Questo post è un po' speciale. Siamo infatti arrivati alla centesima storia di persone e piante (ma, dato che qualche storia coinvolge più di una persona e/o più di una pianta, sono già sfilati un po' più di 110 personaggi e oltre 120 generi). Ho iniziato quasi un anno e mezzo fa nel nome di Linneo, e a lui voglio tornare per questa piccola celebrazione. Venite, vi invito a una gita estiva nell'Olanda del 1735! In gita con Linneo Sbrighiamoci, la barca ci sta già aspettando! E' il 13 agosto 1735 e il professor Burman, il nostro ospite, ci ricorda che siamo attesi; la nostra metà è il favoloso giardino De Hartekamp, creato dal ricchissimo banchiere George Clifford a Heemstede, non lontano da Harlem. E' piacevole arrivarci scivolando lungo i canali: in fondo non sono neppure 20 km; ma Linneo è impaziente: ha sentito tanto parlare di questo giardino, e del suo eccentrico proprietario. Il giovane scienziato è venuto in Olanda per laurearsi - condizione posta dal futuro suocero per concedergli la mano della sua promessa, Sara Elisabeth Moraea; ha ottemperato, ma adesso non ha nessuna intenzione di tornare nella provinciale Svezia. Al momento, se ne sta da Johannes Burman, professore di botanica all'Hortus medicus di Amsterdam e curatore dell'orto botanico della città; e in cambio dell'ospitalità, lo sta aiutando nella stesura della sua opera sulla flora di Ceylon, Hortus zeylanicus. Eccoci, siamo arrivati! Ci farà da guida il padrone di casa in persona, George Clifford. Non solo è ricchissimo - rappresenta la terza generazione di una famiglia di banchieri di origini inglesi trapiantata nei Paesi Bassi - ma come direttore della Compagnia olandese delle Indie Orientali (VOC) ha facile accesso alle piante e agli animali esotici che arrivano dal Suriname, dal Sud Africa, da Ceylon, dal Malabar, da Giava, dal Giappone. Inoltre, è ben inserito nella rete internazionale di studiosi e collezionisti, con i quali scambia attivamente semi, bulbi, piante vive e essiccate, animali e minerali rari. Il risultato è qui davanti ai nostri occhi: è un vasto giardino all'inglese con piante rare, alcune coltivate all'aperto, altre nelle quattro serre riscaldate, ciascuna adatta a un gruppo di piante diverse: i quattro continenti - l'Australia non è ancora stata scoperta - in miniatura. I vasi che vedete attorno alla casa, alle fontane, al parterre all'inizio dell'autunno troveranno ricovero nell'orangerie. Per di qua invece si va al serraglio. Dopo il giro in giardino, adesso entriamo in casa: è un vero museo con collezioni scientifiche (quanti animali imbalsamati! per non parlare dei minerali), un erbario, una ricchissima biblioteca. Linneo è estasiato: se ha mai immaginato il paradiso dei naturalisti, deve essere identico a De Hartekamp. E' abbagliato da tutto quello che vede, lui figlio del gelido nord per la prima volta a tu per tu con tanti animali e tante piante esotiche. Il padrone di casa, sì, è un dilettante, ma se ne intende, conversare con lui è molto gratificante. E a sua volta, lui, George Clifford, è abbagliato dal giovane Linneo: è un pozzo di scienza, una perla rara, questo svedese! Oltretutto, è un medico e un naturalista nella stessa persona. Clifford è un ipocondriaco, adorerebbe avere in casa un medico pronto a dar sollievo ai suoi malesseri più o meno immaginari. E così, su due piedi, gli fa la sua proposta: che ne direbbe di trasferirsi a Hartekamp - almeno per quell'inverno - come suo medico personale e sovrintendente delle collezioni? Per lo squattrinato Linneo è un'occasione splendida: un lavoro ben pagato, una biblioteca fornitissima, uno dei giardini privati più importanti d'Europa e ricche collezioni naturalistiche a sua disposizione, da studiare, incrementare, catalogare. Ma, con un sospiro, deve rifiutare questa proposta di sogno. E' già legato a Burman, con cui ha un impegno e un debito di riconoscenza. Tanto allegro era, il nostro Carl, durante il viaggio verso De Hartekamp, tanto triste è adesso, a sera, mentre torniamo a Amsterdam. Ma fa male a angosciarsi; Clifford, un miliardario poco abituato ai rifiuti, si lavora abilmente Burman: quanto vale, per lui, Linneo? cosa accetterebbe in cambio del "suo" svedese? E Burman ha un prezzo: se Clifford gli cederà quel libro introvabile, la sua rarissima copia di Natural History of Jamaica di Hans Sloane, dirà di sì, libererà Linneo dai suoi impegni. Affare fatto! Il 24 settembre Linneo si trasferisce a De Hartekamp, con una paga di 1000 fiorini annui, più il vitto e l'alloggio, come medico personale e curatore delle collezioni scientifiche; formalmente l'incarico dovrebbe durare solo quell'inverno, ma si protrarrà fino al 7 ottobre 1737. Hortus Cliffortianus, un libro seminale Il frutto principale di quei due anni - interrotti dal lungo viaggio che porterà Linneo, a spese di Clifford, a Londra e a Parigi - è Hortus Cliffortianus, il catalogo delle piante coltivate nel giardino di Hartekamp e degli esemplari essiccati del prezioso erbario di Clifford. Linneo lo scrisse in circa nove mesi (lo completò nel luglio 1737); venne pubblicato però solo l'anno successivo, quando lo svedese aveva ormai lasciato Heemstede. E' un'opera di grande importanza nella storia della botanica: in essa, infatti, Linneo classificò e descrisse le piante, per la prima volta, seguendo la sua classificazione basata sul numero e la forma degli organi maschili e femminili dei fiori. Non compare ancora, invece, la denominazione binomiale; ogni specie è assegnata a un genere e definita con un nome-descrizione, basato sui caratteri che la distinguono dalle altre specie dello stesso genere; seguono i sinonimi usati dai principali botanici precedenti e note sulla provenienza geografica. E' un lavoro seminale, che già pone le basi di Species plantarum, dove, nell'introdurre la nomenclatura binomiale, Linneo ne riprenderà in gran parte i generi e le specie; è inoltre nell'erbario di Clifford (di cui Linneo portò con sé in Svezia numerosi doppioni) che vanno cercati i tipi di molte specie linneane. L'opera, un grande volume in folio di circa 350 pagine, si apre con una dedica al generoso mecenate George Clifford (che la promosse e ne finanziò la stampa), seguita da un excursus su coloro che, con i loro giardini botanici e la loro generosità, avevano favorito i progressi della botanica. Dopo un'avvertenza ai lettori, che contiene anche informazioni sulla provenienza delle piante (importante per ricostruire la storia della rete di botanici e collezionisti del Settecento), il testo vero e proprio inizia con il catalogo della biblioteca di Clifford, un totale di 295 titoli, quasi interamente dedicati alla botanica; anche i libri, o meglio i loro autori, secondo la mania classificatoria di Linneo, sono raggruppati in sedici classi, a partire dai padri fondatori greci e romani, per arrivare alle monografie, passando per i Commentatores, i Descriptores, gli Iconographi (ovvero i disegnatori). Grazie a questo elenco, di enorme importanza storica, conosciamo da vicino le fonti di Linneo e i suoi rapporti con la botanica prelinneana, tanto più che non manca un breve giudizio su ciascun testo (a volte di lapidaria, secca, arroganza). La maggior parte del libro è occupata dal catalogo delle piante di De Hartekamp, 2536 specie, senza distinzioni tra quelle coltivate in giardino o nelle serre e gli esemplari dell'erbario. Linneo, che aveva già concepito in Svezia le linee della sua classificazione sessuale, ha qui modo di metterla alla prova, di fronte a tante specie esotiche, alcune descritte per la prima volta. Hortus Cliffortianus è anche un libro notevole per le illustrazioni: si tratta di calcografie di estrema finezza, incise da Jan Wandelaar, che è anche l'autore della tavola del frontespizio, di alcune tavole sinottiche sulle forme e la nomenclatura delle foglie e di una decina di illustrazioni botaniche. Le altre (sono in totale 34) furono dipinte dal celebre Georg Ehret. Il frontespizio, ricco di simboli, merita qualche parola in più. Sullo sfondo di un giardino con piramidi topiarie, al centro sta Madre Terra, seduta su un leone e una leonessa, con in mano le chiavi del giardino. Ai suoi piedi un vaso con Cliffortia ilicifolia, pianta che onora il generoso mecenate, e una mappa dell'hortus. Sulla sinistra l'omaggio dei continenti: una nera (l'Africa) offre un'aloe, un'araba (l'Asia) una pianta di caffè, un'india (le Americhe) un'Hernandia. Su un alto piedistallo si erge un busto barbuto, forse un ritratto dello stesso George Clifford. Sulla destra campeggia un alto banano in fiore: è un'allusione a quello che nel 1736 Linneo riuscì a far fiorire in una delle serre di Hartekamp, destando sensazione. Ed ha le fattezze proprio di Linneo il dio Apollo, che regge la fiaccola della scienza e strappa i veli dell'ignoranza, mentre i suoi piedi calpestano un drago. Anche questa è un'allusione a un preciso episodio: durante il suo viaggio europeo, Linneo era passato da Amburgo, dove il sindaco della città gli aveva mostrato con orgoglio i resti imbalsamati di un'idra dalle sette teste. Allo svedese era bastata un'occhiata per capire che si trattava di un falso, costruito alla bell'e meglio assemblando una pelle di serpente, denti e zampe di donnola. Aveva poi dovuto allontanarsi in fretta dalla città per sfuggire alle ire del sindaco, che sperava di rivendere a caro prezzo quella reliquia. Nell'angolo destro, due amorini muniti di vanga e termometro e un vaso da cui escono fuoco e fumo ci ricordano che quel magnifico giardino non esisterebbe senza il lavoro dei giardinieri e il calore delle quattro serre riscaldate. Dopo aver finito di scrivere il libro, Linneo lasciò la tenuta di Clifford, con l'intenzione di tornare in Svezia. Ma una malattia, e le esortazioni degli amici, lo trattennero ancora in Olanda, dove si sarebbe fermato fino a maggio 1738, causando qualche malumore nel suo protettore. Rimasero tuttavia in corrispondenza almeno fino al 1741. Clifford continuò a incrementare le sue collezioni e ad abbellire il giardino; tuttavia, quando morì, nel 1760, gli eredi, poco interessati alla botanica e impoveriti da una bancarotta, vendettero all'asta la proprietà. Oggi rimane ben poco di quel favoloso giardino (il palazzo ospita una scuola per bambini portatori di handicap e poco si è conservato del parco); negli anni '50 del Novecento un'area nei dintorni di Heemstede, battezzata Linnaeushof, fu utilizzata per qualche anno per mostre floricole per poi essere trasformata, in seguito a problemi finanziari, in un parco giochi, che vanta di essere il più grande d'Europa. Agli antipodi rispetto al raffinato orto botanico di Clifford (qualche notizia in più sulla vita del banchiere-mecenate nella sezione biografie). L'inafferrabile Cliffortia Tra i numerosi corrispondenti di Clifford, c'era anche un collezionista blasonato, il margravio di Bade-Durlach, Carlo III Guglielmo, grande appassionato di piante e proprietario di due splendidi giardini, a Carlsruhe e Durlach. Fu lui a raccomandare Ehret a Clifford, e, prima di Linneo, fu il suo medico, Johann Andreas Eichrodt, nel 1733, a creare in suo onore il genere Cliffortia nel suo catalogo del giardino del margravio (Index Plantarum Horti Carlsruhani tripartitus). Ce ne informa lo stesso Linneo che, al contrario di quanto farà in Genera plantarum, in Hortus Cliffortianus spiega in dettaglio le origini dei nomi celebrativi. Dopo aver ricordato che a coniare il nome fu appunto Eichrodt, aggiunge: "Con quanto amore e quanto studio l'illustre Clifford si dedichi alla botanica lo comprende facilmente ogni botanico da questa stessa collezione, da questa stessa opera per la quale ha profuso tanta spesa. Ha meritato questa memoria presso gli uomini degni, è ben meritevole di lui quest'alberello perennante e i suoi consimili che, come stelle che sorgono rare nel vasto immenso cielo, illuminano con i loro raggi le nostre piante". E' la rarità nelle collezioni europee settecentesche più che una particolare venustà a dettare queste parole; in effetti gli esponenti del genere Cliffortia (ufficializzato in Genera plantarum, 1753) non potrebbero davvero aspirare al primo premio in una mostra di giardinaggio. Anche nel loro ambiente naturale, come vedremo, passano piuttosto inosservati, sebbene siano tutt'altro che rari. Cliffortia, affine all'europea Sanguisorba, con cui condivide i fiori privi di petali, è uno dei pochi generi della famiglia Rosaceae della flora sudafricana; ricchissimo di specie, ne comprende circa 120, 114 delle quali endemiche del Cape Botanical Kingdom, la favolosa area occidentale della provincia del Capo. Il suo ambiente di elezione è il fynbos, la macchia sudafricana formata da una vegetazione arbustiva spesso spinosa con foglie coriacee o aghiformi, adattate all'aridità. Sono le caratteristiche anche delle Cliffortiae, che, per quanto numerosissime e talvolta dominanti, sono relativamente poco conosciute e non si fanno notare, confuse in mezzo ad altri arbusti più alti, più vistosi o singolarmente simili per portamento e forma delle foglie. Variabilissime per forma (dall'alberello all'erbacea strisciante), per la morfologia delle foglie (simili a fili d'erba in alcune specie, aghiformi in altre, ovoidali e dentate in altre ancora), sembrano divertirsi a giocare a nascondino con i botanici. Quando non sono in fiore (per altri i fiori sono piccolissimi e poco vistosi) alcune specie, per convergenza evolutiva, sono talmente simili a Aspalathus (famiglia Fabaceae) e a Anthospermum (famiglia Rutaceae) da trarre in inganno; C. graminea invece a prima vista può essere scambiata per un ciuffo d'erba. Si fa notare, invece, per crescere in mezzo alle rocce, a volte anche sulle pareti a strapiombo, C. ruscifolia; si dice che gli amanti dell'arrampicata sportiva abbiano l'abitudine di afferrarsi ai suoi rami, grazie all'esteso apparato radicale che, penetrando in profondità nelle spaccature, le trasformano in un appiglio sicuro; questa particolarità ha guadagnato a questa specie il nomignolo di climber's friend, "amico dell'arrampicatore". Qualche approfondimento nella scheda.
0 Comments
Nel tardo Rinascimento, con tre botanici di risonanza internazionale, le piccole Fiandre sono all'avanguardia negli studi botanici. A inaugurare il gruppo, prima di Clusius e l'Obel, fu Dodoens. Tanto fervore di studi - e di pubblicazioni - non fu casuale: prima che arrivassero le guerre e la violenza religiosa, quella era l'area più ricca e aperta d'Europa. Aperta anche alle piante e alle idee nuove. Un nuovo pubblico per i libri di botanica Nella prima metà del Cinquecento il cuore pulsante dell'economia europea era Anversa. Ancor più che a Lisbona o a Siviglia, era qui che approdavano le merci coloniali che giungevano dall'Asia, dall'Africa e dal Nuovo Mondo, pronte ad essere scambiate con i prodotti che per via di terra giungevano dal Mediterraneo e per mare dalle sponde del Baltico; secondo le parole di l'Obel: "Tutto ciò che c'è di straordinario e desiderabile ovunque nel mondo, viene portato qui in abbondanza per mare e per terra, e tutti i tesori d'Europa, Asia e Africa si raccolgono qui". In pochi anni, la città crebbe tumultuosamente: nel 1496 aveva 40.000 abitanti, nel 1566, all'apice della sua prosperità, ne contava 100.000. Molti di quegli immigrati, oltre a un lavoro e alla ricchezza, cercavano un luogo libero dove poter professare senza impedimenti la loro fede religiosa. Le Fiandre sembravano il posto giusto: appartenevano agli Asburgo, ma erano abituate da secoli ad autogovernarsi e l'imperatore Carlo V (nato a Gand, di lingua madre fiamminga egli stesso) ne era ben consapevole e lasciò ampi margini di autonomia a quella ricchissima provincia che fruttava sei volte tanto le colonie americane. Così Anversa divenne anche uno dei maggiori centri della stampa, dove si pubblicavano le opere dei predicatori riformati vietate in Francia o nell'Impero. Tra i tesori ricordati da l'Obel, affluivano in abbondanza nuove piante. Tra i ricchi fiamminghi, vecchi e nuovi, divenne di moda creare giardini e collezioni di piante esotiche. A dare l'esempio fu la stessa governatrice dei Paesi Bassi, Margherita d'Austria, che fece edificare uno splendido giardino nella residenza di Mechelen (o Malines). Il più bello di tutti, però, era quello del farmacista Peeter van Coudenberghe che proprio ad Anversa creò un orto botanico privato che giunse a comprendere più di 600 specie, dotato di una struttura per il ricovero invernale delle piante esotiche, che possiamo considerare il primo esempio di orangerie. Grazie alla diffusione della stampa, cresceva anche il livello culturale e l'alfabetizzazione era sempre più diffusa; c'era dunque un pubblico potenziale interessato a libri sulle piante e sulla flora esotica, soprattutto se scritti in fiammingo (tra i borghesi appassionati di piante pochi conoscevano il latino) e corredati di belle figure. Almeno, fu questo il ragionamento di uno stampatore-editore, Jan van der Loe, che intorno al 1550 acquistò dall'editore tedesco le matrici dell'erbario di Fuchs e chiese a un amico, il medico Rembert Dodoens, di tradurlo in fiammingo. Dodoens (che, alla latina, si firmava Dodonaeus) era un medico di successo che fino a quel momento non si era particolarmente interessato di botanica, se non per quelle nozioni che facevano parte delle competenze di base di ogni medico in un'epoca in cui quasi tutti i medicamenti erano ricavati dalle erbe. Uomo metodico e coscienzioso, si mise al lavoro con entusiasmo. La sua non fu dunque una traduzione o una riscrittura del testo di Fuchs, ma un'opera del tutto nuova. Certo, Dodoens, riprende da Fuchs la struttura delle trattazione di ogni pianta, ma le sue descrizioni, quasi sempre basate sull'osservazione dal vivo, risultano più precise e dettagliate di quelle del tedesco. L'attenzione alla piante locali (di cui si indicano le epoche di fioritura e fruttificazione) fanno del suo erbario una flora regionale delle Fiandre. Più simile al modello la parte erudita, con le citazioni di prammatica delle proprietà attribuite dagli scrittori antichi e le solite infinite discussioni sulle corrette identificazioni delle specie (tuttavia, ben più contenute rispetto a Fuchs, per non parlare dell'enciclopedico e logorroico Mattioli). La maggiore novità sta nella disposizione delle specie: nella lettera dedicatoria, Dodoens confessa di essere stato a lungo combattuto: non gli sembravano funzionali né l'ordine di Teofrasto (l'analisi delle piante in base ai loro organi costringeva infatti a trattare la stessa specie più volte) né l'ordine alfabetico (adottato da Fuchs), che teneva lontane piante affini e accostava piante senza alcun punto in comune. Decise così di tornare a Dioscoride, raggruppando le piante prevalentemente in base agli usi e alle proprietà, e, meno spesso, alle forme e alle affinità. E' una classificazione ancora eclettica, che lasciò insoddisfatto per primo le stesso Dodoens, come si vede dall'elenco delle sue sei classi: - piante notevoli per i loro fiori o i loro semi; - piante usate in medicina o venefiche; - cereali, legumi, foraggi; - erbe, radici e frutti di uso alimentare; - alberi e arbusti; - piante che non rientrano in nessun dei gruppi precedenti. Dodoens terminò la redazione nel 1552 e sottopose il testo a un'attenta revisione, prima della pubblicazione, che avvenne nel 1554, con il titolo Cruydeboeck. Fu un successo commerciale, che in dieci anni esaurì la tiratura e rese necessaria una ristampa, nel 1563. L'editore, che aveva ottenuto dall'imperatore un privilegio di dieci anni per l'uso delle matrici dell'erbario di Fuchs, sfruttò pienamente l'investimento; prima ancora dell'uscita del volume, pubblicò le tavole da sole (con i nomi in molte lingue e note sintetiche a margine, sempre a cura di Dodoens). Nel 1557, uscì una traduzione in francese, curata da Carolus Clusius (che di Dodoens diverrà intimo amico), con il titolo Histoire des plantes. Possiamo considerarla una vera e propria nuova edizione, aumentata sia nel testo sia nelle tavole, che a sua volta sarà la base, per una seconda edizione delle tavole (1559) e per le traduzioni in inglese (A new herbal, a cura di Henry Lyte, 1578) e in latino (1583), che fanno dell'erbario di Dodoens il testo più tradotto dei suoi tempi dopo la Bibbia. L'opus magnum di Dodoens Nel 1563, anno in cui scadeva il privilegio decennale, ritenendo probabilmente il mercato ormai saturo, van der Loe vendette le matrici. Poteva essere la fine dell'opera botanica di Dodoens, se non fosse stato per il fortunato incontro con un altro stampatore, il grande Christophe Plantin. Convinto che ci fosse ancora spazio per raffinate opere scientifiche corredate da belle immagini, Plantin mise a disposizione di Dodoens - oltre alla sua tipografia celebre per la nitidezza dei caratteri, l'accuratezza della revisione dei testi, la sobria eleganza - una squadra di pittori e incisori che, secondo le indicazioni del botanico, avrebbero ritratto nuovamente dal vivo le piante necessarie per l'edizione latina delle sue opere. Ma, ancora una volta, Dodoens non si accontentò di ripubblicare in nuova veste il suo vecchio lavoro, ma lo riscrisse completamente, arricchendolo di nuove piante e accentuando il taglio propriamente "botanico". Se quando scrisse il Cruydeboeck, Dodoens era essenzialmente un medico erudito prestato alla botanica, ora, dopo dieci anni di ricerche, era un botanico a tutti gli effetti. E se la prima opera gli aveva richiesto circa tre anni, tra la stesura e la revisione, la seconda richiese un ventennio, per molte ragioni: la necessità di conciliare la ricerca scientifica e l'attività editoriale con un'intensa pratica medica; la situazione politica sempre più tesa che trasformò le Fiandre in un campo di battaglia (Mechelen, la città dove abitava Dodoens, fu presa e saccheggiata due volte: nel 1572 dalle truppe del duca d'Alba e nel 1580 da quelle dell'Unione di Utrecht); i riflessi di tale situazione sulla sua vita personale (dopo aver trascorso tutta la vita tra Malines e Anversa, l'ultimo decennio della sua esistenza lo vide medico imperiale a Vienna quindi, dopo un breve soggiorno a Colonia, professore universitario a Leida). L'opera maggiore di Dodoens, prima di essere pubblicata in edizione definitiva nel 1583, con il titolo Stirpium historiae pemptades sex, uscì, si potrebbe dire, a puntate. Il primo frutto della collaborazione tra Dodoens e Plantin fu nel 1565 Historia frumentorum, leguminum, palustrium et aquatilium herbarum ("Storia dei cereali, dei legumi e delle erbe palustri e acquatiche"); il libro confluirà nella quarta sezione delle Pemptades. Nel 1567 seguì Florum et coronarium, odoratumque herbarum historia ("Storia delle piante da fiore, adatte a far corone e odorifere"), notevole perché è uno dei primi trattati specificamente dedicati alle specie ornamentali; confluirà nella seconda parte delle Pemptades. Più tradizionale l'argomento della terza "puntata" (1574), Purgantium aliarumque eo facentium, tum et radicum, convolvulorum ac deleteriarum herbarum historiae libri III ("Tre libri sulla storia dei purganti e di altre piante con effetti simili, compresi radici e convolvoli e piante nocive"), che entrerà, con molte aggiunte, nella terza sezione delle Pemptades; unico opuscolo non edito da Plantin, uscì nel 1580 a Cologna, dove Dodoens si trattenne al suo rientro da Vienna, in attesa che la situazione delle Fiandre si facesse meno confusa.Seguì una breve pubblicazione sulla vite, in cui Dodoens inserì anche piante di varia natura non trattate in precedenza, Fu ancora Plantin, invece, a pubblicare nel 1583 l'opus magnum in cui confluiscono il Cruydeboek, i quattro opuscoli e ulteriori contributi: Stirpium historiae pemptades sex sive libri XXX, un grande volume di oltre 900 pagine. Le piante sono distribuite in sei grandi categorie, articolate a loro volta in 26 gruppi (detti pemptades, perché, tranne la prima sezione, tutte le altre sono divise in cinque sottosezioni), alcuni dei quali possono corrispondere almeno in parte alle nostre "famiglie": - Prima sezione: tutte le piante non inserite in altre classi, presentate in ordine alfabetico, raggruppando insieme tuttavia quelle che presentano somiglianze e affinità: troviamo un vasto gruppo di piante vulnerarie, e alcuni raggruppamenti affini a famiglie (ad esempio quelle che oggi chiameremmo Crassulaceae e Saxifragaceae); - Seconda sezione: fiori notevoli come ornamentali e medicinali; erbe profumate (tra cui numerose Umbelliferae, riconosciute come un gruppo naturale anche per la struttura delle infiorescenze); - Terza sezione: piante di uso medicinale non trattate precedentemente (radici con proprietà officinali, piante purgative, radici purgative della famiglia Convolvulaceae, piante velenose; crittogame, sistemate qui perché molte hanno proprietà nocive); - Quarta sezione: piante usate come cibo di uomini e animali (qui si riconoscono due gruppi abbastanza evidenti, i cereali e le leguminose, anche se queste sono divise tra legumi e foraggere); - Quinta sezione: piante orticole e culinarie (l'ultima pemptas raggruppa, in base a affinità formali, diversi "cardoni" che ora assegneremmo a famiglie diverse); - Sesta sezione: arbusti e alberi (divisi rispettivamente in arbusti spinosi e senza spine; alberi coltivati nei giardini e nei frutteti, forestali e sempreverdi). Appena due anni dopo la pubblicazione del grande lavoro, Dodoens morì a Leida dove da pochi anni insegnava medicina. Celebratissimo come medico di eccezionale competenza e grande botanico, ai suoi tempi fu il più noto della triade fiamminga formata con Clusius e l'Obel, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "Teofrasto fiammingo". Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Dodonaea, australiana vagabonda Tra le piante ornamentali, Dodoens ne aveva descritte alcune notevoli per i loro semi. Se l'avesse conosciuto, qui avrebbe collocato il genere Dodonaea, che ha fiori insignificanti ma splendide capsule alate. La prima ad essere descritta fu la sola specie diffusa in ampie aree tropicali, D. viscosa, che nel 1753 Linneo descrisse in Species plantarum come Ptelea viscosa, e l'anno successivo fu rinominata D. viscosa da Philip Miller in onore del nostro Dodoens, la cui opera era ben nota e apprezzata dai botanici britannici. Nelle edizioni successive, Linneo farà propria la denominazione milleriana. Il genere Dodonea, appartenente alla famiglia Sapindaceae, comprende una specie di specie di alberelli e arbusti sempreverdi, il cui centro di diffusione è l'Australia (tranne tre, tutte le specie sono endemismi australiani), nettamente distinte in due gruppi in base alla struttura delle foglie: nella maggior parte delle specie, esse sono semplici e lineari; in un gruppo minoritario, sono invece composte. Piante adattabili che, crescono in una varietà di condizioni, soprattutto nelle formazioni di macchia arida, non si mettono in mostra né per il portamento né per i fiori, maschili e femminili (si tratta di piante per lo più dioiche) privi di petali. A dare spettacolo sono piuttosto le capsule alate dei frutti che spesso assumono colori inconsueti: rosso, rosa carico, rosa antico. L'unica specie reperibile da noi è D. viscosa, polimorfica e adattabile, che - secondo la ricostruzione dei paleobotanici - nell'arco di due milioni di anni dalla nativa Australia ha colonizzato le aree tropicali, subtropicali e calde di Oceania, America meridionale, Africa e Asia. Questa pianta vagabonda sta diventando di moda ed è proposta anche da noi da alcuni garden center; del resto, ben si adatta al clima mediterraneo. La forma più coltivata è D. viscosa 'Purpurea', una forma di origine neozelandese, con foglie sfumate di porpora e capsule rosate. Qualche informazione in più nella scheda. A proporre una delle prime classificazioni delle piante è alla fine del Cinquecento Mathias de l'Obel, ovvero Lobelius, con l'amico Pierre Pena. Basata sulle foglie, è un po' bizzarra a nostri occhi, senza dubbio un vicolo cieco, ma non priva di meriti. Tanto è vero che il bestseller di l'Obel, Icones stirpium, fu assai consultato da Linneo. Entrambi gli amici sono ricordati da un genere, in fondo azzeccato: il dimenticato Pena dal poco noto Penaea, il celebrato Lobelius dal diffusissimo Lobelia. Un'amicizia e un sodalizio intellettuale Nella tarda primavera del 1565, giungono a Montpellier, a un mese di distanza l'uno dall'altro, due studenti non più giovanissimi. Il primo, ad aprile, è Pierre Pena, un "figlio del paese", un provenzale che ha abbracciato la riforma. Il secondo, a maggio, è Mathias de l'Obel (o de Lobel, o alla latina, Lobelius), un fiammingo di Lilla. Dato che purtroppo conosciamo male la giovinezza di entrambi, non sappiamo se si conoscessero già, e avessero addirittura erborizzato insieme in Germania, in Svizzera e in Italia, o se si incontrassero qui per la prima volta. Certo è che da quel momento diverranno inseparabili. Li ritroviamo in un team di sei studenti, sotto la guida di Assatius, collaboratore e genero di Rondelet, a erborizzare nei dintorni di Montpellier; o insieme a un vasto gruppo di studenti, partecipare a una gita a Marsiglia che è allo stesso tempo una spedizione scientifica e un'allegra scampagnata tra amici. Nonostante la sua rozzezza di modi e le lacune della sua formazione accademica (il suo latino è privo di eleganza e non sempre ineccepibile), Rondelet è così colpito dell'acume di de l'Obel che quando morirà, poco più di un anno dopo, gli lascerà in eredità i suoi scritti botanici. Di nuovo, non sappiamo esattamente cosa successe dopo la morte di Rondelet: forse gli amici si fermarono ancora nel Midi ad esplorare Linguadoca e Provenza, forse conseguirono la laurea (mancano i registri di questi anni), forse partirono dopo pochi mesi. Di nuovo, abbiamo una data certa: nel 1570 erano sicuramente in Inghilterra, e vi si trovavano da qualche anno (almeno dal 1568). Non sappiamo quali motivi li avessero spinti a raggiungere il regno di Elisabetta: forse la situazione politica (l'Obel parlerà esplicitamente dei Paesi Bassi come di una terra "bagnata dal sangue umano": sono gli anni in cui il duca d'Alba cerca di schiacciare nei sangue la rivolta dei Paesi Bassi), forse il desiderio di esplorare una flora ancora largamente sconosciuta ai botanici del continente. La data ci è fornita dalla loro opera comune: alla fine del 1570 o all'inizio del 1571, esce a Londra per i tipi dello stampatore Thomas Purfoet (o Pufoot) Stirpium adversaria nova, il libro che gli amici hanno scritto a quattro mani. Il curioso titolo si rifà agli adversaria, i libri dei conti in cui i negozianti annotavano giorno per giorno entrate e uscite. Vuole essere dunque un registro delle piante (circa 1200) viste e raccolte per esperienza diretta soprattutto in Provenza e in Linguadoca, ma anche nel corso di altri viaggi (tra il 1562 e il 1563 l'Obel da solo o insieme a Pena visitò l'Italia settentrionale e conobbe tutti quelli che contavano nella botanica italiana). Una classificazione basata sulle foglie La novità di Stirpium adversaria nova non sta nel metodo (abbondano ancora i riferimenti eruditi ai botanici dell'antichità, con le solite polemiche feroci sull'identificazione delle specie di Dioscoride e soci), né nell'accuratezza delle descrizioni (Tournefort noterà che è quasi impossibile identificare le piante non accompagnate da disegni). A parte un'insolita attenzione all'habitat (di ogni specie è indicato, in genere, il luogo di raccolta e l'ambiente), è nuovo il modo di organizzare le piante. Gli autori si sono infatti proposti di raggrupparle in modo "naturale", in base a evidenti somiglianze morfologiche, così che il molteplice venga ricomposto nell'uno: "Quest'ordine si sviluppa uno e identico a se stesso, conduce dai semplici più vicini ai sensi e più familiari a quelli più sconosciuti e compositi, seguendo un percorso di somiglianze e familiarità, grazie al quale, per quanto possibile, le piante vengono a corrispondersi sul piano universale e particolare attraverso la varietà e l'immensità". E' lo stesso intento di Cesalpino (l'Obel lo conobbe in Italia, e forse ne fu influenzato), ma attuato in modo assai diverso, quasi opposto. Come Cesalpino, l'Obel si rifà ad Aristotele (citato poco più avanti nello stesso passo), ma mentre l'italiano muoveva dal generale al particolare (partendo da considerazioni generali sulla natura, ovvero l'essenza, dei vegetali, per poi giungere a categorie specifiche, con approccio deduttivo), il fiammingo parte dall'osservazione del molteplice per giungere all'uno (con approccio induttivo, dal particolare al generale). E se i ragionamenti filosofici avevano indotto Cesalpino a scegliere come criterio di classificazione gli organi riproduttivi (in particolare i frutti e i semi), l'osservazione diretta delle piante induce l'Obel a scegliere l'organo più immediatamente percepibile: le foglie. Oggi noi sappiamo che, per convergenza evolutiva, piante diversissime che vivono negli stessi ambienti possono avere aspetto simile; le foglie, da questo punto di vista, sono particolarmente ingannevoli. Ciò non toglie che quello di l'Obel (e Pena) sia stato il primo tentativo di raggruppare le piante per affinità naturali, giungendo a individuare delle sorta di "famiglie". Almeno un risultato è stato raggiunto: anche se solo sulla base della diversa struttura delle foglie, vengono chiaramente distinte le monocotiledoni (con foglie, in genere allungate, caratterizzate da nervature parallele) e le dicotiledoni (con foglie distinte in picciolo e lamina, caratterizzate da nervature reticolate). Non mancano le confusioni, i vicoli ciechi e le incongruenze: ad esempio, le monocotiledoni con lamina fogliare ampia, come Arum, finiscono con le dicotiledoni. Trifogli, Oxalis e Hepatica, che hanno foglie a tre o quattro lobi, sono raggruppate insieme; piante prive di foglie verdi, come Orobanche, finiscono insieme ai funghi. D'altra parte, anche i criteri di classificazione sono incongruenti: così, ninfee, loti, Caltha e Hydrocharis stanno insieme (sono tutte piante che fluttuano sull'acqua). Tuttavia, a sfogliare il testo di l'Obel, abbiamo l'impressione che un ordine inizi a delinearsi. Non più piante in ordine alfabetico (tra l'altro, in base al nome greco come in Fuchs o in Mattioli), raggruppate in base alle virtù terapeutiche o agli usi pratici, oppure disposte dall'alto in basso (dagli alberi, le essenze più nobili, fino alle erbe, le più effimere e insignificanti, come in Teofrasto). L'Obel e Pena procedono esattamente al contrario: si parte dalle forme più semplici, più comuni, cioè dalle graminacee, per giungere via via a forme più articolate e complesse. I gruppi non hanno nome (se non quello di una specie più nota e familiare, molto lontanamente paragonabile al "genere tipo" della tassonomia odierna) e manca anche un'esposizione teorica dei criteri seguiti; tuttavia, ciascun gruppo è corredato di tabelle o schemi ad albero che evidenziano visivamente i rapporti tra le diverse "stirpi". Accanto alle piante medicinali o utili all'uomo, acquistano diritto di cittadinanza anche le "erbacce". Attività editoriali e mediazione culturale E' oggetto di discussione quale sia stata il ruolo rispettivo dei due autori nella raccolta dei materiali e nella redazione di Stirpium adversaria nova: c'è chi giudica il contributo di Pena insignificante, chi al contrario vorrebbe attribuirgliene quasi l'intera paternità. Sta di fatto che poco dopo la pubblicazione, le strade dei due si divisero: Pena tornò in Francia, abbandonò del tutto la botanica e la scrittura (non risulta aver pubblicato nient'altro) per dedicarsi a una lucrosa attività di medico specializzato nella cura della sifilide. Il poco che sono riuscita a appurare sulla sua vita, assai mal nota, è esposto nella sezione biografie. All'opposto, Mathias de l'Obel, anch'egli rientrato in patria, divenne un botanico militante e un attivo pubblicista. Per qualche anno visse ad Anversa ed entrò a far parte della scuderia di Christophe Plantin. Scrisse un supplemento degli Adversaria, Stirpium Observationes, che nel 1576 fu pubblicato da Plantin, insieme a una riedizione dell'opera prima, in un'edizione assai curata accompagnata da quasi 1500 xilografie, sotto il titolo Plantarum seu stirpium historia (nel frontespizio compare solo il nome di l'Obel, mentre quello di Pena è conservato nel frontespizio della seconda parte, per la quale Plantin si accontentò di riutilizzare le copie rimaste invendute dell'edizione Purfoot, cambiando appunto solo il frontespizio). Nel 1581 seguì la versione in fiammingo, con il titolo Krydtboeck. Queste vicende mi sembrano confermare il ruolo secondario di Pena nella redazione di Stirpium adversaria nova: se davvero fosse stato un botanico così geniale e innovativo, come mai non si è più occupato di botanica? se avesse scritto gran parte di quell'opera, non avrebbe in qualche modo reagito al tentativo di l'Obel di appropriarsene? Che almeno il sistema tassonomico basato sull'osservazione delle foglie si debba a l'Obel, è confermato a mio parere da un'altra impresa editoriale plantiniana. Poiché le opere di botanica illustrate avevano un grande successo di mercato, sempre nel 1581 l'editore pensò di pubblicare in un solo volume più di 2000 xilografie ricavate dalle opere di Dodoens, Clusius e l'Obel; la redazione venne affidata a quest'ultimo che riorganizzò le illustrazioni disponendo le piante secondo la sua classificazione e corredò ciascuna tavola con un nome descrizione e un rimando alla pagina relativa di Plantarum seu stirpium historia; in una riedizione, fu aggiunto un indice in sette lingue che rese l'opera fruibile agli studenti di botanica dei principali paesi europei. Il volume, pubblicato con il titolo Icones stirpium, fu senza dubbio un grande successo editoriale, oltre che l'opera più nota di l'Obel, e non mancò di influenzare Linneo, che lo cita ripetutamente. Dopo essere stato per qualche anno medico di Guglielmo il taciturno a Delft, de l'Obel (forse alla fine degli anni '80) ritornò in Inghilterra dove entrò al servizio di lord Zouche come curatore del giardino di Hackney, nei pressi di Londra, allora il più importante del paese, che univa alle funzioni di orto botanico quello di giardino di piacere. Nominato più tardi giardiniere del re Giacomo I (un incarico del tutto onorifico), egli esercitò un essenziale ruolo di intermediazione tra la botanica continentale, più avanzata sul piano teorico, e la più empirica botanica inglese. Inizialmente amico del più noto botanico inglese di fine Cinquecento, John Gerard, nel 1596, scrisse la prefazione della sua prima opera, Catalogue of Plants. L'amicizia si ruppe quando, nel 1597, riscontrando il Great Herball dell'inglese, de l'Obel individuò non solo più di mille errori, ma ampi plagi delle sue stesse opere. Altre notizie sulla vita, purtroppo non ben conosciuta, di questo influente botanico nella sezione biografie. La sconosciuta Penaea e l'ubiquitaria Lobelia Se Pena, al contrario di l'Obel, è stato quasi dimenticato, almeno sul versante della nomenclatura botanica i due amici hanno avuto diritto a pari onori: non solo ad entrambi è stato dedicato un genere, ma l'uno e l'altro hanno avuto la ventura di tenere a battesimo un'intera famiglia. Non stupisce che l'omaggio sia partito in primo luogo da Plumier, egli stesso provenzale (è anche una delle nostre poche fonti sulla vita di Pena), che nel suo Nova plantarum americanarum genera ne battezzò due generiPenaea e Lobelia; nessuno dei due corrisponde però ai generi attuali (la Penaea di Plumier è una Polygala e la sua Lobelia venne rinominata Scaevola da Linneo). Infatti lo scienziato svedese in Species plantarum, 1753 riutilizzò le due denominazioni, attribuendole ad altre piante. Penaea dà il nome alla piccolissima famiglia delle Peneaceae, che comprende solo sette generi e una ventina di specie, limitate alle aree meridionali e sudorientali della provincia del Capo in Sud Africa. Sono arbustini caratteristici della tipica formazione vegetale del fynbos, affine alla nostra macchia mediterranea, con piante adattate a condizioni semiaride con piogge invernali. Il genere Penaea comprende quattro specie: P. mucronata, P. cneroum, P. acutifolia, P. dahlgreenii; sono piccoli arbusti con fusti quadrangolari e foglie coriacee, alternate o opposte, e infiorescenze terminali di piccoli fiori poco vistosi, con tubo fuso e quattro lobi più o meno appuntiti, gialli, rossastri o bianchi. Non avendo particolare pregio estetico, non sono stati finora introdotti in coltivazione. Tutto il contrario della notissima e diffusissima Lobelia erinus, la più coltivata delle Lobeliae, fin troppo sfruttata in giardini e fioriere. Il genere Lobelia, assegnato ora alla famiglia Campanulaceae, ora a una famiglia propria (Lobeliaceae) è presente in tutti i continenti, tranne l'Antartide; comprende più di 400 specie, che stupiscono per la grande varietà di forme e dimensioni (si va dalle erbacee annuali, alle perenni, incluse alcune palustri, agli arbusti). Al di là delle enormi differenze di aspetto generale, di portamento, di rusticità, tutte sono accomunate dalle foglie lanceolate e dai fiori tubolari bilabiati, spesso con fioriture spettacolari e prolungate dai colori vibranti, che le hanno rese popolari nei giardini. Le più note sono senza dubbio l'erbacea L. erinus, una perenne di origine sudafricana che noi coltiviamo come annuale nelle aiuole e sui balconi, oggi disponibile in tutte le gamme dell'azzurro e del viola, cui di recente si è aggiunto il rosso; le grandi perenni rustiche nordamericane, la rossa L. cardinalis e l'azzurra L. siphilitica, entrambe in passato utilizzate nella cura della sifilide. Ma accanto ad esse ci sono le sorprendenti Lobeliae arbustive del Sud America e dell'Asia orientale, come L. tupa; e le ancor più stupefacenti Lobeliae giganti dell'Africa e dell'arcipelago delle Hawaii. Qui, dove sono arrivate circa 13 milioni di anni fa forse dall'Asia, forse dall'America meridionale, grazie al clima favorevole e al fertile suolo, si sono rese protagoniste di un'eccezionale differenziazione genetica, grazie alla quale le Lobelioideae sono divenute il gruppo di angiosperme dominanti nelle isole, con sei generi (Lobelia e cinque generi endemici) e 125 specie endemiche. Uno di essi, Trematolobelia, rende a sua volta indirettamente omaggio al nostro Lobelius. E' un piccolo genere di otto specie dalle fioriture spettacolari, con grandi racemi di fiori tubolari dai lobi ricurvi, arricciati, posti come i bracci di un candelabro. Qualche informazione in più su Penaea, Lobelia e Trematolobelia nelle rispettive schede. Il 19 ottobre 1593 giunge a Leida un viaggiatore partito da Francoforte. E' lì per creare l'orto botanico di quella recentissima Università (fondata appena 18 anni prima). Con lui viaggiano molte piante rare, tra cui una collezione di preziosi bulbi. Quel viaggiatore è Carolus Clusius, uno dei botanici più importanti del Rinascimento. E da quei bulbi nascerà, letteralmente, l'industria olandese dei tulipani. Clusius chierico vagante della botanica Già anziano, almeno secondo gli standard dell'epoca, quando si trasferì in Olanda Clusius aveva alle spalle una vita alquanto movimentata. Fiammingo francofono, in gioventù aveva abbracciato il protestantesimo e, dopo aver abbandonato gli studi giuridici su consiglio di Melantone, era andato a studiare medicina prima a Montpellier, poi a Parigi. A segnarlo furono soprattutto i tre anni (1551-1554) trascorsi a Montpellier, dove divenne segretario di Rondelet, che aiutò nella redazione dell'Histoire naturelle des poissons. Clusius partecipò a entusiasmanti esplorazioni botaniche in Linguadoca e in Provenza, apprese le tecniche per tenere un erbario, affinò le sue capacità di osservare, distinguere e descrivere le particolarità di ciascuna specie. Non conseguì la laurea e non divenne medico: fu un naturalista, che studiava piante (e animali) non per le loro proprietà medicinali, ma di per se stesse. Nel decennio successivo visse prevalentemente nelle Fiandre; grazie all'esperienza editoriale acquisita come collaboratore di Rondelet e alla grande predisposizione per le lingue - giunse a padroneggiarne otto o nove - incominciò a collaborare con lo stampatore Christophe Plantin; il suo primo lavoro fu una traduzione dell'erbario (Cruydeboeck) di Rembert Dodoens dal fiammingo in francese (Histoire des plantes, 1557). Nel 1564-1565, come precettore di Jacobus Fugger, figlio del celebre finanziere Anton, visitò la Spagna e il Portogallo, ne esplorò la flora e strinse duraturi contatti con eminenti studiosi iberici. Visitando Lisbona e Siviglia, le porte d'ingresso delle piante provenienti dalle colonie, Clusius incontrò l'oggetto privilegiato dei suoi studi: la flora esotica. Frutto di quel viaggio furono tre traduzioni dei lavori di Garcia de Orta, Nicolas Monardes e Cristobal de Acosta sulle piante medicinali e aromatiche americane e asiatiche; e la sua prima opera originale, Rariorum aliquot stirpium per Hispanias observatarum ("Su alcune piante rare osservate in Spagna", 1476), in cui descrisse circa 200 nuove specie, sia iberiche sia esotiche. L'opera, oltre che per essere la prima dedicata alla flora spagnola, si segnala per la precisione e la completezza delle descrizioni (che guadagnarono all'autore l'appellativo di "principe dei descrittori") e l'accuratezza delle illustrazioni xilografiche. Tulipani, amore a prima vista In appendice a quell'opera compare anche la descrizione di una pianta che non ha nulla a che fare con la flora iberica: un tulipano. L'incontro fatale avvenne a Malines (o Mechelen), la città fiamminga dove Clusius visse più o meno stabilmente tra il 1567 e il 1573. Nel 1562 un mercante di Anversa, di cui non ci è stato tramandato il nome, insieme a un carico di tessuti ricevette da un fornitore turco un dono inatteso; un pacco di bulbi. Pensando fossero un tipo di cipolle, ne mangiò una parte, e piantò il resto nell'orto (o, secondo una versione più romantica, li buttò nella compostiera). La primavera successiva produssero insoliti fiori gialli e rossi; il mercante li mostrò a Joris Rye, un mercante di Malines, che possedeva un giardino pieno di piante rare e corrispondeva con molti botanici. Neppure Rye li conosceva, ma, con il permesso dell'amico, trapiantò i bulbi nel suo giardino e ne scrisse ai suoi corrispondenti, tra cui anche il nostro Clusius. Il quale, a meno che ne avesse già visti in Spagna - cosa non documentata, ma non impossibile - deve aver visto in fioritura quella che sarebbe diventata la "sua" pianta nella primavera del 1567, nel giardino di Rye a Malines. Fu amore a prima vista: incominciò a ricercarne i bulbi e i semi, a coltivarli, a moltiplicarli, a studiarli. Nel maggio 1573, una nuova svolta: la fama che Clusius si era acquistato con le sue pubblicazioni e con la torrenziale corrispondenza con i botanici e i botanofili di mezza Europa (nel corso della sua vita, creò un'immensa rete di corrispondenti, circa 300 persone, cui si calcola abbia scritto non meno di 4000 lettere; ce ne sono rimaste circa 1300) convinse l'imperatore Massimiliano II a chiamarlo a Vienna per creare un orto botanico sul modello di quelli italiani. Dopo una vita di gavetta, in cui a malincuore aveva dovuto barcamenarsi tra lavori editoriali, impieghi occasionali e il soccorso degli amici, era anche una promozione sociale, con una posizione a corte e un generoso compenso di 500 fiorini all'anno. All'epoca Vienna era il crocevia tra l'Europa e l'Impero ottomano, un nemico minaccioso ma anche un partner commerciale con il quale la corte imperiale intratteneva costanti rapporti diplomatici; i turchi erano celebri per i loro giardini (e i tulipani erano i fiori che apprezzavano più di ogni altro). Uno dei principali fornitori di Clusius divenne l'ambasciatore imperiale a Istanbul, da cui ricevette regolari invii di piante e di bulbi. Inoltre il botanico si legò di amicizia con Ogier Ghislain de Busbecq, il quale, prima di lasciare Vienna, gli donò la sua collezione di piante rare, tra cui una grande quantità di semi e bulbi di tulipano. Da Vienna a Leida Ma le vicissitudini del nostro botanico viaggiatore non erano finite. Nel 1576 l'imperatore Massimiliano II morì all'improvviso; il suo successore, il fervente cattolico Rodolfo II, fece trasformare il giardino di Clusius in un maneggio, trasferì la corte a Praga e incominciò ad allontanare i protestanti da ogni incarico. Nonostante ciò, Clusius si trattenne a Vienna per un decennio, realizzando molte spedizioni botaniche nella Bassa Austria, nelle Alpi austriache, nel Burgerland e in Pannonia, grazie al sostegno del principe ungherese Boldizsàr Batthyàni. Il frutto di queste spedizioni furono due libri: Rariorum aliquot stirpium per Pannoniam, Austriam, & vicinas quasdam provincias observatarum historia (1583) e Stirpium Nomenclator Pannonicum (1584), di nuovo opere pionieristiche che descrivevano per la prima volta la flora austriaca e ungherese. Nel 1588, preoccupato per il clima di ostilità contro i protestanti e amareggiato dai ripetuti furti di piante rare dal suo giardino privato (commissionati da nobili personaggi, contro i quali Clusius era del tutto impotente), si trasferì a Francoforte, dove poteva godere della protezione di un nuovo mecenate, Guglielmo IV di Assia. Naturalmente, portò con sé le amate piante, e gli amatissimi bulbi. I quali, ovviamente, viaggiarono con lui fino a Leida, quando nel 1593, a sessantasei anni, Clusius si trasferì ancora una volta, pronto a iniziare una nuova vita. Nel giro di pochi anni, anche grazie alla collaborazione di Dirk Cluyt, giardiniere e farmacista, la competenza di Clusius e la sua estesa rete di corrispondenti permisero di creare un giardino piccolo (un rettangolo di 35 per 40 metri), ma ricco di più di 1000 specie; non era solo un orto dei semplici, ma anche un giardino di acclimatazione delle piante esotiche. Dopo la penisola iberica, le Fiandre e la corte viennese, ancora una volta Clusius si trovava nel posto giusto per alimentare la sua passione di studioso, collezionista e coltivatore di queste piante: oltre alle centinaia di corrispondenti sparsi per l'Europa, a fornire nuovi esemplari per le aiuole dell'Hortus erano ora anche i capitani delle navi della VOC (la Compagnia Olandese delle Indie Orientali). E ogni primavera, le magnifiche fioriture di tulipani (Clusius giunse a coltivarne, descriverne e catalogarne 34 varietà) attiravano folle di visitatori; molti gli chiedevano bulbi dei più belli, dei più strani (quelli con screziature o fiamme). Ma per il vecchio botanico erano oggetti di studio e, per cavarsi d'impiccio, chiedeva in cambio somme astronomiche; non si trattava di avarizia: si era sempre dimostrato generoso delle sue piante con corrispondenti e amici (secondo alcuni calcoli, avrebbe inviato loro non meno di un migliaio di bulbi di tulipani, contribuendo più di ogni altro a diffonderli in Europa). Con le sue ricerche, cercava tra l'altro la soluzione a un mistero: perché un bulbo che un anno aveva petali monocromi, l'anno successivo presentava fiamme o rotture in un altro colore? Egli fu il primo a capire che dietro a quelle "rotture" che tanto appassionavano i collezionisti c'era qualcosa che non andava; notò che i bulbi delle piante affette dal "mal della striscia" erano più piccoli e decisamente più deboli di quelli sani. Solo intorno al 1930 si sarebbe dimostrato che si tratta effettivamente di una malattia, provocata dal cosiddetto virus del mosaico del tulipano. Esattamente come era successo a Vienna, per aggirare la riluttanza di Clusius a separarsi dai suoi bulbi, gli appassionati si rivolsero ai ladri. Due volte nell'estate del 1596 e di nuovo nella primavera del 1598, essi penetrarono nel suo giardino privato e portarono via ingenti quantità di bulbi (almeno cento nel corso di una sola incursione). Amareggiato, Clusius decise di rinunciare a coltivarli e di distribuire quanto rimaneva tra i suoi amici. Inoltre si facevano sentire l'età e le numerose infermità, che negli ultimi anni della sua vita lo costrinsero a una quasi totale immobilità. Rimaneva vivace e attiva la sua mente, che gli permise di aggiungere due capolavori alla sua opera: Rariorum plantarum historia (1601) e Exoticorum libri decem (1605), ancora una volta dedicate alle piante esotiche e rare che aveva ricercato, coltivato e studiato per tutta la vita, di cui si troverà una sintesi nella sezione biografie. Intanto, per serendipity, i furti ebbero un risultato positivo: i preziosi bulbi sottratti a Clusius si diffusero in tutto il paese e, incrociandosi con varietà meno pregiate, divennero i progenitori delle varietà e degli ibridi che hanno fatto dell'Olanda il paese dei tulipani. Clusia, un abbraccio soffocante Diverse piante rendono omaggio a questo grandissimo botanico. In primo luogo, com'è giusto, Tulipa clusiana, una bella specie di tulipano che egli per primo descrisse e contribuì a diffondere. Ma anche Primula clusiana e Gentiana clusii che ci ricordano che Clusius fu un pioniere dell'esplorazione botanica delle Alpi e fu tra i primi a coltivare piante alpine nel giardino di Vienna. E naturalmente, il genere Clusia, che gli fu inizialmente dedicato da Charles Plumier, per essere poi confermato da Linneo. Questo genere, che dà il nome alla famiglia Clusiaceae (nota anche come Guttifereae) sarebbe sicuramente piaciuto al destinatario per la sua singolarità. In primo luogo è caratterizzato da una grande varietà di forme e di habitat: neotropicale, ovvero presente solamente nella fascia calda dell'America centrale e meridionale, comprende alberi, arbusti e liane, che possono vivere in pianura come in montagna, nelle aree costiere sabbiose o rocciose, nelle savane, nelle foreste a galleria. Alcune sono semiepifite: iniziano la loro vita come epifite, germogliando su alberi o su altre epifite a molti metri dal suolo, quindi sviluppano lunghe radici che giungono fino a terra; a questo punto si trasformano in grandi arbusti che possono anche strangolare e uccidere l'albero ospite. Alcune Clusiae sono tra i pochi alberi ad aver sviluppato una fotosintesi CAM (metabolismo acido delle crassulacee), di solito presente in specie succulente erbacee: tipiche di zone molto aride, di giorno chiudono gli stomi delle foglie per evitare un'eccessiva traspirazione; di notte, li aprono per permettere la fissazione del carbonio. Sebbene si tratti in genere di specie di grandi dimensioni, alcune Clusiae sono coltivate anche nelle nostre case come piante d'appartamento. La più comune è C. major (più nota come C. rosea), che in vaso si presenta come un attraente alberello con foglie ovoidali lucide e coriacee e i vistosi fiori semidoppi che possono ricordare quelli delle camelie. Altre informazioni sulle straordinarie caratteristiche ecologiche di questo genere nella scheda. C'e anche Clusiella Nel 1860 Planchon e Triana pubblicano un'epifita da poco scoperta nelle foreste d'altura di Grenada; le foglie e l'aspetto generale assomigliano al mirto o a certe Apocynaceae, ma diverse caratteristiche dei fiori femminili (né i fiori maschili né i frutti erano noti) spingono i due botanici a collocarla tra le Clusiaceae, e a denominarla Clusiella elegans: assomiglia infatti a una Clusia in miniatura. Nacque così un secondo genere dedicato a Clusio. Per circa un secolo C. elegans rimase l'unica specie del genere, finché intorno al 1950 vi furono incluse una specie prima assegnata a Astrotheca, quindi a Clusia, e cinque nuove specie. Al momento Clusiella è un genere di 8 specie, e non appartiene più alle Clusiaceae, ma alle Calophyllaceae (precedentemente tribù Calophylleae delle Clusiaceae). Sono perenni semi epifite che vivono nelle foreste tropicali di montagna dell'America centrale e del Sud America settentrionale, dal Costa Rica al Brasile settentrionale. Poiché vivono sulla sommità degli alberi, sono difficili da raccogliere e da studiare. Sono arbusti rampicanti o ricadenti, dioci, che secernono un lattice di colore chiaro. Specie nella pagina inferiore, le foglie presentano pori resiniferi e anche i fiori, con cinque piccoli sepali imbricati e cinque petali convessi di dimensioni maggiori, producono resine. C. elegans è abbastanza diffusa nella Cordigliera occidentale della Columbia; con tralci lunghi fino a due metri, si arrampica sulle chiome di alberi o si mescola ad altri arbusti, talvolta con portamento ricadente. Ha delicati fiori bianchi, talvolta delicatamente soffusi di rosa. Qualche approfondimento nella scheda. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
Categorie
All
|