Negli anni del regno di Rodolfo II, Praga è una delle capitali della scienza europea: l'eccentrico imperatore si circonda di maghi e alchimisti alla ricerca della pietra filosofale, possiede la Camera delle meraviglie più ricca d'Europa, affida l'organizzazione delle feste di corte al bizzarro pittore Arcimboldo, ma è anche il mecenate di due dei padri fondatori dell'astronomia moderna: Ticho Brahe e Keplero. Il castello di Hradčany è circondato da magnifici giardini che ospitano anche uno zoo dove c'è addirittura un esemplare di dodo. E' in questa atmosfera così vivace (cui metteranno fine prima la morte di Rodolfo nel 1612, poi - definitivamente - la Battaglia della Montagna bianca del 1620 che segna la ricattolicizzazione forzata e la perdita dell'indipendenza della Boemia) che opera il medico e botanico Adam Zalužanský ze Zalužan, che in Methodi herbariae libri tres è il primo a rivendicare l'indipendenza della botanica dalla medicina e a includere un capitolo sul sesso delle piante. Quando il suo paese fu travolto dalla Guerra dei trent'anni, fu dimenticato, tanto che finì per passare per polacco. A riscoprirlo, in epoca ormai preromantica, il botanico boemo Franz Willibald Schmidt, che gli dedica Zaluzianskya (Scrophulariaceae), seguito qualche anno più tardi da Peerson con Zaluzania (Asteraceae). Un medico umanista nella Praga di Rodolfo II Nella seconda metà del Cinquecento, sotto Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II, che vi sposterà la capitale, Praga si alterna con Vienna come sede della corte imperiale. Ed è così che per servire i loro illustri pazienti nella città boema arrivano alcuni dei più importanti botanici europei. Il primo è Mattioli, che nel 1555 si trasferisce a Praga come medico personale dell'erede al trono, l'arciduca del Tirolo Ferdinando, governatore della Boemia. Il botanico senese vi rimane fino al 1571 e soprattutto vi pubblica (1562) l'edizione ceca dei Commentarii, con le spettacolari xilografie di Meyerpeck e Liberale. Poco dopo il ritorno di Mattioli in Italia, è la volta di Rambert Dodoens, che nel 1574 viene nominato medico di Massimiliano II e nel 1576, dopo la morte di questi, segue il suo successore Rodolfo II a Praga. Il suo soggiorno termina meno di un anno dopo, con il rientro nelle Fiandre; ma è possibile che egli sia stato coinvolto nella progettazione dei giardini all'italiana che circondano il palazzo del Belvedere a Hradčany. Giardini con i quali non vuole invece avere niente a che fare Carolus Clusius, visto che Rodolfo ha fatto radere al suolo l'orto botanico di Vienna per sostituirlo con un maneggio, ordinando di trasferire le piante più preziose appunto a Praga, insieme alle tante bizzarrie che rendevano la sua Wunderkammer la più ricca d'Europa. E' noto a tutti i visitatori di Praga che l'imperatore era affascinato dalla magia e si circondava di maghi ed alchimisti; ma se non mancavano i ciarlatani, tra i suoi protetti s'erano anche il filosofo Giordano Bruno (egli stesso cultore di magia) nonché Ticho Braho e Keplero, astrologi di corte ma per noi soprattutto padri fondatori della moderna astronomia. Non parliamo poi degli artisti e della ricchissima collezione d'arte, la più importante d'Europa, con capolavori che si contavano a centinaia. Insomma, un'atmosfera eccezionalmente aperta e stimolante per il giovane Adam Zalužanský ze Zalužan (1555/1560-1613) che arriva a Praga intorno al 1580. Nato a Mnichov Hradiště, dove il padre era un funzionario al servizio della potente famiglia Vartenberk, dopo aver studiato alla scuola utraquista (la fazione moderata degli ussiti) della città natale e a Wittenberg, nella capitale boema consegue il baccalaureato. Più che gli studi classici offerti dall'Università praghese, ad attirarlo sono la medicina e le scienze. Riparte dunque per Helmstedt in Sassonia dove segue i corsi prima di artes poi di medicina. Forse prima di tornare in patria passa anche dalle Fiandre, dove approfondisce la conoscenza dell'opera di Dodoens. In ogni caso intorno al 1587 lo ritroviamo a Praga come professore universitario; non a insegnare medicina, che continua a mancare, ma latino e greco; è infatti versatissimo nelle lingue classiche, e per di più un acclamato poeta in lingua latina (si firma Adamus Matthiades Hradstenus). Come abbiamo visto, sono gli anni in cui Praga è una capitale della cultura, e non mancano i cultori di scienze naturali, come il nobile Petr Vok z Rožmberka, che lo ospita nella sua residenza di Netolice, dove possiede un giardino con piante rare ed esotiche. E' qui che Adam Zalužanský può dedicarsi agli studi sulle piante che confluiranno in Methodi herbariae libri tres (1592), puntualmente dedicato al suo mecenate. Intanto la sua carriera universitaria procede a gonfie vele e nel 1593 è eletto rettore. Ai professori è vietato sposarsi, ma le letture di greco di Zalužanský sono così seguite e popolari che riesce a convincere il senato accademico a fare un'eccezione per lui e nel 1594 si sposa. Ma ben presto le autorità accademiche, temendo di aver creato un precedente, si rimangiano la promessa e Zalužanský è costretto a lasciare l'insegnamento. Apre una propria farmacia, scrive un prontuario farmaceutico e dopo qualche anno riesce addirittura a divenire supervisore di tutte le farmacie praghesi. Si fa anche un nome come medico caritatevole in occasione dell'epidemia di peste che imperversa in città tra il 1598 e il 1599. Nel 1609 Rodolfo intraprende una riforma dell'Università e Zalužanský viene chiamato a far parte della commissione riformatrice. Spera di assumere la cattedra di medicina nell'università rinnovata, ma negli ultimi giorni del 1613 muore nell'ennesima epidemia di peste. Rodolfo l'ha preceduto di quasi due anni, nel gennaio 1612. ![]() Nuove strade per la botanica La Boemia, e poi tutta l'Europa, stanno per essere travolte dalla Guerra dei Trent'anni, che disperderà le collezioni di Rodolfo e farà dimenticare Adam Zalužanský e Methodi herbariae libri tres, un'opera che avrebbe meritato di essere più conosciuta per il suo contenuto assai originale e innovativo. Grazie alla sua perfetta conoscenza del greco e del latino, Adam Zalužanský conosceva bene le opere degli antichi, ma si teneva al corrente degli apporti dei suoi contemporanei, in particolare Mattioli e i fiamminghi Lobel e Dodoens. Tuttavia Methodi herbariae libri tres non né un erbario come quelli di Brunfels, Bock e Fuchs, né un commento a Dioscoride come quello di Mattioli, né una fusione tra le due cose come le Pemptades del pur ammiratissimo Dodoens. E neppure un catalogo enciclopedico di tutte le piante note come sarà il Pinax di Caspar Bauhin. Come dice il titolo è un metodo, un'opera teorica che cerca di gettare le basi di una nuova scienza, la botanica. Significativi anche i titoli dei due primi libri, che alludono in modo trasparente alle due opere botaniche di Teofrasto, che, come vedremo meglio tra poco, è il vero punto di riferimento di Zalužanský . Il primo libro, Aethiologia plantarum ("Cause delle piante"), prende le mosse dalla decisa rivendicazione dell'autonomia della scienza delle piante dalla medicina. E' consuetudine, scrive il medico boemo nella pagina d'apertura, collegare la medicina all'herbaria (è così che chiama la scienza delle piante); ma ogni scienza deve essere tenuta distinta dal suo uso, ed è sbagliato studiare le piante dal punto di vista della utilità per gli uomini (res humanae); l'oggetto di ogni scienza è la cosa in sé, ipsa rerum natura. Subito dopo Zalužanský rivendica la propria continuità con Teofrasto (l'unico, in effetti, ad avere studiato le piante come "cosa in sé") e polemizza contro Plinio, che ha "usurpato" la scienza delle erbe riducendola a repertorio di piante medicinali. Il primo libro prosegue definendo gli ambiti della nuova scienza; in termini moderni, la morfologia, la fisiologia, l'ecologia, la fitopatologia, ecc. Di particolare interesse il cap. XXIII, De sexu plantarum. Probabilmente congiungendo ciò che leggeva negli antichi (la differenziazione sessuale delle piante dioiche come le palme era nota a Teofrasto e Plinio) con le proprie osservazioni, afferma che le piante hanno organi maschili e femminili, talvolta sulla stessa pianta, talvolta in piante separate. E nel capitolo successivo collega i fiori con la riproduzione delle piante. Che è molto di più di quanto abbia compreso ogni altro botanico prima di Nehemiah Grew, che scrive quasi un secolo dopo. E' vero che anche Prospero Alpini (per coincidenza, sia Methodi herbariae libri tres sia De plantis Aegypti sono stati pubblicati nel 1592) ha osservato la separazione dei sessi in Phoenix dactilifera, ma le sue considerazioni si limitano a questa specie, senza giungere a conclusioni generali. Il secondo libro, De historia plantarum, contiene un sistema di classificazione delle piante. E anche qui non mancano gli elementi originali: anziché procedere dall'alto verso il basso, ovvero dagli alberi fino alle erbe, Adam Zalužanský va dal semplice al complesso, iniziando da un gruppo fino ad allora negletto, i funghi (cap. II), per la prima volta riconosciuti come a una categoria a sé. Seguono i muschi (cap. III) - categoria nella quale troviamo anche le alghe, i licheni e addirittura i coralli. La trattazione di quelle che per noi sono le piante vascolari inizia con le graminacee (Arundinacei, cap. IV), prosegue con le erbacee, per passare alle sarmentose (dal Cap. XVI), alle palme (Cap. XVIII) e concludersi con gli alberi (Cap. XIX-XXI). Poiché il suo metodo è essenzialmente basato sull'osservazione fisiognomica e non adotta precisi criteri distintivi, i gruppi identificati sono spesso incoerenti ed eterogenei; in compenso è stato un pioniere dell'uso delle chiavi dicotomiche, usate come guida per classificare e discriminare gruppi che corrispondono grosso modo ai nostri generi. Il brevissimo terzo libro (una decina di pagine), De exercitio plantarum, è dedicato all'esposizione del metodo di analisi delle piante; vi leggiamo anche un elenco degli autori nei cui confronti il medico boemo si sente più debitore. Insomma, Methodi herbariae libri tres è un libro di estremo interesse, ed è un peccato che non abbia avuto il seguito che meritava; destino dovuto alle vicende storiche che, pochi anni dopo la morte dell'autore, hanno relegato ai margini Praga e la Boemia, al suo tempo centro della vita cultura e scientifica europea. ![]() Un lungo oblio e due generi esotici Zalužanský e il suo libro vengono sostanzialmente dimenticati. Nel Seicento è citato tra i riferimenti bibliografici in soli tre testi: il Pinax di Caspar Bahuin (1623), le Tabulae Phytosophicae di Federico Cesi (1651) e De scriptis medicis di van der Linden (1662). Il quarto a citarlo e ad averlo per lo meno sfogliato è proprio Linneo, in Bibliotheca botanica (1736): lo colloca tra i Sistematici eterodossi e ne giudica il sistema di utilità molto relativa. Nella seconda metà del Settecento, con l'accresciuto interesse per la sistematica, viene parzialmente riscoperto, ma lo si conosce così poco che diventa... polacco. A creare l'equivoco è il belga Noël Martin Joseph Necker, pioniere dello studio dei muschi, che lo legge con attenzione e nella sua Physiologia muscorum (1774) scrive di lui: "Il polacco Zaluzianski, se non erro, fu il primo a distinguere la differenza sessuale nelle piante, sia maschili, sia femminili, sia androgine, sia ermafrodite". L'errore persisterà per tutto l'Ottocento, anche se, con la rinascita dei sentimenti nazionali, Zalužanský ha già incominciato a rioccupare il posto che gli spetta come padre fondatore della botanica boema. Prima che sia posto tra i grandi della scienza patria sulla facciata del Museo nazionale di Praga, il primo omaggio arriva da un altro botanico boemo, Franz Willibald Schmidt, che nel 1793 gli dedica il genere Zaluzianskya. Nel secolo successivo le dediche si moltiplicheranno, con vari generi illegittimi e un secondo genere valido, Zaluzania, creato da Christian Hendrik Peerson nel 1807. Con questi due generi, dalla Praga di fine Cinquecento ci spostiamo in altri continenti. Zaluzianskya (Scrophulariaceae) ci porta nell'Africa meridionale, con una cinquantina di specie, in gran parte endemiche del Sud Africa; hanno fiori che possono ricordare quelli dei phlox, bianchi o in colori pastello; alcuni fioriscono di giorno, ma i più speciali sono quelli che si aprono di sera per chiudersi al mattino: per tutta la notte emanano un forte profumo, per attirare gli impollinatori, per lo più sfingidi dalla lunga proboscide. Ed è proprio con il nome (tassonomicamente arbitrario) di Night scented phox che viene chiamata l'unica specie relativamente disponibile in Europa, Z. ovata, un'erbacea perenne sempreverde che produce profumatissimi fiori bianchi con cinque petali profondamente lobati. Con Zaluzania, della famiglia Asteraceae attraversiamo l'Oceano per andare in Nord America: ad eccezione di una specie, che vive anche lungo la frontiera degli Stati Uniti, le sue circa dodici specie sono tutte endemiche del Messico, dove crescono in ambienti generalmente piuttosto aridi tra 1700 e 4000 metri d'altitudine. Sono erbacee perenni o suffrutici, talvolta piuttosto alti, con attraenti capolini "a margherita" solitamente gialli, che in alcune specie ricordano da vicino quelli del topinambour, Helianthus tuberosus; del resto entrambi i generi appartengono alla tribù Helianteae. Tra le specie più notevoli, Z. augusta, piuttosto comune in tutto il paese, anche lungo le strade, nei terreni disturbati o nelle macchie xerofile; è un arbusto con foglie pelose e aromatiche (l'odore ricorda quello dell'abrotano) e capolini gialli larghi 2-3 mm, raggruppati molto numerosi in grandi infiorescenze corimbose. Z. grayana, la specie appunto che si trova anche in Arizona e New Mexico, è invece un suffrutice eretto di dimensioni molto minori, con foglie trilobate e capolini solitari, dal diametro di circa due cm: cresce in luoghi rocciosi, incluse le pareti dei canyon.
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E' l'autunno la stagione della fioritura di quasi tutte le specie di Sternbergia, a meno che, come la nivea Sternbergia candida, preferiscano i rigori dell'inverno. E' un'affinità poetica con la vita del loro dedicatario, il conte Caspar Maria von Sternberg che, dopo aver consacrato i primi quarant'anni della sua vita a una carriera ecclesiastica per la quale aveva una dubbia vocazione, nell'autunno dei suoi quarant'anni si scoprì scienziato e nell'inverno dei suoi sessanta fondò una nuova scienza, la paleobotanica. ![]() La lenta scoperta di una vocazione scientifica Per Caspar Maria von Sternberg, la vita ricominciò a quarant'anni. Fino ad allora, come membro del capitolo di Regensuburg, aveva tentato la scalata a una promettente carriera ecclesiastica e si era avvicinato alla botanica al più come dilettante. Tutto cambiò nel 1804, quando il suo datore di lavoro, l'arcivescovo di Magonza, Karl Dalberg, volle che lo accompagnasse a Parigi per assistere all'incoronazione di Napoleone. Nella capitale francese Sternberg visitò i principali scienziati del tempo, tra cui Humboldt. Determinante fu l'incontro con il geologo Faujas de Saint Fond, che lo spinse a studiare la geologia e le piante fossili che suo fratello Joachim andava raccogliendo nelle miniere della Boemia centrale. Così fruttuosa sul piano personale, la missione parigina era stata un fallimento su quello politico. Sempre più deluso dalle scelte dell'arcivescovo, che considerava troppo filo napoleonico, Sternberg ci concentrò sulle attività scientifiche: in quel mondo pieno di intrighi, scriverà anni dopo nella sua biografia, lo scienza era un'oasi di serenità. Nel 1806, fondò l'Accademia delle scienze naturali di Regensburg, di cui venne eletto presidente. Già da qualche anno, la passione per la botanica lo aveva spinto a esplorare le Alpi bavaresi, dove aveva incontrato il suo primo amore: le sassifraghe alpine. Non solo le studiò sul posto, annotando scrupolosamente le ubicazioni, l'altitudine, l'esposizione, la natura del terreno, ma per accoglierle nel 1804 creò un orto botanico a Regensburg. Alla ricerca delle sue amate sassifraghe, nel 1803 visitò le Alpi retiche; nel 1804, quando l'arcivescovo lo inviò ufficialmente a Padova, ne approfittò per visitare il monte Baldo e le valli di Ledro e d'Ampola; qui notò due endemismi prima di allora mai descritti, Saxifraga arachnoidea e Aquilegia thalictrifolia, che pubblicò in Reise in die Rhetischen Alpen (1806). Nel 1807 visitò il Tirolo, e nel 1808 Salisburgo, la Carinzia, la Stiria e l'Austria superiore. Eventi personali e politici, intanto, stavano per cambiare il corso della sua vita. Nel 1798 era morto il fratello più vecchio, Jan Nepomuk, seguito l'anno successivo dalla madre; nel 1808, infine, morì anche il secondo fratello, Joachim, a sua volta appassionato naturalista. Nell'aprile 1809, l'esercito francese occupò Ratisbona. Il giardino botanico fu distrutto: bruciati gli edifici e le serre, calpestate le aiuole; di quella delicata collezione di piante alpine non rimase nulla. Spinto sia da una profonda crisi spirituale sia da esigenze pratiche (ora era il capo della famiglia e doveva occuparsi delle sue proprietà boeme), Sternberg decise di abbandonare lo stato ecclesiastico: da quel momento sarebbe stato uno scienziato a tempo pieno. Nel 1810 lasciò per sempre Ratisbona e si trasferì a Březina nella Boemia centrale. Prima di lasciare la città, pubblicò il suo importantissimo studio sulle sassifraghe, Revisio Saxifragarum iconibus illustratae, in cui si era avvalso, oltre che delle ricerche sul campo, degli scambi epistolari con i più importanti botanici del tempo. In questo lavoro di grande valore scientifico, sono esaminate e descritte 80 specie, accompagnate da 25 tavole con le illustrazioni di quelle più notevoli. Nel 1821, ancora a Regensburg, e nel 1831 a Praga, seguiranno due nuove edizioni accresciute. ![]() Il padre della paleobotanica Nei pressi di Radnice, la famiglia Sternberg possedeva delle miniere di carbone. Era qui che il fratello Joachim aveva trovato gli esemplari della sua collezione. Con l'aiuto dell'ispettore minerario e entomologo Jan Daniel Preissler e del geologo e botanico Johann Thaddaeus Lindacker, il conte visitò diverse miniere, osservando piante fossili nella loro collocazione originale. Sempre con il loro aiuto, catalogò e curò l'esposizione nel castello di Březina della collezione di fossili del fratello. Nel parco allestì anche un nuovo orto botanico. Nel 1814 si recò a Graz a visitare il Johanneum, un museo di nuova concezione che riuniva la storia naturale, la storia, la tecnica, il folklore della Stiria. Fu così che concepì il progetto di creare un Museo nazionale boemo. L'idea fu fatta propria dal Burgavio del Regno di Boemia, il conte František Kolovrat Libštejnský, che nel 1818 lanciò un appello "agli amici patriottici della scienza"; nel 1822 fu creata la Società per il museo patriottico della Boemia, di cui Sternberg fu eletto presidente; egli si impegnò a dotare il nuovo museo di tutte le sue collezioni (all'epoca, consistenti in un erbario di 9000 specie, una biblioteca di 4000 volumi, 5000 minerali e 1400 fossili; ancora oggi sono il nucleo fondante e alcune delle collezioni principali del museo). Intanto Sternberg nel 1815 aveva iniziato a scrivere il suo capolavoro Versuch einer geognostisch botanischen Darstellung der Flora der Vorwelt ("Rendiconto geognosico e botanico della flora preistorica"). Per raccogliere il materiale necessario, viaggiò per tutta l'Europa, incontrando ricercatori e collezionisti e esaminando le loro collezioni. Tra i suoi contatti, anche Goethe, grande appassionato di mineralogia, suo compagno in molte escursioni geologiche. I due volumi, in otto parti, usciranno tra il 1820 e il 1838; per i tomi 7-8, ormai quasi cieco, si avvalse della collaborazione dei giovani scienziati Karel Bořivoj Presl e August Corda; l'ultima parte uscì poco dopo la sua morte. Ogni parte è aperta da un'introduzione, in cui Sternberg sintetizza e discute criticamente le pubblicazioni precedenti; segue una parte descrittiva con la descrizione di ciascun fossile trattato: infine la parte sistematica, chiamata modestamente Tentamen ("tentativo"), raccoglie le diagnosi e le classificazione dei generi e delle specie, le località dei tipi e altre informazioni. L'approccio ecologico e sistematico permise a Sternberg di associare le piante fossili a determinati sedimenti e di collegare le specie fossili a quelle attuali che vivono nelle stesse condizioni ambientali; in tal modo, esse cessarono di essere curiosità geologiche, come si credeva prima di lui, per essere finalmente riconosciute come resti di piante che vissero nel passato, da studiare e classificare in generi e specie con gli stessi criteri che si usano per le piante viventi, utilizzando parimenti la nomenclatura binomiale. Quest'approccio è così importante e nuovo che il 1820 (data di pubblicazione della prima parte) è stato scelto come punto di partenza per la nomenclatura paleobotanica (analogamente al 1753, data di pubblicazione di Species Plantarum di Linneo, per le piante viventi). Parte essenziale dell'opera sono le illustrazioni, che furono predisposte da diversi artisti (i più importanti sono I. D. Preyssler, E. A. Auinger e F. Both per il primo volume, e J. Schmedla, J. Rössert e F. X Fieber per il secondo). Le incisioni sono di I. Sturm. Le illustrazioni sono molto precise, fedeli e dettagliate. Se volete saperne di più su questa magnifica opera, navigate nel bellissimo sito che le ha dedicato il Museo nazionale di Praga. Oltre a una dettagliata introduzione e alla biografia di Sternberg, trovate la riproduzione dei testi e delle tavole nonché una Gallery con alcuni esemplari notevoli commentati. Congediamoci dal grande studioso boemo ricordando ancora qualcuno dei suoi meriti: nel 1827, insieme a František Palacký, fondò la prima rivista scientifica boema, Časopis společnosti vlasteneckého museum v Čechách ("Giornale della Società del Museo Nazionale di Boemia"). Promosse la formazione dei giovani scienziati del suo paese. Fu membro di società per la realizzazione delle strade ferrate e per la costruzione di un ponte sospeso sulla Vltava. Nel 1831, quando aveva già 74, incominciò a studiare la storia delle miniere e la legislazione mineraria, scrivendo anche in questo campo un'opera pionieristica. Morì nel 1838, a 77 anni. Anche se la sua carriera scientifica era iniziata quando aveva superato i quaranta, riuscì a pubblicare oltre 70 opere, dedicate soprattutto alla botanica, alla geodesia (oggi la chiameremmo geologia), alla paleobotanica. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Dorate fioriture autunnali Quando nel 1803, Waldstein e Kitaibel crearono il genere Sternbergia per una pianta raccolta nelle pianure ungheresi, S. colchiciflora, Sternberg era appena agli inizi della sua carriera botanica (forse l'omaggio deriva dal fatto che Waldstein e Sternberg provenivano dallo stesso ambiente sociale, quello dell'alta nobiltà boema), mentre diverse specie da tempo avevano fatto il loro ingresso nei giardini e nelle pubblicazioni botaniche. La prima attestazione si deve a C. Clusius che nel 1601, in Rariorum plantarum historia, pubblicò tre specie: Narcissus autumnalis parvus ("piccolo narciso autunnale"), ovvero l'attuale Sternbergia lutea; Narcissus autumnalis minor, ovvero S. colchiciflora; Narcissus persicus, ovvero S. clusiana. L'assimilazione con i narcisi probabilmente si deve ai bulbi tunicati, che effettivamente sono piuttosto simili a quelli di questi ultimi. Linneo in Species plantarum 1753 descrisse solo la prima specie, assegnandola al genere Amaryllis, come A. lutea. La definitiva consacrazione del genere si deve a Ker Gawler che nel 1825 separò Sternbergia da Amaryllis, riprendendo al denominazione usata da Waldstein e Kitaibel per S. colchiciflora. Il genere, appartenente alla famiglia Amaryllidaceae, comprende sei-nove specie la cui area di distribuzione va dall'Europa mediterranea all'Asia centrale. Hanno fiori giallo brillante - ad eccezione della bianca S. candida - che sbocciano in autunno oppure alla fine dell'inverno. Sono caratterizzate da strette foglie lineari, che di solito spuntano insieme o dopo i fiori, e da fiori a forma di calice che superficialmente ricordano quelli dei crochi, ma hanno ovario infero e sei stami (i crochi ne hanno tre). La specie più nota è S. lutea, diffusa nel bacino del Mediterraneo (ma in molte aree è probabilmente naturalizzata, dopo una coltivazione di almeno quattro secoli), in Vicino Oriente e in Asia centrale; è una specie a fioritura autunnale a riposo estivo, che fiorisce all'inizio dell'autunno emettendo le foglie, che poi permangono durante l'inverno. Per l'inconsueto periodo di fioritura e per l'alto valore decorativo, è un'apprezzata pianta da giardino. E' presente anche nella flora italiana, che annovera una seconda specie a fioritura autunnale, S. colchiciflora, di dimensioni minori con tepali più stretti e diseguali, quelli esterni più lunghi di quelli interni. Sempre autunnale è il "gigante" del genere (gigante relativo: i fiori arrivano a 7-8 cm), S. clusiana, con fiori più grandi e vistosi, che alcuni identificano con i "gigli dei campi" del Vangelo di Matteo. Sono invece a fioritura invernale S. vernalis, nativa dell'Asia sud-occidentale e centrale, e S. candida, un raro endemismo turco con fiori bianchi. Qualche approfondimento e cenni alle altre specie nella scheda. |
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February 2025
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