All'inizio dell'orto botanico di Leida c'è una coppia a cui il vezzo di darsi nomi latini ha donato nomi quasi identici: il prefetto Charles de l'Ecluse, che si firmava Carolus Clusius, e l'hortulanus Dirck Outgaertz. Cluyt che si firmava Theodorus Clutius. La formidabile coppia Clusius-Clutius (la mente e la mano) collaborò in amicizia, stima e armonia per pochi anni, poiché il più giovane dei due, il farmacista Clutius, morì precocemente. A succedergli avrebbe potuto essere suo figlio Outgert (alla latina Augerius Clutius), ma era troppo giovane e privo di titoli accademici; così gli amministratori dell'università gli preferirono un medico titolato. Egli non se ne adontò; viaggiò, si laureò, e divenne cacciatore di piante a beneficio del giardino creato da suo padre. Quando tornò in Olanda, esercitò la medicina ad Amsterdam e scrisse alcuni curiosi opuscoli, che gli hanno guadagnato la dedica del genere Clutia da parte della coppia Boerhaave-Linneo. ![]() Primo atto: il padre In un'epoca in cui era consueto che i figli facessero lo stesso mestiere del padre e in cui le cariche tendenzialmente si ereditavano, anche nella storia della botanica è consueto trovare coppie di padre-figlio: rimanendo al periodo tra fine Cinquecento e inizio Seicento, in questo blog abbiamo già incontrato i due John Tradescant, i due Jacob Bobart, Jean e Vespasien Robin, Il caso di Dirck e Outger Cluyt potrebbe essere simile, se dal padre il secondo, più che un incarico, non avesse ereditato un'ostilità. Quando nell'autunno del 1593, dopo un lungo corteggiamento, Clusius arrivò finalmente a Leida, era gravemente infortunato (oltre che attempato per l'epoca, con i suoi 67 anni) e gli era impossibile occuparsi fisicamente della creazione dell'orto botanico universitario. Chiese di essere assistito da un sostituto, che con sua grande soddisfazione venne individuato nella persona del farmacista Dirck Ougaertsz. Cluyt (1546-1598), che alla latina si firmava Theodorus Clutius, con la curiosa conseguenza che i nomi latini dei due fondatori dell'orto botanico di Leida differiscono solo per una lettera (Clusius/ Clutius). Cluyt/Clutius era un amico di vecchia data, con il quale Clusius da tempo corrispondeva e scambiava semi e bulbi, soprattutto di tulipani, la maggiore passione di entrambi. Era nato ad Haarlem, dove visse e gestì la propria farmacia finché l'occupazione spagnola lo costrinse a lasciare la città natale. Nel 1578 si trasferì a Delft, dove aprì una farmacia all'insegna del melograno 'De Granaetappel'. Era così famosa che L'Obel non mancò di visitarla alla ricerca di piante rare, citando con lode il proprietario nel suo Kruidboek. Cluyt era il farmacista di fiducia di Pieter van Foreest (Petrus Forestus), il medico personale di Guglielmo d'Orange; quando il 10 luglio 1584 questi fu assassinato e van Foreest dovette imbalsamarne il cadavere, gli affidò la preparazione degli ingredienti. Come molti farmacisti dell'epoca, possedeva un giardino o hortus medicus. Il suo però si distingueva da quelli dei colleghi sia per le ampie dimensioni (si trovava dietro le cinque case che il prospero farmacista possedeva sul Rietveld) che gli permettevano di coltivare alberi da frutto e tenere alveari, sia perché, oltre alle erbe medicinali necessarie alla sua professione, vi coltivava molte piante rare, tra cui numerose bulbose. Come Clusius, anche se ovviamente in dimensioni minori, anche Cluyt faceva parte di una rete internazionale di appassionati che si scambiavano piante, bulbi, semi; e uno dei suoi corrispondenti era appunto Clusius che lo cita più volte come "il dotto e meticoloso farmacista di Delft". La sua reputazione come esperto di piante rare era tale che, quando si incominciò a cercare una persona cui affidare la direzione del costruendo orto botanico dell'Università di Leida, già nel dicembre 1591 venne fatto il suo nome. Tuttavia i reggenti dell'Università respinsero la proposta, perché, come farmacista (all'epoca si formavano come apprendisti presso la bottega di un maestro), gli mancava la laurea accademica. La scelta, come già sappiamo, cadde su Clusius, che con la sua fama europea poteva garantire proprio ciò che il neonato ateneo olandese cercava: il prestigio di un grande nome. L'incarico del botanico fiammingo era più che altro onorifico: egli si era assicurato di non avere compiti di insegnamento (che detestava), di poter continuare a studiare, di avere un proprio giardino; ma oltre al suo immenso prestigio, portava con sé la sua favolosa collezioni di piante rare. Le sue pessime condizioni di salute costrinsero il senato accademico a una mossa forse inizialmente imprevista: affiancare al praefectus Clusius, il responsabile scientifico, l'hortulanus Clutius, che avrebbe provveduto alla creazione materiale e alla gestione del giardino (la bipartizione praefectus/ hortulanus esiste ancora oggi, sia a Leida sia ad Amsterdam). Clutius venne nominato l'8 maggio 1594, con uno stipendio di 400 fiorini all'anno e l'uso di una casa; in cambio, si impegnò a trasferire a Leida tutte le piante che coltivava a Delft. Egli si mise immediatamente all'opera e nell'arco di quattro mesi l'impianto dell'orto botanico era completato; nell'inverno ne disegnò la mappa che nel febbraio 1595 consegnò personalmente ai curatori dell'Università con l'elenco delle 1585 specie o varietà (un documento per noi preziosissimo, che tra il 1987 e il 1999 ha permesso di ricostruire il giardino di Clusius/ Clutius come si presentava al tempo dei fondatori). Seguirono però anche amarezze e delusioni: la casa promessa non era ancora pronta e non gli era stato pagato nulla per la sua preziosa collezione di piante, che valutava 1500 fiorini. Alla fine ne ottenne solo 100 per le spese di trasloco e 400 per le piante. Come ho anticipato, Clusius non aveva incarichi di insegnamento; la cattedra teorica di materia medica era tenuta da Gerard Bontius (Geraert de Bondt), il professore di anatomia al quale nel 1587, all'atto ufficiale di fondazione dell'orto botanico, era stato assegnato anche l'insegnamento della botanica; anche nel contratto di Cluyt non erano previsti compiti didattici, ma di fatto, proprio come Bobart il Giovane a Oxford e più tardi Vespasien Robin a Parigi, affiancava il professore come dimostratore: d'inverno insegnava agli studenti a riconoscere le piante usando il suo erbario personale di 4000 exsiccata e "sei libri di piante e fiori di ogni tipo dipinte dal vero"; d'estate accompagnava gli studenti in visite guidate del giardino e in escursioni botaniche nei dintorni. Nonostante tutti questi impegni, nei pochi anni che gli restavano da vivere (morì improvvisamente nel 1598, a soli 52 anni) riuscì anche a completare la sua unica opera, Van de Byen, hare wonderlicke oorsprong "Sulle api e la loro meravigliosa origine", un trattatello sull'allevamento delle api sotto forma di dialogo tra Clusius e Clutius, in cui emerge l'affiatamento e l'amicizia tra praefectus e hortulanus. I due forse sono rappresentati nell'incisione del frontespizio, dove si vedono due signori elegantemente vestiti in amichevole conversazione mentre osservano le arnie. Una curiosità: in onore di entrambi, una ditta olandese produce un idromele battezzato Clutius & Clusius. La morte di Dirck Cluyt, che aveva vent'anni meno di lui ed era in tutto il suo braccio destro, fu un gravissimo colpo per Clusius che lasciò l'incarico di prefetto e da quel momento si concentrò nella scrittura delle sue opere, anche se continuò a contribuire all'arricchimento delle collezioni del giardino con le novità che riceveva della sua vastissima rete di corrispondenti. ![]() Secondo atto: il figlio A questo punto, ci si potrebbe aspettare, secondo la prassi del tempo, che a Dirk Cluyt succedesse come hortulanus, o addirittura come praefectus, il figlio maggiore Outgert (che nelle sue opere però si firmò sempre, alla latina Augerius Clutius, 1578-1636). Per lo meno, era quanto si aspettavano i diciassette studenti di medicina che nel giugno 1598 indirizzarono agli Amministratori una petizione per chiedere che gli fosse ufficialmente assegnato l'incarico di dimostrare le piante; lo definivano "un giovane esperto e preparato" e ricordavano che da tempo affiancava il padre ed era l'unico a conoscere bene il giardino e gli strumenti didattici che egli aveva messo a punto; se fosse stato nominato prefetto, avrebbe potuto aprire il giardino agli studenti almeno un'ora al giorno e dimostrare piante e minerali due volte la settimana. Gli amministratori decisero diversamente: senza consultare Clusius, nominarono direttore dell'orto botanico Bontius, affiancato da Pieter Pauw (Petrus Pavius) come professore straordinario. Erano medici e laureati, mentre il giovane Clutius era solo uno studente ventunenne senza alcun titolo. Augerius non la prese troppo male; fino al 1601, completò gli studi di artes all'università di Leida, alla quale si era iscritto nel 1594, quando la famigli si era trasferita da Delft; poi si spostò a Montpellier, dove Richer de Belleval aveva da poco fondato il Jardin du roi. Qui si laureò in medicina e divenne una specie di assistente ufficioso di Belleval, che accompagnava nelle escursioni botaniche e sostituiva all'occasione nell'insegnamento quando il professore era lontano o malato. Poi per diversi anni viaggiò: oltre che in Francia e in Germania, fu in Italia, dove visitò tra l'altro gli orti botanici di Padova e Firenze; passò poi in Spagna e da qui in Nord Africa, sempre raccogliendo materiali vegetali che inviava a Leida al professor Pauw che nel 1599 era succeduto a Bontius come praefectus. Particolarmente avventurosi furono i suoi viaggi "nel deserto della Barbaria" dove fu più volte rapinato. Rientrò in Olanda nel 1607; sembra che i responsabili dell'orto botanico di Leida lo abbiano ripagato abbastanza generosamente per le raccolte, ma nonostante l'esperienza maturata, i contatti internazionali e le considerevoli raccolte, a Leida continuava a non esserci un posto per lui; perciò si stabilì ad Amsterdam dove divenne un medico piuttosto reputato. Nel 1618 lo troviamo tra i firmatari di una petizione che chiedeva l'istituzione di un hortus medicus (Medicinale Cruythoff) - la richiesta non fu presa in considerazione e il futuro orto botanico nacque solo nel 1638, quando Clutius era già morto; più tardi (1635) fu uno dei membri della commissione incaricata di redigere una farmacopea ufficiale, presieduta da Nicolaes Tulp (il medico ritratto da Rembrandt nella famosa "Lezione di anatomia"). Oltre che di medicina (nel 1627 pubblicò un opuscolo sui calcoli renali) continuava ad interessarsi di botanica e, come il padre, di entomologia. Nel 1631 pubblicò Memorie der vreemder blom-bollen, wortelen, kruyden, planten, struycken, zaden ende vruchten ("Memoria per indicare il modo corretto di imballare e trasportare bulbose da fiore, radici, erbe, piante, alberi, semi e frutti"), tra le prime ad affrontare questo importante argomento. Nel 1634 fu la volta di Opuscula duo singularia, che raggruppa due opuscoli di argomento molto diverso, accomunati da un certo sfoggio di erudizione: De hemerobio e De nuce medica. Il primo è di argomento entomologico ed è dedicato alle effimere, in cui Clutius riconosce l'hemerobius di Aristotele. Il secondo esamina le proprietà medicinali del cocco delle Maldive Lodoicea maldivica (di cui presenta forse l'immagine a stampa più antica). Che a questa rarità, di cui non si conosceva l'origine, venissero attribuite anche proprietà mediche (come antiveleno e afrodisiaco), non stupisce. Le noci, originarie delle Seychelles, ma spinte dalle correnti marine a grandi distanze, erano oggetto di un intenso commercio, vendute per cifre altissime e esibite tra gli oggetti più preziosi delle Wunderkammer. Il testo di Clutius dipende in gran parte da Garcia da Orta, attraverso la traduzione di Clusius in Exoticorum libri decem; ma fornisce anche molte preziose informazioni sulle vie di rifornimento dei prodotti medici e delle rarità provenienti delle Indie orientali; un ruolo ancora importante di mediazione era svolto da membri della comunità sefardita oriundi della penisola iberica, che mantenevano contatti con l'India attraverso il Portogallo; ma ormai in quel mercato si era inserita attivamente la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC): tra i suoi informatori, Clutius cita Jacobus Bontius (figlio del prefetto di Leida Gerard), medico della VOC a Batavia e autore di Historiae naturalis et medicae Indiae orientalis. Tra i fortunati possessori di questa esotica rarità cita anche John Tradescant che nella sua Arca possedeva "una noce tagliata a metà". ![]() Un genere africano con proprietà medicinali Misurando i meriti botanici di padre e figlio, la palma sembrerebbe spettare al padre; invece fu del figlio che si ricordò Hermann Boerhaave nel catalogo dell'orto botanico di Leida, creando il genere Clutia "al cui nome è affidata la memoria di Augerius Clutius". La denominazione fu poi ripresa e ufficializzata da Linneo in Species plantarum. Si potrebbe pensare che la "dimenticanza" di Boerhaave rifletta un resto della diffidenza accademica verso il non titolato farmacista Dirck Cluyt. Il genere Clutia (Peraceae, in precedenza Euforbiaceae) comprende una cinquantina di specie di alberi, arbusti e erbacee perenni; il centro di diversità è il Sudafrica, ma il genere si estende a est fino alla Repubblica democratica del Congo e a Nord fino alla penisola arabica. Per lo più dioiche, hanno foglie semplici, intere e alternate e fiori raccolti in glomeruli ascellari, quelli femminili spesso solitari. Gli uni come gli altri hanno cinque sepali e cinque petali distinti e imbricati, ma quelli maschili sono caratterizzati da un disco con ghiandole in tre serie sui sepali, i petali e il ricettacolo, quelli femminili da sepali e petali persistenti nel frutto. L'ovario triloculare con un ovolo per loculo è seguito da un frutto che si apre in cocci con tre o due valve. Diverse specie di questo genere hanno usi medici tradizionali. Il decotto di foglie e giovani ramoscelli di C. lanceolata (una delle due specie che, dal Corno d'Africa, raggiungono la Penisola arabica) è utilizzato come antidiarroico; proprietà simili sono attribuite a C. abyssinica, C. hirsuta e C. pulchella. La decozione di radici C. abyssinica in Congo è usata per trattare febbri e malattie da raffreddamento, mentre in Africa orientale le radici vengono fatte bollire per ottenere una specie di zuppa usata per trattare problemi di fegato, la milza ingrossata, le cefalee, i disturbi dello stomaco e la malaria. Gli usi medici della pianta differiscono da un gruppo etnico all'altro; le ricerche chimiche e mediche hanno rilevato potenzialità antipiretiche, analgesiche e antinfiammatorie, ma sono ancora a uno stadio preliminare. Ad avere usi medici tradizionali, che differiscono da un'area all'altra, sono molte altre specie, compresa C. pulchella, che ha anche usi ornamentali. L'interesse non sta nei fiori, piccolissimi, ma nel fogliame verde-azzurro, intervallato qua e là da foglie arancio brillante. Sono morbide, punteggiate di ghiandole, e con nervature trasparenti alla luce.
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Quando si spense novantenne nella sua casa viennese, uno dei centri culturali della capitale austriaca, von Jacquin era una delle personalità più riconosciute della botanica europea. Era barone dell'impero, membro di moltissime società scientifiche, fondatore della scuola botanica viennese, autore di molte opere ammirate per la precisione scientifica e la bellezza estetica. Eppure quando era arrivato a Vienna venticinquenne era uno studente di medicina squattrinato, che disperava di riuscire a trovare i soldi per laurearsi. Nato in Olanda, oltre alla protezione dell'influente archiatra van Swieten, poteva però giovarsi di un'eccellente preparazione, che mise a frutto in un'epica spedizione nei Caraibi; le disavventure non mancarono, ma i risultati furono così grandiosi da gettare le basi di una brillantissima carriera scientifica; divenuto professore di chimica e botanica all'Università di Vienna, diede mano a una serie di opere illustrate in grande formato, famose per la precisione scientifica delle descrizioni e la bellezza e l'accuratezza delle illustrazioni. Lo ricordano, oltre a centinaia di piante con gli eponimi jacquinii e jacquinianus, i generi Jacquinia (Primulaceae) e Jacquiniella (Orchidaceae). ![]() Una serata musicale con Mozart Agosto 1786. Come ogni mercoledì sera, nella casa del direttore dell'orto botanico si riceve. E' uno dei centri culturali di Vienna, ma l'atmosfera è intima e familiare; se, grazie al colto padrone di casa, non mancano conversazioni erudite, ci sono anche giochi e divertimento, e certo buona musica, una delle passioni di famiglia. Il direttore è un eccellente flautista, il figlio minore Gottfried canta con voce di basso e compone, la diciannovenne Franziska è una delle migliori allieve del maestro Mozart. E' già così brava che egli ha scritto per lei l'impegnativa parte per clavicembalo del suo nuovo trio, che stasera sarà eseguito per la prima volta; gli altri interpreti sono lo stesso Mozart alla viola e il suo amico Anton Stadler al clarinetto. I posteri lo conosceranno come Kegelstatt Trio, o Trio dei birilli, perché sembra che Mozart l'abbia scritto durante una partita di questo passatempo, all'epoca molto amato dai viennesi. E' solo una delle numerose composizioni che il grande salisburghese dedicò a membri della famiglia von Jacquin; forse a partire dal 1783, si recava regolarmente nella loro casa sulla Rennweg, per impartire le lezioni a Franziska, era uno degli animatori delle serate del mercoledì e si legò di tanta amicizia con Gottfried (purtroppo destinato a morire ad appena 25 anni, qualche mese dopo Mozart) da permettergli di far passare per suoi diversi lieder, in modo che potesse far più colpo sulle ragazze; nelle sue lettere superstiti all'amico, manifesta grande affetto per tutta la famiglia, compresi l'"illustre genitore". Ovvero il protagonista della nostra storia, Nikolaus Joseph Freiherr von Jacquin (1727-1817), professore di botanica e chimica all'università di Vienna e direttore dell'orto botanico universitario, nonché uno dei botanici più stimati d'Europa. Quando era arrivato a Vienna nel lontano 1752, non era né Freiherr né von, ma lo spiantato studente di medicina olandese Nikolaus Jacquin. Come dice il cognome, la sua famiglia era di origine francese, ma si era trasferita a Leida dove il padre era il prospero proprietario di una fabbrica di tessuti e velluti; poté così assicurargli un'ottima educazione; di famiglia cattolica, fu mandato a studiare al ginnasio di Anversa, dove si appassionò grandemente allo studio dei classici, che poi avrebbe coltivato tutta la vita. Ma prima che potesse completare gli studi, lo colpi una duplice sciagura: il fallimento della ditta paterna, con la perdita di tutta la sua fortuna, e la morte del padre stesso. Per mantenersi, decise di diventare medico: completò lo studio propedeutico della filosofia a Lovanio, quindi tornò a Leida e si iscrisse alla facoltà di medicina. Per il momento, il suo interesse andava ancora quasi totalmente ai classici, tanto che progettava di scrivere un'antologia di poesia greca. Le sue ricerche lo portarono a frequentare la ricca biblioteca di Jan Frederik Gronovius, patrono di Linneo ma anche discendente di una dinastia di celebri filologi classici; fu così che strinse amicizia con il figlio di lui Laurens Theodor, che, a quanto pare, gli fece scoprire la botanica. Lo accompagnava ad erborizzare nelle campagna e a visitare giardini; e fu proprio in un giardino privato che, di fronte alla magnifica fioritura di un Costus speciosus (oggi Hellenia speciosa), decise di consacrare la sua vita allo studio delle piante. Prese a visitare con assiduità l'orto botanico di Leida e a seguire le lezioni del suo prefetto Adriaan von Royen, da cui apprese il sistema linneano. Per completare gli studi di medicina e chirurgia, si trasferì quindi a Parigi, dove seguì anche le lezioni di botanica di Antoine de Jussieu e le dimostrazioni e le erborizzazioni di suo fratello Bernard. Era ormai tempo di laurearsi, ma non aveva i soldi per le tasse d'esame. Disperato, pensò di scrivere a Gerard van Swieten, un amico di famiglia che era stato medico di suo padre, ed ora stava facendo carriera a Vienna come medico dell'imperatrice; il dottore lo invitò a raggiungerlo nella capitale austriaca, dove avrebbe potuto completare gli studi. Fu così che nel 1752 il venticinquenne Nikolaus Jacquin arrivò a Vienna senza un soldo in tasca, ma dotato di un'eccellente preparazione di base e animato dalla passione scientifica e dal desiderio di farsi strada. L'archiatra lo accolse in casa sua (un appartamento principesco agli occhi del giovane olandese). Il giovane conterraneo conquistò la sua stima e l'ammirazione dei compagni di studio, commentando Ippocrate dal testo originale; aveva un indubbio talento per le relazioni sociali e strinse amicizia con i più dotati tra di loro, come Anton von Störck, futuro pioniere della farmacologia sperimentale, Johann Georg Hasenöhrl, che sarebbe diventato protomedico del Granducato di Toscana con il nome latinizzato Lagusius, Joseph Schreibers, grande riformatore degli ospedali viennesi, di cui avrebbe sposato la sorella Katharina. Ma l'incontro decisivo avvenne nel giardino olandese di Schönbrunn, di cui Jacquin stava classificando le piante con il sistema di Linneo: fu notato dall'imperatore Francesco I che, su consiglio di van Swieten, decise di inviarlo nei Caraibi alla ricerca di piante, animali e curiosità naturalistiche per il giardino, il serraglio e le collezioni imperiali. A sua favore militavano, oltre all'eccellente preparazione come naturalista, la buona conoscenza del francese e la rete di parentele di cui godeva nelle Antille francesi e olandesi. ![]() Un viaggio avventuroso di grande successo L'imperatore vergò di suo pugno dettagliate istruzioni, dalla cui lettura emerge chiaramente la natura non scientifica, ma squisitamente collezionistica della spedizione nei Caraibi; ciò a cui punta il sovrano è la rarità, l'esclusività: "Per quanto riguarda piante, alberi e fiori, egli [Jacquin] sceglierà personalmente le specie di fiori che sono rare e adatte al mio giardino e prenderà le radici, i bulbi e i semi, in base a come possano essere trasportati e moltiplicati. Tutti gli altri fiori che non si trovano in Europa e non sono né belli né di piacevole profumo, non devono sovraccaricare il mio giardino. [...] dovrà aver cura di non inviare nulla che abbiamo già, né [...] piante già conosciute in Europa, perché non desidero avere nulla di comune né che sia impossibile trasportare". Jacquin si preparò con scrupolo, non solo studiando le collezioni già esistenti, ma prendendo lezioni di disegno botanico dal pittore olandese Nicholas Meerburgh. Infine il 5 dicembre 1754 si mise in cammino insieme al giardiniere Ryk van der Schot. In vettura di posta, i due olandesi raggiunsero Trieste, quindi trascorsero i giorni di Natale a Venezia, dove furono prelevati da un vetturino che, via Bologna, li portò a Firenze, dove Jacquin doveva ricevere il denaro per il viaggio, contatti e altre istruzioni. A Capodanno proseguirono per Pisa e Livorno, dove per due settimane furono ospiti del marchese Ginori; fondatore della celebre manifattura di Doccia, quest'ultimo condivideva gli interessi scientifici dell'imperatore; fu il primo in Europa ad allevare le pecore d'angora e a Villa Buondelmonti faceva coltivare vaniglia, tè, caffè e varie piante esotiche. Seguendo le istruzioni imperiali, il marchese aiutò i naturalisti a completare l'attrezzatura e fornì due esperti cacciatori di uccelli di sua fiducia, Ferdinando Barculli e Giovanni Buonamici. Inoltre Jacquin conobbe l'abate Filippo Venuti, fondatore della Società botanica di Cortona e corrispondente di La Condamine, da cui ricevette molte informazioni sulle ricchezze naturali del Golfo del Messico. Furono dunque in quattro, due botanici olandesi e due uccellatori toscani, ad imbarcarsi il 21 gennaio 1755 alla volta di Marsiglia. Diversi contrattempi burocratici li trattennero in Provenza per tre mesi; Jacquin ne approfittò per stabilire accordi con la compagnia di trasporti Audibert, fare visita a La Condamine, raccogliere fossili e visitare l'orto botanico di Montpellier, dove incontrò Boissier de Sauvages; ottenne anche talee di quella che allora era una rarità, Bignonia (oggi Campsis) radicans, e le inviò sia a Vienna sia al nuovo amico Ginori. Finalmente il 21 aprile i quattro si imbarcarono su una nave mercantile; dopo uno scalo a Malaga, il 28 giugno sbarcarono nel porto di Saint Pierre in Martinica. Qui abitava Claude François Jacquin, figlio di uno zio del nostro e capo impiegato del forte; al momento dell'arrivo di Nikolaus in Martinica, la famiglia attendeva il ritorno di uno dei figli, che era andato a studiare a Parigi. Così quando il nostro botanico arrivò di notte, nella casa poco illuminata, fu accolto da grandi manifestazioni di gioia ed abbracci, finché la balia nera lo guardò in faccia e rivelò che il nuovo arrivato non era chi credevano. Jacquin e la sua squadra si misero immediatamente al lavoro; visitarono insieme varie località dell'isola, quindi si divisero; mentre Jacquin e uno degli uccellatori rimaneva in Martinica, l'altro e Van der Schot furono inviati a Grenada, per poi rientrare via Saint Lucia; tuttavia al loro rientro entrambi si ammalarono di febbre gialla; fortunatamente, al contrario a gran parte dei loro compagni di viaggio, guarirono. Già il 1 agosto partì per Marsiglia (e da qui per Vienna) il primo invio, sei casse con circa 1600 pezzi tra conchiglie, granchi, ricci di mare, coralli, fossili, pesci, insetti, monete, semi e talee di canna da zucchero. Nel frattempo, Jacquin aveva allestito un vivaio e un serraglio provvisorio, dove custodire gli animali e preparare le piante in vista dell'invio di esemplari vivi. Incominciò anche a predisporre un erbario, ma al ritorno da una delle sue escursioni constatò che era stato divorato dalle termiti. Così vi rinunciò, optando per accuratissime note di campo e schizzi ed acquarelli dal vivo; forse risale a questa esperienza il suo spiccato interesse per la rappresentazione visiva delle piante. Il secondo invio partì da Saint Pierre il 26 febbraio 1756; ad accompagnare in Europa gli animali e le 266 piante vive fu, come ho già raccontato in questo post, l'ottimo Ryk van der Schot, che aveva affiancato il suo capo anche come disegnatore. Il grosso era stato raccolto in Martinica e Grenada dalla spedizione, ma Jacquin era anche riuscito a procurarsi esemplari provenienti da zone mai visitate, come le Barbados. Il successo di questo invio, con quasi tutte le piante e gli animali giunti vivi a Vienna, si deve agli sforzi congiunti di botanico e giardiniere, che inventarono quasi dal nulla metodi efficaci per il trapianto, la preparazione e il trasporto a lunga distanza. La Martinica, con il vivaio nei pressi di Saint Pierre, era ancora la base operativa, ma tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio Jacquin e i due uccellatori si spostarono nell'isola di Sint Eustatius; l'isola era una colonia olandese e anche qui il nostro botanico poteva contare sull'aiuto e l'ospitalità di un congiunto: il comandante Jan de Windt, che aveva sposato una parente di sua madre; fu poi la volta di Sint Maartens, dove abitava un altro parente. Qui, mentre erborizzava presso la laguna salata di Simpson Bay, Jacquin cadde da una scogliera e finì su un Melocactus; riuscì però a recuperare abbastanza rapidamente grazie a impacchi di una qualche specie di Jatropa. Dopo poco meno di due settimane, il gruppo tornò a Sint Eustatius, dove il botanico si ammalò a sua volta di febbre gialla. Inviò immediatamente Barculli in Martinica ad occuparsi del vivaio; quindi, non ancora guarito del tutto, lo raggiunse insieme a Buonamici il 22 luglio. Era ora di occuparsi del terzo invio, che lasciò Saint Pierre alla volta di Livorno il 12 agosto. Più modesto dei precedenti, comprendeva due casse di curiosità naturali, pochi semi, una cassetta di erbe medicinali per van Swieten, qualche animale vivo (tra cui 4 scoiattoli volanti e 43 uccelli), e diverse piante, tra cui molti ananas, che erano stati personalmente richiesti dall'imperatore, cactacee, euforbie succulente e forse un mango. Ad accompagnarli questa volta fu l'uccellatore Buonamici. In America erano rimasti solo in due, Jacquin e Barculli, che si trovavano di nuovo a Sint Eustatius. Il 17 agosto si imbarcarono su una nave olandese diretta in Martinica, ma furono catturati da una nave inglese e portati a Saint Kitts: due mesi prima era infatti iniziato il conflitto passato alla storia come Guerra dei sette anni. Dopo sette giorni di detenzione, poterono tornare a Sint Eustatius, dove rimasero fino alla fine di ottobre. Era infatti iniziata la stagione degli uragani ed era impossibile viaggiare. Il 31 ottobre si imbarcarono di nuovo per la Martinica, ma furono nuovamente catturati dagli inglesi, che questa volta li portarono a Montserrat. Dopo pochi giorni, Jacquin poté finalmente raggiungere Saint Pierre dove scoprì che le passate disavventure gli avevano risparmiato guai peggiori: durante la sua assenza l'isola era stata totalmente devastata da un uragano. Così il suo quarto invio, che partì per Marsiglia il 14 novembre, consisteva di una sola cassa con pochi coralli, conchiglie e semi freschi. Ritenendo che Martinica non avesse altro da dare, il 7 febbraio 1757 Jacquin partì con Barculli alla volta di Curaçao; qui si sarebbero trattenuti otto mesi, esplorando le baie e l'interno in piroga. Ebbero anche la fortuna di conoscere un giovane francese, Joseph Alix, un eccellente tuffatore che raccolse molti ottimi esemplari di coralli e conchiglie. In generale, il soggiorno a Curaçao, dove Jacquin poté anche integrare le sue raccolte con acquisti da collezionisti, fu eccezionalmente produttivo: a maggio ben sedici casse di curiosità (tra cui un nido di colibrì interamente costituito di fiori, completo di genitori e uccellini) erano pronte a partire per l'Europa; ad accompagnarle fu Alix, che purtroppo morì di dissenteria durante il viaggio. Trovandosi così vicino al continente, Jacquin decise di proseguire per il Venezuela; tra il giugno e il luglio 1757 erborizzò con Barculli a Coro, Puerto Real de La Vega e la laguna di Sauca. Quindi rientrò a Curaçao per spedire il sesto invio, consistente in una cassa di curiosità e semi rari, che affidò al comandante di una nave olandese in partenza per Amsterdam il 27 agosto. Due giorni prima Jacquin e Barculli si erano imbarcati per la colonia francese di San Domingo nell'isola di Hispaniola, dove arrivarono il 21 settembre. Vi rimasero per quattro mesi; il botanico soffrì gravemente di dissenteria, ma continuò ugualmente ad erborizzare, raccogliendo almeno una cinquantina di specie. Il 4 gennaio 1758, con l'intenzione di raggiungere la Giamaica, i due viaggiatori lasciarono San Domingo sulla Parlament, una nave che batteva bandiera olandese; il giorno dopo incapparono in una flotta inglese, che trattenne la nave per qualche giorno in mare, poi la rilasciò, ordinando di raggiungere Port-au-Prince, la capitale della spagnola Haiti; ma prima di giungere a destinazione, fu catturata e saccheggiata da corsari inglesi, che derubarono tutto il derubabile e terrorizzarono le loro vittime per due interminabili giorni d'orrore. Jacquin perse i libri, i disegni, il diario di campo (per fortuna ne aveva inviato una copia a Vienna). Infine la nave fu rilasciata e il 10 gennaio raggiunse Port-au-Prince; durante la breve sosta nel porto spagnolo, Jacquin benché ancora malato fece buone raccolte. Il 17 gennaio, la Parlament, a bordo della quale ora c'erano 27 pirati prigionieri, ripartì, ancora nella speranza di raggiungere la Giamaica; due giorni dopo fu abbordata da tre vascelli pirati decisi a liberare i loro compagni; attenuto il loro scopo, rilasciarono la nave che il 22 gennaio giunse finalmente in Giamaica. Jacquin si recò immediatamente a Spanish Town per incontrare il governatore e ottenere il permesso di rimanere nell'isola ad erborizzare; ma il governatore era assente e dovette andare a Kingston a incontrarne il sostituto. Durante il viaggio di ritorno, il suo calesse si ribaltò e nell'incidente il cocchiere perse una gamba. Un pessimo inizio; forse per questo, dopo aver erborizzato per qualche giorno nei dintorni di Spanish Town, il 19 marzo Jacquin si imbarcò con Barculli su una nave negriera diretta a Cartagena. Fu un viaggio non meno orribile dei precedenti, tanto per lo scafo sovraccarico, che faceva temere ogni momento un naufragio, quando per l'angoscioso spettacolo dell'inumano trattamento inflitto dai negrieri ai giovani africani. Arrivato a Cartagena il 24 marzo, dopo pochi giorni Jacquin contrasse nuovamente la febbre gialla e fu in punto di morte. Il 25 maggio stava abbastanza bene da godersi lo spettacolo delle processioni del Corpus Domini. Fece ancora qualche escursione nell'interno, finché decise che era ora di tornare a casa. Avrebbe desiderato farlo per la via più breve, imbarcandosi su una nave diretta a Cadice, ma a lungo non riuscì a trovarne nessuna disposta a traportare il suo gran carico di animali vivi; stava quasi per rassegnarsi a imbarcarsi nuovamente sulla sciagurata nave negriera, quando in porto giunse il mercantile spagnolo El Marte, disposto a portare Jacquin e il suo serraglio in Spagna. Non a Cadice, però. Il 19 ottobre Jacquin e Barculli lasciarono Cartagena, ma li attendeva un viaggio difficile, funestato da tempeste e cambi di rotta; ci fu anche una lunga sosta all'Havana, in cui Jacquin, dopo inglesi, pirati e capitani negrieri, si trovò ad affrontare la curiosità delle signore della città, che ronzavano attorno al luogo dove aveva ricoverato le sue bestie e le sue piante "fino a tarda notte". Ripartito da Cuba il 4 gennaio 1759, El Marte toccava infine la costa europea a Ferreol il 25 febbraio. Non c'erano navi dirette a Bordeaux, e Jacquin dovette ancora sobbarcarsi un viaggio complicato che lo portò in nave a Bayonne, e poi via terra, attraverso la Francia e la Germania, fino a Ulm, dove poté imbarcarsi sul Danubio alla volta di Vienna. Vi giunse il 17 luglio 1759, dopo un'assenza di cinque anni e sette mesi. ![]() Capolavori dell'illustrazione botanica Era la fine di un grande viaggio e l'inizio di un'ancor più importante carriera scientifica. Le straordinarie collezioni che il botanico olandese aveva inviato a Vienna avevano pienamente soddisfatto le aspettative del sovrano, che continuò a pagargli lo stipendio, permettendogli di dedicarsi alla pubblicazione delle raccolte botaniche; ansioso di farsi riconoscere dall'ambiente scientifico europeo, Jacquin si affrettò a pubblicare Enumeratio sistematica plantarum quas in insulis Caribaeis vicinaque Americae continente detexit, novas aut jam cognitas emendavit (prima ed. Leida 1760, seconda ed. Francoforte 1762), un'operina di poco più di quaranta pagine, con una lista di circa 300 specie di una settantina di generi, con sinteticissime diagnosi, rigorosamente classificate secondo il sistema lineano. Anche se l'area caraibica non era certo una novità per i botanici (ma lo erano i dintorni di Cartagena in Colombia), non poche erano nuove per la scienza; tra di esse Swietenia mahagoni, l'albero del mogano, opportunamente dedicato al suo protettore van Swieten. Enumeratio sistematica - una delle primissime opere ad utilizzare sistematicamente la nomenclatura binomiale - attirò l'attenzione di Linneo; da quel momento tra il giovane botanico olandese e il luminare svedese iniziò un fitto scambio epistolare. Nel corso degli anni, Jacquin gli avrebbe inviato circa cento lettere, molte delle quali contengono esemplari essiccati, disegni, tavole a stampa tratte dalle sue opere successive. La seconda opera di Jacquin è Enumeratio stirpium plerarumque, quae sponte crescunt in agro Vindobonensi, montibusque confinibus (Vienna, 1762), frutto delle sue erborizzazioni nelle campagne viennesi. Ma già nel 1763 fu in grado di pubblicare le sue piante americane in una veste molto più ambiziosa. Selectarum stirpim Americanarum historia è una sontuosa opera dedicata all'imperatore Francesco I, con oltre 300 pagine di testo e 183 tavole illustrate, tratte dai disegni eseguiti da Jacquin stesso e in parte da Ryk van der Schot durante il viaggio o nel giardino di Schönbrunn, dove nel frattempo un buon numero di piante aveva prosperato. Le esigue diagnosi del 1760 si sono dilatate in accurate descrizioni e in molti casi sono state aggiunte le località di raccolta; le specie nuove sono una cinquantina; tra le più notevoli, Elaeis guineensis, la palma da olio. Le illustrazioni, sebbene un po' rigide, spiccano per l'accuratezza e non mancano di pregio estetico; furono stampate in bianco e nero, ma sono noti tre esemplari dipinti a colori, disposti per l'imperatore e la sua cerchia. Nel 1763, grazie alla raccomandazione di van Swieten, Jacquin fu nominato professore di chimica, metallurgia e mineralogia dell'accademia mineraria di Schemnitz (oggi Banská Štiavnica) in Slovacchia; nel campo della chimica propugnò il metodo sperimentale e diede contributi originali (fu anche corrispondente di Lavoisier), ma il suo grande amore rimanevano le piante; creò un orto botanico, continuò ad erborizzare, a disegnare piante e a scrivere di botanica; frutto degli anni slovacchi è Observationum botanicarum iconibus ab auctore delineatis illustratarum, in quattro parti, pubblicate tra 1764 e il 1771; vi compaiono, senza un ordine particolare, piante viste durante il viaggio americano, ma anche osservate in Austria o in Slovacchia, in qualche giardino o ricevute da amici; le tavole sono nuovamente tratte da disegni dell'autore. Intanto a Vienna van Swieten si dava da fare per assicurare al suo protetto un incarico di maggior prestigio e più confacente alle sue aspirazioni. L'archiatra era in pessimo rapporti con il francese Robert Laugier, il primo titolare della cattedra di chimica e botanica dell'Università di Vienna, nonché primo prefetto dell'orto botanico universitario; con un'efficace azione di lobbing (e mobbing), riuscì a convincere l'imperatrice ad allontanarlo, costringendolo alle dimissioni. Così nel 1769 Jacquin lo sostituì ed applicò la sua incredibile energia a trasformare l'orto botanico viennese in uno dei maggiori d'Europa, nonché Vienna in una delle capitali della scienza botanica, soprattutto grazie a una serie di grandi pubblicazioni illustrate, a iniziare dal catalogo dello stesso orto botanico. In tre volumi, pubblicati tra il 1770 e il 1776, Hortus botanicus Vindobonensis presenta le piante più rare del giardino "costruito grazie alla munificenza regia della venerabilissima Maria Teresa quale meraviglioso ornamento dell'università patria e per la pubblica utilità". Ora che l'insegnamento e la direzione dell'orto botanico non gli lasciavano più il tempo per dipingere egli stesso, Jacquin affidò le illustrazioni a un pittore di grande talento, Franz von Scheidel (1731-1801), che disegnò e dipinse 300 tavole, 100 per ciascun volume, un capolavoro dell'illustrazione botanica, in cui alla precisione scientifica (spesso la raffigurazione della pianta a tutta a pagine è affiancata dai particolari significativi per l'identificazione) si uniscono la freschezza del tratto. Era la prova generale per un'opera ancor più ambiziosa, Florae Austriacae, sive plantarum selectarum in Austriae archiducatu sponte crescentium; in cinque volumi, usciti tra il 1773 e il 1778, ancora con 100 tavole per volume, la Flora austriaca, spesso definito "il più bel libro dedicato alla flora spontanea europea", detterà gli standard per le successive flore nazionali come Flora danica e Flora graeca: formato in folio, illustrazioni di grandissima qualità estetica, accurate descrizioni scientifiche, nomenclatura binomiale, sinonimi. Tra le specie descritte per la prima volta da Jacquin troviamo il biancospino Crataegus monogyna, Viola alpina, Draba stellata, Rhamnus saxatilis, e tre nuovi generi: Peltaria, Wulfenia e Scopolia. Era un monumento alla gloria imperiale non inferiore per sontuosità allo stesso Schönbrunn; l'imperatrice espresse il suo apprezzamento elevando alla nobiltà il botanico, che dal 1774 poté premettere il gentilizio von al suo cognome. Molto lavoro di raccolta fu fatto dallo stesso von Jacquin, che non disdegnava di arrampicarsi alla ricerca di piante montane, magari insieme al pittore Scheidel, autore anche di gran parte delle illustrazioni di Flora austrica. Ma come il pittore era ormai circondato da una vera e propria scuola (alla quale si formarono, tra gli altri, i fratelli Bauer), anche il botanico stimolò le raccolte di allievi e corrispondenti che gli spedivano piante dai vari paesi che costituivano il multietnico impero austriaco; tra i tanti, citiamo almeno Franz Xaver von Wulfen, esploratore della flora delle Alpi austriache. Oltre che di botanica, l'attivissimo von Jacquin scriveva anche di medicina e di chimica; intorno al 1780 fu lui a convincere l'imperatore Giuseppe II a inviare in America una seconda spedizione per ripopolare le serre di Schönbrunn; i risultati di quell'impresa, iniziata male ma conclusasi con un inatteso successo (ne ho parlato in questo post) furono anch'essi documentati da una grande opera illustrata: Icones plantarum rariorum, in tre volumi pubblicati tra il 1781 e il 1793, con 648 tavole, per lo più dipinte da Joseph Hofbauer, dai fratelli Bauer e Joseph Scharf. Mentre in quest'opera i testi, con le piante classificate secondo il sistema linneano, sono estremamente succinti, riacquistano importanza in quella che ne può essere considerata la continuazione, Plantarum rariorum horti caesarei Schoenbrunnensis descriptiones et icones, in quattro volumi (1797-1804), che riprende la formula del catalogo dell'orto botanico di Vienna e di Flora austriaca, con 125 tavole per volume; i principali artisti sono Johannes Scharf e Martin Sedelmayer. Quando uscì quest'opera della sua vecchiaia, von Jacquin si era già ritirato dall'insegnamento e dalla direzione dell'orto botanico universitario, riuscendo però a garantire l'uno e l'altro incarico al figlio Joseph Franz, che già dal 1790 lo affiancava e dal 1797 lo sostituì. Da quello momento, visse in pensione, continuando però a scrivere finché l'età avanzata e quello che è stato definito marasmus senilis glielo impedirono. Corrispondeva con tutti i principali botanici del tempo ed era membro di numerose società scientifiche. Nel 1806 fu nominato barone (Freiherr) e insignito dell'ordine di Santo Stefano, Morì novantenne nel 1817; la sua ultima preoccupazione andò ancora alle piante e ai libri; sul letto di morte, circondato dai figli e dai nipoti, chiese ansioso "E' già fiorita la Stapelia?" Le Stapeliae, arrivate a Schönbrunn dal Sudafrica grazie a Franz Boos e Georg Scholl, erano state il suo ultimo amore, ma forse più che alle piante pensava alla sua ultima opera, una monografia sul genere Stapelia (Stapeliarum in hortus Vindobornensibus cultarum descriptiones figuris coloratis illustratae) che aveva iniziato nel 1806, pubblicandone quattro volumi; l'ultimo era ancora incompleto e sarebbe stato pubblicato postumo dal figlio nel 1819. ![]() Arbusti caraibici Nella sua lunga ed operosa vita, il barone von Jacquin lasciò una profonda impronta nella botanica. Durante la sua gestione, le collezioni degli orti botanici di Schönbrunn e Vienna ebbero tale sviluppo da rivaleggiare alla pari con quelle di Londra e Parigi; fu di fatto il fondatore della scuola botanica austriaca, dando grande impulso alle ricerche nei territori soggetti alla corona asburgica, dalla stessa Austria, all'Ungheria, alla Boemia, alle terre adriatiche; creò spettacolari opere illustrate che dettarono un modello emulato ma mai superato. Pubblicò più di 30 opere di medicina, chimica, botanica. Il contributo di von Jacquin è ben riconoscibile nella nomenclatura botanica. Pubblicò più di 1000 taxa; i suoi lavori sulla flora caraibica divennero opere di riferimento, gli splendidi cataloghi delle collezioni viennesi fecero conoscere moltissime specie esotiche e Flora Austriae molte piante della flora alpina e centroeuropea. Lo ricordano gli eponimi jacquinii (circa 190 occorrenze) e jacquinianus (un'ottantina di occorrenze) e due generi, Jacquina e Jacquinella. Il primo riconoscimento arrivò molto presto, da parte di Linneo in persona. Jacquinia L. (1759) testimonia la sua stima per il più giovane collega, che lo teneva aggiornato sulle sue ricerche e lo consultava sulla catalogazione delle nuove specie, spesso inviando a Uppsala esemplari, disegni, fogli della sue opere illustrate che lo rallegravano sommamente (e deliziano gli studiosi di oggi). Lo svedese pubblicò Jacquinia nell'ambito di una tesi sulla flora della Giamaica, scegliendo molto opportunamente un genere soprattutto caraibico. Oggi assegnato alla famiglia Primulaceae (sottofamiglia Theophrastoideae), comprende una ventina di specie di arbusti e piccoli alberi; molte sono endemiche di una singola isola dei Caraibi; il centro di diversità è Cuba, con 12 specie, otto delle quali endemiche; a nord una specie, J. keyensis, raggiunge la Florida, mentre a sud J. armillaris si estende al Brasile. L'habitat tipico sono le macchie costiere, piuttosto aride e soggetto al vento e alla salinità; ne conseguono adattamenti come i rami più o meno pelosi e le foglie coriacee. La specie più settentrionale, J. keyensis, è un grazioso arbusto alto fino a tre metri, con rami molto intricati e profumatissimi fiori bianchi; la più meridionale J. armillaris fu pubblicata proprio da Jacquin che la vide in molti luoghi (Curaçao, Martinica, Cartagena) e fu colpito dal suo elegante portamento; il nome (armilla in latino significa bracciale) è una traduzione del nome creolo bois bracelet, dovuto all'abitudine degli indios di ricavare braccialetti dai semi appositamente perforati "a mo' di perle". ![]() Orchidee epifite in miniatura Durante il viaggio americano, Jacquin aveva raccolto anche diverse orchidee, tra cui un'epifita raccolta "nelle foreste della Martinica" che chiamò Epidendrum globosum. Nel 1920, l'orchidologo tedesco Rudolf Schlechter lo separò da Epidendrum insieme ad altre due specie, creando il genere Jacquiniella. Oggi gli sono attribuite una dozzina di specie distribuite dal Messico al Sud America tropicale. Sono prevalentemente epifite e sono caratterizzate da piccole foglie carnose, spesso lateralmente appiattite, con infiorescenze o fiori singoli all'ascella fogliare. La specie più diffusa è proprio J. globosa (Puerto Rico, Messico, Caraibi, America centrale. Columbia, Ecuador, Peru e Venezuela) che vive nelle foreste tra 200 e 2400 metri, in ombra leggera; ha rami squadrati, penduli, molto cespugliosi, all'apice dei quali, all'ascella delle due ultime foglie, piccole, carnose e appiattite, spuntano uno o due piccoli fiori giallo-verdastri, seguiti da un frutto verde e globoso. E' un'orchidea miniatura come J. equitantifolia (diffusa dal Messico al Sud America) che invece ha lunghe foglie lanceolate carnose distiche, da cui emerge un'infiorescenza ramificata di piccoli fiori aranciati profumati nelle ore notturne. La specie più grande e forse più rara è J. gigantea, che vive nelle foreste montane intorno a 2500 metri nel Chapias (Messico) e nelle aree adiacenti del Guatemala; produce fusti lunghi circa un metro, ciascuno dei quali porta da quattro a sei foglie; i fiori solitari, privi di profumo e abitualmente autoimpollinanti, sono verdi soffusi di viola. Nel Seicento, la lontana Danzica diventa uno snodo centrale del commercio olandese con la Polonia, la Prussia orientale e la Russia. Nella città casciuba si stabilisce una fiorente colonia di mercanti olandesi che commerciano, tra l'altro, la cocciniglia polacca, all'epoca ancora abbondante anche se sta già subendo la concorrenza della meno costosa cocciniglia messicana. Proprio a questo piccolo insetto deve la sua fortuna il ricchissimo mercante Jacob Breyne, che unisce all'abilità negli affari una sfrenata passione per le piante: quelle di casa, che studia e raccoglie nei suoi erbari, e quelle esotiche, che, trasportate dalle navi delle compagnie olandesi, l'EIC e la VOC, dai quattro angoli del mondo, si riversano sempre più numerose negli orti botanici di Leida e Amsterdam e nei "paradisi" (ovvero i giardini privati) dei magnati della giovane Repubblica delle province unite. In occasione dei ricorrenti viaggi nel paese d'origine della sua famiglia, Breyne li visita, osserva e annota le novità, e si porta a casa quello che può, ad arricchire il suo stesso "paradiso". Alle esotiche dedica non meno di tre libri, il primo dei quali, curatissimo nella veste editoriale e nell'apparato iconografico, affidato a pittori e incisori di vaglia, è un capolavoro dell'editoria botanica secentesca. Con questi libri, anticipando tutti, è spesso il primo a far conoscere novità sudafricane destinate a grande fortuna, come Pelargonium, Agapanthus, Mesembrianthemum. E' bravo anche a stabilire rapporti umani, creando una vasta rete di contatti che negli ultimi anni della sua vita si estende anche alla nuova potenza coloniale (e orticola) emergente: l'Inghilterra. Insieme al giardino, alla biblioteca, alle collezioni naturalistiche, la lascia in eredità al figlio Johann Philipp, che la allargherà ulteriormente e diventerà un membro riconosciuto dell'establishment scientifico internazionale. A ricordare entrambi, il loro splendido giardino e le loro opere che fecero conoscere tante piante rare, il genere Breynia (Phyllantaceae). ![]() Un mercante olandese a Danzica Nel Seicento, la Repubblica delle Province unite aveva forti legami commerciali con Danzica, all'epoca il maggiore porto del Baltico, oltre che una città cosmopolita appartenente al Regno di Polonia ma con una forte presenza tedesca. I mercanti olandesi commerciavano soprattutto granaglie e l'apprezzatissimo colorante rosso ricavato dalla cocciniglia polacca, Porphyrophora polonica. La città casciuba era una piazza così importante che spesso, invece di avvalersi di agenti locali, per seguire gli affari sul posto vi mandavano un figlio cadetto. Questo destino toccò anche a Jacob Breyne senior, membro di una famiglia di mercanti che dal Brabante si era trasferita nei Paesi Bassi nel 1585, in seguito all'assedio di Anversa. A Danzica Jacob fece fortuna trasportando a Amsterdam e Leida piante medicinali e cocciniglia; si sposò con Anna Moorman, anch'essa appartenente a una famiglia di origine olandese, e nel 1637 ne ebbe un figlio: è il nostro Jacob Breyne (1637-1697), il primo protagonista di questa storia. Grazie alle buone disponibilità finanziarie del padre, egli ricevette un'ottima educazione e incominciò presto a interessarsi di scienze naturali, che del resto erano anche un ferro del mestiere per chi commerciava merci ricavate da animali e piante. Uno dei suoi professori al ginnasio accademico, Christian Mentzel, che vi insegnò dal 1648 al 1650, lo coinvolse nelle sue ricerche sulla flora locale, insegnandogli le tecniche per predisporre un erbario. All'inizio degli anni '50, il padre lo inviò a Leida da suo fratello Pieter per imparare le tecniche commerciali; Jacob junior ne approfittò per seguire le lezioni di botanica di Adolf Vortsius (1624-1663), prefetto dell'orto botanico, nelle cui aiuole egli incontrò la passione della sua vita: le piante esotiche. Dotato di un gran talento per i rapporti umani, strinse amicizie durevoli sia nell'ambiente universitario sia tra i ricchi possidenti che nei loro giardini (Paul Hermann li chiamò giustamente "paradisi") facevano a gara a coltivare le specie più rare e nuove portate ad Amsterdam dalle navi delle due compagnie olandesi, l'EIC (Compagnia olandese delle Indie occidentali) e la VOC (Compagnia olandese delle Indie orientali). Alla morte del padre nel 1655, Jacob Breyne si stabilì definitamente a Danzica, ma mantenne i contatti con l'Olanda, che visitava periodicamente. Allargò il giro d'affari della famiglia, estendendolo anche all'Inghilterra. Senza però dimenticare la passione per le scienze naturali: nella sua bella casa nella centralissima via Długa creò una notevole collezione di naturalia e una fornitissima biblioteca; in una delle sue proprietà (non ne conosciamo l'ubicazione) creò anche un orto botanico privato, ispirato ai paradisi che tanto aveva ammirato nei Paesi Bassi. Riprese anche a esplorare la flora locale; all'inizio, doveva essere poco più di un passatempo. Visitava i dintorni della città e sistemava le piante che veniva raccogliendo in un erbario con i nomi in olandese e talvolta qualche annotazione sull'aspetto generale; era una specie di diario botanico privato che chiamava Herbarium vivum (la copia che ci è giunta risale al 1659). Ma negli anni '70, con una situazione economica ormai orientata al bello stabile, poté dedicare più tempo alla botanica e concepire due progetti paralleli e complementari: da una parte esplorare e fare conoscere la flora locale, dall'altra documentare le novità esotiche introdotte nei giardini europei dagli olandesi. Complementari perché, per i naturalisti del Seicento, la flora della Casciubia e della Prussia orientale era non meno esotica e inesplorata di quella sudamericana, sudafricana o indonesiana. Avvalendosi probabilmente anche di una rete di informatori e raccoglitori, nel 1673 Breyne creò un secondo, assai più ambizioso erbario, Plantes rariores borussicae et casubicae ("Piante più rare della Prussia e della Casciubia"), un corposo manoscritto in quattro volumi con i nomi e le annotazioni in latino. Con i duplicati, ne creò anche un certo numero di copie, dal contenuto variabile, che inviava come dono a protettori, amici e corrispondenti; il più importante era sicuramente l'influente uomo politico Hieronymus van Beverningh, che fu anche curatore dell'università di Leida, città nei cui dintorni possedeva uno dei più spettacolari "paradisi" della Repubblica. Nel 1697, l'anno stesso della morte di Breyne, una copia raggiunse anche James Petiver, con il quale il mercante corrispondeva da qualche anno e dal quale aveva ottenuto semi di varie piante nordamericane coltivate a Chelsea. Pur vivendo in un luogo apparentemente periferico, Breyne riuscì infatti ad inserirsi brillantemente nella grande rete dei naturalisti europei che scambiavano disegni, fogli di erbario, semi, tuberi e bulbi di piante esotiche, potendo anche approfittare dei legami commerciali della sua famiglia con l'EIC e la VOC. In cambio di esemplari dell'altrettanto esotica flora della Polonia settentrionale, riceveva materiali e preziose informazioni dai quattro angoli dell'impero olandese. Tra gli agenti della VOC con cui fu in contatto, vale la pena di citare almeno Willem ten Rhijne, medico delle VOC a Dejima tra il 1674 e il 1676, e Paul Hermann, che prima di diventare prefetto dell'orto botanico di Leida, aveva visitato Ceylon e il Capo di Buona Speranza. Dai suoi periodici viaggi in Olanda, durante i quali non mancava mai di informarsi sulle novità orticole e di visitare i più bei giardini, Breyne riportò anche l'attrezzatura per creare una propria tipografia, alla quale nel 1677-78 affidò la stampa di Exoticarum aliarumque minus cognitarum plantarum centuria prima, un corposo e curatissimo in folio con splendide illustrazioni dovute ai migliori artisti locali, tra cui il pittore Andreas (o Andrzej) Stech e l'incisore Isaak Steel. Il libro, dedicato a Hieronymus van Beverningh, contiene la presentazione in latino di cento piante, una ventina delle quali raccolte da lui stesso nella Polonia settentrionale, le altre osservate nei giardini olandesi o segnalate dai suoi corrispondenti; tra le prime Geum rivale, Pulsatilla pratensis, Pulsatilla patens, Saxifraga hirculus. Le seconde sono quasi un'epitome dei traffici olandesi nel secolo d'oro: ci sono parecchie americane, giunte dal Suriname ma anche da altre parti del centro e sud America, come la splendida Caesalpinia pulcherrima (che Breyne chiama Crista pavonis, cresta di pavone), Asclepias curassavica e Jatropha multifida; da Ceylon o da Giava arrivano Gomphrena globosa, Clitoria ternatera L., Hibiscus rosa-sinensis (Breyne lo chiama Alcea javanica arborescens flore pleno, a segnalare che gli olandesi l'hanno incontrato a Giava, in una forma coltivata e stradoppia) e una delle piante che da Breyne prenderanno il nome, Frutex indicus baccifer vitis ideae secundae clusii foliis, oggi Breynia vitis-idaea; grazie a Willem ten Rhijne, dal Giappone abbiamo la canfora (Cinnamomum camphora) e la prima rappresentazione a stampa del tè The Sinensum, sive Tsia japonensibus (Camellia sinensis). Ma a fare la parte del leone è il Sudafrica, grazie allo stesso ten Rhijne ma soprattutto alle raccolte di Paul Hermann: ecco la oggi assai nota Leonotis leonurus, i primi pelargoni, Pelargonium triste e P. lacerum, parecchie Aizoaceae tra cui Cylindrophyllum calamiforme, che campeggia in un elegante vaso al centro del frontespizio, la prima Proteacea Protea conifera, la prima Restionacea Restio dichotomus. E poi ancora le bulbose Wachendorfia paniculata, Drimia elata, Oxalis purpurea, e quello che Linneo chiamò in suo onore Tulipa breyniana, oggi Moraea collina. In appendice Breyne pubblicò un trattatello sul tè scritto dal caro amico (così lo definisce, summus amicus meus) Willem ten Rhijne. Breyne sperava di pubblicare una seconda centuria; nel 1680 ne diede un'anticipazione in Prodromus fasciculi rariorum plantarum, dedicato alle piante esotiche osservate - in occasione di un viaggio del 1670 - nell'orto botanico di Leida e nei giardini di Beverningh e altri appassionati, incluso Jan Commelin, futuro commissario dell'Orto botanico di Amsterdam; nel 1689 ne pubblicò una seconda edizione, Prodromus fasciculti rariorum plantarum secundus, che include le piante viste nel viaggio in Olanda dell'estate di quello stesso anno; qui Breyne aveva potuto tra l'altro incontrare il giardiniere Georg Meister, di ritorno da Batavia e dal Giappone, che gli consegnò un pacco di esemplari inviati da Andreas Cleyer. Ad assisterlo nella pubblicazione fu il figlio Johann Philipp che all'epoca aveva solo nove anni. Sono opere di minor impegno rispetto alla Centuria prima: in entrambi i casi, si tratta una lista di piante in ordine alfabetico, priva di illustrazioni, con una descrizione sintetica e l'indicazione di dove le vide e se poté averne semi o talee. Le sudafricane anche qui hanno il primato, con l'arrivo di Agapanthus e Mesembrynathemum; da segnalare anche la pubblicazione della prima Nepenthes, raccolta da Hermann a Ceylon: Breyne le conservò il nome locale Bandura zingelensium, Linneo la ribattezzò Nepenthes distillatoria. In effetti, dato che Paradisus batavus di Hermann (anch'esso un resoconto delle piante esotiche coltivate nei grandi giardini olandesi) poté essere pubblicato postumo solo nel 1695, in qualche modo Breyne gli soffiò la primogenitura: sono spesso i suoi libri, pubblicati nella periferica Danzica, ad aver fatto conoscere a botanici e appassionati europei le piante esotiche introdotte dagli olandesi. ![]() Talis pater, talis filius Breyne non riuscì mai a scrivere la progettata seconda centuria; inoltre, come confidò in una lettera all'amico Petiver e come sappiamo anche dalla testimonianza del figlio, avrebbe voluto scrivere una flora della Casciubia e della Prussia orientale, ma ne fu impedito da una penosa malattia e dalla morte, sopraggiunta nel gennaio del 1697, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno. Lasciava idealmente il compito in eredità al figlio minore Johann Philipp (1680-1764), che, come abbiamo visto, fin da bambino aveva coinvolto nei suoi progetti. Alla morte del padre Johann Philipp era un ragazzo di sedici anni. Qualche anno dopo, secondo le consuetudini familiari, anch'egli fu inviato a Leida; non però per avviarlo alla mercatura (di questo si occupava il fratello maggiore), ma per seguire i corsi di medicina del grande Hermann Boerhaave. Ottenuta la laurea di primo livello nel 1699 e quella magistrale nel 1702, munito delle lettere di presentazione dei suoi professori intraprese un grand tour scientifico attraverso l'Europa. La prima lunga tappa fu Londra, dove si trattenne per nove mesi, ospite del corrispondente del padre James Petiver, che gli fece conoscere Ray e Sloane, grazie al quale egli fu introdotto alla Royal Society, di cui divenne membro nel 1703. Fu poi la volta dell'Italia dove studiò la fauna marina nei dintorni di Ancona e visitò Padova, ospite di Vallisneri. Il viaggio proseguì attraverso Austria, Boemia e Germania, per concludersi nei Paesi Bassi, da dove rientrò a Danzica nel 1704. In una lettera del 1705 all'amico Petiver, dichiara di aver l'intenzione di riprendere e completare entrambi i progetti paterni. In realtà, per almeno venticinque anni, durante i quali esercitò con successo la professione medica, il proposito fu accantonato. Non però la passione per il giardino e le collezioni. Nel 1707 investì la dote della moglie Constantia Ludewig nell'acquisto di una casa e di un vasto giardino nel sobborgo di Brabank, dove poté sistemare le collezioni paterne che continuò ad arricchire per tutta la vita; oltre agli erbari, ai compendi di botanica, alle matrici delle opere del padre, c'erano monete, illustrazioni naturalistiche e a stampa (incluse le opere di Maria Sibylla Merian), minerali, fossili, pietre preziose o meno, ambre, preparati anatomici umani e animali conservati in formalina. Il giardino era così celebre che nel 1717 fu visitato dallo zar Pietro il Grande. Dalle testimonianze dell'epoca, sappiamo che c'erano una grotta, fontane, statue a grandezza naturale di Flora e Apollo, piante medicinali e molte esotiche: ananas, acacie, oleandri, fichi, ma anche banani, alberi di canfora, caffè e cannella. Ben noto negli ambienti scientifici europei anche grazie ai suoi viaggi, oltre che della Royal Society era membro della Leopoldina, e corrispondeva con oltre 170 scienziati, tra i quali, oltre al già citato Sloane, Leibnitz, Bernard de Jussieu, Peter Collinson e lo stesso Linneo. La corrispondenza con gli altri naturalisti europei era anche un modo per mantenere viva la fiamma della scienza in un ambiente che giudicava, se non ostile, poco interessato: "Per quanto mi riguarda, sono confinato in questo angolo d'Europa dove alla gente interessano solo i soldi", si sfogò con Hans Sloane. Alcune sue comunicazioni comparvero sporadicamente anche in precedenza sulle Transactions della Royal Society, ma l'attività scientifica occupò il centro della sua vita solo dopo il 1730, quando (anche in seguito alla morte del fratello che lo lasciò unico erede della fortuna familiare) si ritirò a vita privata. Tuttavia non scrisse mai né la seconda centuria né la progettata flora della Cascubia e della Prussia. Si accontentò di pubblicare una nuova edizione dei due fascicoli del Prodromus (1739), dandole però una splendida veste editoriale con eccellenti incisioni; in appendice vi pose una biografia del padre scritta da G. D. Seyler e un trattato sul ginseng, in origine la sua tesi di laurea. Le altre opere, per lo più brevi opuscoli usciti tra il 1730 e il 1740, dimostrano l'ecclettismo ma anche la mancanza di sistematicità dei suoi interessi: scrisse delle piante e degli insetti che aveva osservato sulla costa spagnola durante uno scalo del suo viaggio alla volta dell'Italia, del cosiddetto agnello vegetale o barometz, della cocciniglia polacca cui la sua famiglia doveva la propria ricchezza, di una foglia preistorica racchiusa nell'ambra, di alcuni tipi di molluschi fossili, delle ossa e dei denti di mammut scoperti in Siberia da un altro dei suoi amici, il conterraneo Daniel Gottlieb Messerschmidt. Come si vede, la paleontologia finì per occupare un posto importante nelle sue ricerche. Dalla moglie ebbe ben otto figli, ma tutti i maschi morirono bambini o in giovane età. In una commovente lettera a Linneo, confessa di essere vecchio e malato e provato dalla morte dell'unico maschio superstite, morto a ventiquattro anni nel 1740. Gli rimanevano invece quattro figlie, tre delle quali coltivarono gli interessi naturalistici di famiglia in uno dei pochi modi concessi all'epoca alle donne (escluse anche dalla lingua della scienza, il latino): la pittura. Saper danzare, strimpellare un clavicembalo e dipingere alla meno peggio un acquarello faceva parte dell'educazione delle fanciulle di buona famiglia, ma per Constantia Philippina (1708-?), Anna Renata (1713-1759), Johanna Henrietta (1714-1797) Breyne, cresciute praticamente in un museo naturalistico dove potevano ammirare le opere di grandi illustratori e in uno dei giardini botanici privati più belli d'Europa, dipingere piante e animali fu qualcosa di più di un passatempo. Nelle collezioni del castello di Gotha sono conservati molti loro disegni e acquerelli, caratterizzati da un livello di esecuzione notevole per delle dilettanti. Ciascuna di loro si specializzò in un capo preciso: i disegni di piante e uccelli si devono per lo più a Anna Renata (che era anche poetessa e musicista) e in parte a Constantia Philippina; Johanna Henrietta si dedicò alle immagini di animali marini. In almeno un caso, abbiamo la prova che i disegni di piante, presi dal vivo nello splendido giardino, erano destinati a illustrare le opere del padre. Furono utilizzati anche da almeno uno dei naturalisti che frequentavano casa Breyne, Jacob Theodor Klein. Impegnato anche nella creazione della prima società naturalistica polacca, Breyne fece della sua casa-museo un luogo di incontro dei naturalisti e ne incoraggiò l'attività, finanziando tra l'altro la pubblicazione della Flora quasimodogenita di Georg Andreas Helwing, di cui scrisse anche la prefazione. Johann Philipp Breyne morì nel 1764. Due anni dopo gran parte delle sue collezioni fu acquistata dagli agenti di Caterina II e finì nella Kunst Kamera imperiale di San Pietroburgo. Quasi tutti i manoscritti dei due Breyne, le lettere e i disegni rimasero però a Danzica fino alla morte dell'ultima delle sue figlie (1797); due anni dopo furono acquistati da Ernesto II di Sassonia-Gotha. ![]() Un albero dalle foglie rosa Nonostante vivessero in una città tanto periferica, le opere e le attività di padre e figlio erano ben note ai naturalisti europei, con i quali, come abbiamo visto, i due si mantennero in assiduo contatto epistolare. Il primo a voler celebrare Breyne padre fu Plumier che ne ammirava grandemente la Centuria prima per la nitidezza dei caratteri tipografici, l'eccellenza delle incisioni e il contributo alla conoscenza di tante nuove piante. Ma nel dedicargli il genere Breynia il buon frate incorse anche in una fake news: chissà attraverso quali fonti, gli era giunta la notizia che quella Centuria fosse la sola superstite di parecchie, ma "delle quali, oh, dolore!, ne sopravvive una sola prima e ultima; tutte le altre furono distrutte dalle fiamme inique, come riferiscono, di un incendio fortuito che distrusse la casa e le opere. Ma l'opera di un tale uomo e la sua memoria tra gli uomini per bene e i botanici né le fiamme né le onde potranno farle perire". Linneo fece propria la denominazione e la ufficializzo in Species plantarum, nel 1753. Senza considerare che il nome non era più disponibile (all'epoca non c'erano ancora regole fisse) nel 1776 i Forster dedicarono ad entrambi i Breyne un secondo genere Breynia con una motivazione che ben testimonia la reputazione dei due naturalisti di Danzica: "In onore dei sommi botanici Jacob Breyne e suo figlio Johann Philipp Breyne, dottore in medicina, entrambi i quali coltivavano piante esotiche in un giardino di Danzica e molte le pubblicarono disegnate con grande arte e descritte con ingegno immortale". Benché il nome linneano preceda quello dei Forster, quest'ultimo è considerato nomen conservandum ("nome da conservare") perché comprende almeno una specie piuttosto coltivata e diverse specie alquanto diffuse nell'Asia meridionale e orientale. Breynia J.R.Forst. & G.Forst. (famiglia Phyllanthaceae) è comunque un genere dalla tassonomia travagliata, che minaccia prima o poi di confluire in Phyllanthus, Al momento attuale comprende, a seconda delle fonti, da 25-30 specie a oltre 90. Sono alberi o arbusti monoici diffusi nell'Asia tropicale, in Australia e nelle isole del Pacifico. Come abbiamo visto, una specie indiana e indocinese, Breynia vitis-idaea, fu descritta per la prima volta proprio da Jacob Breyne. La specie più nota è Breynia disticha, nativa della Nuova Caledonia e delle Vanuatu. Conosciuta con il nome comune "albero della neve", è coltivata nei giardini delle zone a clima mite per le foglie, rosa nella forma giovanile, poi crema o verde chiaro. Alcune specie di questo genere, tra cui proprio B. vitis-idaea, sono anche studiate dai biologi come esempio di mutualismo e coevoluzione con alcune falene del genere Epicephala, che impollinano i fiori, assicurando così la produzione di semi vitali, ma depongono anche le loro uova nell'ovario; i semi potrebbero essere distrutti dalle larve, se nonché in alcuni frutti esse abortiscono e non riescono a svilupparsi. Questo meccanismo è stato paragonato al mutualismo obbligato tra il fico e le sue vespe impollinatrici. Tra gli amici olandesi di Linneo, Johannes Burman merita un posto speciale: quasi suo coetaneo, fu il primo a fare la sua conoscenza e il primo a garantirgli un lavoro e ad ospitarlo a casa sua. Ma la loro amicizia non fu senza ombre: nacque con il piede sbagliato e poi si interruppe a lungo, per un motivo che oggi a noi pare futile. Poi ricominciò e non mancarono i riconoscimenti reciproci: Burman fu tra i primi ad adottare le denominazioni linneane e a utilizzare il suo sistema nelle aiuole didattiche dell'orto botanico di Amsterdam; si spinse fino a mandare suo figlio a studiare in Svezia (dopo che per generazioni gli aspiranti medici e botanici svedesi avevano fatto il contrario). Linneo gli riconobbe giustamente il merito di aver dato alle stampe ricerche e opere che senza di lui rischiavano l'oblio. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica (che senza la biblioteca di Burman non sarebbe mai stata scritta) lo ricordò con il curioso genere Burmannia. ![]() Antefatti: successi e disavventure del giovane Linneo Nel 1733, il ventiseienne Linneo trascorse le vacanze di Natale a Falun, ospite della famiglia di uno dei suoi amici e allievi, Claes Sohlberg. Il padre era ispettore minerario e gli fece conoscere un giovane teologo appassionato di scienze naturali, Johannes Browallius, che a sua volta lo introdusse presso il governatore della Dalarna, Niels Reuterholm, dei cui figli era precettore. Reuterholm fu così colpito dal racconto della spedizione di Linneo in Lapponia da commissionargliene una analoga nella Dalarna settentrionale. Il viaggio sarebbe avvenuto nell’estate successiva, quando Linneo percorse oltre ottocento km in compagnia di sette dei suoi migliori studenti. A Falun egli incontrò anche l'amore, nelle vesti di Sara Lisa Moraea, la figlia diciassettenne del medico cittadino Johan Moraeus; quando la chiese in sposa, il dottore fu chiaro: prima di poter parlare di matrimonio, il giovanotto doveva essere nelle condizioni di mantenere la famiglia, quindi doveva laurearsi, e per farlo (all’epoca nessuna università svedese conferiva la laurea in medicina) doveva andare all’estero. D’altra parte, la situazione a Uppsala per Linneo si era fatta difficile. Egli era privo sia di mezzi sia di titoli accademici e doveva la sua posizione di simil-assistente al favore del suo maestro, Olaus Rudebeck il Giovane. Quando era ancora uno studente del secondo anno, quest'ultimo lo aveva accolto a casa sua e lo aveva nominato dimostratore di botanica. Linneo era un insegnante nato e le sue lezioni suscitarono l'entusiasmo degli studenti e l'invidia dei suoi detrattori. Il più accanito era Nils Rosén (1706-1773), che prima dell'arrivo di Linneo era stato l'assistente di Rudbeck che l'aveva spedito in Olanda a laurearsi. Dopo aver studiato per quattro anni a Leida con grandissimi maestri, questo giovane medico brillante (che più tardi sarebbe stato salutato come padre della medicina pediatrica), al suo rientro in patria nel novembre 1731 scoprì che il "cuculo Linneo" aveva occupato il suo nido; inizialmente, fece buon viso a cattivo gioco: come assistente dell'altro professore di medicina, Lars Roberg, tenne le letture di anatomia e medicina pratica e seguì anche le lezioni di botanica del suo rivale. Ma contemporaneamente, cercò di scalzarlo dal suo incarico. Infine, nel 1734 riuscì a convincere il senato accademico a vietargli di fare lezione, in quanto privo di laurea. Colmo di rabbia, Linneo l'assalì spada alla mano; fu trattenuto dagli amici e la cosa finì lì, ma le autorità accademiche furono costrette a espellerlo dalla città. Insomma, era ora di cambiare aria. Così, quando Sohlberg padre gli propose di accompagnare il figlio in un viaggio di studio in Olanda, non esitò ad accettare. Nei bagagli, mise i manoscritti delle sue opere, il tamburo e il costume lappone, e nell’aprile 1735 partì insieme a Claes. In programma, aveva non solo di laurearsi, ma di far conoscere il suo sistema in Europa. ![]() Un'amicizia nata con il piede sbagliato Via Amburgo - dove Linneo aveva trovato modo di suscitare le ire del borgomastro, come ho raccontato in questo post - i due amici arrivarono ad Amsterdam il 2 giugno. Immediatamente Linneo, cui non mancava la faccia tosta, andò a presentarsi a Johannes Burman (1706-1779) che, sebbene avesse solo un anno più di lui, da quattro anni era già professore di botanica e direttore dell'orto botanico. Intendeva mostrargli le sue opere, in particolare quella che diventerà Systema naturae, convinto che l'avrebbe conquistato all'istante. Arrogante e pieno di sé, lasciò invece a Burman una pessima impressione. La seconda tappa olandese di Linneo fu Harderwijk, un diplomificio che concedeva la laurea con notevole facilità. Per sbrigare le formalità e presentare la tesi (ce l’aveva già pronta in valigia) gli bastarono due settimane. Il 23 giugno fu proclamato dottore. Subito dopo, andò a Leida dove visitò l’orto botanico e seguì qualche lezione; i soldi stavano rapidamente finendo e stava per rassegnarsi a tornare in Svezia quando incontrò Jan Frederik Gronovius. Anche a lui mostrò Systema naturae e Gronovius ne fu così entusiasta da finanziarne la pubblicazione. Inoltre lo presentò all'illustre professor Boerhaave; ormai anziano e malato, dopo aver diretto per più di vent'anni l'orto botanico di Leida e aver formato generazioni di medici (incluso Burman) si era ormai ritirato, ma continuava ad esercitare un'autorità indiscussa e a riunire intorno a sé un circolo di studiosi più giovani. Linneo gli fece visita più volte nella sua bella casa di campagna Oud Poelgeest, affascinò anche lui con il racconto delle sue imprese lapponi e ne ottenne una lettera di presentazione per Johannes Burman. Munito di credenziali tanto indiscutibili, circa un mese dopo la prima sfortunata visita, Linneo si presentò di nuovo alla porta di Burman che pensò che forse era stato precipitoso a giudicarlo male; lo mise alla prova chiedendogli di identificare una pianta difficile. Sì, lo svedese di piante si intendeva davvero. Era l’assistente di cui aveva bisogno per completare il suo libro sulla flora di Ceylon: Burman, l'astro nascente della botanica olandese, era infatti impegnato nella prima delle sue imprese editoriali: la pubblicazione dell'erbario singalese di Hermann. Per sei settimane, i due nuovi amici lavorarono fianco a fianco nella fornitissima biblioteca del colto e facoltoso Burman, che abitava in una bella casa affacciata sul prestigioso Keizersgracht. Linneo vi poté attingere liberamente per Biblioteca botanica e Fundamenta botanica e in cambio diede un valido aiuto per identificare, catalogare e descrivere le piante singalesi. Il 13 agosto i due si concessero una gita fuori porta: Burman portò Linneo a visitare De Hartekamp, forse il più bel giardino d'Olanda, di proprietà del ricchissimo George Clifford. Come ho raccontato in questo post, fu così che Linneo trovò un nuovo protettore e Burman accettò di separarsi da lui in cambio di una copia di History of Jamaica di Hans Sloane. Alla fine di settembre Linneo si trasferì a Hartekamp e Burman dovette continuare il lavoro da solo (ma le sue visite a Hartekamp erano frequenti e la corrispondenza fitta) e a settembre terminò la redazione di Thesaurus zeylanicus (pubblicato all’inizio del 1737) in cui descrisse alcune centinaia di piante, elencate in ordine alfabetico e illustrate con 110 calcografie. In un'appendice pubblicò anche i cataloghi delle specie raccolte in Sud Africa da Hermann e da Oldenland e Hartog, raccoglitori dell'orto botanico della VOC a Table Bay. A questo punto, come scrisse a Linneo, lo attendeva un compito che considerava un dovere morale: dare finalmente alle stampe l’Herbarium amboinense di Eberhard Rumphius. Un’impresa enorme, considerando che il grande cieco di Ambon aveva descritto e in gran parte disegnato non meno di 1200 specie. Il primo ostacolo fu convincere la VOC a consegnargli il manoscritto e permettergli di pubblicarlo: l'ubicazione delle piantagioni era un segreto di stato. Più difficile ancora trovare un editore e tanto meno incisori non troppo esosi. Nel 1736 Linneo si sdebitò dedicando Bibliotheca botanica al "celeberrimo e espertissimo dr. Johannes Burman, professore di botanica dell'organizzatissimo orto botanico di Amsterdam"; fu ancora suo ospite prima di lasciare definitivamente l'Olanda nel 1737. Spiace dire che poco dopo i contatti tra i due si interruppero. Sembra che Burman fosse arrabbiato con Linneo (che aveva ospitato, mantenuto e introdotto negli ambienti scientifici) perché non gli aveva mai inviato le piante lapponi che gli aveva promesso. Per circa quindici anni, i due permalosi botanici non si scrissero più, finché riallacciarono i contatti intorno al 1753 (il fatidico anno di uscita di Species Plantarum). Anche per Burman erano stati anni pieni. Nell'attesa di poter mettere mano a Herbarium amboinense, scrisse un libro sulle piante sudafricane, Rariorum Africanarum Plantarum, basato soprattutto sulla collezione di Nicolaes Witsen, un altro collezionista e magnate della VOC. Nel 1739, trovato finalmente un editore disposto a correre il rischio, si accinse all'edizione di Herbarium amboinense, un lavoro che lo avrebbe impegnato per sedici anni: il primo volume uscì nel 1741, seguito da altri cinque a intervalli variabili fino al 1750, con un’appendice (Auctarium) nel 1755. Ricordo che, passato attraverso vicende incredibili, il grande libro di Rumphius, a causa della cecità di quest'ultimo, era stato un gran parte dettato in olandese a diversi collaboratori che non conoscevano il latino; quindi Burman dovette tradurlo e dargli una veste linguistica omogenea. Tra il 1755 e il 1760 fu la volta di Plantarum Americanarum, basato sul manoscritto inedito e sui disegni di Charles Plumier. La sua ultima fatica fu un rifacimento dell’indice di Hortus malabaricus con i nomi linneani (1768). Nel 1755 Burman aveva aggiunto ai suoi doveri l'insegnamento della botanica all'Atenaeum illustre e aveva ormai ripreso a corrispondere regolarmente con Linneo, con reciproco giovamento anche per le collezioni degli orti botanici di Uppsala e Amsterdam. Nel 1760 - una scelta che ha il valore di un passaggio di testimone - decise di mandare a studiare a Uppsala suo figlio Nicolaas Laurens (1734-1793), l’unico allievo olandese di Linneo. Egli avrebbe seguito le orme del padre, pubblicando un’opera generale sulla flora tropicale, Flora Indica, e la monografia Specimen botanicum de geraniis. I due Burman divennero in un certo modo i custodi e diffusori dell'opera di Linneo nei Paesi Bassi: furono tra i primi ad aderire alla nomenclatura e al sistema linneano, Johannes a partire dall’appendice di Herbarium amboinense, Nicolaas Laurens per tutte le sue opere; per loro impulso, le aiuole didattiche dell’orto botanico di Amsterdam furono risistemate seguendo il sistema del grande svedese. E come Johannes aveva lanciato la carriera di Linneo, trentacinque anni dopo padre e figlio furono i protettori e i mecenati di Carl Peter Thunberg, cui procurarono l'ingaggio come medico della VOC che gli avrebbe permesso di diventare il padre della botanica sudafricana e giapponese. ![]() Un genere tropicale per uno specialista di tropicali Johannes Burman è dunque un tipico "botanico da scrivania" il cui grande merito non sta né nelle ricerche sul campo né nell'originalità del pensiero, ma nell'aver messo in circolazioni ricerche e opere altrui che rischiavano di andare sepolte nell'infinito cimitero dei capolavori della botanica mai stampati. Botanico rigoroso con un'ottima preparazione filologica e un'eccellente conoscenza del mondo editoriale, era uno specialista di piante esotiche, quelle stesse che l'orto botanico di Amsterdam, da lui egregiamente diretto per quasi quarant'anni, contribuì più di ogni altro ad acclimatare e diffondere in giardini e piantagioni. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica, già in Hortus Cliffortianus Linneo aveva istituito in suo onore il genere Burmannia, proprio in riconoscimento (e in auspicio) dei suoi meriti editoriali: aver dato alle stampe «con sommo studio e dottrina non mediocre» la prima flora di Ceylon e accingersi a fare lo stesso con l’immenso Herbarium amboinicum, un’impresa che, se gli fosse riuscita, gli avrebbe guadagnato la riconoscenza di tutti i botanici. Linneo avrebbe poi confermato il genere in Species Plantarum; Burmannia dà il nome a una famiglia propria (Burmanniaceae), di cui è il genere più cospicuo; comprende una sessantina di piante erbacee, diffuse nelle aree tropicali e subtropicali tutti i continenti, con massima area di diversità tra Asia sud-orientale e Australia. Di collocazione tassonomica incerta (un tempo era avvicinato alle orchidee, ora si pensa sia più prossimo alle Dioscoreales), sono monocotiledoni con foglie a rosetta e curiosi fiori con i tepali disposti su due giri, quelli esterni più grandi e vistosi, quelli esterni spesso ridotti e minuscoli. Alcune specie sono fotosintetiche, altre sono saprofite che traggono nutrimento delle micorrize di alcuni funghi; queste ultime sono dunque prive di clorofilla e hanno foglie ridotte a scaglie: è un adattamento ai terreni molto poveri e umidi in cui vivono. Qualche approfondimento nella scheda. Nel Seicento, l'Olanda vive il suo secolo d'oro. E' il paese più prospero d'Europa, all’avanguardia nei commerci, nelle scienze, nella cultura, nell’arte. E nei giardini: gli olandesi, sfruttando la loro secolare esperienza nel sottrarre terra al mare, ridisegnano la natura e creano un nuovo modello di giardino, in cui le siepi sagomate dalle forbici dei giardinieri disegnano stanze, padiglioni, teatri di verzura. A differenza del giardino all’italiana, in cui il verde domina, il giardino barocco olandese è colmo di fiori, con parterre multicolori simili ai tappeti persiani tanto amati da Vermeer o Rembrandt. Molti mercanti che si sono arricchiti con i traffici o le industrie investono il loro denaro in tenute di campagna che spesso ospitano vasti giardini, uno status symbol del loro potere e della loro ricchezza. Non possono mancare collezioni di piante esotiche: sono alla base della prosperità dell'Olanda e sono anche il simbolo del suo dominio sul mondo, il segno tangibile di quel nuovo Eden, paradiso in terra ricostruito, che per qualche decennio i Paesi Bassi si illudono di essere. E così non è un caso se Paul Hermann, il più importante botanico olandese del secolo, battezza Paradisus batavus, "Paradiso olandese", il suo libro dedicato alle rarità coltivate in quei giardini. Rarità che molto ha contribuito a introdurre in Europa, prima come esploratore del Capo di Buona Speranza e dell'isola di Ceylon, poi come direttore dell'Orto botanico di Leida. Linneo lo stimava tanto da proclamarlo "principe dei botanici" e da dedicargli, complice Pitton de Tournefort, il genere Hermannia. ![]() Sud Africa, Ceylon... Leida Nel 1658, dopo una lunga guerra in cui intervenne a fianco dei sovrani locali (che ancora non sapevano che stavano per sostituire un occupante con l'altro), la VOC (Verenigde Oost-Indische Compagnie, Compagnia olandese delle Indie orientali) espulse definitivamente il Portogallo da Ceylon (oggi Sri Lanka). Da quel momento, esercitò il monopolio del commercio della cannella dell'isola, la migliore in assoluto. Ma impiegati e ufficiali si ammalavano con allarmante frequenza di malattie sconosciute in Europa che i farmacisti e i chirurghi al servizio della Compagnia non sapevano come curare; le medicine portate dall'Europa nel clima tropicale non sempre servivano e perdevano presto la loro efficacia; era urgente studiare la flora locale alla ricerca di piante medicinali alternative. Un influente uomo politico, Hieronymus van Beverningh, che era anche un accanito collezionista di piante esotiche, e il prefetto dell'orto botanico di Leida Arnold Seyen raccomandarono il giovane medico tedesco Paul Hermann (1646-1695), da poco laureato alla prestigiosa università di Padova; si dice fosse interessato alle piante fin da bambino, quando, a dieci anni, rischiò di annegare per esaminare delle piante acquatiche. I suoi sponsor speravano che, oltre a soddisfare gli obiettivi della Compagnia, potesse anche arricchire le loro collezioni. Dunque, in un certo senso Hermann è il primo cacciatore di piante al servizio di un orto botanico. Partito per Ceylon all'inizio del 1672, ad aprile approfittò dello scalo al Capo di Buona Speranza per raccogliere piante sudafricane; e altrettanto fece durante il viaggio di ritorno, nel marzo del 1680. A parte il precedente della piccola raccolta di Justus Heurnius (che però era un teologo, non un botanico), si tratta del primo contatto di un botanico europeo con la flora del Capo. Con gli esemplari raccolti (circa 800, secondo la testimonianza di Linneo) formò un erbario; spedì semi e bulbi in Olanda, e altri li affidò al chirurgo di bordo Hieremias Stolle, di ritorno in Europa. Questi a sua volta li passò all'anatomista danese Thomas Bartholin che nel 1775 pubblicò la breve nota "Plantae novae Africanae", la prima pubblicazione a stampa dedicata esclusivamente a piante sudafricane. A Ceylon, come "medico ordinario e medico capo" della VOC, Hermann si stabilì a Colombo, sede del quartier generale della Compagnia; creò e diresse un ospedale, esplorò assiduamente la flora dei dintorni, annotando i nomi locali e le proprietà medicinali delle piante. Con questi materiali mise insieme diversi libri di erbari e almeno un volume di illustrazioni (non è certo se di sua mano o di altri anonimi disegnatori); inoltre inviò più volte bulbi e semi in Olanda. Sebbene siano limitate alla zona intorno a Colombo (gli olandesi controllavano solo alcune aree costiere) e includano anche diverse specie coltivate introdotte, le sue raccolte sono impressionanti per quantità e per la qualità delle annotazioni, senza contare l'eccezionale valore storico, trattandosi del primo studioso europeo a esplorare la flora dell'isola, ai suoi occhi un vero Eden. Intorno al 1674 visitò anche brevemente il Malabar dove forse incontrò van Rheede, che potrebbe averlo consultato per il progetto che poi divenne Hortus malabaricus. L'esplorazione della flora singalese diede grande fama a Hermann, tanto che nel 1678, alla morte di Arnold Seyen, i rettori dell'Università di Leida decisero di chiamarlo a succedergli come professore di botanica e prefetto dell'Orto. Hermann accettò e tra la fine del 1679 e l'inizio del 1680 lasciò Ceylon per tornare in Olanda. Nelle sue lezioni, fu il primo botanico olandese a prestare attenzione alla tassonomia; creò anche un proprio sistema, basato sui frutti, che univa e modificava quelli di Ray e Morison. Oltre che a Leida, fu adottato in altri orti botanici, tra cui Uppsala ai tempi di Rudbeck il vecchio. Deciso a fare dell'Orto di Leida il migliore d'Europa, solitamente dedicava le pause accademiche a viaggi in altri paesi europei per consultare colleghi e appassionati e procurarsi piante; nel 1682 fu in l'Inghilterra, dove visitò tra l'altro gli orti botanici di Oxford e Chelsea, e ne riportò più di 200 piante vive (soprattutto nord americane); nel 1688 andò a Parigi ad incontrare Tournefort; qui strinse amicizia con l’inglese William Sherard, che decise di seguirlo a Leida. Dal 1686, assunse anche l'insegnamento di medicina pratica. Durante la sua gestione, l'orto botanico di Leida divenne il principale centro europeo di acclimatazione e diffusione delle piante provenienti dalle colonie americane, africane e asiatiche. Oltre alle sue introduzioni dirette dall'India e dal Sud Africa, poté sfruttare i suoi contatti con la VOC e con i principali collezionisti olandesi, nonché con l'Inghilterra e la Francia, per triplicare le collezioni (il suo catalogo del 1687 registra tremila specie, contro le circa 800 di inizio secolo); molte erano subtropicali o tropicali. Nel 1681, fu tra i primi a sperimentare una serra riscaldata. ![]() Olanda, un secondo Eden? Hermann morì nel 1695 a soli 49 anni (qui una sintesi biografica), lasciando incomplete e inedite diverse opere; l’unico suo libro pubblicato in vita fu infatti il catalogo dell’orto botanico di Leida (1687). Quella a cui teneva di più, e a cui lavorava da diversi anni, era Paradisus batavus, un catalogo illustrato delle piante di recente introduzione nei giardini olandesi. Già nel 1689 l'affezionato Sherard ne aveva pubblicato l’indice, e alla morte inaspettata del maestro e amico si assunse il compito (ingrato, visto lo stato del manoscritto) di curarne la pubblicazione; a spese della vedova di Hermann, l’opera uscì in una prima edizione relativamente economica in ottavo nel 1695, e in una seconda più pregevole edizione in quarto nel 1705 . Entrambe comprendono un centinaio di calcografie, su disegni in gran parte di mano dello stesso Hermann; per numerose specie, si tratta della prima immagine a stampa. Nonostante sia un lavoro diseguale (a causa della morte dell’autore, le piante sono trattate in modo variamente esteso e in alcuni casi l'illustrazione è priva di note d'accompagnamento) è di estremo interesse per la storia dell’introduzione delle piante orticole; tra di esse, come ho raccontato in questo post, le prime due orchidee tropicali coltivate in Europa. Ma è anche un documento in presa diretta della civiltà olandese del giardino nel secolo d’oro. Tra i giardini citati, oltre agli orti botanici di Leida e Amsterdam e a quelli principeschi di William e Mary (divenuti sovrani d’Inghilterra nel 1689, in seguito alla gloriosa rivoluzione), quelli di importanti uomini politici: il suo protettore Hieronymus van Beverningh, il segretario degli stati d’Olanda Simon van Beaumont, il pensionario di Haarlem Gaspar Fagel, il ciambellano Willem Bentinck (poi primo duca di Portland). Per questi uomini di potere, i giardini e il collezionismo di piante esotiche e rare avevano un preciso significato ideologico: come leggiamo in Den Nederlandtsen Hovenier , il popolare manuale di giardinaggio scritto da Jan van der Groen (circa 1635-1672), capo giardiniere dello statolder, la caduta di Adamo aveva reso imperfetta la natura, ma l’arte, la domesticazione e l’ordine potevano restituire la perfezione perduta e i giardini erano la prova materiale della riuscita dell’impresa. Il titolo del libro di Hermann, Paradisus batavus «paradiso olandese», si rifà esplicitamente a questa ideologia. Nel 1717, le note di campo scritte da Hermann a Ceylon furono pubblicate, sempre da Sherard, sotto il titolo Musaeum Zeylanicum. Ma per la storia della botanica sono molti più importanti gli erbari. Hermann aveva raccolto centinaia di esemplari sia per sé, sia per i suoi sponsor; al rientro da Ceylon, consegnò almeno un libro d’erbario a Beverningh e un altro a Jan Commelin, direttore dell'orto botanico di Amsterdan. Dopo la sua morte, la vedova, probabilmente per finanziare la stampa di Paradisus batavus, vendette il resto all’asta. Per cinquant’anni, se ne perse ogni traccia, finché nel 1744 giunsero nelle mani del farmacista reale danese August Günther cinque volumi, quattro d’erbario e uno di disegni. Günther li prestò a Linneo, che se ne servì sia per la sua unica pubblicazione sulla flora asiatica, Flora Zeylanica, sia per le piante singalesi di Species plantarum. Dopo diversi altri passaggi, il prezioso erbario fu acquistato da Joseph Banks e fa oggi parte delle collezioni del Natural History Museum di Londra. Il volume appartenuto a Commelin fu invece studiato dal botanico olandese Johannes Burman per il suo Thesaurus Zeylanicus. ![]() Deliziose (e misconoscite) Hermanniae Hermann era stimatissimo dai botanici della generazione immediatamente successiva: Boerhaave lo definì «incomparabile per la conoscenza delle piante», Johannes Burman lo chiamò «sommo lume dell’Università di Leida». Quanto a Linneo, che premise a Flora Zeylanica una biografia di Hermann così elogiativa da sconfinare nella agiografia, lo salutò «principe dei botanici», un titolo che di solito riservava a se stesso, e scrisse: «Non c’era al mondo un botanico pari a Hermann per i meriti e le scoperte» . Grande stima ne aveva anche Tournefort che gli dedicò il genere Hermannia , sulla base dell’unica specie allora nota (nome attuale Hermannia hyssopifolia), una delle acquisizioni sudafricane di Hermann; il genere fu poi fatto proprio da Linneo . Hermannia L. della famiglia Malvaceae è un grande genere soprattutto sudafricano, dunque perfetto per celebrare il primo esploratore della flora del Capo. A parte una specie australiana e pochissime specie distribuite tra Messico e zone adiacenti degli Stati Uniti, buona parte delle circa 160 specie sono africane, 81 delle quali endemiche del Sud Africa, soprattutto delle province del Capo occidentale e settentrionale. Il genere è molto vario, e si è adattato a un’altrettanto grande varietà di ambienti. Sono piante erbacee o piccoli arbusti, spesso striscianti. Le specie che vivono nel veld tendono a lignificare alla base e a formare un fusto legnoso sotterraneo, in grado di superare i periodi di siccità o anche gli incendi. Anche se sono poco utilizzate nei giardini, molte specie sono assai decorative grazie alle masse di fiori penduli a campana, spesso in delicati colori pastello. Ne troverete una piccola selezione nella scheda. E' piuttosto inconsueto che un botanico affermato, professore universitario e membro dell'Accademia delle scienze del proprio paese, a cinquant'anni suonati parta per una pericolosa spedizione scientifica ai tropici. Eppure il professor de Vriese, quando il parlamento olandese gli chiede di andare in missione in Indonesia, non esita a partire, forse affascinato dalla prospettiva di vedere nel loro ambiente naturale le piante che studia da sempre in erbari e serre. Non sa ancora che il prezzo da pagare sarà la sua stessa vita. Rivolgetegli un pensiero quando ammirate la fioritura delle piante che lo celebrano, le bellissime Vriesea. ![]() L'uomo giusto al momento giusto Impressionato dalle rivoluzioni che scuotono l'Europa, nel marzo 1848 il re d'Olanda Guglielmo II decide di trasformare il paese in una monarchia costituzionale. A capo della commissione che dovrà elaborare il testo della nuova costituzione, non esista a nominare Johan Rudolph Thorbecke, il leader dei liberali; proclamata il 3 novembre dello stesso anno, la costituzione prevede tra l'altro elezioni dirette con voto segreto, limitazioni del potere del sovrano, maggiore autonomia delle province, libertà di religione. Per la prima volta, il parlamento ottiene la giurisdizione sulle colonie, fino ad allora sotto l'esclusiva autorità del re. In Indonesia, i liberali al potere, fautori del liberismo economico, vorrebbero spezzare il sistema delle coltivazioni forzate, introdurre un'economia basata sul lavoro libero e aprire le Indie olandesi al capitale privato. Al di là delle petizioni di principio, devono muoversi con cautela perché dal batig slot, ovvero dai proventi versati al tesoro da quelle colonie, dipende larga parte del bilancio statale. Una soluzione per alleggerire le terribili condizioni dei contadini giavanesi, senza mandare in crisi il bilancio olandese, potrebbe essere l'introduzione di coltivazioni coloniali più redditizie, come sta facendo in quegli anni l'Impero britannico in India. E' in questo contesto che il governo olandese nel 1852 invia in Perù il botanico J.C. Hasskarl per cercare di procurarsi pianticelle di Cinchona, la pianta da cui si ricava il chinino, da introdurre a Giava; nel 1854 egli è di ritorno in Indonesia con un carico di virgulti che trapianta nell'orto botanico di Bogor/Buitenzorg. Non è un'iniziativa isolata. Nel 1857 il parlamento olandese decide di inviare in Indonesia un esperto di agronomia tropicale per studiare l'economia agricola delle isole e valutare le strategie migliori per affrancarla dal regime delle coltivazioni forzate. La scelta cade su Willem Hendrik de Vriese, professore di botanica dell'università e direttore dell'orto botanico di Leida. Come leggiamo nell'atto di nomina, approvato dal re, egli dovrà individuare le produzioni esotiche più adatte ai diversi climi delle isole e ricercare le piante native più utili per "le arti e il commercio". De Vriese era la persona perfetta per questo compito, per la sua profonda conoscenza della flora indonesiana e per i numerosi studi dedicati alle piante esotiche utilitarie. Medico, aveva insegnato botanica dapprima ad Amsterdam, poi a Leida, dove era succeduto a Reiwardt. Già esperto di piante esotiche, aveva particolare dimestichezza con la flora indonesiana per aver catalogato le piante raccolte dal suo predecessore e aver curato la pubblicazione del suo diario di viaggio in Plantae Indiae Batavae Orientalis : quas, in itinere per insulas archipelagi indici Javam, Amboinam, Celebem, Ternatam, aliasque, annis 1815-1821 exploravit Casp. Georg. Carol. Reinwardt (1856). Tra il 1855 e il 1856 pubblicò anche un'opera illustrata in tre volumi di orticultura e floricoltura (Tuinbouw-flora van Nederland en zijne overzeesche bezittingen) in cui le piante esotiche hanno larga parte. Gli si devono anche due importanti monografie su Rafflesia e sulle Marattiaceae (con Pieter Harting); era anche un esperto di felci e orchidee. Negli anni cinquanta, egli dedicò poi una serie di saggi a importanti piante tropicali di cui propugnava l'introduzione nelle colonie olandesi: nel 1855 Cinchona, nel 1856 Vanilla e Cinnamomum camphora. ![]() Un faticoso periplo tra le isole Il 28 ottobre 1857 de Vriese si imbarcò a Marsiglia alla volta dell'oriente; lo accompagnava il chimico de Vry, incaricato di studiare i principi attivi della Cinchona coltivata a Bogor. La prima tappa fu Ceylon, dove il botanico olandese studiò le piantagioni di caffè, all'epoca tra le più importanti del mondo; solo qualche anno più tardi, devastate da Hemileia vastatrix, sarebbero state sostituite dal tè. All'inizio dell'anno, via Singapore, si spostò a Giava, che visitò quasi per intero nel corso del 1858 e della prima metà del 1859; a questo punto si unì a Johannes Elias Teijsmann, il capo giardiniere di Buitenzorg/Bogor, con il quale visitò la parte orientale dell'isola e la desolata Madura. Teijsmann sarà ancora il suo compagno di viaggio in una impegnativa spedizione nelle Molucche, sulla quale siamo più informati grazie alla relazione che ce ne ha lasciato. Imbarcatisi a Surabaya il 15 dicembre, all'inizio del 1860 i due viaggiatori fecero scalo per qualche giorno a Makassar nell'isola di Celebes (oggi Sulawesi); si spostarono subito a Timor, dove si trattennero appena un giorno a Kupang, per poi passare a Dili e alle isole Banda: una visita doverosa, anche se ormai avevano perso l'importanza strategica che avevano rivestito per gli olandesi nell'arco di due secoli. Dal 1621 al 1810, come unico luogo al mondo dove si coltivava Myristica fragrans, avevano garantito all'Olanda il lucroso monopolio della produzione di noce moscata e macis. Un monopolio infranto dall'occupazione britannica del 1810: restituendo le isole dopo il Congresso di Vienna, gli inglesi si erano premurati da fare incetta delle preziose pianticelle, trapiantate con successo a Ceylon e in altre colonie. Ormai più importante la tappa successiva, Ambon, antico centro del commercio delle spezie, promettente per il suolo fertile e la varietà di ambienti naturali. Nei primi mesi del 1860, i due botanici vi stabilirono il loro quartier generale per l'esplorazione delle Molucche settentrionali. La prima spedizione fu dedicata alla piccola isola di Saparua ma soprattutto a Ceram (oggi anche Seram), dove de Vriese e Tejismann poterono dismettere i panni di agronomi e ispettori per tornare ad essere botanici. Ancora in gran parte ricoperta dalla foresta pluviale, questa isola dove gli animali e le piante dell'Asia si incontrano con quelli dell'Australia, con un clima caldo umido e un'intricata topografia montagnosa, dovette essere per de Vriese quasi il luogo dei sogni, dove studiare nel loro ambiente naturale le piante che amava di più: in primo luogo le felci, una delle sue specialità (oggi nell'isola si calcola ne vivano oltre 700 specie), ma anche le orchidee e le piante officinali, la cui ricognizione era uno degli obiettivi della sua missione. Nei mesi successivi fu la volta di Buru, quindi Ternate (in entrambe queste isole scalarono anche alcune cime), Tidore, Halmahera e numerosi isolotti. Ad aprile erano a Bacan, quindi, ormai sulla via del ritorno si spostarono a Celebes, dove si trattennero fino a giugno, visitando molte località delle regioni settentrionali. Alla fine del mese, erano di ritorno a Surabaya. Dato che da questo momento si separò da Tejismann, conosciamo meno dettagliatamente i viaggi successivi di de Vriese. Nella seconda parte del 1860 fu in Borneo e poi di nuovo a Giava, dove visitò le regioni centrali trascurate l'anno precedente; poi si spostò a Sumatra, dove si trovava all'inizio del 1861. Fu da Sumatra che probabilmente si imbarcò per l'Olanda, con la salute ormai compromessa da un'avventura tanto faticosa per un uomo che aveva superato la cinquantina. Al suo rientro in patria, nel marzo 1861, ebbe il dolore di perdere la moglie; ormai gravemente malato, non poté né riprendere la carriera universitaria né pubblicare i risultati della sua missione, morendo dieci mesi dopo il ritorno. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Intanto, il progetto di valorizzare le Indie orientali olandesi con l'introduzione di nuove specie andava avanti. Pur tra polemiche e mille difficoltà, la sperimentazione della coltivazione di Cinchona proseguì con successo e entro fine secolo l'Olanda si era assicurata il monopolio della produzione mondiale di chinino; intorno al 1860, a Sumatra arrivò il cacao e all'inizio del Novecento l'albero della gomma, Hevea brasiliensis. A guadagnarci, però, non furono certo i contadini indonesiani. ![]() Vriesea, bellezza tropicale Molto prima della faticosa missione che gli sarebbe costata la salute e la vita, il professor de Vriese si era già fatto un nome negli ambienti della botanica europea. Infatti, nel 1843, quando egli insegnava ancora a Amsterdam, John Lindley, separando da Tillandsia una specie brasiliana, T. psittacina, creò il genere Vriesea in suo onore con la seguente dedica: "Ho così colto l'opportunità di onorare i meriti del dottor W. de Vriese, professore ad Amsterdam, un eccellente botanico e fisiologo". Vriesea è oggi uno dei generi più importanti e il secondo per numero di specie della famiglia Bromeliaceae (circa 250). Per lo più epifite, vivono in foreste umide anche d'altura dal Messico al Brasile. Dato che si adattano bene alla limitata luminosità delle nostre case, sono anche una tra le più popolari piante d'appartamento, grazie alla bellezza della foglie, spesso elegantemente variegate, e delle infiorescenze a forma di spiga, che si fanno notare per le brattee dai colori squillanti da cui sporgono i fiori tubolari, spesso in colore contrastante; un'accoppiata frequente è data dal rosso e dal giallo. Anche se alcune specie (come V. carinata o V. hieroglyphica) sono abbastanza coltivate, a dominare il mercato sono soprattutto gli ibridi; da questo punto di vista, del resto, tra le Bromeliaceae Vriesea vanta un duplice primato: è stato il primo genere ad essere ibridato con successo, ed attualmente è quello con un maggior numero di ibridi. Per la cronaca, il primo fu prodotto in Belgio nel 1879 da Eduard Morren, curatore dell'Orto botanico di Liegi incrociando V. psittacina e V. carinata. Altre notizie nella scheda. In mezzo a tanti zoologi e a qualche geologo, Pieter Willem Korthals fu l'unico botanico di formazione tra i membri della Natuurkundige Commissie. Con all'attivo sei anni di esplorazioni a Giava, Sumatra e Borneo e una collezione di oltre 1000 specie, diede un contributo importantissimo alla conoscenza della flora dell'Indonesia che meriterebbe di essere più noto. Ma, egli stesso primo critico dei risultati raggiunti, a 35 anni preferì ritirasi a vita privata per dedicarsi alla "filosofia speculativa". A ricordarlo nelle denominazioni botaniche, i generi Korthalsia e Korthalsella. ![]() Il prototipo delle guerre coloniali Tra il 1825 e il 1830, a Giava gli olandesi dovettero affrontare una vera e propria guerra che, oltre a mettere a dura prova il loro controllo dell'isola, li spinse a mutare profondamente la loro politica nell'intera Indonesia, con conseguenze anche per le attività dei naturalisti della Natuurkundige Commissie. Il sistema di tassazione, introdotto dagli inglesi e mantenuto dal governo olandese, che aveva imposto il pagamento di tasse ai contadini (prima, la Compagnia delle Indie olandesi si limitava ad acquistare i prodotti dai signorotti locali, che li ottenevano dai contadini in cambio dell'uso delle terre, con un sistema analogo alla mezzadria), aveva infatti destato il malcontento tanto dei proprietari quanto dei contadini. Saldandosi con motivazioni dinastiche e religiose, sotto la guida del principe Diponegoro di Yogyakarta, nel 1825 nelle regioni centrali dell'isola scoppiò una rivolta generale che tenne a lungo in scacco l'esercito olandese e fu domata solo con tecniche di antiguerriglia e una politica della terra bruciata che costò ai giavanesi almeno 200.000 vittime (e tra 8000 e 15000 agli olandesi). Terminata la rivolta con la cattura di Diponegoro, il governo olandese cercò di consolidare il proprio potere eliminando le cause del malcontento; il sistema di tassazione fu soppresso, e ai contadini giavanesi fu imposto il sistema delle coltivazioni forzate (cultuurstelsel) che li obbligava a scegliere fra riservare un quarto delle proprie terre a coltivazioni destinate all'esportazione, versando i ricavi al governo olandese, oppure prestare lavoro gratuito per un quarto del loro tempo in piantagioni governative. Contemporaneamente, il sostegno delle aristocrazie locali venne recuperato, cooptandone i membri nell'amministrazione delle piantagioni. La generalizzazione del sistema delle coltivazioni forzate implicava un più capillare controllo del territorio (prima, gli olandesi si erano stabiliti essenzialmente nelle località costiere) e una migliore conoscenza delle risorse agricole locali. Inoltre, le enormi spese sostenute per sconfiggere i ribelli (il debito della colonia era raddoppiato, passando da 20 a 40 milioni di fiorini) inducevano il governo a completare la conquista delle aree della regione indonesiana (in particolare Sumatra e Borneo), la cui sovranità olandese era stata riconosciuta dal trattato anglo-olandese del 1824. Queste nuove circostanze spiegano perché, dopo un decennio in cui i membri della Natuurkundige Commissie, la commissione di scienziati inviata ad esplorare i territori delle Indie orientali olandesi, erano stati soprattutto zoologi (riflettendo gli interessi scientifici del direttore della Commissie, l'ornitologo C.J. Temminck), si decise di puntare nuovamente su un botanico, coinvolgendo nella scelta il neonato erbario nazionale di Leida. Il prescelto fu il giovane botanico Pieter Willem Korthals, che da qualche tempo lavorava proprio all'erbario. Il suo compito sarebbe stato triplice: esplorare la flora di Giava (e delle altre isole), inviando in Olanda le specie più rare; conoscere meglio il territorio e le sue risorse naturali e umane; ispezionare le piantagioni governative e individuare le strategie migliori per accrescerne la produttività. ![]() Dall'esplorazione dell'arcipelago alla filosofia Entrato a far parte della Commissie nel 1830, Korthals fu immediatamente inviato a Parigi, a visitare l'erbario nazionale, in che si facesse un'idea delle specie già note (per ragioni sia di prestigio sia di eventuale sfruttamento commerciale, si puntava soprattutto sulle novità). Si imbarcò poi per Giava, insieme ai preparatori D.H.T. van Gelder e B. N. Overdijk, chiamati a sostituire l'ottimo van Raalten morto in Borneo. Giunto a Giava nell'aprile 1831, a Buitenzorg incontrò i superstiti della Natuurkundige Commissie: Macklot, S. Müller e van Oort. Con loro, già a maggio prese parte a un giro lungo la costa nord, per poi rientrare dalla costa sud. Korthals sarebbe rimasto nelle Indie orientali olandesi per quasi sette anni, partecipando a numerose spedizioni, prima a Giava, poi a Sumatra e infine in Borneo. Grazie ai suoi puntigliosissimi diari di campagna (in cui annotava con scrupolo non solo le caratteristiche delle piante e del loro habitat, ma anche una massa di informazioni geografiche e etnografiche) conosciamo bene i suoi movimenti, anche se per noi non è facile seguirli visto che molti toponimi hanno cambiato nome. Tra la seconda metà del 1831 e la prima metà del 1833, accompagnato ora da questo ora da quel membro della Commissione, visitò estesamente Giava, alternando alle escursioni naturalistiche l'ispezione delle piantagioni; scalò molte montagne, che con le loro pendici ricoperte di foresta pluviale erano una fonte inesauribile di scoperte botaniche, esplorò crateri vulcanici, risalì fiumi e visitò fonti termali. Nel giugno 1833, con S. Müller, van Oort e van Gelder, si imbarcò per Sumatra. Se, dopo la fine della rivolta, Giava era relativamente pacificata e ormai sotto il controllo olandese, la situazione a Sumatra era ben diversa. Nel nord del paese c'era un potente stato indipendente, il sultanato di Aceh e la presenza olandese, limitata all'area centro-occidentale, era recentissima. Fin dal 1803 tra i Minangkabau, il principale gruppo etnico di Sumatra occidentale, era scoppiata una guerra civile tra la nobiltà Adat, la quale difendeva una concezione sincretica dell'Islam e il diritto consuetudinario che conservava elementi preislamici, e i Padri, musulmani integralisti che avrebbero voluto imporre la legge coranica; gli olandesi intervennero nel 1821, su richiesta degli Adat, iniziando una dura guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1837 con la sottomissione dei Padri. Era dunque un paese in guerra quello che fu visitato dai nostri naturalisti tra la fine di giugno 1833 e il gennaio 1836; per forza di cose, si mossero principalmente tra i dintorni di Padang (il più importante centro della costa occidentale) e la catena di fortilizi che gli olandesi avevano costruito a partire dal 1825 per tenere sotto controllo i territori faticosamente strappati ai nemici- che spesso preferivano incendiare i propri villaggi piuttosto che arrendersi. Con l'eccezione delle escursioni di Jack nell'area di Bencoolen, erano i primi naturalisti ad esplorare la natura di Sumatra. Il bottino per il nostro Korthals fu particolarmente ricco di specie ignote alla scienza. La sua scoperta forse più importante fu probabilmente il kratom, una pianta largamente usata nella medicina tradizionale, con effetti calmanti in grado di sostituire l'oppio senza provocare dipendenza, da lui ribattezzato Mitragyna speciosa. Nel 1835, il gruppo dei naturalisti si arricchì di un nuovo arrivo, il geologo svizzero Ludwig Horner, che spesso accompagnò Korthals collaborando anche alla raccolta di esemplari botanici. Ma pochi mesi prima c'era stata anche una perdita dolorosa: quella del pittore Pieter van Oort che, quando già pensava di ritornare a casa, nel maledetto mese di settembre era morto anche lui di malaria, come tanti altri membri della Commissie. A gennaio 1836, dopo aver brevemente visitato l'Isola Rat (Pulau Tikus) e Bencoolen, il gruppo rientrò a Giava, dove si trattenne però pochi mesi. A luglio si reimbarcarono per il Borneo, di cui tra agosto e dicembre esplorarono le regioni sudoccidentali. Per Korthals e Müller, a parte una breve escursione, di nuovo a Giava, nei primi mesi del 1837, fu l'ultima avventura: ad aprile lasciarono definitivamente l'Indonesia, per rientrare in Olanda ad agosto. Korthals tornava a casa dopo quasi sette anni. Per Müller gli anni di lontananza erano stati dodici, ed era l'unico sopravvissuto del suo gruppo. Il loro destino successivo fu alquanto diverso: Müller, che aveva iniziato la sua carriera come tecnico tassidermista, sul campo era diventato un grande zoologo; ottenuta la cittadinanza olandese, lavorò assiduamente al Museo di storia naturale di Leida per classificare e pubblicare le imponenti collezioni zoologiche accumulate durante i suoi viaggi; nel 1850, quando la Commissione fu sciolta, si trasferì a Friburgo in Bresgovia, continuando a pubblicare libri sull'arcipelago indonesiano, di cui era riconosciuto come uno dei massimi esperti. Korthals avrebbe potuto fare lo stesso all'erbario nazionale, ma a soli 35 anni lasciò la botanica militante e rinunciò a pubblicare le sue scoperte per dedicarsi a quella che un contemporaneo definì "filosofia contemplativa". Ci ha lasciato solo alcuni articoli di taglio prevalentemente geografico su Giava e Sumatra e la monografia Over het geslacht Nepenthes (1839), di grande importanza storica per essere la prima dedicata alle Nepenthes tropicali; è un opuscolo di una quarantina di pagine, splendidamente illustrato, in cui si passano in rassegna nove specie, tre delle quali descritte per la prima volta. Una sintesi della sua vita, lunga ma molto oscura dopo il ritiro, nella sezione biografie. ![]() Palme rampicanti e formiche Anche se non pubblicato da lui (saranno altri studiosi, e in particolare Miquel, a cogliere i frutti delle sue fatiche sul campo) il contributo di Korthals alla conoscenza delle flora dell'Indonesia, in particolare di Sumatra, è immenso (oltre 1000 specie) e di grande qualità scientifica. Così, nonostante il suo gran rifiuto, non mancarono i riconoscimenti. Oltre a varie specie contrassegnate dallo specifico korthalsii, gli furono dedicati due generi tuttora validi, Korthalsia e Korthalsella. Korthalsia è un tardivo omaggio (siamo nel 1884 e da molti anni Korthals contempla filosoficamente il mondo) del suo ex principale, Carl Ludwig Blume, che lo determinò sulla base di esemplari raccolti da Korthals stesso in Indonesia. Questo genere della famiglia Arecaceae (un tempo Palmae) fa parte di un gruppo di palme rampicanti dal fusto molto sottile e flessibile, noto come rattan (sì, proprio quello con cui si fanno i mobili). Comprende una trentina di specie diffuse esclusivamente nelle foreste pluviali tropicali dei paesi che si affacciano sullo stretto della Sonda, con qualche propaggine in Indocina e nelle isole Andamane. Per le particolari esigenze climatiche è raramente coltivato; del resto presenta fusti molto spinosi e con nodi irregolari, poco adatti quindi alla fabbricazione di oggetti. La particolarità più curiosa delle Korthalsiae è l'associazione in simbiosi mutualistica con le formiche del genere Camponotus; queste ultime nidificano nelle guaine fibrose e rigonfie che si trovano lungo il tronco, soprattutto nella parte basale, e vi allevano delle cocciniglie che si nutrono della linfa delle palme, producendo a loro volta un fluido dolce di cui si cibano le formiche. Gli studi hanno dimostrato che anche le palme ne hanno un vantaggio, perché la presenza delle formiche le protegge dagli erbivori; questi insetti, molto aggressivi, hanno infatti sviluppato un sistema di allarme, una specie di vibrazione che producono battendo gli addomi contro la base delle foglie secche, che avverte che stanno per scatenare un doloroso attacco in massa, sufficiente a scoraggiare chi ne abbia già fatto l'esperienza. Non stupirà scoprire che tra le piante epifite associate alle Korthalsiae ci sono anche alcune Nepenthes, che a loro volta offrono alle formiche ottimi luoghi di nidificazione. Qualche informazione in più nella scheda. ![]() Piante parassite e uccelli oceanici Non meno curioso, sebbene per altri motivi, è il genere Korthalsella; a crearlo poco dopo la morte di Korthals (avvenuta in tarda età nel 1892) fu il botanico francese P.E.L. van Tieghem, che lo separò da Viscus. Come il vischio (entrambi i generi, un tempo classificati nella famiglia Viscaceae, sono oggi assegnati alle Santalaceae) le Korthalsellae sono piante parassite che germinano sui rami della pianta ospite e vi vivono a sue spese; in tutte le specie (da 7 a 30, secondo diversi autori) le foglie sono ridotte a scaglie e i fusti, definiti cladodi, sono rigonfi e appiattiti; in genere sono molto piccole (non più di una decina di centimetri) e possono essere scambiate per escrescenze dell'ospite. Singolare è anche la distribuzione geografica; da questo punto di vista, vengono divise in due grandi gruppi: il primo è distribuito in un'area continua che va dal Corno d'Africa alla Nuova Zelanda, passando per il subcontinente Indiano, la Cina, l'Indocina, l'Indonesia e l'Australia; il secondo comprende quasi esclusivamente isole separate tra loro da centinaia e migliaia di chilometri, dal Madascar a occidente fino alle isole del Pacifico comprese le Hawaii a oriente. Secondo gli studiosi, la dispersione dei semi di Korthalsella in entrambi i casi è effettuata da uccelli; i loro frutti sono infatti piccole bacche che si aprono in modo esplosivo, espellendo con violenza minutissimi semi appiccicosi che aderiscono alle piume e ai piedi dei pennuti. Gli agenti della dispersione però variano da un gruppo all'altro: per le specie a distribuzione continentale, uccelli delle comunità locali; per quelle a distribuzione oceanica, uccelli marini, che percorrono grandi distanze e nidificano prevalentemente sulle coste di piccole isole, visitando raramente le regioni interne. Altri approfondimenti nella scheda. Non sono d'accordo con Victor Hugo; certamente, il vero eroe di Waterloo non fu Napoleone, né Welligton, né Blücher; ma neppure Cambronne. Secondo me fu il medico (e botanico) olandese Sebald Justinus Brugmans, che con competenza e un'incredibile capacità organizzativa riuscì a salvare la vita a migliaia di soldati feriti, amici o nemici che fossero. A ricordarlo un genere di piante spettacolari e molto amate, Brugmansia (anche se da più di 200 anni continuano ad essere confuse con Datura). Ma vi rivelerò tutti i trucchi per distinguerle senza fallo, senza più correre il rischio di confondere le trombe degli angeli con quelle del diavolo. ![]() Una vita al servizio delle vittime di guerra Se non gli fosse toccato di vivere negli anni turbolenti della rivoluzione francese e dell'epopea napoleonica, forse Sebald Justinus Brugmans sarebbe stato un dotto professore universitario come tanti. Figlio d'arte, con una preparazione enciclopedica che spaziava dalla filosofia alla medicina, dalla chimica alla botanica, aveva iniziato in giovane età una carriera accademica di successo che nel 1786 (aveva solo ventisei anni) lo portò a occupare la prestigiosa cattedra di botanica dell'Università di Leida (che implicava la direzione dell'orto botanico), cui l'anno dopo si aggiunse quella di scienze naturali. Ma la sua vita di brillante studioso cambiò a partire dall'inverno 1793-94. In seguito all'occupazione francese dei Paesi Bassi austriaci, feriti e malati degli eserciti di Gran Bretagna e Hannover affluirono in Olanda, in particolare a Leida dove nell'antico lazzaretto fu organizzato un ospedale temporaneo. La struttura organizzativa fu creata quasi dal nulla proprio da Brugmans, che, oltre ai medici cittadini, vi coinvolse anche i suoi studenti; colpito dall'alto tasso di mortalità tra quegli sventurati, incominciò inoltre a studiare il legame tra sovraffollamento, condizioni igieniche, infezioni ospedaliere. Da quel momento, anche se continuava la carriera accademica (gli vennero assegnate pure le cattedre di medicina e di chimica, e più tardi fu anche rettore), il centro dell'attività di Brugmans divenne l'organizzazione degli ospedali militari, sotto i diversi regimi che si susseguirono in quell'irrequieto ventennio (la Repubblica batava dal 1795, il Regno d'Olanda dal 1806 al 1810, l'annessione all'Impero dal 1810), fino ad essere nominato settimo Ispettore generale dei servizi medici dell'esercito napoleonico. Ancora due volte fu chiamato a organizzare strutture ospedaliere in momenti d'emergenza: nel 1799, a nord di Ijmuden, a favore dei soldati britannici e russi; nel 1809, per soccorrere le vittime del bombardamento di Vlissingen da parte della Marina britannica. Come responsabile degli ospedali militari olandesi, riuscì a diminuire fortemente l'incidenza della mortalità ospedaliera, intervenendo sul regime quotidiano dei pazienti e sulle condizioni igieniche. Soprattutto, divenne un esperto nella prevenzione della cosiddetta "cancrena ospedaliera", ovvero delle devastanti infezioni che colpivano un'altissima percentuale di feriti dopo l'intervento operatorio. In un'epoca in cui ancora non si sapeva nulla di virus e batteri, i chirurghi operavano infatti in condizioni igieniche precarie: in sale spesso affollate, lavoravano senza guanti e spesso senza lavarsi le mani tra un intervento e l'altro; gli strumenti chirurgici non venivano disinfettati, ma ripuliti alla bell'e meglio con un panno sempre più sporco; non di rado si usavano fasciature già usate e mai sterilizzate. La conseguenza è che circa la metà degli amputati o dei pazienti con ferite lacere moriva tra atroci sofferenze. Pur essendo convinto, come i suoi contemporanei, che la malattia fosse dovuta ai "miasmi" (ovvero a gas venefici) presenti nell'aria dei cameroni sovraffollati, Brugmans fu il primo a capire che si trasmetteva in qualche modo da un paziente all'altro e che aveva un legame con le condizioni igieniche; riuscì così a diminuirne drasticamente l'incidenza prescrivendo misure come la ventilazione dei locali, una distanza adeguata tra un letto e l'altro, l'isolamento dei pazienti infetti e la disinfezione dei materassi e delle bende. Nel 1814 scrisse un trattato sull'argomento, che riscosse grande attenzione e aprì la strada agli studi successivi (che sarebbero culminati con le scoperte di Lister). Nell'autunno del 1813, l'Olanda conobbe un ultimo rivolgimento politico: un moto rivoluzionario cacciò i francesi, riportando sul trono i Nassau-Orange; Brugmans fu epurato, perdendo d'un colpo le sue quattro cattedre universitarie e le funzioni di rettore dell'Università di Leida e di ispettore generale del servizio sanitario. Ma dopo appena un anno fu riabilitato, richiamato a Leida (nella facoltà di Matematica e scienze naturali) e reintegrato a capo del servizio sanitario militare. Fu così che a Waterloo conquistò il suo maggiore titolo di gloria. La battaglia di Waterloo, combattuta il 18 giugno 1815, durò oltre dieci ore e fu assai cruenta. Al termine della giornata, sul campo giacevano 10.000 cavalli e i corpi di 40.000 tra morti e feriti. Per organizzare il soccorso dei circa 27.000 feriti, il neo re d'Olanda, Guglielmo I, diede ordine a Brugmans di recarsi immediatamente a Bruxelles. Arrivato in città il giorno successivo, il medico trovò così tanti feriti (britannici, prussiani, russi, olandesi e francesi) che per ricoverarli non bastavano né gli ospedali né le chiese né le caserme, ma molti erano stati portati anche in case private. In pochi giorni, con estrema efficienza, Brugmans riuscì a fornire cure mediche adeguate a amici e nemici. Mobilitò tutti i medici, i chirurghi, gli infermieri e gli studenti disponibili, assegnandoli alle divisioni e stabilendo un sistema di turni che coprivano a rotazione tutte le aree della città; per evitare il possible contagio, mantenne a Bruxelles solo i feriti più gravi, sistemati in luoghi ben ventilati, mentre gli altri vennero distribuiti in città vicine. Grazie a questo servizio sanitario efficace e alle pratiche igieniche ormai consolidate, riuscì così a salvare moltissime vite, tanto che ben tre sovrani riconoscenti (il re d'Olanda, lo zar di Russia e il re di Prussia) lo premiarono con un'onorificenza. Altri particolari sulla vita di questo benefattore dell'umanità nella sezione biografie. ![]() Brugmansia o Datura? Per un ventennio, la direzione dei servizi sanitari militari costrinse Brugmans a lasciare da parte l'attività scientifica, anche se continuò a curare la gestione dell'Orto botanico di Leida, nei limiti delle crescenti difficoltà causate da uno stato di guerra permanente e dall'interruzione dei rapporti con le colonie d'oltremare. Con il ritorno della pace, il rilancio dell'Orto divenne anzi il suo principale interesse; nel 1816 fece acquistare un terreno che ne quadruplicò la superficie. La sistemazione, secondo lo stile paesaggistico inglese, fu affidata al giovane botanico tedesco T.F.L. Nees von Esenbeck, che per un breve periodo fu il suo assistente. Nel 1818, l'anno prima della morte, Brugmans pubblicò il catalogo delle piante coltivate nel giardino e introdusse l'abitudine di redigere un indice dei semi da inviare a altre istituzioni e a privati. Furono tuttavia probabilmente soprattutto i suoi meriti umanitari a indurre un altro botanico olandese, Christiaan Hendrik Persoon, a dedicargli nel 1805 Brugmansia, separandolo dall'affine Datura, con queste parole: "Questo bellissimo genere, nell'aspetto tanto simile a Datura, voglio dedicarlo alla memoria del chiarissimo professor Brugmans, meritevolissimo e degnissimo professore di storia naturale e botanica dell'Università di Leida". Brugmansia (famiglia Solanaceae) è davvero simile a Datura, tanto che per circa 250 anni i botanici si sono divertiti ora a riunirli, ora a separarli, finché nel 1973 T.E. Lockwood li ha divisi definitivamente sulla base di un serrato confronto morfologico. Eppure, anche per noi profani, le differenze sono piuttosto evidenti: le Daturae, anche quando sono di dimensioni cospicue, sono erbacee, per lo più annuali o di breve vita; hanno fiori rivolti all'insù e frutti tondeggianti, in genere armati di spine; le Brugmansiae sono perenni legnose arboree o arbustive, hanno fiori penduli e frutti simili a baccelli privi di spine. Naturalmente ci sono anche affinità; la più evidente è che le specie di entrambi i generi contengono alcaloidi, che ne rendono tutte le parti estremamente tossiche, e hanno proprietà allucinogene (in molte culture indigene del Sud America erano usate per provocare stati di trance durante le cerimonie religiose) che non sono sfuggite a esponenti della cultura psichedelica, causando vari causi di grave avvelenamento. In giardino (o in vaso, dove le temperature non permettono la coltivazione in piena terra), sono piante di bellezza spettacolare, con lunghi fiori penduli che hanno loro guadagnato il soprannome di "trombe degli angeli", oltretutto delicatamente profumati; le sorelle Daturae con le loro larghe corolle rivolte verso l'alto vengono invece chiamate "trombe del diavolo", ma, come avrete capito, almeno quanto a pericolosità qui tra angeli e demoni c'è poca differenza. Originarie delle regioni tropicali del Sud America, lungo la cordigliera dal Venezuela al Cile, e del Brasile sud-orientale, furono selezionate e coltivate per secoli dalle popolazioni indigene sia per le loro proprietà medicinali sia per le proprietà psicotrope, tanto che sembra non esistano più allo stato naturale; introdotte come piante ornamentali, si sono invece naturalizzate in molte paesi tropicali e subtropicali, dove anzi la specie più diffusa, l'ibrido orticolo B. x candida, in alcuni paesi è considerata una pericolosa aliena infestante. Per qualche informazioni in più sulle diverse specie, rimando alla scheda. A Waterloo quel fatidico 18 giugno 1815 c'erano due ragazzi con la testa piena di sogni di gloria: nella finzione romanzesca, Fabrizio del Dongo, che sognava di emulare Napoleone sui campi di battaglia; nella realtà, Carl Ludwig Blume, che sognava di diventare un secondo Humboldt nelle foreste tropicali. E se Fabrizio dovette adeguarsi alla grigia realtà della Restaurazione, Carl Ludwig poté partire all'esplorazione di Giava, descrivendone la flora nel pionieristico Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Ma dopo gli anni eroici, anche a lui toccarono il grigiore accademico e le battaglie tragicomiche per imporre il discusso monopolio dell'Erbario nazionale olandese. Tassonomista instancabile, che ha stabilito centinaia di nuove specie e almeno 160 generi ancora validi, Blume è ricordato da ben tre generi attualmente accettati. Con una nota sul "vecchio sundanese" Bapa Santir e il genere Santiria. ![]() Un giovane ricercatore ambizioso La storia di Carl Ludwig Blume, grande botanico tedesco naturalizzato olandese, pioniere della descrizione della flora di Giava e primo direttore dell'Erbario nazionale olandese, incomincia sul campo di battaglia di Waterloo. Aveva appena diciotto anni e usciva da un'adolescenza nutrita dalla lettura di racconti di viaggio e dal sogno di emulare le gesta di Humbold nelle foreste tropicali; dopo aver studiato farmacia, a sedici anni si era arruolato come volontario nei mitici "cacciatori neri" del Lützowsche Jägercorps, dove divenne farmacista militare. Era a Waterloo con la sua unità mobile di ambulanze, nelle file dell'esercito prussiano; fu così che venne coinvolto nella grande operazione di soccorso ai feriti coordinata dal professor Brugmans dell'Università di Leida. Fu probabilmente quest'esperienza a spingerlo ad arruolarsi nell'esercito olandese, sempre come farmacista militare, e a trasferirsi a Leida; quando Brugmans (che potrebbe averlo conosciuto già a Waterloo) fu inviato a Parigi a recuperare le collezioni di storia naturale sottratte dai francesi, lo volle come assistente; lo spinse poi a coltivare il suo talento, iscrivendosi alla facoltà di medicina. Blume si laureò a tempo di record e divenne medico militare all'ospedale di Leida, dove già da due anni lavorava come farmacista. Fece subito domanda per essere inviato nelle Indie orientali olandesi e già nel 1818 (aveva appena compiuto 21 anni) fu inviato a Giava per assistere Reinwardt nei suoi compiti sanitari e nelle ricerche naturalistiche. Vi arrivò alla fine dell'anno e dal gennaio 1819 si stabilì a Buitenzorg (oggi Bogor), ospite dello stesso Reinwardt. Gli fu affidato l'incarico ufficiale di "Ispettore dei vaccini", ma al contrario del suo superiore che, oberato dai troppi compiti amministrativi, poteva dedicarsi al lavoro sul campo solo nei ritagli di tempo, sfruttò la sua posizione per prendere contatto con la popolazione locale, studiare le piante officinali indigene, visitare ampie porzioni del territorio e raccogliere una grande quantità di esemplari botanici (ma anche animali e minerali); i semi e le piante vive diedero un grande impulso agli esperimenti di acclimatazione all'Orto botanico di Bogor, alimentati anche dagli scambi con altri orti botanici, in particolare Calcutta, Mauritius e Rio de Janeiro. Nei sette anni che trascorse a Giava (1819-1826), Blume compì un gigantesco lavoro sul campo, visitando ampiamente le regioni occidentali e centrali dell'isola, spesso accompagnato da assistenti (in particolare, il giardiniere Kent) e da pittori, nonché da portatori indigeni. Tra il 1821 e il 1822 visitò la provincia da Bantam; sempre nel 1822 esplorò largamente il monte Salak e nel 1823 il monte Gedeh; nel 1824, come ispettore dei vaccini, effettuò una grande ricognizione delle regioni occidentali, che lo portò nel Kuripan, a Kravang e nell'isola di Nusa Kambangan, allora ricoperta di foresta vergine, dove poté studiare la Rafflesia; nel 1825 fu la volta delle provincie centrali (Rembang, di nuovo Bantam e monte Parang). Energico e ambizioso, nel suo desiderio di pubblicare le proprie scoperte senza passare attraverso il suo superiore, Blume finì per scavalcare Reinwardt e entrare in conflitto con lui. Incominciò a creare un proprio erbario, a inviare piante in Olanda a proprio nome e a preparare una pubblicazione sulla flora di Giava. Quando Reinwardt se ne accorse, deciso a imporre il proprio monopolio, invocò l'intervento del governo coloniale che requisì l'erbario di Blume, unendolo al suo, e vietò al giovane tedesco di pubblicare nel territorio olandese. Per documentare almeno in parte le sue scoperte, Blume allora ricorse a un escamotage: inviò lunghe relazioni ai fratelli Nees von Esenbeck, che le pubblicarono sotto forma di lettere nella rivista di Regensburg Flora. Nel 1822, con la partenza di Reinwardt per l'Olanda, Blume si liberò della sua ingombrante presenza e gli succedette nella direzione dell'Orto di Bogor (di cui di fatto era già il curatore). Con l'acquisita posizione ufficiale, cadeva anche il divieto di pubblicare sulle riviste olandesi, e Blume si affrettò a dare alle stampe le sue scoperte, prima che la priorità gli venisse sottratta da qualche altro botanico (temeva soprattutto Horsfield e Jack) o glielo impedisse la morte, sempre in agguato nel clima tropicale. Nel 1823 scrisse il primo catalogo dell'Orto botanico di Bogor (che include anche alcune specie descritte dal suo predecessore). Nel 1825 pubblicò un primo pionieristico lavoro sulle orchidee di Giava, Tabellen en platen voor de Javaansche orchideeën, "Tabelle e tavole sulle orchidee di Giava", cui tra il 1825 e il 1827 seguirono Bijdragen tot de Flora van Nederlandsch Indië, "Contributi sulla flora delle Indie olandesi". Pubblicati a Batavia, sono lavori estremamente sintetici, con poche illustrazioni, ma di capitale importanza nella storia della botanica della regione malese, in cui vengono descritti centinaia di generi e specie nuovi per la scienza. Nonostante lavorasse in fretta e con l'aiuto di poche opere di consultazione, Blume vi dimostra il suo grande valore di tassonomista, creando 18 nuove famiglie e circa 300 generi (160 tuttora validi); tuttavia le descrizioni (in latino, mentre il testo è in olandese) sono sommarie e, in assenza di illustrazioni, non sempre garantiscono una corretta identificazione. In effetti, nelle intenzioni di Blume i Bijdragen erano solo un abbozzo della sua vera flora di Giava, un'opera molto ambiziosa che avrebbe potuto scrivere solo in Europa, avendo a disposizione la letteratura più recente e gli esemplari conservati nei principali erbari, da confrontare con i propri. Iniziò così un'estenuante trattativa con il Ministero perché gli fosse concesso un congedo: chiese un permesso di quattro anni; alla fine, gliene furono concessi due, a patto che si pagasse le spese di viaggio e cedesse metà dello stipendio ai giardinieri di Buitenzorg, che lo avrebbero sostituito nella gestione del giardino durante la sua assenza. E così, nel giugno 1826 lasciò Giava (non vi avrebbe mai fatto ritorno) con 29 casse di materiali, compresi il proprio erbario, quello di Reinwardt e i materiali raccolti nei dintorni di Bogor dai giardinieri dell'orto botanico. Rimasero a Giava i doppioni (importanti per lo studio in loco) e l'erbario di Kuhl e van Hasselt (inviato al Museo di Leida nel 1828 da van Raalten). Come materiale d'imballaggio, Blume usò muschi ed epatiche; dopo il rientro in Europa, li inviò a C.J. Nees von Esenbeck, che ne ricavò uno studio sulle epatiche di Giava, pubblicato anche sotto il nome di Blume, per gentilezza accademica. ![]() Pubblicazioni scientifiche e un discusso monopolio Giunto a Bruxelles, allora capitale del regno, Blume riprese le trattative con il governo perché finanziasse Flora Javae: avrebbe dovuto essere una grande opera illustrata, in cento fascicoli in folio. Dopo discussioni senza fine, gli furono concessi 7000 fiorini, con 50 copie da cedersi allo Stato; le ulteriori somme necessarie sarebbero giunte attraverso sottoscrizioni. Le illustrazioni furono affidate al pittore J.C. Arckenhausen, con un contratto di quattro anni; per le descrizioni, inoltre, Blume fu affiancato da J.B. Fischer. Mentre lavorava alla pubblicazione maggiore, tra il 1827 e il 1828 Blume pubblicò Enumeratio plantarum Javeae et insularum adiacentium, minus cognitarum vel novarum, una selezione delle più interessanti specie raccolte a Giava da lui stesso, Reinwardt, Kuhl e van Hasselt; ancora senza illustrazioni e nello stesso stile sintetico dei Bijdragen, ma in latino (e quindi più accessibile agli studiosi di altri paesi), il primo volume è significativo per la pubblicazione di alcune specie inedite di angiosperme, mentre il secondo costituisce il primo tentativo di una presentazione complessiva delle felci della regione malese. I primi 35 fascicoli della Flora Javae, con circa 200 tavole, parte in banco e nero, parte colorate a mano, uscirono infine tra il 1828 e il 1830; poi i soldi finirono, e la pubblicazione venne sospesa, mentre anche la situazione politica si faceva difficile. Nel frattempo, Blume era stato coinvolto in una nuova avventura, e aveva abbandonato l'idea di tornare in Indonesia. Il suo vasto erbario aveva destato grande interesse ed era nata l'idea di creare un erbario nazionale per ospitarlo, insieme alle importantissime collezioni che Siebold stava inviando dal Giappone. Fu così che nel 1829 nacque il Rijksherbarium ("Erbario di Stato"), con sede a Bruxelles, di cui Blume fu nominato direttore, con il titolo di professore e uno stipendio pari a tre volte quello percepito come direttore dell'Orto di Buitenzorg. Tuttavia, il 25 agosto 1830 iniziò l'insurrezione che un anno dopo avrebbe portato all'indipendenza del Belgio. In quei giorni Blume era a Ginevra, in viaggio di nozze; a salvare le collezioni e a portarle fortunosamente a Leida fu Siebold, che era tornato dal Giappone proprio in quei giorni. Rientrato in Olanda, Blume gettò tutta l'energia e tutta la caparbietà del suo carattere nell'ampliamento delle collezioni del nuovo erbario. Si rivolse a rappresentanze consolari, ufficiali sanitari e missionari che operavano nelle colonie, affinché raccogliessero esemplari, giungendo anche a scrivere per loro un libretto di istruzioni. Altre collezioni furono procurate tramite acquisti (benché la situazione finanziaria dell'istituzione fosse così precaria che Blume non riuscì a fare assumere in modo permanente neppure i suoi principali collaboratori, Arckenhausen e Fischer). Interpretando in modo restrittivo una circolare ministeriale del 1830, inoltre, egli cercò di imporre la consegna all'erbario di Leida di tutte le raccolte fatte da persone alle dipendenze dallo stato, vietando inoltre l'invio di piante inedite agli erbari stranieri. Questo diktat colpiva sia Siebold (che in Giappone aveva lavorato come dipendente del Ministero della guerra) sia i membri della Natuurkundige Commissie, gli intrepidi ricercatori che proprio in quegli anni mettevano a rischio la propria vita esplorando la natura dell'Indonesia olandese. Questa pretesa poteva avere qualche giustificazione, ma era illegittima sul piano legale; inoltre offendeva profondamente i botanici impegnati sul campo, che si vedevano trasformati in puri raccoglitori al servizio della gloria accademica di Blume. Il quale, tuttavia, rincarò la dose: nel 1844, si oppose alla richiesta di Teijsmann di creare un erbario indipendente a Bogor; nel 1850, pubblicò nuove istruzioni per le collezioni dell'erbario, in cui ribadì il suo monopolio. Queste pretese suscitarono l'ostilità unanime dell'ambiente botanico olandese: gli erano ostili Reinwardt (non dimentico dei passati sgarbi) e i suoi allievi, tra cui l'influente de Vriese che, quando insegnava ad Amsterdam, vi creò un erbario indipendente; lo stesso Siebold (che inviò il suo erbario a Monaco); F.A.W. Miquel, che andava affermandosi come nuova stella della botanica olandese e succedette poi a Blume nella gestione dell'Erbario di stato; ma soprattutto i membri della Natuurkundige Commissie. Tanto più che Blume si mosse con la leggerezza di un rinoceronte di Giava alla carica: nelle sue riviste con penna avvelenata faceva le pulci ai suoi avversari, alla ricerca di errori e svarioni. Offese talmente il brillante Franz Junghuhn con critiche velenose su certe sue identificazioni che questi cedette le proprie collezioni all'Università di Leida, con la condizione esplicita che mai sarebbero confluite nell'Erbario di stato. Le male lingue incominciarono a moltiplicare le accuse contro di lui: gli si imputò di aver portato in Olanda l'intero erbario di Bogor, senza lasciare i duplicati per lo studio in loco, e di essersi impadronito delle collezioni di Kuhl e van Hasselt (entrambe le accuse sono false); di chiedere esemplari agli orti botanici stranieri senza dare nulla in cambio, perché voleva essere solo lui a pubblicare le specie inedite (l'accusa è vera, ma forse fu dovuta essenzialmente alla carenza di personale); di allontanare tutti i collaboratori con la sua personalità dominante, impedendo di fatto o procrastinando per decenni la pubblicazione delle nuove specie. In effetti, l'attività scientifica di Blume non si arrestò mai, ma continuò ad essere ostacolata dalla carenza di denaro; fu anche sfortunato con i suoi collaboratori, alcuni dei quali morirono giovani, altri cambiarono lavoro o non si dimostrarono all'altezza del compito. Negli anni '40, egli cercò di riprendere l'attività editoriale lanciando una rivista, De Indische Bij, dedicata alla natura, alla storia e all'etnografia dell'arcipelago indonesiano, di cui però uscì un solo numero nel 1843. Tra il 1836 e il 1849 con il titolo Rumphia (omaggio a Georg Eberhardt Rumphius, primo studioso della flora delle Molucche) pubblicò una seconda grande opera dedicata alla flora indonesiana, in quattro volumi ancora magnificamente illustrati da Arckenhausen. Alla fine degli anni '40, non sappiamo con quali finanziamenti, riprese la pubblicazione di Flora Javae; nel 1847 uscirono i fascicoli 36-39, nel 1851 il fascicolo 40, nel 1851 i fascicoli 41 e 42. Anche in risposta alle critiche ricevute per la sua gestione monopolistica dell'Erbario di stato, nei primi anni '50 iniziò la pubblicazione del catalogo dell'erbario, un lavoro che evidentemente non lo appassionava, visto che venne abbandonato dopo i primi due volumi. Negli ultimi anni della sua vita, Blume ritornò a un vecchio amore, quello per le orchidee. Nei suoi primi anni a Giava, aveva progettato di dedicare loro un libro, scritto in collaborazione con van Hasselt (l'unico rapporto documentato tra Blume e i primi membri della Natuurkundige Commissie: vivevano insieme, erano coetanei, eppure ciascuno condusse spedizioni indipendenti, non di rado visitando le stesse località; forse Blume li considerava degli estranei catapultati dall'Olanda a usurpare il suo ruolo di scopritore della flora di Giava); dopo la morte di van Hasselt, vi rinunciò, accontentandosi della breve sintesi delle Tabellen. Vi tornò ora con la seconda serie di Flora Javae (1858-59), pubblicata a proprie spese e interamente dedicata alle Orchidaceae. E' un'opera splendida e decisiva perché vi sono illustrati molti generi importanti, molti dei quali stabiliti da Blume già nei Beijdragen; tra i più noti, Phalaenopsis, Arachnis, Spathoglottis e Dendrochilum. Fu anche tra i primi a descrivere orchidee della Nuova Guinea, tra cui Cypripedium glanduliferum, oggi Paphiopedilum glanduliferum, e Latouria spectabilis, oggi Dendrobium spectabile. Morì a Leida nel 1862. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Da Blumea a Blumeodendron Al di là dei limiti caratteriali, Blume fu senza dubbio uno dei maggiori botanici della sua generazione e il suo contributo alla conoscenza della flora del sudest asiatico è incalcolabile. Dunque non mancarono gli omaggi, a partire dal nome della rivista ufficiale dell'Erbario di stato di Leida, Blumea (oggi pubblicata in formato elettronico, è l'organo del Naturalis Biodiversity Center, che riunisce le principali collezioni nazionali di zoologia e botanica dei Paesi Bassi, in un'unità di intenti che forse non gli sarebbe dispiaciuta). Lo ricordano i nomi specifici blumei e blumeanus (la specie più nota è sicuramente Coleus blumei, oggi ribattezzata Plectranthus scutellarioides) e ben tre generi riconosciuti: Blumea DC, Blumeopsis Gagnep., Blumeodendron (Müll. Arg.) Kurz. Ostracizzato dai botanici di casa, Blume era invece apprezzato nell'ambiente internazionale, in particolare a Parigi, che visitò più volte, intrattenendo anche cordiali rapporti personali con diverse personalità della scienza francese. Tra di essi anche Augustin Pyramus de Candolle che nel 1833 gli dedicò Blumea (famiglia Asteraceae), separandolo da Conyza. E' un vasto genere di piante erbacee cui appartengono una cinquantina di specie distribuite soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia orientale, con qualche presenza in Africa e in Oceania. Ricche di oli essenziali, diverse specie sono usate nella medicina tradizionale in India, in Cina e nel Sudest asiatico. La dedica di de Candolle non è casuale, poiché Blume, nella sua veste di ispettore sanitario, fu molto attento alle piante medicinali locali, da preferirsi alle droghe europee che in seguito al lungo viaggio perdevano grande parte della propria efficacia. Qualche informazione in più nella scheda. Nel 1920, il botanico francese François Gagnepain, sulla base di alcune particolarità delle antere e della distribuzione dei fiori femminili e bisessuali nei capolini, separò da Blumea DC Blumeopsis ("simile a Blumea"), un genere monotipico rappresentato da un'unica specie, B. flava, un'erbacea nana presente nella Cina meridionale, nel subcontinente indiano e nel sudest asiatico. Recenti studi filogenetici, tuttavia, porteranno probabilmente alla cancellazione di questo genere, che in realtà non è distinguibile da Blumea. Per ora è ancora considerato valido da repertori come Plant List; rimando alla scheda per altre notizie. La denominazione Blumeodendron ("albero di Blume") fu invece creata da J. Müller nel 1866 per distinguere una sezione del genere Mallotus, sulla base di M. tokbrai, una pianta delle foreste montane a sostrato acido raccolta da Blume (tokbrai è il nome sundanese) e coltivata nell'orto botanico di Bogor. Blume l'aveva descritta nei Bijdragen sotto il nome di Elateriospermum tokbrai. Infine, nel 1873 W.S. Kurz ne riconobbe l'appartenenza a un nuovo genere, che denominò appunto Blumeodendron, riprendendo la denominazione di Müller. Questo piccolo genere della famiglia Euphorbiaceae comprende cinque specie di alberi decidui endemici del sudest asiatico (Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea), delle isole del Pacifico occidentale e della Papuasia. Un approfondimento nella scheda. ![]() Santiria, omaggio alla sapienza botanica indigena Prima di congedarmi dal discusso Carl Ludwig Blume, vorrei ricordare una piccola vicenda che gli rende onore, rendendolo molto più umano e simpatico ai nostri occhi. Blume, l'abbiamo visto, era stato prima di tutto un ufficiale sanitario, una persona a cui stava a cuore la salute delle persone. Nelle sue attività di ispettore dei vaccini a Giava dimostrò di non fare distinzione tra funzionari bianchi e popolazione locale; si preoccupò del benessere di entrambi i gruppi e non ebbe mai alcuna prevenzione etnocentrica nei confronti della medicina tradizionale, considerando gli esperti di erbe locali una fonte di grande valore. Gli immensi risultati delle sue ricerche non avrebbero potuto essere raggiunti senza l'aiuto delle guide indigene e senza la loro conoscenza degli ecosistemi dell'isola e delle proprietà delle piante. Uomo senza pregiudizi, volle riconoscere questo contributo dedicando il genere Santiria al più abile e devoto di questi collaboratori, il "vecchio sundanese" Bapa Santir che lo aveva accompagnato nella scalata del monte Salak nel 1822 (i sundanesi sono un gruppo etnico della parte occidentale dell'isola di Giava). Questa dedica (Blume la pubblicò nel 1850, nel primo volume del Catalogo dell'Erbario di Stato) suscitò l'indignazione dell'arcinemico Junghuhn; come si era permesso Blume di attribuire a una "persona indegna", un semplice pakke drager (un portatore di bagagli, un coolie) un onore che spettava solo ai migliori botanici? al contrario, Bapa Santir (spiace di non sapere nient'altro di lui; l'appellativo bapa, che significa padre, indica una persona anziana e autorevole) secondo la testimonianza di Blume era il più grande conoscitore della flora di Giava che egli avesse incontrato, un'autorità locale che sapeva tutto sulle piante (molto meglio di qualsiasi botanico europeo) e gli fu guida fedele e espertissima. Il bello è che, mentre Blume era considerato un conservatore, in Olanda Junghuhn si atteggiava a progressista e illuminato. Non nei confronti dei colonizzati, evidentemente. Il genere Santiria, della famiglia Burseraceae, comprende circa 15 specie, una (o tre, secondo altri) originaria dell'Africa occidentale tropicale, le restanti endemiche della regione malese, con massima biodiversità nel Borneo. Sono alberi da piccoli a grandi della foresta umida a bassa altitudine, spesso su substrato acido, che crescono relativamente in fretta e costituiscono la specie dominante in talune aree; il legname di alcune specie, noto come kedondong (nome che hanno in comune con altre Burseriaceae) è ricercato a livello locale perché duro e duraturo. Alcune specie, ad esempio l'africana Santiria trimera, producono frutti eduli. Qualche notizia in più nella scheda. All'ombra di altissimi bambù, nell'Orto botanico di Bogor nell'isola di Giava c'è un angolo singolare: è un antico cimitero (la prima tomba fu eretta nel 1784, 33 anni prima che Reiwardt fondasse il giardino) con 41 tombe. In una delle più modeste - un semplice cippo parallelepipedo sormontato da una colonna - riposano insieme due amici che condivisero gli studi, la passione per la scienza, gli entusiasmi e le fatiche della prima missione scientifica ufficiale nelle Indie orientali olandesi, la morte precoce. Sono il tedesco Heinrich Kuhl (morto a 24 anni) e l'olandese Johan Coenraad van Hasselt (morto a 26). Erano soprattutto zoologi, il cui contributo, in particolare all'ornitologia e all'erpetologia, fu di enorme valore; ma non disdegnarono la botanica, raccogliendo molte nuove specie di orchidee. Con una scelta toccante e felice, sono ricordati insieme dal genere Kuhlhasseltia, che comprende piccole ma graziose orchidee terrestri endemiche dell'Asia orientale. ![]() Una Commissione dagli esiti tragici A cavallo degli anni '20, il nuovo regno unito dei Paesi Bassi (era stato creato nel 1815 dal Congresso di Vienna, unendo i Paesi Bassi e il Belgio, come stato cuscinetto in funzione antifrancese) sembra percorso da un nuovo entusiasmo per le antiche colonie dell'Asia orientale. In effetti, dopo la sconfitta di Napoleone, il paese si trovava in un grave stato di decadenza economica, culturale e scientifica; i territori delle Indie orientali olandesi, che adesso, dopo lo scioglimento della Compagnia olandese delle Indie Orientali, erano passati sotto amministrazione statale, potevano offrire un contributo decisivo per risollevarne le sorti. Fu così che, senza neppure attendere gli esiti della missione di Reinwardt, il neo re Guglielmo I decise di fondare due nuove istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione delle loro risorse naturali. Nel maggio 1820 nacque la Natuurkundige Commissie voor Nederlandsch-Indië (Commissione di Scienze Naturali per le Indie Olandesi) cui sarebbe stata affidata l'esplorazione di quei territori, con compiti tanto economici quanto scientifici: da una parte il rilevamento delle risorse minerarie, dall'altra la schedatura della flora e della fauna dell'arcipelago. Ad agosto, seguì la creazione del Rijks Museum voor Natuurlijke Historie (Museo di Stato di Storia naturale), destinato a studiare e ospitare le collezioni raccolte in Indonesia. A presiedere entrambe, un eminente zoologo e collezionista, Coenraad Jacob Temminck. La Commissione era costituita da quattro membri (scelti tra naturalisti, geografi, geologi, pittori e tassidermisti) che venivano inviati nelle isole per un periodo di quattro anni. Nei suoi trent'anni di vita (1820-1850) coinvolse complessivamente diciotto persone, dodici delle quali perirono nel corso delle missioni, finché quest'alto tasso di perdite convinse il governo a sciogliere l'istituto. Nel frattempo, erano state organizzate spedizioni a Giava, Sumatra, Nuova Guinea, Borneo e Timor, con risultati impressionanti per quantità e qualità, che tra il 1839 e il 1847 vennero pubblicati in Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche Overzeesche bezittingen ("Rendiconti di storia naturale dei possedimenti olandesi d'oltremare"). In questo post racconterò la storia, tragicissima, dei primi quattro membri della Commissione, nessuno dei quali rivide mai la patria. All'atto dell'istituzione della Commissione, Temminck, su raccomandazione del Professor van Swinderen dell'Università di Groninga, propose la candidatura di un brillantissimo giovane scienziato tedesco, che si era perfezionato a Groninga dove era diventato assistente di Swinderen: Heirich Kuhl. Ma era impossibile ingaggiare Kuhl senza coinvolgere il suo migliore amico, l'olandese Johan Coenraad van Hasselt. I due si erano conosciuti all'Università di Groninga nel 1816 - coetanei, all'epoca avevano diciannove anni - ed erano diventati inseparabili. Entrambi appassionati di scienze naturali (anche se, di formazione, Hasselt era un fisiologo), nell'estate del 1818 avevano fatto insieme un viaggio di studio in Germania dove avevano visitato le principali istituzioni scientifiche; nell'aprile del 1819, già pensando a una possibile missione in Oriente, il solo Kuhl era andato a Londra, dove era stato amabilmente accolto da James Edward Smith, presidente della Linnean Society, e dallo stesso Banks; a novembre, di nuovo con van Hasselt, aveva visitato Parigi, incontrando Geoffroy de Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck. Ma l'incontro più appassionante era stato quello con Humboldt, che aveva loro aperto le porte dell'Accademia delle scienze e di molte collezioni private. I due amici, evidentemente, sognavano di emulare il loro idolo von Humboldt e non vedevano l'ora di partire, ma insieme. Grazie a un'efficace azione di lobbing di Swinderen e Temminck, il ministro dell'Istruzione accolse anche van Hasselt nella Commissione, che fu poi completata dal tassidermista Gerrit van Raalten e dal pittore Gerrit Laurens Keultjes. Come meta per la prima missione fu scelta Giava, di cui le esplorazioni di Reinwardt stavano dimostrando la grande potenzialità. Le collezioni raccolte sarebbero state inviate al Museo di storia naturale di Leida (anche se, come si è visto sopra, sarebbe stato fondato ufficialmente solo qualche mese dopo), di cui Kuhl venne nominato curatore. ![]() Due amici divisi e riuniti dalla morte Il 10 luglio 1820 i quattro lasciarono l'Olanda a bordo della Nordloh, che dopo un viaggio di sei mesi, nel corso del quale toccarono Madeira, Città del Capo e le Isole Cocos, li portò a Batavia, dove sbarcarono a dicembre. Il governatore generale Van der Capellen assegnò loro un alloggio a Buitenzorg (oggi Bogor), che sarebbe diventato il loro quartier generale. Entusiasti e instancabili, i ragazzi (è il caso di dirlo: il pittore, con i suoi 34 anni, era quasi un papà per i suoi tre compagni, tutti coetanei, che di anni ne avevano solo 23) si misero immediatamente al lavoro, abusando sicuramente delle proprie forze. I primi quattro mesi vennero trascorsi nei dintorni di Buiterzorg che offrivano ad ogni passo una messe di specie nuove per la scienza; oltre a decine di animali, raccolsero 185 specie di felci, 70 di muschi, 100 di funghi; non passava giorno che non trovassero qualche nuova specie di orchidea. All'attività sul campo seguiva l'esame dei materiali raccolti, accompagnato dall'attento studio dei disegni e degli erbari di Reinwardt. L'esplorazione a tappeto dell'area di Buitenzorg permise, secondo Kuhl, di raggiungere "una conoscenza tanto completa quanto quella che si possiede per qualsiasi parte d'Europa". I due amici progettarono quindi una spedizione a Bantam, una provincia allora poco nota, ma un'epidemia di colera li convinse a spostarsi sulle montagne; nell'estate, scalarono il Gunung Salak, il Gunung Gede e il Gunung Pangrango, dove raccolsero molti rettili e anfibi. Alla base del Pangrango, visitarono anche le fonti termali situate tra Rompin e Waroe, dove trovarono una flora interessante e ancora poco nota. Sorpresi da violenti temporali, entrambi contrassero la polmonite; complicazioni epatiche aggravarono le condizioni di Kuhl che, dopo quattro settimane di sofferenze, morì il 14 settembre 1821; van Hasselt, che era medico, lo curò amorevolmente, sconvolto dalla serenità e dalla calma con la quale l'amico accettava la propria sorte. Fu così grande il dolore di perdere colui con il quale per cinque anni aveva diviso gli studi e la vita che cadde in un profondo stato di prostrazione, tanto che van Capellen lo fece trasportare nella propria residenza. Due giorni dopo, moriva anche il pittore Keultjes. L'avventura indonesiana di Kuhl e Keultjes era durata appena nove mesi. Una sintesi della breve ma intensa vita di Kuhl nella sezione biografie. Dopo un lento recupero, van Hasselt e van Raalten (che aveva assunto anche il compito di pittore) dedicarono il 1822 all'esplorazione della zona costiera nei pressi di Batavia, quindi alla costa occidentale, nei dintorni di Anyer. Nel 1823 ripresero il progetto di visitare la provincia di Bantam e scalarono il monte Karang; tuttavia van Raalten si ammalò e fu sostituito dai pittori Janus Theodor Bik (che già aveva accompagnato Reiwardt) e Antoine Maurevert; conosciamo i particolari di questa spedizione grazie al diario di viaggio di Bik, che venne pubblicato qualche anno più tardi. I tre esplorarono la provincia vistandone tanto le zone costiere quanto le catene montuose; verso la metà di agosto, van Hasselt fu colpito da una violenta infezione addominale (presumibilmente amebiasi); tra riprese e ricadute, venne riportato in portantina a Buitenzorg, dove però si spense due giorni dopo l'arrivo, l'8 settembre 1823. Anche per la vita di van Hasselt, rimando alla sezione biografie. Per volontà di van der Capellen, egli fu sepolto nella tomba dove già da quasi due anni esatti riposava Kuhl. Su una faccia del cippo, il governatore fece incidere queste parole: "Come divisero ogni cosa in vita, rimangono insieme dopo la morte, come esempio di devozione, amicizia e amore per la scienza". Sulla faccia opposta, l'epitaffio recita: "In memoria di H. Kuhl, di Hanau, e di J.C. van Hasselt, di Groninga, dottori in medicina, che, sotto gli auspici del re, furono inviati qui a studiare la natura, entrambi dotati di mente eccellente e industriosi nei loro studi, ma soprattutto congiunti da una speciale amicizia fin dalla giovinezza, mentre assolvevano ai loro compiti con grande dedizione soccombettero a una morte precoce, dovuta all'esaurimento per un lavoro strenuo e una fatica eccessiva". Strenuo davvero era stato il loro lavoro: in soli nove mesi Kuhl e in meno di tre anni van Hasselt inviarono al Museo di Leida 200 scheletri, 200 pelli di mammiferi di 65 specie, 2000 uccelli, 1400 pesci, 300 rettili e anfibi, oltre a insetti, crostacei e altri animali marini. Quelli raccolti nell'ultimo viaggio di van Hasselt, per ordine del governatore furono affidati a van Raalten, che li catalogò e li preparò per l'invio in Olanda. Gigantesco fu anche il contributo di Keultjes che lasciò circa 1200 disegni. Anche il materiale botanico fu inviato in in Olanda, dove confluì in gran parte nelle collezioni dell'Erbario nazionale. L'unico sopravvissuto, van Raalten, sarebbe andato incontro al suo destino qualche anno più tardi. Rimasto a Giava, nel 1827 accompagnò Heinrich Christian Macklot in un viaggio attraverso il Preanger (Giava occidentale), dove fu ferito da un rinoceronte. Nel 1828 partecipò alla spedizione della Commissione in Nuova Guinea (insieme a Macklot, Müller, Zippelius e van Oort) nel corso della quale morì a Timor. ![]() Congiunti nella tomba, congiunti nella denominazione L'importanza del contributo di Kuhl e van Hasselt alla conoscenza della fauna di Giava è testimoniato dalle dozzine di specie di animali che portano il loro nome: tra gli altri, i pipistrelli Pipistrellus kuhlii e Myotis hasseltii, i batraci Limnonectes kuhlii e Leptobrachium hasseltii, moltissimi pesci tra cui il genere Kuhlia, Pangio kuhli e Callogobius hasseltii; e ancora uccelli, insetti, molluschi. Numerose sono anche le piante che li ricordano nel nome specifico, ad esempio Hoya kuhlii e Dyospiros hasseltii. Nel 1825, appena seppe della morte dei due giovani, Kunth (il collaboratore di Humboldt che li aveva conosciuti in occasione del loro viaggio a Parigi) volle celebrarli con una dedica gemella, intitolando a ciascuno di loro due alberelli sudamericani piuttosto affini, Kuhlia glauca e Hasseltia floribunda. Entrambi i generi, un tempo assegnati alla eterogenea famiglia della Flacourtiaceae, sono ora confluiti nelle Salicacae; il primo tuttavia non è più riconosciuto (è sinonimo di Banara). Hasseltia Kuhn comprende quattro specie di arbusti e piccoli alberi delle foreste tropicali del Centro e del Sud America. La specie più diffusa è proprio Hasseltia floribunda, presente nelle foreste tropicali umide di Panama e Costa Rica; è caratterizzata da infiorescenze bianche a ombrella molto ramificata. Nel Novecento da Hasseltia sono dati distaccati inoltre due generi monotipici molto affini: Hasseltiopsis (creato da H.O. Sleumer nel 1938) il cui unico rappresentante è H. dioica, un albero piuttosto raro delle foreste nebulose del Messico e della Costa Rica; Macrohasseltia (creato da L.O. Williams nel 1961), rappresentato da M. macroterantha, relativamente diffuso nelle foreste umide dal Messico a Panama. Qualche approfondimento su Hasseltia, Hasseltopsis, Macrohasseltia nelle rispettive schede. Ma la dedica più bella e più poetica è giunta nel 1910 grazie al grande esperto di orchidee Johannes Jacobus Smith, che come i due amici esplorò la flora di Giava e dal 1913 al 1924 fu direttore dell'orto botanico di Bogor. Ricordando la loro amicizia e il loro amore per le orchidee, volle congiungere i loro nomi in Kuhlhasseltia. Si tratta di un piccolo genere (5-8 specie) di minute orchidee terrestri che crescono nel sottobosco delle fitte foreste dell'Asia orientale su muschi e detriti di foglie; di piccole dimensioni e per nulla vistose, sono rarissimamente coltivate e assai rare anche in natura. Per la loro bellezza delicata, fanno parte delle cosiddette "orchidee gioiello". Così discrete e gentili, mi sembrano molto adatte a ricordare i due amici, pionieri degli studi sulle orchidee del Sud est asiatico. Qualche notizia in più nella scheda. |
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Pronti a sfogliare il quinto calendario dell'Avvento? dal 1 dicembre a Natale, dietro ogni casella una pianta endemica o rara della nostra flora. calendar.myadvent.net/?id=8b089xwwhdfg8sfkltlu5himuqh28up6 CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2023
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