Anche nel Seicento un giardiniere di successo poteva venire in contatto con molti potenti; se era disposto a viaggiare e a ricercare con energia novità per arricchire i giardini, poteva mettere da parte qualche soldo e pensare addirittura di rivaleggiare con i gentiluomini come collezionista. Così John Tradescant il vecchio fonda l'Arca, il primo museo pubblico a noi noto. Introduce talmente tante piante che dopo di lui i giardini e i frutteti inglesi non saranno più gli stessi. Suo figlio John Tradescant continua l'opera paterna, anche se alla sua morte c'è un piccolo giallo. L'attiva e esuberante Tradescantia è la pianta giusta per ricordare i due intraprendenti giardinieri. L'Arca dei Tradescant Se oggi nei tour di Londra tra le attrazioni più popolari non manca mai il museo delle cere (divertente e alquanto kitsch), nel Seicento veniva raccomandato ad ogni viaggiatore di non farsi sfuggire il Tradescant Museum, comunemente soprannominato "l'Arca dei Tradescant". Pagando un biglietto di soli sei scellini, il visitatore poteva ammirare "ogni cosa strana e rara". Tra gli oggetti esposti, monete e medaglie, quadri e stampe, libri, suppellettili preziose, ma anche oggetti rari e curiosi provenienti dal mondo naturale (naturalia) o costruiti dall'uomo (artificialia). Tra i primi animali impagliati, uova e penne d'uccello, conchiglie, insetti, pesci, serpenti, fossili, minerali, cristalli, frutti esotici, semi e foglie essiccate; c'erano un dodo, cavallucci marini, uova di coccodrillo, colibrì, ma anche esemplari improbabili come la mano di una sirena, un artiglio dell'uccello Rock, il sangue piovuto nell'isola di Whigt, il vello di un agnello vegetale o Barometz, le penne della fenice, un drago lungo due pollici. Tra i secondi collezioni di abiti e scarpe di ogni foggia, armi tra cui diversi tomahawk, strumenti medici, parti di cannoni, noccioli di ciliegia o susina finemente intagliati, la culla del re Enrico VI, i guanti di Enrico VIII e Anna Bolena, il mantello di Powhattan (il padre di Pocahontas), un frammento della vera croce. La visita continuava nel giardino adiacente dove i Tradescant avevano raccolto più 700 piante, molte delle quali fino ad allora non coltivate in Inghilterra. I gabinetti delle curiosità, noti anche con l'espressione tedesca Wunderkammer, erano nati nel Cinquecento come forma di collezionismo riservato a sovrani o in ogni caso a uomini ricchi e potenti; la particolarità dell'Arca è di essere stato creata come impresa privata da due persone comuni, che alla loro attività di giardinieri al servizio di grandi nobili e del re Carlo I avevano unito quella di procacciatori di piante e curiosità; essi avevano accesso a una vasta rete di conoscenze cui facevano ricorso per procurare rarità ai loro committenti e al loro stesso museo, il primo in Europa ad essere aperto a chiunque potesse pagare il biglietto d'ingresso. Che si trattasse di un'impresa commerciale è dimostrato dal fatto che, come in un moderno museo, c'era anche un piccolo negozio dove si poteva acquistare il catalogo; inoltre è probabile che il giardino avesse anche la funzione di vivaio, con piante coltivate per la vendita. Padre e figlio intraprendenti I creatori dell'Arca, John Tradescant il vecchio (ca 1570-1638) e John Tradescant il giovane (1608-1662) sembrano personaggi da romanzo (e infatti Philippa Gregory, nota scrittrice inglese, ha dedicato loro due romanzi storici, al padre Earthly Joys e al figlio Virgin Earth). Il primo Tradescant come giardiniere servì il fior fiore della nobiltà inglese e il suo re Carlo I. Prese parte a un'ambasciata in Russia; visitò i frutteti olandesi; partecipò a una spedizione contro i pirati; accompagnò il suo signore lord Buckingham - quello dei Tre moschettieri - all'assedio della Rochelle. In tutti questi viaggi raccolse piante, semi e bulbi e curiosità per i suoi clienti ma anche per creare la collezione che sarà raccolta nell'Arca, situata a Londra nel quartiere meridionale di Vauxall. Il figlio John Tradescant il giovane (1608-1668) collaborò con il padre come giardiniere e raccoglitore di piante e curiosità; tra il 1628 e il 1637 fece un viaggio in Virginia in cui raccolse piante e molte curiosità americane per il museo. Dopo la morte del padre divenne giardiniere capo del re Carlo I; continuò ad arricchire il museo di cui scrisse anche il primo catalogo. Alla morte del suo unico figlio, promise di legare la collezione a Elias Ashmole; tuttavia alla sua morte si aprì un contenzioso con la vedova di John, Ester. Qualche tempo dopo Ester fu trovata annegata in uno stagno del giardino: incidente, suicidio, assassinio? In ogni caso, gli oggetti raccolti nell'Arca finirono a Ashmole, che alla sua morte li donò all'Università di Oxford, dove andarono a costituire il primo nucleo del celebre Ashmolean Museum. Altre informazione sui due Tradescant nella sezione biografie. Entrambi i Tradescant furono sepolti nel cimitero della chiesa di St. Mary a Lambeth; salvata dalla demolizione, la chiesa a partire dal 1977 ospita il Garden Museum, che recentemente ha riaperto dopo un'importante ristrutturazione che ha permesso di aggiungere due nuovi padiglioni con una parziale ricostruzione dell'Arca. I Tradescant riposano ancora nelle loro tombe circondate da un bel giardino a nodi. Hortus tradescantianus I Tradescant sono considerati in Inghilterra i padri fondatori del giardinaggio inglese. Lo sanno bene i soci della Royal Horticultural Society, che per anni hanno letto nella rivista dell'associazione una rubrica firmata Trad's Diary (pseudonimo assunto dal pubblicista Hugh Johnson proprio in loro onore). Grazie ai viaggi e all'incessante attività di raccolta e coltivazione dei Tradescant fecero il loro ingresso nei giardini, negli orti e nei frutteti inglesi decine di piante provenienti dall'Impero ottomano, dal Nord Africa, da molti paesi europei, dal Nord America e dalle Indie. L'elenco delle nuove introduzioni è infinito: nuove varietà di peri, meli, pesche, nettarine, viti, ciliegie, noci; melograni, albicocchi, limette, pompelmi, ananas; nuove varietà di rose, gigli, anemoni, iris, clematidi e fragole; tulipani, fritillarie, gelsomini, vite vergine, Agapanthus, Anemone nemorosa, glicine, alcune varietà di rododendri; alberi come il larice, Liriodendrum tulipifera, Taxodium distichum, l'ippocastano, la robinia, il gelso... E l'elenco potrebbe continuare. Tra le piante americane introdotte dai Tradescant c'è anche quella che ne tramanda il nome: Tradescantia virginiana. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, non fu introdotta dal figlio, ma dal padre che la ebbe da un amico, secondo la testimonianza del grande botanico John Parkinson, grazie alla quale risulta che la pianta era già coltivata nel 1629. Il legame con i Tradescant è presente fin dall'inizio, sia nel nome latino Phalangium virginianum Tradescanti sia in quello inglese Tradescant's Virginian spiderwort. Linneo ufficializzerà il nome Tradescantia virginiana nella prima edizione di Species plantarum del 1753. Tradescantia è un vasto genere di Commelinacaee, familiare a tutti, talmente facile da coltivare e comune nelle nostre case da essersi guadagnato il nome volgare "erba miseria". Racchiude piante talmente attraenti, varie e generose che vale la pena di rivalutarlo. Nella scheda se ne parla più diffusamente.
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Se immaginate i botanici come dolci signori con gli occhiali che con il vascolo a tracolla se ne vanno in giro trasognati a raccogliere fiorellini, la storia di Linneo e Siegesbeck vi farà cambiare idea. Scoprirete anche che nell'assegnare i nomi alle piante lo svedese non era sempre guidato dalle migliori intenzioni. Ma attenzione! E' una storia a luci rosse, vietata ai minori. Ditelo con i fiori! All'inizio, la pretesa di Linneo di ribattezzare le piante con il nuovo sistema binomiale suscitò parecchia ostilità e le ironie di colleghi ben più rinomati dell'allora oscuro medico svedese. Ma chi pretendeva di essere, un secondo Adamo? Tuttavia, mano a mano che il sistema si affermava, Linneo divenne davvero un'autorità riconosciuta, a cui ci si rivolgeva per conoscere il "vero nome" di ogni essere vivente. Non solo: essere eternato dal nome di una nuova specie, magari un lussureggiante arbusto fiorifero, divenne un onore a cui molti aspiravano. Così, lo scienziato svedese si rese conto di avere nelle mani il grande potere di conferire a colleghi ed allievi "l'unica gloria accessibile ai botanici", secondo le sue stesse parole. Ma egli qualche volta ne abusò, usandolo per fini un po' meno nobili. Almeno, fu quello che capitò al botanico sassone Johann Georg Siegesbeck. L'uscita del Systema Naturae nel 1735, con l'innovativa classificazione basata sui caratteri sessuali delle piante, aveva suscitato una tempesta di critiche, dovute sia a motivazioni scientifiche (rispetto ai consolidati sistemi di Tournefort e Ray, veniva giudicata del tutto arbitraria) sia alla sua supposta immoralità. Il critico più feroce fu proprio Siegesbeck, il quale nel libretto dedicato a smontare l'opera linneana Epicrisis in clar. Linnaei nuperrime evulgatum systema plantarum sexuale, et huic superstructam methodum botanicam (1737) definì il nuovo sistema "un disgustoso meretricio". Come si poteva credere- ironizzava - che 20 o più mariti (gli stami) si spartissero una sola moglie (il pistillo)? Era una bestemmia contro il buon Dio e le sue piante innocenti! Immediatamente Linneo rispose per le rime, battezzando Siegsbeckia una insignificante Asteracea che emanava cattivo odore, prosperava in zone disabitate e per di più era dotata di piccoli uncini grazie ai quali "le rimaneva appiccicato qualsiasi frammento di lanugine e di peluria". La polemica tra i due livorosi naturalisti si trascinò per anni, tanto più che Linneo riteneva che fosse tutta colpa dell'infamia gettatagli addosso dal rivale se per qualche anno la sua carriera accademica aveva segnato il passo. Non si degnò tuttavia di rispondere di persona alle grottesche argomentazioni del tedesco, affidando la difesa del suo sistema ad amici come Browallius e Gleditsch. Nel 1741 Siegesbeck rispose con Consideratio epicriseos Siegesbeckianae in Linnaei systema plantarum sexuale et methodum botanicam huic superstructam in cui definiva quello di Linneo "metodo lascivo"; c'era una bella differenza, secondo lui, tra la poligamia e il meretricio: la prima era sancita dal Vecchio Testamento, la seconda no (dunque, una pianta in cui molte mogli - i pistilli - soddisfacessero un solo marito - lo stame - gli sarebbe andata benissimo!). Nel 1744 un curioso incidente diplomatico rinfocolò l'astio. All'Università di Uppsala era arrivato un pacchetto di semi di Siegesbeckia orientalis; scherzosamente, Linneo gli appose l'etichetta "Cuculus ingratus"; seconda la più classica legge di Murphy, per una serie di circostanza sfortunate il sacchetto fu rispedito per errore proprio al botanico sassone, che divenne ancora più furibondo. Nonostante amici comuni cercassero di fare da pacieri, Linneo si rifiutò di scusarsi, dicendo che non lo avrebbe fatto neanche in cambio della più ricca raccolta di piante. A soffrirne fu la botanica, visto che da quel momento Siegesbeck non inviò più piante siberiane a Uppsala. Ma anche Linneo non perdonava. Ancora negli anni '60, quando il suo arcinemico era già morto da qualche anno, redigendo una lista di 33 botanici contemporanei, sotto forma di "esercito di Flora", assegnò a se stesso il grado di generale (sempre modesto, il vecchio Carl!) e a Siegesback l'ultimissimo posto, con il grado di sergente maggiore. Qualche notizia in più su di lui nella biografia. Fonte: A. Johnsson, Odium botanicorum. The polemic between Carl Linnaeus and Johann Georg Siegesback, Abstract in http://www.phil-hum-ren.uni-muenchen.de/GermLat/Abstr1/Av348e.htm Le virtù della Siegesbeckia Ma la povera Siegesbeckia, vittima inconsapevole di questa storia incresciosa, è davvero così abominevole? Effettivamente sia i semi sia il fiore emanano cattivo odore; l'aspetto non è certo attraente, ma la pianta è dotata di grandi virtù medicinali che la riabilitano del tutto. In Cina - dove pure è chiamata con il nome poco lusinghiero di "erba maiale pungente" per la sua puzza e il gusto aspro - è usata come medicamento da almeno 1000 anni. Le ricerche farmacologiche confermano le sue proprietà antireumatiche, antinfiammatorie, analgesiche, immunitarie e regolatrici della pressione bassa. E' anche valida per curare eczemi, orticarie e pruriti. Pare che sia efficace anche contro l'insonnia. L'estratto di Siegesbeckia entra nella composizione di costosi cosmetici per la pelle, per le sue proprietà calmanti e rigeneranti. Non male per il brutto anatroccolo della botanica! Approfondimenti nella scheda. Per dare lustro al titolo regale appena conquistato, Vittorio Amedeo II fonda l'Orto botanico di Torino. Qualche anno dopo Carlo Allioni ne farà un'istituzione scientifica di prestigio europeo, guadagnandosi la stima di Linneo. A lui - tra i primi ad adottare la denominazione binomiale e più tardi autore di un'opera fondamentale della botanica illuminista - lo svedese dedicherà il genere Allionia. Un nuovo orto botanico per un nuovo re Nel 1703, allo scoppio della guerra di successione spagnola, Vittorio Amedeo II di Savoia, infido alleato di Luigi XIV, decide di cambiare campo e si schiera con l'Impero e l'Inghilterra. La vendetta del Re Sole non si fa aspettare: lo stato sabaudo è devastato, la capitale Torino subisce un terribile assedio. Ma la "volpe sabauda" dimostra di aver visto giusto: non solo i francesi sono disfatti nella battaglia di Torino (7 settembre 1706), ma alla fine della guerra, con la pace di Utrecht, i Savoia entrano finalmente nel salotto buono della storia, accedendo al sospirato titolo reale. Adesso che Torino è la capitale di un regno (dal 1713 al 1714 di Sicilia, quindi di Sardegna) deve dotarsi di tutte le strutture che danno lustro a una monarchia degna di questo nome, comprese le istituzioni scientifiche. Immancabile tra queste un Orto botanico, dove studiare e coltivare le piante utili, ma anche collezionare le nuove specie esotiche, vanto dei Giardini reali di Parigi o di Londra. D'altra parte l'esplorazione e la conoscenza delle risorse del territorio per ogni stato nazionale è sempre più importante dal punto di vista economico, demografico e strategico. Così nel 1729 nasce l'Orto botanico di Torino, diretto dapprima dal medico Bartolomeo Caccia (morto nel 1747) quindi da Vitaliano Donati (1717-1762), eclettico scienziato, viaggiatore ed esploratore che fu anche all'origine del Museo Egizio. Il terzo direttore sarà Carlo Allioni (1728-1804), che lo gestì per un quarantennio e lo inserì nel circuito dei maggiori orti botanici europei, trasformandolo in una reputata istituzione di ricerca e incrementando enormemente le raccolte (sotto la sua gestione le specie coltivate salgono da 317 a 4500). Una visita all'eccellente sito dell'Orto botanico di Torino offre un panorama delle collezioni coltivate nei suoi spazi (giardino, boschetto, alpineto e tre serre) e molte informazioni di approfondimento sulla storia e le attività dell'istituzione piemontese. Caro Carlo, ti scrivo.... Quando diventa direttore dell'orto botanico, Allioni ha già al suo attivo un'opera importante, Rariorum Pedemontium Stirpium. Specimen primum, del 1755, in cui le specie, ancora indicate con il nome polinomiale, sono accompagnate da dodici splendide tavole disegnate da Francesco Peyrolery. Il libro è anche all'origine della corrispondenza e si può dire dell'amicizia con Linneo. Infatti, dopo qualche esitazione, Allioni, incoraggiato dal danese Peter Ascanius in visita a Torino, ne invia un esemplare all'illustre collega, che gli risponde con una lettera colma da gentilezza ed apprezzamento scientifico. Per un ventennio le lettere dei due Carli viaggeranno da Torino a Uppsala e da Uppsala a Torino, accompagnando libri, pacchetti di semi, fogli di erbario, campioni di minerali e esemplari essiccati. Il Carlo svedese apprezza la flora alpina, il Carlo piemontese le piante esotiche che potranno arricchire le aiuole dell'Orto botanico. I due discutono dell'identificazione delle piante, ma si scambiano osservazioni anche sui minerali e gli animali, essendo entrambi naturalisti dai vasti interessi. Linneo non lesina le lodi al più giovane amico: a proposito di Auctarium Horti Tauriniensis (lettera dell'8 novembre 1774) giunge a dire che le descrizioni della flora italiana di Allioni superano ciò che è stato scritto prima di lui quanto nella notte la luce della luna supera quella delle piccole stelle. A sua volta, Allioni farà proprie le tesi di Linneo, adottando tra i primi la nomenclatura binomiale, tanto da essere soprannominato il Linneo piemontese. I curiosi possono ora leggere questa corrispondenza nel sito The linnean Corrispondence nell'originale latino, accompagnato da una sintesi in inglese. E ovviamente non poteva mancare la dedica di un nuovo genere: Linneo provvide nel 1759, nella decima edizione del Systema naturae, intitolando all'amico Allionia, una deliziosa Nyctaginacea del Nord America. Il capolavoro di Allioni è Flora Pedemontana, sive enumeratio methodica stirpium indigenarum Pedemontii, frutto di 25 anni di lavoro, pubblicata nel 1785 (due volumi di testo e un volume di tavole), in cui vengono descritte 2813 piante delle Alpi occidentali. Questo trattato - notevole anche per la cura editoriale - è considerato uno delle opere botaniche più significative dell'Illuminismo. Altre notizie su Carlo Allioni nella biografia. Allionia, allionii Allionia è un'annuale o perenne di breve vita dal portamento strisciante, originaria del Sud degli Stati Uniti (dalla California al Texas dal Nevada all'Oklaoma), dai graziosi fiori rosa vivo. Non sappiamo perché Linneo abbia scelto proprio questa pianta per onorare l'amico piemontese, ma possiamo proporre qualche ipotesi. Intanto ha proprietà medicinali, e Allioni era un medico insigne. Inoltre ha un fiore davvero particolare: in realtà si tratta di tre fiori separati che sembrano formarne uno solo. Un'allusione alla poliedrica attività del naturalista subalpino, botanico, zoologo, geologo? Infine il piemontese è descritto dai contemporanei come un uomo di grande modestia, che univa all'immensa scienza la semplicità di cuore: la bella ma modesta Allionia non potrebbe essere il suo ritratto vegetale? Nella scheda qualche approfondimento sul genere Allionia e sulle sue due specie. Nato e morto a Torino, Allioni non può essere considerato un botanico sedentario. Mentre i suoi contemporanei esploravano le Americhe, l'Asia, l'Africa, le isole del Pacifico e l'Australia, percorreva instancabilmente il piccolo stato sabaudo, esplorandone palmo a palmo le montagne. Così raccolse un erbario composto da 11.000 esemplari e descrisse circa 400 nuove specie. Forse memore della morte del suo predecessore Vitaliano Donati - perito in mare mentre si dirigeva a Goa - non attraversò il mare neppure per esplorare la flora sarda, delegando la raccolta al collaboratore Michele Plazza. Diverse tra le nuove specie descritte da Allioni lo ricordano nel nome specifico: Arabis allionii, Veronica allionii, Campanula allionii, Sempervivum globiferum subsp. allionii (già Jovibarba allionii), ecc. Tra di esse una perla per rarità e bellezza, la Primula allionii, un endemismo delle Alpi Marittime. Per goderne la bellezza, si può dare un'occhiata alla gallery dedicata alla specie e alle sue cultivar orticole sul sito dell'American Primrose Society. In una serra di sogno una nobildonna inglese riesce per prima a far fiorire una pianta appena arrivata dal Sud Africa. E' la duchessa di Northumberland, lady Charlotte Florentia Clive. La pianta è una Amarillydacea dalla spettacolare fioritura, che in suo onore verrà battezzata Clivia. D'altra parte non è a suo modo una lady vittoriana anche la Clivia, con le sue dimensioni imponenti, il look un po' demodé, una certa ritrosia nelle fioriture e, non ultimo, il costo un po' elevato? Una serra avveniristica Fino all'inizio dell'800, le serre erano edifici relativamente piccoli, costruiti essenzialmente in pietra, con grandi finestre e talvolta lucernari in vetro, derivati dalle orangeries o aranciere. Le cose cambiano con la rivoluzione industriale e i progressi nella produzione della ghisa e dell'acciaio. Intorno al 1820 il duca di Northumberland chiede all'architetto Charles Fowler, che era specializzato nella costruzione di edifici industriali, di progettare una serra di nuova concezione nel parco della sua residenza londinese, Syon House. La gigantesca serra - inaugurata nel 1827 - è una struttura prevalentemente in ghisa e vetro, che unisce la modernità al gusto neopalladiano dell'epoca, cui si ispira la spettacolare cupola centrale. Qualche anno dopo farà da modello al Crystal Palace che nel 1851 ospiterà l'Esposizione Universale di Londra. Nel Great Conservatory di Syon Park negli anni successivi affluiranno piante esotiche dal sud Africa, dall'Australia, dalla Cina, dall'India, tra cui una pianta ancora senza nome, giunta dal Sud Africa. Troverete maggiori informazioni e altre fotografie nel sito di Syon House. Una famiglia con il pollice verde Con la sua ricca flora e i numerosi endemismi, la zona del Capo si era rivelata un vero paradiso per i cacciatori di piante. Uno di essi, William John Burchell, tra il 1810 e il 1815 esplora intensivamente il Sud Africa. Tra le specie da lui scoperte c'è anche un'Amaryllidacea dai fiori penduli giallo-aranciati; qualche anno dopo, all'inizio degli anni '20, alcuni esemplari saranno raccolti da James Bowie, raccoglitore al servizio dei Royal Botanic Gardens di Kew che nel 1823 li invierà in Inghilterra . Oltre che a Kew, dove non fiorisce, la pianta viene coltivata anche nella serra di Syon Park, dove fiorisce per la prima volta. Così nel 1828 James Lindley, segretario della Royal Horticultural Society, decide di battezzarla Clivia nobilis, in onore della padrona di casa, lady Clive, che con il suo pollice verde era riuscita a far fiorire la bella riottosa. Accompagna la dedica con queste parole: "Abbiamo battezzato questo genere in onore di sua grazia, la Duchessa di Nortumberland, con la quale abbiamo un grande debito per aver avuto l'opportunità di pubblicarla. Inoltre questo omaggio è da tempo dovuto alla nobile famiglia dei Clive, e siamo orgogliosi di essere stati i primi a offrire questo tributo". Se volete sapere qualcosa di più su lady Clive, troverete altre informazioni nella sezione biografie. E' curioso che lo stesso giorno un altro botanico, William Hooker, futuro direttore di Kew, abbia pubblicato la pianta proponendo un altro nome, Imantophyllum aitonii. Tra i due botanici ci fu anche qualche polemica (Lindley accusò Hooker di aver surrettiziamente sottratto un esemplare a Kew...). Con grande fortuna nostra e della Clivia, a imporsi fu il più eufonico nome proposto da Lindley. Come scrive quest'ultimo nella dedica, l'intera famiglia Clive meritava l'omaggio. Il nonno della nostra Charlotte Florentia, Robert Clive, fu un personaggio illustre della storia britannica, il conquistatore dell'India; ma ancora più importanti sono i meriti botanici di altri membri di questa famiglia "verde". Il padre, Edward Clive, amava il giardinaggio e coltivava egli stesso le sue piante esotiche (si dice che ancora a 80 anni trafficasse in giardino dal mattino alla sera); la madre, Henrietta Herbert, era presumibilmente imparentata con William Herbert, appassionato e esperto di bulbose, e, quando viveva a Mysore, in India, scoprì Caralluma umbellata. Sua grazia la Clivia Ma veniamo alla Clivia, che è appena sfuggita all'infelice nome Imantophyllum. La prima specie ad essere descritta fu C. nobilis, cui negli anni successivi se ne aggiungeranno altre , in particolare C. miniata, la più nota e coltivata (descritta nel 1854). Per molto tempo resterà una pianta di nicchia; in effetti, è raro trovarla nei cataloghi ottocenteschi. Ciò era sicuramente dovuto al costo molto elevato, che non la rendeva adatta a tutte le tasche. Infatti la Clivia, benché sia abbastanza facile da coltivare, è di crescita lenta; le piante nate da seme impiegano circa sei anni per arrivare alla fioritura; anche quelle ottenute per distacco dei polloni non fioriscono prima dei tre anni. Dunque anche oggi le piante ben sviluppate e soprattutto le nuove cultivar risultano abbastanza costose. Nel 1995, quando vennero commercializzate le prime clivie giallo pallido, un vivaio le vendeva a 950 $! Oggi, l'ultima frontiera sono quelle a foglia variegata (un vivaio australiano le vende a prezzi che oscillano tra gli 80 e i 120 euro). Insomma, nonostante sia da quasi duecento anni nelle nostre case, la clivia continua a darsi arie da Lady. Altre informazioni sulle diverse specie e sul loro habitat nella scheda, dove troverete anche link a una selezione di siti in giro per il mondo. Grandi, succose, belle, benché meno saporite e profumate di quelle selvatiche, le fragole coltivate rallegrano le nostre tavole e si trasformano in dolci golosi. Così come le conosciamo, sono un'acquisizione recente, il frutto di un'ibridazione casuale di specie che in natura vivono ai due capi del continente americano. E per farle incontrare sono stati necessari un esploratore, Jacques Cartier, una spia, Amédée-François Frézier, un botanico-coltivatore, Antoine-Nicolas Duchesne. E in questa storia c'è anche una parente povera e indesiderata, la Duchesnea indica (che oggi, più propriamente, dovremmo chiamare Potentilla indica). Fragole bianche, fragole rosse e fragoloni Alla corte del Re Sole avviene una rivoluzione del gusto: banditi i piatti rinascimentali sovraccarichi di spezie, la parola d'ordine è ora semplicità. Diventano di moda i legumi, non più camuffati in complicati pasticci, ma serviti al dente, restituiti al loro gusto naturale. Il Potager du roi, gestito da un genio dell'orticultura, il direttore degli orti e dei frutteti reali Jean-Baptiste de la Quintinie, rifornisce la tavola di Versailles con le più deliziose primizie. Furoreggiano i piselli (oggetto di una mania su cui ironizza Mme de Sevigné) e le fragole, servite fuori stagione grazie ai metodi rivoluzionari messi a punto dal maestro giardiniere. Il re adorava questi piccoli frutti profumati, con disapprovazione del suo medico Fagon che li riteneva nocivi allo stomaco. Le fragole coltivate nelle aiuole di Versailles erano le nostre fragoline di bosco Fragaria vesca, probabilmente anche Fragaria moschata; forse già un secolo prima era arrivata in Europa anche Fragaria virginiana, che forse fu portata dal navigatore Cartier, specie molto amata per il fine profumo. Nel 1712 l'ingegnere militare Amédée-François Frézier viene inviato in Sud America per una missione di spionaggio; mentre si trova in Cile nota che in quel paese viene venduta e coltivata una fragola bianca, molto più grande di quelle europee, anche se meno gustosa e profumata. Conoscendo la passione del re, prima di partire se ne procura alcune piante e riesce a farne sopravvivere cinque, lesinando a se stesso l'acqua dolce tanto preziosa per le piantine durante il lungo viaggio oceanico. Rientrato in Francia nell'agosto del 1714, fa giusto in tempo a presentare il suo omaggio al re che morirà un anno dopo. Anche se a questo punto le leggende incominciano a moltiplicarsi, sappiamo di certo che "la bianca del Cile" - come viene chiamata, per noi Fragaria chiloensis - oltre che al Potager du Roi approderà al Jardin de Plantes e in Bretagna, a Plougastel. Qui trova condizioni ideali e incomincia fruttificare, mentre le "parigine" si riveleranno sterili. Ma a questo punto entra in scena in nostro eroe, Antoine-Nicolas Duchesne. Figlio del Prevosto agli edifici reali, fin da bambino ha potuto frequentare i giardini del re e ha sviluppato una grande passione per la botanica e l'orticultura. Egli nota che le piantine di Fragaria chiloensis coltivate vicino a F. virginiana fruttificano: infatti si tratta di esemplari femminili privi di stami che hanno bisogno di essere fecondati dal polline di altre piante. L'incrocio tra le due varietà - nota Duchesne - dà vita a un ibrido che battezza Fragaria x ananassa (per il profumo che ricorda vagamente l'ananas): ha il gusto e il profumo da F. virginiana e la grandezza da F. chiloensis. Insomma, è nato il fragolone coltivato, da cui deriveranno in seguito tutte le attuali cultivar orticole. Duchesne - egli stesso si definirà botanico-coltivatore - differentemente dai suoi contemporanei univa una solida preparazione teorica (era allievo di Bernard de Jussieu, uno degli esponenti di questa importante famiglia di botanici del Jardin des Plantes) alla propensione alla sperimentazione; tenta dunque diversi esperimenti di ibridazione e di semina; tra l'altro nota che nelle fragolaie del Jardin des Plantes c'è una fragola strana: anziché tre foglioline, ne ha una sola. Prova a seminarla, e nota che la caratteristica è mantenuta dalla discendenza. Invia un esemplare a Linneo che la battezza F. monyphylla e la considera una nuova specie. Duchesne invece è il primo a capire che la pianta è il frutto di una mutazione e rompe quello che era ancora un tabù della scienza: che le specie fossero immutabili. E' anche il primo a distinguere (pur con qualche imprecisione) tra specie e varietà. A soli 19 anni, il geniale giovanotto scrive Histoire naturelle des fraisiers, in cui descrive con accuratezza le diverse specie e varietà di fragole e arriva a disegnarne l'albero genealogico. Si capisce così perché il libro di Duchesne abbia intercettato l'attenzione di Darwin. Per altre informazioni su Duchesne e sul suo contributo alla botanica e all'orticoltura, leggetene la biografia. Da Duchesne alla Duchesnea All'inizio dell'Ottocento, in Asia vengono individuate delle Rosacaee affini alle fragole, che alcuni botanici assegnano al genere Fragaria, altri al genere Potentilla. James Edward Smith, presidente della Linnean Society di Londra nel 1810 le attribuisce a un nuovo genere, che denomina Duchesnea in onore di Antoine Nicolas, con la seguente motivazione: “Dando il nome a questo nuovo genere voglio commemorare i meriti di Mr. Duchesne autore della Histoire naturelle des Fraisiers in cui le varietà di fragole sono così accuratamente descritte e i sinonimi così ben illustrati che non riesco a immaginare perché non abbia suscitato maggiore attenzione in Linneo”. Così, con una certa ironia, quel grandissimo esperto di fragole è onorato dal nome di una pianta che, a causa dei frutti belli e invitanti ma totalmente insapori, è chiamata volgarmente con nomi come "fragola dei cani" "fragola matta" "finta fragola". E, colmo dei colmi, ultimamente ha perso anche questo piccolo omaggio, visto che le ricerche più recenti, basate sul DNA, declassano la Duchesnea a sottogenere della Potentilla. Originaria dell'Asia, Duchesnea indica (che dovremo rassegnarci a chiamare Potentilla indica) è stata introdotta come pianta ornamentale in Europa e America, ma se n'è ben presto fuggita dai giardini per diventare un'infestante di cui - in alcuni paesi, come il Belgio - è addirittura vietata la coltivazione. Per quanto riguarda l'Italia - la notizia è riportata da Wikipedia ma non ho potuto riscontrarla - sarebbe stata introdotta come curiosità nell'Orto botanico di Torino e da lì avrebbe colonizzato la penisola. Nel mio giardino cresce rigogliosa, abbiamo un patto di non belligeranza e - vi assicuro - con qualche accorgimento la si può far stare al suo posto. Qualche approfondimento nella scheda. La città francese di Rochefort, sulla costa Atlantica, offre al turista due attrazioni da non perdere: il grande edificio della Corderie Royale, al centro dell'Arsenale militare voluto da Luigi XIV, e il Conservatoire du Begonia, che vanta la più importante collezione di begonie d'Europa. Tra di esse c'è un legame: Michel Bégon, ri-fondatore della città e patrono del genere Begonia. Un porto e un arsenale per il Re Sole La Francia del Re Sole non possedeva una flotta all'altezza delle altre potenze europee, dalla Spagna all'Inghilterra ai Paesi Bassi. Il re chiese dunque al superministro Colbert di costruire un grande porto militare dotato del "più grande e più bell'arsenale d'Occidente". La scelta cadde su un'area paludosa in un'ansa della foce del fiume Charente, che garantiva l'accesso al mare ma anche una posizione facilmente difendibile. Nel 1666 nasce così Rochefort. Quando Michel Bégon (1638-1710) vi approda, nel 1688, l'arsenale è operativo da pochi anni, ma resta ancora molto da fare. Su sua iniziativa vengono riedificati in pietra i quartieri abitativi, fino ad allora occupati da baracche di legno; inoltre opere di canalizzazione rendono più salubre l'abitato, infestato dalla malaria. Come ricorda il suo epitaffio, "Trovò questa città nascente in legno, la lasciò di pietra". Bégon, appassionato collezionista e cultore di botanica, ha fitti rapporti epistolari con scienziati, come Plumier o Tournefort che aveva conosciuto quando era intendente delle galere di Marsiglia. Anche grazie al suo impulso, Rochefort diventa la base di partenza delle spedizioni naturalistiche, che incominciano a infittirsi alla fine del XVII secolo. La città è il porto d'arrivo delle piante esotiche che arrivano dalle America, dall'Asia e dall'Africa, come ci ricorda il suggestivo nome di "Jardin des Retours" (Giardino dei ritorni) con il quale è stato battezzato il parco che circonda la Corderie royale (inaugurato nel 1991). Altre notizie su Bégon, sicuramente un personaggio interessante al di là dei suoi meriti botanici, nella sezione biografie. Rochefort, capitale mondiale della Begonia Ma veniamo alla Begonia, di cui Rochefort si proclama la "capitale mondiale". Intorno al 1690, rientrato a Rochefort dal suo primo viaggio nelle Antille Charles Plumier dedica all'intendente della città la Begonia flore roseo folio orbiculare (oggi Begonia rotundifolia). In tal modo il frate paga un debito di riconoscenza: era stato proprio Bégon, in quel momento Intendente delle galere di Marsiglia, a fare il suo nome come botanico e disegnatore della spedizione nelle Antille. Inoltre l'uomo politico ben conosceva le isole, di cui era stato Intendente negli anni 1682-83. Botanofilo, si era interessato della flora locale e ne aveva redatto un catalogo. Passano i secoli e Rochefort sembra dimenticarsi della Begonia; in Francia il fiore non è molto di moda. Fa eccezione una straordinaria figura di coltivatore. Negli anni '60 del Novecento, il giardiniere Vincent Millerioux, specializzato in piante tropicali, incomincia a coltivare e collezionare begonie, mettendo a punto un substrato specifico. Quando nel 1985 cessa l'attività, la sua collezione, che comprende 400 tra specie e ibridi, rischia di essere dispersa; la città di Rochefort decide di acquisirla. Le circa 200 talee che arrivano nel 1986 saranno il primo nucleo del Conservatoire du Begonia che vanta oggi circa 1500 esemplari, 500 specie e 1000 ibridi. A partire dal 1988, le begonie trovano casa in una magnifica serra alla periferia della città, indovinate a quale indirizzo? in rue Charles Plumier n. 1! Nella gallery potete vedere alcune fotografie scattate in un afoso e indimenticabile pomeriggio del luglio 2011. Non mancate almeno una visita virtuale al sito del Conservatoire. Nella sezione schede notizie e curiosità sul genere Begonia. Con le scoperte geografiche, centinaia e centinaia di piante mai viste in Europa vengono "scoperte" e descritte da viaggiatori e botanici (o viaggiatori-botanici tout court). Come chiamarle? Si può usare il nome indigeno, creare un nome che ne descriva le caratteristiche, ma un frate minimo, al ritorno dei suoi viaggi nelle Antille, ha un'idea più brillante: perché non trasformare i nomi delle piante in un omaggio ai grandi botanici del passato e del presente, senza dimenticare di pagare qualche debito di riconoscenza? E' quello che farà Charles Plumier nel suo Nova plantarum americanarum genera. Linneo, cogliendo un suggerimento di Tournefort, lo celebrerà con il profumatissimo genere Plumeria. Nelle Antille alla ricerca della Cinchona Tra gli uomini che a partire dal Cinquecento esplorarono il nuovo mondo un gruppo consistente è rappresentato dai religiosi, spinti dallo spirito missionario ma anche impegnati in spedizioni scientifiche. Difatti, a quell'epoca, in particolare nei paesi cattolici, un giovane d'ingegno, ma povero di mezzi, aveva un solo modo per accedere agli studi: abbracciare la carriera ecclesiastica. Così in paesi come la Francia, l'Italia, la Spagna, la maggior parte degli studiosi e degli eruditi tra Cinquecento e Seicento era membro del clero. D'altra parte, mano a mano che nuove essenze arrivavano in Europa, ci si rendeva conto del loro enorme valore economico: ad esempio la diffusione rapida del mais contribuiva a attenuare le devastanti carestie, mentre piante medicinali offrivano inediti e più efficaci rimedi alle malattie, come il chinino ricavato dalla quasi mitica Cinchona. Del resto giardini ricchi di piante esotiche e la sponsorizzazione di spedizioni scientifiche garantivano il prestigio internazionale di ogni sovrano. La Francia del Re Sole doveva ovviamente giocare anche questa carta. Così nel 1689 un medico con buone conoscenze farmacologiche, Joseph Donat Surian, e un frate che è al tempo stesso eccellente botanico e ottimo disegnatore, il frate minimo Charles Plumier, vengono inviati nelle Antille francesi alla ricerca di piante medicinali, in particolare la Cinchona officinalis. Uscito ben presto di scena Surian, nel corso di tre viaggi, tra il 1689 e il 1695, Plumier esplora Martinica, Guadalupa, Haiti, oltre a diverse piccole Antille; forse visita anche le coste del Brasile. Nel corso delle sue esplorazioni incontra e descrive moltissime piante, che ritrae in migliaia di disegni, talvolta a colori. Le nuove piante americane di Plumier Alcune di esse sono del tutto nuove per la scienza e non appartengono ad alcun genere noto. A un centinaio di esse Plumier dedica Nova plantarum americanarum genera (1703-1704), cioè "I nuovi generi di piante americane". L'opera (a cui oggi chiunque può accedere facilmente, essendo stata messa on line dalla Bibliothèque Nationale de France) è interessante da molti punti di vista. Intanto non è dedicata a un sovrano o al potente di turno, ma botanicis et botano-philis, "ai botanici e agli amanti della botanica". Inoltre - ben prima di Linneo - a Plumier è evidente che solo un nome condiviso eviterà errori e confusioni; eccolo quindi battezzare i nuovi generi con nomi da lui creati per dotarli di un nome certo (plantas incertas certis generibus insignire). Per coniare i nomi, spesso si rifà alle denominazioni volgari spagnole o indigene, quasi sempre attraverso la mediazione dei botanici spagnoli che avevano decritto le piante prima di lui; raramente desume il nome dalle caratteristiche della pianta; in circa la metà dei casi, ricava il genere dal nome di illustri botanici, viaggiatori e descrittori di piante, o più raramente potenti che avevano protetto gli studi botanici. In tal modo, afferma nella prefazione, egli intende "cingere la loro chioma del meritato alloro". Botanica e storia della botanica Ciascuna voce del catalogo di 106 nuovi generi (per un totale di 219 specie) ha una struttura ricorrente: - il nome del genere, in maiuscoletto a centro pagina; - la descrizione del genere, basata sul modello imposto dal botanico Pitton de Tournefort che si sofferma su fiori e frutti; - l'elenco delle diverse specie (spesso sotto forma di nomi-descrizione) - in carattere corsivo, la biografia del dedicatario. In tal modo Nova plantarum americanarum genera, oltre che un omaggio ai grandi botanici, diventa una storia della botanica attraverso i suoi studiosi più eminenti, da Dioscoride ai contemporanei come appunto il conterraneo (e amico) Pitton de Tournefort o l'inglese Hans Sloane. L'opera è completata da 40 tavole di disegni analitici dei particolari di fiori e frutti dei generi decritti, di mano dell'autore, la cui abilità di disegnatore era pari alla competenza botanica. Nella scelta dei dedicatari, Plumier dimostra la sua grande indipendenza di pensiero: a parte pochi potenti (e tra di loro non c'è il re), gli uomini che incorona sono coloro che l'hanno preceduto nell'esplorazione della flora americana (quindi soprattutto viaggiatori e botanici spagnoli) e i botanici del passato e del presente, badando al loro contributo scientifico, non alle loro posizioni ideologiche e religiose. Dunque c'è un bel drappello di protestanti, esuli dalla Francia come Clusius, Lobel, i Bauhin, o costretti alla conversione forzata, come Magnol. Per capire l'importanza dell'opera di Plumier, basti pensare che Linneo ne farò largo uso, considerando il frate francese la maggior autorità per le piante americane. Quanto ai nuovi generi "onorifici", lo svedese ne farà propri moltissimi: ad esempio, tra i più noti, Fuchsia, Lobelia, Magnolia, Bauhinia, Matthiola. Tuttavia, in qualche caso, riprenderà il nome assegnandolo a un'altra pianta; è il caso di Cortusa e Lonicera. Altre informazioni sulla vita di Plumier, i suoi viaggi e i suoi disegni nella biografia. La profumatissima Plumeria Ma è ora di parlare della Plumeria. A differenza di Linneo, Plumier era l'umiltà fatta persona e mai avrebbe dedicato un genere a se stesso. Tuttavia ci fu chi lo fece per lui. Nel 1700 il grande botanico Joseph Pitton de Tournefort pubblicò Institutiones rei herbariae (Istituzioni del mondo della botanica), in cui distinse chiaramente il concetto di genere e descrisse 698 generi. Un certo numero erano proprio piante americane fatte conoscere da Plumier; ad esempio la Begonia, che il frate stesso aveva battezzato in onore di Michel de Bégon, e appunto la Plumeria, battezzata da Pitton de Turnefort "in onore dell'illustre scopritore Plumier, botanico del re, che ha arricchito la botanica di così numerose e belle piante". Nel testo, vengono elencate tre specie, con i classici nomi polinomiali del tempo seguito dal nome francese: - Plumeria flore roseo, odoratissimo - Frangipanier a fleur rouge ; - Plumeria flore niveo, foliis longis, angustis et acuminatis - Frangipanier a fleur blanche; - Plumeria flore niveo, foliis brevioribus et obtusis. Le prime due potrebbero corrispondere alle due specie anche oggi più note, P. rubra e P. alba. Come si nota, quando il botanico francese descrisse e battezzò la pianta, essa era già conosciuta con il nome frangipani (in francese frangipanier). Probabilmente Plumier lo conobbe con questo nome quando lo vide la prima volta nelle Antille, anche se nello spagnolo del sud America, accanto a frangipani, si usano anche nomi indigeni. Il più poetico è senza dubbio il nome, di origini nahuatl, sacuanjoche che significa letteralmente "fiore preziosa piuma gialla" . Per approfondimenti sul genere Plumeria, si rinvia alla scheda. I protagonisti della prossima storia sono un padre dal temperamento vulcanico; un figlio che segue le orme di tanto padre, cercando però uno spazio proprio e originale; selvagge piante delle praterie americane trasformate nei più comuni fiori da aiuola. In altre parole, parleremo di Olaus Rudbeck padre e figlio e delle Rudbeckie. Con un cameo di Carl von Linné. Senza dimenticare un discendente esplosivo. Una dedica riconoscente Come abbiamo visto in questo post, l'incantevole Linnaea ha corso il rischio di portare il reboante nome di Rudbeckia. Sarebbe stato davvero troppo per i suoi fragili steli! Invece l'assegnazione al genere che conosciamo con il nome Rudbeckia è davvero azzeccata. Nel 1728, quando ventenne arrivò a Uppsala per studiare all'Università, Linneo era povero in canna. Olaus Rudbeck il giovane (1660-1740) non solo divenne il suo professore di botanica ma lo assunse come precettore dei suoi figli e talvolta lo chiamò a sostituirlo a lezione; più tardi, sponsorizzò la sua spedizione in Lapponia e ne protesse la carriera accademica. Linneo ne divenne il successore nella cattedra di anatomia e botanica e nell'incarico di curatore dell'Orto botanico dell'Università di Uppsala. Dunque egli non poteva mancare di commemorare il suo maestro, protettore ed amico, dedicandogli un genere botanico. Dato che gli piaceva che ci fosse un legame tra genere e dedicatario, scelse la Rudbeckia per le ragioni che spiegò in una lettera al suo vecchio mentore: la pianta era molto apprezzata nei giardini e spiccava alta tra gli altri fiori come Rudbeck per la sua alta statura; inoltre i suoi petali a raggiera dai colori fiammeggianti "testimoniano il vostro splendore tra i sapienti, simile a quella del sole tra le stelle". Queste parole, colorate da un briciolo di adulazione, calzano perfettamente anche al secondo dedicatario del genere, Olaus Rudbeck il vecchio (1630-1702), padre del maestro di Linneo, una personalità davvero importante della nascente scienza svedese. Un padre vulcanico Nel Seicento, la Svezia, da paese marginale sullo scacchiere europeo, era diventata una superpotenza, grazie soprattutto alla guerra dei Trent'anni, quando i suoi eserciti scorsero in lungo e in largo mezza Europa, guidati dal re Gustavo Adolfo. Di questo nuovo ruolo, Olaus Rudbeck il vecchio può essere considerato il prodotto e il simbolo. Come medico e anatomista, fece importanti scoperte sui vasi linfatici e chiliferi; come iniziatore dell'archeologia svedese, fu tra i primi ad intuire i meccanismi della stratificazione del terreno; come animatore degli studi ingegneristici, promosse canali e altre strutture; come botanico, fondò l'Orto botanico di Uppsala e scrisse un compendio delle piante allora conosciute. A questo vulcanico personaggio, vero figlio del suo tempo, non manca neppure una vena di bizzarria: nella sua Atland eller Manheim identificò la Svezia con la mitica Atlantide. In confronto il figlio omonimo, Olaus Rudbeck il giovane, è una figura più tranquilla (ma solo relativamente, se si considera che ebbe una ventina di figli e mantenne gli incarichi accademici fino a tarda età). La sua carriera si svolse nel solco del padre; anch'egli medico, anatomista e botanico gli succedette nella cattedra di medicina e botanica e nel ruolo di rettore dell'Università di Uppsala. Del padre continuò ugualmente gli studi linguistici. Tuttavia, un tratto lo distingue e ne fa il figlio di un'epoca più moderna, quasi preromantica: nel 1695 partecipò a una spedizione naturalistica in Lapponia e ne ritornò con quaderni di bellissimi acquarelli che ritraevano uccelli, fiori e paesaggi. Una sintesi delle vite di padre e figlio nella sezione biografie. Un'ultima curiosità: Wendela Rudbeck, figlia Olaus il vecchio e sorella di Olaus il giovane, sposò Peter Olai Nobelius; fra i discendenti della coppia Alfred Nobel, inventore della dinamite e fondatore dell'omonimo premio. Secondo lo studioso Henrik Schück la capacità inventiva del celebre discendente sarebbe un'eredità "rudbeckiana". Insomma, possiamo concludere che, con le sue corolle sgargianti e un po' scomposte e la capacità di adattarsi a tutte le condizioni che ne hanno fatto da tre secoli una beniamina dei giardini, la Rudbeckia ha proprio il nome giusto. La Rudbeckia arriva in Europa Quando Linneo le diede il nome (in Species Plantarum, 1753), qualche Rudbeckia era già arrivata da un pezzo in Europa, dove era chiamata con i soliti confusi nomi polinomiali, come ad esempio Obeliscotheca integrifolia, radio aureo, umbone atro-rubente. Questa Asteracaea (Composita) nativa delle praterie del Nord America, era stata introdotta in Europa già nel secolo precedente grazie a John Tradescant (la prima ad arrivare sarebbe stata la R. laciniata, fin dal 1640). Apprezzata per i suoi fiori dai colori solari e per la rusticità, era diventata da subito una favorita dei giardini, come continua ad essere anche oggi. L'introduzione di varie specie e di nuove cultivar ha aggiunto nuovi colori (accanto al comune giallo, tutte le sfumature dell'arancio fino al rosso mattone), fiori multipli e doppi. Qualche informazione in più nella scheda. Chi ha inventato i nomi scientifici formati dalla combinazione di due nomi, uno per il genere, l'altro per la specie? Risposta facile: Linneo. Risposta facile ma sbagliata! L'inventore è Gaspard Bauhin. Scopriremo in che modo ha anticipato la nomenclatura linneana e perché è stato importante nella storia della botanica. E troveremo anche la risposta a un altro interrogativo: come mai una coppia di severi calvinisti svizzeri (Gaspard e suo fratello Jean) è stata immortalata dal genere Bauhinia, le cui fioriture sgargianti le hanno guadagnato il nome di albero delle orchidee? Chi ha inventato la nomenclatura binomiale? Tutti conosciamo Linneo come l’inventore della nomenclatura binomiale, ma non si trattava di un'invenzione del tutto originale. Lo studioso svedese la riprese da un medico e botanico franco-svizzero, vissuto un centinaio di anni prima: Gaspard (o Caspar) Bauhin. Costui, nel suo Pinax theatri botanici (1596) introdusse per primo i concetti di genere e specie. Fino ad allora, negli erbari e nei testi di botanica la denominazione della pianta era costituita da una descrizione in latino più o meno ampia, che inoltre variava da autore ad autore: ad esempio il comune ranuncolo dei prati (Ranunculus acris) poteva essere denominato Ranunculus pratensis reptante caulicolo oppure Ranunculus magnus hirsutus flore pleno, e così via. Questi nomi-descrizione vengono definiti nomi polinomiali, o denominazione polinomia, in contrapposizione ai futuri nomi binomiali e alla denominazione binomia. Bauhin ridusse tale descrizione al minimo, spesso utilizzando due parole: una per il genere, l’altra per la specie, analogamente al sistema attuale. Tuttavia non lo fece in modo sistematico; spesso mantenne nomi-descrizione; inoltre per i generi costituiti da una sola specie o per le specie tipiche, spesso usò un solo nome; non si tratta dunque né di un sistema coerente né di un metodo universale. In ogni caso, Pinax theatri botanici può essere considerato una pietra miliare della storia della botanica; Gaspard Bauhin vi descrisse e classificò quasi 6000 specie, facendone uno dei testi botanici più reputati e consultati del tempo. Lo stesso Linneo lo utilizzò largamente, riprendendo molte denominazioni introdotte da Bauhin; lo dimostrano anche le oltre 300 annotazioni di sua mano che costellano l’esemplare del Pinax a lui appartenuto. Per un approfondimento sul ruolo di Bauhin nella invenzione della nomenclatura binomiale e sulle ragioni per cui Linneo ne ha oscurato la fama, si rimanda all'interessante articolo di C. Sorrentino. Anche Jean (o Johann) Bauhin, fratello maggiore di Gaspard, era medico e botanico; a sua volta, dedicò una grande opera, Historia plantarum universalis, alla descrizione di tutte le piante allora conosciute; il lavoro, rimasto incompiuto, ne registra oltre 5000. Altre notizie sui fratelli Bauhin nella sezione biografie. Le foglie "fraterne" della Bauhinia La Bauhinia venne dedicata ai fratelli Bauhin dal suo scopritore, il frate francese Charles Plumier, che l'aveva raccolta nel 1690, durante il suo primo viaggio nelle Antille. Era stato proprio Plumier a inaugurare l'abitudine di dedicare i nuovi generi che andava scoprendo a botanici del passato, viaggiatori, scienziati nonché personaggi influenti della corte del re Sole. Nell'assegnare questo genere ai due fratelli padre Plumier aveva in mente una sua caratteristica peculiare. Le foglie di diverse specie di Bauhinia sono formate da due lobi divergenti ma uniti alla base (appaiono abbastanza simili a quelle del nostro albero di Giuda, Cercis siliquastrum, che del resto è strettamente imparentato). In tal modo egli intese disegnare un ritratto vegetale dei due fratelli, diversi e allontanati dalle vicende biografiche, ma uniti dall'amore per la botanica di cui furono tra i più importanti pionieri. Per classificare e nominare le piante americane Linneo si avvalse ampiamente delle opere di Plumier e spesso - come in questo caso - riprese i nomi da lui assegnati. Convalidato in Species Plantarum 1753, questo genere è dunque per noi Bauhinia L. (dove la sigla sta per Linneo). Nella sezione schede, un profilo del genere Bauhinia, con sintetiche informazioni sulle specie più significative. E se leggerete attentamente, scoprirete anche un modo per superare brillantemente gli esami! 1732: un giovane scienziato svedese, nel corso di una spedizione botanica in Lapponia, rinviene grandi quantità di una deliziosa piccola pianta che diventa ben presto il suo fiore preferito. Quel giovane era il grande Linneo e quella pianta la Linnaea borealis. Raccontando la loro storia scopriremo perché molte piante commemorano personaggi più o meno celebri, perché la Linnaea si chiama così e impareremo qualcosa di più su questa bellezza in miniatura. Linneo e la denominazione binomiale Il primo articolo di questo blog è obbligatoriamente dedicato a Linneo, l'Adamo che ha dato il nome alle piante (e agli animali). Com’è noto, egli impose la nomenclatura binomiale, che si basa sull’attribuzione ad ogni essere vivente di due nomi (in lingua latina): il primo definisce il genere ed è uguale per tutte le specie che hanno in comune alcune caratteristiche generali (ad esempio Begonia), il secondo indica la specie distinta dalle altre per alcuni caratteri particolari (ad esempio Begonia semperflorens). Con questo sistema (non del tutto inventato da lui, ma finalmente usato in modo sistematico) rivoluzionò per sempre la nomenclatura scientifica degli organismi viventi, creando una denominazione universale al di là delle singole lingue e dei nomi di uso locale. Nei suoi libri, Linneo descrisse e classificò migliaia di specie. Per cogliere la portata dei suoi lavori, basti pensare che l’International Plant Names Index alla data di oggi gli assegna 39542 record (anche se non tutti corrispondono a denominazioni oggi accettate). Nell'attribuire un nome a piante conosciute e in generale alla flora del vecchio mondo, egli riprese quando possibile i nomi latini o classici: ad esempio latini sono Rosa, Viola, Hedera, greco-latini Narcissus, Hyacinthus, Daphne. Su basi latine coniò poi nomi descrittivi per le piante esotiche che affluivano sempre più numerose dai quattro angoli del mondo: ad esempio battezzò Indigofera tinctoria "la pianta portatrice di indaco dei tintori" la pianta (proveniente dall'India) da cui si ricavava l'indaco. Non di rado, tuttavia, nell'assegnare il nome a un genere sconosciuto in Europa o recentemente scoperto, rese omaggio a studiosi contemporanei o del passato, ai suoi allievi che sguinzagliò alla caccia di piante in tutti i continenti, o semplicemente a potenti, persone influenti e protettori. In ciò, seguì l'esempio di Charles Plumier che a quanto pare sarebbe stato il primo ad utilizzare nomi celebrativi per battezzare i nuovi generi di piante. Com'è giusto, tra i botanici onorati dal nome di una pianta c'è anche Linneo stesso (o per chiamarlo con il suo vero nome, Carl von Linné), immortalato da Linnaea borealis. In realtà, il nostro non era così arrogante da dedicare su due piedi un genere a se stesso. La storia è un po' più complicata. Nel 1732, quando aveva 25 anni, partecipò a una spedizione botanica in Lapponia, nel corso della quale trovò molti esemplari di una pianta che chiamò Campanula serpyllifolia ("Campanula con foglie simili al timo"). Questa pianta diventò la sua favorita. Qualche anno più tardi, nel 1735, nel suo Systema naturae la battezzò Rudbeckia in onore del proprio maestro Olof Rudbeck e del padre omonimo: Rudbeck il giovane aveva infatti esplorato la Lapponia prima di lui. A ribattezzare la pianta Linnaea in onore del giovane amico svedese fu il protettore di Linneo durante il suo soggiorno nei Paesi Bassi, il botanico olandese Jan Frederik Gronovius. Non troppo riluttante, lo stesso Linneo accettò l’omaggio e usò il nome Linnaea nel suo Species Plantarum del 1753, dove per la prima volta descrisse la pianta battezzandola Linnaea borealis ("L. delle latitudini settentrionali"). Sottolineò, anzi, che c'era uno stretto legame tra lui e la pianta: entrambi arrivavano dall'estremo nord, era modesti, quasi insignificanti; dunque, a suo parere, Gronovius aveva scelto bene. Che poi Linneo fosse davvero modesto non è proprio vero, ma evidentemente gli piaceva presentarsi così. Comunque egli non dimenticò di omaggiare il suo maestro, attribuendo il nome Rudbeckia a un’altra pianta. E nessuno si stupirà di scoprire che esiste anche la Gronovia! Un breve profilo di Linneo nella sezione Biografie. E naturalmente, lo incontreremo spessissimo in questo blog. L'affascinante Linnaea Al di là della complicata storia del suo nome, Linnaea borealis è una pianta interessante di per sé. In primo luogo si tratta di una cosiddetta "specie relitta": in Europa è presente nella penisola scandinava e in diverse aree montane, in particolare nelle Alpi. Poiché la sua distribuzione non è continua, si suppone che nei periodi glaciali occupasse un'area molto più ampia; dopo l'ultima glaciazione, il suo areale si ridusse alle zone più fredde, mentre a sud riuscì a sopravvivere solo in montagna. Il genere Linnaea è monospecifico, in altre parole comprende l'unica specie borealis, diffusa nei tre continenti dell'emisfero boreale, con tre sottospecie: Linnaea borealis subsp. borealis - Europa Linnaea borealis subsp. americana - America Settentrionale Linnaea borealis subsp. longiflora - Asia e costa pacifica dell'America settentrionale (dall'Alaska alla California). Sono le sottospecie europea ed asiatica ad avere carattere di specie relitta, mentre la sottospecie americana occupa un areale piuttosto ampio, come si può vedere nella mappa pubblicata nel sito del Biological Laboratory delle Montagne rocciose. Un'ultima curiosità: la Linnaea borealis appartiene alla famiglia delle Caprifoliaceae, ma alcuni ricercatori tendono ad assegnarla ad una famiglia propria: le Linnaeaceae. Come molte alte piante, la gentile Linnaea è diventato anche un nome femminile, Linnea, diffuso in Svezia (dove è comune anche il diminutivo Linn), Finlandia, Norvegia e Inghilterra. Altre informazioni su questo genere, comprese le complicate discussioni tassonomiche che lo coinvolgono, nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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