In Sud America, tra Perù e Ecuador, c'era un tesoro vero e molto ambito: quello delle piante di quina, ovvero delle diverse specie di Cinchona la cui corteccia era l'unico rimedio conosciuto per la malaria. Ma fin dal tempo dei Conquistadores si favoleggiava di altri, più mitici tesori, come quello che uno degli ultimi capi Inca avrebbe nascosto tra le montagne dell'Ecuador. Partito dalla Spagna per il Sud America per studiarne i tesori naturali, il farmacista sivigliano Anastasio Guzman finì per farsi sedurre dal miraggio del tesoro perduto degli Inca e da solerte indagatore dei tre regni della natura si trasformò in una specie di sfortunato Indiana Jones. Ma prima aveva fatto tempo ad incrociare i protagonisti della seconda fase della Spedizione botanica nel Vicereame del Perù nonché Bompland e Humboldt durante il loro soggiorno in Ecuador. Alla fine, conquistò davvero un tesoro: la dedica del genere Guzmania, noto a tutti grazie alla coltivatissima G. lingulata, una delle più comuni e amate piante d'appartamento. Un naturalista visionario a caccia dei segreti della natura Probabilmente grazie alla testimonianza di Humboldt, diverse fonti qualificano Anastasio Guzmán come "eminente naturalista" o "famoso studioso"; in realtà sappiamo ben poco di questo farmacista andaluso morto in Ecuador nel 1807 mentre era alla ricerca del misterioso tesoro degli Inca. Non ne conosciamo neppure la data e il luogo di nascita. La prima notizia certa su di lui risale al 26 maggio 1794, giorno in cui, come riferisce la Gaceta de Madrid, "Don Anastasio de Guzman, professore di farmacia" fu onorato con il primo premio ai pubblici esami di botanica, alla conclusione del corso istituto dalla Reale società di Medicina di Siviglia. Poiché all'epoca in Spagna non era previsto l'insegnamento universitario della farmacia, probabilmente il titolo "professore di farmacia" significa semplicemente che era un farmacista provvisto della licenza, avendo superato l'apprendistato e l'esame di fronte al Tribunale del Protomedicato. Guzman ci teneva molto a questo titolo, visto che in Sud America si presenterà come "professore pratico di Farmacia, Galenica e Clinica, ricevuto e convalidato a Siviglia, Puerto de Santa Maria, Guayaquil e Quito, cattedratico, licenziato in botanica nella Reale società medica di Siviglia". Da questo pomposo curriculum (che mi ricorda irresistibilmente quello del dottor Dulcamara) deduciamo anche che per qualche tempo dovette esercitare la professione di farmacista a Puerto de Santa Maria, una piccola località nei pressi di Cadice. Non molto tempo dopo il brillante esame di botanica Guzmán deve essere partito per il Sud America per un viaggio di studio a proprie spese, intenzionato a studiare la chimica e le altre scienze della natura. Qualcuno si è chiesto ironicamente come potesse venire in mente in quei tempi di andare in Perù (dove non esistevano né scuole né laboratori) a studiare la chimica; eppure per un farmacista proprio qui c'era un grande oggetto di richiamo le cui proprietà chimiche e farmaceutiche valeva la pena di studiare sul posto: gli alberi di quina, ovvero di diverse specie di Cinchona, dalla cui corteccia si ricavava l'unico medicamento capace di tenere a bada la malaria. Anche le tappe del viaggio sudamericano di Guzmán sono note solo a grandi linee; la prima meta fu Montevideo, quindi Buenos Aires, da cui proseguì per il Cile a piedi, approfittando del viaggio per raccogliere esemplari dei tre regni della natura e dati su ogni genere di soggetto. Lo troviamo poi in Perù. A Lima i suoi passi si incrociarono con quelli di Juan José Tafalla, il capo della Spedizione botanica nel Vicereame del Perù dopo il ritorno di Ruiz e Pavon in Spagna. Prima di proseguire con le sue avventure, dunque, fermiamoci un attimo anche noi per riannodare i fili della spedizione al punto in cui l'avevamo lasciata in questo post. Come avevamo visto, Madrid si preoccupò di garantire la continuità della spedizione anche quando i botanici spagnoli fossero rientrati in patria; a questo scopo, nel 1785 vi furono aggregati due "apprendisti", scelti su suggerimento del sovrintendente del Perù José Escobiedo tra i militari appena congedati dal reggimento di fanteria Soria, sciolto nel 1784 dopo aver partecipato alla repressione dell'insurrezione di Tupac Amaru. I due erano il navarrino Juan José Tafalla Navascués (1755-1811), appartenente a una famiglia di farmacisti e forse farmacista egli stesso, e Francisco Pulgar, pittore toledano. Nato nel 1755, Tafalla aveva trent'anni, mentre non conosciamo la data di nascita di Pulgar. Dopo essersi fatti le ossa partecipando alle campagne del 1785-1787 con Ruiz e Pavon, nel 1787 i due erano ormai in grado di continuare da soli le ricerche. Congiuntamente alla partenza di Ruiz, un decreto reale nominò Tafalla capo della spedizione e venne istituita per lui una cattedra di botanica presso il Collegio di Chirurgia di San Fernando di Lima. Inizialmente Tafalla e Pulgar lavorarono soprattutto nella zona di Huánuco, approfondendo lo studio degli alberi di quina e delle tecniche della sua estrazione. Nel 1790 accompagnarono in questa regione la spedizione Malaspina. Nel 1793 Tafalla ricevette da Ruiz, divenuto suo superiore come capo dell'Oficina de la Flora peruana y chilensis, precise istruzioni per l'invio di piante vive e essiccate, semi e disegni. Lo stesso anno la spedizione si arricchì di un secondo botanico, Juan Agustín Manzanilla, al momento come volontario senza paga. Tra il 1793 e il 1795 il gruppo erborizzò nelle montagne di Tarma. Tra il 1797 e 1798, si spostò nella provincia di Humalíes e nella valle del Monzón. Fu probabilmente in questo arco di tempo che Guzmán giunse a Lima, dove a quanto sembra visse per un anno; sappiamo che strinse amicizia con Tafalla e che i due erborizzarono insieme; l'interesse comune che li unì, al di là di una generica passione per la botanica, saranno stati proprio gli alberi di Cinchona, il tesoro verde di cui entrambi volevano scoprire i segreti. Incontri botanici in Ecuador Più ancora del Perù, il vero regno della Cinchona era l'Ecuador. Ed è proprio questa la prossima meta sia di Guzmán sia di Tafalla e compagni. Nel 1799 a Tafalla fu ordinato di organizzare una grande spedizione in Ecuador; a tal fine, il gruppo fu integrato da due nuovi pittori (Pulgar era ormai uscito di scena), Xavier Cortés e il peruviano José Gabriel Rivera. Tra il 1799 e il 1802 i quattro naturalisti esplorarono i dintorni di Guayaquil, studiando soprattutto le piante atte a fornire legname per le costruzioni navali. Probabilmente nello stesso periodo anche Guzmán era Guayaquil, dove lavorava come sovrintendente delle haciendas di Jacinto de Bejarano, un grande proprietario terriero e futuro leader del movimento indipendentista; ma non amava il clima della costa e si trasferì nella sierra e quindi a Quito dove si trovava sicuramente nel 1800 (finalmente una data certa) e, secondo le sue parole, intendeva "esercitare la farmacia e la chimica e proseguire gli studi sui tre regni della natura, animale, vegetale e minerale". Nella città ecuadoregna Guzmán strinse amicizia con un giovane intellettuale, José Mejía Lequerica, che lo ospitò a casa sua in cambio di lezioni di scienze naturali; insieme esplorarono la flora dei dintorni in numerose escursioni botaniche e accumularono osservazioni geografiche, meteorologiche, minerarie, economiche. Guzmán, che era anche un eccellente disegnatore, aveva già messo insieme copiose collezioni, eseguito centinaia di disegni e redatto numerosi manoscritti, tra cui un proprio sistema di classificazione dei tre regni della natura, cui aveva dato il titolo linneano Sistema de la Naturaleza. Nei primi giorni del 1802, provenienti da Bogotà, arrivarono a Quito Bompland e Humboldt; incontrarono Guzmán il quale mostrò i suoi materiali al tedesco, che fu talmente ammirato dalla sua profonda conoscenza della natura da sostenere che nell'altopiano dell'Ecuador aveva trovato un naturalista la cui sapienza superava quella di Linneo. E' alla sua testimonianza che dobbiamo l'elenco delle numerose opere manoscritte redatte da Guzmán. La sua ammirazione è dimostrata anche dalla dedica del bellissimo e raro Ranunculus gusmannii, con queste significative parole: "Lo ha raccolto il nostro grande amico Guzman, farmacista, sul monte Corazon di Quito, proprio al limite delle nevi". Nel 1803 arrivò a Quito anche Francisco de Caldas, inviato da Mutis a studiare la quina; si trattenne nella zona fino al 1805 e divenne amico di Guzmán con il quale fece diverse escursioni; anche lui vide i manoscritti del naturalista andaluso, senza farsene impressionare più di tanto. Quanto a Bompland e Humboldt, dopo sei mesi trascorsi a Quito e nei dintorni, si spostarono a Loja e da qui in Perù; tornati in Ecuador, a Guyaquil incontrarono Tafalla e Manzanilla e erborizzarono con loro tra gennaio e febbraio 1803. Il tedesco confrontò il suo erbario con quello degli spagnoli e nelle sue successive pubblicazioni ne elogiò la padronanza della flora locale. Poi i due visitatori si congedarono dall'Ecuador e dai nuovi amici. Dobbiamo farlo anche noi, raccontando brevemente le loro ulteriori vicende prima di tornare a Guzmán. Tra 1803 e 1804, Tafalla e Manzanilla spostarono le loro ricerche nelle Ande ecuadoregne, in particolare nei dintorni di Cuenca e Loja, il centro riconosciuto del regno della quina. Divisi in due gruppi (Tafalla con Cortés e Manzanilla con Rivera), ne individuarono e descrissero 32 diversi tipi, studiando anche attentamente i metodi di estrazione e sfruttamento. Nel 1808 Tafalla tornò a Lima, incaricato di crearvi un orto botanico. Nel 1809, mentre Manzanilla lo sostituiva come professore supplente, fece una breve spedizione in Cile; morì quindi a Lima nel 1811. Manzanilla, che dal 1804 era diventato secondo botanico, gli succedette come capo della spedizione e professore di botanica al Collegio di chirurgia e fece ancora qualche invio fino al 1815. Poi la sua salute mentale si deteriorò; la spedizione fu dichiarata ufficialmente conclusa e nel 1818 il corso di botanica cessò di esistere. Nell'arco di ventisette anni (dal 1788 al 1815) Tafalla e Manzanilla effettuarono 101 invii di materiali a Madrid, 45 dal Perù e 56 dall'Ecuador, con oltre 750 disegni e migliaia di esemplari. Ruiz e Pavon se ne servirono come propri, e il contributo dei due ricercatori non venne mai riconosciuto. Solo in epoca recente (1989) lo storico Eduardo Estella Aguirre mise in luce l'importanza del lavoro di Tafalla e del suo gruppo, rendendosi conto che avevano più che raddoppiato le specie scoperte da Ruiz e Pavon. Grazie a lui venne anche pubblicato il manoscritto di Tafalla Flora Huayaquilensis (1989-1991); rimasto inedito per quasi duecento anni, costituisce la prima flora dell'Ecuador. Un tesoro misterioso e maledetto E' ora di tornare a Guzmán, che, inquieto come sempre, aveva lasciato Quito e per breve tempo aveva gestito una farmacia a Latacunga, una città situata sull'altopiano. Qui venne a sapere di un favoloso tesoro nascosto nelle montagne di Llanganates. La storia che gli fu raccontata è, nelle grandi linee, la seguente: nel 1532 l'ultimo imperatore inca, Atahualpa, fu catturato da Pizarro; per riottenere la libertà, promise che come riscatto avrebbe riempito una stanza d'oro. Pizarro finse di accettare il patto, ma poi fece uccidere Atahualpa. Alla notizia della sua esecuzione, il valoroso generale Rumiñahui, che stava portando a Cajamarca ben 750 tonnellate d'oro come riscatto, tornò a Quito e portò il tesoro sui monti Llanganates, dove lo gettò in un lago o lo nascose in una grotta. Una cinquantina di anni dopo, un certo Valverde affermò di essersi arricchito dopo che la famiglia della moglie, una donna inca, lo aveva condotto sul luogo dove era nascosto il tesoro. Prima di morire, lasciò alcune indicazioni per ritrovarlo, il cosiddetto Derrotero de Valverde. Da allora il tesoro non fu mai trovato, e molti di coloro che lo cercarono fecero una brutta fine, compreso il nostro Guzmán. Il farmacista infatti si convinse della fondatezza della leggenda e cercò di ricostruire l'itinerario di Valverde. Durante le ricerche si imbatté in alcune vecchie miniere di rame e argento, e, sempre afflitto da problemi di soldi, pensò che avrebbe potuto arricchirsi in modo immediato e sicuro, riprendendone lo sfruttamento; litigi con i suoi collaboratori e risultati poco redditizi lo convinsero ben presto a desistere. Nel 1806 si spostò nel villaggio di Patate dove visse sotto la protezione del sindaco; qui, basandosi sull'itinerario di Valverde e altre dicerie, disegnò una mappa dei monti Llanganates, totalmente immaginaria visto che non si era mai addentrato nelle profondità di quelle misteriose montagne, sempre avvolte dalla nebbia. Una notte, mentre camminava nella campagna in preda ad un attacco di sonnambulismo, cadde in un burrone perdendo la vita. Nel 1860 la sua mappa fu scoperta dal viaggiatore e cacciatore di piante Richard Spruce che la pubblicò nel Journal of Royal Geographical Society rendendo popolare la leggenda. La maledizione degli Inca colpì anche il lavoro di naturalista di Guzman, perché i suoi manoscritti andarono perduti o dispersi. A ricordare questo naturalista avventuroso e visionario è così rimasto solo un elenco di titoli riportati da Humboldt, la cui portata scientifica non possiamo dunque valutare. Le coloratissime brattee di Guzmania Messi in secondo piano da Ruiz e Pavon, che li considerarono semplici raccoglitori e si appropriarono senza scrupoli del loro lavoro, Tafalla e Manzanilla sono stati misconosciuti anche dalla terminologia botanica. Non c'è alcun genere a celebrare Manzanilla e i tre pittori della spedizione (di cui uno, Francisco Pulgar, di grandissimo valore); quanto a Tafalla, fu sfortunato anche in questo: nel 1794 Ruiz e Pavon crearono in suo onore il genere Tafalla, che tuttavia non è valido trattandosi di un sinonimo di Hedyosmum. Un secondo Tafalla, creato da Don nel 1831, è invece sinonimo di Loricaria. Il botanico navarrino è ricordato almeno da qualche nome specifico: Condea tafallae, Salvia tafallae, Mikania tafallana. Ad aggiudicarsi, almeno in questo campo, un vero tesoro, alla fine è stato Anastasio Guzman. Su istanza di Tafalla, nel 1802 Ruiz e Pavon gli dedicarono infatti Guzmania, uno dei generi più ampi e importanti della famiglia Bromeliaceae. Anche la loro dedica merita una citazione: "Abbiamo dedicato questo genere al farmacista Anastasio Guzman, industrioso e diligente ricercatore di piante, animali e di ogni altro corpo naturale nelle sue peregrinazioni per l'America". Guzmania comprende circa 120 specie di perenni epifite originarie delle foreste pluviali degli Stati Uniti meridionali, dell'America centrale e delle Antille, del Sudamerica settentrionale e occidentale. Il centro di diversità sono le foreste andine d'altura, con numerose specie anche in Ecuador, così appassionatamente esplorato da Guzman. Proprio nei Llanganates vive ad esempio la rara Guzmania puyeoensis. La specie più nota, una delle più diffuse e vendute piante d'appartamento, è però G. lingulata, originaria di un'area abbastanza vasta che si estende dall'America centrale al Brasile. E' molto apprezzata per la facilità di coltivazione e la prolungata fioritura; i fiori di per sé sono insignificanti, ma sono circondati da vistosissime brattee rosso vivo (ma anche arancio, giallo, rosa in alcune cultivar). Se questa è la Guzmania per eccellenza, non mancano altre specie di grande interesse, come l'enorme G. lindenii con infiorescenze alte più di tre metri, oppure G. sanguinea con le cui foglie si colorano di rosso al momento della fioritura, oppure G. wittmackii con delicate infiorescenze lievemente arcuate . Su queste e altre specie qualche informazione nella scheda.
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Sono due articoli, usciti rispettivamente sul Journal Général de France e sulla Gaceta de Madrid nel 1786 a pochi mesi di distanza, a rilanciare l'affare Dombey. Protagonista di questa seconda fase è un aristocratico, magistrato di professione e botanico per passione, Charles-Louis L'Héritier de Brutelle che, pur di pubblicare le nuove specie scoperte dallo sfortunato Dombey, non esita a inscenare una rocambolesca fuga a Londra. A fare da comprimari, tanti personaggi: un giovanissimo Redouté alle prime pennellate; il botanico Broussonet nelle vesti di complice; un prudente James Edward Smith e un riluttante Joseph Banks; Jonas Dryander nelle funzioni di cane da guardia; Cuvier e de Candolle come amici, testimoni e biografi. Alla fine, tanto rumore per nulla: le piante di Dombey in realtà L'Héritier non le pubblicherà mai; sarà però autore di tanti generi importanti, tra cui Plectranthus, Agapanthus, Eucomis, Eucalypytus, Pelargonium, Erodium. Per una strana coincidenza, anche a lui, come a Ruiz, Pavon e Dombey, è toccata una Malvacea, Heritiera, omaggio di Dryander e del giardiniere capo di Kew Aiton. Un magistrato appassionato di botanica Come abbiamo visto in questo post, Dombey tornò in Francia nell'ottobre 1785. Non ancora ricaduto nella depressione, affittò una casa a Parigi dove mise a disposizione di curiosi e studiosi le sue collezioni, prima che fossero trasferite nel Gabinetto del re. Il Journal Général de France ne informò i lettori nel numero del 14 gennaio 1786, elogiando la rarità e la ricchezza delle raccolte; quindi proseguì annunciando che il conte di Buffon, curatore del Jardin des Plantes, aveva affidato il prezioso erbario di Dombey a M. L'Héritier perché ne pubblicasse la descrizione. Con i tempi lenti dell'epoca, la notizia rimbalzò a Madrid suscitando indignazione e proteste ufficiali. L'affare Dombey tornava d'attualità. Ma prima di occuparcene, facciamo la conoscenza con il suo secondo protagonista, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. L'Héritier era un facoltoso magistrato divenuto botanico per passione. Si racconta che in gioventù, quando era sovrintendente del Dipartimento delle acque e delle foreste, mentre visitava l'orto botanico di Parigi con alcuni colleghi, fosse così dispiaciuto dal non aver saputo riconoscere un albero (si trattava di un Celtis) da decidere di studiare la botanica da autodidatta; lo fece così bene da diventare un esperto tassonomista di stretta osservanza linneana. L'adesione al sistema di Linneo lo mise in urto con i Jussieu e Adanson, che in quegli anni andavano mettendo a punto il loro sistema naturale, ma gli procurò la stima di altri naturalisti (in particolare Cuvier, Broussonet e Thouin) e gli consentì di entrare in corrispondenza con i linneani inglesi, come Joseph Banks e James Edward Smith. Più tardi divenne giudice dell'importante Court des Aides; i contemporanei lo dipingono come un giudice integerrimo e incorruttibile. Egli era interessato soprattutto alle piante arboree e arbustive; ma la sua maggiore aspirazione - ricordo che era outsider, un dilettante agli occhi dei professori del Jardin des Plantes - era conquistare la celebrità pubblicando piante inedite. E quando si trattava della sua passione, gli scrupoli di giudice senza macchia venivano un po' meno; si dice che giungesse a corrompere i giardinieri perché lo avvisassero delle fioriture prima dei proprietari; certa è la sua abitudine di antidatare le pubblicazioni a stampa, cosa che provocò una feroce polemica con Cavanilles sulla priorità di pubblicazione di alcune Malvaceae. Verso il 1783, L'Héritier, all'epoca estremamente facoltoso, decise di pubblicare a proprie spese una serie di monografie dedicate a specie poco note o di recente introduzione coltivate nel Jardin des Plantes o in giardini privati parigini; si sarebbe trattato di edizioni di lusso, in cui le sue precisissime descrizioni sarebbero state accompagnate da incisioni a piena pagina di eccellente qualità, affidate ad artisti capaci di ritrarre le piante dal vero con immediatezza, attenzione al dettaglio e precisione scientifica. Cercando i migliori collaboratori per il suo progetto, scoprì un giovane artista, appena trasferitosi a Parigi dal Lussemburgo: Pierre-Joseph Redouté. L'Héritier curò la sua formazione come illustratore botanico, gli aprì la sua biblioteca e gli affidò l'illustrazione di alcune sue opere, a cominciare dal secondo fascicolo di Stirpes novae. Il primo fascicolo di Stirpes Novae aut minus cognitae, quas descriptionibus et iconibus illustravit, con undici incisioni, uscì nel marzo del 1785, seguito da altri cinque tra il 1786 e il 1791. In tutto, le specie descritte e le incisioni sono 84. Tra i nuovi generi qui stabiliti da L'Héritier, il più noto è sicuramente Plectranthus (1788). Alcune delle nuove specie sono "peruviane" nate dai semi inviati da Dombey, tra cui quella che il magistrato-botanico battezza Verbena tryphilla (oggi Aloysia citrodora, ovvero la notissima cedrina o erba Luisa). La circostanza dovette attirare l'attenzione di Buffon che, come abbiamo già visto, decise di affidare proprio a L'Hériter de Brutelle la pubblicazione dell'erbario di Dombey, tanto più che il magistrato offriva di pagarla di tasca sua. Una fuga in Inghilterra e un progetto mai realizzato Sulla Gaceta de Madrid dell'11 luglio 1786 esce un articolo di fuoco, ispirato da Gomez Ortega o scritto direttamente da lui, in cui si denuncia l'annunciata pubblicazione dell'erbario di Dombey come una violazione della parola data da quest'ultimo di non pubblicare nulla prima del rientro di Ruiz e Pavon. Segue una protesta diplomatica ufficiale; la Spagna chiede non solo la sospensione della pubblicazione, ma addirittura l'invio a Madrid dell'erbario, onde evitare ogni tentazione. Una richiesta pesantissima e senza appigli legali, a cui tuttavia il governo francese si adegua. Per caso, L'Héritier de Brutelle si trova proprio a Versailles quando viene a sapere che è stato trasmesso a Buffon l'ordine di ritirare l'erbario, che gli sarà comunicato il giorno dopo. Disperato, corre a casa. Con l'aiuto della moglie, dell'amico Broussonet e di Redouté, passa la notte a imballare l'erbario e a fare i bagagli; la mattina dopo (è il 7 settembre 1786) parte con la moglie per Boulogne. Alla dogana, dichiara falsamente che sta andando in Inghilterra con dei materiali richiesti da Joseph Banks, un nome così prestigioso da spegnere i sospetti dei doganieri. Quindi si imbarca per Londra, dove passa quindici mesi, da settembre 1786 a dicembre 1787, con l'intenzione di preparare Il Prodromus di una Flora del Perù e del Cile, potendo approfittare delle biblioteche e degli erbari di Smith e Banks per il confronto e la determinazione degli esemplari. L'accoglienza di Banks non è proprio entusiastica: è stato avvertito della storia da Smith, che al momento della fuga di L'Héritier si trovava a Parigi, e soprattutto è furioso per l'uso del suo nome alla dogana di Boulogne. Tuttavia poi ammette il francese come regolare visitatore della sua biblioteca, pur raccomandando al segretario Dryander di tenerlo d'occhio: non si fida di questo fanatico, capace di tutto, anche di impadronirsi del lavoro altrui. In realtà, L'Hértitier si comporta più che correttamente. Tuttavia, a Londra i suoi piani cambiano: invece di concentrarsi sulla descrizione delle piante di Dombey, è attratto dalle specie ancora inedite dell'erbario di Banks e dalle novità botaniche che crescono a Kew e in altri giardini londinesi. Nasce così la sua seconda opera principale, Sertum anglicum (1789-1793), in cui pubblica 125 specie per lo più inedite, solo pochissime delle quali sono tratte dall'erbario di Dombey; per le incisioni si affida al grande illustratore britannico James Sowerby e a Pierre-Joseph Redouté, che lo ha raggiunto a Londra nella primavera del 1787. I nuovi generi pubblicati in questa opera sono tredici, sette dei quali dedicati a botanici britannici, come ringraziamento per l'accoglienza: Boltonia, Dicksonia, Lightfootia, Pitcarnia, Relhania, Stokesia, Witheringia. Quanto ai suoi principali ospiti, Banks, Smith e Dryander, L'Héritier non può omaggiarli, visto che i generi Banksia, Smithia e Dryandra esistono già. Ma tra i nuovi generi di Sertum anglicum ce ne sono almeno tre molti importanti: Agapanthus, Eucomis e Eucalyptus. Nel dicembre 1787, calmatasi le acque anche per il rientro di Ruiz e Pavon dal Perù (nel frattempo sono morti sia Galvez, il ministro spagnolo delle Indie, sia Buffon), L'Héritier de Brutelle ritorna a Parigi, pensando di poter continuare tranquillamente il suo lavoro in patria. In effetti, l'affare Dombey si è ormai dissolto in una bolla di sapone, e, oltre a continuare la pubblicazioni di altri fascicoli di Stirpes novae e Sertum anglicum, tra il 1787 e il 1788 L'Héritier dà alle stampe un'importante monografia, Geraniologia, in cui separa da Geranium i generi Pelargonium e Erodium. Di mettere fine ai suoi progetti si incarica la storia. Vicino agli ambienti illuministi, il magistrato-botanico si schiera dalla parte della rivoluzione e si batte per la monarchia costituzionale. Nell'ottobre 1789 è nominato comandante della guardia nazionale del suo quartiere; il suo reggimento è uno di quelli che il 6 ottobre proteggono il re della folla inferocita che lo costringe a trasferire la corte da Versailles a Parigi. Nel 1790 entra come associato all'Accademia delle Scienze, ma con lo scioglimento di tutte le istituzioni dell'Antico regime perde tutte le sue entrate; nel 1793 viene arrestato e rischia la pena capitale, ma viene ben presto liberato grazie alle testimonianze degli amici botanici Desfontaines e Thouin. Poco dopo rimane vedovo e il figlio maggiore, con cui non è mai andato d'accordo, lascia la famiglia. Con il termidoro, si mantiene grazie a un lavoro sottopagato al ministero di giustizia e diviene membro del comitato dell'agricoltura e delle arti. Nel 1795 quando l'Accademia delle scienze rinasce come Istituto nazionale delle scienze e delle arti, ne diviene membro residente della sezione di botanica e di fisica vegetale, con un modesto salario. Da tempo non pubblica più nulla, ma è riuscito a conservare la sua biblioteca e il suo erbario, e accoglie volentieri a casa sua i giovani botanici, come Augustin Pyramus de Candolle. La sera del 16 agosto 1800 lo attende una morte improvvisa e tragica: mentre rientra a casa a piedi dall'Istituto, a pochi passi dalla porta di casa viene assalito da uno sconosciuto che lo trafigge più volte con una sciabola. Il cadavere viene trovato solo il mattino dopo. E' coperto di ferite, ma non mancano né il denaro né altri effetti personali. Dunque, non si è trattato di una rapina. Il caso rimane irrisolto e si diffondono le voci più fantasiose, tra cui quella (riferita da Smith) che l'assassino fosse il figlio maggiore di L'Heritier. Prima di congedarci da lui (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), lasciamo la parola a de Candolle, che lo conobbe bene e dopo la sua morte aiutò la famiglia acquistando l'erbario: "Era un uomo secco, in apparenza freddo, ma in realtà appassionato, acrimonioso e sarcastico nella conversazione, un poco incline agli intrighi, un nemico dichiarato di Jussieu, Lamarck e anche dei nuovi metodi, ma verso di me ha dimostrato solo gentilezza di cui gli sono grato". Dalle foreste dell'Ile de France alle foreste di mangrovie Per una curiosa coincidenza, proprio come a Ruiz, Pavon e Dombey, anche a L'Héritier de Brutelle è toccato di essere celebrato da un genere della famiglia Malvaceae, Heritiera. A dedicarglielo fu William Aiton (anzi, potremmo dire Aiton e Dryander, visto che si tratta di un'opera a quattro mani) in Hortus kewensis, il catalogo dei Kew gardens del 1789. Come antico sovrintendente delle foreste della regione parigina L'Héritier amava gli alberi, e sarà stato sicuramente soddisfatto di questo omaggio, che ha legato per sempre il suo nome ad alberi dominanti delle foreste di alcune zone dell'Africa orientale, della regione indiana e del Pacifico. Alcune fanno parte delle foreste di mangrovie; tra di esse, la specie forse più nota, Heritiera littoralis, diffusa nelle foreste costiere dell'Oceano indiano e del Pacifico centro-occidentale, in un'area vastissima che va dall'Africa alla Micronesia. E' un albero di medie dimensioni a lenta crescita che forma larghi contrafforti basali che gli permettono di abbarbicarsi a suoli instabili e di resistere ad occasionali invasioni di acqua salina. Apprezzato per il legname, viene anche coltivato per la bellezza del fogliame, verde scuro e lucide nella pagina superiore, argentee in quella inferiore. H. fomes è invece la specie dominante delle mangrovie dell'India orientale e del Bangladesh, dove costituisce circa il 70% del manto arboreo. Sempreverde, è di dimensioni medie, ha radici munite di pneumatofori e tronco con vistosi contrafforti alla base; ha foglie coriacee ellittiche e fiori rosati o arancio riuniti in pannocchie. Anche il suo legname è molto apprezzato, ma la specie è considerata a rischio per l'eccessivo sfruttamento, la restrizione dell'habitat e la fluttuazione della salinità. Altre approfondimenti nella scheda. In gioventù, Joseph Dombey fu un uomo amabile, di notevole prestanza fisica e di mente acuta, uno scienziato versatile e un botanico appassionato; ma dalla grande spedizione in Sud America da cui si attendeva sicura gloria (è ironico che tutti la chiamino Spedizione di Ruiz e Pavón e non, come sarebbe giusto, Spedizione di Ruiz, Pavón e Dombey) fu totalmente distrutto nella salute fisica e mentale e nella stessa reputazione. Intorno a lui e alle sue piante scoppiò un caso diplomatico internazionale, l'affare Dombey, che coinvolse tre paesi in un momento storico delicatissimo: la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna. Ne vedremo qui la prima fase, quella di cui fu protagonista diretto. Unica consolazione in una vita infelicissima lo spettacolare genere Dombeya, dedicatogli da uno spagnolo che non si faceva condizionare dal nazionalismo, l'abate Cavanilles. Una spogliazione o il rispetto di un contratto? Come ho raccontato in questo post, mentre i suoi compagni proseguivano le ricerche in Perù, il 14 aprile 1784 Joseph Dombey si imbarcò con le sue collezioni sul Peruano, lo stesso vascello che sei anni prima lo aveva condotto a Callao con Ruiz e Pavón. Portava con sé l'erbario, le descrizioni, le collezioni di conchiglie e minerali, reperti archeologici e etnografici; le raccolte degli spagnoli, molto più copiose delle sue, viaggiavano su una nave più piccola, la San Pedro de Alcantara. Il viaggio fu particolarmente lungo e difficile. Le due navi, partite insieme, ben presto furono costrette a separarsi . Appena superato Capo Horn, il Peruano fu investito dai venti contrari e solo con grande difficoltà riuscì a raggiungere Rio de Janeiro, dove dovette essere riaddobbato. Dombey, malato da tempo, versava in uno stato di grave prostrazione fisica a causa della dissenteria e dello scorbuto. Il soggiorno in Brasile, che si protrasse dall'inizio di agosto alla fine di novembre, gli permise di recuperare in parte la salute e di integrare le sue collezioni, soprattutto con acquisti di pietre preziose, uccelli impagliati e farfalle. E' dunque soltanto il 28 febbraio 1785 che un Dombey esausto e frastornato sbarca finalmente a Cadice; lo accoglie la notizia che, per ordine di Galvez, il Ministro delle Indie, le sue 78 casse verranno poste sotto sequestro in un locale della dogana. Poco dopo si viene a sapere che la San Pedro de Alcantara, per evitare il naufragio, è stata costretta a gettare a mare tutto il carico: le collezioni di Ruiz e Pavón sono perdute. In virtù di una clausola del contratto stipulato con la Spagna nel 1777, Dombey si era impegnato a consegnare metà delle sue collezioni all'orto botanico di Madrid. E' possibile che egli pensasse in tutta sincerità di aver già assolto questo obbligo con gli esemplari scambiati in Perù e in Cile con Ruiz e Pavón; è sicuramente con costernazione che ad aprile apprende che la Spagna intende rispettare alla lettera la clausola, imponendogli di spartire le sue raccolte per reintegrare il carico perduto della San Pedro de Alcantara. Obbedendo alle indicazioni che arrivano da Parigi, Dombey si rassegna, tanto più che, raccoglitore scrupolosissimo, ogni volta che gli è stato possibile ha conservato nel suo erbario dodici esemplari di ciascuna pianta; da Madrid però arriva una seconda richiesta, ancora più dolorosa: si chiede al botanico francese di promettere di non pubblicare nulla fino al ritorno dal Perù di Ruiz e Pavón, sempre sulla base del contratto del 1777. Dombey cerca di resistere, o per lo meno di temporeggiare, in attesa di istruzioni da Parigi; temendo il sequestro dei suoi diari di campo, li affida al capitano di una nave francese in partenza per la Francia. Di una cosa è certo: dietro tutti questi maneggi c'è una persona: Casimiro Gomez Ortega che ha organizzato tutto il complotto per riservare a se stesso (o ai suoi protetti) la gloria della pubblicazione della flora peruviana. Purtroppo per Dombey, per la diplomazia francese una collezione di piante secche o una pubblicazione botanica in più o in meno non valgono una crisi diplomatica: gli ingiungono di accettare tutto, anzi il Jardin des Plantes si impegna a non pubblicare prima degli spagnoli le specie inedite nate nel giardino dai semi inviati da Dombey dal Sud America. E qui l'"affare Dombey" si tinge di giallo. Il povero botanico si sente tradito, abbandonato, vittima di una congiura; sostiene di aver subito un attentato, che una persona che gli assomigliava è stata uccisa davanti alla sua porta. La sua partenza da Cadice, dopo dieci mesi di soggiorno forzato, è quasi una fuga. Imbarcatosi sulla Jeune Henry per le Havre con le 36 casse che gli restano, rientra a Parigi il 13 ottobre 1785. Un uomo piegato e distrutto, una fine tragica L'uomo che rivede infine la dolce Francia è il fantasma del giovane e promettente botanico che ne era partito nove anni prima. Quel giovanotto dal carattere amabile è oggi un uomo ombroso, sospettoso, afflitto da un (giustificato?) complesso di persecuzione; sparite sono la forza fisica e l'acutezza del pensiero. Ben presto è travolto dalla depressione, tanto che, quando Jussieu gli offre il seggio dell'Accademia delle Scienze lasciato vacante dalla morte di Guettard, rifiuta; poco dopo (siamo all'inizio del 1786) lascia Parigi per cercare sollievo prima a Gex, poi a Lione, infine a Tullins. Nelle lettere che invia agli amici, sfoga il suo umore nero e l'odio per i suoi persecutori veri o presunti, ovvero Ortega e Galvez, Prima di lasciare Parigi, tuttavia, ha consegnato l'erbario e le sue note al Jardin des Plantes; Buffon a sua volta li ha trasmessi a L'Héritier de Brutelle, che l'anno prima ha pubblicato alcune delle "specie proibite" nate dai semi di Dombey al Jardin des Plantes in Stirpes novae; L'Héritier si mette al lavoro e annuncia la pubblicazione di una Flora peruviana. Gli spagnoli la prendono male (tornerò su questa seconda parte dell'affare Dombey in un prossimo post) e il povero Dombey è costretto a giustificarsi con il ministro Calonne, cui giura di non saperne nulla. Si sente sempre più vittima di un complotto, al punto che scrive ad André Thouin (da sempre il suo amico più caro) che è deciso ad abbandonare la Francia per sottrarsi ai suoi persecutori. Ritornato a Lione, in una crisi di disperazione nell'ottobre 1786 brucia tutti i suoi manoscritti. Vanno in fumo nove anni di osservazioni sui minerali, la geografia, la meteorologia, le miniere, il chinino e altri argomenti studiati dal versatile e sfortunato scienziato. Per sei anni vive una vita oscura di provincia. Chi lo visitò in quel periodo, come il botanico Villars, lo descrive come un uomo triste, chiuso, che ha abbandonato la lettura, gli studi, la vita pubblica, disinteressato anche agli eventi politici che scuotono il paese. Unica traccia dell'uomo del passato è il soccorso che come medico continua a prestare agli ammalati più indigenti. Furono forse i terribili eventi di cui fu teatro Lione durante il Terrore a riaccendere in lui il desiderio di partire e, allo stesso tempo, di servire nuovamente la scienza e la sua patria. A offrirgliene l'occasione fu Thomas Jefferson, all'epoca Segretario di Stato degli Stati Uniti. Tra le urgenze del nuovo stato c'era quello di uniformare il sistema dei pesi e delle misure, diverse da un angolo all'altro del paese. L'illuminista Jefferson era favorevole all'adozione del razionale sistema metrico decimale, che era stato da poco introdotto nella Francia rivoluzionaria; si rivolse perciò alla repubblica sorella perché inviasse un esperto. La scelta cadde sul nostro Dombey, che il 24 nevoso (17 gennaio 1794) partì da Le Havre su un brigantino statunitense, portando con sé un peso campione del chilogrammo. Costretto da una tempesta a riparare in Guadalupa, si trovò nel bel mezzo di uno scontro tra sostenitori e avversari della rivoluzione che lo trassero in arresto come inviato ufficiale della repubblica; liberato dai filo rivoluzionari, poté poi reimbarcarsi sul brigantino che lo aveva condotto nell'isola, ma appena la nave uscì dal porto fu catturata da vascelli corsari britannici. Dombey fu fatto prigioniero e condotto nell'isola di Montserrat. Così non giunse mai negli Stati Uniti, con due conseguenze: in quel paese tuttora si usano iarde, miglia, once e libbre, mentre Dombey, spezzato da tante disgrazie, morì in prigionia. Solo sei mesi dopo, nell'ottobre 1794, la notizia della sua morte arrivò a New York e da qui in Francia. Una sintesi della sua vita sfortunata nella sezione biografie. Dombeya, dal Madagascar con fioriture A consolarci da questa tristissima storia, ci sono per fortuna le splendide piante del genere Dombeya. A dedicarlo al nostro sventuratissimo botanico nel 1786 fu Cavanilles, abbastanza equanime dal non farsi condizionare dalle accuse di tradimento e spergiuro che i suoi conterranei riversavamo sul povero Dombey. Un tempo incluso nella famiglia Sterculiaceae, oggi confluita in Malvaceae, Dombeya nell'attuale delimitazione è uno dei generi più ampi della famiglia, con circa 250 specie di piccoli alberi e arbusti diffusi in Africa, in Madagascar, nella penisola arabica e nelle isola Mascarene. Il centro di diversità è il Madagascar, dove si incontrano oltre 200 specie. Genere molto vasto e morfologicamente vario, cresce in habitat diversi, dal bosco tropicale alla boscaglia d'altitudine. Le foglie alternate e semplici possono essere lobate, cuoriformi, quasi rotonde, glabre o pelose; i fiori a cinque petali, simili a quelli della malva, bianchi, rosati, galli o rossi, sono raccolti in fitte cime o ombrelle pendule. Alcune specie sono coltivate come ornamentali nelle zone a clima mite. La più nota è probabilmente D. wallichii, originaria dell'Africa orientale e del Madagscar, le cui rosee infiorescenze globose le hanno guadagnato il nome improprio ma suggestivo di "ortensia tropicale". Ugualmente spettacolare grazie alle fitte cime di fiori rosa pallido con cuore porpora è la fioritura di B. burgessiae, una specie diffusa in una vasta area che si estende dal Sudan al Sudafrica, . Molto coltivato nei paesi tropicali è D. x cayeuxii, un ibrido orticolo tra le specie precedenti ottenuto dal francese Henri Cayeux nel 1895. La più stupefacente è forse un'altra malgascia, D. cacuminum, con infiorescenze rosso vivo. Qualche approfondimento su queste e altre specie nella scheda. Per la Spagna, il Settecento fu un secolo di grandi spedizioni geografiche e scientifiche: dal 1735 al 1800 se ne susseguirono una sessantina, geografiche, idrografiche, cartografiche, astronomiche e naturalistiche. Questo attivismo toccò il suo vertice con il regno di Carlo III (1759-1788) che promosse tre importanti spedizioni botaniche nei vicereami americani: il vicereame del Perù (che comprendeva Perú e Cile), quello di Nueva Granada (l'attuale Colombia) e quello di Nuova Spagna (Messico e America Centrale). La serie fu inaugurata dalla Expedición botanica al virreinato del Perú (1777-1788), frutto della cooperazione con la Francia, potenza alleata grazie al "patto di famiglia (su entrambi i troni sedevano esponenti dei Borboni) ma anche sospetta rivale per il dominio coloniale e il prestigio scientifico. I protagonisti furono tre giovani botanici: gli spagnoli Hipólito Ruiz e José Antonio Pavón e il francese Joseph Dombey. Tra vicissitudini di ogni genere, tra cui la più vasta rivolta della storia coloniale sudamericana, un naufragio che portò alla perdita di considerevoli raccolte, un incendio devastante, senza contare gli insanabili dissidi tra Dombey e i colleghi spagnoli, la spedizione ottenne risultati straordinari: oltre 3000 esemplari di piante essiccate, 2500 disegni botanici, con la scoperta di almeno 500 nuove specie e 140 generi. Molte furono pubblicate insieme da Ruiz e Pavón, che prima nella ricerca sul campo poi a Madrid costituirono un inossidabile sodalizio scientifico; anche a loro, che avevano dedicate dozzine dei generi da loro scoperti a uomini politici e scienziati, spetta l'ambito riconoscimento di un genere celebrativo: il monotipico Ruizia, endemico dell'isola di Réunion, e il ben più noto Pavonia. Entrambi si devono a Cavanilles, futuro direttore dell'Orto botanico di Madrid, e, per giustizia poetica, appartengono alla stessa famiglia, quella delle Malvaceae, mantenendo almeno in questo un legame tra i due inseparabili compagni. Una spedizione franco-iberica Nel 1774, di recente nominato Controllore generale delle finanze, il ministro francese Turgot chiese alla corona spagnola di autorizzare l'invio di un botanico francese in Sud America, per studiare la flora locale e cercare di recuperare le carte di Joseph de Jussieu che, rimasto in Perù 35 anni, era di recente rientrato in Francia in stato di estrema prostrazione. L'obiettivo principale era la ricerca e l'introduzione di specie alimentari nella Francia mediterranea e in Corsica, nella speranza di far fronte alle ricorrenti carestie. La proposta fu accolta con favore dal re di Spagna Carlo III, ma con due importanti modifiche: si sarebbe trattato di una spedizione congiunta, coordinata e diretta da Madrid, e il botanico francese sarebbe stato affiancato da colleghi spagnoli; alla Spagna inoltre spettavano la metà delle raccolte e la priorità della pubblicazione. In tal modo, la monarchia iberica, pur beneficiando delle conoscenze e della maggiore esperienza di un botanico formato al Jardin des Plantes parigino, avrebbe mantenuto il controllo della spedizione, con obiettivi parzialmente diversi da quelli francesi: la ricerca di piante industriali e medicinali (in particolare quelle da cui si ricavava il chinino), di cui intendeva riservarsi il monopolio. L'impresa fu posta sotto la tutela del Segretariato di Stato e affidata alla direzione scientifica di Casimiro Gomez Ortega, il direttore dell'Orto botanico di Madrid, che come primo farmacista reale era anche direttamente interessato alla scoperta e allo sfruttamento di medicamenti in regime di monopolio. Gli uomini scelti a Parigi e a Madrid era tutti giovani o giovanissimi: da parte francese, il trentacinquenne Joseph Dombey, che si era laureato in medicina a Montpellier, aveva partecipato a spedizioni botaniche in Provenza e sulle Alpi e si era perfezionato al Jardin des Plantes con Bernard de Jussieu e André Thouin; da parte spagnola, due studenti di farmacia allievi di Gomez Ortega, Hipólito Ruiz e José Antonio Pavón, entrambi ventitreenni. Per età, titoli ed esperienza, il più qualificato era certamente Dombey, l'unico laureato e il solo vero botanico; ma, per opportunità politica, a capeggiare la spedizione fu Ruiz, con il titolo di "primo botanico"; Pavón fu nominato "secondo botanico", mentre a Dombey toccò il ruolo collaterale di "botanico naturalista in qualità di accompagnatore dei botanici spagnoli della stessa professione". Non vera collaborazione dunque, ma una specie di convivenza forzata, nutrita di diffidenza reciproca. Dombey, che si era preparato con scrupolo alla missione studiando gli erbari di Joseph de Jussieu e imparando lo spagnolo, arrivò a Madrid all'inizio di novembre 1776, ma tra rinvii, ripensamenti e cambi di programma, la partenza per il Sud America avvenne solo un anno dopo, il 4 novembre 1777, quando i tre botanici si imbarcarono a Cadice alla volta di Callao, accompagnati da due pittori, Joseph Brunete e Isidro Gálvez, allievi della accademia di pittura di San Fernando. Dal Perù al Cile, con disastri Il gruppo giunse in Perù ad aprile e si mise alacremente al lavoro, stabilendo il proprio quartiere generale a Lima. Dapprima esplorarono i dintorni della capitale e le province costiere del nord, Huaura e Laurín. Sostenuti dall'entusiasmo, fecero importanti raccolte: i contadini, vedendo questi uomini ben vestiti, che percorrevano le campagne con una cartella sotto braccio in cui riponevano le piante, impressionati, li soprannominarono brujos yerbarteros, "stregoni erboristi". Già a settembre poterono spedire in Europa diciassette casse di materiali, dieci in Spagna e sette in Francia; l'invio di Dombey comprendeva anche alcuni reperti archeologici, raccolti presumibilmente a Laurin. Tuttavia non arrivò mai a Parigi: la nave su cui viaggiava fu intercettata dagli inglesi, e solo più tardi le sue preziose casse vennero restituite, ma alla Spagna. Nonostante il proficuo lavoro comune, l'atmosfera continuava ad essere improntata alla diffidenza; a Dombey era vietato muoversi da solo, a meno che gli fossero affidati compiti particolari dalle autorità (per la corona spagnola, era pur sempre uno straniero, dunque una potenziale spia) e la sua corrispondenza era sorvegliata; non poteva usufruire della collaborazione dei pittori, che erano al servizio esclusivo dei suoi colleghi spagnoli; inoltre, mentre le spese degli altri membri erano a carico della corona, lui doveva pagare tutto di tasca propria; e in colonia, dove ogni cosa doveva essere importata dall'Europa, la vita era molto cara. Anche i suoi rapporti personali con Ruiz, un giovane dal carattere vivo e amante della polemica, furono sempre piuttosto tesi; meglio andò con il pacato Pavón, che si assunse il ruolo di paciere, e divenne il suo compagno in molte escursioni. Nel maggio del 1779, il gruppo lasciò la costa per spostarsi tra le selve della Cordigliera, la cui vegetazione era all'epoca quasi sconosciuta alla scienza europea. Seguendo il sentiero inca, si spostò a La Oroya e Tarma, dove fissò la prima base. Poi si divisero: Ruiz e Galvez proseguirono fino al monastero francescano di Santa Rosa de Ocopa, mentre Pavón e Brunete andavano a Palca. Quanto a Dombey, fu inviato dal viceré a studiare le acque minerali di Cheuchin, per riunirsi con Ruiz e Galvez a Tarma, da dove i tre tentarono la scalata al monte Churupullana, dovendo desistere per la pioggia mista a grandine, Alla fine dell'anno tutto il gruppo si ricongiunse a Huasahuasi, rientrando a Lima alla fine del gennaio 1780 con la stagione delle piogge. Ad aprile ripartirono per la montagna, fissando la loro sede a Huanuco, al centro di una zona ricchissima di vegetazione, già alle porte dell'Amazzonia: la parte più difficile del loro viaggio, per l'assenza di sentieri segnati, il soffocante clima caldo-umido, le punture degli insetti, Tutti soffrirono di dissenteria e Ruiz si ammalò di febbri perniciose che furono sul punto di costargli la vita. In queste foreste i botanici trovarono molte piante ignote e importanti specie medicinali: alberi di coca (Erythroxylum coca) e soprattutto diverse specie di Cinchona, dalla cui corteccia si ricavava il chinino, il cui studio era uno degli obiettivi principali della spedizione spagnola. Mentre esploravano questa regione, incominciarono a diffondersi voci di una rivolta: erano le prime avvisaglie del sollevamento di Tupac Amaru, che sarebbe iniziato nel novembre 1780. A settembre, temendo un attacco, Dombey e Pavon rientrarono in fuga da Cuchero a Huanuco. L'avventura (poi rivelatasi un falso allarme) pesò molto negativamente sul morale di Dombey e minò il suo prestigio agli occhi dei compagni. Dopo essersi trattenuto a Huanuco fino a settembre egli rientrò a Lima, dove per mantenersi lavorò qualche mese come medico; solo a fine anno si ricongiunse ai suoi compagni, che nel frattempo avevano attivamente esplorato la provincia di Huamalies. Tutto il gruppo rientrò a Lima alla fine di marzo 1781. Nella seconda metà del 1781 gli spagnoli tornarono ad esplorare la provincia di Chancay, mentre Dombey rimase a Lima, come membro di una commissione incaricata di studiare le maree del porto di Callao. E' probabile che le autorità spagnole avessero preferito trattenerlo sulla costa, non desiderando che uno straniero fosse testimone di una ribellione tanto pericolosa. Il programma iniziale prevedeva che il gruppo proseguisse per Quito, da dove poi avrebbe dovuto raggiungere Cartagena per imbarcarsi alla volta dell'Europa. Fu probabilmente il dilagare della rivolta di Tupac Amaru a indurre Madrid a cambiare programma: nel gennaio 1782 la spedizione venne spostata in Cile. Giunti per mare a Talcahuano, i naturalisti stabilirono la loro base a Concepcion, dove si trattennero per circa un anno con escursioni a Arauco, Culenco e altrove; solo Pavón fece una puntata alla Cordigliera, per studiare il "pino del Cile", ovvero Araucaria araucana. Durante il loro soggiorno a Concepcion scoppiò un'epidemia di colera e Dombey prestò gratuitamente le sue cure agli ammalati come medico capo della città. Nel marzo 1783 la spedizione si spostò a Santiago, dove Ruiz si ammalò di febbre tifoidea, Dombey venne inviato a Coquimbo e Jarilla, per valutare le potenzialità economiche di alcune miniere abbandonate di mercurio. A ottobre si ritrovarono tutti a Santiago, per spostarsi insieme a Valparaiso, da dove si imbarcarono per Callao. Qui le sorti di Dombey e dei suoi compagni si separarono; mentre gli spagnoli rimanevano in Perù per continuare le esplorazioni secondo i nuovi ordini di Madrid, il francese, essendo ormai terminato il tempo fissato da Parigi, nell'aprile 1784 si imbarcò sulla nave El Peruano alla volta di Cadice. Lo attendevano sgradevolissime vicissitudini, su cui tornerò in un prossimo post. Su un'altra nave, la San Pedro de Alcantara, viaggiavano invece le 55 casse con le raccolte di Ruiz e Pavon; tuttavia, al largo del Portogallo, il vascello naufragò e tutto il materiale andò perduto. Nel frattempo, i botanici spagnoli avevano ripreso le ricerche, visitando nuovamente Huánuco e le montagne di Puzuzo. Poiché anche per loro si avvicinava il momento del ritorno, si decise di aggregare alla spedizione due apprendisti, che potessero continuare il lavoro dopo la loro partenza; la scelta cadde sul farmacista militare Juan José Tafalla come botanico e su Francisco Pulgar come pittore. Nel 1785 il gruppo così integrato continuò ad esplorare la ricca area di Huánuco, concentrandosi in particolare nello studio delle diverse specie di Cinchona; grazie all'esperienza accumulata, fu sicuramente il periodo più fruttuoso dell'intera spedizione; tuttavia mentre si trovavano a Macora un violento incendio distrusse la fattoria dove soggiornavano, mandando in fumo tre anni di diari di campo e quattro anni di descrizioni botaniche. La campagna dell'anno successivo li vide a Muña e ancora a Huánuco, Pillao e Chacahuasí. Durante uno degli spostamenti, Brunete si ammalò e morì; così furono solo in tre, Ruiz, Pavón e Galvez a imbarcarsi per Cadice, dove arrivarono il 12 ottobre 1788, a quasi 11 anni esatti dalla partenza. In Perù rimasero Tafalla e Pulgar che, con alcuni collaboratori, continuarono a inviare materiali alla Oficina de la Flora Peruviana y Chilense diretta da Ruiz fino al 1814, estendendo le ricerche anche all'Ecuador. Una nuova flora tutta da scoprire e pubblicare Appena giunti in Spagna, Ruiz, Pavón e Galvez si recarono a Madrid per dedicarsi al'immane lavoro della pubblicazione delle raccolte. Li accolse una situazione di grande tensione, causata dalla pubblicazione, prima in Francia poi in Inghilterra, di alcuni dei materiali raccolti da Dombey, nonché dal conflitto più o meno latente tra Ortega e Cavanilles. I due botanici furono aggregati all'orto botanico di Madrid come "dimostratori" e nel 1792 fu creata per loro l'Oficina de la Flora Peruviana y Chilensis, diretta da Ruiz. Iniziò un intenso e metodico lavoro di studio delle raccolte, per classificare, nominare e descrivere correttamente le piante, in stretta collaborazione con Gomez Ortega come consulente e correttore. Intanto Galvez, assistito da un incisore e più tardi da un altro disegnatore, allestiva le illustrazioni. Il primo frutto di questo lavoro editoriale fu Quinología o tratado del árbol de la quina, pubblicato da Ruiz nel 1792, in cui descrisse sette specie di Cinchona raccolte in Perù; sull'argomento sarebbe tornato, insieme a Pavón, in Suplemento a la Quinologia (1801) in cui descrisse altre sette specie raccolte da Tafalla e polemizzò con una certa violenza con Mutis. Nel 1794, a quattro mani, usciva Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus, in cui - a mo' di anticipazione della più ambiziosa Flora - pubblicarono i caratteri distintivi di 149 nuovi generi, accompagnati da 37 tavole in bianco e nero. Nel 1798 iniziò ad uscire la monumentale Flora peruviana, et chilensis, sive descriptiones, et icones, in cui le specie erano disposte secondo il sistema linneano; tra il 1799 e il 1802, ne uscirono altri due volumi, estendendo la pubblicazione fino alla classe linneana Octandria. Contemporaneamente, nel 1798 diedero alle stampe Systema vegetabilium florae peruvianae chilensis, un versione ampliata del Prodromus, priva di illustrazioni, contenente tutti i nuovi generi e le specie relative. Il nuovo contesto delle guerre con la Francia rivoluzionaria e napoleonica rese impossibile la pubblicazione di altri volumi della costosissima Flora peruviana, anche se i due autori riuscirono a preparare i manoscritti di ulteriori due volumi. Nel 1816 morì Ruiz (una sintesi della sua vita nella sezione biografie) e Pavón cercò di continuare da solo il lavoro comune; mentre il suo compagno non aveva problemi finanziari, avendo ereditato una farmacia da uno zio, egli doveva mantenersi solo con lo stipendio di botanico, che negli anni dell'occupazione francese venne a mancare. Per cercare di salvare il salvabile, fu così costretto a vendere a diversi collezionisti buona parte della sua biblioteca e molti esemplari di erbario (raccolti durante la spedizione o inviati da Tafalla o anche altri botanici); il lotto più cospicuo se lo aggiudicò Aylmer Bourke Lambert, cui tra il 1817 e il 1824 vendette oltre 15.000 campioni d'erbario, oggi custoditi al British Museum di Londra. Uno scempio che i botanici più giovani non perdonarono a Pavón; sempre più isolato, morì nel 1840; anche per la sua vita si rimanda alla sezione biografie. Il contributo della Spedizione botanica nel Vicereame del Perù alla conoscenze della flora sudamericana fu immenso: migliaia di essiccata, senza contare i semi e le piante vive inviati all'orto botanico di Madrid per essere moltiplicati e coltivati, 2000 disegni, circa 3000 specie, di cui non meno di 500 inedite e 140 nuovi generi. Va anche sottolineato che, essendo Ruiz e Pavón molto prudenti nella istituzione di questi ultimi, un'alta percentuale dei generi da loro creati è ancora oggi valida. Tra i più noti, vorrei citare almeno Aechmea, Aloysia, Bletia, Galinsoga, Guzmania, Gilia, Jovellana, Juanulloa, Lapageria, Masdevallia, Nierembergia, Peperomia, Salpiglossis. Dediche di piante e scherzi del destino Nell'assegnare un nome ai loro nuovi generi, Ruiz e Pavon predilessero i nomi celebrativi, che utilizzarono talvolta per ingraziarsi il politico di turno (inclusi il re Carlo IV e sua moglie Maria Luisa, dedicatari di Carludovica e Aloysia, il ministro Godoy con Godoya, Napoleone con Bonapartea - oggi sinonimo di Agave - e l'imperatrice Giuseppina, con Lapageria), ma soprattutto per ricordare studiosi ed esploratori, prevalentemente ma non esclusivamente spagnoli. Ovviamente si resero omaggio l'un l'altro: Pavon ricordò il suo capo e amico con Ruizia, e Ruiz il fedele collaboratore con Pavonia; per sottolineare la loro amicizia, scelsero due arbusti della flora cilena piuttosto affini; appartenenti alla famiglia delle Monimiaceae, sono oggi entrambi sinonimi, il primo di Peumus, il secondo di Laurelia. Infatti le due dediche, pubblicate in Florae peruvianae et chilensis prodromus, erano state anticipate di qualche anno da Cavanilles, ancora prima del ritorno di Ruiz e Pavón dall'America. Per un caso singolare, i suoi Ruizia e Pavonia oggi appartengono alla stessa famiglia, le Malvaceae, insieme a Dombeya, il genere che, per non fare torto a nessuno, l'illustre botanico volle dedicare a Joseph Dombey. Visti i rapporti piuttosto elettrici di Ruiz con Dombey e con lo stesso Cavanilles (reo di aver pubblicato alcune piante peruviane senza il suo assenso), a posteriori questa dedica ecumenica appare piuttosto ironica, come lo sono la grandezza e l'importanza rispettiva dei tre generi: a Ruiz, il capo della spedizione e dell'Oficina de la Flora Peruviana y Chilensis è toccato il monotipico Ruizia, endemico di una piccola isola; al suo "secondo" Pavón il lussureggiante Pavonia, un grande genere di oltre duecento specie; al terzo incomodo Dombey l'ancora più spettacolare Dombeya (su questo genere, ovviamente, tornerò nel post a lui dedicato). Iniziamo dunque con Ruizia; proprio come Dombeya, fino a qualche anno era assegnata alla famiglia Sterculiaceae, che è confluita in Malvaceae, sottofamiglia Dombeioideae (uno scherzo del destino?). Comprende una sola specie, Ruizia cordata, un alberello endemico dell'isola della Réunion nell'Oceano indiano, dove è nota come bois de senteur blanc, ovvero "legno profumato bianco". Allo stato selvatico, dove è presente in aree collinari aride, è ridotta a pochi individui, mentre è coltivata nei giardini e negli orti botanici. Ha un'elegante chioma arrotondata e due tipi di foglie: più piccole, molto incise e verde chiaro quelle giovanili, più grandi, argentate e grossolanamente triangolari quelle più mature. E' dioica e presenta fiori maschili o femminili in piante separate; rosa salmone, hanno cinque petali e sono riuniti in infiorescenze lungo i rami. E' considerata una pianta magica e porta fortuna, con cui si fabbricavano feticci e amuleti scaccia-malocchio. Qualche approfondimento nella scheda. Molto più di recente, un secondo piccolo genere si è aggiunto a glorificare Ruiz. Durante una delle sue compagne, egli a Pozuzo in Perù aveva raccolto un esemplare che più tardi aveva classificato e pubblicato come Guettardia ovalis. Nel 1937 il botanico svedese Robert Elias Frias studiando questa pianta concluse che doveva essere assegnata a un genere proprio, che in onore del raccoglitore battezzò Ruizodendron (famiglia Annonaceae); R. ovale ne costituisce l'unica specie. E' un albero di grandi dimensioni originario della foresta pluviale del Sud America settentrionale, dove può superare i 40 metri; ha foglie con lamina cartacea da ellittiche a ovali e fiori crema, con petali di consistenza carnosa, seguiti da frutti verdastri. Qualche informazione in più nella scheda. Pavonia, per prolungare le fioriture Anche Pavonia è una Malvacea, ma appartiene alla sottofamiglia Malvoideae, di cui costituisce uno dei generi più variegati, ricchi di specie e di più ampia diffusione, con circa 200-250 specie delle zone tropicali e temperate calde, 100 delle quali in Sud America, 50 sia in Nord America sia in Africa, cui sia aggiungono poche specie asiatiche e australiane. Sono erbacee annuali o perenni oppure arbusti, spesso con foglie cordate alla base, e grandi fiori a coppa in genere solitari, più raramente raccolti in racemi terminali; i fiori ricordano molto da vicino quelli dell'ibisco. Molto decorative, alcune specie hanno incominciato ad essere coltivate anche da noi per l'insolito periodo di fioritura, autunnale o anche invernale. Probabilmente la più diffusa è Pavonia hastata, di origine sudamericana; è un arbusto sempreverde dal portamento ordinatamente tondeggiante con foglie ovato-cordate e copiosa fioritura; i fiori a coppa, simili a quelli dell'ibisco, sono bianchi o rosati con una vistosa macchia scura al centro e sono prodotti dalla fine dell'estate all'autunno inoltrato. In realtà, un prima fioritura avviene già in primavera, quando il cespuglio si riempie di boccioli, che però non si aprono, sebbene siano seguiti dalla produzione di semi. Si tratta del fenomeno della cleistogamia: la pianta, per superare condizioni avverse, è in grado di autofecondarsi senza subire lo stress dell'apertura dei fiori. Proviene invece dal Texas e dal Messico P. lasiopetala, un'erbacea suffruticosa che forma bassi cespugli con foglie dentate o lobate persistenti e grandi fiori a coppa rosa vivo da giugno fino alla fine dell'autunno. Entrambe le specie sono abbastanza rustiche. E' invece adatta solo ai climi caldi o alla coltivazione in interno la brasiliana P. multiflora, nota come "candela brasiliana", caratterizzata da curiosi fiori con brattee lineari rosse o rosa fucsia che circondano i petali arrotolati su se stessi e gli stami prominenti blu scuro; è un grande arbusto con foglie lanceolate lucide verde scuro, la cui fioritura si prolunga dalla primavera all'autunno; in casa e nelle giuste condizioni, può invece fiorire per tutto l'inverno. Affine è P. x gledhillii, un ibrido di origine orticola tra P. makoyana e P. multiflora, con brattee rosse. Qualche approfondimento nella scheda. Il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG) è una delle più importanti e benemerite istituzioni botaniche della California (anzi, degli interi Stati Uniti). Situato a Claremont, a est di Los Angeles, è il più ricco giardino botanico dello stato integralmente dedicato alla flora locale, con 22.000 piante native appartenenti a 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Svolge anche una rilevante attività di ricerca e formazione, con un dipartimento di ricerca specializzato in tassonomia e botanica evolutiva; offre corsi di laurea di secondo livello e stage post laurea, in collaborazione con l'università Pomona di Claremont. Pubblica una rivista e altre pubblicazioni scientifiche. Custodisce una biblioteca specializzata, un archivio di 23.000 documenti (incluse fotografie e illustrazioni botaniche originali), un erbario di 1.200.000 esemplari che comprende tutte le specie della area floristica californiana; promuove la conservazione della flora della California meridionale attraverso una banca dei semi, la salvaguardia, la riproduzione e la diffusione delle sue specie; in campo orticolo, è attivamente impegnato nel produrre e testare nuove cultivar. Organizza innumerevoli attività per le scuole e le comunità locali. Tutto questo è nato dal sogno di una donna tenace e volitiva, Susanna Bixby Bryant, circa 90 anni fa quando solo pochi pionieri si rendevano conto di quanto fosse importante la conservazione delle flore locali. Grazie a uno dei ricercatori che lavorano nel RSABG, da qualche anno a ricordarla contribuisce anche il genere Bryantiella (Polemoniaceae). Il sogno di una donna di carattere Con circa 6000 specie, un terzo delle quali endemiche, la California è lo stato con la flora più ricca degli Stati Uniti. Ma già all'inizio del '900, dopo che la Febbre dell'oro vi ebbe riversato migliaia di uomini in cerca di fortuna, quel tesoro naturale incominciava ad apparire in preoccupante e veloce declino per la pressione delle coltivazioni e dell'urbanizzazione e l'invasione di piante aliene. Tra i primi a rendersene conto, Theodore Payne (1872-1963), giardiniere e vivaista inglese trapiantato in California, dove si era innamorato della peculiare e variegata flora della patria d'adozione. Cominciò così a raccogliere bulbi e semi in natura e a moltiplicarli nel suo vivaio di Los Angeles, specializzandosi nella coltivazione di piante locali. Nel 1915 la città di Los Angeles gli affidò la sistemazione di un'area di 20.000 metri quadri nell'Exibition Park, nel quartiere centrale della città; Payne usò esclusivamente piante native, piantandone 262 diverse specie. Fu probabilmente questa realizzazione di Payne ad ispirare a Susanna Bixby Bryant, una dama dell'alta società californiana, il progetto che avrebbe portato alla nascita di Rancho Santa Ana Botanical Garden. La giovane donna era nata in una famiglia di ricchissimi latifondisti, proprietari di immensi ranch gestiti con modalità industriale, ed aveva trascorso la prima infanzia in una delle proprietà dei Bixby, Rancho Los Alamitos, dove grazie al padre, un imprenditore dalle idee innovative, aveva sviluppato un forte legame con la natura di quei luoghi così particolari, tra mare, colline e deserto. Rimasta presto orfana, fu inviata in un ottimo collegio di Boston dove ricette un'educazione formale insolita per le ragazze dell'epoca, quindi viaggiò a lungo con la madre in Europa e altrove. Al suo ritorno in California, nel 1904, si sposò con Ernest Albert Bryant, il medico personale del magnate delle ferrovie Henry Hungtington (che proprio in quegli anni stava facendo costruire un giardino botanico ricco di essenze esotiche a San Marino, oggi una delle maggiori attrazione dell'area di Los Angeles). Nel 1906, quando la madre morì, Susanna si trovò comproprietaria, con il fratello, di due vaste proprietà, Rancho Los Alamitos e Rancho Santa Ana; decise che ne aveva abbastanza di dividere le sue giornate tra tè, ricevimenti e riunioni di comitati di beneficenza, e, prima donna a farlo, incominciò a gestire di persona l'azienda, dove piantò aranci, noci, peri, melograni e sperimentò nuove introduzioni come pompelmi e litchi. Da tempo desiderava fare qualcosa per onorare la memoria del padre, che aveva perso quando aveva solo sette anni ma non aveva mai dimenticato. Il giardino californiano creato da Payne all'Exibition Park le diede l'idea che cercava: avrebbe trasformato una parte del Rancho Santa Ana (di cui nel frattempo aveva acquisito l'intera proprietà) in un orto botanico interamente dedicato alla flora californiana e l'avrebbe intitolato alla memoria del padre John William Bixby. Non si sarebbe trattato di un giardino privato di piacere; Susanna lo concepì fin da subito come un'istituzione pubblica, con compiti di conservazione, ricerca ed educazione. Per definire il progetto, si avvalse della consulenza di vari esperti, in particolare lo stesso Payne e il professor Willis Linn Jepson dell'Università di California, autore di una flora californiana di riferimento. Il progetto incominciò a prendere corpo nel 1926. All'interno del Rancho Santa Ana, la signora Bryant scelse un terreno singolarmente adatto per riprodurre, sebbene in miniatura, i diversi habitat della California: esteso su circa 160 acri sulle colline lungo il fiume Santa Ana tra 130 e 340 m. sul livello del mare, presentava una grande varietà di suoli e esposizioni, dal pieno sole all'ombra profonda; al momento, era uno spazio nudo, quasi privo di alberi. Prima di iniziare i lavori, ella volle comunque ancora sentire il parere del patriarca della botanica americana, Charles Sprague Sargent, il direttore dell'Arnold Arboretum di Boston. La risposta del burbero botanico fu deludente: a suo parere, riprodurre i vari ambienti della regione e piantare ogni tipo di pianta era assolutamente sconsigliabile; sarebbe stato meglio limitare lo spazio destinato all'arboreto e accontentarsi di una selezione di specie capaci di vivere senza irrigazione, che una volta cresciute avrebbero potuto fare da sé. La signora Bryant non si lasciò scoraggiare e replicò con un pizzico di ironia: "In maniera squisitamente femminile, ho deciso di correre il rischio e intendo procedere con il mio progetto iniziale". Accettò tuttavia il secondo consiglio di Sargent: affidare la progettazione a Ernest Braunton, architetto del paesaggio dell'Università della California meridionale. I lavori iniziarono nel 1927; i primi sette anni vanno considerati sperimentali: furono occupati nella costruzione di una serra, della direzione e degli altri edifici necessari, nella messa a dimora delle piante, inizialmente procurate da Payne, ma poi raccolte dal piccolo staff del giardino (di cui fin dall'inizio fece parte un botanico) in spedizioni in natura, e soprattutto nella verifica della fattibilità del progetto. Nel 1934 Susanna e i suoi collaboratori decisero che la prova era superata ed era ora di trasformare il giardino in un'istituzione formale. Con la stesura dello statuto, la creazione di una fondazione, la nomina di un consiglio d'amministrazione (Trustee), il conferimento di un capitale sociale (grazie a una donazione della signora Bryant) nacque così ufficialmente il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG). Negli anni successivi l'orto botanico continuò a crescere, con la creazione di alcuni "giardini speciali": quello dei cactus, quello delle succulente (dedicato in particolare ai generi Sedum e Dudleya), la collezione dei Penstemon, il giardino dei bulbi, quello delle piante acquatiche e di palude, il felceto, il prato naturale di fiori selvatici (con piante della prateria come Clarkia, Gilia, Phacelia). Parallelamente si sviluppò l'attività di ricerca e formazione, in collaborazione sempre più stretta con Pomona University di Claremont, grazie all'arrivo a Santa Ana in qualità di botanico di Philip Munz, grande esperto di flora dei deserti, che insegnava botanica in quella Università. Furono creati un erbario e una biblioteca; vennero organizzate mostre, conferenze, visite guidate; nel 1948 incominciò anche la pubblicazione di una rivista semestrale, Aliso (dal nome locale del platano della California o sicomoro, Platanus racemosa), che poi si sarebbe specializzata in tassonomia e botanica evolutiva. In quel momento, già da due anni la signora Bryant non c'era più: era infatti morta all'improvviso nel 1946; una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Una grande istituzione botanica Al momento della scomparsa di Susanna Bixby Bryant, l'istituzione nata dal suo sogno e dalla sua determinazione era ormai in grado di reggersi sulle sue gambe. Da tempo la signora Bryant e i suoi collaboratori pensavano che la collocazione del giardino, pur eccellente sotto molti punti di vista e così colma di significato simbolico e affettivo, fosse però troppo periferica per permettere la frequentazione continuativa degli studenti e dei dottorandi di Claremont. Fu così che, senza tradire la volontà della fondatrice, nel 1950 il giardino venne trasferito nell'attuale sede, ai piedi della collina San Gabriel a Claremont; invariati rimanevano gli obiettivi: in primo luogo, la conservazione della flora della California attraverso lo sviluppo delle collezioni vive del giardino botanico; il suo studio attraverso la ricerca sul campo, i laboratori, la collaborazione con l'Università; la divulgazione della conoscenza delle piante native e la loro diffusione in giardini pubblici e privati. Oggi il RSABG è una grande istituzione scientifica, retta da un nutrito staff professionale ma anche dall'entusiasmo di centinaia di volontari; è aperta alle scuole e al territorio, ospita stages di formazione e i corsi di dottorato in botanica dell'Università di Claremont; ha un dipartimento di ricerca specializzato in sistematica e botanica evolutiva; si è dotato di una banca dei semi e partecipa attivamente ai progetti di reintroduzione con semenzali prodotti e testati nei propri vivai. Per altre informazioni sulle collezioni, i progetti scientifici, i progetti di ricerca, le attività divulgative e didattiche si rimanda al sito del RSABG. Su un'estensione di 86 acri (35 ha), il giardino ospita oltre 20.000 piante native, appartenenti a circa 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Si incontrano le prime già a far ombra al parcheggio; tra di loro due esemplari di Juglans californica, il noce della California. Subito dopo l'ingresso, si trova il negozio del vivaio, dove il visitatore può trovare in vendita le piante native e le cultivar sviluppate nel giardino: sono oltre 75, e tra di esse si annoverano numerosi Arctostaphylos, Ceanothus, Fremontodendron, Heuchera. Subito dopo, si passa in mezzo a un prato naturale, Fay's Wildflower Meadows, un tappeto fiorito ricchissimo di specie sempre mutevole nel corso delle stagioni, con il massimo di fulgore tra metà inverno e inizio dell'estate; tra gli altri, ad attirare visitatori, farfalle e colibrì, Eschscholzia californica, Lupinus albifrons e Calochortus clavitus. La visita può proseguire lungo il sentiero facilitato che conduce alla parte bassa o arrampicarsi immediatamente sulla Indian Hill Mesa. Il giardino è infatti diviso in tre settori principali: in basso, l'East Alluvional Garden e le Plant Communities, in alto, con un dislivello di una dozzina di metri, appunto la Indian Hill Mesa, una tipica formazione rocciosa con fianchi scoscesi e cima pianeggiante. L'East Alluvional Garden ospita le piante di vari habitat: le succulente del non lontano deserto di Mojave nel California Desert Garden, le specie costiere nel Costal Dune Garden, la peculiare flora delle isole nel Grafton Channel Island Garden. Di grande impatto la Palm oasis, che riproduce una oasi del Colorado Desert, dominata dall'unica palma nativa, Washingtonia filifera, di cui si possono ammirare esemplari che superano i 20 metri, con le foglie secche lasciate al loro posto, come in natura, a fare da gonnellino e a proteggere dall'arsura. Al limitare di questo settore, si incontra il patriarca del giardino, il Majestic Oak, un esemplare di Quercus agrifolia la cui età stimata è di 250 anni. Su un'area di circa 55 acri si estende il settore più selvaggio del giardino, le Plant Communities, in cui le piante sono lasciate il più possibile allo stato di natura. Qui il momento migliore è l'inverno, dopo che le piogge autunnali hanno risvegliato le piante assopite dai calori estivi. Tra le varie comunità rappresentate, i chaparral della California meridionale e settentrionale, il bosco pedemontano umido, i boschetti di ginepri della California settentrionale nonché comunità specifiche dominate rispettivamente dai pini di Torrey (Pinus torreyana), dai Joshua Trees (Yucca brevifolia), dai ginepri (Juniperus occidentalis). E' un'area ricca di esemplari notevoli, come un altissimo Boojum tree (Fouquieria columnaris), un enorme Big Berry Manzanita (Arctostaphylos glauca), gli spinosi Crucifixion Thorn (Canotia holacantha), le dorate fioriture di Parkinsonia florida e Fremontodendron californicum, le macchie rosa di Chilopsis linearis. La Indian Hill Mesa è il cuore del giardino, di cui ospita anche la direzione, le strutture didattiche e i vivai; vi si trovano un padiglione delle farfalle, il Giardino delle cultivar, un piccolo stagno ombroso dove nuotano le tartarughe, e naturalmente una distesa di arbusti e alberi, tra cui non possono mancare i giganti della California, Sequoia sempervirens e Sequoiadendron giganteum. Possiamo concludere che il sogno di Susanna Bixby Bryant ha dato buoni frutti. Bryantiella, un fiore per il più arido dei deserti Tra i numerosi botanici che lavorano al RSABG come ricercatori, c'è anche J. Mark Porter, attualmente professore associato di botanica all'Università di Claremont, uno specialista di sistematica e botanica evolutiva. I suoi studi più noti riguardano due famiglie ben rappresentate nella flora californiana, le Cactaceae e le Polemoniaceae. Nel 2000, insieme a L.A. Johnson della Brigham University, ha pubblicato un importante studio su quest'ultima famiglia, in cui ha proposto di staccare cinque piccoli generi da Gilia Ruiz. & Pav., uno dei generi più variegati dei deserti americani. Uno ha voluto dedicarlo alla nostra Susanna, denominandolo Bryantiella. Al momento della sua creazione, gli furono assegnate due specie, con un areale disgiunto: Bryantiella palmeri, un endemismo della Baja California, e B. glutinosa, che vive in diversi ambienti aridi del Cile. Poiché più recentemente (2015) quest'ultima è stata trasferita nel genere Dayia, oggi Bryantiella è un genere monotipico, rappresentata dalla sola B. palmeri. E' un'erbacea che può comportarsi come annuale o perenne, in base al regime delle piogge; ha foglie lineari intere o pennatosette, fusticini sottili, fiori solitari a coppa con cinque lobi bianchi o rosa-violaceo. All'apparenza fragile, si è adattata a uno deserti più aridi del Nord America, il San Felipe Desert in Baja California. Un breve profilo nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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