C'è stato un parco a Kew prima di Banks. A crearlo il politico più odiato e calunniato della storia britannica: accusato di ogni turpitudine, bruciato in effigie in piazza. Eppure proprio a lui si deve se l'Inghilterra è diventata la patria del giardinaggio. Ha imposto una moda, creato quattro giardini, scritto libri di giardinaggio, per amore delle piante è persino morto. E' John Stuart, lord Bute. Almeno la dedica di due generi, Stewartia e Butea, gli ha reso un po' di giustizia. Un incontro alle corse L'incontro che è all'origine dei futuri Kew Royal Botanical Gardens, l'orto botanico più famoso al mondo, si deve a un temporale e a una partita di carte. Nel 1747, John Stuart, terzo earl di Bute, un gentiluomo scozzese che si è da poco stabilito sulle rive del Tamigi, decide di assistere alle corse a Egham, dove si reca insieme al suo medico-farmacista con la carrozza di quest'ultimo. Caso vuole che quel giorno alle corse assistano anche i principi di Galles, Frederick e sua moglie, Augusta di Sassonia-Gotha; per la loro comodità, è stata eretta una tenda da campo. Quando il tempo volge al brutto, per intrattenere la coppia principesca si vorrebbe organizzare una partita di carte, ma manca il quarto giocatore: serve un gentiluomo di alto rango, degno di sedere di fronte a un principe reale. Qualcuno si ricorda di aver visto lord Bute sul campo da corsa; il suo rango è quello richiesto; lo convocano, lo presentano al principe, si gioca. Quando la compagnia si scioglie, lord Bute scopre di essere rimasto a piedi: il farmacista e la carrozza sono spariti; il principe Frederick, informato, invita cortesemente lord Bute a passare la notte nella sua residenza di Cliefden. Lord Bute non può che accettare; inizia così un'amicizia destinata a cambiare le sorti di Bute stesso, della Gran Bretagna, ma soprattutto, dal nostro punto di vista, del giardinaggio. Lord Bute era un grandissimo appassionato di botanica e di giardini; era più di un dilettante: tra il 1728 e il 1732, quando studiava diritto all'università di Leida nei Paesi Bassi, aveva seguito anche corsi di botanica; al suo ritorno in patria, aveva ristrutturato il parco del castello avito, Mount Stuart, nell'isola scozzese di Bute, secondo il nuovo gusto, appena agli inizi, del giardino paesaggistico ricco di arbusti da fiore, soprattutto importanti dalle colonie dell'America settentrionale. Uomo di bellissimo aspetto, ma poco socievole, di modi gravi e riservati, diventava eloquente quando il discorso cadeva sulle piante e sui giardini, tanto da contagiare Frederick e ancor più Augusta, con la quale condivideva il carattere timido e taciturno. Il principe Frederick era un personaggio dal carattere bizzarro (sua madre diceva di lui: "il mio primo figlio è il più grande asino, il peggior bugiardo, la più grande canaglia e la maggiore bestia del mondo"), uno scialacquatore di idee politiche radicali che dirigeva pubblicamente l'opposizione al padre, ma anche un grande protettore delle arti. Facile agli entusiasmi, dopo l'incontro con Bute decise di trasformare il giardino di una delle sue residenze nei pressi di Londra, la White House di Kew, in un parco paesaggistico secondo la nuova moda; ne ampliò l'area, contattò architetti e artisti, ordinò migliaia di piante a Collinson (che già aveva tra i suoi clienti lord Bute) e avviò lavori grandiosi, che avrebbero dovuto includere piante esotiche, un acquedotto, una riproduzione del Parnaso con tanto di tempio. Progetti che mai si realizzarono, perché interrotti dalla morte improvvisa del principe di Galles, nel 1751, a soli 44 anni. Una morte collegata al fanatismo per il giardinaggio: già sofferente per essere stato colpito violentemente da una palla da tennis (o da cricket), mentre dirigeva la messa a dimora di alcuni alberi fu sorpreso da una grandinata, si prese un'infreddatura che presto si trasformò nella pleurite che doveva essergli fatale. In ogni caso, i lavori per il parco di Kew avevano fatto in tempo ad alimentare lo spirito di competizione tra gli aristocratici britannici e gettato le basi della moda del parco all'inglese che presto sarebbe dilagata in Europa. Giardini e politica Si deve proprio a Bute se la vedova Augusta di Sassonia-Gotha (la coppia reale aveva fatto in tempo ai generare ben nove figli) decise di riprendere i progetti del marito, fissando a Kew la sua residenza di campagna. Bute, che nel frattempo era diventato il tutore del principe George (il futuro Giorgio III) divenne il suo principale consigliere in molti campi, ma soprattutto nella realizzazione del parco di Kew, di cui può essere considerato il primo direttore ufficioso. Abbandonati i progetti megalomani di Frederick, si occupò in primo luogo di migliorare un terreno di per sé poco fertile; i 110 acri della proprietà vennero disboscati e recintati, in modo che un gregge di pecore vi potesse pascolare fertilizzando il terreno che venne reso meno piatto e più mosso con colline artificiali. Per sovrintendere meglio i lavori e anche per seguire l'educazione del suo pupillo, nel 1754 Bute si trasferì in un cottage a Kew, da dove poteva raggiungere il parco liberamente passando per una porta segreta. Il parco, benché non molto esteso, secondo lo stile del giardino paesaggistico comprendeva diversi edifici, affidati all'architetto William Chambers, tra cui una serra e una pagoda di dieci piani (ancora oggi uno dei simboli dei Royal Botanical Gardens). Bute volle mantenere ben distinte le collezioni botaniche, organizzate come un orto botanico con le piante sistemate secondo il sistema linneano e accuratamente etichettate, e il parco di piacere, con un arboretum dove crebbero la prima Aucuba japonica e il più vecchio Ginkgo biloba in terra britannica (piantato nel 1762, è ancora oggi la più venerabile pianta del giardino). A partire dal 1759 come giardiniere capo fu chiamato William Aiton (che vi lavorò fino alla morte e fu, in un certo senso, "ereditato" da Joseph Banks). Ma purtroppo, oltre che di giardini, Bute volle occuparsi anche di politica; era un terreno sul quale non aveva alcuna esperienza, se non gli slogan che aveva appreso dagli ambienti degli oppositori che frequentavano Leichester House, la residenza londinese del principe Frederick. Inculcò queste idee nel suo reale pupillo che quando salì al trono, nel 1760, a soli 23 anni, non sognava altro che liberarsi dei politici che allora governavano il paese che giudicava corrotti e inaffidabili guerrafondai. Divenuto il suo principale consigliere, in seguito a intricate vicende e scontri di potere, Bute fu nominato segretario di stato nel 1761 e primo ministro nel 1762 e in tale veste diresse la politica britannica negli anni finali della guerra dei sette anni, fino alla pace di Parigi. L'esperienza fu disastrosa; già da anni l'opinione pubblica era ostile al gentiluomo scozzese; la stampa scandalistica lo accusava apertamente di essere l'amante della principessa Augusta (ah, quella porticina segreta a Kew!) e i due vennero ripetutamente bruciati in effige nelle pubbliche piazze; ora veniva accusato di aver svenduto gli interessi britannici alla Francia, mostrandosi troppo tenero in occasione della pace di Parigi, e di dissanguare il paese con le tasse. Dopo poco più di un anno egli fu costretto alle dimissioni e allontanato dal favore del re: il sovrano, che fino allora lo aveva considerato il suo migliore amico e gli scriveva ogni giorno, interruppe ogni contatto. Non per questo cessò la campagna di stampa ostile a Bute, che per decenni fu dipinto come il malvagio Macbeth scozzese che stava dietro ogni atto di Giorgio III, raffigurato come una marionetta nelle sue mani. Le ragioni di tanto odio (che va al di là dell'innegabile incapacità politica di Bute)? Così si espresse un contemporaneo, il vescovo Warbarton: “Lord Bute è inadatto ad essere il primo ministro inglese: in primo luogo è scozzese; in secondo luogo è amico del re; in terzo luogo, è una persona onesta". Meno teneri gli storici di oggi: anche se ritengono unanimemente che le voci sulla liaison con la madre del re fossero calunnie infondate, hanno variamente sottolineato la sua incapacità politica: Bute non conosceva la reale situazione del paese, non sapeva parlare in pubblico, era bravissimo nello sparare a zero su chi deteneva il potere, ma incapace di dirigere la politica britannica quando il potere passò a lui. Perso il favore del re, lord Bute fu allontanato dalla politica ma anche da Kew (nel 1772, alla morte di Augusta, il parco passò a Giorgio III che lo affidò a Joseph Banks che lo avrebbe trasformato nella gloriosa istituzione che tutti conosciamo). Rimase la passione per il giardinaggio; dopo Mount Stuart e Kew, altri due tra i più bei giardini britannici ne ricevettero l'impronta. Nel 1763 acquistò Luton Hoo nel Bedfordshire, dove fece costruire un sontuoso palazzo da Robert Adam e affidò la ristrutturazione dell'enorme parco (1200 acri, quasi 5 km quadrati) a Capability Brown; vi creò anche un orto botanico e un grande erbario privato, per ampliare il quale entrò in corrispondenza con botanici di fama, come l'olandese Gronovius. Nel 1773, in cerca di un clima più adatto alla salute malferma, acquistò un terreno nei dintorni di Christchurch nell'Hampshire, di cui si era innamorato mentre erborizzava; nacque così il suo ultimo giardino, Highcliffe House, affacciato sul mare che guarda verso l'isola di Whrigt. Qui Bute visse dopo il suo ritiro definitivo dalla politica (fino al 1780 aveva mantenuto un seggio in parlamento) fino alla morte, avvenuta nel 1792, occupandosi con passione del giardino, delle collezioni di libri e di botanica. Frutto di questi ultimi anni fu un'opera divulgativa, Botanical Tables, uscita nel 1784, in nove volumi, con le illustrazioni di Johann Sebastian Müller, che si proponeva di fornire una chiave per identificare la flora britannica, basata in parte sul sistema linneano, in parte su un metodo proprio; scritta in inglese anziché in latino, si rivolgeva principalmente a un pubblico femminile (padre di 11 figli, Bute aveva fornito un'educazione scientifica non solo ai figli maschi, ma anche alle femmine); l'opera, dedicata alla regina Charlotte, moglie di Giorgio III, ebbe però scarsissima circolazione (ne vennero stampate solo 12 copie). Essa comprende circa 600 magnifiche tavole con illustrazioni dettagliate degli organi sessuali e dei frutti; oltre alle piante da fiore, alle erbe, agli alberi, sono rappresentati anche i muschi, i licheni, le alghe e i funghi. Proprio grazie alle tavole, ne risulta un'opera di grande pregio estetico e di innegabile valore didattico. Come quella del principe Frederick, anche la morte di lord Bute fu indirettamente causata dal suo amore per la botanica. Nel novembre del 1790 (all'epoca il gentiluomo aveva 79 anni), mentre tentava di raccogliere alcune piante che crescevano sulla scogliera, scivolò e cadde per un'altezza di 30 piedi (circa 10 metri); non si riprese mai del tutto dalle ferite e morì nel marzo del 1792. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Stewartia, petali di seta Le sventure politiche ebbero un riflesso anche sul seguito scientifico di Bute; in patria era piuttosto isolato, mentre aveva molti contatti tra i botanici europei. Più che uno studioso, veniva considerato un dilettante ("virtuoso"), con interessi troppo vasti (collezionava oggetti naturali di vario tipo, si interessò anche di minerali, fossili, astronomia) per non essere superficiali. Non divenne mai membro della Royal Society o di altre importanti istituzioni scientifiche (fu invece per breve tempo tra i consiglieri del British Museum). Tuttavia, prima della caduta, il suo ruolo nella diffusione delle nuove specie americane gli aveva guadagnato la dedica di un genere di arbusti di eccezionale bellezza, Stewartia. Il primo esemplare di quella che sarebbe stata battezzata Stewartia malacodendron giunse in Inghilterra nel 1742 grazie a John Clayton, che la inviò all'amico Mark Catesby, il quale la coltivò con successo nel suo giardino di Fulham. Sembra che attraverso Catesby la pianta sia giunta a lord Bute che l'avrebbe piantata a Mount Stuart e più tardi a Kew; in ogni caso un esemplare che cresceva nei suoi giardini fu disegnato dal celebre illustratore botanico Georg Ehret. Sulla base di questo disegno e di uno degli esemplari secchi inviati da Clayton a Gronovius, nel 1746 Linneo battezzò il nuovo genere Stewartia (raccogliendo una suggestione dello stesso Catesby, che però usava la grafia Stuartia). L'errore ortografico di Linneo si è perpetrato e oggi il nome ufficiale è Stewartia (sebbene in passato sia prevalsa l'altra grafia). Una grafia comunque accettata da Bute stesso, che fece orgogliosamente ritrarre la pianta in una delle sue Botanical tables. Stewartia è un genere di 8-20 specie, due nordamericane (S. ovata e S. malacodendron), le altre del sud est-asiatico. Bella tra le belle, appartiene alla famiglia della Camellia (Theaceae); comprende arbusti e alberi sempreverdi (poche specie sono decidue); alla bellezza dei grandi petali bianchi che sembrano di seta e contrastano con i numerosissimi stami, in alcune specie asiatiche si aggiunge l'attrattiva della corteccia, da arancione a giallo-bruno, dolce al tatto come velluto, che si sfoglia lasciando macchie color cannella o rosso-mattone, particolarmente decorativa nei mesi invernali nelle specie spoglianti. Forse la più coltivata e nota tra le cugine della Camellia (molte specie sono relativamente rustiche e riescono bene nei terreni freschi e acidi prediletti dalle altre Theaceae), nei nostri parchi è rappresentata soprattutto da due specie: l'americana S. malacodendron e la giapponese S. pseudocamellia. La prima è un grande arbusto con grandi fiori candidi dalla consistenza setacea (in inglese è chiamata non a caso Silk camellia) che contrastano mirabilmente con gli stami viola con antere blu. La seconda è un alberello, decorativo in tutte le stagioni dell'anno: in primavera grazie alle nuove foglie che, dapprima bronzee, si fanno via via verde profondo; in estate per i deliziosi fiori a coppa, bianchi con stami aranciati; in autunno per le foglie che, prima di cadere, si colorano di rosso fuoco; in inverno per i colori caldi della corteccia. Qualche notizia in più sulle altre specie nella scheda. Butea, fiamme nella foresta L'impopolarità di Bute presso l'opinione pubblica inglese si deve in gran parte al fatto che fosse scozzese (il primo a diventare primo ministro). Il suo stesso cognome lo faceva sospettare di essere in combutta con gli odiati pretendenti Stuart (in realtà, apparteneva a un altro ramo della famiglia ed era stato allevato dagli zii materni, i Campbell, famigerati in Scozia per la loro fedeltà agli Hannover). Benché fosse nativo della Scozia meridionale, nelle caricature veniva sempre raffigurato con berretto di tartan e kilt (costumi tipici degli higlanders, seguaci appunti del pretendente Carlo Stuart). Non stupisce quindi che sia stato un medico scozzese, William Roxburgh, studioso della flora del subcontinente indiano, a voler ulteriormente onorare il calunniato compatriota dedicandogli un nuovo genere che riuniva due Fabaceae indiane: la rampicante Butea superba e l'eretta Butea frondosa (in Plants of the Coromandel Coast, 1795). Dopo qualche vicissitudine tassonomica, il genere fu validato da Willdenow nel 1802. Butea è un piccolo genere di 2-4 specie di alberi e liane della foreste tropicali e subtropicali dell'India e del Sud Est asiatico. Butea monosperma (che è la stessa pianta denominata da Roxburgh B. frondosa) è uno albero deciduo che per la spettacolare fioritura è detto "fiamma della foresta". Noto in India con i nomi di pali, palasi, palash, ha importanti connotazioni culturali e rituali. Considerato una manifestazione del dio del fuoco, Agni, è utilizzato in diversi riti sacri, in particolare per accendere fuochi rituali. La sua bellezza dirompente, che spicca particolarmente quando nella stagione secca la maggior parte degli alberi della foresta ha perso le foglie, e gli alberi di pali sono nel pieno della fioritura, è stato celebrato da grandi poeti come simbolo stesso della primavera e dell'ardore poetico. Questo video dà almeno un'idea della spettacolare bellezza della sua fioritura. Butea superba è una liana nativa di Vietnam, Thailandia e India, particolarmente abbondante nelle foreste tailandesi dove, più che per la bellezza dei suoi fiori, è apprezzata per le (vere o supposte) virtù officinali delle sue radici. Gli si attribuiscono effetti ringiovanenti e afrodisiaci. Molti prodotti a base di estratti di B. superba sono disponibili anche in rete, anche se nessun studio scientifico conclusivo ne conferma l'efficacia. Come sempre, qualche approfondimento sul genere Butea nella scheda.
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Matematico, astronomo, fondatore del calcolo delle probabilità, Pierre Simon de Laplace fu sicuramente una delle figure dominanti della scienza di primo Ottocento, con innumerevoli contributi nei campi dell'analisi matematica e dei più svariati settori della fisica, compresi la descrizione della meccanica celeste e la formulazione dell'ipotesi sulla formazione del sistema solare. Resta da scoprire perché Humboldt e suoi collaboratori Bompland e Kunth gli abbiano dedicato il genere Laplacea. Un grande scienziato opportunista All'epoca napoleonica, Parigi era indubbiamente la capitale della scienza mondiale, con le sue grandi istituzioni pubbliche come il Jardin des Plantes, l'Ecole polytechnique e l'Accademia delle scienze. Non mancavano anche i circoli privati, come la Societé d'Arcueil che tra il 1806 e il 1822 si riuniva la domenica nel villaggio di Arcueil, a sud di Parigi, ora a casa di Laplace, ora a casa di Berthollet. In occasione delle riunioni, i membri della società leggevano le loro memorie scientifiche; nel parco della casa di Laplace (che egli aveva acquistato da Rewbell, uno dei cinque membri del direttorio) c'era anche una piccola costruzione allestita come laboratorio per gli esperimenti di fisica e di chimica. Tra i partecipanti regolari alle riunioni, accanto ai "padroni di casa" Laplace e Berthollet, ricorrono molti grandi personaggi della scienza dell'epoca, come Biot, Gay-Lussac, Arago, Malus; erano soprattutto matematici, fisici e chimici, ma almeno un nome ci riporta alle scienze naturali e alla botanica: quello del grande tassonomista Augustin Pyramus de Candolle. Tra i più assidui, anche il viaggiatore e naturalista tedesco Alexander von Humboldt, che dal 1804, di ritorno dal suo viaggio in Sud America, decise di stabilirsi in Francia, dove visse per circa un ventennio, stringendo legami di amicizia e di collaborazione scientifica con diversi degli scienziati citati. Più ambigui i suoi rapporti con Laplace. Ufficialmente, tra i due ci fu sempre ammirazione reciproca: nel 1814, nel pubblicare il primo volume del suo monumentale Voyage aux régions equinoxiales du Nouveau Continent, insieme all'amico e compagno di viaggio Bonpland il tedesco dedicò l'opera al matematico francese: "All'illustre autore della Meccanica celeste, P. S. de Laplace, come debole omaggio di ammirazione e riconoscenza". Nel 1821, Laplace ricambiò il favore, dedicando a Humboldt la quinta parte dell'Exposition du système du monde pubblicata come libro indipendente sotto il titolo Précis de l’histoire de l’astronomie: "Al sig. Humboldt, come debole omaggio di stima e riconoscenza per i suoi importanti lavori nei diversi rami della filosofia naturale, e specialmente per il suo Viaggio nelle parti equinoziali del nuovo continente". Inoltre, Laplace aveva favorito l'ammissione di Humboldt all'Accademia delle scienze di Parigi, mentre il tedesco l'aveva ricambiato dandosi da fare perché egli fosse ammesso all'Accademia leopoldina di Berlino. Inoltre, quando nel 1821 per impulso di Humboldt nacque la Societé Geographique, che vide tra i soci fondatori oltre a molti degli scienziati già citati, illustri naturalisti come Cuvier, Lamarck, Antoine-Laurent de Jussieu, l'egittologo Champollion, lo scrittore Chateaubriand, Laplace venne scelto come presidente, a dimostrazione del suo prestigio negli ambienti scientifici d'oltralpe. Del resto, Humboldt riconobbe il suo debito scientifico con il grande matematico, citandolo ripetutamente nelle sue opere. Durante il suo viaggio in Sud America, e in particolare in occasione della celebre ascensione del Chimborazo, si avvalse della formula barometrica di Laplace per stabilire l'altitudine; fu molto influenzato dai suoi metodi statistici; soprattutto i due avevano in comune una visione scientifica che rifiutava ogni finalismo e cercava di scoprire le leggi dei processi naturali all'interno della natura stessa. Quanto all'uomo Laplace, le opinioni di Humboldt erano più sfumate: nel 1827, alla sua morte, egli scrisse infatti a Gauss: "Con lui scompare una grande - non devo dire l'ultima - gloria matematica della Francia perché riuniva al talento matematico (che forse aveva in comune con Poisson, Fourier e Cauchy) una conoscenza estremamente estesa e una cultura linguistica molto più nobile del suo carattere". In effetti, Laplace fu un grandissimo matematico e fisico, ma un uomo meschino. Con cinico opportunismo, questo grande camaleonte riuscì a rimanere a galla sotto tutti i regimi, proseguendo senza ostacoli una brillante carriera di scienziato e uomo dell'establishment, membro di innumerevoli commissioni: repubblicano ai tempi della rivoluzione, dopo il colpo di stato si schierò con Napoleone, tanto che nel 1799 il primo console lo nominò ministro degli interni (ma lo congedò dopo sei settimane; purtroppo Laplace si era rivelato pessimo amministratore e provetto "complicatore di questioni semplici"); divenne poi senatore, vicepresidente del Senato, membro della Legione d'onore e conte dell'Impero e dedicò all'imperatore il terzo volume della Meccanica celeste. Tuttavia nel 1814, vedendo il crollo di Bonaparte, si affrettò a votare la cessazione dell'Impero e offrì i suoi servigi a Luigi XVIII, che lo compensò nominandolo marchese. All'epoca di Carlo X si alienò definitivamente la stima dei democratici votando le leggi che inasprivano la censura. Sul piano personale, era caratterizzato da un'altissima opinione di sé ed è stato accusato di essersi appropriato del lavoro di altri studiosi, senza citarli. Forse tutte queste ragioni spiegano perché, al contrario di altri scienziati, come Lagrange, non sia stato sepolto al Panthéon di Parigi. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Laplacea, forse che sì, forse che no Se anche aveva riserve sulla persona (questo voltagabbana non poteva piacere a un uomo come Humboldt che, benché fosse un barone prussiano, era affascinato dagli ideali della rivoluzione, cui rimase fedele anche durante l'impero di Napoleone, che lo detestava cordialmente e lo sottopose alla sorveglianza della polizia politica, temendo fosse una spia), oltre che nei modi che abbiamo già visto, lo studioso tedesco volle rendere omaggio al Laplace scienziato anche con la deduca di uno dei numerosissimi nuovi generi da lui scoperti durante il viaggio in Sud America. Al loro ritorno, infatti, Humboldt e Bonpland portavano con sé un enorme bottino di piante, di cui almeno 3600 specie o generi del tutto nuovi alla scienza. Con l'aiuto del tedesco Karl Sigismund Kunth tra il 1816 e 1826 esse vennero pubblicate nel monumentale Nova genera et specie plantarum. Una di esse, una Theacea raccolta sulle montagne colombiane, venne battezzata Laplacea speciosa. Tralasciando le ancor più complicate vicende di sinonimi concorrenti usciti presto dall'uso, la storia del nuovo genere appare tormentata. Per qualche tempo Laplacea fu mantenuto distinto dall'altro genere americano, Gordonia (rappresentato dalla nordamericana G. lasianthus), ma, mano a mano che si scoprivano nuove specie in Sud e Centro America, molti studiosi si convinsero che la distinzione fosse superflua; così Laplacea confluì in Gordonia, e persino la specie tipo, L. speciosa Kunth venne ribattezzata Gordonia fruticosa. Pochi anni fa (2001), il genere Laplacea è stato però resuscitato sulla base di studi filogenetici che ne hanno dimostrato l'affinità più con le Camelliae (entrambe apparterrebbero alla tribù Theeae) che con le Gordoniae (appartenenti alla tribù Gordonieae). Conclusioni accettate solo da alcuni studiosi; molto discusso è anche il numero delle specie che gli devono essere assegnate. Indiscutibile è invece la bellezza di questi alberi tropicali, comunque li si classifichi. La specie tipo, Laplacea fruticosa, è un magnifico albero colonnare della foresta pluviale e amazzonica, semideciduo, alto una trentina di metri, con spettacolari fiori bianchi profumati con numerosi stami gialli, di aspetto molto simile a quelli delle Camelliae, grandi foglie ovali con margine seghettato che prima di cadere diventano rosse, formando un bel contrasto con le foglie nuove, di un brillante verde profondo. Qualche notizia in più nella scheda. Tipografo, giornalista e poligrafo, scienziato e inventore, uomo politico e padre della patria: Benjamin Franklin non ha certo bisogno di presentazioni. Meno note sono le sue relazioni con la botanica. La storia della pianta che lo celebra è un apologo sul male (molto) e sul bene (poco) che gli uomini possono arrecare alla natura. Ben Franklin padre della patra... e dell'orticoltura Un tratto comune di molti dei padri fondatori degli Stati Uniti fu la passione per piante e giardini; quanto a Benjamin Franklin, vero uomo di città, sul piano personale non si poteva dire un vero appassionato, ma fu profondamente consapevole dell'importanza economica dell'agricoltura per lo sviluppo delle colonie americane e la sua vita si intrecciò in molti modi con la botanica, l'orticultura e il giardinaggio. Oltre a pubblicare, come editore, molti libri di agricoltura e botanica, occupò un ruolo non secondario nella rete di naturalisti, mercanti, botanici e appassionati che nella seconda metà del Settecento mutò il volto dei giardini e dei parchi inglesi con l'introduzione di centinaia di nuove specie nordamericane. Fu proprio lui a metterne in contatto i principali attori, Collinson e Bartram. Tutto iniziò nel 1731, quando Franklin, di fronte alla difficoltà di procurarsi libri europei a costi accessibili, ebbe l'idea di creare a Filadelfia un club di lettura, la Library Company, primo nucleo delle future biblioteche circolanti. In tal modo conobbe il mercante-naturalista inglese Peter Collinson; entusiasta di ogni iniziativa che aiutasse a diffondere il sapere, infatti, quest'ultimo si offrì di assumere l'incarico di agente della Library a Londra, con la quale collaborò (scegliendo, acquistando e inviando libri) per oltre un trentennio. In questo modo, l'inglese divenne il patrono della nascente comunità scientifica di Filadelfia, introdusse Franklin negli ambienti scientifici europei, ne fece conoscere le ricerche sull'elettricità e ne proposte la candidatura alla Royal Society. Mentre Collinson a Londra assicurava contatti e libri, in America John Bartram, uno dei più stretti amici di Franklin, raccoglieva per lui semi, radici e piante che poi Collinson distribuiva ai suoi clienti (ma questa storia sarà raccontata in un altro post). Attento soprattutto ai risvolti economici della conoscenza della flora spontanea, Franklin incoraggiò Bartram a scrivere un libro sulla flora americana, con particolare riguardo alle piante medicinali e utilitarie. Per finanziarne le spedizioni botaniche, lanciò una pubblica sottoscrizione sul suo giornale (la Pennsylvania Gazette). Nel 1743, nel promuovere la creazione di una società scientifica ispirata alla Royal Society britannica, in Proposal for promotion useful knowledge among the British plantations in America sostenne l'importanza della diffusione delle nuove conoscenze per lo sviluppo agricolo delle tredici colonie. L'anno successivo lui e Bartram furono tra i soci fondatori della Philosophical Society, la prima e più importante società scientifica americana, e in tale veste nel 1748, quando Kalm giunse a Filadelfia, lo accolsero con entusiasmo, facendo anche da tramite con Linneo (attraverso il solito Collinson). Franklin di Kalm divenne amico e ne pubblicò il resoconto del viaggio alle cascate del Niagara. A partire dalla seconda metà degli anni '50, il crescente impegno politico portò ripetutamente Franklin in Europa; tra il 1757 e 1775 egli visse per lo più in Inghilterra, dove rivestiva il ruolo di ambasciatore ufficioso delle tredici colonie, specialmente della Pennsylvania. A Londra, oltre ad essere l'animatore del gruppo che si incontrava dapprima nella St. Paul Coffehouse, quindi nella London Coffehouse (il cosidetto Club of Honest Whigs), divenne membro corrispondente di numerose società scientifiche, diverse tra le quali si occupavano specificamente di agricoltura. Si interessò in particolare della diffusione nelle colone di nuove tecniche agrarie (ad esempio, l'uso del gesso come ammendante) e di colture da reddito e industriali. Convinto sostenitore delle potenzialità di un'industria della seta americana, studiò le caratteristiche del baco da seta e del gelso, che si ritiene sia stato introdotto negli Stati Uniti per sua iniziativa. Infatti, mentre le piante americane inviate da Bartram attraversavano l'oceano e andavano ad abbellire i giardini britannici, grazie a Franklin altre piante facevano il cammino inverso e contribuivano allo sviluppo economico delle colonie. Oltre al gelso, gli si attribuisce l'introduzione in America di cavolo scozzese, orzo svizzero, rabarbaro cinese, cavolo rapa. Ma contribuì anche all'agricoltura inglese, facendo giungere sul suolo britannico le mele americane Newtown pippin o la foraggera Phleum pratense (una poacea europea che intorno al 1720 era giunta in America grazie al coltivatore Timothy Hanson, e verso il 1760, con il nome di Timothy grass, incominciò ad essere coltivata anche in Inghilterra proprio grazie a Franklin). Inoltre, da Londra e più tardi da Parigi, spediva regolarmente semi di piante orticole e ornamentali alla moglie Debora a Filadelfia. Tra il 1775 e il 1781 egli fu ambasciatore del Congresso in Francia; al di là del suo importantissimo ruolo politico, divenne un personaggio universalmente noto e ammirato e poté frequentare da pari a pari gli ambienti scientifici parigini; grazie ai suoi contatti con gli animatori del Jardin des Plantes, poté così inviare semi, arbusti e alberi esotici sia in Inghilterra sia in patria. L'invio di semi, in particolare di varietà nuove, resistenti e potenzialmente produttive, divenne anche più importate con il boicottaggio dei prodotti inglesi: la battaglia per la libertà e l'indipendenza passava anche attraverso l'autonomia economica. Una sintesi della sua intensa e poliedrica vita nella sezione biografie. Nel 1785, al suo ritorno definitivo da Parigi, Franklin fece trasformare l'orto della sua casa di Filadelfia in un giardino: non c'erano aiuole di fiori (secondo lui, come ornamento erano già sufficienti e imbattibili quelli del vicino mercato) ma un prato circondato da alberi e da arbusti fioriferi, con sentieri in brecciolino. Il punto focale era un gelso, all'ombra del quale Franklin, durante i lavori della Convenzione costituzionale, amava sedere e discutere con i delegati. La casa e il giardino di Franklin non ci sono stati conservati, ma nel 1976, in occasione del bicentenario dell'indipendenza nel luogo in cui sorgevano sono state create due "strutture fantasma" in acciaio tubolare che suggeriscono le linee degli edifici scomparsi, al centro di un giardino che richiama gli elementi essenziali di quello originale: un gelso, il prato, aiuole rialzate con alberelli di sofora (Styphlobium japonicum) e fioriture stagionali. Breve vita felice di Franklinia alamataha Nell'ottobre 1765, mentre esplorava la valle del fiume Alatamaha nei pressi di Fort Barrington insieme al figlio William, John Bartram notò alcuni curiosi arbusti (data la stagione, senza fiori). Solo nel 1773, William, nel corso dell'ampia spedizione botanica nel sud del paese, finanziata dal dottor Fothergill, di ritorno nella valle dell'Alamataha, poté ammirarne la fioritura; così racconta l'incontro nei suoi Travels: "Mentre stavo disegnando vicino al forte fu assai deliziato dalla scoperta di due magnifici arbusti in piena fioritura. Uno di loro sembrava essere una specie di Gordonia, ma i fiori sono più grandi e meno profumati di quello di G. lasianthus." William raccolse alcuni semi e, al suo ritorno a Filadelfia nel 1777, li seminò con successo nel suo vivaio: gli alberi crebbero e arrivarono a fiorire nel giro di pochi anni. Egli battezzò la nuova pianta Gordonia pubescens; ma Solander, sulla base di un esemplare inviato a Fothergill, fece notare che si trattava di un genere sconosciuto. I Bartram chiamarono dunque la pianta Franklinia alatamaha in onore del grande Benjamin Franklin, carissimo amico di famiglia, e del maestoso fiume sulle cui rive viveva. Nel 1785 il nome fu ufficializzato da Humphrey Marshall, cugino di William, nel suo Arbustum Americanum: The American Grove. Franklinia è un genere monotipico della famiglia Theaceae. La sua unica specie, appunto F. alatamaha, un grande arbusto o alberello caducifolio con spettacolari fiori bianchi, è estinta allo stato naturale. Quando William la individuò, notò che cresceva esclusivamente in un'area pianeggiante di due o tre acri lungo il fiume Alatamaha; non c'erano notizie che crescesse altrove. Nel 1790 Moses Marshall, figlio di Humphrey, nel corso di una spedizione di raccolta, localizzò di nuovo la stazione dove viveva la Franklinia. Nel 1803, John Lyon, giardiniere e cacciatore di piante scozzese, ne trovò da sei a otto esemplari; è l'ultima segnalazione della presenza della pianta in natura; essa può essere considerata estinta allo stato selvatico non molto dopo quella data. Perché la Franklinia si è estinta? Alcuni non esitano ad additare un colpevole a due zampe: sarebbe stata proprio la raccolta dei semi e dei pochi esemplari da parte dei cacciatori di piante a decretarne la fine. Ma forse la situazione è più complessa: il fatto che in coltivazione abbia mostrato una buona rusticità, crescendo rigogliosa in climi più freschi e suoli più ricchi di humus, ha fatto pensare che la specie sia di origine più settentrionale e si sia spostata a sud durante le glaciazioni; ma mano a mano che il clima si faceva più caldo, essa si trovò a vivere in suoli poveri, argillosi, poco drenati (proprio l'opposto delle condizioni preferiti dalle Theaceae). La popolazione, un tempo ben più diffusa, così incominciò a declinare e quelli trovati dai Bertram erano i suoi ultimi rappresentanti. Un'altra ipotesi è che al suo declino abbia contribuito la coltivazione estensiva del cotone nell'area, con la conseguente diffusione di organismi patogeni radicali, ancora oggi un grave problema per gli esemplari coltivati. Se l'uomo ha forse dato l'ultima spinta alla sorte vacillante della Franklinia, ne ha se non altro garantito la sopravvivenza in coltivazione: tutti gli esemplari oggi esistenti al mondo (si calcola che sia coltivata in un migliaio di luoghi: parchi, giardini, arboreti, orti botanici) discendono dai semi piantati da William Bartram nel 1777. Non è neppure ipotizzabile una sua reintroduzione in natura; proprio perché tutte le piante esistenti sono strettamente imparentate, non assicurano la diversità genetica sufficiente per resistere a nuove malattie o per adattarsi ai cambiamenti climatici. Nella scheda qualche informazione in più sulla bellissima e fragile Franklinia alatamaha e suoi notevoli ibridi nati dall'incrocio con altre Theaceae. Nell'Inghilterra del Settecento, con la diffusione del giardino all'inglese ricco di essenze esotiche di grande impatto paesaggistico - primi fra tutti gli arbusti da fiore e gli alberi che si rivestono di spettacolari colori autunnali - il giardinaggio, da moda per ricchi aristocratici e eccentrici appassionati, incomincia a trasformarsi in una passione nazionale. In un momento di grande espansione economica, non manca chi, per procurarsi una pianta rara prima di tutti i suoi amici, è disponibile a sborsare somme notevoli. Nasce il vivaismo ornamentale. Così, un giardiniere di talento come James Gordon può mettersi in proprio e diventare ricco grazie alla riproduzione e alla vendita di piante esotiche; celebrato come il miglior giardiniere d'Inghilterra, desta l'ammirazione di botanici e collezionisti, diventa amico di Ellis, Collinson e Solander e corrispondente di Linneo. E conquista la dedica di una pianta "difficile" dalle spettacolari fioriture. Un vivaista di successo Il 30 giugno 1760, il pomeriggio stesso del suo arrivo a Londra, uno stupefatto Daniel Solander, accompagnato dal mercante svedese Abraham Spalding e da John Ellis (il più assiduo corrispondente di Linneo a Londra), visita il vivaio di Mile End, alla periferia orientale della città, creato dal giardiniere James Gordon. Nella sua lettera del giorno successivo a Linneo, descriverà le serre, gli impianti, le magnifiche fioriture. A entusiasmarlo sono i numerosissimi alberi e cespugli esotici, soprattutto americani: in quel momento sono in fioritura Calycanthus, magnolie, Rhododendron maximum, due tipi di Kalmia, Tetragonotheca. Solander è ammirato dai lettorini caldi che permettono di coltivare, nutrire e proteggere le piante più delicate all'aria aperta. Ma a stupirlo più di tutto è che il proprietario del vivaio si sia arricchito vendendo piante, e che gli inglesi siano disposti a pagare cifre incredibili per le piante più rare. James Gordon, che Solander descrive intento a identificare alcune piante insieme al proprio figlio, servendosi delle opere di Linneo, fu probabilmente il più importante vivaista britannico della seconda metà del Settecento. Scozzese (lo erano quasi tutti i giardinieri del tempo, con grande disappunto dei colleghi inglesi), era stato al servizio prima di James Sherard, il cui giardino di Eltham, ricco di piante rare, era considerato tra i più belli del paese, poi di Robert James lord Petre, il celeberrimo collezionista di piante. Come giardiniere capo di Thorndon, aveva aiutato Petre a creare una magnifica collezione di alberi e arbusti esotici, molti dei quali giunti dall'America grazie alla rete di Peter Collinson. Dopo la morte precoce di lord Petre (1742), queste esperienze avevano permesso a Gordon di aprire un proprio vivaio a Mile End. Grazie alla sua stupefacente abilità nel riprodurre le piante da talea e da seme, si creò un'immensa fama. La sua reputazione era tale che Fothergill, benché avesse al suo servizio quindici giardinieri, si rivolse a lui per far germogliare i semi di un raro corbezzolo greco; Collinson invece si appoggiava a lui per la riproduzione delle nuove piante che affluivano dall'America grazie a Bartram: ad esempio, gli affidò i semi dell'appena scoperta e battezzata Dionaea muscipula (anche se in questo caso, a quanto pare, senza molto successo). In una lettera a Linneo, lo stesso Ellis dichiara che Gordon aveva "più conoscenze sulle piante di tutti i giardinieri e gli scrittori di giardinaggio d'Inghilterra messi insieme", in ciò superiore anche a Miller del Chelsea Physic Garden (è vero che tra i due non correva buon sangue); solo la sua modestia gli aveva impedito di pubblicare qualcosa. Invita poi Linneo ad inviargli qualche pianta rara, certo di essere generosamente ricambiato da Gordon che è un suo ammiratore e un seguace del suo sistema. E in effetti negli anni successivi, probabilmente anche grazie all'intermediazione di Solander (il giovane svedese per qualche tempo abitò presso Gordon, in una casa annessa al vivaio), tra il grande scienziato e il vivaista scozzese ci sarà uno scambio di lettere e di piante rare. Giardiniere dall'abilità quasi magica, nel suo vivaio riuscì a far prosperare e a portare a maturità e a fioritura piante esotiche di tutto il mondo. Fu il primo a coltivare in Europa piante orientali come Ailanthus, Gingko, Styphnolobium japonicum, ovvero la sofora del Giappone, e molte specie di arbusti e alberi americani, come Ulmus americana, diversi tipi di magnolia e rododendri, procurati da Collinson. Rese popolare la Camellia japonica: dopo la morte di lord Petre, portò con sé talee delle prime camelie mai fiorite in Inghilterra e le riprodusse per anni nel proprio vivaio. Riuscì a moltiplicare per talea la Gardenia, mentre tutti i suoi colleghi avevano fallito. Stupiva l'amico Collinson per la insuperabile abilità con cui riusciva a riprodurre da seme arbusti difficili come kalmie, rododendri e azalee. Oltre che capace giardiniere, del resto era un abile uomo d'affari: nel 1759, le talee di Gardenia gli frutteranno mille sterline; l'anno prima, ne aveva guadagnate 500 vendendo 100 esemplari di Magnolia grandiflora, ottenuti a partire da quattro talee; dopo trent'anni, negli anni settanta, le piante di camelia gli fruttavano ancora quattro scellini l'una. Per propagandare le sue piante, intorno al 1770 fu anche tra i primi a stampare un catalogo. Grazie alle sue abili cure, molte piante prosperavano e fruttificavano, producendo grandi quantità di sementi. Gordon decise quindi di diversificare l'attività, aprendo un negozio di semi a Fenchurch Street. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. In un'epoca in cui la passione per le piante esotiche dilagava in Inghilterra, Gordon fu tra i primi a coglierne la portata economica, trasformandola da aristocratica moda per pochi in una vera e propria produzione industriale, in ciò aprendo la strada ai grandi vivaisti dell'Ottocento, come i Veitch. Gordonia, una colonna di fiori d'argento Per una volta, è molto facile individuare il legame tra Gordon e il genere che lo celebra, Gordonia. La sola specie nota all'epoca era un endemismo dei boschi umidi americani che Linneo, nel 1753, in Species plantarum, aveva battezzato Hypericum lasianthus. Nel 1771 John Ellis, riconoscendo che non aveva nulla a che fare con gli iperici (in effetti, si tratta di una Theacea, la famiglia della Camellia), la spostò nel nuovo genere Gordonia. Il motivo della dedica è semplice: nel 1763, dopo un ventennio di tentativi, Gordon era stato il primo a coltivare con successo la pianta partendo dai semi. Gordonia è un genere di alberi sempreverdi a colonna con grandi e vistosi fiori bianchi, il cui status tassonomico è assai discusso. Fino a qualche anno fa gli veniva assegnata una quarantina di specie, tutte native del sudest asiatico, a parte G. lasianthus, nordamericana, e almeno un'altra specie. Una recente revisione, basata su indagini filogenetiche, propone tuttavia di riservare la denominazione Gordonia alle specie americane, trasferendo le specie asiatiche in Polyspora o Laplacea (cui sono attribuite anche alcune delle specie del Nuovo mondo). Una situazione complicata; è molto semplice invece innamorarsi della specie tipo, G. lasianthus , quella che Gordon riuscì con tenacia a riprodurre. E' un albero di grande bellezza, purtroppo noto per la sua difficoltà di coltivazione: nativo di zone umide (come ricorda il nome comune americano, loblolly bay, ovvero "alloro delle paludi"), con suolo acido, amante degli inverni miti e delle estati fresche con alto tasso di umidità, difficilmente si adatta ad altre condizioni. Il suo splendore in piena fioritura è decritto in una pagina dei Travels di William Bartram, che erborizzando in Florida, nei pressi di Lake George si imbatté in una pineta mista con G. lasianthus e magnolie: "L'alta, svettante, Gordonia lasianthus, che ora mi stava davanti in tutto il suo splendore, è degna di ammirazione da ogni punto di vista. Il suo denso fogliame, di colore verde scuro, è punteggiato di grandi fiori bianco latte profumati, portati su steli lunghi, snelli ed elastici all'estremità dei suoi numerosi rami; ogni mattina la fioritura si rinnova e in questa incredibile profusione l'albero pare d'argento, mentre il suolo è un tappeto di fiori caduti". Le foglie, che si rinnovano nel corso dell'anno, aggiungono un tocco di rosso allo splendore cromatico di questa bella schizzinosa. Qualche approfondimento nella scheda. Nelle sue vesti di pianta alimentare, ha innescato una rivoluzione, ha provocato guerre e mutato la geografia economica di intere regioni; in quelle di pianta ornamentale, per bellezza, fascino, gruppi di appassionati, è seconda solo alle rose. Ha ispirato riti sociali, poesie e opere d'arte. Per prepararlo, servirlo e consumarlo, sono nati locali specializzati, stoviglie, ricette e rituali. Non è una pianta, ma una costruzione culturale. Come stupirsi se alimenta miti e leggende? Stiamo parlando del tè e delle camelie, e ovviamente del genere Camellia. E' ora di scoprire perché si chiama così e quale è il suo rapporto con il dedicatario, Georg Joseph Kamel. Alla scoperta della flora delle Filippine Parlando di leggende, la prima da sfatare è che sia stato proprio lui, Georg Joseph Kamel, missionario gesuita del secondo Seicento, a introdurre le camelie ornamentali in Europa. Kamel era un fratello laico della Compagnia di Gesù di origini morave, che nel 1689, dopo un breve periodo nelle isole Marianne, venne inviato a Manila come farmacista della locale missione dei gesuiti. Oltre che con il nome tedesco, è noto anche con quello spagnolo Jorge Camelli e soprattutto con quello latino Georgius Josephus Camellius. A Manila egli creò la prima farmacia delle Filippine e, accanto ad essa, un piccolo giardino di piante medicinali e rare; inizialmente, con il titolo di infirmarius, si occupò della salute dei propri confratelli, quindi, mano a mano che la sua fama come esperto erborista cresceva, fu nominato apothecarius (1695) e botanicus (1699). Grazie a lui il collegio dei gesuiti di Manila si costruì una grande reputazione in campo medico e molte persone influenti incominciarono a ricorrere alle sue cure o a consultarlo per correggere gli errori dei medici e dei farmacisti locali. Assisteva invece gratuitamente i poveri. Fin dal suo arrivo nelle Filippine, Kamel constatò la scarsa utilità, nell'ignoto ambiente dell'arcipelago, delle nozioni farmaceutiche occidentali: i semplici usati in Europa non erano reperibili e quelli locali erano ignoti agli europei. Ciò lo spinse ad esplorare l'ambiente naturale per trovare risorse alternative e ad attingere alle conoscenze e alla pratiche della medicina tradizionale filippina, grazie alla perfetta conoscenza della lingua tagalog. Incominciò a raccogliere sistematicamente piante (ma anche minerali e animali), a descriverne le radici, le foglie, i fiori e i frutti (secondo il modello degli Herbaria europei). Tra le specie da lui descritte per la prima volta, Strichnos ignatii, la pianta da cui si ricava la stricnina, di cui scoprì le virtù medicinali e che volle dedicare al fondatore del suo ordine, Ignazio di Loyola. La fama del dotto botanico-erborista boemo ben presto travalicò i confini delle Filippine e gli permise di entrare in contatto con studiosi europei. A fare da tramite furono due medici e botanici che vivevano in Asia: Willem Ten Rhijne, medico al servizio della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, che operava a Batavia (autore di un trattatello sulla pianta del tè e collaboratore di Hortus Malabaricus), lo mise in contatto con altri botanici olandesi, gli procurò libri e scambiò con lui le sue conoscenze e le sue esperienze; Samuel Brown, medico al servizio della Compagnia inglese delle Indie Orientali, che lavorava a Madras, ne conobbe la fama grazie ai mercanti che operavano nell'Asia orientale, divenne suo assiduo corrispondente e lo mise in contatto con il farmacista e collezionista inglese James Petiver. Tramite quest'ultimo, Kamel poté iniziare una collaborazione con il maggiore botanico inglese del tempo, John Ray. Desideroso di far conoscere in Europa il proprio lavoro, il gesuita propose infatti all'inglese di pubblicare in appendice alla sua Historia Plantarum il proprio catalogo delle piante dell'arcipelago. Ray accettò con entusiasmo: era un dono generoso e inatteso, che apriva alla scienza europea una regione del tutto inesplorata. Un dono tanto più gradito, se si pensa che giungeva da un territorio nemico e proibito agli inglesi (Spagna e Inghilterra erano nemici storici e il commercio con le Filippine era vietato agli Inglesi, come del resto agli Olandesi: in tutti i loro contatti, Kamel e i suoi corrispondenti europei dovettero sempre servirsi di intermediari e di complicati canali di comunicazione). Nel gennaio 1698 il testo di Kamel, accompagnato da disegni di sua mano, frutto di dieci anni di lavoro, venne inviato a Brown, a Madras, che a sua volta lo avrebbe inoltrato a Londra. Ma il prezioso invio, intercettato dai pirati, andò perduto. Benché affranto, Kamel si rimise al lavoro e tra il 1699 e il 1701 pervennero a Ray le parti relative alle piante erbacee e agli alberi (una terza parte, sulle liane, non giungerà in tempo e verrà più tardi pubblicata da Petiver). Con il titolo Historia stirpium insula Luzonis et reliquarum Philippinarum il catalogo uscì nel 1704, in appendice al terzo volume dell'Historia Plantarum di Ray. Purtroppo, però, quest'ultimo pubblicò soltanto i testi (si tratta di descrizioni piuttosto brevi, che elencano succintamente le caratteristiche di radici, foglie, fiori, frutti e le eventuali proprietà officinali), ma rinunciò alle tavole. Questa scelta, dettata da ragioni economiche, sminuì enormemente il valore scientifico dell'opera di Kamel, perché impedì sia un'identificazione certa, sia confronti con altre specie. Tant'è vero che Linneo, una trentina d'anni dopo, esprimerà un giudizio sprezzante sull'opera del boemo, dichiarando "Descrizioni imperfette. Scarsa conoscenza delle piante". Altri lavori di Kamel vennero invece pubblicate nelle Philosophical Transactions della Royal Society a cura di Petiver. Qualche notizia in più sulla sua vita nella biografia. Un gomitolo di foglie di tè Kamel morì nel 1706 a Manila, a quarantacinque anni. Non fece mai ritorno in Europa, dove ovviamente non portò alcuna camelia, anzi non risultano suoi rapporti diretti con le camelie ornamentali (nelle Filippine ne cresce spontanea una sola specie, C. megacarpa, ma nelle opere del missionario boemo non se ne fa menzione). Le cose sono un po' diverse per quanto riguarda la pianta del tè (oggi Camellia sinensis). I manoscritti, gli esemplari essiccati (che costituscono il più antico erbario della flora filippina) e i disegni di Kamel, giunti a Ray e Pitiver, rimasero a Londra: i primi furono conservati nella British Library, quindi nel Natural History Museum, i secondi confluirono nell'erbario di Sloane. I terzi ebbero una storia più singolare: pervenuti al botanico francese Antoine Laurent de Jussieu (1748-1836), dopo la sua morte vennero acquistati dal conte belga Alfred de Limminghe, che li donò al collegio dei gesuiti di Lovanio, dove sono tuttora conservati. Si discute se si tratti degli originali, di mano di Kamel, o di copie. Nel 2007, lo studioso belga Luc Dhaeze, nell'ambito di ricerche per una monografia sulle camelie del Belgio, pensò di sfogliare il manoscritto, nella speranza di trovare qualche disegno che provasse una relazione tra Kamel e le camelie o almeno il tè. E il foglio 234 giustificò le sue attese: senza dubbio alcuno, ritrae due foglie e due frutti della pianta del tè. Esplicita la didascalia: "Tchia, qui affertur in glomis, folia, et fructus" (Tè, che viene portato in "gomitoli", foglie e frutto). Dhaeze non poté però consultare l'opera di Ray, per verificare se nel testo comparisse la descrizione corrispondente. Non so se altri ricercatori, nel frattempo, abbiano raccolto il suo suggerimento e completato la ricerca, ma noi possiamo farlo senza fatica perché Historia plantarum è disponibile, gratuitamente, tra i libri di Google. Chiedendomi perché Kamel avesse disegnato solo foglie e frutti, e soprattutto cosa fossero quei glomi (ovvero gomitoli), ho sfogliato il testo e ho trovato, chiarissima, la risposta: i gomitoli sono le balle di tè verde a foglie intere (una tecnica che ancora oggi viene impiegata in Cina per le qualità più pregiate) che i mercanti portavano nelle Filippine dalla Cina. Infatti spiega Kamel: "Tschia, o erba del te. Viene portata pressata in grandi balle. Alcune foglie sono grandi (ne ho trovate di sei palmi), altre piccole, tutte serrate tra di loro. In una balla ho trovato un frutto, che si divide in tre parti". Con scrupolo, elenca altri tre tipi di tè, che però non descrive né disegna: tè di Luzon (formato solo dagli apici, quindi forse un tè bianco), tè mandarino, tè "buy" (ovvero whuy, il tè nero, che qualche anno più tardi sarà noto in occidente con il nome commerciale "bohea"). Ecco perché non ha disegnato l'aspetto generale della pianta, le radici, i fiori: non ha mai visto una pianta di tè dal vivo, ne ha conosciuto, ritratto e descritto solo le foglie essiccate e un frutto, rinvenuto casualmente in una balla giunta a Manila dalla Cina. E' verosimile che, pur trattandosi di una specie esotica, egli abbia voluto includere il tè nel suo catalogo per le sue numerose virtù medicinali, tali da farlo entrare a pieno titolo nelle piante officinali. D'altra parte, non stupisce affatto che il tè venisse commercializzato nel Filippine negli ultimi anni del Seicento: i commerci tra Cina e Filippine sono documentati almeno a patire dal X secolo, il tè era un importante prodotto di esportazione fin dal Medioevo, i portoghesi avevano cominciato a esportarlo fino dal Cinquecento e attraverso le Filippine, benché periferiche nell'impero spagnolo, passavano le merci che dal Giappone e dalla Cina affluivano alle colonie spagnole del Nuovo Mondo. D'altra parte, le poche righe di Kamel poco aggiungono alla conoscenza del tè in Occidente, e non si deve certo ad esse se Linneo gli dedicò il genere Camellia, quanto alla stima in cui egli era tenuto da Ray come primo descrittore della flora filippina. Fiori di camelia e tazze di tè Tanto più che lo svedese dedicò a Kamel la Camellia, ma non la pianta del tè. Nel 1753, nella prima edizione di Species plantarum, Linneo stabilì infatti due generi: Thea, cui assegnò la pianta del tè (Thea sinensis); Camellia, cui assegnò l'unica specie ornamentale allora nota, Camellia japonica. Nella seconda edizione, seguendo l'opinione dell'inglese John Hill, che nel suo Treatise on Tea (1753) aveva sostenuto che i due tipi di tè commercializzati in Occidente, il tè verde e il tè nero, fossero ottenuti da due specie diverse, chiamò T. viridis, per il primo, e T. bohea, il secondo (il tè "buy" di Kamel, che prende il nome dalle montagne Whuy nel Fuh-Kien, zona di produzione del tè nero più rinomato). Fu soltanto nel 1818, quando altre specie di Camellia incominciavano ad essere conosciute in Europa, che il botanico inglese Robert Sweet propose di unificare i due generi; tuttavia la denominazione Thea persistette ancora a lungo (la si trova ancora in pubblicazioni della prima metà del Novecento), tanto da dare il nome alla famiglia Theaceae. Del resto il genere Camellia è caratterizzato da continue revisioni: la monografia di J. Robert Sealy, A Revision of the Genus Camellia (1958), fissò la nomenclatura scientifica delle specie conosciute all'epoca, dividendo il genere in 12 sezioni (Thea è una di queste) e descrivendo 87 specie. Nel 1981, poiché nel frattempo, soprattutto in Cina, erano state identificate molte nuove specie, Chang Hungta, professore dell'Università Sunyatsen di Guangzhou (Canton) nella sua monografia (pubblicata nel 1984 nella traduzione inglese con il titolo Camelias, a cura dello statunitense Bruce Bartholomew) riconobbe 201 specie, suddivise in quattro sottogeneri e 20 sezioni. Ancora più recentemente (2000) Ming Tien Lu in Monograph of the Genus Camellia ha portato le specie a 280, mentre ha ridotto il numero delle sezioni. Nella veste di bevanda più diffusa ed economica del mondo dopo l'acqua (si calcola che ogni anno vengano prodotte 36 milioni di tonnellate di tè, in più di 40 paesi) o in quella di amatissima pianta ornamentale, le piante del genere Camellia hanno innescato rivoluzioni (la protesta contro la tassa sul tè che sfociò nel Boston Tea Party e diede inizio alla Rivoluzione americana) e guerre (la guerra dell'oppio, che alla lontana risaliva al disavanzo commerciale dell'Inghilterra nei confronti della Cina, dovuto alle enormi importazioni di tè), fatto nascere riti culturali come l'affascinante cerimonia del tè giapponese o il salottiero Afternoon tea britannico, scatenato passioni e collezionisti, ispirato poesie e romanzi (il più celebre, La Dama delle Camelie, di Dumas figlio). E dato vita a innumerevoli leggende. Ne troverete qualcuna, insieme alla storia dell'introduzione del tè e delle camelie in Europa, a qualche informazione botanica e a link selezionati, nella scheda del genere. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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