Ognuno ha i suoi talenti. Quelli di Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d'Austria e imperatore più di nome che di fatto, non erano né la politica né le armi, ma gli affari (per i quali è considerato addirittura un genio), le arti e le scienze. Fu un grande mecenate e lasciò la sua impronta più visibile nel parco di Schönbrunn, dove volle ci fossero anche un serraglio e un orto botanico ricchi di animali e piante esotiche. Su suggerimento dell'archiatra van Swieten, a crearlo furono due giardinieri olandesi, Adrianus van Stekhoven e Ryk van der Schot. Per popolare gabbie e aiuole, l'imperatore progettò di persona e finanziò una spedizione nelle Antille che ebbe grandissimo successo, certo grazie alla competenza e alle capacità organizzative del botanico von Jacquin, ma anche all'ingegno del giardiniere van der Schot che riuscì nell'impresa, rara all'epoca, di fare arrivare vive decine e decine di piante rare. Meritatissima dunque la dedica dell'esotico e sfavillante genere Schotia. ![]() La nascita di un giardino imperiale Avere tempo libero può essere un ottimo affare. Francesco Stefano di Lorena, il marito francese dell'imperatrice Maria Teresa, anche dopo essere stato nominato imperatore come Francesco I, lasciò la cura dello stato alla consorte, che se ne intendeva molto più di lui, e si dedicò a consolidare il patrimonio familiare (abilissimo, lo separò da quello statale e lo moltiplicò, divenendo multimilionario grazie agli ottimi investimenti e a manifatture all'avanguardia) e alle sue svariate passioni. Patito cacciatore e coureur de femmes, buon violinista e mecenate di musicisti e compositori, amante del teatro, fu soprattutto collezionista) collezionava monete e medaglie) e protettore delle scienze. Quando divenne granduca di Toscana, acquistò per 40.000 scudi il ‘Cabinét de curiosités’ dell'erudito Jaen de Baillou, un'ampissima collezione di minerali, fossili, conchiglie, insetti ed altre curiosità naturali, e lo fece venire a Vienna insieme allo stesso Baillou come direttore della sua collezione privata, il primo nucleo del futuro Naturistorische Museum. Gli esemplari vennero sistemati in un palazzo sulla Wallnerstrasse (noto come Kaiserhaus) dove Francesco Stefano aveva i quartieri privati in cui poteva ricevere discretamente diplomatici e i suoi vari emissari, nonché gli scienziati che amava riunire attorno a sé; disponeva di una biblioteca e di un laboratorio ben attrezzato, dove venivano condotti esperimenti utili alle sue attività commerciali. Uno dei frequentatori più assidui era sicuramente l'archiatra van Swieten e probabilmente fu lui a suggerirgli di trasformare anche una parte del parco di Schönbrunn in un vero e proprio centro di ricerca, con un serraglio e un orto botanico. Il palazzo di Schönbrunn era inizialmente un casino di caccia, molto caro dall'imperatrice cui era stato ceduto dal padre, l'imperatore Carlo VI, quando era una giovane sposa; a partire dal 1743, la sovrana ordinò grandi ampliamenti per trasformarlo nella residenza estiva della famiglia imperiale, sontuosa come Versailles ma allo stesso tempo più intima e familiare. Della sistemazione dei giardini si occupò il marito, che si avvalse di diversi artisti fatti venire dalla Lorena. Era un giardino formale alla francese, con viali diagonali che confluivano al centro lungo un asse longitudinale. Di fronte alla facciata sud del palazzo, si allungava un vasto parterre con aiuole a disegni (parterre de broderie), delimitato lateralmente dai "boschetti", stanze verdi con siepi ed alberi potati in forme geometriche. Questa era la parte pubblica e di rappresentanza del parco. C'erano poi giardini riservati alla sola famiglia imperiale, tra cui proprio il settore a vocazione scientifica voluto da Francesco Stefano. Intorno al 1750 egli acquistò dalla comunità di Hietzing un terreno situato all'estremità occidentale del parco. In primo luogo vi fece allestire il serraglio; costruito nel 1751 su disegno dell'architetto lorenese Jean-Nicolas Jadot, ha pianta radiale; il centro è occupato da un padiglione da cui si godeva una vista a 360° sui viali a stella che portavano alle singole gabbie e voliere; è una leggenda che nel sotterraneo si trovasse un laboratorio imperiale segreto. Inaugurato con un grande ricevimento nell'estate del 1752 e, benché trasformato, ancora esistente, è considerato il più antico giardino zoologico del mondo. Nel 1753, iniziarono i lavori per l'annesso orto botanico. Su suggerimento di Van Swieten, fu assunto un esperto orticultore di Leida, la città natale dell'archiatra: Adrianus van Stekhoven (o, alla tedesca, Adrian Steckhoven, 1704/05-1782) arrivò a Vienna insieme al suo assistente Ryk (o Richard) van der Schot (1733-1790), nativo di Delft; portavano con loro 10.000 bulbi e una collezione di piante esotiche, tra cui una palma con una storia. Stekhoven sosteneva che nel 1684 l'avesse fatta venire dall'India lo Statolder Guglielmo d'Orange, poi Guglielmo III d'Inghilterra; all'epoca, la pianta aveva un'eta stimata di 30 anni. Nel 1702 fu donata al re Federico I di Prussia; nel 1739 il suo successore l'aveva donata a lui. Egli la trapiantò nel giardino viennese nel 1753 e nel 1765, con assidue cure, riuscì a farla fiorire e persino a fruttificare. Da quel momento fu per tutti la "palma di Maria Teresa". Scomparsa da molto tempo, non è mai stata identificata con certezza, anche se è stato supposto potesse trattarsi di Corypha umbraculifera, una palma monocarpica nota per la crescita lenta e per aver l'infiorescenza ramificata più grande del mondo. In tal caso, sarà morta poco dopo la prodigiosa fioritura. Ma torniamo al giardino che, creato da maestranze olandesi, è noto come "Giardino olandese". Aveva pianta grosso modo rettangolare; separato dal serraglio sul lato nord da una palizzata, era diviso in tre riquadri, ciascuno dei quali comprendeva quattro aiuole simmetriche, con una fontana centrale, nel punto d'intersezione dei sentieri; nel primo riquadro vennero piantati i bulbi portati dall'Olanda e altri fiori, in quello centrale orticole e piante da fiore, nell'ultimo specie delicate da proteggere in inverno, non ci è noto se in piena terra o in vaso. Al di fuori del giardino, lungo il lato occidentale, c'erano piante da frutto; altri fruttiferi, potati a spalliera, erano coltivati lungo il muro orientale. All'estremità del giardino venne costruita una grande serra, cui più tardi vennero aggiunte due ali; sul lato occidentale, c'erano quattro serre più piccole, forse più simili a cassoni vetrati, e sul fondo la casa del capo giardiniere. Nell'arco di un anno, il giardino fu pronto. Era certo ben organizzato, con le piante sistemate in modo scientifico, secondo il modello dell'orto botanico di Leida, ma appariva ancora molto vuoto, e un po' troppo casalingo e troppo simile simile a un orto. Francesco Stefano avrebbe voluto qualcosa di decisamente più imperiale. Stando alle memorie che Nikolaus Joseph von Jacquin dettò al figlio Joseph Franz, non gli sfuggì che quel giovanotto frequentava assiduamente il recentissimo giardino: ne stava infatti catalogando le piante secondo il sistema di Linneo, ancora ignoto negli Stati austriaci (del resto, Species plantarum è del 1753). Sentito il solito van Swieten, capì che era la persona giusta per popolare quelle aiuole e quelle gabbie troppo vuote. Gli propose di partire per le Indie occidentali a fare incetta di piante e animali esotici. Von Jacquin accettò, e il 9 dicembre 1754, munito di precise istruzioni imperiali e accompagnato dal solo aiuto giardiniere van der Schot, partì all'avventura. Mi riservo di raccontare questa spedizione in un altro post, per concentrarmi qui sul giardino e i suoi giardinieri. Basti ora dire che la spedizione si protrasse per cinque anni e toccò gran parte delle Antille; Von Jacquin si rivelò un ottimo organizzatore e inviò periodicamente a Vienna animali, piante e casse di curiosità naturali; il primo invio dalla Martinica giunse già nell'agosto 1755. All'inizio del 1756, era pronto un invio particolarmente prezioso: 266 tra alberi e arbusti, di 40 specie differenti, in gran parte ancora ignoti in Europa; mediamente gli alberi erano alti un metro, con un tronco del diametro di un braccio e più. Van der Schot li aveva accuratamente preparati al viaggio, estirpandoli dal terreno con una gran parte delle radici; le zolle, che potevano pesare anche 100 libbre, venivano poi avvolte in foglie di banano e assicurate con corde di Hibiscus tiliaceus. Inoltre, per limitare al massimo il fabbisogno d'acqua, le chiome erano state accuratamente potate, mantenendo la forma naturale. Nonostante questi preparativi, se nessuno se ne fosse preso cura durante il viaggio oceanico quelle piante sarebbero in gran parte perite. Ecco perché ad accompagnarle fu van der Schot in persona, che il 28 febbraio si imbarcò con il prezioso carico alla volta dell'Europa su un vascello dal nome ben augurante, l'Espérance. Oltre alle piante c'erano 27 uccelli esotici, un formichiere, un uistitì e dieci casse di conchiglie, pesci essiccati, fossili, minerali e oggetti etnografici. Le piante erano state preparate così bene e seguite con tanta cura che, ad eccezione delle Heliconia divorate dai ratti di bordo, arrivarono tutte sane e salve: uno straordinario successo per l'epoca dei velieri, quando la percentuale di piante vive che riusciva a superare i viaggi transoceanici era bassissima. Von Jacquin spedì a Vienna in tutto sette invii. Con l'ultimo, partito dall'Havana nel gennaio 1759, viaggiava egli stesso, insieme all'ultimo dei suoi compagni, l'uccellatore toscano Barculli. Grazie alla fortunatissima spedizione, il serraglio e il giardino olandese si trovarono d'un colpo a eguagliare se non a superare le collezioni dei giardini reali di Parigi o Londra. Nominato giardiniere imperiale e direttore del giardino di Schönbrunn, Van Stekhoven lo diresse abilmente per molti anni, intervenendo anche nel resto del parco, dove aggiunse tra l'altro una grotta artificiale al di sopra della bella fontana che gli dà il nome. Anche se nel 1765 l'imperatore morì all'improvviso, le collezioni continuarono a crescere; le conosciamo grazie al catalogo manoscritto redatto da Richard var der Schott tra il 1774 e il 1779. Finché, in una fredda giornata del novembre 1780, si produsse un increscioso incidente: mentre van Stekhoven, ormai anziano, giaceva a letto per un attacco di gotta e van der Schot era influenzato, uno degli aiuti dimenticò di ricaricare la stufa della grande serra; al mattino, il capo giardiniere accorse e completò il disastro caricandola troppo: così le piante che erano sopravvissute al gelo morirono per il caldo eccessivo. Non c'è da stupirsi se fu messo a riposo e sostituito da van der Schot, che diresse i giardini imperiali fino alla morte nel 1790, inaugurando anche una dinastia di giardinieri; suo figlio Joseph tra il 1794 e il 1804 fu il capo giardiniere dell'orto botanico universitario di Vienna. In precedenza, era stato uno dei membri della spedizione Märter, decisa da Giuseppe II proprio per rimediare i guasti dell'incidente del 1780. Oltre a lavorare nei giardini imperiali, padre e figlio furono attivi come progettisti di giardini in Boemia. Nel 1785 Richard van der Schot disegnò il parco all'inglese del castello di Veltrus per il conte Johann Chotek, mentre all'inizio dell'Ottocento il figlio passò alle dipendenze del principe di Liechenstein che lo mandò in America a fare incetta di piante per trasformare il parco di Lednice in stile paesaggistico. ![]() Splendide fioriture Van Stekhoven è ricordato da una via di Vienna (Steckovengasse) ma da nessuna pianta, al contrario di van der Schot, onorato dal genere Schotia, istituito da von Jacquin con una dedica che ben testimonia la sua stima per l'antico compagno di viaggio: "Questo alberetto che nel mese di ottobre fiorisce copiosamente e in modo assai elegante nella serra calda del giardino imperiale di Schönbrunn costituisce un nuovo genere; perciò gli ho dato un nuovo nome, desunto dall'eccellente Richard van der Schot, giardiniere imperiale e prefetto del giardino imperiale di Schönbrunn, un tempo mio compagno di viaggio in America, grazie alla cui cura indefessa e all'eccezionale abilità in quel giardino sono oggi coltivate tante piante rare che ogni anno producono fiori". Von Jacquin espresse la sua stima anche scegliendo una pianta particolarmente bella, come lo sono tutte le quattro specie di questo piccolo genere di Fabaceae endemico dell'Africa meridionale. Sono alberi da piccoli a grandi, con vistose fioriture, scarlatte per Schotia afra, S. brachypetala e S. capitata, rosa per S. latifolia. I colori giusti per attirare i loro principali impollinatori, gli uccelli nettarinidi. In effetti producono enormi quantità di nettare, un richiamo e una risorsa anche per api e altri insetti, ma un problema quando vengono piantati in aree pavimentate. Il fogliame decorativo e il portamento aggraziato ne fanno ottime piante da ombra nelle aree non soggette a gelate; nei paesi d'origine hanno però molti alti usi: i semi di tutte le specie sono eduli, e i baccelli vengono raccolti ancora verdi e poi arrostiti; la corteccia di alcune specie veniva usata per produrre coloranti; corteccia, e talvolta foglie e radici, hanno proprietà medicinali. Qualche approfondimento nella scheda.
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A partire dalla seconda metà del Settecento, l'Università di Vienna acquisì grande rinomanza per la sua scuola di medicina. Il merito spetta all'olandese Gerard van Swieten, che, nominato archiatra dell'imperatrice Maria Teresa, trapiantò nella capitale austriaca gli insegnamenti del suo maestro Boerhaave, riformando profondamente il fino ad allora arretrato insegnamento della medicina. Tra i suoi meriti, anche l'introduzione della chimica e della botanica nel curriculum dei futuri medici e la fondazione dell'orto botanico universitario di Vienna. Il suo allievo Nikolaus von Jacquin, che tanto gli doveva anche a livello personale, volle ricordarlo dedicandogli Swietenia, il genere cui appartengono gli alberi da cui si ricava il bellissimo mogano. ![]() Un medico riformatore A Vienna, al centro della piazza omonima, campeggia il gigantesco monumento all'imperatrice Maria Teresa d'Austria, voluto da Francesco Giuseppe per celebrare la sua antenata e insieme le glorie dell'impero austriaco. La sovrana è assisa sul trono, al sommo di un alto pilastro in granito, ciascuno dei cui lati è ornato da un timpano con un gruppo ad alto rilievo ed una statua indipendente, che rievocano i quattro settori in cui eccelse l'Austria dei lumi: la politica, l'amministrazione, le armi, le scienze e le arti. A rappresentare queste ultime nel rilievo il numismatico Joseph Hilarius Eckhel, lo storico György Pray e i musicisti Christoph Willibald Gluck, Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart bambino; davanti a loro la statua dell'archiatra Gerard van Swieten (1700-1772), fondatore della scuola di medicina di Vienna, che dell'imperatrice non fu solo il medico personale, ma ascoltatissimo consigliere e anima di molte riforme non solo in campo medico. Eppure egli non era né austriaco né suddito imperale, ed aveva accettato il prestigioso incarico con estrema riluttanza. Olandese, era nato a Leida in una famiglia cattolica di origini nobili. Iniziò gli studi nella città natale in modo brillante, ma a 12 anni perse il padre, un affermato notaio che lavorava soprattutto per una clientela cattolica. Inviato dai suoi tutori a studiare filosofia a Lovanio, si appassionò di scienze naturali. Avrebbe voluto studiare medicina a Leida, ma al momento non ne aveva la possibilità economica. Così a 15 anni fu messo a bottega ad Amsterdam presso il farmacista Laurens Tatum; tuttavia nel 1717 contrasse il vaiolo e, una volta guarito ritornò a Leida; ne approfittò immatricolarsi nella facoltà di medicina, in quegli anni dominata dal grande Boerhaave, un medico famoso in tutta Europa, che insegnava medicina, chimica, botanica e dirigeva l'orto botanico universitario. Fu così folgorato dalla sua versatile sapienza e dal suo metodo innovativo (Boerhaave fu il primo a portare i suoi studenti al capezzale dei malati, creando di fatto la medicina clinica) che per anni, anche quando era già lui stesso medico, continuò a seguire le sue lezioni (si dice ne abbia persa solo una). Tra il 1718 e il 1720 completò la formazione come farmacista presso Nicolaas Stam, decano della corporazione dei farmacisti e ottimo chimico (suo padre David era stato il maestro di chimica di Boerhaave), ottenendo la licenza nel 1720. Senza interrompere gli studi di medicina, aprì una propria bottega a Leida e nel 1725 si laureò con una tesi sulle arterie e le loro funzioni. Per qualche tempo affiancò le due attività di farmacista e medico, ma del 1727 si concentrò sulla medica e prese anche ad impartire lezioni private di chimica e medicina, finché nel 1734 gli venne vietato dall'Università. Come medico aveva un'ampia clientela ed era molto stimato, tanto che nel 1738, quando morì Boerhaave, sarebbe stato il più indicato a succedergli: ma ciò era impossibile, in quanto cattolico. Ne aveva seguito le lezioni fino alla morte, e nel 1742 iniziò a pubblicare i suoi aforismi con i propri commenti (Commentaria in Hermani Boerhaave aphorismos de cognoscendis et curandis morbis, "Commenti sugli aforismi di Boerhaave su come diagnosticare e curare le malattie"); l'opera, arricchita con la sua personale pratica clinica, l'avrebbe accompagnato per tutta la vita, fino all'ultimo volume, uscito nel 1772. La sua fama intanto aveva travalicato i confini dell'Olanda; nel 1742 morì l'archiatra imperiale e, su raccomandazione del futuro cancelliere von Kaunitz, che all'epoca amministrava i Paesi Bassi austriaci e aveva sentito parlare della sua competenza professionale e della sua indipendenza di pensiero, il posto fu offerto a van Swieten che inizialmente rifiutò, scrivendo a un amico che preferiva rimanere "un piccolo repubblicano piuttosto che portare un titolo pomposo che nasconde un'esistenza da schiavo". La diplomazia imperiale però continuò a lavorarlo ai fianchi, finché, dopo un anno e mezzo, nell'ottobre 1744, forse soprattutto considerando che, come cattolico, aveva poche prospettive di carriera in patria, cedette, e da repubblicano si fece monarchico. Subito dopo l'accettazione, fu chiamato a Bruxelles, per assistere la sorella minore di Maria Teresa, governatrice dei Paesi Bassi, mai ripresasi dopo aver dato alla luce un bimbo nato morto. Purtroppo van Swieten non poté salvarla, ma non perse perciò la fiducia dell'imperatrice. Nel maggio 1745, dopo aver venduto i propri beni olandesi, si trasferì a Vienna con la famiglia; infatti, nel frattempo si era sposato con Maria ter Beeck van Coesfelt, anch'essa figlia di un notaio e sorella di un antico compagno di scuola di Lovanio, e ne aveva avuto cinque figli; la sesta, chiamata Maria Teresa, in onore della sovrana, sua madrina, sarebbe nata a Vienna. Van Swieten, le cui idee innovative (nonché i modi borghesi) erano tutt'altro che graditi a cortigiani e maggiorenti austriaci, godette della stima e dell'assoluta fiducia della sovrana; oltre che archiatra, fu nominato prefetto della biblioteca imperiale e nel 1749 gli fu affidata la riforma della facoltà di medicina dell'Università di Vienna, all'epoca molto arretrata e dominata dai gesuiti e dalla corporazione dei medici. Come preside della facoltà, Van Swieten, oltre a tenere egli stesso conferenze di fisiologia e medicina generale nella biblioteca di corte, rinnovò il corpo insegnante; dotò l'università di aule e strutture adeguate; istituì le cattedre di medicina teorica, medicina pratica, anatomia, chirurgia, chimica e botanica; rinnovò totalmente la conduzione degli ospedali di Vienna, trasformati in veri e propri centri di ricerca in cui furono create classi di medicina strutturate, dove gli studenti completavano la loro formazione al capezzale dei malati, imparavano a redigere una diagnosi motivata e assistevano alle autopsie. Tra i suoi maggiori collaboratori in campo medico, un altro olandese, Anton de Haen (1704-1776), da lui chiamato a reggere la cattedra di medicina pratica, che fu, tra l'altro, il primo a introdurre il controllo regolare della temperatura corporea e l'uso del termometro. Nel 1751, come bibliotecario imperiale, van Swieten fu nominato presidente della commissione di censura, dalla quale esautorò i gesuiti, cercando, anche se non sempre con successo, di analizzare i libri sulla base di criteri razionali, come l'utilità e la rilevanza scientifica. Nel 1752 l'Università divenne un'istituzione statale e riforme furono introdotte anche nelle facoltà di teologia, filosofia e giurisprudenza. L'imperatrice, che lo ascoltava anche in altri campi, nel 1755 gli affidò un'inchiesta su un preteso caso di vampirismo avvenuto in Moravia; van Swieten dimostrò che si trattava di una superstizione e in Abhandlung des Daseyns der Gespenster ("Discorso sull'esistenza dei fantasmi") diede una spiegazione scientifica dei vari fenomeni all'origine del mito; il risultato fu un decreto imperiale che vietava antiche pratiche macabre come esumare e trafiggere o bruciare i cadaveri dei supposti vampiri. Si dice che Bram Stoker si sia ispirato a lui per il personaggio del cacciatore di vampiri van Helsing del suo romanzo Dracula. La creazione dell'orto botanico di Vienna si inquadra nella generale azione riformatrice di van Swieten. Prima di lui all'università di Vienna non si insegnavano né la botanica né la chimica; inoltre, l'università non disponeva di edifici adeguati. Gradualmente, durante la sua gestione furono creati un anfiteatro anatomico, un laboratorio chimico, una clinica di facoltà e appunto un orto botanico, istituito nel 1754 in un'area di un ettaro sul Rennweg, adiacente al palazzo di Belvedere. Concepito come Hortus medicus, era destinato all'insegnamento della botanica applicata a medici e farmacisti e vi era annesso il laboratorio di chimica. Il progetto e la sistemazione delle piante vennero affidati al francese Robert Laugier (1722-1793), primo titolare della cattedra di chimica e botanica fin dal 1749, e poi primo direttore dell'orto botanico, che fece sistemare le aiuole didattiche secondo il sistema di classificazione di Boissier de Sauvages basato sulla forma delle foglie. Laugier diresse il giardino per una quindicina di anni, finché van Swieten, che ne aveva scarsa stima (gli rimproverava l'insufficiente conoscenza del latino e, come amico e corrispondente di Linneo, certo poco apprezzava il sistema di Sauvages), riuscì a costringerlo alle dimissioni, convincendo l'imperatrice a tagliargli lo stipendio: aveva infatti pronto per rimpiazzarlo un botanico di ben altro valore: il suo conterraneo, allievo e protetto Nikolaus Joseph von Jacquin, secondo prefetto dell'orto botanico e titolare delle cattedre di chimica e botanica dal 1768. Gli ultimi anni di van Swieten furono funestati, oltre che da un serie di malattie (nel 1772, in seguito a un tumore, subì anche l'amputazione di una gamba), dallo scontro con il figlio maggiore di Maria Teresa, divenuto imperatore come Giuseppe II nel 1765 in seguito alla morte del padre Francesco Stefano di Lorena. Egli infatti imputava al medico olandese la morte delle due mogli e delle due uniche figlie: nel 1763 la prima moglie era morta di vaiolo insieme alla secondogenita neonata, nel 1767 sempre di vaiolo era morta anche la seconda, mentre nel 1770, l'adorata figlia maggiore Maria Teresa era morta di pleurite ad appena otto anni. Quale fosse la responsabilità del vecchio medico in queste tragedie non saprei, ma certo egli inizialmente si era opposto all'inoculazione del vaiolo, una pratica ancora molto rischiosa. Il vaiolo lo era anche di più: tra le vittime di questa malattia implacabile ben cinque dei sedici figli dell'imperatrice; solo dopo la morte della sedicenne arciduchessa Maria Giuseppina, van Swieten si convinse e scrisse a William Pringle, il medico di Giorgio III, chiedendo di inviare a Vienna un medico esperto per inoculare il vaiolo all'intera famiglia imperiale. La scelta cadde su un altro olandese, Jan Ingenhousz, che aveva già inoculato con successo i famigliari di Giorgio III. Dopo aver brillantemente espletato il suo compito, rimase a Vienna come medico imperiale e qui completò i suoi studi in cui gettò le basi della comprensione del meccanismo della fotosintesi. Va dunque ascritto a merito di van Swieten aver portato a Vienna, oltre a de Haen e von Jacquin, anche questo dotatissimo connazionale. Il figlio maggiore Gottfried si illustrò in altri campi. Dapprima diplomatico, poi prefetto della biblioteca imperiale e presidente della commissione di censura dopo il padre, è celebre soprattutto per i suoi interessi musicali. Ambasciatore a Berlino negli anni '70, commissionò sei sinfonie a Carl Philipp Emanuel Bach, che gli dedicò una delle sue opere più famose, la terza raccolta delle Sonate per intenditori ed appassionati; a Berlino inoltre raccolse molti manoscritti di Bach e Händel, che poi fece regolarmente eseguire nei concerti domenicali che si tenevano nella biblioteca di corte, influenzando profondamente tanto Mozart quanto Haydn. Nel 1780, proprio nell'intento di far conoscere e diffondere la musica degli antichi maestri, fondò la Società dei cavalieri associati, per la quale tra il 1789 e il 1790 Mozart arrangiò diversi opere di Händel, tra cui il Messiah, che il salisburghese diresse più volte al clavicembalo. Alla sua morte, fu van Swieten a pagarne il funerale, quindi organizzò la prima esecuzione del Requiem, tenuta come concerto di beneficenza a favore della vedova e dei figli. Van Swieten figlio ebbe stretti rapporti anche con Haydn, per il quale scrisse i libretti della Creazione e delle Stagioni, e con il giovane Beethoven, che gli dedicò la prima sinfonia. ![]() Il mogano, un legname troppo sfruttato Nikolaus von Jacquin non mancava mai di ricordare coloro che in un modo o in un altro lo avevano aiutato nelle sue ricerche; non poteva certo dimenticare il suo maestro, colui che gli aveva aperto la strada di Vienna e aveva gettato lo basi della sua carriera scientifica. Per onorarlo degnamente, scelse una pianta speciale: quella da cui si ricava il più ricercato e bello dei legnami, il mogano. Linneo, come i botanici dell'epoca, pensava che avesse qualche affinità con i cedri e lo collocò nel genere Cedrela come C. mahagoni. Von Jacquin lo assegnò al nuovo genere Swietenia, come S. mahagoni (1760). Questo grande albero delle Antille all'epoca era l'unica specie nota, o almeno fino all'inizio dell'Ottocento si pensava che le variazioni che si riscontravano nel legname proveniente da altre zone fossero dovute al suolo o alle condizioni di crescita, finché nel 1837, studiando esemplari raccolti durante una spedizione nella costa pacifica del Messico, Zuccarini ne identificò una seconda specie di dimensioni minori che chiamò S. humilis. Infine nel 1886, George King, il sovrintendente dell'orto botanico di Calcutta, ne identificò una terza specie, proveniente dall'Honduras e appunto coltivata in quel giardino, e la denominò S. macrophylla. Sono queste le tre specie del genere (famiglia Meliaceae), abbastanza simili tra loro, ma presenti in areali diversi e solo in parte contigui: S. mahagoni è esclusivo della Florida meridionale e delle Antille (Bahamas, Cuba, Giamaica, Hispaniola); S. humilis occorre lunga la costa pacifica dal Messico all'America centrale; S. macrophylla, infine, la specie di maggiore diffusione, vive invece lungo la costa atlantica di Messico e America centrale e si spinge in Sud America fino all'Honduras, alla Bolivia e al Brasile. Sono alberi da medi a grandi (il maggiore, S. mahagoni, può superare i quaranta metri, con un tronco dal diametro di due metri), piuttosto ramificati, con foglie pinnate, da decidue a semi sempreverdi, a seconda dell'area di crescita; i fiori, raccolti in infiorescenze lasse, sono piccoli, con cinque petali ovati da bianchi a verde giallastro; i frutti invece sono grandi capsule legnose più o meno ovoidali che si aprono in cinque valve e contengono numerosissimi semi alati. Gli europei probabilmente conobbero il mogano, o almeno il suo legname, fin dal loro arrivo nelle Antille. Si dice che sia fatta di mogano una croce, datata 1512, conservata nella cattedrale di Santo Domingo, così come alcuni arredi dell'Escorial del tempo di Filippo II. Gli spagnoli però lo utilizzarono soprattutto per le costruzioni navali, e anche nei possedimenti francesi delle Antille fu scarsamente sfruttato. A lanciarne la voga furono dunque gli inglesi, soprattutto dopo il 1721, quando un decreto del Parlamento britannico eliminò i dazi per il legname importato dalle Indie britanniche. Nel corso del secolo, divenne uno dei legnami più apprezzati per ebanisteria, mobili e finiture di prestigio, tanto in Gran Bretagna quanto nelle Tredici colonie; il 90% arrivava dalla Giamaica, il resto dalle Bahamas, con piccoli contributi da altre isole, cui, dopo la temporanea occupazione di Cuba durante la guerra dei Sette anni, si aggiunse anche quest'isola. Attraverso le colonie britanniche, ci è giunto anche il nome mogano. Mentre in spagnolo l'albero - ma anche il suo legname - veniva (e viene) chiamato caoba, un nome derivato da una lingua dei Caraibi, e in francese acajou, dalla lingua tupi, nelle Antille britanniche incominciò ad essere noto come mahogany, una parola dall'etimologia discussa. La spiegazione più diffusa, ma non certo accettata da tutti, la fa risalire a m’oganwo, un nome che gli sarebbe stato dato dagli schiavi neri giamaicani per la sua somigliano con un albero africano (Khaya ivoriensis), chiamato in yoruba oganwo, ovvero "re del legno". Come che sia, il commercio del mogano americano, che nell'Ottocento si estese anche alle altre due specie, divenne così imponente da mettere a rischio la sopravvivenza di questi alberi; il mogano delle Antille era già raro all'inizio del Novecento, e un secolo dopo anche quello centro e sudamericano era avviato sulla stessa strada. Oggi tutte e tre le specie sono incluse nella lista rossa delle piante minacciate; nel 1975 Swietenia humilis è stato inclusa nell'Appendice II CITES (la lista delle piante a rischio di estinzione senza una stretta regolamentazione), seguita nel 1992 da S. mahagoni e nel 2003 da S. macrophylla. Questa è di fatto l'unica specie oggi di una qualche importanza commerciale; dopo che nel 2001 il Brasile ne ha vietato l'esportazione, il maggior produttore è divenuto il Perù, da cui proviene circa il 74% della produzione mondiale, purtroppo in gran parte tagliata illegalmente nella foresta amazzonica. La coltivazione di S. macrophylla, in seguito alle crescenti restrizioni del commercio del mogano americano, alla fine del Novecento è stato introdotta in vari paesi asiatici (India, Bangladesh, Indonesia) e nelle Fiji, ma queste piantagioni sono ancora recenti, con alberi giovani: ecco perché il commercio illegale continua. La soluzione più sostenibile è dunque non acquistare prodotti ricavati dal legname di questi alberi minacciati. D'altro canto nelle Filippine, dove sia S. mahagoni sia S. macrophylla sono state introdotte all'inizio del Novecento, sono considerate specie invasive, con un impatto negativo sul suolo e la biodiversità naturale. Dunque anche l'introduzione al di fuori della loro area d'origine non è senza rischi. Nel 1755 l'Isle de France (ovvero Mauritius) è il teatro dello scontro tra due uomini di piante, o forse due modi di intendere la botanica coloniale: da una parte c'è Pierre Poivre, intenzionato a trasformare l'isola nell'avamposto francese della coltivazione delle spezie; dall'altra Jean Baptiste Christophe Fusée-Aublet, impegnato a sperimentare coltivazioni utili non solo per la Compagnia delle Indie, ma anche per gli abitanti. Poivre, anni dopo, quando tornerà nell'isola come sovrintendente delle Mascarene, riuscirà davvero a farvi prosperare alberi di noce moscata, cannella e chiodi di garofano, ma per ora le poche piante che è riuscito faticosamente a procurarsi soccombono una dopo l'altra. Di chi è la colpa, se non di Fusée-Aublet, geloso dei suoi successi? E' stato lui, ne è certo, a sabotarli, avvelenandoli o innaffiandoli con acqua bollente. Le accuse di Poivre non vengono prese troppo sul serio dalla Compagnia delle Indie, ma bastano a costringere il suo rivale a lasciare l'isola e da quel momento saranno una macchia incancellabile sulla sua reputazione, tanto che nel suo capolavoro, Histoire des plantes de la Guiane françoise, pubblicato vent'anni dopo il fattaccio, si vedrà ancora costretto a confutarle. Inutilmente, almeno nel web, dove ancora oggi domina la versione di Poivre, e il venticello delle sue calunnie continua a far "l'aria rimbombar". E' ora di rendere giustizia a Fusée-Aublet, un grande botanico, la cui sola colpa probabilmente fu amare la verità e l'umanità, al punto da essere uno dei primissimi abolizionisti. Nonché l'autore di un'opera di riferimento per la flora sudamericana, in cui, anticonformista anche in questo, i nomi dei nuovi generi sono per lo più tratti dalle denominazioni locali. ![]() Un soggiorno tempestoso e una leggenda nera dura a morire Il 20 settembre 1761 il farmacista e botanico Jean Baptiste Christophe Fusée-Aublet (1723-1778) lascia definitivamente l'Isle de France (oggi Mauritius), dove per nove anni ha diretto il laboratorio farmaceutico e il giardino sperimentale della Compagnia francese delle Indie. Tre giorni prima, ha accompagnato a visitarlo l'astronomo Guy Pingré. Nelle sue memorie di viaggio, quest'ultimo descrive con ammirazione il giardino e traccia un ritratto memorabile del suo ospite: "Credo questo chimico-naturalista un uomo onesto e intelligente, ma è troppo sincero; non può tenere per sé nessuna verità, la diffonde ovunque; ma, come dice il proverbio, non tutte le verità devono essere dette. All'Isle de France si è fatto quasi altrettanti nemici quanti abitanti". Tra le verità che è meglio non dire ci sono soprattutto le sue convinzioni sui neri e sulla schiavitù, che lo mettono in urto con i coloni dell'isola, che traggono le loro ricchezze dalle piantagioni lavorate da schiavi. Ed è stata probabilmente una verità di troppo a farlo diventare la bestia nera di Pierre Poivre. Ma andiamo con ordine, per inquadrare meglio la personalità di Aublet, indubbiamente un uomo anticonformista e dal carattere spigoloso, anche se non il caratteriale che talvolta viene dipinto. Quando arriva all'Isle de France, nel 1752, è sulla trentina ed ha già alle spalle molte esperienze. Figlio di un farmacista di Salon, in Provenza, fin dall'infanzia è stato "quasi dominato da una grande passione per le diverse parti della Storia naturale, e specialmente per le piante". Come il conterraneo Tournefort prima di lui, spesso marina la scuola per erborizzare nelle campagne, ma le piante provenzali non gli bastano. Quando viene a sapere che a Tolone si sta armando una flotta diretta in Spagna, scappa dal collegio e si imbarca, senza informarne la famiglia. Giunto a Granada, per un anno è apprendista del farmacista Antonio Sanchez Lopez, da cui apprende l'arte della distillazione, finché viene scoperto e riportato a casa. Dopo un breve soggiorno a Salon, eccolo a Montpellier per seguire i corsi di chimica di Fitzgerald e di botanica di Boissier de Sauvages; quindi passa qualche mese a Lione, dove frequenta la bottega di Christophe de Jussieu, fratello maggiore dei botanici del Jardin du roi. Anche da lui c'è molto da imparare, ma l'inquieto desiderio di viaggiare spinge Aublet ad arruolarsi nell'esercito dell'infante Filippo (ovvero il futuro Filippo I di Borbone-Parma), impegnato nel teatro italiano della guerra di successione austrica. Vi resiste per due campagne, ma scopre presto che "questo lavoro essendo molto tumultuoso e poco istruttivo, non favoriva quanto avevo sperato il mio gusto per la ricerca di piante". Così lascia l'esercito e nel 1745 è a Parigi, dove lavora all'ospedale della Charité, stringe amicizia con il chimico Gabriel François Venel e segue corsi di chimica e botanica al Jardin du roi, legandosi particolarmente con Bernard de Jussieu (che definisce un'enciclopedia vivente); frequenta anche i salotti parigini e trova qualche protettore, tra cui il barone d'Holbac. A Parigi rimane fino al 1752, divenendo un eccellente chimico-farmacista e un ottimo botanico; progetta di andare in Prussia a studiare con il celebre chimico Johann Heinrich Pott, quando, su raccomandazione del ministro della marina Berryer, viene assunto dalla Compagnia delle Indie per fondare un laboratorio di chimica e un giardino sperimentale all'Isle de France. Entrambi avrebbero dovuto fornire medicinali e cibo per rifornire le navi della Compagnia che facevano scalo a Mauritius sulla rotta dell'Oriente, Con il titolo di botanico e primo compositore-farmacista della Compagnia della Indie, parte da Parigi nel dicembre 1752; per mantenersi in esercizio e prepararsi al nuovo compito, si reca al porto di Lorient a piedi, facendo raccolte lungo la strada. Arriva all'Isle de France nell'agosto 1753 e quando sbarca senza bagagli, se non i suoi strumenti scientifici, suscita subito i sospetti dei locali: contrariamente all'uso, non ha approfittato del viaggio per portare con sé, come tutti fanno, la cosiddetta "paccottiglia", ovvero mercanzie da commerciare a proprio vantaggio. Crea il laboratorio e un primo giardino a Pamplemousses, ma presto iniziano gli scontri con i vicini, che lo accusano di usare troppa acqua e passano alle vie di fatto, tagliando al piede le sue piante. Così, pur mantenendo a Pamplemousses un orto, in autunno trasferisce il giardino sperimentale e il laboratorio a Le Réduit nel quartiere di Moka, una dozzina di km più a sud, in un luogo protetto e naturalmente fortificato. Vi si è appena trasferito quando il suo destino si incrocia con quello di Pierre Poivre, che è riuscito a convincere la Compagnia, piuttosto scettica e riluttante, a inviarlo in missione segreta nelle Filippine e nelle Molucche, da dove conta di contrabbandare piante o semi di noce moscata e chiodi di garofano da acclimatare a Mauritius, per spezzare il monopolio olandese delle spezie; dopo diverse vicissitudini, a Manila, è riuscito a procurarsi 32 piante di noce moscata (Myristica fragrans), mentre è fallito il suo tentativo di contrabbandare piante di chiodi di garofano (Syzigium aromaticum). Durante il viaggio, le piante muoiono una dopo l'altra; quando infine nel dicembre 1753 Poivre sbarca all'Isle de France, ne rimangono in vita solo cinque, una sola delle quali vigorosa e di buona qualità. Nella quasi totale indifferenza della Compagnia, le affida a tre coloni e a maggio riparte per una seconda missione. Che è un totale fallimento: le Filippine sono in guerra e non ha modo di procurarsi le piante che gli erano state promesse; quanto alle Molucche non gli è neppure possibile avvicinarsi. Così, quando nel giugno 1755 rientra nel porto dell'Isle de France, nelle stive della sua nave, oltre a un carico di noci moscate e chiodi di garofano, c'è solo una misera cassetta con una giovane pianta di noce moscata e una noce germinata. Le notizie cattive non sono finite: chiamato ad esaminare il carico, Aublet constata non solo che le noci e i chiodi di garofano sono troppo vecchi per germinare, ma anche che l'albero e la noce germinata non sono di noce moscata, ma di palma di Betel (Areca catechu). Una "verità" che Poivre non è disposto ad accettare; quando poi scopre che durante la sua assenza tutte e cinque le piante portate dal primo viaggio sono morte, gli è chiaro che deve esserci un colpevole, e quel colpevole è Aublet, che avrebbe volutamente sabotato l'introduzione delle spezie a Mauritius per non vedere smentita la sua tesi che l'isola è inadatta alla loro coltivazione, o peggio, perché è in combutta con il direttore Duvelaër, chiaramente un traditore dato quel cognome che suona olandese. Anche se cerca di rifiutarsi, sapendo che la sua morte gli verrebbe imputata, la pianta superstite viene affidata a Aublet, e muore anche quella. Nei mesi successivi, prima a Mauritius, che lascia nell'aprile 1756, poi a Parigi, Poivre moltiplica le denunce e le memorie inviate ai vertici della Compagnia, a dire il vero senza ottenere il minimo credito. Ma intanto il venticello della calunnia ha incominciato a soffiare, e all'Isle de France è alimentato dall'ostilità generale dei coloni contro il farmacista-botanico. E' efficiente, attivo, competente ed ha trasformato il giardino del Réduit in un paradiso, colmo di piante da frutto e di piante "utili, rare o curiose, venute da ogni parte del mondo", ma ha una grave colpa: la totale mancanza di pregiudizi contro i neri. Ha imparato ad apprezzarli lavorando a fianco a fianco con loro; quando un tifone devasta l'isola, per settimane è stato impegnato a creare nuove strade "dormendo nei boschi" con una squadra di schiavi malgasci "intelligenti, energici, pieni di risorse"; ne riconosce anche la sapienza etnobotanica e li consulta per individuare piante medicinali o alimentari utili. Quando i coloni, per tagliare i viveri ai maroons e impedire che gli schiavi fuggano per unirsi a loro, chiedono al Governatore di distruggere il songo, una specie di taro che fornisce loro cibo, Aublet si oppone, sottolineando che la pianta sarà utile a tutti in tempi di carestia. Tra le verità che sarebbe meglio tenere per sé c'è il convincimento, come proclamerà a chiare lettere in "Observations sur les Nègres Esclaves", pubblicato in appendice a Histoire des plantes de la Guiane françoise, che "non è vero che i negri, in generale, siano pigri, mascalzoni, bugiardi, dissimulatori; queste caratteristiche sono frutto della schiavitù, non della natura". La schiavitù va abolita, tanto per rispetto dell'umanità quanto per convenienza economica: "Se restituirete loro la libertà non saranno più mentitori, ladri o disonesti della gente agiata delle città europee. Li vedrete economi, abili e intelligenti in tutto ciò che vorranno intraprendere per il loro proprio profitto". Tra i suoi nemici ci sono anche i farmacisti locali, che lo accusano di non fornire loro i medicinali richiesti (in effetti, preferisce le meno costose e più efficaci medicine locali che ha imparato a riconoscere proprio dai disprezzati schiavi neri), nonché i chirurghi delle navi della Compagnia, a cui fornisce solo quelli necessari, impedendo loro di fare la cresta rivendendo il sovrappiù. Come racconta nella autobiografia premessa a Histoire des plantes de la Guiane françoise, nell'atmosfera avvelenata dell'isola il risentimento di Poivre trova terreno fertile: "Mentre ero impegnato in queste attività, la presentazione di un supposto albero di noce moscata e di noci da parte del signor Poivre mi causò molti fastidi, perché non potei né volli riconoscere in questo albero e in queste bacche le vere noci moscate. Ne informai la Compagnia con una memoria, e questa condotta mi procurò molti nemici, che si vendicarono calunniandomi". Nel 1761 l'atmosfera si è fatta così pesante che Aublet decide di lasciare l'isola e di rientrare in Francia; ma prima di partire, coerente con le sue idee, affranca tutti i suoi schiavi, tra cui una giovane donna, Armelle Conan, che ha riscattato dalla Compagnia; ne ha avuto un figlio e in patria diventerà sua moglie. In Francia, però, lo hanno preceduto anche le voci diffuse da Poivre che, quando questi diventerà Intendente delle Mascarene e trasformerà in realtà il vecchio sogno di coltivarvi le spezie, diventeranno la vulgata, la verità ufficiale. Smentita dalla ricerca (si segnala in particolare questo documentatissimo articolo), la leggenda nera di Fusée-Aublet distruttore di alberi resiste imperterrita nel web. Basti fra tutti (ma gli esempi sono innumerevoli, e non manca qualche sito italiano) la versione francese di Wikipedia, alla voce "Poivre, Pierre", in cui non c'è quasi una parola vera: "Al suo ritorno all'Isle de France nel 1755, con 3000 [sic!] noci moscate, piante di spezie e frutti diversi, scopre le sue prime piante di noce moscata morte. Quando anche le nuove piante muoiono, un'inchiesta [mai avvenuta] rivela che Fusée-Aublet, che pretendeva che la noce moscata non poteva essere naturalizzata all'Isle de France, aveva volontariamente ucciso le giovani piante innaffiandole con acqua bollente". ![]() Un botanico eroico nelle foreste della Guyana Aublet è da poco tornato in Francia ed ha fatto appena in tempo a fare una scappata a Salon, dove intende creare un giardino d'acclimatazione con le piante tropicali che ha portato con sé, quando il Ministro della Marina, il duca di Choiseuil, lo invita a recarsi in Guyana come farmacista-botanico del re. Il botanico, che ha superato la quarantina e , dopo l'avventura di Mauritus, ne ha abbastanza delle colonie, esita, ma quando gli viene assicurato che gli verrà lasciato mano libera per erborizzare a suo piacimento, si lascia convincere: alla prospettiva di essere il primo esploratore di quella flora quasi sconosciuta dimentica tutti i problemi e la sua passione per le piante si riaccende irresistibile. Il suo compito sarà niente meno che "vedere ed esaminare tutto ciò che può essere relativo alle vostre conoscenze sui prodotti della nuova terra; farne delle buone memorie e rendere conto di tutto ciò che si può fare per un paese che merita più attenzione di quanto ne abbia finora ricevuta". Insomma, un programma immenso, ma in un certo senso illuminista che non manca di solleticare il suo amor proprio. Imbarcatosi nel porto militare di Blaye alla fine di maggio, già a luglio sbarca in Guyana. Inizialmente è ospite della piantagione gesuita di Loyola, presso Cayenne, la capitale della colonia. I gesuiti, installati in Guyana fin dal secolo precedente, vi hanno creato molte missioni, controllano le maggiori proprietà ed esercitano un vero e proprio monopolio spirituale sugli indios. La loro mediazione è indispensabile a Aublet per entrare in contatto con questi ultimi, che gli sono necessari come guide, portatori e detentori di conoscenze sulle piante e i loro usi. Il momento non potrebbe essere peggiore: la Francia è nel pieno della campagna che nel 1764 porterà all'espulsione dei gesuiti dal regno; anche in Guyana, l'effettiva presa di possesso della colonia da parte francese passa attraverso l'esautoramento della Compagnia di Gesù. Aublet cerca di destreggiarsi, facendo mostra di tatto e diplomazia, ma gli è presto chiaro che i gesuiti vedono in lui una spia, l'agente di un potere nemico, dunque cercano di sabotarlo, impedendogli di allontanarsi più di tanto da Cayenne e di entrare in contatto con gli indios. Solo ad ottobre riesce finalmente a visitare la missione di Kourou, a una sessantina di km a nord di Cayenne, all'imboccatura del fiume omonimo, dove scopre che i padri, oltre a sfruttare la manodopera indiana, praticano un vero e proprio commercio illegale con il Suriname olandese. Secondo la sua relazione al ministro Choiseuil, oltre a tenerlo lontano dagli indios, il padre O'Reilly li ha prevenuti contro di lui, facendo girare la voce che "sotto il pretesto di cercare fiori e simili, quando avrà visto tutto, farà venire dalla Francia una nave con soldati che ci prenderanno con le nostre donne e i nostri figli per venderci come schiavi del re di Francia". Nei mesi successivi le relazioni del botanico francese con i gesuiti giungono al punto di rottura, ma ora egli è in grado di muoversi senza di loro; nell'aprile 1763, lascia Cayenne in canoa, risalendo i fiumi Tour de l’Ile e Oyak, fino a raggiungere la prima settimana di maggio il territorio galibi; è l'inizio della vera e propria esplorazione della foresta, descritta in Histoire des plantes de la Guiane françoise come un mondo alieno, pericoloso ed ostile: "Solo le persone che sono entrate nelle foreste della Guyana possono farsi un'idea dell'estrema difficoltà che si incontra per penetrarvi, a causa delle liane, degli arbusti spinosi, delle erbe taglienti che occupano gli spazi tra i grandi alberi; perché, per poco che ci si allontani dalle abitazioni, non si trovano né sentieri né passaggi: bisogna aprirseli ad ogni passo. [...] Bisogna essere penetrati in queste foreste per comprendere il pericolo che si corre ad ogni istante di ferirsi, di storpiarsi, di essere attaccati da neri maroons o scappati e arrabbiati, o da animali feroci; di calpestare un serpente che si vendica in modo crudele, di cadere in profonde buche colme d'acqua, di rovi o altre piante, di melma, tanto che un uomo solo non riuscirebbe mai a cavarsene fuori". A confronto, sono solo fastidi le punture degli insetti, il caldo soffocante, le piogge improvvise e di un'intensità ignota in Europa, la scomodità dei bivacchi, la difficoltà stessa di raccogliere piante, fiori, frutti, semi in una foresta vergine (sempre che nel frattempo non siano appassiti, o siano stati distrutti da uccelli o insetti). Per superare tutto questo e resistere, il botanico viaggiatore (così si autodefinisce Aublet) deve essere animato da un invincibile ardore, una passione a tutta prova, indispensabile come le altre qualità che elenca puntigliosamente, un po' per costruirsi agli occhi del lettore una figura eroica, un po' per mettere sull'avviso i botanici che volessero imitarlo: una forte costituzione, una salute perfetta, senza difetti ereditari o acquisiti; fermezza d'animo, risolutezza, spirito gaio (la malinconia e la nostalgia sono un pericolo peggiore di calpestare un serpente), ardimento, sensi ben svegli e all'erta. Nel marzo dell'anno successivo Aublet continua la sua esplorazione risalendo il fiume Orapu e raggiungendo il Monte Kaw; quindi, risalendo il torrente Timoutou, raggiunge nuovamente il Tour de l’Ile, da cui inizia il viaggio di ritorno, che lo riporta di nuovo a Cayenne, con una puntata alle Iles du Salut. In tre anni di esplorazione, mette insieme raccolte eccezionali; oltre agli animali e alle piante vive e alle casse di minerali, conchiglie, insetti che invia regolarmente in Francia, lo testimoniano l'imponente erbario e le oltre 500 specie ignote alla scienza frutto delle sue erborizzazioni. Non avrebbe potuto raggiungere questo risultato senza l'aiuto degli unici che sanno come percorrere quelle foreste impenetrabili: gli schiavi e gli indios che si è costretti ad assumere come guide e portatori; ma anche loro, si affretta ad aggiungere Aublet "sono un oggetto di inquietudine quasi continuo: bisogna indovinare le loro intenzioni, i loro complotti, fare in modo di farsi rispettare, temere ed amare, se ciò è possibile, in modo che non vi abbandonino in mezzo ai boschi, o magari vi uccidano". Bisogna anche armarli, e il nostro botanico, che sa bene come pesare torti e ragioni, aggiunge "un europeo viene così a trovarsi con dieci o venti persone armate che hanno tutte le ragioni di lamentarsi degli europei". Agli ostacoli fisici e psicologici, si aggiunge un ostacolo conoscitivo: il botanico deve fare i conti con una flora quasi totalmente ignota; per venirne a capo, non ci sono che due strade: da una parte, moltiplicare l'attenzione, tutto osservando, tutto annotando; dall'altro, immergersi in quell'ambiente naturale, frequentare gli indigeni, raccogliendo dalle loro bocche, e dal loro esempio, tutte le notizie possibili su quelle piante, il loro nome, i loro usi, le loro virtù e i loro pericoli. Aublet, malato, lascia la Guyana nel 1764. Di passaggio a San Domingo, vi si trattiene otto mesi su richiesta del governatore, il conte d'Estaing, che chiede il suo aiuto per l'insediamento nella colonia di un gruppo di rifugiati acadiani; come direttore della piazzaforte di Môle-Saint-Nicolas, collabora all'allestimento del sito di Bombardopolis, così chiamato in onore di uno dei suoi protettori parigini, il finanziere Pierre-Paul Bombarde de Beaulieu. Poi la salute, già compromessa, lo costringe a lasciare anche questo incarico, che considera onorifico e in qualche modo la prova che "le calunnie che erano state diffuse dai nemici che mi ero fatto all'Isle de France non avevano lasciato nemmeno i più leggeri sospetti su di me". Rientrato a Parigi all'inizio del 1655, dopo aver soggiornando per qualche tempo nel sud per recuperare la salute, dedica i dieci anni seguenti al compito non meno eroico di scrivere e pubblicare Histoire des plantes de la Guiane françoise, un'impresa che sarebbe stata impossibile senza l'aiuto del suo maestro e biblioteca vivente Bernard de Jussieu. Il risultato è imponente: quattro volumi, due di testi e due di figure, con la descrizione di 576 generi e 1241 specie, quasi metà delle quali nuove. L'opera, molto curata graficamente e certo costosa, rispetta tutti i crismi della scientificità (accurate diagnosi in latino, classificazione delle piante secondo il sistema linneano), ma vuole coinvolgere anche un pubblico più ampio di appassionati e curiosi; così Aublet adotta il francese non solo per la prefazione (in gran parte, un'autobiografia dai toni appassionati) e le appendici, ma anche per le descrizioni, sempre corredate del luogo di raccolta, dell'eventuale periodo di fioritura, del nome vernacolare e non di rado di indicazione dell'uso che ne fanno gli indigeni, il che ne fa anche uno dei primi testi di etnobotanica. Aublet creò circa 200 nuovi nomi generici (molti dei quali tuttora accettati) e, contrariamente all'uso dominante, non li trasse né dal latino né dal nome di personaggi illustri, ma (a parte pochi dedicati a persone che lo avevano aiutato in Guyana) per lo più dai nomi locali, soprattutto galibi (74 denominazioni). Tra i tanti, vorrei ricordare almeno Hevea, il genere cui appartiene l'albero della gomma, per il quale Aublet scelse il nome vernacolare in uso nella provincia di Esmeraldas in Ecuador. Le 400 tavole che formano il terzo e il quarto volume, basate almeno in parte su disegni dello stesso Aublet e affidate a diversi pittori e incisori, sono di eccellente qualità. Alla fine del secondo volume sono riunite varie appendici (Memorie o osservazioni), dedicate a produzioni particolari (caffè, canna da zucchero, manioca, vaniglia, diverse palme), a informazioni etnografiche sui galibi, alla distillazione degli oli essenziali di erbe aromatiche, o ancora a qualche notizia sulla flora dell'Isle de France. Tra tutte spicca il già citato "Observation sur les Negres esclaves" in cui il botanico perora l'abolizione della schiavitù; citiamone ancora un passaggio significativo: abolendo la schiavitù "l'umanità non sarà più umiliata dai vizi che rimproverate a questi schiavi, e che sono in parte opera vostra, o l'effetto di circostanze che trasformano l'uomo naturalmente buono nell'essere più malvagio della natura. Voi risparmierete i rimproveri che il vostro cuore deve farvi per aver trattato o fatto trattare come bestie esseri che non differiscono in niente da voi, se non per circostanze che dovrebbero invece intenerirvi in loro favore". Davvero, non siamo molto lontani da Rousseau; e certo, anche se i particolari della loro relazione ci sono ignoti, i due dovettero conoscersi e frequentarsi, se una parte dell'erbario di Aublet passò al filosofo ginevrino. Il grosso, invece, alla morte del botanico, avvenuta nel 1778, fu venduto dalla vedova a Banks, e ora si trova al Natural History Museum di Londra. ![]() Dediche rischiose Per citare Lucille Allorge, "Come si può credere che un uomo così abbia scientemente distrutto gli pseudo-alberi di noce moscata di Poivre?". Speriamo che le celebrazioni del terzo centenario della nascita, che cade in questo 2023, gli portino finalmente giustizia. I botanici lo hanno fatto da un pezzo, ricordandolo con molti generi. Prima ancora che pubblicasse il suo opus magnum, nel 1771, il botanico del Jardin du roi Le Monnier, che insieme a Bernard de Jussieu lo aveva raccomandato per la missione in Guyana, gli dedicò un primo Aubletia, poi ripubblicato due anni dopo come Obletia (la grafia si rifà alla pronuncia), nome inutile perché sinonimo di Verbena. Qualche anno dopo, nel 1788, il botanico tedesco Joseph Gaertner gli dedicò un secondo Aubletia, un genere monospecifico della famiglia Lythraceae rappresentato solamente da A. caseolaris, che alla fine dell'Ottocento venne riclassificata come Sonneratia caseolaris: una vera beffa se si pensa che Sonnerat era nipote di Poivre, nonché il principale artefice dell'introduzione delle spezie all'Isle de France. Nel frattempo altri generi Aubletia erano stati creati in successione da Schreber, Loureiro e Persoon, tutti ugualmente illegittimi perché bloccati dalla denominazione di Gaertner. Né miglior sorte arrise a Aubletella Pierre, sinonimo di Chrysophyllum. Insomma, per un buon secolo il nostro eroico viaggiatore è stato un botanico senza Nobel, come chiamo i grandi botanici privi del riconoscimento di un genere valido. A riparare l'ennesima ingiustizia ha provveduto nel 2000 il botanico colombiano José Carmelo Murillo Aldana, con la dedica di Aubletiana, da lui istituito separando da Conceveiba, uno dei generi creati da Aublet, le due specie africane, di conseguenza rinominate A. lepstostachys e A. macrostachys. Anche se egli non lo dice esplicitamente, certo in tal modo l'autore, uno specialista della flora dell'Amazzonia colombiana, avrà anche voluto rendere omaggio a uno dei padri fondatori della botanica neotropicale. Le due specie, sulle quali non si trovano molte notizie, si differenziano da Conceveiba per essere monoiche anziché dioiche, non secernono latice e hanno semi elissoidali senza arillo. Sono alberi dello strato più basso della foresta tropicale del Gabon e del Cameron. |
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E' in uscita La ragione delle piante, che costituisce l'ideale continuazione di Orti della meraviglie. L'avventura delle piante continua! CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
January 2023
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