazione delle culture; l'introduzione di nuove piante utili; il miglioramento delle attrezzature; il miglioramento degli animali agricoli; la bonifica e la coltivazione dei terreni abbandonati. Fin da quando si conobbero nel 1793, la collaborazione tra Carey e William Roxburgh fu strettissima. Il missionario considerava il suo stesso giardino quasi una succursale dell'orto botanico di Calcutta cui donò non meno di ottanta esemplari. Tra di essi, forse il più notevole è l'himalayana Rosa clinophylla (che Roxburgh chiamava R. involucrata) da lui spedita al giardino di Calcutta nel 1797; negli anni venti, ne inviò un esemplare anche a Hooker, all'epoca direttore dell'orto botanico di Glasgow. Nel 1813, quando Roxburgh, lasciò l'India nella speranza di recuperare la salute (sarebbe purtroppo morto poco più di un anno dopo) gli affidò due manoscritti: il catalogo dell'orto botanico di Calcutta Hortus Bengalensis e la sua monumentale Flora indica. Il primo fu pubblicato dalla tipografia di Serampore già nel 1814, con una prefazione dello stesso Carey. Durante il suo servizio in India (dal 1773 al 1813, interrotti solo da due brevi soggiorni in patria) Roxburgh descrisse circa 2600 specie, e di circa 2500 fece preparare i disegni. Nel 1795, quando da poco si era trasferito a Calcutta, una selezione di cento piante da lui raccolte in Cormandel fu pubblicata a spese della Compagnia delle Indie nel primo volume di Plants of the Coast of Coromandel, sotto la direzione di Joseph Banks e con la prefazione di Patrick Russell. Seguirono, a lunghi intervalli di tempo, altri due volumi, in tutto trecento piante; l'ultimo uscì nel 1819, dopo la morte di Roxburgh. Negli anni di Calcutta, quest'ultimo aveva continuato a lavorare alla sua Flora indica, un grosso manoscritto con 2542 descrizioni botaniche di cui preparò due copie. Per prudenza, tornando in patria una la portò con sé, con l'intenzione di completarla e prepararla per la stampa, l'altra la affidò a Carey. Durante il viaggio, aggiunse ancora alcune descrizioni, e inviò copia anche di queste a Carey. Le gravi condizioni di salute e la morte però gli impedirono di attuare il suo proposito. Non trovandosi in Inghilterra nessuno disposto a pubblicarlo (Plants of the Coast of Coromandel, tre volumi in folio con illustrazioni a piena pagina, si era rivelato costosissimo), Carey decise di stamparlo nella tipografia di Serampore. Con l'aiuto di Nathaniel Wallich (assistente di Roxburgh e suo successore alla testa dell'orto botanico di Calcutta dal 1817) che aggiunse le sue note, ne pubblicò una parte in due volumi, usciti rispettivamente nel 1820 e nel 1824. Nel 1832, su richiesta dei figli di Roxburgh, visto che ancora mancava un'edizione inglese, pubblicò l'intera opera in tre volumi, questa volta senza le note di Wallich. Tanto la prima edizione parziale, quanto la seconda edizione integrale per ragioni di costi furono stampate senza illustrazioni. Anche così, è un'opera fondamentale, fondativa della botanica indiana, di cui Roxburgh è considerato il padre. Un albero dai molti usi Se Carey aveva rifiutato la dedica dell'albero di sal, dovette accettare un secondo omaggio di Roxburgh che nel 1811 nel secondo volume di Plants of the Coast of Coromandel gli intitolò il genere Careya sulla base di un esemplare di C. erbacea, raccolto dal missionario in Bengala e da lui inviato all'orto botanico di Calcutta; Roxburgh ricorda queste circostanze e aggiunge "nominata per il suo scopritore, un buono botanico, e un promotore della storia naturale in generale". Se avesse dovuto far propria la propensione di Carey per le denominazioni indigene, avrebbe dovuto chiamarla Kumbhaadu-lataa. Il genere Careya (famiglia Lecythidaceae) comprende tre specie, distribuite tra Afghanistan, isole Andamane, subcontinente indiano, Indocina e Malaysia. C. herbacea è un'erbacea perenne diffusa dalle pendici himalayane al Bengala; C. valida, un albero endemico delle isole Andamane. La specie più nota è però C. arborea, anch'essa descritta da Roxburgh. E' un bell'albero da medio a grande, deciduo, con le foglie che diventano rosse prime della caduta. Produce vistosi fiori a coppa crema o bianco verdastro con lunghissimi stami e filamenti sterili, porpora o soffusi di rosso alla base. All'epoca del Raj, la sua corteccia fibrosa veniva usata per gli stoppini dei fucili. Nella medicina tradizionale indiana, la corteccia e i fiori, ricchi di mucillaggini, trovano impiego per le loro proprietà astringenti. In Myanmar le grandi foglie vengono usate per fabbricare i tradizionali sigari detti cheroot, ma fermentate entrano in alcune specialità culinarie. In Tailandia invece le foglie giovani e i boccioli si consumano freschi in insalata. Il frutto è edule (tanto che l'albero è noto come guaiava selvatica) ma si ritiene che i semi siano lievemente tossici. Mentre, grazie al ruolo di stimolo dei naturalisti di Tranquebar, la Presidenza di Madras della Compagnia delle Indie sosteneva le ricerche naturalistiche e aveva alle sue dipendenze un botanico, niente di simile avveniva in Bengala. A introdurre un primo cambiamento fu un militare e un funzionario di lungo corso, il colonnello Kyd, che nel 1787 propose alla Compagnia di creare a Calcutta un grande giardino di acclimatazione. Nacque così l'orto botanico di Calcutta, oggi Acharya Jagadish Chandra Bose Indian Botanic Garden, destinato a diventare il più importante dell'Asia, grazie soprattutto al secondo intendente dopo Kyd, il grande botanico William Roxburgh, il "padre della botanica indiana". Il colonnello Kyd è ricordato dal genere Kydia (Malvaceae), mentre nessun genere valido onora Roxburgh. Consoliamoci con la bellissima Rosa roxburghii. Un colonello molto attivo e la nascita di un giardino Grazie ai naturalisti di Tranquebar e soprattutto all'attività di König, nell'ultimo quarto del Settecento nell'India meridionale si registra una vivace ricerca naturalistica, sostenuta dalla Presidenza di Madras della Compagnia delle Indie che nel 1778 assume lo stesso König come naturalista ufficiale. Si tratta sia di esplorare le risorse del paese, sia di introdurre da altri paesi dal clima simile piante medicinali, alimentari e industriali. Da questo punto di vista, l'iniziativa più importante è la fondazione di una stazione sperimentale a Samalkot, a duecento miglia a nord di Madras, affidata al medico scozzese William Roxburgh (1751-1815). Arrivato in India nel 1776, ha lavorato come medico e chirurgo all'ospedale della Compagnia di Madras e ha incominciato a interessarsi di botanica e a fare le sue prime raccolte di piante grazie all'amicizia con König. Nel 1781 diventa intendente di Samalkot, dove sperimenta la coltivazione di pepe nero; purtroppo le piante non riescono a fruttificare. Maggiore successo incontrano le coltivazioni di caffè, canna da zucchero, alberi del pane, gelsi. Non c'è niente di simile nell'India settentrionale, come era ben chiaro a Joseph Banks che così si esprime in una lettera a un membro del Consiglio privato del re, George Yonge: "A dire la verità, si sa poco dei prodotti naturali del Bengala. La costa del Malabar è stata ben studiata dagli olandesi […] e il lavori del fu dr. Koenig mi hanno dato una conoscenza accettabile del Coromandel. Ma il Bengala e il suo entroterra rimangono una vasta pagina bianca nel libro delle informazioni”. E' dunque forse ispirandosi a Samalkot che nel 1786 il colonnello Robert Kyd (1746-1796) propone alla Compagnia la creazione di un ben più vasto giardino di acclimatazione nei pressi di Calcutta. Kyd è arrivato in India nel 1764 e ha percorso una brillante carriera militare: luogotenente un anno dopo, capitano nel 1768, maggiore nel 1780, e luogotenente colonnello nel 1782, quando viene nominato segretario del dipartimento militare di ispezione del Bengala. Non ha una formazione come botanico, ma possiede una proprietà a Shibpur, di fronte a Calcutta sull'altra riva dell'Hoogly (il braccio del delta del Gange su cui sorge la città) e ama sperimentare la coltivazione di piante utili indiane o importate. Nell'aprile del 1786 scrive una prima lettera al Governo del Bengala in cui insiste sull'opportunità per la Compagnia di fondare un giardino dove coltivare piante alimentari per poi moltiplicarle e trapiantarle in ogni villaggio. Gli inglesi hanno dato pace e ordine all'India, scrive, ma per giustificare la loro presenza agli occhi degli indiani devono dare loro benefici più concreti, mettendo fine alle due peggiori piaghe del paese: la fame e le epidemie, che ne sono la conseguenza. La proposta si precisa nella seconda lettera, del giugno dello stesso anno: un giardino della Compagnia "ci permetterebbe di superare i nostri rivali in ogni produzione utile che la natura ha confinato in questa parte del globo”; insiste sugli scopi pratici del giardino e sui suoi vantaggi economici per la nazione: non va creato “per raccogliere piante rare (sebbene anch’esse abbiano i loro usi) come oggetti di pura curiosità o che gratificano il piacere del lusso, ma per stabilire una scorta per la disseminazione di quelle piante che si riveleranno utili sia per gli abitanti sia per i nativi della Gran Bretagna, che ora tendono ad espandere il commercio e la ricchezza nazionali”. Tra le piante di cui suggerisce l'introduzione, le palme da dattero e di sagù e gli alberi di teak, che potranno fornire legname di qualità per le navi della Compagnia. La proposta di Kyd cade in un momento particolarmente opportuno. In Inghilterra, la politica di puro sfruttamento della Compagnia e la rapacità dei suoi funzionari hanno incominciato a destare molte critiche. D'altra parte, non pochi dei suoi uomini condividono gli ideali illuministici e molti nutrono un interesse personale per le scienze naturali, a cominciare dal governatore Warren Hastings, che ha creato egli stesso un raffinato giardino nella tenuta di Belvedere ad Alipore e nel 1784 ha incoraggiato la fondazione dell'Asiatic Society. Una migliore conoscenza del patrimonio naturale del paese sarà utile per l'economia e la medicina, senza contare che sponsorizzare la ricerca scientifica, dopo tutto, è un modo a basso costo per ripulire l'immagine della Compagnia, che sta pure affrontando un momento di crisi economica: il mercato delle cotonine indiane è ormai saturo, l'indipendenza delle colonie americane ha chiuso un sbocco importante e la drastica riduzione delle tasse sul tè (la fonte di maggiori proventi) ha ulteriormente ridotto i dividendi. Del resto, conoscere meglio l'ignota, aliena e spesso minacciosa natura indiana, è il primo passo per dominarla; è dunque rassicurante. Accolta con favore dai vertici della Compagnia in Bengala, la proposta arriva a Londra dove trova un sostenitore entusiasta in Joseph Banks. Egli guarda decisamente al modello di Pamplemousses a Mauritius, dove i francesi, introducendo la coltivazione del pepe, del chiodo di garofano, della noce moscata, sono riusciti addirittura a intaccare il monopolio olandese delle spezie. Vede già un Bengala trasformato nel principale produttore di materie prime dell'Impero, da esportare, chissà, persino in Cina. E, se Kyd vede nella palma di Sagù la pianta miracolosa che metterà fine alle carestie indiane, Banks pensa piuttosto all'albero del pane. Così nel luglio 1787 la direzione della Compagnia approva la creazione dell'Orto botanico di Calcutta, affidandone la direzione a Kyd, nominato intendente onorario, ovvero senza stipendio. Egli sceglie un terreno di 310 acri situato lungo la riva dell'Hoogly, attiguo alla sua residenza di campagna. Molto attivo, si dà molto da fare per realizzarlo; sollecita donazioni di privati, allestisce squadre di raccoglitori, sterratori e giardinieri, riceve invii dall'Europa e da altre colonie inglesi. Fa piantare manghi, alberi di teak, palma da dattero e da sagù, alberi del pane, manioca. Nel clima caldo-umido del Bengala, nessuno prospera; l'unica produzione alimentare ad essere un successo è la canna da zucchero, la cui coltivazione diverrà redditizia soprattutto dopo l'inizio delle guerre con la Francia, che ostacolano i commerci con le Antille e fanno lievitare i prezzi. Nel 1790, dalla Cina arrivano 272 pianticelle di tè; anche in questo caso, l'esperimento fallisce: per l'introduzione del tè cinese in India bisognerà aspettare il 1848 e Robert Fortune. Pessima sorte tocca anche agli alberi da frutta arrivati dall'Europa. Si stabilisce invece una proficua collaborazione con l'orto botanico di Saint Vincent e il suo sovrintendente, Alexander Anderson, da cui Kyd riceve alberi del pane e annatto (Bixa orellana). Nel 1793 il giardino è in grado di distribuire semi di canapa indiana, tabacco, indaco, caffè, teak e di spedire pianticelle in altre parti dell'India, a Sant'Elena, nelle Indie occidentali e in Inghilterra. Banks ammira l'attivismo di Kyd, ma gli spiace che non abbia alcuna preparazione scientifica e che il giardino (troppo vasto, ha la stessa estensione di Kew) sia concepito esclusivamente come giardino di acclimatazione. Le cose cambiano con l'arrivo di Roxburgh. Kyd muore all'improvviso nel 1796, quando il giardino ha meno di dieci anni. Anche se finora non ha dato i risultati sperati, e si è rivelato una fonte di spese crescenti (Kyd aveva preventivato un costo mensile di 200 rupie, nel 1800 la cifra sarà più che decuplicata), la Compagnia decide di mantenerlo in vita e di nominare secondo intendente William Roxburgh (che lascia Samalkot alle cure di Heyne, come ho raccontato in questo post). Quando Roxburgh arriva a Calcutta, nel giardino si coltivano 300 varietà di piante. Secondo le indicazioni della Compagnia, continua a sperimentare piante alimentari e da reddito. Incrementa la piantagione di teak, tenta la coltivazione del cotone (che va male) e intensifica quella dell'indaco (che va molto bene); ma soprattutto trasforma il giardino in un vero orto botanico, grazie a una rete di raccoglitori che inviano piante dalle Presidenze di Bengala, Bombay e Madras e da altre colonie dell'Asia britannica. La Compagnia fa fatica ad accettare il nuovo corso e ammette lo scopo scientifico del giardino solo nel 1807. Nel 1814, quando Roxburgh, malato, lascia l'India, le specie e varietà che vi si coltivano sono passate a 3500. Una dedica fraterna Fu proprio Roxburgh a ricordare il suo predecessore con la dedica di Kydia, un piccolo genere della famiglia Malvaceae, con due sole specie, entrambe distribuite tra subcontinente indiano e sud-est asiatico; per sottolineare il legame di amicizia e riconoscenza con Kyd, denomina addirittura K. fraterna una delle due specie che riconosce e descrive (oggi è considerata sinonimo di K. calycina). Sono alberi dalla densa chioma arrotondata, con foglie lobate e piccoli fiori bianchi o rosa raccolti in grandi grappoli. La specie più diffusa, K. calycina, talvolta coltivata, di crescita veloce, è utilizzata per il legname, ma soprattutto per le fibre ricavate dalla corteccia, usate per fabbricare corde o filtri per chiarificare lo zucchero. Meno fortunato di Kyd da questo punto di vista Roxburgh, uno dei tanti grandi botanici cui è toccato di essere onorato da un genere non più valido. Roxburghia, dedicatagli da W. Jones, è infatti sinonimo di Stemona Lour. Pur non potendo essere protagonista di un post, non mancherà occasione di parlare di lui, approfondendo la nostra conoscenza con la botanica indiana. Sono comunque numerosissime le piante che lo ricordano nel nome specifico; tra di esse, vorrei ricordare almeno la bellissima Rosa roxburghii, una spettacolare specie himalayana e cinese, notevole sia per i fiori sia per i grandi cinorrodi spinosi. Per accattivarsi il favore di sovrani, uomini politici e potenti, da cui dipendevano finanziamenti e incarichi prestigiosi, i botanici sono stati prodighi di dediche di generi, spesso scelti tra i più vistosi. Non fa eccezione neppure Napoleone, che anzi ha collezionato ben tre dediche. Ad aprire la lista sono gli spagnoli Ruiz e Pavón che già nel 1802 intitolano all'allora primo Console Bonapartea. Niente di strano: i due non andavano tanto per il sottile con le dediche, e le elargirono generosamente ai potenti di turno, adattandosi di volta alla linea politica del momento; all'epoca, la monarchia spagnola era alleata con la Francia e si trattava di ingraziarsi, più ancora che lo stesso Napoleone, il ministro filofrancese Godoy (lui stesso dedicatario di Godoya). Nel 1804, l'anno in cui Bonaparte si autoincorona imperatore, arriva un omaggio ben più sorprendente: il botanico Palisot de Beauvois, un nobile vittima della rivoluzione, battezza pomposamente Napoleonaea imperialis un singolare alberello da lui scoperto in Africa. Il personaggio è tale che la dedica non può essere liquidata come plateale adulazione, e vale la pena di approfondire. Non stupisce (tranne che nel nome) che lo stesso anno Ventenat, che al momento era nel libro paga di S. M. l'Impératrice, abbia voluto metterci anche del suo con Calomeria. E poi, tutto sommato, i meriti di Napoleone agli occhi degli scienziati, inclusi i botanici, non erano pochi. Un'adulazione smaccata? Il due dicembre 1804, con un gesto clamoroso, Napoleone Bonaparte incoronò se stesso Imperatore dei francesi. Culminava così un lungo processo, iniziato il 18 maggio, quando il Senato aveva mutato la costituzione trasformando la Repubblica in impero ereditario; immediatamente dopo la decisione era stata sancita dal plebiscito i cui risultati furono proclamati il 6 novembre: risultati ovviamente... plebiscitari, con 99,76% di voti favorevoli e solo 2569 contrari. In mezzo a queste date, il botanico Ambroise Marie François Joseph Palisot de Beauvois allestì la sua personale corona per Napoleone: una corona di petali (o almeno luio credeva così), quelli di una pianta che aveva raccolto in Africa. Dopo averla preannunciata in una seduta dell'Institut de France di ottobre, pubblicò scoperta e dedica verso la fine di dicembre, a incoronazione avvenuta, nell'opuscolo Napoléone impériale: Napoleonaea imperialis. E' una esplicita scelta di campo, dal significato eminentemente politico; il sottotitolo "Primo genere di un nuovo ordine di piante: le Napoleonée" non lascia dubbi. Napoleonaea inaugura una nuova famiglia di piante, esattamente come Napoleone inaugura un regime senza precedenti e una nuova dinastia: "Per essere un re si devono ereditare vecchie idee e genealogie. Io non voglio discendere da alcuno." Come dobbiamo leggere la plateale dedica di Palisot de Beauvois? E' la più smaccata delle adulazioni? O l'espressione di un entusiasmo reale, del resto condiviso - al netto della propaganda e della repressione - da una grande maggioranza di francesi? Certo non possiamo escludere l'interesse. All'epoca Palisot de Beauvois versava in una situazione economica molto difficile. Un tempo ricco possidente terriero, era stato rovinato dalla rivoluzione, da un amministratore incapace (o piuttosto interessato e disonesto) e da un divorzio; tornato in Francia dopo una serie di viaggi avventurosi e un lungo esilio, aveva in programma di pubblicare degnamente le sue scoperte in una serie di opere illustrate, corpose e costose: la sua Flore d'Oware et de Benin incominciò ad uscire proprio nel 1804; l'anno successivo seguì il primo volume di Insectes recueillis en Afrique et en Amérique. Cerro sperava anche che l'appoggio di Napoleone e dei suoi corifei scientifici gli garantisse l'ammissione come membro effettivo (con tanto di stipendio) dell'Institut de France (che aveva incorporato l'Accademia delle scienze), di cui era da tempo membro corrispondente. Eppure, a leggere le biografie e le testimonianze su Palisot de Beauvois, il tipo di cortigiano leccapiedi non sembra calzargli affatto (al contrario di tanti anche più famosi colleghi, a cominciare da Laplace). Nobile, durante la rivoluzione si era trovato proscritto e privato di tutti i suoi beni ed aveva potuto rientrare in Francia solo alla fine del 1798, quando il suo nome era stato cancellato dalle liste degli emigrati (un provvedimento che anticipa l'amnistia generale concessa da Napoleone primo console nel 1802). Di Napoleone certamente apprezzava la politica di conciliazione nazionale, ma anche di ritorno all'ordine dopo gli eccessi rivoluzionari. Feroce difensore dello schiavismo, che per le proprie posizioni aveva rischiato di essere messo a morte durante la rivolta di Haiti, gradiva particolarmente che egli avesse ristabilito la schiavitù nelle colonie, a suo parere follemente abolita dai rivoluzionari. Dunque, la dedica riflette probabilmente l'adesione al progetto politico di Napoleone, che rimarrà costante e sincera anche in tempi difficili, come conferma un fatto inequivocabile: nel 1815, durante i Cento giorni, il traballante Napoleone si fidava tanto della sua fedeltà che lo nominò consigliere per l'Università. Napoleone e la scienza Oltre a considerazioni di ordine più generale, avrà pesato anche la politica culturale del nuovo imperatore che aveva fatto della scienza un importante tassello della sua propaganda e aveva valorizzato il ruolo politico e sociale degli scienziati, tanto che Eric Sartori ha definito quello napoleonico "l'impero delle scienze". Lo era, secondo lo studioso francese, da tre punti di vista: il dominio scientifico a livello europeo; la formazione e la passione scientifica dell'imperatore stesso; il ruolo politico assegnato all'élite scientifica. Quanto al dominio scientifico, la Parigi napoleonica è indubitabilmente la capitale della scienza: Laplace rivoluziona l'astronomia, i vari Berthollet, Fourcroy, Gay-Lussac portano avanti la rivoluzione della chimica inaugurata da Lavoisier, l'abate Haüy studia la struttura dei cristalli, Daubenton e Lacépède proseguono l'opera di Buffon, Fourier fa avanzare l'analisi matematica, Cuvier getta le basi della paleontologia, Lamarck e Saint-Hilaire preparano l'evoluzionismo. Parlando poi di Bonaparte, l'interesse per la scienza è una costante della sua vita, da quando ragazzo era considerato il migliore matematico della scuola militare fino all'esilio di Sant'Elena, quando riempiva le giornate leggendo la Storia naturale di Buffon, il trattato di astronomia di Delambre o il corso di chimica di Fourcroy (gli ultimi due, per altro, pubblicati grazie a lui). Veniamo al terzo punto, anche se nel breve spazio di un post dovremo limitarci a qualche cenno. Già durante la Campagna d'Italia Napoleone intraprende una vera propria opera di seduzione verso gli scienziati, chiamati a sostituire le vecchie classi dirigenti e a formare una nuova élite fondata non sul sangue e sul privilegio, ma sul talento e il sapere. A Milano, frequenta artisti, letterati e scienziati, invita alle propria tavola Volta e Spallanzani, incoraggia gli scienziati ad assumere un nuovo ruolo sociale: "A Milano gli scienziati non godono della considerazione che spetterebbe loro. Ritirati nel fondo dei loro laboratori, si ritengono fortunati se i re e i preti si limitano a non offenderli. Ma oggi non è più così: in Italia il pensiero ora è libero. Non ci sono più né Inquisizione, né intolleranza, né despoti. Invito gli studiosi a riunirsi e ad espormi le loro idee sui mezzi da adottare, o sui bisogni che emergeranno, per dare alle scienze e alle arti una nuova vita e una nuova esistenza. Tutti quelli che vorranno venire in Francia saranno accolti con distinzione dal governo. Il popolo francese valuta molto di più l'acquisizione di un matematico [...] che la conquista della città più ricca e più popolosa". Ovviamente questi proclami democratici fanno da paravento alla spogliazione del patrimonio culturale italiano; in nome della fratellanza e della libertà, a prendere la via di Parigi non sono solo quadri e statue, ma anche biblioteche intere, collezioni scientifiche, erbari e piante vive (attese con trepidazione da sua moglie Joséphine, grande appassionata di piante e giardini). Tra i "commissari governativi" che dirigono la spogliazione ci sono il grande matematico Monge (uno degli insegnanti di Napoleone alla scuola militare) e il chimico Berthollet; entrambi si legano a Bonaparte e nel 1797 ne propongono la candidatura all'Institut de France per la sezione meccanica. L'elezione del brillante generale, che non ha scritto una riga né di meccanica né di altre scienze al contrario dei candidati sconfitti, è tutta politica, primo atto della sua alleanza con l'establishment scientifico. Il secondo atto è la spedizione in Egitto (1798-1801); insieme ai soldati, ci sono 167 savants: disegnatori, architetti, ingegneri, geometri, cartografi, astronomi, chimici, mineralogisti, zoologi e botanici; divisi nelle quattro sezioni di matematica, fisica, economia politica, letteratura e arti, devono studiare e descrivere ogni aspetto dell'Egitto del passato e del presente: la geografia, la flora, la fauna, le risorse minerarie, l'arte, la società. A reclutarli a stato proprio Monge - assistito ancora da Berthollet e dal matematico Fourier - che li ha contattati e convinti in segreto (la missione era coperta dal segreto militare). In genere sono molto preparati, giovani, di salute robusta, ma una ventina di loro perirà durante la missione. Tralasciando gli altri settori, soffermiamoci sulle scienze naturali. Il compito dei naturalisti è redigere un catalogo completo della fauna e la flora del paese; per assolverlo lo zoologo Geoffroy de Saint Hilaire, affiancato dal pittore Henri-Joseph Redouté (fratello del più celebre Pierre-Joseph) e il botanico Alire Raffeneau-Delile intraprendono molte spedizioni, a volte lunghe e faticose, nell'alto e nel basso Egitto. Raffeneau-Delile descrive il loto e il papiro e crea un orto botanico al Cairo; un altro attivo raccoglitore è Ernest Coquebert de Montbret, che la ha sfortuna di morire ventunenne di peste il 7 aprile 1801, lo stesso giorno in cui la Commissione delle scienze e dell'arti si imbarca alla volta dell'Europa. Nel febbraio 1802 un decreto di Napoleone ormai primo console ordinerà la pubblicazione dei risultati a spese delle stato, ma a beneficio degli autori: è l'inizio della grandiosa Description de l'Egypte, che coinvolgerà 160 savants, 2000 artisti tra cui 400 incisori, si protrarrà per oltre vent'anni e comporterà nella prima edizione 19 volumi, 37 nella seconda. Ma abbiamo anticipato gli eventi. Come è noto, Bonaparte parte per Parigi nell'agosto del 1799 (insieme a lui, viaggia l'ormai inseparabile Monge); il 18 brumaio (ovvero il 9 novembre) con un colpo di stato rovescia il Direttorio e si impadronisce del potere. Per legittimare il quale, ha cura di circondarsi di scienziati e di chiamarli alle più alte responsabilità: diversi di loro, tra cui Lagrange, sono nominati senatori; Laplace diviene addirittura ministro dell'interno: grande matematico e fisico, ma amministratore incapace, sarà allontanato dopo appena sei settimane; Fourier è prefetto dell'Isère; Monge senatore, presidente dell'Institut d'Egypte e direttore dell'école polytechnique. Come si vede, tra questi notabili non c'è nessun botanico; cultore della matematica e delle "scienze dure", Napoleone non ha una gran considerazione della scienza della piante; in famiglia, la botanica era sua moglie Joséphine, come ci ricorda un aneddoto spesso ripetuto. Nel 1804, quando Humboldt ritornò dal suo grande viaggio in America latina, il neoimperatore lo ricevette e gli domandò, in tono quasi di disprezzo: "Dunque vi interessate di botanica? Anche mia moglie si occupa di piante". Forse nuoce ai botanici del Jardin des plantes (ora Muséum national d'histoire naturelle) anche il loro passato giacobino. E' vero che Antoine-Laurent de Jussieu ne mantiene la direzione che esercita fin dai tempi della Convenzione e nel 1804 è nominato professore di botanica alla facoltà di medicina e presidente della I sezione dell'Institut national, ma non riceverà mai gli onori che toccano ai colleghi fisici, chimici e matematici. Tra i naturalisti, l'uomo di Napoleone è Cuvier, segretario perpetuo dell'Institut e presidente della commissione che deve riformare l'università. Un merito di Bonaparte agli occhi dei botanici sarà stato se non altro aver finanziato la spedizione Baudin (1800-1803), quando era ancora primo console. Diretta verso le "coste della Nuova Olanda", ovvero l'Australia, aveva obiettivi geografici e cartografici, ma anche naturalistici, come ci ricordano i nomi delle due navi della spedizione, Géographe e Naturaliste. A bordo ci sono 24 tra artisti e scienziati, compresi molti membri dell'Institut de France, e cinque giardinieri, incaricati di occuparsi delle piante vive; tra i botanici, l'ormai anziano André Michaux, che però abbandona l'impresa per dissensi con il comandante Baudin, e Jean-Baptiste Leschenault de la Tour. Nonostante tante vicissitudini, compresa la morte del comandante, il successo scientifico della spedizione è straordinario: 200.000 esemplari di animali e piante vanno ad arricchire le collezioni del Muséum national e del Jardin des plantes. Piante e animali vivi raggiungono invece i giardini della Malmaison; e nelle sue serre fioriscono per la prima volta molte piante ora a tutti familiari, come Acacia dealbata, ovvero quella che siamo abituati a chiamare "mimosa". Per quanto tiepidamente interessato alla botanica, che delegava volentieri alla botanofila Joséphine, questi risultati avranno fatto piacere anche al quasi imperatore, cui non sfuggiva l'importanza dell'introduzione di nuove specie per il progresso dell'agricoltura, che considerava invece "l'anima, la base prima dell'Impero". Questo interesse pratico gli poteva derivare dall'esempio del padre, Carlo Bonaparte, che, convinto esponente della scuola fisiocratica, aveva iniziato a bonificare la tenuta delle Saline, dove aveva creato un vivaio con alberi da frutto e piante esotiche. Nel 1800, ancora all'epoca del consolato, Napoleone fece creare ad Ajaccio il primo orto botanico della Corsica, il Jardin d'Expériences. Inaugurato il 12 giugno 1801, si trovava nel recinto dell'ex convento di San Francesco, trasformato in ospedale militare, aveva una superficie di circa 6.000 metri quadri e godeva di un clima favorevole che permise l'acclimazione di piante esotiche, tra cui il tabacco. Nel 1807 con un decreto imperiale passò direttamente sotto l'amministrazione del Muséum di Parigi, ma solo nel 1812 fu dotato di finanziamenti e fu costruita una serra. Anche in seguito ebbe vita grama, con la morte per febbre perniciosa di almeno due giardinieri. Durante gli anni napoleonici, le società agricole, abolite ai tempi del Terrore, rifiorirono e si moltiplicarono. Prima la perdita delle colonie, poi le difficoltà dei commerci a lunga distanza causati dall'interminabile ciclo di guerre, infine il blocco continentale resero ancora più urgente l'acclimazione di piante esotiche anche nel territorio metropolitano o la ricerca di loro succedanei. L'esempio più noto è quello della coltivazione della barbabietola da zucchero; il metodo di estrazione fu messo a punto da un altro botanico, Benjamin Delassert. Nominato barone da un grato Napoleone, andò aggiungersi alla piccola schiera di scienziati di primo piano entrati a far parte della nobiltà dell'Impero (che, però, non dimentichiamolo, era formata per quasi il settanta per cento da militari). Per un alto numero di scienziati, però, c'erano incarichi pubblici ben rimunerati, posti di insegnamento nelle scuole secondarie (dove le scienze divennero materia obbligatoria) e all'università, premi in denaro, donazioni e vitalizi come quelli assegnati a Volta, la possibilità di pubblicare a spese dello stato, le sovvenzioni per le ricerche e le innovazioni tecniche, prime fra tutte quelle che potevano essere utili all'esercito, come il telegrafo ottico inventato da Claude Chappe. Le dediche botaniche a Napoleone Palisot de Beauvois era stato anticipato di due anni dagli spagnoli Ruiz e Pavón che nel 1802 dedicarono al primo Console Bonapartea sulla base di una specie da loro raccolta in Perù. Erano abituati a offrire con disinvoltura le loro piante all'uomo politico di turno, e la dedica a Napoleone, intesa a ingraziarsi forse ancor più di lui il filofrancese Godoy, da poco ritornato al potere, è un capolavoro di servilismo e adulazione: "Genere dedicato a Napoleone Bonaparte, rifondatore della ricostituita repubblica francese, primo console, comandante sempre invitto, patrono della botanica, di tutte le scienze fruttuose e delle arti, difensore della religione, ripristinatore della pace in tutto il globo, uomo immortale, che rimarrà nella memoria degli uomini famosissimo per le sue gesta". E' quasi una consolazione sapere che il genere non è valido (è un sinonimo diTillandsia), mentre lo è il bel Lapageria, che i due botanici iberici dedicarono contestualmente "all'eccellente Joséphine de La Pagerie, degnissima sposa di Napoleone Bonaparte, egregia fautrice della botanica e delle scienze naturali". Senza esprimersi in termini così smaccati, Palisot de Beauvois è non meno celebrativo. Per omaggiare il neoimperatore sceglie una pianta i cui vistosi fiori a coccarda ostentano un triplice giro di petali (più probabilmente staminoidi), che li fanno assomigliare a una corona. Non meno importante è il convincimento - confermato da Antoine-Laurent de Jussieu, amico di una vita - che la Napoleonaea non appartenga ad alcuna famiglia nota, anzi inauguri una famiglia propria. In effetti, la famiglia Napoleonaeaceae è stata a lungo accettata dai botanici, per essere poi assorbita nelle Lecythidaceae. Oggi al genere sono assegnate diciassette specie, tutte originarie dell'Africa tropicale occidentale e centrale intorno al golfo di Guinea; quelle più note sono N. imperialis e N. vogelii. Il primo è un alberello alto circa 6 metri, il secondo un albero di dimensioni maggiori; entrambi sono sempreverdi, con grandi foglie alternate obovate, e curiosi fiori che nascono sui rami maturi o direttamente sul tronco. Hanno una struttura molto complessa, che ha fatto parecchio discutere i botanici. Oltre che a una corona, possono essere paragonati a una coccarda, con due giri esterni di elementi simili a petali disposti orizzontalmente e un giro interno di venti stami e staminoidi eretti. Per alcuni botanici, anche recenti, si tratta di una vera corolla e gli elementi esterni sono petali; per altri è un fiore apetalo e si tratta di staminoidi, una tesi confortata dai dati molecolari e dal confronto con le strutture fiorali delle Lecythidaceae. In ogni, caso una struttura peculiare ed affascinante, nonché discussa e discutibile, come lo stesso Napoleone. Che lo stesso anno ricevette una seconda dedica vegetale dal botanico Etienne Pierre Ventanat, che in quel momento, per incarico di Joséphine, stava redigendo il catalogo delle collezioni del giardino della Mailmaison, una splendida opera in due volumi, con le illustrazioni di Pierre-Joseph Redouté. E fu proprio su richiesta della sua patrona che creò un terzo genere in onore dell'ormai imperatore, come racconta egli stesso: "Sua Maestà l'Imperatrice dei francesi, essendosi resa conto che la pianta di cui ho appena presentato la descrizione appartiene a un genere nuovo, ha voluto indicarmi il nome che dovevo dargli. I signori Ruiz e Pavón hanno già consacrato quello di Bonapartea nella Flora del Perù, e il signor Palissot-Beauvois quello di Napoleonaea in Flora d'Oware e del Benin; ho fatto così ricorso alla lingua greca, che ha fornito ai botanici un gran numero di denominazioni tanto espressive quanto armoniose, per obbedire al desiderio di Sua Maestà l'Imperatrice e dare a Sua Maestà l'Imperatore una modesta prova della riconoscenza che gli devono tutti coloro che coltivano le arti e le scienze". Come tutti i francesi, anche Ventenat è appena passato da cittadino a suddito, e si comporta di conseguenza. La pianta in questione è Calomeria amaranthoides, coltivata nei giardini della Malmaison dai semi giunti dall'Australia grazie alla spedizione Baudin. Il nome generico, come spiega lo stesso Ventenat, è formato da due parole greche, καλός (kalòs) "bello, buono" e μερίς (meris) "parte": dunque, Bonaparte. E' forse l'unica specie del piccolo genere Calomeria (Asteraceae), a cui vari repertori ne attribuiscono quattro, con una sorprendente distribuzione disgiunta: mentre C. amaranthoides è endemica degli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud nell'Australia sud orientale, le altre tre vivono nell'Africa meridionale e orientale. Appaiono alquanto diverse dalla sorella australiana, e altri botanici le assegnano decisamente al genere Helichrysum. Parliamo dunque della sola specie certa. quella descritta e denominata da Ventenat. E' una perenne di breve vita solitamente coltivata come biennale, di grandi dimensioni (può superare i tre metri) e foglie intensamente profumate d'incenso. In estate produce grandi infiorescenze color amaranto simili a pennacchi. Ricordano tanto da vicino quelli inalberati sull'elmo dell'alta uniforme della Guardia Imperiale da far pensare che non si tratti di una semplice coincidenza. Prima di concludere, vale la pena di ricordare la damnatio memoriae che toccò a Napoleonaea imperialis. Nel 1814, appena caduto per la prima volta Napoleone, un altro botanico francese, Nicaise Augustin Desvaux, ritenne che quella ignominiosa dedica dovesse essere cancellata, e si affrettò a rinominare la pianta Belvisia caerulea, in onore dello stesso scopritore Palisot de Beauvois. Ma, grazie al repubblicano e antinapoleonico Augustin Pyramus de Candolle, in botanica vale la regola della priorità: Napoleonaea vive, Belvisia è un nome illegittimo. A scusante dei quattro botanici che si affrettarono a prostrarsi ai piedi di Napoleone, ricordiamo che non furono i soli a subirne la fascinazione. Come è noto, lo stesso Beethoven voleva dedicargli la sua terza sinfonia, finché proprio l'incoronazione gli aprì gli occhi. E le tre dediche vegetali sono tutte comprese tra il 1802 e il 1804, quando davvero Napoleone poteva ancora presentarsi nelle vesti di pacificatore, restauratore dell'ordine e al tempo stesso fautore del progresso e del rinnovamento sociale. Non è raro che generi molto noti e popolari portino il nome di personaggi altrimenti destinati all'oblio. E' senz'altro il caso del genere Deutzia (Hydrangeaceae) che annovera alcuni degli arbusti più coltivati in parchi e giardini, dedicato da Carl Peter Thunberg a Jean (o Joan) Deutz, un maggiorente di Amsterdam che aveva finanziato i suoi viaggi in Sud Africa e in Giappone. Riconoscente, il grande botanico svedese lo ricordò dando il suo nome a una delle piante da lui scoperte in Giappone, Deutzia scabra; e non dimenticò neppure gli altri due sponsor dei suoi viaggi, Jan van de Poll Pietersz. e David ten Hoven, premiati rispettivamente con i generi Pollia (Commelinaceae) e Hovenia (Rhamnaceae). Come Thunberg ad Amsterdam trovò una cordata di finanziatori Nell'ottobre 1770, trentacinque anni dopo Linneo, un altro giovane svedese bussò alla porta di Johannes Burman; la situazione però era alquanto diversa da entrambe le parti. Burman dirigeva ancora l'orto botanico di Amsterdam, ma era ormai un professore avanti negli anni, con alle spalle una sequela di importanti pubblicazioni che ne facevano il più autorevole botanico d'Olanda. Lo svedese era Carl Peter Thunberg (1743-1828), il migliore allievo di Linneo: era già laureato a Uppsala e stava andando a Parigi per perfezionarsi in chirurgia e medicina; ma soprattutto, non arrivava a mani vuote: a garantire per lui c'era una lettera di raccomandazione del maestro, del cui verbo ora Burman era uno dei più convinti seguaci. Dunque accolse il giovane Thunberg a braccia aperte; e lo stesso fece suo figlio Nicolaas Laurens Burman (1734-1793) che, avendo studiato a Uppsala con Linneo, poteva scambiare con lui anche qualche parola in svedese. Forse anche grazie a questa calorosa accoglienza, Thunberg fu entusiasta della città sull'Amstel: dei suoi canali e delle sue eleganti case patrizie, della pulizia e dell'ordine che regnavano ovunque, dell'atmosfera di libertà e fervore intellettuale. Johannes Burman - qualcuno lo ha definito l'eminenza grigia della botanica olandese - conosceva tutti e non mancò di presentarlo agli appassionati e agli eruditi che facevano parte delle numerose società scientifiche dei Paesi Bassi. Approfittò anche della sua presenza per coinvolgerlo nella classificazione degli esemplari del suo gabinetto di curiosità: Thunberg indentificò diversi minerali, insetti e piante, in particolare Graminaceae e muschi. A Burman fu chiaro che il suo ospite era un naturalista assai preparato e mentre lo aiutava a riordinare grandi generi sudafricani come Ixia, Erica e Aspalathus, gli chiese se gli avrebbe fatto piacere che organizzasse per lui una spedizione in una delle colonie olandesi più ricche di piante: il Suriname o la colonia del Capo. Ovviamente Thunberg - e il suo maestro Linneo con lui - non sognava altro. Mentre Thunberg si trovava a Parigi, dove studiò per un anno accademico, Burman incominciò a muovere tutte le sue pedine per organizzare il viaggio promesso. In primo luogo bisognava coinvolgere la VOC, la potente Compagnia olandese delle Indie. Burman contattò i direttori della Camera di Amsterdam Egbert de Vrij Temminck e Jan van der Poll Pietersz., ottenendo un ingaggio per Thunberg come medico di bordo di una delle navi della Compagnia. Si precisò in tal modo anche la meta: il Sudafrica e, se possibile, il Giappone, la meta più entusiasmante per tutti visto che a causa della politica delle "porte chiuse" la flora giapponese era pressoché sconosciuta e dopo Kaempfer nessun naturalista preparato aveva più visitato il paese. Il viaggio fu approvato dalla VOC e Burman cercò altri sponsor disposti a finanziare le esplorazioni di Thunberg in Sudafrica e in Giappone in cambio di esemplari, semi e piante vive. Del numero facevano parte lui stesso e suo figlio Nicolaas Laurens: di condizione economica molto agiata e imparentati con famiglie ricche e influenti, erano interessati alle raccolte di Thunberg sia come studiosi sia come collezionisti. Un altro cliente era l'orto botanico di Amsterdam, di cui Burman era il praefectus e Temminck uno dei Commissari. Ma a contribuire alle spese furono anche alcuni privati che possedevano grandi giardini ed erano disposti ad allargare i cordoni della borsa in cambio di piante rare: i maggiorenti Jan van der Poll, Jean Deutz e David ten Hoven. I cinque personaggi sono citati nella dedica che apre Flora japonica: "Agli uomini generosissimi e nobilissimi, il signor Vrij Temminck, autorevolissimo console della Repubblica di Amsterdam, commissario dell'Orto botanico; al signor I. van der Poll, autorevolissimo console della Repubblica di Amsterdam; al signor Johan. Deutz, consigliere della Repubblica di Amsterdam e meritevolissimo membro di diverse accademie; al sig. David ten Hoven, consigliere e commissario della Repubblica di Amsterdam; al sig. Nicolaas Laurens Burman, dottore in medicina e professore di botanica, mecenati, sostenitori e patroni sommi!" Come si vede, il Burman ricordato come mecenate è il figlio, non il padre: nel 1784, quando uscì Flora japonica, era già morto, e il figlio gli era succeduto sia come direttore dell'orto botanico sia come professore dell'Ataeneum illustre. Come vedremo tra poco, di Thunberg non era solo un mecenate, ma anche un caro amico. Qualche contributo venne anche dalla Svezia: Thunberg era titolare di una borsa di studio, e inviò duplicati delle sue raccolte, oltre che a Linneo, a suoi amici o allievi Abraham Baeck, il presidente del reale collegio di medicina, Peter Joonas Bergius, medico di successo e fondatore di un orto botanico privato, Lars Montin, medico e membro dell'Accademia reale di Svezia. Ma i finanziamenti più costanti e cospicui vennero dagli sponsor olandesi. Dagli archivi municipali di Amsterdam risulta che l'Hortus botanicus nel novembre 1771 versò a Thunberg una prima somma per le necessità del viaggio; altri versamenti sono registrati per il 1773, il 1774 e il 1776 (quando Thunberg era già a Batavia). Sia dal Sudafrica sia da Batavia Thunberg fece regolari invii in Olanda; i pacchi erano recapitati all'orto botanico di Amsterdam, dove erano aperti alla presenza dei diversi sponsor cui poi veniva distribuito il contenuto. Come Commissario dell'orto botanico, Temminck raccomandava a Thunberg di inviare "solo piante, semi e bulbi di piante veramente rare, e nient'altro". Il resto era per i mecenati privati: "gli invii di uccelli impagliati, insetti ecc. saranno consegnati ai signori Van de Poll, ten Hoven, e ai due professor Burman". Questi ultimi scrissero a Thunberg - che al momento era in Sudafrica - per raccomandare di inviare all'orto botanico piante vive difficili da riprodurre da seme e richiesero espressamente bulbi e Pelargonium (ai quali Burman figlio stava dedicando una monografia). Neppure gli exsiccata interessavano all'Hortus, tanto che il suo erbario giapponese gli fu restituito. Invece i Commissari erano gelosissimi di semi, bulbi e piante vive, tanto che nel 1780 Nicolaas Laurens scrisse a Thunberg: "Il pacchetto con le piante giapponesi è stato consegnato quest'autunno all'Hortus; se ti rimangono dei duplicati delle piante di Ceylon, te ne sarò molto grato, perché dall'Hortus non ho avuto nulla, il che molto mi spiace". Ovviamente gli invii, soprattutto di piante vive, erano difficili, e molti esemplari non sopravvissero al viaggio. Tra quelle che furono sicuramente introdotte da Thunberg attraverso l'Hortus di Amsterdam Hydrangea macrophylla, mentre le prime gardenie fiorirono nel giardino di Deutz. Thunberg inviò piante vive anche ad André Thouin del Jardin des plantes, ma morirono tutte per il gelo nell'inverno 1789-1790. Gli sponsor olandesi di Thunberg Dopo sette anni di viaggi, Thunberg ritornò in Olanda nell'ottobre 1778. Al suo arrivo a Texel ricevette una affettuosa lettera di benvenuto da Nicolaas Laurens Burman che lo invitò a casa sua "dove vivremo come fratelli e trascorreremo l'inverno nel modo più piacevole possibile". Tra quelle piacevoli occupazioni ci furono anche le visite agli amici e agli sponsor, nei cui giardini Thunberg fu compiaciuto di vedere in buona salute le piante da lui stesso introdotte. E' ora anche per noi di conoscerli meglio. Iniziamo da Temminck, che però tenne i rapporti con Thunberg non a titolo personale, ma come Commissario dell'Hortus botanicus. E infatti, anche se compare in prima posizione nella dedica di Flora japonica, è il solo del gruppo a non essere stato ricordato da un genere botanico. Del resto, era molto esigente e i suoi rapporti con Thunberg non furono idilliaci, come farebbe pensare una lettera in cui lamenta le note insufficienti dei suoi esemplari. Appartenente come gli altri a una famiglia magnatizia, era un uomo politico che rivestì molti incarichi importanti; era curatore dell'Athaeneum illustre e dal 1766 fu uno dei due Commissari dell'Hortus botanicus, che era gestito dalla città di Amsterdam. Morì senza figli; appartiene alla sua famiglia ma non fu un suo discendente l'importante zoologo Conraad Jacob Temminck, dedicatario del genere Temminckia de Vriese, oggi sinonimo di Scaevola L. Passiamo ora ai tre sponsor privati. Jan van de Poll Pietersz. (1726-1781) era un ricco mercante, appartenente a una famiglia attivamente impegnata nella amministrazione della città di Amsterdam. Anch'egli rivestì vari incarichi pubblici e nel 1779 divenne borgomastro. Come abbiamo visto, era uno dei direttori della Camera di Amsterdam della VOC e dal 1779 fu direttore della società del Suriname. A Velsen possedeva una tenuta di campagna chiamata Velseroog e, come Deutz, era membro della Società per l'avanzamento dell'agricoltura (De Maatschappij ter Bevordering van de Landbouw). Allo stesso ambiente sociale apparteneva David ten Hoven (1724-1787), che del resto era genero di Temminck e cugino della seconda moglie di Poll, Jacoba Margaretha van Hoven. Anch'egli era un mercante e un membro del senato di Amsterdam. Mentre Poll desiderava da Thunberg soprattutto arbusti da fiore per il parco della sua tenuta, gli intenti di Hoven erano più pratici: gli servivano alberi per proteggere la sua tenuta di Woestduin dall'avanzata delle dune di Heemstede-Volenzang. Qui grazie ai semi ottenuti da Thunberg piantò molti Pinus, Abies, Cupressus, Cedrus e Juniperus. Al rientro di Thunberg in Olanda, gli versò come compenso 128 ducati d'oro. Certamente i soldi non gli mancavano: qualche anno prima aveva pagato 3050 fiorini al progettista di giardini Adriaan Snoek per il progetto di una "ciotola" nella duna, quella appunto dove sarebbero stati piantati gli alberi di Thunberg. Versò inoltre 3500 fiorini a un certo Hendrik Horsman per la fornitura di materiale vegetale e la costruzione di un viale. Dato che il tracciato di quest'ultimo sostituiva vecchi percorsi attraverso le dune, versò anche consistenti somme come compenso ai poveri dei villaggi di Vogelenzang e Overveen. Il più interessante e noto del gruppo è però Jean (anche Joan o Johannes) Deutz (1743-1784); molto più giovane dei compagni di cordata, anch'egli apparteneva a una famiglia molto influente che si era arricchita con il commercio delle spezie, del tabacco e del vino e aveva raggiunto l'apice verso la metà del XVII secolo quando si era imparentata con il Grande pensionario de Witt e aveva ottenuto il monopolio della vendita del mercurio austriaco in Europa. Il nostro Jean era un avvocato e anche lui sedeva nel consiglio di Amsterdam e fu direttore della Società del Suriname; aveva rapporti di affari e vicinato con gli altri (come quella di Poll, la sua tenuta di campagna Roos-en-Beek, si trovava a Velsen), ma i suoi interessi per la botanica erano più ampi, tanto che chiese a Thunberg di procurargli "tutti i semi e le piante essiccate possibili". Si considerava un botanico dilettante, corrispondeva con il governatore della Colonia del Capo Hendrik Swellengrebel e con Joseph Banks ed era membro di varie società scientifiche. A questo proposito va sottolineato che nel Settecento in Olanda ne esistevano molte, e i loro membri, più che professionisti, erano colti dilettanti come appunto Deutz. Come i due Burman e il botanico Maarten Houttuyn, che avrebbe pubblicato alcune delle piante inviate da Thunberg, faceva parte della Società olandese delle scienze (De Hollandsche Maatschappij der Wetenschappen), all'epoca un ristretto club di gentiluomini che si riuniva nell'aula municipale di Harleem per discutere di argomenti scientifici e promuovere lo studio delle scienze e delle arti. Deutz ne divenne direttore nel 1778 e nel 1781, su sua richiesta, vi venne ammesso anche Thunberg. Subito dopo nel bollettino della società venne pubblicato un suo articolo con i dati metereologici raccolti in Giappone e nel 1782, sempre su istanza di Deutz, un suo articolo sulle palme (nella traduzione olandese di Houttuyn) che contiene la prima descrizione valida di Cycas revoluta. Houttuyn si lamentò della fatica che gli era costata decifrare la minutissima grafia di Thunberg, ma ne fu ricompensato con la dedica del genere Houttuynia, di cui parleremo un'altra volta. Come abbiamo già visto parlando di Poll, Deutz era anche membro della Società per l'avanzamento dell'agricoltura, anch'essa all'epoca un club esclusivo con meno di trenta membri; sempre nel 1781 e ancora su sua proposta vi fu ammesso anche Thunberg come membro onorario. Due dediche doverose: Pollia e Hovenia Nel suo Flora japonica, pubblicato nel 1784, oltre a porre l'opera sotto l'egida di tutti i suoi sponsor olandesi, Thunberg riservò a tre di loro anche la dedica di un genere. Abbiamo già visto per quali ragioni Temminck fu escluso; quanto ai Burman, ci aveva già pensato Linneo con il genere Burmannia. Per van der Poll, ten Hoven e Deutz il botanico svedese scelse tre piante giapponesi, all'epoca le uniche specie note dei rispettivi generi Pollia, Hovenia e Deutzia. La dedica a Poll è la più laconica, praticamente l'assolvimento di un dovere: "Ho dato il nome in onore del sommo patrono J. van der Poll, meritevolissimo console di Amsterdam". Per lui, che come sappiano era soprattutto interessato ad arbusti e piante da fiore per il suo giardino, Thunberg scelse una bella erbacea perenne nativa del Giappone (ma anche della Cina e del Sud-est asiatico), Pollia japonica. Oggi a questo genere della famiglia Commelinaceae sono attribuite una ventina di specie distribuite principalmente nelle zone tropicali del vecchio mondo, con un solo rappresentante nelle Americhe e qualche propaggine nell'Australia settentrionale. Di particolare interesse l'africana Pollia condensata, i cui frutti sono unici nel mondo vegetale: simili a biglie metallizzate blu profondo dai riflessi cangianti, nello strato esterno della buccia presentano nanocellule disposte ad elica in grado di catturare e riflettere la luce; nel buio delle foreste in cui vivono, è un richiamo irresistibile per gli animali che se ne ciberanno e ne disperderanno i semi. Appena più ampia, ma sulla stessa falsariga di quella di van der Poll, la dedica a ten Hoven: "Ho dato il nome in eterna memoria dell'ottimo mecenate David ten Hoven, Consigliere e commissario della città di Amsterdam". Coerentemente ai suoi interessi, Thunberg gli dedicò un albero Hovenia dulcis: una scelta azzeccatissima se consideriamo non solo la bellezza di questa specie, ma anche la sua grande rusticità, che forse l'avrebbe resa adatta anche al consolidamento delle dune del Mare del Nord. In Giappone egli probabilmente aveva potuto apprezzarne anche i frutti, in realtà i piccioli fiorali ingrossati, che con la loro dolcezza vengono usati nelle insalate di frutta per attenuarne l'acidità. Oggi è la più nota e diffusa delle quattro specie del genere Hovenia (famiglia Rhamnaceae), esclusivamente presente nell'Asia orientale. Una Deutzia per un patrono speciale Per Thunberg, ricordare con un genere botanico i suoi sponsor van der Poll e ten Hoven era un debito d'onore che in fondo sbrigò con una frase di circostanza; ma la riconoscenza che doveva a Deutz, che dopo il suo ritorno in Olanda si era dato da fare per lanciare la sua carriera scientifica, era assai maggiore. Per notarlo, basta leggere la dedica: "Questo albero vogliamo, dobbiamo consacrare al cultore di scienze naturali e massimo e benevolentissimo patrono dei suoi cultori J. Deutz, consigliere della città di Amsterdam, che a lungo è stato assai meritevole membro e degnissimo presidente di diverse società scientifiche". Vogliamo, dobbiamo: è un dovere che corrisponde al più profondo e spontaneo moto del cuore. Dunque per Deutz scelse una pianta di cui non gli sfuggiva la bellezza: Deutzia scabra, coltivata da secoli nei giardini giapponesi per le abbondanti fioriture candide e profumate. Non poteva sapere che in tal modo avrebbe eternato il nome di Deutz come patrono di un genere cui appartengono alcuni dei più diffusi arbusti da giardino. All'unica specie a lui nota, se ne sono via via aggiunte altre e oggi Deutzia (famiglia Hydrangeacae) è un grande genere con oltre settanta specie; ha distribuzione disgiunta: da una parte il Giappone e l'Asia orientale, dall'altra l'America centrale. Il loro successo come piante da giardino è relativamente recente: è stato notato che due terzi delle specie sono state scoperte solo nel Novecento. La prima ad essere nota in Europa fu proprio D. scabra; era già stata segnalata da Kaempfer e fu decritta appunto da Thunberg; nel 1812 l'ispettore della Compagnia delle India John Reeves - lo stesso che portò la prima Wisteria chinensis in Europa - inviò in Inghilterra questa specie (o più probabilmente la cinese D. crenata), che però fu coltivata in serra e non prosperò. Per la vera introduzione bisogna attendere gli anni '30 e Siebold che riportò dal Giappone D. scabra, D. crenata e D. gracilis. Verso il 1860, Robert Fortune raccolse in Cina una forma doppia di D. crenata (solitamente confusa con D. scabra, che però è endemica del Giappone). Intorno al 1880, molte nuove introduzioni dalla Cina si devono ai missionari francesi che, per integrare le magre entrate delle missioni, inviavano i loro semi alla ditta Vilmorin; il raccoglitore più prolifico fu padre Delavay che introdusse tra le altre D. purpurascens. Questi nuovi arrivi incoraggiarono gli esperimenti del grande ibridatore Lemoine, che intorno al 1891 iniziò un serrato programma di ibridazioni destinato a cambiare la storia della Deutzia: ancora oggi buona parte degli ibridi orticoli che fioriscono nei nostri giardini continuano ad essere quelli creati da lui tra il 1891 e il 1911 oppure dai suoi discendenti tra le due guerre. La moda però stava cambiando, e dopo la seconda guerra mondiale le deuzie incominciarono ad essere sentite come sorpassate e demodé; le si accusava in particolare di presentare pochi motivi di interesse terminata la fioritura. La situazione è di nuovo cambiata nel tardo Novecento, con l'introduzione di nuove specie e la selezione di cultivar più compatte e più adatte ai nostri piccoli giardini. Ne fa senz'altro parte la varietà oggi più coltivata, la nana Deutzia gracilis 'Nikko'. Per una storia più dettagliata degli ibridi e una selezione di specie si rinvia alla scheda. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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