Chi è l'autore di un'opera a cui hanno messo mano decine di persone? Chi l'ha concepita? Chi ne ha dettato il testo? Chi l'ha scritta materialmente? Chi l'ha rivista? Chi ne ha curato l'editing e la stampa? Ripercorrendo la storia di un eccezionale testo botanico di fine Seicento, l'Hortus Malabaricus, probabilmente non troveremo la risposta, ma conosceremo indiani, portoghesi, olandesi che lavorano insieme alla prima opera etno-botanica della storia. Molti avrebbero meritato di dare il proprio nome a un genere, ma alla fine ci sono riusciti solo in tre, e più fortunati sono stati gli ultimi arrivati, i Commelin, che hanno dato il loro nome al notissimo genere Commelina. Prima tappa: 1670-1675, Cochin, Malabar Nel 1602 a Amsterdam viene fondata la Compagnia olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie, meglio nota con la sigla VOC); per circa 150 anni - fino all'affermazione dell'Inghilterra come superpotenza coloniale - essa avrà il monopolio del commercio delle spezie lungo le rotte che collegano l'Europa al Capo di Buona Speranza, all'India e all'Indonesia. Nei luoghi strategici vengono creati avamposti commerciali, che sono allo stesso tempo porti, empori e fortezze. Uno di essi è Cochin, sulla costa indiana del Malabar, strappato nel 1663 ai Portoghesi. A differenza di questi ultimi, che avevano cercato di imporre la religione cattolica, gli olandesi calvinisti si dimostrano molto più tolleranti. Anche i rapporti con il sovrano del Malabar (detto Samoothirippadu, che nelle lingue occidentale diventa Zamorin) sono relativamente positivi. E' in questo contesto che Hendrik van Rheede, governatore del Malabar olandese tra 1670 e il 1677, progetta un'opera senza precedenti: esplorare e catalogare l'intera flora locale, allo scopo fondamentale di individuare piante medicinali utili contro le malattie tropicali. L'aspetto più originale, che sicuramente contribuisce alla riuscita del progetto, è il coinvolgimento dell'intellighenzia locale; l'opera è affidata a un'équipe di 15-16 persone che comprende medici e studiosi indiani, capeggiati dal medico ayurvedico Itty Achudan; un disegnatore, il frate carmelitano Johannis Mathei, noto come padre Matteo; traduttori dalla lingua locale (il malayam) al portoghese, dal portoghese all'olandese e infine dall'olandese al latino (lingua della redazione finale). Essenziale - per assicurare i contatti con l'équipe indiana e permettere il lavoro di raccolta degli esemplari - è anche la benevola assistenza del re di Cochin e dello Zamorin di Calcutta. Per due anni, il territorio viene accuratamente esplorato da un centinaio di raccoglitori; ciascun esemplare è portato a Cochin e accuratamente disegnato da padre Matteo; quindi Achudan detta in malayan la descrizione della pianta, corredata di note mediche e etnografiche (spesso tratte da manoscritti su foglie di palma, tramandati di generazione in generazione nella sua famiglia di medici); il suo lavoro è discusso con gli altri membri dell'équipe e validato dalla supervisione di tre medici-bramini. Alla fine, vengono catalogate e descritte circa 800 piante; gli esemplari, inseriti in fogli di carta corredati con i nomi in malayam, latino, olandese e altre lingue e accompagnati dai disegni e dalle descrizioni vengono quindi spediti a Amsterdam, per essere trasformati in un'opera a stampa. Seconda tappa: 1678-1703, Amsterdam, Paesi Bassi Prima che il materiale così raccolto sia pubblicabile occorre ancora molto lavoro e il coinvolgimento di molte altre persone (medici, botanici, incisori, tipografi...). L'intero testo deve essere rivisto da botanici e medici europei; bisogna realizzare le tavole calcografiche e curare la stampa; insomma per completare l'opera, che alla fine comprenderà 12 volumi di circa 200 pagine ciascuno, in folio, con 794 calcografie (712 delle quali a doppia pagina), saranno necessari altri venticinque anni; il primo volume esce nel 1678, l'ultimo nel 1703. Van Reede nel 1678 rientra ad Amsterdam e affida la redazione dell'opera, iniziata in India dal suo collaboratore, il pastore Johannes Casearius, a Arnold Seyen, professore di medicina a botanica a Leida. Poco dopo la pubblicazione del primo volume, questi però muore. Il principale curatore dell'opera a questo punto diventa il botanico dilettante Jan Commelin che, in collaborazione con diversi studiosi, redigerà i volumi 2-11 e parzialmente il volume 12. Saranno 25 anni di lavoro che si interromperà solo con la morte. Il poco che ancora rimane sarà portato a termine dal nipote, Caspar Commelin, che redigerà anche un indice plurilingue delle specie citate. Jan Commelin era un mercante di prodotti farmaceutici che, grazie al successo commerciale, aveva fatto carriera fino a diventare borgomastro della città di Amsterdam; appassionato di botanica, gli era stata affidata la direzione dell'Hortus medicus della capitale olandese quindi la sovrintendenza di tutte le aree verdi della città. Il nipote era un medico e botanico che, in un certo senso, aveva "ereditato" dallo zio la carica di direttore dell'Hortus medicus, ne terminò le opere e insegnò medicina e botanica all'Università di Amsterdam. Altre notizie sui due botanici olandesi nella sezione biografie. Linneo consultò e apprezzò il grande libro sulla flora del Malabar: anzi arrivò ad affermare che a suo parere le uniche descrizioni affidabili era quelle dell'Hortus Elthamensis di Dillenius, del Nova plantarum americanarum genera di Plumier e dell'Hortus malabaricus di van Reede; anzi queste ultime erano le più accurate delle tre. Non stupisce quindi che nell'assegnare il nome a piante del subcontinente egli abbia ripreso molti nomi dell'Hortus malabaricus; K. S. Manilal, studioso e curatore delle edizioni moderne inglese e malayan dell'opera ha calcolato che Linneo ha riutilizzato 258 nomi malayan. Fonte: B. Dharmapalan, Hortus Malabaricus, Celebrating a Tricentennal of a Botanic Epic, http://nopr.niscair.res.in/bitstream/123456789/14856/1/SR%2049(10)%2026-28.pdf Casearia, ovvero amici filosofi Tra i tanti personaggi che abbiamo incontrato in questa storia, cinque hanno avuto l'onore di dare il loro nome a un genere. Nella lotteria del Who's who della botanica, l'assegnazione non sempre corrisponde però ai meriti. L'ideatore (che viene sempre citato come "autore" dell'opera, di cui probabilmente non ha scritto una riga), Hendrik van Rheede si è visto assegnare Rheedia, un genere di alberi tropicali della famiglia delle Clusiacaee oggi non più accettato (è sinonimo di Garcinia); ha dato anche il nome specifico a Entada rheedi, una Fabacaea di origine africana dagli enormi baccelli. Ugualmente sfortunato Itty Achudan; nell'Ottocento Carl Ludwig Blume - un botanico olandese di origine tedesca che aveva lavorato a lungo nell'Asia olandese - gli dedicò il genere Achudemia, che tuttavia oggi è considerato una sezione del genere Pilea (Urticacaee). Più fortunato nella memoria postuma Johannes Casearius, il giovane pastore al quale van Rheede aveva affidato la versione latina dell'opera. Ma sfortunatissimo nella vita reale: la morte precoce gli impedì di andare oltre il secondo volume. Il suo contributo avrebbe potuto essere ben più importante, visto che gli si deve anche la stesura del disegno generale, esposto nella prefazione. Giovanissimo studente di teologia a Leida (all'epoca doveva essere sui diciotto anni) gli era capitata la ventura di condividere l'abitazione con Spinoza; il filosofo prese a esporgli gli elementi essenziali della filosofia di Descartes, che più tardi pubblicò nella sua unica opera edita in vita, I principi della filosofia di Cartesio (1663). In una lettera ad un altro membro del suo circolo, Simon de Vries, lo invita a non essere geloso di Casearius e della sua intimità con lui; dice anzi di odiarlo per il suo infantilismo e la sua superficialità, ma di amarlo per il suo talento, che fa bene sperare per il futuro. Casearius frequentò ancora Spinoza per qualche tempo; poi, dopo aver completato gli studi di teologia a Leida e Utrecht, divenne pastore ad Amsterdam e si sposò. Nel 1668 come pastore della VOC fu inviato a Cochin e collaborò con van Rheede all'edizione latina di Hortus Malabaricus fino al 1677, quando morì di dissenteria a poco più di trent'anni. Memore del suo contributo, il botanico austriaco von Jacquin volle dedicargli Casearia, un importante genere di alberi tropicali della famiglia Salicaceae (un tempo Flacourtiaceae). Ampiamente distribuito nella fascia tropicale e subtropicale di America, Asia, Africa e isole del Pacifico, comprende 180-200 specie di arbusti o alberi, alcuni dei quali di notevoli dimensioni. Come altre piante di questa famiglia, contengono principi attivi e alcune specie sono state ampiamente utilizzate nella medicina popolare in America e in Asia, in particolare come antisettici, cicatrizzanti e anestetici. Ad esempio, C. sylvestris, un grande arbusto nativo delle Antille, dell'America centrale e della parte settentrionale di quella meridionale, dove è noto con vari nomi, tra cui il brasiliano guacatonga, ha una lunga storia di usi medicinali in tutti i paesi in cui vive: la sua corteccia e le sue foglie sono state usate per combattere le ulcere, i morsi di insetti, addirittura le piaghe della lebbra. C. decandra, un alberello deciduo diffuso dai Caraibi al Brasile, ha invece frutti eduli, che vengono raccolti in natura e consumati a livello locale. Ugualmente eduli sono i frutti della sudamericana C. rupestris, un albero molto ornamentale delle foreste semidecidue, con una elegante chioma piramidale. Qualche approfondimento nella scheda. Chi sono i petali di Commelina? Ma il genere più noto e familiare è indubbiamente toccato agli ultimi venuti, ovvero ai due Commelin, zio e nipote, che sono per altro anche i più illustri nella storia della botanica come fondatori dell'Orto botanico di Amsterdam. Già Plumier nel 1703 dedicò loro il genere Commelina (famiglia Commelinacae), celebrandoli come autori di un'altra opera comune ai due, il catalogo dell'Hortus medicus di Amsterdam. Probabilmente l'assegnazione si basa sul fatto che il fiore della specie da lui descritta (si tratta presumibilmente di Commelina erecta) in apparenza ha due soli petali, ciascuno dei quali rappresenta uno dei due botanici olandesi. Linneo - che usò come specie di riferimento Commelina communis - confermerà l'omaggio, ma con una precisazione: questa pianta può bene rappresentare i Commelin, perché ha due petali vistosi, mentre il terzo è insignificante; i primi due stanno per due illustri botanici (Jan e Caspar), mentre il terzo per un altro Commelin (Caspar il giovane, morto a trent'anni) a cui la morte non ha permesso di fare nulla. Il genere Commelina è diffuso in tutta l'area tropicale e subtropicale, comprende circa 170 specie e ha dato il proprio nome alla famiglia delle Commelinacaee. Per altre notizie, si rimanda alla scheda.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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