In mezzo a tanti zoologi e a qualche geologo, Pieter Willem Korthals fu l'unico botanico di formazione tra i membri della Natuurkundige Commissie. Con all'attivo sei anni di esplorazioni a Giava, Sumatra e Borneo e una collezione di oltre 1000 specie, diede un contributo importantissimo alla conoscenza della flora dell'Indonesia che meriterebbe di essere più noto. Ma, egli stesso primo critico dei risultati raggiunti, a 35 anni preferì ritirasi a vita privata per dedicarsi alla "filosofia speculativa". A ricordarlo nelle denominazioni botaniche, i generi Korthalsia e Korthalsella. ![]() Il prototipo delle guerre coloniali Tra il 1825 e il 1830, a Giava gli olandesi dovettero affrontare una vera e propria guerra che, oltre a mettere a dura prova il loro controllo dell'isola, li spinse a mutare profondamente la loro politica nell'intera Indonesia, con conseguenze anche per le attività dei naturalisti della Natuurkundige Commissie. Il sistema di tassazione, introdotto dagli inglesi e mantenuto dal governo olandese, che aveva imposto il pagamento di tasse ai contadini (prima, la Compagnia delle Indie olandesi si limitava ad acquistare i prodotti dai signorotti locali, che li ottenevano dai contadini in cambio dell'uso delle terre, con un sistema analogo alla mezzadria), aveva infatti destato il malcontento tanto dei proprietari quanto dei contadini. Saldandosi con motivazioni dinastiche e religiose, sotto la guida del principe Diponegoro di Yogyakarta, nel 1825 nelle regioni centrali dell'isola scoppiò una rivolta generale che tenne a lungo in scacco l'esercito olandese e fu domata solo con tecniche di antiguerriglia e una politica della terra bruciata che costò ai giavanesi almeno 200.000 vittime (e tra 8000 e 15000 agli olandesi). Terminata la rivolta con la cattura di Diponegoro, il governo olandese cercò di consolidare il proprio potere eliminando le cause del malcontento; il sistema di tassazione fu soppresso, e ai contadini giavanesi fu imposto il sistema delle coltivazioni forzate (cultuurstelsel) che li obbligava a scegliere fra riservare un quarto delle proprie terre a coltivazioni destinate all'esportazione, versando i ricavi al governo olandese, oppure prestare lavoro gratuito per un quarto del loro tempo in piantagioni governative. Contemporaneamente, il sostegno delle aristocrazie locali venne recuperato, cooptandone i membri nell'amministrazione delle piantagioni. La generalizzazione del sistema delle coltivazioni forzate implicava un più capillare controllo del territorio (prima, gli olandesi si erano stabiliti essenzialmente nelle località costiere) e una migliore conoscenza delle risorse agricole locali. Inoltre, le enormi spese sostenute per sconfiggere i ribelli (il debito della colonia era raddoppiato, passando da 20 a 40 milioni di fiorini) inducevano il governo a completare la conquista delle aree della regione indonesiana (in particolare Sumatra e Borneo), la cui sovranità olandese era stata riconosciuta dal trattato anglo-olandese del 1824. Queste nuove circostanze spiegano perché, dopo un decennio in cui i membri della Natuurkundige Commissie, la commissione di scienziati inviata ad esplorare i territori delle Indie orientali olandesi, erano stati soprattutto zoologi (riflettendo gli interessi scientifici del direttore della Commissie, l'ornitologo C.J. Temminck), si decise di puntare nuovamente su un botanico, coinvolgendo nella scelta il neonato erbario nazionale di Leida. Il prescelto fu il giovane botanico Pieter Willem Korthals, che da qualche tempo lavorava proprio all'erbario. Il suo compito sarebbe stato triplice: esplorare la flora di Giava (e delle altre isole), inviando in Olanda le specie più rare; conoscere meglio il territorio e le sue risorse naturali e umane; ispezionare le piantagioni governative e individuare le strategie migliori per accrescerne la produttività. ![]() Dall'esplorazione dell'arcipelago alla filosofia Entrato a far parte della Commissie nel 1830, Korthals fu immediatamente inviato a Parigi, a visitare l'erbario nazionale, in che si facesse un'idea delle specie già note (per ragioni sia di prestigio sia di eventuale sfruttamento commerciale, si puntava soprattutto sulle novità). Si imbarcò poi per Giava, insieme ai preparatori D.H.T. van Gelder e B. N. Overdijk, chiamati a sostituire l'ottimo van Raalten morto in Borneo. Giunto a Giava nell'aprile 1831, a Buitenzorg incontrò i superstiti della Natuurkundige Commissie: Macklot, S. Müller e van Oort. Con loro, già a maggio prese parte a un giro lungo la costa nord, per poi rientrare dalla costa sud. Korthals sarebbe rimasto nelle Indie orientali olandesi per quasi sette anni, partecipando a numerose spedizioni, prima a Giava, poi a Sumatra e infine in Borneo. Grazie ai suoi puntigliosissimi diari di campagna (in cui annotava con scrupolo non solo le caratteristiche delle piante e del loro habitat, ma anche una massa di informazioni geografiche e etnografiche) conosciamo bene i suoi movimenti, anche se per noi non è facile seguirli visto che molti toponimi hanno cambiato nome. Tra la seconda metà del 1831 e la prima metà del 1833, accompagnato ora da questo ora da quel membro della Commissione, visitò estesamente Giava, alternando alle escursioni naturalistiche l'ispezione delle piantagioni; scalò molte montagne, che con le loro pendici ricoperte di foresta pluviale erano una fonte inesauribile di scoperte botaniche, esplorò crateri vulcanici, risalì fiumi e visitò fonti termali. Nel giugno 1833, con S. Müller, van Oort e van Gelder, si imbarcò per Sumatra. Se, dopo la fine della rivolta, Giava era relativamente pacificata e ormai sotto il controllo olandese, la situazione a Sumatra era ben diversa. Nel nord del paese c'era un potente stato indipendente, il sultanato di Aceh e la presenza olandese, limitata all'area centro-occidentale, era recentissima. Fin dal 1803 tra i Minangkabau, il principale gruppo etnico di Sumatra occidentale, era scoppiata una guerra civile tra la nobiltà Adat, la quale difendeva una concezione sincretica dell'Islam e il diritto consuetudinario che conservava elementi preislamici, e i Padri, musulmani integralisti che avrebbero voluto imporre la legge coranica; gli olandesi intervennero nel 1821, su richiesta degli Adat, iniziando una dura guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1837 con la sottomissione dei Padri. Era dunque un paese in guerra quello che fu visitato dai nostri naturalisti tra la fine di giugno 1833 e il gennaio 1836; per forza di cose, si mossero principalmente tra i dintorni di Padang (il più importante centro della costa occidentale) e la catena di fortilizi che gli olandesi avevano costruito a partire dal 1825 per tenere sotto controllo i territori faticosamente strappati ai nemici- che spesso preferivano incendiare i propri villaggi piuttosto che arrendersi. Con l'eccezione delle escursioni di Jack nell'area di Bencoolen, erano i primi naturalisti ad esplorare la natura di Sumatra. Il bottino per il nostro Korthals fu particolarmente ricco di specie ignote alla scienza. La sua scoperta forse più importante fu probabilmente il kratom, una pianta largamente usata nella medicina tradizionale, con effetti calmanti in grado di sostituire l'oppio senza provocare dipendenza, da lui ribattezzato Mitragyna speciosa. Nel 1835, il gruppo dei naturalisti si arricchì di un nuovo arrivo, il geologo svizzero Ludwig Horner, che spesso accompagnò Korthals collaborando anche alla raccolta di esemplari botanici. Ma pochi mesi prima c'era stata anche una perdita dolorosa: quella del pittore Pieter van Oort che, quando già pensava di ritornare a casa, nel maledetto mese di settembre era morto anche lui di malaria, come tanti altri membri della Commissie. A gennaio 1836, dopo aver brevemente visitato l'Isola Rat (Pulau Tikus) e Bencoolen, il gruppo rientrò a Giava, dove si trattenne però pochi mesi. A luglio si reimbarcarono per il Borneo, di cui tra agosto e dicembre esplorarono le regioni sudoccidentali. Per Korthals e Müller, a parte una breve escursione, di nuovo a Giava, nei primi mesi del 1837, fu l'ultima avventura: ad aprile lasciarono definitivamente l'Indonesia, per rientrare in Olanda ad agosto. Korthals tornava a casa dopo quasi sette anni. Per Müller gli anni di lontananza erano stati dodici, ed era l'unico sopravvissuto del suo gruppo. Il loro destino successivo fu alquanto diverso: Müller, che aveva iniziato la sua carriera come tecnico tassidermista, sul campo era diventato un grande zoologo; ottenuta la cittadinanza olandese, lavorò assiduamente al Museo di storia naturale di Leida per classificare e pubblicare le imponenti collezioni zoologiche accumulate durante i suoi viaggi; nel 1850, quando la Commissione fu sciolta, si trasferì a Friburgo in Bresgovia, continuando a pubblicare libri sull'arcipelago indonesiano, di cui era riconosciuto come uno dei massimi esperti. Korthals avrebbe potuto fare lo stesso all'erbario nazionale, ma a soli 35 anni lasciò la botanica militante e rinunciò a pubblicare le sue scoperte per dedicarsi a quella che un contemporaneo definì "filosofia contemplativa". Ci ha lasciato solo alcuni articoli di taglio prevalentemente geografico su Giava e Sumatra e la monografia Over het geslacht Nepenthes (1839), di grande importanza storica per essere la prima dedicata alle Nepenthes tropicali; è un opuscolo di una quarantina di pagine, splendidamente illustrato, in cui si passano in rassegna nove specie, tre delle quali descritte per la prima volta. Una sintesi della sua vita, lunga ma molto oscura dopo il ritiro, nella sezione biografie. ![]() Palme rampicanti e formiche Anche se non pubblicato da lui (saranno altri studiosi, e in particolare Miquel, a cogliere i frutti delle sue fatiche sul campo) il contributo di Korthals alla conoscenza delle flora dell'Indonesia, in particolare di Sumatra, è immenso (oltre 1000 specie) e di grande qualità scientifica. Così, nonostante il suo gran rifiuto, non mancarono i riconoscimenti. Oltre a varie specie contrassegnate dallo specifico korthalsii, gli furono dedicati due generi tuttora validi, Korthalsia e Korthalsella. Korthalsia è un tardivo omaggio (siamo nel 1884 e da molti anni Korthals contempla filosoficamente il mondo) del suo ex principale, Carl Ludwig Blume, che lo determinò sulla base di esemplari raccolti da Korthals stesso in Indonesia. Questo genere della famiglia Arecaceae (un tempo Palmae) fa parte di un gruppo di palme rampicanti dal fusto molto sottile e flessibile, noto come rattan (sì, proprio quello con cui si fanno i mobili). Comprende una trentina di specie diffuse esclusivamente nelle foreste pluviali tropicali dei paesi che si affacciano sullo stretto della Sonda, con qualche propaggine in Indocina e nelle isole Andamane. Per le particolari esigenze climatiche è raramente coltivato; del resto presenta fusti molto spinosi e con nodi irregolari, poco adatti quindi alla fabbricazione di oggetti. La particolarità più curiosa delle Korthalsiae è l'associazione in simbiosi mutualistica con le formiche del genere Camponotus; queste ultime nidificano nelle guaine fibrose e rigonfie che si trovano lungo il tronco, soprattutto nella parte basale, e vi allevano delle cocciniglie che si nutrono della linfa delle palme, producendo a loro volta un fluido dolce di cui si cibano le formiche. Gli studi hanno dimostrato che anche le palme ne hanno un vantaggio, perché la presenza delle formiche le protegge dagli erbivori; questi insetti, molto aggressivi, hanno infatti sviluppato un sistema di allarme, una specie di vibrazione che producono battendo gli addomi contro la base delle foglie secche, che avverte che stanno per scatenare un doloroso attacco in massa, sufficiente a scoraggiare chi ne abbia già fatto l'esperienza. Non stupirà scoprire che tra le piante epifite associate alle Korthalsiae ci sono anche alcune Nepenthes, che a loro volta offrono alle formiche ottimi luoghi di nidificazione. Qualche informazione in più nella scheda. ![]() Piante parassite e uccelli oceanici Non meno curioso, sebbene per altri motivi, è il genere Korthalsella; a crearlo poco dopo la morte di Korthals (avvenuta in tarda età nel 1892) fu il botanico francese P.E.L. van Tieghem, che lo separò da Viscus. Come il vischio (entrambi i generi, un tempo classificati nella famiglia Viscaceae, sono oggi assegnati alle Santalaceae) le Korthalsellae sono piante parassite che germinano sui rami della pianta ospite e vi vivono a sue spese; in tutte le specie (da 7 a 30, secondo diversi autori) le foglie sono ridotte a scaglie e i fusti, definiti cladodi, sono rigonfi e appiattiti; in genere sono molto piccole (non più di una decina di centimetri) e possono essere scambiate per escrescenze dell'ospite. Singolare è anche la distribuzione geografica; da questo punto di vista, vengono divise in due grandi gruppi: il primo è distribuito in un'area continua che va dal Corno d'Africa alla Nuova Zelanda, passando per il subcontinente Indiano, la Cina, l'Indocina, l'Indonesia e l'Australia; il secondo comprende quasi esclusivamente isole separate tra loro da centinaia e migliaia di chilometri, dal Madascar a occidente fino alle isole del Pacifico comprese le Hawaii a oriente. Secondo gli studiosi, la dispersione dei semi di Korthalsella in entrambi i casi è effettuata da uccelli; i loro frutti sono infatti piccole bacche che si aprono in modo esplosivo, espellendo con violenza minutissimi semi appiccicosi che aderiscono alle piume e ai piedi dei pennuti. Gli agenti della dispersione però variano da un gruppo all'altro: per le specie a distribuzione continentale, uccelli delle comunità locali; per quelle a distribuzione oceanica, uccelli marini, che percorrono grandi distanze e nidificano prevalentemente sulle coste di piccole isole, visitando raramente le regioni interne. Altri approfondimenti nella scheda.
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Non sono d'accordo con Victor Hugo; certamente, il vero eroe di Waterloo non fu Napoleone, né Welligton, né Blücher; ma neppure Cambronne. Secondo me fu il medico (e botanico) olandese Sebald Justinus Brugmans, che con competenza e un'incredibile capacità organizzativa riuscì a salvare la vita a migliaia di soldati feriti, amici o nemici che fossero. A ricordarlo un genere di piante spettacolari e molto amate, Brugmansia (anche se da più di 200 anni continuano ad essere confuse con Datura). Ma vi rivelerò tutti i trucchi per distinguerle senza fallo, senza più correre il rischio di confondere le trombe degli angeli con quelle del diavolo. ![]() Una vita al servizio delle vittime di guerra Se non gli fosse toccato di vivere negli anni turbolenti della rivoluzione francese e dell'epopea napoleonica, forse Sebald Justinus Brugmans sarebbe stato un dotto professore universitario come tanti. Figlio d'arte, con una preparazione enciclopedica che spaziava dalla filosofia alla medicina, dalla chimica alla botanica, aveva iniziato in giovane età una carriera accademica di successo che nel 1786 (aveva solo ventisei anni) lo portò a occupare la prestigiosa cattedra di botanica dell'Università di Leida (che implicava la direzione dell'orto botanico), cui l'anno dopo si aggiunse quella di scienze naturali. Ma la sua vita di brillante studioso cambiò a partire dall'inverno 1793-94. In seguito all'occupazione francese dei Paesi Bassi austriaci, feriti e malati degli eserciti di Gran Bretagna e Hannover affluirono in Olanda, in particolare a Leida dove nell'antico lazzaretto fu organizzato un ospedale temporaneo. La struttura organizzativa fu creata quasi dal nulla proprio da Brugmans, che, oltre ai medici cittadini, vi coinvolse anche i suoi studenti; colpito dall'alto tasso di mortalità tra quegli sventurati, incominciò inoltre a studiare il legame tra sovraffollamento, condizioni igieniche, infezioni ospedaliere. Da quel momento, anche se continuava la carriera accademica (gli vennero assegnate pure le cattedre di medicina e di chimica, e più tardi fu anche rettore), il centro dell'attività di Brugmans divenne l'organizzazione degli ospedali militari, sotto i diversi regimi che si susseguirono in quell'irrequieto ventennio (la Repubblica batava dal 1795, il Regno d'Olanda dal 1806 al 1810, l'annessione all'Impero dal 1810), fino ad essere nominato settimo Ispettore generale dei servizi medici dell'esercito napoleonico. Ancora due volte fu chiamato a organizzare strutture ospedaliere in momenti d'emergenza: nel 1799, a nord di Ijmuden, a favore dei soldati britannici e russi; nel 1809, per soccorrere le vittime del bombardamento di Vlissingen da parte della Marina britannica. Come responsabile degli ospedali militari olandesi, riuscì a diminuire fortemente l'incidenza della mortalità ospedaliera, intervenendo sul regime quotidiano dei pazienti e sulle condizioni igieniche. Soprattutto, divenne un esperto nella prevenzione della cosiddetta "cancrena ospedaliera", ovvero delle devastanti infezioni che colpivano un'altissima percentuale di feriti dopo l'intervento operatorio. In un'epoca in cui ancora non si sapeva nulla di virus e batteri, i chirurghi operavano infatti in condizioni igieniche precarie: in sale spesso affollate, lavoravano senza guanti e spesso senza lavarsi le mani tra un intervento e l'altro; gli strumenti chirurgici non venivano disinfettati, ma ripuliti alla bell'e meglio con un panno sempre più sporco; non di rado si usavano fasciature già usate e mai sterilizzate. La conseguenza è che circa la metà degli amputati o dei pazienti con ferite lacere moriva tra atroci sofferenze. Pur essendo convinto, come i suoi contemporanei, che la malattia fosse dovuta ai "miasmi" (ovvero a gas venefici) presenti nell'aria dei cameroni sovraffollati, Brugmans fu il primo a capire che si trasmetteva in qualche modo da un paziente all'altro e che aveva un legame con le condizioni igieniche; riuscì così a diminuirne drasticamente l'incidenza prescrivendo misure come la ventilazione dei locali, una distanza adeguata tra un letto e l'altro, l'isolamento dei pazienti infetti e la disinfezione dei materassi e delle bende. Nel 1814 scrisse un trattato sull'argomento, che riscosse grande attenzione e aprì la strada agli studi successivi (che sarebbero culminati con le scoperte di Lister). Nell'autunno del 1813, l'Olanda conobbe un ultimo rivolgimento politico: un moto rivoluzionario cacciò i francesi, riportando sul trono i Nassau-Orange; Brugmans fu epurato, perdendo d'un colpo le sue quattro cattedre universitarie e le funzioni di rettore dell'Università di Leida e di ispettore generale del servizio sanitario. Ma dopo appena un anno fu riabilitato, richiamato a Leida (nella facoltà di Matematica e scienze naturali) e reintegrato a capo del servizio sanitario militare. Fu così che a Waterloo conquistò il suo maggiore titolo di gloria. La battaglia di Waterloo, combattuta il 18 giugno 1815, durò oltre dieci ore e fu assai cruenta. Al termine della giornata, sul campo giacevano 10.000 cavalli e i corpi di 40.000 tra morti e feriti. Per organizzare il soccorso dei circa 27.000 feriti, il neo re d'Olanda, Guglielmo I, diede ordine a Brugmans di recarsi immediatamente a Bruxelles. Arrivato in città il giorno successivo, il medico trovò così tanti feriti (britannici, prussiani, russi, olandesi e francesi) che per ricoverarli non bastavano né gli ospedali né le chiese né le caserme, ma molti erano stati portati anche in case private. In pochi giorni, con estrema efficienza, Brugmans riuscì a fornire cure mediche adeguate a amici e nemici. Mobilitò tutti i medici, i chirurghi, gli infermieri e gli studenti disponibili, assegnandoli alle divisioni e stabilendo un sistema di turni che coprivano a rotazione tutte le aree della città; per evitare il possible contagio, mantenne a Bruxelles solo i feriti più gravi, sistemati in luoghi ben ventilati, mentre gli altri vennero distribuiti in città vicine. Grazie a questo servizio sanitario efficace e alle pratiche igieniche ormai consolidate, riuscì così a salvare moltissime vite, tanto che ben tre sovrani riconoscenti (il re d'Olanda, lo zar di Russia e il re di Prussia) lo premiarono con un'onorificenza. Altri particolari sulla vita di questo benefattore dell'umanità nella sezione biografie. ![]() Brugmansia o Datura? Per un ventennio, la direzione dei servizi sanitari militari costrinse Brugmans a lasciare da parte l'attività scientifica, anche se continuò a curare la gestione dell'Orto botanico di Leida, nei limiti delle crescenti difficoltà causate da uno stato di guerra permanente e dall'interruzione dei rapporti con le colonie d'oltremare. Con il ritorno della pace, il rilancio dell'Orto divenne anzi il suo principale interesse; nel 1816 fece acquistare un terreno che ne quadruplicò la superficie. La sistemazione, secondo lo stile paesaggistico inglese, fu affidata al giovane botanico tedesco T.F.L. Nees von Esenbeck, che per un breve periodo fu il suo assistente. Nel 1818, l'anno prima della morte, Brugmans pubblicò il catalogo delle piante coltivate nel giardino e introdusse l'abitudine di redigere un indice dei semi da inviare a altre istituzioni e a privati. Furono tuttavia probabilmente soprattutto i suoi meriti umanitari a indurre un altro botanico olandese, Christiaan Hendrik Persoon, a dedicargli nel 1805 Brugmansia, separandolo dall'affine Datura, con queste parole: "Questo bellissimo genere, nell'aspetto tanto simile a Datura, voglio dedicarlo alla memoria del chiarissimo professor Brugmans, meritevolissimo e degnissimo professore di storia naturale e botanica dell'Università di Leida". Brugmansia (famiglia Solanaceae) è davvero simile a Datura, tanto che per circa 250 anni i botanici si sono divertiti ora a riunirli, ora a separarli, finché nel 1973 T.E. Lockwood li ha divisi definitivamente sulla base di un serrato confronto morfologico. Eppure, anche per noi profani, le differenze sono piuttosto evidenti: le Daturae, anche quando sono di dimensioni cospicue, sono erbacee, per lo più annuali o di breve vita; hanno fiori rivolti all'insù e frutti tondeggianti, in genere armati di spine; le Brugmansiae sono perenni legnose arboree o arbustive, hanno fiori penduli e frutti simili a baccelli privi di spine. Naturalmente ci sono anche affinità; la più evidente è che le specie di entrambi i generi contengono alcaloidi, che ne rendono tutte le parti estremamente tossiche, e hanno proprietà allucinogene (in molte culture indigene del Sud America erano usate per provocare stati di trance durante le cerimonie religiose) che non sono sfuggite a esponenti della cultura psichedelica, causando vari causi di grave avvelenamento. In giardino (o in vaso, dove le temperature non permettono la coltivazione in piena terra), sono piante di bellezza spettacolare, con lunghi fiori penduli che hanno loro guadagnato il soprannome di "trombe degli angeli", oltretutto delicatamente profumati; le sorelle Daturae con le loro larghe corolle rivolte verso l'alto vengono invece chiamate "trombe del diavolo", ma, come avrete capito, almeno quanto a pericolosità qui tra angeli e demoni c'è poca differenza. Originarie delle regioni tropicali del Sud America, lungo la cordigliera dal Venezuela al Cile, e del Brasile sud-orientale, furono selezionate e coltivate per secoli dalle popolazioni indigene sia per le loro proprietà medicinali sia per le proprietà psicotrope, tanto che sembra non esistano più allo stato naturale; introdotte come piante ornamentali, si sono invece naturalizzate in molte paesi tropicali e subtropicali, dove anzi la specie più diffusa, l'ibrido orticolo B. x candida, in alcuni paesi è considerata una pericolosa aliena infestante. Per qualche informazioni in più sulle diverse specie, rimando alla scheda. A Waterloo quel fatidico 18 giugno 1815 c'erano due ragazzi con la testa piena di sogni di gloria: nella finzione romanzesca, Fabrizio del Dongo, che sognava di emulare Napoleone sui campi di battaglia; nella realtà, Carl Ludwig Blume, che sognava di diventare un secondo Humboldt nelle foreste tropicali. E se Fabrizio dovette adeguarsi alla grigia realtà della Restaurazione, Carl Ludwig poté partire all'esplorazione di Giava, descrivendone la flora nel pionieristico Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Ma dopo gli anni eroici, anche a lui toccarono il grigiore accademico e le battaglie tragicomiche per imporre il discusso monopolio dell'Erbario nazionale olandese. Tassonomista instancabile, che ha stabilito centinaia di nuove specie e almeno 160 generi ancora validi, Blume è ricordato da ben tre generi attualmente accettati. Con una nota sul "vecchio sundanese" Bapa Santir e il genere Santiria. ![]() Un giovane ricercatore ambizioso La storia di Carl Ludwig Blume, grande botanico tedesco naturalizzato olandese, pioniere della descrizione della flora di Giava e primo direttore dell'Erbario nazionale olandese, incomincia sul campo di battaglia di Waterloo. Aveva appena diciotto anni e usciva da un'adolescenza nutrita dalla lettura di racconti di viaggio e dal sogno di emulare le gesta di Humbold nelle foreste tropicali; dopo aver studiato farmacia, a sedici anni si era arruolato come volontario nei mitici "cacciatori neri" del Lützowsche Jägercorps, dove divenne farmacista militare. Era a Waterloo con la sua unità mobile di ambulanze, nelle file dell'esercito prussiano; fu così che venne coinvolto nella grande operazione di soccorso ai feriti coordinata dal professor Brugmans dell'Università di Leida. Fu probabilmente quest'esperienza a spingerlo ad arruolarsi nell'esercito olandese, sempre come farmacista militare, e a trasferirsi a Leida; quando Brugmans (che potrebbe averlo conosciuto già a Waterloo) fu inviato a Parigi a recuperare le collezioni di storia naturale sottratte dai francesi, lo volle come assistente; lo spinse poi a coltivare il suo talento, iscrivendosi alla facoltà di medicina. Blume si laureò a tempo di record e divenne medico militare all'ospedale di Leida, dove già da due anni lavorava come farmacista. Fece subito domanda per essere inviato nelle Indie orientali olandesi e già nel 1818 (aveva appena compiuto 21 anni) fu inviato a Giava per assistere Reinwardt nei suoi compiti sanitari e nelle ricerche naturalistiche. Vi arrivò alla fine dell'anno e dal gennaio 1819 si stabilì a Buitenzorg (oggi Bogor), ospite dello stesso Reinwardt. Gli fu affidato l'incarico ufficiale di "Ispettore dei vaccini", ma al contrario del suo superiore che, oberato dai troppi compiti amministrativi, poteva dedicarsi al lavoro sul campo solo nei ritagli di tempo, sfruttò la sua posizione per prendere contatto con la popolazione locale, studiare le piante officinali indigene, visitare ampie porzioni del territorio e raccogliere una grande quantità di esemplari botanici (ma anche animali e minerali); i semi e le piante vive diedero un grande impulso agli esperimenti di acclimatazione all'Orto botanico di Bogor, alimentati anche dagli scambi con altri orti botanici, in particolare Calcutta, Mauritius e Rio de Janeiro. Nei sette anni che trascorse a Giava (1819-1826), Blume compì un gigantesco lavoro sul campo, visitando ampiamente le regioni occidentali e centrali dell'isola, spesso accompagnato da assistenti (in particolare, il giardiniere Kent) e da pittori, nonché da portatori indigeni. Tra il 1821 e il 1822 visitò la provincia da Bantam; sempre nel 1822 esplorò largamente il monte Salak e nel 1823 il monte Gedeh; nel 1824, come ispettore dei vaccini, effettuò una grande ricognizione delle regioni occidentali, che lo portò nel Kuripan, a Kravang e nell'isola di Nusa Kambangan, allora ricoperta di foresta vergine, dove poté studiare la Rafflesia; nel 1825 fu la volta delle provincie centrali (Rembang, di nuovo Bantam e monte Parang). Energico e ambizioso, nel suo desiderio di pubblicare le proprie scoperte senza passare attraverso il suo superiore, Blume finì per scavalcare Reinwardt e entrare in conflitto con lui. Incominciò a creare un proprio erbario, a inviare piante in Olanda a proprio nome e a preparare una pubblicazione sulla flora di Giava. Quando Reinwardt se ne accorse, deciso a imporre il proprio monopolio, invocò l'intervento del governo coloniale che requisì l'erbario di Blume, unendolo al suo, e vietò al giovane tedesco di pubblicare nel territorio olandese. Per documentare almeno in parte le sue scoperte, Blume allora ricorse a un escamotage: inviò lunghe relazioni ai fratelli Nees von Esenbeck, che le pubblicarono sotto forma di lettere nella rivista di Regensburg Flora. Nel 1822, con la partenza di Reinwardt per l'Olanda, Blume si liberò della sua ingombrante presenza e gli succedette nella direzione dell'Orto di Bogor (di cui di fatto era già il curatore). Con l'acquisita posizione ufficiale, cadeva anche il divieto di pubblicare sulle riviste olandesi, e Blume si affrettò a dare alle stampe le sue scoperte, prima che la priorità gli venisse sottratta da qualche altro botanico (temeva soprattutto Horsfield e Jack) o glielo impedisse la morte, sempre in agguato nel clima tropicale. Nel 1823 scrisse il primo catalogo dell'Orto botanico di Bogor (che include anche alcune specie descritte dal suo predecessore). Nel 1825 pubblicò un primo pionieristico lavoro sulle orchidee di Giava, Tabellen en platen voor de Javaansche orchideeën, "Tabelle e tavole sulle orchidee di Giava", cui tra il 1825 e il 1827 seguirono Bijdragen tot de Flora van Nederlandsch Indië, "Contributi sulla flora delle Indie olandesi". Pubblicati a Batavia, sono lavori estremamente sintetici, con poche illustrazioni, ma di capitale importanza nella storia della botanica della regione malese, in cui vengono descritti centinaia di generi e specie nuovi per la scienza. Nonostante lavorasse in fretta e con l'aiuto di poche opere di consultazione, Blume vi dimostra il suo grande valore di tassonomista, creando 18 nuove famiglie e circa 300 generi (160 tuttora validi); tuttavia le descrizioni (in latino, mentre il testo è in olandese) sono sommarie e, in assenza di illustrazioni, non sempre garantiscono una corretta identificazione. In effetti, nelle intenzioni di Blume i Bijdragen erano solo un abbozzo della sua vera flora di Giava, un'opera molto ambiziosa che avrebbe potuto scrivere solo in Europa, avendo a disposizione la letteratura più recente e gli esemplari conservati nei principali erbari, da confrontare con i propri. Iniziò così un'estenuante trattativa con il Ministero perché gli fosse concesso un congedo: chiese un permesso di quattro anni; alla fine, gliene furono concessi due, a patto che si pagasse le spese di viaggio e cedesse metà dello stipendio ai giardinieri di Buitenzorg, che lo avrebbero sostituito nella gestione del giardino durante la sua assenza. E così, nel giugno 1826 lasciò Giava (non vi avrebbe mai fatto ritorno) con 29 casse di materiali, compresi il proprio erbario, quello di Reinwardt e i materiali raccolti nei dintorni di Bogor dai giardinieri dell'orto botanico. Rimasero a Giava i doppioni (importanti per lo studio in loco) e l'erbario di Kuhl e van Hasselt (inviato al Museo di Leida nel 1828 da van Raalten). Come materiale d'imballaggio, Blume usò muschi ed epatiche; dopo il rientro in Europa, li inviò a C.J. Nees von Esenbeck, che ne ricavò uno studio sulle epatiche di Giava, pubblicato anche sotto il nome di Blume, per gentilezza accademica. ![]() Pubblicazioni scientifiche e un discusso monopolio Giunto a Bruxelles, allora capitale del regno, Blume riprese le trattative con il governo perché finanziasse Flora Javae: avrebbe dovuto essere una grande opera illustrata, in cento fascicoli in folio. Dopo discussioni senza fine, gli furono concessi 7000 fiorini, con 50 copie da cedersi allo Stato; le ulteriori somme necessarie sarebbero giunte attraverso sottoscrizioni. Le illustrazioni furono affidate al pittore J.C. Arckenhausen, con un contratto di quattro anni; per le descrizioni, inoltre, Blume fu affiancato da J.B. Fischer. Mentre lavorava alla pubblicazione maggiore, tra il 1827 e il 1828 Blume pubblicò Enumeratio plantarum Javeae et insularum adiacentium, minus cognitarum vel novarum, una selezione delle più interessanti specie raccolte a Giava da lui stesso, Reinwardt, Kuhl e van Hasselt; ancora senza illustrazioni e nello stesso stile sintetico dei Bijdragen, ma in latino (e quindi più accessibile agli studiosi di altri paesi), il primo volume è significativo per la pubblicazione di alcune specie inedite di angiosperme, mentre il secondo costituisce il primo tentativo di una presentazione complessiva delle felci della regione malese. I primi 35 fascicoli della Flora Javae, con circa 200 tavole, parte in banco e nero, parte colorate a mano, uscirono infine tra il 1828 e il 1830; poi i soldi finirono, e la pubblicazione venne sospesa, mentre anche la situazione politica si faceva difficile. Nel frattempo, Blume era stato coinvolto in una nuova avventura, e aveva abbandonato l'idea di tornare in Indonesia. Il suo vasto erbario aveva destato grande interesse ed era nata l'idea di creare un erbario nazionale per ospitarlo, insieme alle importantissime collezioni che Siebold stava inviando dal Giappone. Fu così che nel 1829 nacque il Rijksherbarium ("Erbario di Stato"), con sede a Bruxelles, di cui Blume fu nominato direttore, con il titolo di professore e uno stipendio pari a tre volte quello percepito come direttore dell'Orto di Buitenzorg. Tuttavia, il 25 agosto 1830 iniziò l'insurrezione che un anno dopo avrebbe portato all'indipendenza del Belgio. In quei giorni Blume era a Ginevra, in viaggio di nozze; a salvare le collezioni e a portarle fortunosamente a Leida fu Siebold, che era tornato dal Giappone proprio in quei giorni. Rientrato in Olanda, Blume gettò tutta l'energia e tutta la caparbietà del suo carattere nell'ampliamento delle collezioni del nuovo erbario. Si rivolse a rappresentanze consolari, ufficiali sanitari e missionari che operavano nelle colonie, affinché raccogliessero esemplari, giungendo anche a scrivere per loro un libretto di istruzioni. Altre collezioni furono procurate tramite acquisti (benché la situazione finanziaria dell'istituzione fosse così precaria che Blume non riuscì a fare assumere in modo permanente neppure i suoi principali collaboratori, Arckenhausen e Fischer). Interpretando in modo restrittivo una circolare ministeriale del 1830, inoltre, egli cercò di imporre la consegna all'erbario di Leida di tutte le raccolte fatte da persone alle dipendenze dallo stato, vietando inoltre l'invio di piante inedite agli erbari stranieri. Questo diktat colpiva sia Siebold (che in Giappone aveva lavorato come dipendente del Ministero della guerra) sia i membri della Natuurkundige Commissie, gli intrepidi ricercatori che proprio in quegli anni mettevano a rischio la propria vita esplorando la natura dell'Indonesia olandese. Questa pretesa poteva avere qualche giustificazione, ma era illegittima sul piano legale; inoltre offendeva profondamente i botanici impegnati sul campo, che si vedevano trasformati in puri raccoglitori al servizio della gloria accademica di Blume. Il quale, tuttavia, rincarò la dose: nel 1844, si oppose alla richiesta di Teijsmann di creare un erbario indipendente a Bogor; nel 1850, pubblicò nuove istruzioni per le collezioni dell'erbario, in cui ribadì il suo monopolio. Queste pretese suscitarono l'ostilità unanime dell'ambiente botanico olandese: gli erano ostili Reinwardt (non dimentico dei passati sgarbi) e i suoi allievi, tra cui l'influente de Vriese che, quando insegnava ad Amsterdam, vi creò un erbario indipendente; lo stesso Siebold (che inviò il suo erbario a Monaco); F.A.W. Miquel, che andava affermandosi come nuova stella della botanica olandese e succedette poi a Blume nella gestione dell'Erbario di stato; ma soprattutto i membri della Natuurkundige Commissie. Tanto più che Blume si mosse con la leggerezza di un rinoceronte di Giava alla carica: nelle sue riviste con penna avvelenata faceva le pulci ai suoi avversari, alla ricerca di errori e svarioni. Offese talmente il brillante Franz Junghuhn con critiche velenose su certe sue identificazioni che questi cedette le proprie collezioni all'Università di Leida, con la condizione esplicita che mai sarebbero confluite nell'Erbario di stato. Le male lingue incominciarono a moltiplicare le accuse contro di lui: gli si imputò di aver portato in Olanda l'intero erbario di Bogor, senza lasciare i duplicati per lo studio in loco, e di essersi impadronito delle collezioni di Kuhl e van Hasselt (entrambe le accuse sono false); di chiedere esemplari agli orti botanici stranieri senza dare nulla in cambio, perché voleva essere solo lui a pubblicare le specie inedite (l'accusa è vera, ma forse fu dovuta essenzialmente alla carenza di personale); di allontanare tutti i collaboratori con la sua personalità dominante, impedendo di fatto o procrastinando per decenni la pubblicazione delle nuove specie. In effetti, l'attività scientifica di Blume non si arrestò mai, ma continuò ad essere ostacolata dalla carenza di denaro; fu anche sfortunato con i suoi collaboratori, alcuni dei quali morirono giovani, altri cambiarono lavoro o non si dimostrarono all'altezza del compito. Negli anni '40, egli cercò di riprendere l'attività editoriale lanciando una rivista, De Indische Bij, dedicata alla natura, alla storia e all'etnografia dell'arcipelago indonesiano, di cui però uscì un solo numero nel 1843. Tra il 1836 e il 1849 con il titolo Rumphia (omaggio a Georg Eberhardt Rumphius, primo studioso della flora delle Molucche) pubblicò una seconda grande opera dedicata alla flora indonesiana, in quattro volumi ancora magnificamente illustrati da Arckenhausen. Alla fine degli anni '40, non sappiamo con quali finanziamenti, riprese la pubblicazione di Flora Javae; nel 1847 uscirono i fascicoli 36-39, nel 1851 il fascicolo 40, nel 1851 i fascicoli 41 e 42. Anche in risposta alle critiche ricevute per la sua gestione monopolistica dell'Erbario di stato, nei primi anni '50 iniziò la pubblicazione del catalogo dell'erbario, un lavoro che evidentemente non lo appassionava, visto che venne abbandonato dopo i primi due volumi. Negli ultimi anni della sua vita, Blume ritornò a un vecchio amore, quello per le orchidee. Nei suoi primi anni a Giava, aveva progettato di dedicare loro un libro, scritto in collaborazione con van Hasselt (l'unico rapporto documentato tra Blume e i primi membri della Natuurkundige Commissie: vivevano insieme, erano coetanei, eppure ciascuno condusse spedizioni indipendenti, non di rado visitando le stesse località; forse Blume li considerava degli estranei catapultati dall'Olanda a usurpare il suo ruolo di scopritore della flora di Giava); dopo la morte di van Hasselt, vi rinunciò, accontentandosi della breve sintesi delle Tabellen. Vi tornò ora con la seconda serie di Flora Javae (1858-59), pubblicata a proprie spese e interamente dedicata alle Orchidaceae. E' un'opera splendida e decisiva perché vi sono illustrati molti generi importanti, molti dei quali stabiliti da Blume già nei Beijdragen; tra i più noti, Phalaenopsis, Arachnis, Spathoglottis e Dendrochilum. Fu anche tra i primi a descrivere orchidee della Nuova Guinea, tra cui Cypripedium glanduliferum, oggi Paphiopedilum glanduliferum, e Latouria spectabilis, oggi Dendrobium spectabile. Morì a Leida nel 1862. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Da Blumea a Blumeodendron Al di là dei limiti caratteriali, Blume fu senza dubbio uno dei maggiori botanici della sua generazione e il suo contributo alla conoscenza della flora del sudest asiatico è incalcolabile. Dunque non mancarono gli omaggi, a partire dal nome della rivista ufficiale dell'Erbario di stato di Leida, Blumea (oggi pubblicata in formato elettronico, è l'organo del Naturalis Biodiversity Center, che riunisce le principali collezioni nazionali di zoologia e botanica dei Paesi Bassi, in un'unità di intenti che forse non gli sarebbe dispiaciuta). Lo ricordano i nomi specifici blumei e blumeanus (la specie più nota è sicuramente Coleus blumei, oggi ribattezzata Plectranthus scutellarioides) e ben tre generi riconosciuti: Blumea DC, Blumeopsis Gagnep., Blumeodendron (Müll. Arg.) Kurz. Ostracizzato dai botanici di casa, Blume era invece apprezzato nell'ambiente internazionale, in particolare a Parigi, che visitò più volte, intrattenendo anche cordiali rapporti personali con diverse personalità della scienza francese. Tra di essi anche Augustin Pyramus de Candolle che nel 1833 gli dedicò Blumea (famiglia Asteraceae), separandolo da Conyza. E' un vasto genere di piante erbacee cui appartengono una cinquantina di specie distribuite soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia orientale, con qualche presenza in Africa e in Oceania. Ricche di oli essenziali, diverse specie sono usate nella medicina tradizionale in India, in Cina e nel Sudest asiatico. La dedica di de Candolle non è casuale, poiché Blume, nella sua veste di ispettore sanitario, fu molto attento alle piante medicinali locali, da preferirsi alle droghe europee che in seguito al lungo viaggio perdevano grande parte della propria efficacia. Qualche informazione in più nella scheda. Nel 1920, il botanico francese François Gagnepain, sulla base di alcune particolarità delle antere e della distribuzione dei fiori femminili e bisessuali nei capolini, separò da Blumea DC Blumeopsis ("simile a Blumea"), un genere monotipico rappresentato da un'unica specie, B. flava, un'erbacea nana presente nella Cina meridionale, nel subcontinente indiano e nel sudest asiatico. Recenti studi filogenetici, tuttavia, porteranno probabilmente alla cancellazione di questo genere, che in realtà non è distinguibile da Blumea. Per ora è ancora considerato valido da repertori come Plant List; rimando alla scheda per altre notizie. La denominazione Blumeodendron ("albero di Blume") fu invece creata da J. Müller nel 1866 per distinguere una sezione del genere Mallotus, sulla base di M. tokbrai, una pianta delle foreste montane a sostrato acido raccolta da Blume (tokbrai è il nome sundanese) e coltivata nell'orto botanico di Bogor. Blume l'aveva descritta nei Bijdragen sotto il nome di Elateriospermum tokbrai. Infine, nel 1873 W.S. Kurz ne riconobbe l'appartenenza a un nuovo genere, che denominò appunto Blumeodendron, riprendendo la denominazione di Müller. Questo piccolo genere della famiglia Euphorbiaceae comprende cinque specie di alberi decidui endemici del sudest asiatico (Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea), delle isole del Pacifico occidentale e della Papuasia. Un approfondimento nella scheda. ![]() Santiria, omaggio alla sapienza botanica indigena Prima di congedarmi dal discusso Carl Ludwig Blume, vorrei ricordare una piccola vicenda che gli rende onore, rendendolo molto più umano e simpatico ai nostri occhi. Blume, l'abbiamo visto, era stato prima di tutto un ufficiale sanitario, una persona a cui stava a cuore la salute delle persone. Nelle sue attività di ispettore dei vaccini a Giava dimostrò di non fare distinzione tra funzionari bianchi e popolazione locale; si preoccupò del benessere di entrambi i gruppi e non ebbe mai alcuna prevenzione etnocentrica nei confronti della medicina tradizionale, considerando gli esperti di erbe locali una fonte di grande valore. Gli immensi risultati delle sue ricerche non avrebbero potuto essere raggiunti senza l'aiuto delle guide indigene e senza la loro conoscenza degli ecosistemi dell'isola e delle proprietà delle piante. Uomo senza pregiudizi, volle riconoscere questo contributo dedicando il genere Santiria al più abile e devoto di questi collaboratori, il "vecchio sundanese" Bapa Santir che lo aveva accompagnato nella scalata del monte Salak nel 1822 (i sundanesi sono un gruppo etnico della parte occidentale dell'isola di Giava). Questa dedica (Blume la pubblicò nel 1850, nel primo volume del Catalogo dell'Erbario di Stato) suscitò l'indignazione dell'arcinemico Junghuhn; come si era permesso Blume di attribuire a una "persona indegna", un semplice pakke drager (un portatore di bagagli, un coolie) un onore che spettava solo ai migliori botanici? al contrario, Bapa Santir (spiace di non sapere nient'altro di lui; l'appellativo bapa, che significa padre, indica una persona anziana e autorevole) secondo la testimonianza di Blume era il più grande conoscitore della flora di Giava che egli avesse incontrato, un'autorità locale che sapeva tutto sulle piante (molto meglio di qualsiasi botanico europeo) e gli fu guida fedele e espertissima. Il bello è che, mentre Blume era considerato un conservatore, in Olanda Junghuhn si atteggiava a progressista e illuminato. Non nei confronti dei colonizzati, evidentemente. Il genere Santiria, della famiglia Burseraceae, comprende circa 15 specie, una (o tre, secondo altri) originaria dell'Africa occidentale tropicale, le restanti endemiche della regione malese, con massima biodiversità nel Borneo. Sono alberi da piccoli a grandi della foresta umida a bassa altitudine, spesso su substrato acido, che crescono relativamente in fretta e costituiscono la specie dominante in talune aree; il legname di alcune specie, noto come kedondong (nome che hanno in comune con altre Burseriaceae) è ricercato a livello locale perché duro e duraturo. Alcune specie, ad esempio l'africana Santiria trimera, producono frutti eduli. Qualche notizia in più nella scheda. All'ombra di altissimi bambù, nell'Orto botanico di Bogor nell'isola di Giava c'è un angolo singolare: è un antico cimitero (la prima tomba fu eretta nel 1784, 33 anni prima che Reiwardt fondasse il giardino) con 41 tombe. In una delle più modeste - un semplice cippo parallelepipedo sormontato da una colonna - riposano insieme due amici che condivisero gli studi, la passione per la scienza, gli entusiasmi e le fatiche della prima missione scientifica ufficiale nelle Indie orientali olandesi, la morte precoce. Sono il tedesco Heinrich Kuhl (morto a 24 anni) e l'olandese Johan Coenraad van Hasselt (morto a 26). Erano soprattutto zoologi, il cui contributo, in particolare all'ornitologia e all'erpetologia, fu di enorme valore; ma non disdegnarono la botanica, raccogliendo molte nuove specie di orchidee. Con una scelta toccante e felice, sono ricordati insieme dal genere Kuhlhasseltia, che comprende piccole ma graziose orchidee terrestri endemiche dell'Asia orientale. ![]() Una Commissione dagli esiti tragici A cavallo degli anni '20, il nuovo regno unito dei Paesi Bassi (era stato creato nel 1815 dal Congresso di Vienna, unendo i Paesi Bassi e il Belgio, come stato cuscinetto in funzione antifrancese) sembra percorso da un nuovo entusiasmo per le antiche colonie dell'Asia orientale. In effetti, dopo la sconfitta di Napoleone, il paese si trovava in un grave stato di decadenza economica, culturale e scientifica; i territori delle Indie orientali olandesi, che adesso, dopo lo scioglimento della Compagnia olandese delle Indie Orientali, erano passati sotto amministrazione statale, potevano offrire un contributo decisivo per risollevarne le sorti. Fu così che, senza neppure attendere gli esiti della missione di Reinwardt, il neo re Guglielmo I decise di fondare due nuove istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione delle loro risorse naturali. Nel maggio 1820 nacque la Natuurkundige Commissie voor Nederlandsch-Indië (Commissione di Scienze Naturali per le Indie Olandesi) cui sarebbe stata affidata l'esplorazione di quei territori, con compiti tanto economici quanto scientifici: da una parte il rilevamento delle risorse minerarie, dall'altra la schedatura della flora e della fauna dell'arcipelago. Ad agosto, seguì la creazione del Rijks Museum voor Natuurlijke Historie (Museo di Stato di Storia naturale), destinato a studiare e ospitare le collezioni raccolte in Indonesia. A presiedere entrambe, un eminente zoologo e collezionista, Coenraad Jacob Temminck. La Commissione era costituita da quattro membri (scelti tra naturalisti, geografi, geologi, pittori e tassidermisti) che venivano inviati nelle isole per un periodo di quattro anni. Nei suoi trent'anni di vita (1820-1850) coinvolse complessivamente diciotto persone, dodici delle quali perirono nel corso delle missioni, finché quest'alto tasso di perdite convinse il governo a sciogliere l'istituto. Nel frattempo, erano state organizzate spedizioni a Giava, Sumatra, Nuova Guinea, Borneo e Timor, con risultati impressionanti per quantità e qualità, che tra il 1839 e il 1847 vennero pubblicati in Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche Overzeesche bezittingen ("Rendiconti di storia naturale dei possedimenti olandesi d'oltremare"). In questo post racconterò la storia, tragicissima, dei primi quattro membri della Commissione, nessuno dei quali rivide mai la patria. All'atto dell'istituzione della Commissione, Temminck, su raccomandazione del Professor van Swinderen dell'Università di Groninga, propose la candidatura di un brillantissimo giovane scienziato tedesco, che si era perfezionato a Groninga dove era diventato assistente di Swinderen: Heirich Kuhl. Ma era impossibile ingaggiare Kuhl senza coinvolgere il suo migliore amico, l'olandese Johan Coenraad van Hasselt. I due si erano conosciuti all'Università di Groninga nel 1816 - coetanei, all'epoca avevano diciannove anni - ed erano diventati inseparabili. Entrambi appassionati di scienze naturali (anche se, di formazione, Hasselt era un fisiologo), nell'estate del 1818 avevano fatto insieme un viaggio di studio in Germania dove avevano visitato le principali istituzioni scientifiche; nell'aprile del 1819, già pensando a una possibile missione in Oriente, il solo Kuhl era andato a Londra, dove era stato amabilmente accolto da James Edward Smith, presidente della Linnean Society, e dallo stesso Banks; a novembre, di nuovo con van Hasselt, aveva visitato Parigi, incontrando Geoffroy de Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck. Ma l'incontro più appassionante era stato quello con Humboldt, che aveva loro aperto le porte dell'Accademia delle scienze e di molte collezioni private. I due amici, evidentemente, sognavano di emulare il loro idolo von Humboldt e non vedevano l'ora di partire, ma insieme. Grazie a un'efficace azione di lobbing di Swinderen e Temminck, il ministro dell'Istruzione accolse anche van Hasselt nella Commissione, che fu poi completata dal tassidermista Gerrit van Raalten e dal pittore Gerrit Laurens Keultjes. Come meta per la prima missione fu scelta Giava, di cui le esplorazioni di Reinwardt stavano dimostrando la grande potenzialità. Le collezioni raccolte sarebbero state inviate al Museo di storia naturale di Leida (anche se, come si è visto sopra, sarebbe stato fondato ufficialmente solo qualche mese dopo), di cui Kuhl venne nominato curatore. ![]() Due amici divisi e riuniti dalla morte Il 10 luglio 1820 i quattro lasciarono l'Olanda a bordo della Nordloh, che dopo un viaggio di sei mesi, nel corso del quale toccarono Madeira, Città del Capo e le Isole Cocos, li portò a Batavia, dove sbarcarono a dicembre. Il governatore generale Van der Capellen assegnò loro un alloggio a Buitenzorg (oggi Bogor), che sarebbe diventato il loro quartier generale. Entusiasti e instancabili, i ragazzi (è il caso di dirlo: il pittore, con i suoi 34 anni, era quasi un papà per i suoi tre compagni, tutti coetanei, che di anni ne avevano solo 23) si misero immediatamente al lavoro, abusando sicuramente delle proprie forze. I primi quattro mesi vennero trascorsi nei dintorni di Buiterzorg che offrivano ad ogni passo una messe di specie nuove per la scienza; oltre a decine di animali, raccolsero 185 specie di felci, 70 di muschi, 100 di funghi; non passava giorno che non trovassero qualche nuova specie di orchidea. All'attività sul campo seguiva l'esame dei materiali raccolti, accompagnato dall'attento studio dei disegni e degli erbari di Reinwardt. L'esplorazione a tappeto dell'area di Buitenzorg permise, secondo Kuhl, di raggiungere "una conoscenza tanto completa quanto quella che si possiede per qualsiasi parte d'Europa". I due amici progettarono quindi una spedizione a Bantam, una provincia allora poco nota, ma un'epidemia di colera li convinse a spostarsi sulle montagne; nell'estate, scalarono il Gunung Salak, il Gunung Gede e il Gunung Pangrango, dove raccolsero molti rettili e anfibi. Alla base del Pangrango, visitarono anche le fonti termali situate tra Rompin e Waroe, dove trovarono una flora interessante e ancora poco nota. Sorpresi da violenti temporali, entrambi contrassero la polmonite; complicazioni epatiche aggravarono le condizioni di Kuhl che, dopo quattro settimane di sofferenze, morì il 14 settembre 1821; van Hasselt, che era medico, lo curò amorevolmente, sconvolto dalla serenità e dalla calma con la quale l'amico accettava la propria sorte. Fu così grande il dolore di perdere colui con il quale per cinque anni aveva diviso gli studi e la vita che cadde in un profondo stato di prostrazione, tanto che van Capellen lo fece trasportare nella propria residenza. Due giorni dopo, moriva anche il pittore Keultjes. L'avventura indonesiana di Kuhl e Keultjes era durata appena nove mesi. Una sintesi della breve ma intensa vita di Kuhl nella sezione biografie. Dopo un lento recupero, van Hasselt e van Raalten (che aveva assunto anche il compito di pittore) dedicarono il 1822 all'esplorazione della zona costiera nei pressi di Batavia, quindi alla costa occidentale, nei dintorni di Anyer. Nel 1823 ripresero il progetto di visitare la provincia di Bantam e scalarono il monte Karang; tuttavia van Raalten si ammalò e fu sostituito dai pittori Janus Theodor Bik (che già aveva accompagnato Reiwardt) e Antoine Maurevert; conosciamo i particolari di questa spedizione grazie al diario di viaggio di Bik, che venne pubblicato qualche anno più tardi. I tre esplorarono la provincia vistandone tanto le zone costiere quanto le catene montuose; verso la metà di agosto, van Hasselt fu colpito da una violenta infezione addominale (presumibilmente amebiasi); tra riprese e ricadute, venne riportato in portantina a Buitenzorg, dove però si spense due giorni dopo l'arrivo, l'8 settembre 1823. Anche per la vita di van Hasselt, rimando alla sezione biografie. Per volontà di van der Capellen, egli fu sepolto nella tomba dove già da quasi due anni esatti riposava Kuhl. Su una faccia del cippo, il governatore fece incidere queste parole: "Come divisero ogni cosa in vita, rimangono insieme dopo la morte, come esempio di devozione, amicizia e amore per la scienza". Sulla faccia opposta, l'epitaffio recita: "In memoria di H. Kuhl, di Hanau, e di J.C. van Hasselt, di Groninga, dottori in medicina, che, sotto gli auspici del re, furono inviati qui a studiare la natura, entrambi dotati di mente eccellente e industriosi nei loro studi, ma soprattutto congiunti da una speciale amicizia fin dalla giovinezza, mentre assolvevano ai loro compiti con grande dedizione soccombettero a una morte precoce, dovuta all'esaurimento per un lavoro strenuo e una fatica eccessiva". Strenuo davvero era stato il loro lavoro: in soli nove mesi Kuhl e in meno di tre anni van Hasselt inviarono al Museo di Leida 200 scheletri, 200 pelli di mammiferi di 65 specie, 2000 uccelli, 1400 pesci, 300 rettili e anfibi, oltre a insetti, crostacei e altri animali marini. Quelli raccolti nell'ultimo viaggio di van Hasselt, per ordine del governatore furono affidati a van Raalten, che li catalogò e li preparò per l'invio in Olanda. Gigantesco fu anche il contributo di Keultjes che lasciò circa 1200 disegni. Anche il materiale botanico fu inviato in in Olanda, dove confluì in gran parte nelle collezioni dell'Erbario nazionale. L'unico sopravvissuto, van Raalten, sarebbe andato incontro al suo destino qualche anno più tardi. Rimasto a Giava, nel 1827 accompagnò Heinrich Christian Macklot in un viaggio attraverso il Preanger (Giava occidentale), dove fu ferito da un rinoceronte. Nel 1828 partecipò alla spedizione della Commissione in Nuova Guinea (insieme a Macklot, Müller, Zippelius e van Oort) nel corso della quale morì a Timor. ![]() Congiunti nella tomba, congiunti nella denominazione L'importanza del contributo di Kuhl e van Hasselt alla conoscenza della fauna di Giava è testimoniato dalle dozzine di specie di animali che portano il loro nome: tra gli altri, i pipistrelli Pipistrellus kuhlii e Myotis hasseltii, i batraci Limnonectes kuhlii e Leptobrachium hasseltii, moltissimi pesci tra cui il genere Kuhlia, Pangio kuhli e Callogobius hasseltii; e ancora uccelli, insetti, molluschi. Numerose sono anche le piante che li ricordano nel nome specifico, ad esempio Hoya kuhlii e Dyospiros hasseltii. Nel 1825, appena seppe della morte dei due giovani, Kunth (il collaboratore di Humboldt che li aveva conosciuti in occasione del loro viaggio a Parigi) volle celebrarli con una dedica gemella, intitolando a ciascuno di loro due alberelli sudamericani piuttosto affini, Kuhlia glauca e Hasseltia floribunda. Entrambi i generi, un tempo assegnati alla eterogenea famiglia della Flacourtiaceae, sono ora confluiti nelle Salicacae; il primo tuttavia non è più riconosciuto (è sinonimo di Banara). Hasseltia Kuhn comprende quattro specie di arbusti e piccoli alberi delle foreste tropicali del Centro e del Sud America. La specie più diffusa è proprio Hasseltia floribunda, presente nelle foreste tropicali umide di Panama e Costa Rica; è caratterizzata da infiorescenze bianche a ombrella molto ramificata. Nel Novecento da Hasseltia sono dati distaccati inoltre due generi monotipici molto affini: Hasseltiopsis (creato da H.O. Sleumer nel 1938) il cui unico rappresentante è H. dioica, un albero piuttosto raro delle foreste nebulose del Messico e della Costa Rica; Macrohasseltia (creato da L.O. Williams nel 1961), rappresentato da M. macroterantha, relativamente diffuso nelle foreste umide dal Messico a Panama. Qualche approfondimento su Hasseltia, Hasseltopsis, Macrohasseltia nelle rispettive schede. Ma la dedica più bella e più poetica è giunta nel 1910 grazie al grande esperto di orchidee Johannes Jacobus Smith, che come i due amici esplorò la flora di Giava e dal 1913 al 1924 fu direttore dell'orto botanico di Bogor. Ricordando la loro amicizia e il loro amore per le orchidee, volle congiungere i loro nomi in Kuhlhasseltia. Si tratta di un piccolo genere (5-8 specie) di minute orchidee terrestri che crescono nel sottobosco delle fitte foreste dell'Asia orientale su muschi e detriti di foglie; di piccole dimensioni e per nulla vistose, sono rarissimamente coltivate e assai rare anche in natura. Per la loro bellezza delicata, fanno parte delle cosiddette "orchidee gioiello". Così discrete e gentili, mi sembrano molto adatte a ricordare i due amici, pionieri degli studi sulle orchidee del Sud est asiatico. Qualche notizia in più nella scheda. Proprio l'anno scorso ha celebrato il suo duecentesimo anniversario l'Orto botanico di Bogor, nei pressi di Giakarta, il più antico del Sud est asiatico e uno dei più importanti per la conservazione, lo studio e la diffusione delle piante tropicali. Nacque infatti ufficialmente il 18 maggio 1817 su suggerimento di Caspar Georg Carl Reinhardt, botanico tedesco naturalizzato olandese. Nel suo breve soggiorno a Giava, Reinhardt proseguì, anche se meno di quanto avrebbe desiderato, le ricerche botaniche iniziate da Horsfield; a celebrarlo i generi Reinwardtia e Reinwardtiodendron. Con un'appendice sull'hortulanus Willem Kent, il genere Kentiopsis, l'(ex) genere Kentia e la viscosità della nomenclatura botanica. ![]() Il rilancio dell'impero coloniale olandese Nell'ambito delle complesse trattative diplomatiche che ridisegnano l'Europa postnapoleonica, nell'agosto 1814 l'Olanda e la Gran Bretagna sottoscrivono il Trattato di Londra, con il quale i britannici restituiscono agli olandesi parte del loro impero coloniale: tenuti per sé la Colonia del Capo, Ceylon e gli insediamenti in India e nei Caraibi, ritornano ai Paesi Bassi il Suriname, Giava, Sumatra e le Molucche. Per riprenderne il controllo, con qualche ritardo causato dalle convulsioni dei Cento giorni, nell'ottobre 1815 una piccola flotta parte infine dall'Olanda alla volta dell'Indonesia: agli ordini del governatore van der Capellen, 3000 soldati e un gruppo di funzionari che dovranno costituire il nuovo governo coloniale (durante gli anni rivoluzionari, la Compagnia olandese delle Indie Orientali, che aveva retto le isole per oltre duecento anni, è stata sciolta). A bordo della nave da guerra Admiral Evertsen c'è anche il botanico Caspar Georg Carl Reinhardt, cui con l'altisonante titolo di Direttore dell'Agricoltura, delle Arti e delle Scienze di Giava e delle isole vicine sono affidati tre compiti principali: studiare e valutare le potenzialità economiche delle isole, in vista di uno sfruttamento più razionale; migliorare l'educazione dei funzionari europei e i servizi sanitari offerti da ospedali e farmacie; raccogliere animali, piante e minerali destinati al Cabinetto nazionale di Amsterdam. Ad assisterlo in questo ultimo compito, un piccolo staff formato da due pittori, i fratelli Bik, e da un giardiniere, Willem Kent, che ha già lavorato per Reinwardt quando questi dirigeva l'orto botanico di Harderwijk. Farmacista di formazione, ma anche appassionato di botanica e di coltivazione di piante esotiche, Reinwardt ha infatti insegnato per alcuni anni storia naturale all'Università di Harderwijk e poi ad Amsterdam; sotto Luigi Bonaparte, ha diretto il progetto di creazione di uno zoo reale. Ammiratore di Humboldt, nei suoi studi botanici è particolarmente attento alla correlazione tra flora, clima, natura del suolo. Dopo otto mesi di navigazione, Reinwardt arriva a Giava nell'aprile 1816. Nell'attesa del passaggio di consegne da parte dell'amministrazione britannica, visita piantagioni di caffè, indaco, canna da zucchero nei dintorni di Batavia. Incontra Nikolaus Engelhardt, ex governatore della costa settentrionale di Giava, che gli mostra la sua notevole collezione di oggetti naturali, antichità, disegni, libri e manoscritti (tra i quali forse le note di campo del francese Jean Baptiste Leschenault de la Tour che era stato suo ospite tra il 1803 e il 1806). Entra in contatto con il presidente della Società di Arte e di Scienze di Batavia, che aveva sponsorizzato e pubblicato le ricerche di Horsfield. Incomincia anche a studiare il malese e, assistito da Kent, a raccogliere e descrivere erbe, licheni, alberi e fiori. A giugno, annota nel suo diario che hanno già raccolto 160 esemplari. ![]() La nascita del primo orto botanico del Sudest asiatico L'amministrazione olandese si installò ufficialmente ad agosto e anche Reinwardt assunse il suo incarico; i doveri amministrativi (il più pressante era la riorganizzazione delle scuole e della sanità) gli lasciavano poco tempo per gli studi naturalistici. Fu tuttavia in quei mesi che maturò l'idea di fondare un Orto botanico nei pressi del Palazzo del Governatore Generale a Buitenzorg (oggi Bogor). Il clima favorevole, il suolo vulcanico, la disponibilità d'acqua ne facevano il luogo ideale per coltivare piante di interesse economico raccolte in tutto l'arcipelago. Inoltre proprio qui, negli anni in cui governava Giava, Raffles aveva creato un giardino all'inglese. Il governo coloniale accolse la proposta di Reinwardt e mise a disposizione un terreno adatto; venne anche assunto un secondo giardiniere ad affiancare Kent, l'inglese Thomas Hooper, formatosi a Kew e giunto a Giava in circostanze rocambolesche: come assistente di Abel, aveva fatto parte della missione Amherst in Cina. A febbraio, si era ritrovato a Batavia tra i superstiti dell'Alceste, naufragata sugli scogli dell'arcipelago giavanese. Anziché tornare in patria, grazie all'allettante offerta di un salario mensile di 150 guilders, decise di rimanere a lavorare al neonato Orto botanico di Buitenzorg. L'anno successivo, l'équipe scientifica fu completato dall'arrivo a Giava di un altro botanico, il tedesco Carl Ludwig Blume. La costruzione del giardino iniziò nel maggio 1817. Comprendeva diverse aree: aiuole e campi per la coltivazione di piante da reddito, erbacee, fiori e alberi, granai per la conservazione dei raccolti, magazzini per gli attrezzi, stalle per i bufali e i buoi impiegati nei lavori, case per il personale indigeno (nel 1822 impiegava 65 aiutanti). Con il duplice obiettivo di presentare un panorama il più possibile completo della flora dell'Indonesia e di fungere da giardino di acclimatazione per piante tropicali di alto potenziale economico o decorativo, crebbe rapidamente. A cinque anni dalla fondazione, nel 1823, sulla base del catalogo redatto da Blume, vi si coltivavano circa 900 specie di piante, la maggior parte provenienti dalle montagne di Giava e dalle Molucche, ma anche da scambi con altri orti botanici (tra i più assidui, quelli di Calcutta e di Rio de Janeiro). In questo modo, l'orto di Buitenzorg diventò ben presto un nodo di rilievo nella grande rete che intrecciava conoscenza scientifica, sfruttamento coloniale, introduzione di nuove piante. Non a caso, avrebbe giocato un ruolo importante nelle sperimentazioni su varie specie di Cinchona destinate ad assicurare all'Olanda il monopolio della produzione del chinino. Ma torniamo a Reinwardt. La sua passione per le scienze naturali e la stessa attività scientifica devono passare in secondo piano rispetto alle attività amministrative. Riesce a creare una rete di raccoglitori, che coinvolge cacciatori indigeni, marinai e militari, funzionari e residenti olandesi, che gli procurano esemplari dalle diverse isole dell'arcipelago, destinate sia alla sua collezione privata sia al Gabinetto reale, ma deve ridurre a ben poco l'attività sul campo. A parte alcune escursioni minori, partecipa solo a due spedizioni scientifiche di una certa importanza: nel 1818, insieme a Kent e ai Bik, cui si è aggiunto un terzo pittore, Antoine Payen, i residenti generali e altri funzionari, nonché ben 130 portatori, intraprende un ampio tour di Giava; tra la fine del 1821 e il marzo 1822, visita le Molucche e altre isole orientali. Intanto in Olanda, in seguito alla morte di Brugmans, si è resa vacante la cattedra di botanica a Leida. Il re, soddisfatto dei servizi di Reinwardt (anche se molti dei suoi invii di curiosità naturali sono andati perduti nelle vicissitudini dei viaggi), lo nomina "Cavaliere dell'ordine del leone d'Olanda" e approva la sua nomina a successore di Brugmans. Reinwardt, che pensa di non aver concluso i suoi compiti a Giava, tergiversa e riesce a rimanere ancora un anno; poi, convinto anche da problemi di salute, il 15 giugno 1822 lascia Batavia per fare rientro in Olanda. Lo attende ancora una lunga carriera accademica (morirà nel 1854) durante la quale pubblicherà tuttavia soltanto tre brevi monografie sulla flora delle Indie orientali olandesi; la sua collezione di piante indonesiane sarà pubblicata solo dopo la sua morte dal suo successore alla cattedra di Leida, Willem Hendrik de Vriese. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() La romantica storia di Pyoli, ovvero Reinwardtia A Reinwardt non sono mancati gli onori postumi. Nei Paesi Bassi lo ricorda l'Accademia Reinwardt, il dipartimento di museologia e conservazione dei beni culturali della Scuola d'Arte di Amsterdam; in Indonesia, Reinwardtia, la rivista dell'Orto botanico di Bogor, dove qualche anno fa gli è anche stata eretta una stele. Nella nomenclatura scientifica, lo celebrano il nome specifico di diversi animali (il più noto è il trogone di Giava, Apalharpactes reinwardtii), i generi Reinwardtoena (uccelli della famiglia dei colombi), Reinwardia (famiglia Linaceae), Reinwardtiodendron (Meliaceae). Reinwardtia Dumor. fu creato nel 1822 da B.C.J. Dumortier. E' un genere monotipico che comprende un'unica specie, Reinwardtia indica, un piccolo arbusto dai magnifici fiori giallo vivo. Di origine himalayana, fu inizialmente descritta da Roxburgh come Linum tryginum. Nella dedica, Dumortier, che scrive proprio mentre Reinwardt era in viaggio per tornare nei Paesi bassi, ricorda soprattutto le sue attività come divulgatore di piante rare negli anni di Amsterdam e, informato del suo soggiorno di cinque anni a Giava, si limita ad auspicare che pubblichi quanto prima i risultati delle sue ricerche. R. indica è una pianta graziosissima che non passa inosservata. Nota come Pyoli in India, è legata a una romantica leggenda. Pyoli era una fanciulla selvaggia che viveva nella foresta, dove era stata allevata dagli animali; non aveva mai incontrato nessun essere umano prima di imbattersi in un principe che vi si era perduto durante la caccia. Ovviamente i due si innamorarono e il principe persuase Pyoli a seguirla nel suo palazzo; nonostante l'amore, la ragazza cominciò a languire per la nostalgia della foresta. Sul punto di morire, chiese all'amato come ultimo desiderio di essere sepolta tra i suoi amici. Il principe la seppellì dove l'aveva incontrata per la prima volta. Poco dopo, in quel luogo sorse il fiore che porta il suo nome. Estremamente decorativa sia per il fogliame sempreverde sia per i grandi fiori a campana giallo puro (che sbocciano anche d'inverno), è coltivata da secoli nei giardini indiani e cinesi; non rustica può essere coltivata all'aperto nelle regioni dal clima mite oppure in vaso come pianta da serra o appartamento. Altre informazioni nella scheda. Negli anni successivi, altri botanici dedicarono a Reinwardt un genere Reinwardtia: Blume nel 1824, Sprengel nel 1825, Korthals nel 1841; tutti sono illegittimi in base alla regola dell priorità. E' invece entrato stabilmente nella nomenclatura botanica il genere Reinwardtiodendron (letteralmente "albero di Reinwardt") dedicatogli da S.H. Koorders nel 1898, sulla base di Reinwardtiodendron celebicum, raccolto da Reinwardt nell'isola di Celebes durante il suo viaggio alle Molucche, quindi da lui introdotto a Bogor. Reinwardtiodendron, della famiglia Meliaceae, è un piccolo genere che comprende sei/sette specie di alberi e arbusti dioici, per lo più sorretti da radici a contrafforte; hanno piccoli fiori globosi raccolti, quelli maschili, in pannocchie lasche, quelli femminili, in racemi o spighe, seguiti da bacche carnose. Affini ai generi Aglaia e Lansum (da cui tuttavia sono distinti, come hanno confermato anche le indagini genetiche) sono un gruppo di piante poco noto, esclusivo di un'area dell'Asia orientale compresa tra i Ghati a ovest, lo Yunnan a Nord, le Filippine e le isole della Sonda a est, con maggiore centro di diversità nelle Molucche (con cinque-sei specie). La più diffusa e anche più nota è R. humile, che è presente nelle macchie delle foreste subtropicali e tropicali dell'intero areale del genere. Qualche informazione in più nella scheda. ![]() Kentia ovvero la viscosità delle denominazioni botaniche Prima di chiudere questo post, torniamo a un personaggio che finora ha avuto solo il ruolo di comparsa: Willem Kent. Come ho già accennato era un giardiniere (hortulanus) che aveva lavorato sotto Reinwardt a Harderwijk, per poi passare a Leida. Lo seguì a Giava e rimase a lavorare all'Hortus di Bogor fino al 1825, quando divenne aiuto ispettore della coltivazione del caffè. Morì a Giava nel 1827. Un cenno biografico nella sezione biografie. Blume, che succedette a Reinwardt come direttore del giardino botanico di Bogor e lo ebbe come collaboratore, nel 1830 gli dedicò un genere di palme (Arecaceae), Kentia. Benché questa denominazione sia illegittima (il nome era già stato usato quasi settant'anni prima di Adanson per un genere di Fabaceae, dedicato a tutt'altra persona), ebbe grande fortuna e rimase in uso per circa un secolo, giungendo ad annoverare più di 50 specie. In realtà si trattava di un genere artificiale, che raccoglieva specie abbastanza diverse ma accomunate dalle grandi foglie pennate e dai fiori dei due sessi disposti a triade. Con il progresso della conoscenza delle palme (le Arecaceae sono una famiglia molto vasta che presenta particolari difficoltà di classificazione) è stato soppresso e le specie che ne facevano parte sono state assegnate a diversi altri generi. Nel frattempo però la denominazione Kentia aveva fatto in tempo sia a entrare indirettamente nella nomenclatura botanica (compare nella seconda parte del nome di almeno cinque generi di palme, per lo più appartenenti alla tribù Areceae, ad esempio Actinokentia o Physokentia), ma soprattutto a incollarsi a una delle palme più coltivate nei nostri appartamenti; anche se nel 1877 il grande botanico italiano Odoardo Beccari lo separò da Kentia, assegnandola al genere Howea, Howea fosteriana continua ad essere coltivata e commercializzata come Kentia o kenzia, per quella stessa viscosità dei nomi botanici che fa sì che si continui a chiamare gerani i Pelargonium o amarillis gli Hyppeastrum. In ogni caso, anche l'oscuro Willem Kent continua ad essere celebrato da un genere valido, sebbene in modo indiretto. Nel 1873 Brongniart denominò Kentiopsis (ovvero "simile a Kentia") un genere di palme endemiche della Nuova Caledonia. Diffuse in aree molto limitate, le sue quattro specie sono piante rare, a rischio di estinzione. Bellissime, leggere e d'aspetto veramente tropicale, sono talvolta coltivate nei giardini dei paesi a clima mite. Un approfondimento nella scheda. Justus Heurnius, medico che si fece teologo, pastore e missionario, scrisse una pagina importante della storia delle missioni calviniste in Oriente. Ma per noi è soprattutto il primo occidentale ad aver descritto alcune piante sudafricane. Per questo lo ricordiamo, nonostante quel piccolo errore ortografico che ha fatto sì che il suo genere celebrativo si chiami Huernia. ![]() Uno scalo al Capo di Buona Speranza Nel 1619 gli olandesi della Compagnia delle Indie Orientali (VOC) conquistarono Giacarta nell'isola di Giava e la ribattezzarono Batavia, facendone la capitale del loro impero commerciale. Qualche mese prima, il giovane teologo Justus Heurnius, dando una lettura teologica e provvidenziale delle vittorie olandesi, aveva rivolto un memorandum (De legatione evangelica ad Indos capessenda Admonitio, "Ammonizione per l'invio di una missione evangelica presso gli Indiani") alle autorità della repubblica e ai dirigenti della VOC affinché si facessero carico della missione di evangelizzare i popoli dei paesi caduti sotto la loro amministrazione. Come conseguenza, a gettare le basi dell'attività missionaria la chiesa di Amsterdam decise di inviare a Giava proprio Heurnius, che nel frattempo era diventato pastore. Fu così che il 9 gennaio 1624 egli salpò a bordo di un vascello della VOC, la Gouda, alla volta di Giava. Le sue competenze non si limitavano alla teologia; figlio e fratello di medici, prima di affrontare gli studi teologici si era laureato in medicina all'università di Leida e doveva possedere una discreta conoscenza in campo medico e erboristico. Ad aprile, la nave fece scalo al Capo di Buona speranza per caricare acqua e viveri (doveva passare un quarto di secolo prima che la VOC vi creasse un punto di scalo stabile, destinato a trasformarsi nella Colonia del Capo); le operazioni si prolungarono per alcuni giorni e in Heurnius si risvegliò l'interesse per la botanica. Non conosciamo i dettagli, ma a giudicare dalle specie raccolte dovette esplorare le pendici della Table mountain dove raccolse, disegnò e descrisse alcune specie, probabilmente scelte tra quelle che apparivano più curiose e esotiche. A maggio il viaggio riprese e a luglio Heurnius sbarcò a Giava, dove iniziò con energia la sua attività missionaria. Appena, possibile ebbe cura di inviare al fratello Otto, medico a Leida, i disegni e le descrizioni delle piante sudafricane (forse accompagnati da esemplari essiccati). Come si è già visto in questo post, Stapelius, amico di Otto Heurnius, ne incluse dieci nella sua mega edizione di Historia plantarum di Teofrasto. Non sappiamo se fossero tutte le piante inviate dal missionario, o se egli avesse operato una scelta. Grazie all'ottima qualità dei disegni e delle descrizioni sono state tutte identificate con un buon grado di probabilità: Morella serrata, Haemanthus coccineus, Manulea rubra, Cotyledon orbiculata, Micranthus tubolosus, Centella villosa, due specie di Oxalis (probabilmente O. versicolor e O. purpurea var. alba), Kniphofia uvaria, Orbea variegata. Nella preparazione della stampa, tra queste due ultime specie dovette avvenire un curioso scambio: di Orbea variegata si dice planta plane inodora, "pianta praticamente senza odore", di Kniphofia invece flos foetidi odoris est, "è un fiore dall'odore fetido". In ogni caso, Heurnius si è guadagnato l'onore di essere il primo europeo a raccogliere e descrivere piante sudafricane in un testo a stampa. Secondo una testimonianza di Parkinson, anche a Giava Heurnius "dottore in cose divine e in medicina" non tralasciò la botanica e l'erboristeria: avrebbe infatti inviato in patria un libretto o una collezione di piante dell'isola, con le loro virtù e gli usi, conservato in una teca dell'università di Leida; alcuni suoi amici gli avevano riferito dell'eccellente descrizione di Nymphaea glandulifera batavica javorum che vi si poteva leggere. Di questo secondo contributo alla botanica di Heurnius si sono perse le tracce; decisamente importante fu invece la sua attività come teologo e missionario. Per qualche approfondimento, si rimanda alla biografia. ![]() Huernia, fiori come gioielli in miniatura Può rincrescere che Linneo decidesse di rendere omaggio con il genere Stapelia all'editore Stapelius e non allo scopritore e descrittore Heurnius. A questa piccola ingiustizia mise rimedio Robert Brown che nel 1810, rivedendo il genere Stapelia, ne separò alcune specie che andarono a formare il nuove genere Huernia; come si può notare, commise un piccolo errore di grafia, scambiando la seconda e la terza lettera del cognome del dedicatario (errore che secondo le regole della nomenclatura botanica va rispettato). Nel cambio con Stapelius Heurnius non ci perde. Huernia (anch'esso appartenente alla sottotribù Stapeliinae della famiglia Apocynaceae) è un genere anche più numeroso e diffuso di Stapelia: conta una cinquantina di specie, con un'areale alquanto vasto che va dalla penisola arabica al Sud Africa, passando per l'Etiopia e ampia parte dell'Africa orientale. Di piccole dimensioni (i fusti solo alti al più una decina di centimetri) ed estremamente vario per la forma e i colori dei fiori, si adatta bene anche alla coltivazione in vaso; è quindi molto ricercato dai collezionisti di succulente. I fiori sono piccoli gioielli di non più di 2-3 cm di diametro, prevalentemente rossi, gialli o bruni, spesso con strisce e variegature, con corolla a stella pentagonale con angoli molto ottusi oppure a cinque lobi maggiori intervallati da altrettanti piccoli lobi minori; alcune specie sono anche dotate di un anello in rilievo attorno alle corone (annulus). Tanta bellezza e tanta varietà di forme fa volentieri perdonare quell'odorino poco simpatico che hanno in comune con la maggior parte delle consorelle. Qualche notizia in più nella scheda. A ricordare indirettamente Heurnius, c'è anche il piccolissimo genere Huerniopsis ("d'aspetto simile a Huernia"), che comprende due sole specie di Stapeliinae diffuse in Bostwana e Sud Africa, caratterizzate dall'assenza o dalla riduzione della corona esterna; tanto per cambiare, emanano un nauseante odore dolciastro. Per qualche dettaglio, si rimanda alla scheda. Le vie della botanica sono infinite. Per una curiosa combinazione il dottissimo Jan Bode, alla latina Stapelius, mentre sta curando la sua monumentale edizione bilingue di Teofrasto, riceve le note e i disegni di alcune piante raccolte in Sud Africa dal fratello di un amico. Decide di includere anche quelle: saranno le prime piante sudafricane mai comparse in un testo a stampa. Se ne ricorderà Linneo, dedicandogli il genere Stapelia. ![]() Teofrasto, ovvero una botanica per botanici Grazie alla pubblicazione a stampa della traduzione di Gaza e dell'originale greco, le opere botaniche di Teofrasto entrarono tra i testi canonici. Tuttavia non furono mai popolari come De materia medica di Dioscoride; mentre il testo dioscorideo forniva il nome e i contenuti alla botanica applicata (materia medica) insegnata ai futuri medici, diveniva il libro di testo obbligato di tutte le facoltà di medicina europee, era chiosato e commentato da decine di studiosi, De historia plantarum e (anche di più) De causis plantarum erano più riveriti e citati di terza mano che letti e conosciuti. La ragione è proprio quella che oggi ce li fa apprezzare: l'interesse di Teofrasto per la morfologia e la fisiologia delle piante non li rendeva immediatamente fruibili per gli studenti di medicina. Nel Cinquecento si conosce un solo esempio di corso universitario focalizzato su Teofrasto: quello tenuto a Bologna nel 1560 da Ulisse Aldrovandi, quando però insegnava filosofia; quando due anni dopo passò a insegnare materia medica, ripiegò anche lui su Dioscoride. A leggere Teofrasto e a trarne stimolo per le proprie ricerche erano i pochi studiosi che coltivavano la botanica come scienza in sé, non come ancella della medicina com'era ancora prevalentemente considerata. Insomma, erano testi di botanica per botanici. Non a caso tra i loro estimatori troviamo in primo luogo Cesalpino (che tentò una classificazione delle piante su basi aristoteliche), Rondelet, che gettò le basi della scuola botanica francese (caratterizzata da una spiccata vocazione tassonomica) e i Bauhin. I pochi lavori cinquecenteschi direttamente dedicati a Teofrasto, più che di botanici, furono opera di filologi, che discettavano di problemi di critica testuale e criticavano la traduzione troppo libera di Gaza. Bisogna quindi attendere il Seicento perché uno studioso che era allo stesso tempo un medico, un filologo e un botanico si accingesse a fare per Teofrasto quello che Mattioli aveva fatto con i suoi Commentarii per Dioscoride. ![]() Un'edizione monumentale A tentare l'impresa fu un giovane medico di Amsterdam, Jan Bode à Stapel o van Stapel (di solito è noto con il nome latinizzato Johannes Badaeus Stapelius). Coltissimo, dotato di una profonda conoscenza delle lingue classiche, si propose di curare un'edizione completissima delle due opere di Teofrasto: in primo luogo, il testo greco messo a confronto con la traduzione latina di Gaza, su due colonne affiancate; a margine, le notazioni filologiche e testuali; a seguire, per ogni capitolo, le note di alcuni commentatori che lo avevano preceduto (Giulio Cesare Scaligero, Robert Constantin, Claudius Salmasius); infine i commenti di sua mano. L'interesse di quest'opera non è solo filologico. Profondo conoscitore delle piante (lui e suo padre possedevano un giardino ricco di specie esotiche), Stapelius infarcì i suoi commenti di informazioni di ogni genere sul mondo vegetale, comprese notizie sulle piante che giungevano dall'Asia e dal Nuovo mondo (sono per lo più di seconda mano, attinte da opere di altri botanici, in particolare Clusius e l'Obel). Volle inoltre arricchire la sua opera con numerose xilografie; anche se poche sono originali, si tratta in ogni caso della prima edizione illustrata di Teofrasto. Stapelius, che iniziò a lavorare all'opera intorno al 1625, subito dopo essersi laureato, morì nel 1636, a poco più di trent'anni; riuscì quindi ad affrontare solo la prima opera di Teofrasto, De Historia Plantarum. Qualche notizia sulla sua breve vita nella sezione biografie. Il padre, Engelbert Stapel, a sua volta medico di fama, completò il lavoro del figlio e lo pubblicò nel 1644, dopo altri otto anni di lavoro. Questa edizione monumentale (è uno splendido in folio di oltre 1200 pagine), molto accurata anche nella veste tipografica, riserva ancora una piccola sorpresa: quattro pagine sono dedicate alle primissime specie sudafricane mai descritte dalla scienza. Nel 1624, un missionario olandese, Justus Heurnius, mentre la sua nave, diretta a Giava, faceva rifornimento al Capo di Buona Speranza, ne approfittò per disegnare e descrivere alcune piante. Inviò questi materiali in Olanda a suo fratello Otto, amico e compagno di studi di Stapelius, a cui li passò; Stapelius colse a volo l'occasione, includendo disegni e descrizioni nella sua opera. ![]() Quella strana fritillaria... la chiamerò Stapelia Torneremo sulla storia di Heurnius, anche lui dedicatario di un genere. Per ora rimaniamo in compagnia di Stapelius e della pianta che lo celebra. Linneo era un grande ammiratore del suo commento, di cui apprezzava la competenza e la chiarezza espositiva. Non gli sfuggirono quelle quattro pagine che contenevano una preziosa primizia della flora sudafricana e scelse proprio una di quelle nuove piante per onorare lo studioso olandese, ribattezzando Stapelia quella che Heurnius aveva denominato Fritillaria crassa caput Bone Spei ("Fritillaria grassa del Capo di Buona Speranza"). In Species Plantarum, 1753, Linneo pubblicò due specie di Stapeliae: S. variegata (che è appunto la "fritillaria crassa" di Heurnius) e S. hirsuta; oggi la prima è stata trasferita a un altro genere e si chiama Orbea variegata. Ma il vero "padre delle stapelie" può essere considerato il botanico scozzese Francis Masson, che esplorò il Sud Africa da solo e insieme a Thunberg, uno dei più importanti allievi di Linneo, e poi visse per qualche anno nella Colonia del Capo, coltivando un giardino di acclimatazione. Egli aveva una vera passione per queste piante, cui dedicò il suo unico libro, Stapeliae novae, la prima monografia sul genere Stapelia (1796), in cui ne descrisse una quarantina; diede anche un grande contributo alla loro introduzione in Europa, dove iniziarono ad essere molto apprezzate dai collezionisti. A partire dall'Ottocento, diverse specie vennero trasferite in altri generi, i più noti dei quali sono Duvalia, Huernia, Caralluma, Hoodia. Oggi ammontano a una quarantina, raccolti nella sottotribù Stapeliinae; gli inglesi, con il loro senso pratico, chiamano tutto il gruppo Stapeliad. Il genere Stapelia comprende una cinquantina di specie di succulente degli ambienti aridi dell'Africa tropicale e australe (Angola, Mozambico, Malawi, Tanzania, Bostwana, Zimbawe, ma soprattutto Namibia e Sud Africa, dove si concentra la maggior parte delle specie). Appartenenti alla famiglia Apocynaceae (un tempo Asclepiadaceae), sono note soprattutto per i curiosi fiori a forma di stella che emanano odore di carogna. Questo odore, avvertibile in alcune specie anche a una certa distanza, è una strategia per attirare gli impollinatori, che sono soprattutto mosche carnarie; allo stesso fine mirano i peli, i colori e la tessitura dei petali che mimano un animale in decomposizione. Ma ci sono anche rare eccezioni: S. erectiflora e S. flavopurpurea sono gradevolmente profumate. Nonostante questa proprietà poco edificante, le Stapeliae sono ricercatissime dai collezionisti di piante succulente. Altri due membri del gruppo rendono indirettamente omaggio a Stapelius: Stapelianthus ("con fiori simili alla Stapelia"), un piccolo genere endemico del Madagascar, con fiori minuti dalle forme varie e sorprendenti; Stapeliopsis ("con aspetto simile alla Stapelia"), un piccolo genere originario della Namibia e del Sud Africa, i cui piccoli fiori sono per lo più piacevolmente profumati di miele e frutta. Per approfondimenti su Stapelia, Stapelianthus, Stapeliopsis si rimanda alle rispettive schede. Un po' dottor Jekyll, un po' mister Hyde, il botanico olandese J. F. Gronovius riconosce immediatamente il genio di Linneo, pubblica a sue spese la prima edizione di Systema naturae, gli procura un lavoro e lo inserisce nella sua estesa rete di contatti con naturalisti di mezza Europa. Ma non esita a impadronirsi dell'opera del botanico americano John Clayton, riscrivendola e pubblicandola senza il permesso dell'autore. Per ironia della sorte (o malignità di Linneo?) il genere che lo celebra mostra una curiosa somiglianza con il dedicatario. ![]() Il protettore di Linneo... Nel 1735, quando Linneo arrivò in Olanda per conseguire la laurea in medicina, uno dei primi scienziati che incontrò fu Jan Frederik Gronovius. Quest'ultimo già ne conosceva il nome per aver letto recensioni del suo viaggio in Lapponia su riviste tedesche; e quando il giovane svedese (all'epoca aveva 28 anni) gli mostrò il suo Systema naturae fu così impressionato che gli propose di pubblicarlo a proprie spese. Dato che Linneo dovette lasciare Leida per Amsterdam, non solo Gronovius sostenne le spese di stampa (con l'aiuto di un medico scozzese, Isaac Lawson), ma seguì personalmente la pubblicazione, fino a sobbarcarsi la correzione delle bozze. Si trattava per altro di un volumetto in 12 pagine, estremamente sintetico (in forma di tabella), pubblicato in due versioni: in alcune copie, infatti, il testo era stampato su una sola facciata, per permetterne la consultazione anche sul campo, durate le escursioni naturalistiche. Inoltre Gronovius, che era un naturalista dilettante ma estremamente conosciuto e con una vasta rete di conoscenze, introdusse Linneo presso Boerhave, il più stimato botanico olandese, e lo aiutò a trovare una sistemazione in un momento di difficoltà economica, raccomandandolo a George Clifford, un facoltoso appassionato anglo-olandese, di cui Linneo diventò medico personale e curatore del giardino di Hartekamp. Gli mise inoltre a disposizione la sua biblioteca e le sue cospicue collezioni naturalistiche, in particolare il proprio erbario, e lo aiutò a inserirsi nell'ambiente internazionale dei naturalisti, consigliandolo e fornendogli lettere di presentazione in occasione del suo viaggio in Inghilterra e in Francia (1736). Gronovius apparteneva a una illustre famiglia di intellettuali, legata da quasi un secolo all'Università di Leida, a partire del nonno omonimo (Johann Friedrich Gronow, 1611-1671, che latinizzò il proprio nome in Gronovius), un celebre filologo di origine tedesca; filologi erano ugualmente il padre Jacob (1645-1716) e il fratello Abraham (1695-1775), che fu anche direttore della biblioteca dell'università. Il nostro Jan Frederik era invece un medico e fu membro del senato cittadino e più volte sindaco di Leida. Ma soprattutto fu un appassionato naturalista, creatore di un notevole erbario e di un ricco gabinetto di curiosità, tappa obbligata per i visitatori dei Paesi Bassi. Già facoltoso grazie alle sua famiglia, con due successivi matrimoni acquisì un solido patrimonio che gli permise di dedicarsi all'arricchimento delle proprie collezioni di piante essiccate, animali e minerali. Nella prima metà del Settecento, Leida, dove Clusius aveva creato il primo orto botanico dell'Olanda, era un centro universitario di grande reputazione, che attirava in particolare studenti dalle isole britanniche. Probabilmente grazie a queste frequentazioni Gronovius apprese perfettamente la lingua inglese e poté stabilire duraturi contatti con ex studenti di Leida inglesi e scozzesi. La sua rete di corrispondenti (con i quali scambiava libri e esemplari) era alquanto vasta e comprendeva studiosi di mezza Europa, ma i rapporti più fruttuosi furono proprio quelli con il mondo anglosassone, in particolare con raccoglitori e studiosi che operavano nell'America settentrionale. Tra di loro troviamo Mark Catesby, che raccolse piante in Virginia e più in generale nelle colonie americane sud-orientali e nelle Antille; William Houstoun (o Houston) che esplorò Cuba, la Giamaica, il Venezuela e la regione messicana di Vera Cruz; il medico Cadwallader Colden e sua figlia Jane, la prima botanica americana; John Clayton, che ugualmente operò in Virginia. Tra i suoi corrispondenti inglesi, troviamo anche il mercante-collezionista Collinson, della cui rete egli si giovò per accedere alle piante raccolte da John Bartram. ![]() Un po' pirata, un po' naturalista... La rete americana di Gronovius è alla base di una vicenda decisamente inquietante. Nel 1734 e nel 1735, Clayton inviò a Catesby (che era rientrato in Inghilterra ed era considerato uno specialista della flora del nuovo mondo perché stava pubblicando Natural History of Carolina, Florida and the Bahama Islands) due grossi carichi di esemplari raccolti in Virginia. Catesby non riuscì ad identificare molte piante; trattenne alcuni esemplari per il proprio erbario (a sua volta Collinson tenne per sé una parte dei semi) e inviò il grosso in Olanda a Gronovius, perché li identificasse. Di fronte all'enorme mole di materiale, Gronovius chiese l'aiuto di Linneo, che in quel momento lavorava per Clifford a Hartekamp. Nel frattempo, Clayton aveva scritto un catalogo delle piante da lui raccolte in Virginia, organizzate secondo il metodo di Ray; inviò anche questo a Catesby, chiedendogli di cercare un editore. Catesby spedì il manoscritto a Gronovius. L'olandese, con la collaborazione di Linneo, rivide completamente il testo e riclassificò le piante seguendo il metodo linneano; senza chiedere il permesso a Clayton, pubblicò il frutto del suo lavoro con il titolo Flora virginica (1739-1743). Se non di un plagio (come si vede dall'immagine, nel frontespizio compare anche il nome di Clayton, stampato più in alto e in corpo maggiore rispetto a quello di Gronovius), si tratta di una grave scorrettezza che di fatto privò Clayton della sua proprietà intellettuale. La natura dell'operazione salta agli occhi dalla lettura del titolo nella sua interezza: Flora virginica, exibens plantas quas Johannes Clayton in Viriginia observavit et collegit, easdem methodo sexuali disposuit, ad genera propria retulit, nominibus specificis insignivit, et minus cognitas descripsit Joh. Fred. Gronovius, "Flora della Virginia, in cui si descrivono le piante che John Clayton osservò e raccolse in Virginia, che J. F. Gronovius ha classificato secondo il metodo sessuale, ha assegnato al genere corretto, ha dotato di nomi specifici e di cui ha descritto quelle meno conosciute". Come si vede, Clayton, da autore, è stato ridotto a mero raccoglitore, mentre tutto il merito scientifico è attribuito a Gronovius; quest'ultimo, in effetti, non solo cambiò il metodo di classificazione, ma operò una totale riscrittura, sostituendo i nomi polinomiali proposti da Clayton (spesso ridotti a meri sinonimi) con altri attinti da opere precedenti o creati da lui stesso. Qualche anno più tardi, nel 1762, mentre Clayton, ovviamente assai insoddisfatto del trattamento subito, lavorava a una propria versione, il figlio di Gronovius avrebbe reiterato l'offesa pubblicando una seconda edizione, precludendo ogni possibilità di pubblicare all'americano, che non riuscì a trovare un editore per il proprio lavoro né in Europa né in America. Nonostante questa sgradevole vicenda, Flora virginica rimane un'opera importante, ed ebbe un rilevate ruolo storico. Oltre a essere la prima trattazione complessiva della flora della colonie americane, rimasta a lungo un testo di riferimento, fu la prima opera botanica ad adottare il sistema di classificazione di Linneo, di cui fu la principale fonte per le specie americane descritte in Species plantarum. Molte delle denominazioni assegnate da Gronovius alle piante americane furono validate da Linneo e sono tuttora in uso. Gronovius compilò anche una Flora orientalis, basata sull'erbario di Leonhard Rauwolf (1535-1596), che tra il 1573 e il 1575 viaggiò e raccolse piante in Levante e in Mesopotamia, in cui riclassificò, sempre seguendo il metodo linneano, circa 350 piante. Come si è visto in questo post, battezzò la Linnaea borealis in onore di Linneo; creò il genere Gerbera. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Anche suo figlio Laurentius Theodorus (1730-1777) fu un naturalista, soprattutto uno zoologo e un ittiologo; allo stesso modo in cui il padre aiutò il giovane Linneo, ebbe la ventura di essere tra i protettori di Carl Peter Thunberg, che proprio grazie al suo interessamento poté essere assunto dalla Compagnia olandese delle Indie Orientali e dare inizio ai suoi viaggi in Sud Africa e Giappone. ![]() Gronovia, l'arrampicatrice Fu un altro raccoglitore di piante americane a raccogliere e dedicare a Gronovius la pianta che ne avrebbe perpetuato il nome. Si tratta del chirurgo scozzese William Houstoun (o Houston) che nei suoi viaggi nelle Antille e in Messico raccolse molte nuove piante, tra cui una rampicante erbacea messicana che denominò Gronovia repens, in onore del corrispondente Gronovius il quale gli rese il favore creando il genere Houstonia. Entrambi furono poi validati da Linneo nel 1753 nella prima edizione di Species plantarum. Gronovia è un piccolo genere della famiglia Loasaceae, che comprende solo due specie: appunto G. repens, di ampia diffusione dal Messico al Perù settentrionale, e G. longiflora, endemica del Messico meridionale. Sono erbacee rampicanti a veloce crescita dei boschi aridi caducifogli, annuali che nascono alle prime piogge, per poi seccare al ritorno della stagione secca; sono caratterizzate da foglie profondamente lobate (che le fanno assomigliare un po' alla zucca matta, Bryonia dioica, tanto che in passato furono assegnate alle Cucurbitaceae), fusti dotati di peli in parte urticanti e in parte uncinati, e piccoli fiori bianchi o verdastri a cinque petali. G. repens, che cresce spesso in terreni disturbati, per la sua rapida crescita (può arrivare anche a 4 metri) viene considerata un'infestante dei coltivi. Insomma, un'erbaccia, in cui si rimane impigliati e che punge come un'ortica, come ci dicono alcuni dei suoi nomi comuni (ortiguilla, "piccola ortica", mala mujer, "donna malvagia, donnaccia", pega pega "acchiapparella"). Qualche approfondimento nella scheda. Forse Linneo avrebbe potuto scegliere qualcosa di più raffinato per onorare il suo antico protettore, ma volle giustamente rispettare la denominazione creata da Houstoun; e poi, in fondo, anche Gronovius, almeno nei confronti di Clayton, si comportò decisamente da erbaccia rampicante, pronto ad attaccarsi alle sue ricerche e a crescere soffocandone la carriera scientifica. Chi è l'autore di un'opera a cui hanno messo mano decine di persone? Chi l'ha concepita? Chi ne ha dettato il testo? Chi l'ha scritta materialmente? Chi l'ha rivista? Chi ne ha curato l'editing e la stampa? Ripercorrendo la storia di un eccezionale testo botanico di fine Seicento, l'Hortus Malabaricus, probabilmente non troveremo la risposta, ma conosceremo indiani, portoghesi, olandesi che lavorano insieme alla prima opera etno-botanica della storia. Molti avrebbero meritato di dare il proprio nome a un genere, ma alla fine ci sono riusciti solo in tre, e più fortunati sono stati gli ultimi arrivati, i Commelin, che hanno dato il loro nome al notissimo genere Commelina. ![]() Prima tappa: 1670-1675, Cochin, Malabar Nel 1602 a Amsterdam viene fondata la Compagnia olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie, meglio nota con la sigla VOC); per circa 150 anni - fino all'affermazione dell'Inghilterra come superpotenza coloniale - essa avrà il monopolio del commercio delle spezie lungo le rotte che collegano l'Europa al Capo di Buona Speranza, all'India e all'Indonesia. Nei luoghi strategici vengono creati avamposti commerciali, che sono allo stesso tempo porti, empori e fortezze. Uno di essi è Cochin, sulla costa indiana del Malabar, strappato nel 1663 ai Portoghesi. A differenza di questi ultimi, che avevano cercato di imporre la religione cattolica, gli olandesi calvinisti si dimostrano molto più tolleranti. Anche i rapporti con il sovrano del Malabar (detto Samoothirippadu, che nelle lingue occidentale diventa Zamorin) sono relativamente positivi. E' in questo contesto che Hendrik van Rheede, governatore del Malabar olandese tra 1670 e il 1677, progetta un'opera senza precedenti: esplorare e catalogare l'intera flora locale, allo scopo fondamentale di individuare piante medicinali utili contro le malattie tropicali. L'aspetto più originale, che sicuramente contribuisce alla riuscita del progetto, è il coinvolgimento dell'intellighenzia locale; l'opera è affidata a un'équipe di 15-16 persone che comprende medici e studiosi indiani, capeggiati dal medico ayurvedico Itty Achudan; un disegnatore, il frate carmelitano Johannis Mathei, noto come padre Matteo; traduttori dalla lingua locale (il malayam) al portoghese, dal portoghese all'olandese e infine dall'olandese al latino (lingua della redazione finale). Essenziale - per assicurare i contatti con l'équipe indiana e permettere il lavoro di raccolta degli esemplari - è anche la benevola assistenza del re di Cochin e dello Zamorin di Calcutta. Per due anni, il territorio viene accuratamente esplorato da un centinaio di raccoglitori; ciascun esemplare è portato a Cochin e accuratamente disegnato da padre Matteo; quindi Achudan detta in malayan la descrizione della pianta, corredata di note mediche e etnografiche (spesso tratte da manoscritti su foglie di palma, tramandati di generazione in generazione nella sua famiglia di medici); il suo lavoro è discusso con gli altri membri dell'équipe e validato dalla supervisione di tre medici-bramini. Alla fine, vengono catalogate e descritte circa 800 piante; gli esemplari, inseriti in fogli di carta corredati con i nomi in malayam, latino, olandese e altre lingue e accompagnati dai disegni e dalle descrizioni vengono quindi spediti a Amsterdam, per essere trasformati in un'opera a stampa. ![]() Seconda tappa: 1678-1703, Amsterdam, Paesi Bassi Prima che il materiale così raccolto sia pubblicabile occorre ancora molto lavoro e il coinvolgimento di molte altre persone (medici, botanici, incisori, tipografi...). L'intero testo deve essere rivisto da botanici e medici europei; bisogna realizzare le tavole calcografiche e curare la stampa; insomma per completare l'opera, che alla fine comprenderà 12 volumi di circa 200 pagine ciascuno, in folio, con 794 calcografie (712 delle quali a doppia pagina), saranno necessari altri venticinque anni; il primo volume esce nel 1678, l'ultimo nel 1703. Van Reede nel 1678 rientra ad Amsterdam e affida la redazione dell'opera, iniziata in India dal suo collaboratore, il pastore Johannes Casearius, a Arnold Seyen, professore di medicina a botanica a Leida. Poco dopo la pubblicazione del primo volume, questi però muore. Il principale curatore dell'opera a questo punto diventa il botanico dilettante Jan Commelin che, in collaborazione con diversi studiosi, redigerà i volumi 2-11 e parzialmente il volume 12. Saranno 25 anni di lavoro che si interromperà solo con la morte. Il poco che ancora rimane sarà portato a termine dal nipote, Caspar Commelin, che redigerà anche un indice plurilingue delle specie citate. Jan Commelin era un mercante di prodotti farmaceutici che, grazie al successo commerciale, aveva fatto carriera fino a diventare borgomastro della città di Amsterdam; appassionato di botanica, gli era stata affidata la direzione dell'Hortus medicus della capitale olandese quindi la sovrintendenza di tutte le aree verdi della città. Il nipote era un medico e botanico che, in un certo senso, aveva "ereditato" dallo zio la carica di direttore dell'Hortus medicus, ne terminò le opere e insegnò medicina e botanica all'Università di Amsterdam. Altre notizie sui due botanici olandesi nella sezione biografie. Linneo consultò e apprezzò il grande libro sulla flora del Malabar: anzi arrivò ad affermare che a suo parere le uniche descrizioni affidabili era quelle dell'Hortus Elthamensis di Dillenius, del Nova plantarum americanarum genera di Plumier e dell'Hortus malabaricus di van Reede; anzi queste ultime erano le più accurate delle tre. Non stupisce quindi che nell'assegnare il nome a piante del subcontinente egli abbia ripreso molti nomi dell'Hortus malabaricus; K. S. Manilal, studioso e curatore delle edizioni moderne inglese e malayan dell'opera ha calcolato che Linneo ha riutilizzato 258 nomi malayan. Fonte: B. Dharmapalan, Hortus Malabaricus, Celebrating a Tricentennal of a Botanic Epic, http://nopr.niscair.res.in/bitstream/123456789/14856/1/SR%2049(10)%2026-28.pdf ![]() Casearia, ovvero amici filosofi Tra i tanti personaggi che abbiamo incontrato in questa storia, cinque hanno avuto l'onore di dare il loro nome a un genere. Nella lotteria del Who's who della botanica, l'assegnazione non sempre corrisponde però ai meriti. L'ideatore (che viene sempre citato come "autore" dell'opera, di cui probabilmente non ha scritto una riga), Hendrik van Rheede si è visto assegnare Rheedia, un genere di alberi tropicali della famiglia delle Clusiacaee oggi non più accettato (è sinonimo di Garcinia); ha dato anche il nome specifico a Entada rheedi, una Fabacaea di origine africana dagli enormi baccelli. Ugualmente sfortunato Itty Achudan; nell'Ottocento Carl Ludwig Blume - un botanico olandese di origine tedesca che aveva lavorato a lungo nell'Asia olandese - gli dedicò il genere Achudemia, che tuttavia oggi è considerato una sezione del genere Pilea (Urticacaee). Più fortunato nella memoria postuma Johannes Casearius, il giovane pastore al quale van Rheede aveva affidato la versione latina dell'opera. Ma sfortunatissimo nella vita reale: la morte precoce gli impedì di andare oltre il secondo volume. Il suo contributo avrebbe potuto essere ben più importante, visto che gli si deve anche la stesura del disegno generale, esposto nella prefazione. Giovanissimo studente di teologia a Leida (all'epoca doveva essere sui diciotto anni) gli era capitata la ventura di condividere l'abitazione con Spinoza; il filosofo prese a esporgli gli elementi essenziali della filosofia di Descartes, che più tardi pubblicò nella sua unica opera edita in vita, I principi della filosofia di Cartesio (1663). In una lettera ad un altro membro del suo circolo, Simon de Vries, lo invita a non essere geloso di Casearius e della sua intimità con lui; dice anzi di odiarlo per il suo infantilismo e la sua superficialità, ma di amarlo per il suo talento, che fa bene sperare per il futuro. Casearius frequentò ancora Spinoza per qualche tempo; poi, dopo aver completato gli studi di teologia a Leida e Utrecht, divenne pastore ad Amsterdam e si sposò. Nel 1668 come pastore della VOC fu inviato a Cochin e collaborò con van Rheede all'edizione latina di Hortus Malabaricus fino al 1677, quando morì di dissenteria a poco più di trent'anni. Memore del suo contributo, il botanico austriaco von Jacquin volle dedicargli Casearia, un importante genere di alberi tropicali della famiglia Salicaceae (un tempo Flacourtiaceae). Ampiamente distribuito nella fascia tropicale e subtropicale di America, Asia, Africa e isole del Pacifico, comprende 180-200 specie di arbusti o alberi, alcuni dei quali di notevoli dimensioni. Come altre piante di questa famiglia, contengono principi attivi e alcune specie sono state ampiamente utilizzate nella medicina popolare in America e in Asia, in particolare come antisettici, cicatrizzanti e anestetici. Ad esempio, C. sylvestris, un grande arbusto nativo delle Antille, dell'America centrale e della parte settentrionale di quella meridionale, dove è noto con vari nomi, tra cui il brasiliano guacatonga, ha una lunga storia di usi medicinali in tutti i paesi in cui vive: la sua corteccia e le sue foglie sono state usate per combattere le ulcere, i morsi di insetti, addirittura le piaghe della lebbra. C. decandra, un alberello deciduo diffuso dai Caraibi al Brasile, ha invece frutti eduli, che vengono raccolti in natura e consumati a livello locale. Ugualmente eduli sono i frutti della sudamericana C. rupestris, un albero molto ornamentale delle foreste semidecidue, con una elegante chioma piramidale. Qualche approfondimento nella scheda. ![]() Chi sono i petali di Commelina? Ma il genere più noto e familiare è indubbiamente toccato agli ultimi venuti, ovvero ai due Commelin, zio e nipote, che sono per altro anche i più illustri nella storia della botanica come fondatori dell'Orto botanico di Amsterdam. Già Plumier nel 1703 dedicò loro il genere Commelina (famiglia Commelinacae), celebrandoli come autori di un'altra opera comune ai due, il catalogo dell'Hortus medicus di Amsterdam. Probabilmente l'assegnazione si basa sul fatto che il fiore della specie da lui descritta (si tratta presumibilmente di Commelina erecta) in apparenza ha due soli petali, ciascuno dei quali rappresenta uno dei due botanici olandesi. Linneo - che usò come specie di riferimento Commelina communis - confermerà l'omaggio, ma con una precisazione: questa pianta può bene rappresentare i Commelin, perché ha due petali vistosi, mentre il terzo è insignificante; i primi due stanno per due illustri botanici (Jan e Caspar), mentre il terzo per un altro Commelin (Caspar il giovane, morto a trent'anni) a cui la morte non ha permesso di fare nulla. Il genere Commelina è diffuso in tutta l'area tropicale e subtropicale, comprende circa 170 specie e ha dato il proprio nome alla famiglia delle Commelinacaee. Per altre notizie, si rimanda alla scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2025
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