Che la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) non fosse un ente di beneficenza è chiaro: il suo fine era il guadagno, a qualsiasi prezzo, compresi la deportazione e il genocidio degli indigeni, la distruzione delle piante della concorrenza, la difesa del proprio monopolio a cannonate. Chi si arruolava come mercenario nel suo esercito privato sapeva di dover essere pronto a tutto. Se poi, venuto dal nulla, riusciva pure a fare fortuna, certo non doveva mancare di pelo sullo stomaco. Sicuramente non ne difettava il (sedicente?) medico Andreas Cleyer: arrivato a Batavia come soldato da una Germania ancora segnata dalla Guerra dei Trent'anni, riuscì in breve tempo a diventare il direttore e il fornitore ufficiale della farmacia della VOC, a scalare i vertici locali della Compagnia e ad essere l'unico non olandese a dirigere l'emporio di Dejima (dove fece soldi in modo per lo meno disinvolto). Il suo interesse per le piante però non era solo strumentale e, insieme al suo capo giardiniere Georg Meister, ha lasciato uno dei primi contributi sulla flora giapponese, precedendo anche Kaempfer (che probabilmente convinse ad accettare il posto di chirurgo a Dejima). Tutto sommato meritato l'omaggio tributatogli da Thunberg, che gli dedicò una pianta molto importante nella cultura giapponese, la sacra Cleyera japonica. Da faccendiere a naturalista Al contrario dell'eroe di Thomas Mann, il cavaliere d'industria Andreas Cleyer (1634-1698) non ci ha lasciato le sue confessioni; altrimenti forse sapremmo qualcosa di più (o a ben pensarci ancora di meno) sui punti oscuri della sua vita. Due certezze: la nascita a Kassel, in Assia, nel 1634, quando ancora imperversava la Guerra dei Trent'anni, e l'arrivo nelle Indie orientali olandesi nel 1662, come adelborst, ovvero soldato mercenario al servizio della VOC. In mezzo, il vuoto. La sua versione è che si fosse laureato in medicina (forse a Marburg), ma non risulta immatricolato in nessuna università. Certo qualche studio l'aveva fatto: sapeva il latino e si intendeva davvero di anatomia e piante medicinali; almeno abbastanza da essere assunto all'ospedale della VOC di Batavia come assistente. Da quel momento, incominciò a fare carriera. Nel 1665, i registri della Compagnia indicano che era stato assegnato alla farmacia del forte con il compito di preparare e consegnare i medicinali. L'anno successivo fu coinvolto nella fondazione della scuola latina, di cui per qualche tempo fu anche rettore. Ma ad assicurargli la ricchezza e una posizione sociale eminente furono le piante officinali: nel 1667, alla morte del farmacista della fortezza, ne prese il posto e l'anno successivo assunse anche la gestione della farmacia cittadina; più tardi aprì un proprio negozio. I semplici, gli ingredienti dei medicinali, che arrivavano dall'Europa, oltre ad essere molto costosi, a causa del lunghissimo viaggio per mare spesso perdevano tutte le loro virtù. L'idea geniale di Cleyer fu di produrli lui stesso sul posto. Allestì uno o più orti dei semplici (sappiamo che li lavoravano ben cinquanta schiavi) dove fu in grado di far coltivare le erbe medicinali che poi utilizzava per creare medicamenti a basso costo. A basso costo per lui, s'intende: riuscì a strappare un lucrativo contratto alla VOC, che pagava le sue medicine al prezzo corrente sul mercato europeo maggiorato di una commissione del 50% (un prezzo così sospetto che ad Amsterdam fiutarono l'inganno e rescissero il contratto). Il suo interesse per le piante medicinali però era genuino, e non solo come fonte di guadagno, al punto di creare attorno a sé una piccola rete di collaboratori, in genere altri tedeschi giunti come lui a Batavia in cerca di fortuna. Per qualche tempo quello principale fu Georg Meister (1653-1713), anche lui arruolatosi come soldato mercenario; in patria però era stato giardiniere, e a partire dal 1677 Cleyer ne fece il suo capo giardiniere. Ufficialmente, era un dipendente della VOC, e a guardare per il sottile che lavorasse per Cleyer era illegale, dettaglio che certo non impensieriva il nostro disinvolto affarista, che ormai era uno dei membri più ricchi, stava scalando i vertici locali della Compagnia e dal 1680 faceva parte del Consiglio di giustizia. Incominciò anche a farsi conoscere in Europa come naturalista; nel 1678 fu ammesso all’Academia naturae curiosorum (la futura Accademia leopoldina di Berlino) ed entrò in contatto con i direttori dell'Orto botanico di Amsterdam, cui inviò diverse piante e con vari accademici tedeschi, tra cui Christian Mentzel. Nel 1681 capitò a Batavia un altro tedesco, Heinrich Claudius (il nome è più noto nella forma olandese Hendrik, circa 1665-97): era un farmacista e anche un dotato pittore. Clayer lo assunse e decise di approfittare dei suoi talenti per spedirlo a Mauritius e al Capo di Buona Speranza a fare incetta di piante medicinali. Tuttavia in Sud Africa Claudius passò direttamente al servizio della VOC e il suo rapporto con Cleyer si interruppe. L'anno dopo l'intraprendente farmacista fu nominato opperhoofd (mercante-capo o governatore) di Dejima, benché non fosse olandese e in teoria solo questi ultimi vi fossero ammessi. Da una parte era un incarico redditizio, perché (in modo più o meno tollerato) i mercanti olandesi, oltre che per conto della VOC, trafficavano in proprio; dall'altra parte Cleyer contava di approfittarne per studiare la flora giapponese, tanto che si fece accompagnare da Georg Meister (interesse privato in atto d'ufficio, ma violazione più violazione meno...). Cleyer fu governatore di Dejima per due mandati, nel 1682-83 e nuovamente nel 1685-86, quando fu espulso dalle autorità giapponesi con l’accusa di non tenere abbastanza sotto controllo il contrabbando. Visto che i giapponesi coinvolti furono giustiziati e al suo rientro a Giava egli era abbastanza ricco da acquistare la più bella casa di Batavia, è molto probabile che uno di quei contrabbandieri fosse proprio lui. In Giappone acquistò uno splendido manoscritto con centinaia di disegni di piante e uccelli; inviato a Berlino a Mentzel, ora è uno dei gioielli della Biblioteca di stato; inoltre mise a frutto l'anno e mezzo trascorso a Dejima (compresi i due viaggi a Edo per rendere omaggio allo shogun) per raccogliere i materiali e informazioni grazie ai quali, dopo il ritiro a vita privata, si costruì una reputazione di naturalista e esperto di cose giapponesi. Infatti, l'espulsione dal Giappone, che sicuramente creò non pochi problemi alla VOC, lo costrinse a lasciare la Compagnia; da quel momento dedicò il suo tempo alla ricerca e alla scrittura. Già nel 1682 aveva esordito in questa attività pubblicando Specimen medicinae sinicae, il primo testo illustrato di medicina cinese uscito in Europa; anche se il suo nome compare sul frontespizio, ne era solo il curatore; si tratta infatti della traduzione di trattati di medicina cinese a opera di vari padri gesuiti missionari in Cina; uno di loro era il polacco Michael Boym, di cui nel 1686 Cleyer pubblicò un trattato sull'esame del polso, Clavis medica ad Chinarum de pulsibus. A partire dal 1683, incominciò a contribuire alle Miscellanee dell’Academia Naturae Curiosorum di Berlino con una serie di Observationes (in tutto 46, alcune postume) che riguardano argomenti diversi, tra cui la pratica della moxa, ma il nucleo più consistente è costituito dalla descrizione di una cinquantina di piante giapponesi, comprese Camellia japonica e Wisteria japonica. Eccetto alcune specie coltivate di larga diffusione, sono basate, più che sull'osservazione delle piante vive, sulle informazioni raccolte dagli interpreti e su campioni di medicinali; non di rado le descrizioni sono dunque assai parziali e vertono in gran parte sulle proprietà officinali. Bastano però a farne il pioniere dello studio della flora nipponica; inoltre gli va riconosciuto il merito di aver incoraggiato Kaempfer ad accettare l'incarico di chirurgo a Dejima, dove egli poté riprendere la sua indagine con ben altra competenza e profondità. Cleyer non tornò mai in Europa e rimase a Giava, dove morì nel 1698. Invece il giardiniere Meister, che come abbiamo visto lo accompagnò nei due soggiorni giapponesi, nel 1686 tornò in Germania, divenne giardiniere capo dell'elettore di Sassonia a Dresda e nel 1692 pubblicò il curioso Der Orientalische-Indianische Kunst-und Lust-Gärtner, «Il giardiniere d’arte e di piacere delle Indie orientali», il primo libro esplicitamente dedicato ai giardini dell’Estremo oriente. Nel capitolo dieci Japponische Baumschule "Vivaio giapponese" si parla dell'arte del bonsai e si descrive un'ottantina di piante giapponesi. Le descrizioni di Meister sono considerate ancora più approssimative di quelle del suo datore di lavoro. Del resto, a parte qualche breve escursione, non lasciò mai Dejima, e anche per descrivere i giardini giapponesi di Nagasaki dovette affidarsi totalmente a quanto gliene riferirono gli interpreti. Cleyera ovvero il sacro sakaki Carl Peter Thunberg, anche lui medico della VOC quasi un secolo dopo queste vicende, quando le condizioni di semi prigionia in cui operavano gli olandesi si erano fatte ancora più aspre, riconobbe i meriti di precursore del nostro naturalista-faccendiere dedicandogli in genere Cleyera; e scelse opportunamente una pianta estremamente significativa per la cultura giapponese, il sakaki (Cleyera japonica): considerata sacra nella religione shintoista, i suoi rametti intrecciati con strisce di carta, seta e cotone formano il tamagushi, offerto ritualmente in occasione di matrimoni, funerali e altre cerimonie. Inoltre boschetti di sakaki delimitano lo spazio sacro attorno ai templi. Si tratta della più nota delle circa venti specie del genere Cleyera (famiglia Pentaphylacaceae), caratterizzato da una distribuzione disgiunta: due terzi delle specie vivono nell'Estremo oriente temperato (dall'Himalaya al Giappone), il resto in Messico e America centrale. C. japonica è un grande arbusto o un alberello sempreverde con foglie ovali, coriacee, lucide, verde scuro nella pagina superiore, verde giallastro in quella inferiore, profondamente solcate in corrispondenza del picciolo. All'inizio dell'estate produce piccoli fiori profumati bianchi simili a quelli della camelia (un tempo le Pentaphylacaceae facevano parte della famiglia Theaceae). I frutti sono bacche dapprima rosse quindi nere, anch'esse rese attraenti dal contrasto con i sepali persistenti. E' l'unica specie del genere talvolta disponibile nei nostri vivai, anche nella forma 'Variegata' o 'Tricolor', con foglie dai margini crema.
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Per circa due secoli, l'isolotto artificiale di Dejima fu l'unico punto d'incontro tra il Giappone e l'Occidente; tra mille limitazioni, fu soprattutto grazie ai medici della VOC, la Compagnia olandese delle Indie orientali (e ai loro interpreti giapponesi), se da una parte il Giappone scoprì qualcosa della scienza e della tecnologia europee, dall'altra filtrarono in Europa le prime notizie sulla cultura e la natura giapponesi. Il pioniere di questo incontro difficile fu Engelbert Kaempfer, che alla fine del Seicento lavorò come medico e chirurgo a Dejima per due anni e mezzo, osservando, annotando, disegnando tutto il possibile con occhio di curioso e rigore di scienziato. Del Giappone del suo tempo gli interessava tutto, ma riservò uno spazio particolare alla flora, scrivendo la primissima Flora japonica, con circa 200 specie. Tra tutte, la più famosa è Ginkgo biloba; e si deve proprio a Kaempfer il piccolo errore di trascrizione che ha trasformato il giapponese ginkio in ginkgo, traendo in inganno Linneo, grande ammiratore del pioniere degli studi nipponici, cui dedicò il genere Kaempferia. La strada per il Giappone passa dalla Persia Quando il medico tedesco Engelbert Kaempfer arrivò in Giappone per prendere servizio nella minuscola stazione commerciale di Dejima, situata in un isolotto artificiale nella baia di Nagasaki (ne ho parlato qui) era un già un viaggiatore di lungo corso. Il suo vero cognome era Kemper, ma più tardi lo cambiò in Kaempffer o Kempfer, che significa «guerriero, combattente», quasi un emblema del suo carattere. Nato nella contea di Lippe, un piccolo stato periferico della Germania settentrionale, incominciò i suoi vagabondaggi da studente, passando da un'università all'altra finché su laureò in filosofia a Danzica; continuò poi gli studi in medicina a Cracovia e Köningsberg. Nel 1681 si trasferì a Stoccolma; entrato in contatto con politici influenti, fu assunto come medico e segretario di legazione della seconda ambasciata svedese in Persia, guidata da Ludvig Fabritius, un militare e diplomatico di origine olandese. Il lungo viaggio tra Stoccolma e Isfahan, la capitale della Persia safavide, durò quasi esattamente un anno, da marzo 1683 a marzo 1684. Lungo il cammino, che portò la delegazione ad attraversare la Finlandia, la Livonia, l'impero russo, per poi navigare sul mar Caspio e percorrere l'Iran settentrionale, animato da una forte curiosità intellettuale e probabilmente già intenzionato a trasformare le sue avventure in un libro di viaggi, Kaempfer raccolse ogni possibile informazione, visitò siti storici e curiosità naturali (tra cui i campi petroliferi di Badkubeh, oggi Baku), prese misure e tracciò mappe, disegnò oggetti, intervistò ogni sorta di informatori. Kaempfer rimase a Isfahan circa venti mesi (marzo 1684-novembre 1685), imparò il persiano e il turco, e visitò sistematicamente la città, compresi diversi giardini, facendo molti disegni. Come membro della legazione svedese, ebbe accesso alla corte, dove poté osservare edifici, costumi, rituali, comportamenti. Al termine della missione decise di non rientrare in Svezia, ma di cercare un ingaggio nella VOC, che aveva una base commerciale anche a Gamron (oggi Bandar Abbas) sul golfo Persico. Per raggiungerla si aggregò a una carovana; durante il viaggio visitò Shiraz, il monte Benna e Persepoli. Qui abbandonò i compagni di viaggio per studiare le antiche rovine: misurò meticolosamente gli edifici, trascrisse alcune iscrizioni e fu il primo a notare che i caratteri avevano forma di cuneo. Giunto a Bandar Abbas negli ultimi giorni del 1685, vi rimase bloccato per due anni e mezzo, anche se la detestava con tutto il cuore: «È la città più infertile, arida, calda, pestilenziale del mondo, quella che più assomiglia all’inferno di tutto il globo» . In quel clima infernale Kaempfer si ammalò gravemente; per riprendersi, andò a passare i mesi estivi in montagna; quindi visitò le piantagioni di palma da dattero, raccogliendo informazioni sulle caratteristiche botaniche, la coltivazione, l’importanza commerciale. Solo dopo vari mesi, fu assunto come medico della base della VOC. Per circa un anno, dal giugno 1688, lavorò come medico di bordo sulla Copelle, una nave della VOC che commerciava nei porti indiani; nell’agosto 1689, era a Batavia, dove presentò domanda senza successo per essere assegnato all’ospedale della Compagna. Pensava di rimanere a Giava, di cui conosceva la ricchezza floristica, ma quando gli venne offerto il posto di chirurgo a Dejima, accettò. Sarebbe rimasto in Giappone due anni, dal settembre 1690 all’ottobre 1692. A caccia di piante giapponesi La condizione degli olandesi a Dejima era di semiprigionia: non potevano uscire liberamente dall'isola, ogni loro movimento era sorvegliato (per ogni olandese c'erano almeno dieci sorveglianti, tutti a carico della VOC), non avevano contatti al di fuori della stazione, era loro negato l'accesso a qualsiasi oggetto considerato sensibile dalle autorità (vietatissime le mappe). Nonostante tutti questi limiti, Kaempfer seppe sfruttare ogni occasione per raccogliere una grande messe di informazioni sulla vita quotidiana, i costumi, la religione, la storia naturale. Conquistò l’amicizia (e le confidenze) di varie persone con cure gratuite, medicine, lezioni di medicina e matematica. Di grande aiuto fu l'assistenza del giovane Imamura Iensei, che gli fu affiancato come interprete e allo stesso tempo come apprendista di medicina e chirurgia occidentali; il ragazzo, colto, abile e intelligente, imparò rapidamente l’olandese, e rimase a fianco di Kaempfer, cui era legato da grande venerazione, fino alla fine del suo soggiorno a Dejima, accompagnandolo anche nei due viaggi a Edo. Grazie a lui, altri interpreti, pazienti, medici che praticavano la medicina occidentale, Kaempfer poté procurarsi libri (compresa un’enciclopedia illustrata), mappe, disegni, oggetti di varia natura, sebbene in teoria fosse vietato. Anche il suo amore per le piante, molto ammirato dai giapponesi, funzionò come una sorta di passaporto, che gli permetteva di dedicarsi a indagini su oggetti sensibili in tutta tranquillità: «Sistemavo apertamente erbe, fiori e rami verdi accanto ai miei strumenti, e mentre li misuravo, li esaminavo, li descrivevo e li disegnavo, ne approfittavo per descrivere e disegnare tutto quello che volevo». Nella primavera del 1691 e del 1692, i due viaggi a Edo, durante i quali la delegazione olandese attraversò il Kyushu per imbarcarsi alla volta di Osaka e quindi percorse il Tokaido, la più celebre e affollata strada dell’antico Giappone, gli permisero di conoscere di persona alcune delle regioni più importanti del paese e di raccogliere campioni di animali e piante: attività non proibita, anzi apprezzata dai giapponesi, tanto che i suoi accompagnatori (e sorveglianti), incluso il governatore, spesso gli portavano qualche pianta. Per rendersi indipendente dagli interpreti, con il suo talento per le lingue imparò le frasi necessarie per informarsi su dati come il periodo di fioritura o la fruttificazione. Kaempfer lasciò Dejima il 30 ottobre 1692 e rientrò in Olanda via Giava circa un anno dopo. Non avendo completato gli studi di medicina, per poter esercitare la professione in Europa si iscrisse all’Università di Leida, dove ottenne la laurea magistrale. Forse sperava di inserirsi nell’ambiente accademico olandese o tedesco, ma non gli fu possibile. Nel 1694, dopo un’assenza di ventitré anni, ritornò in patria e dovette rassegnarsi a vivere in una realtà provinciale, prima nella cittadina di Lemgo, poi al servizio del conte di Lippe. Gli impegni professionali gli lasciarono poco tempo per rivedere i suoi scritti, senza contare un matrimonio infelice sfociato in una causa legale; riuscì solo a completare e a veder pubblicata Amoenitates exoticae, una raccolta di saggi in cinque parti, le prime quattro dedicate alla Persia, la quinta al Giappone. Quest’ultima comprende saggi su argomenti come l’agopuntura, l’uso della moxa, il tè, il sakoku (termine introdotto proprio da Kaempfer), e una Flora japonica con la descrizione di circa 200 piante; i limiti delle sue finanze gli permisero però di far stampare solo 28 dei suoi numerosissimi disegni. A ricordarci l’importanza del suo contributo alla conoscenza della flora nipponica, le venti specie giapponesi che portano l'epiteto kaempferi; tra di esse Larix kaempferi, Rhododendron kaempferi, Broussonetia kaempferi. Fu il primo a descrivere e disegnare piante oggi notissime come Ginkgo biloba, Pittosporum tobira, Ophiopogon japonicum. Talvolta gli si attribuisce l’introduzione del primo ginkgo in Europa, ma in realtà i due esemplari più antichi, che si trovano rispettivamente a Utrecht e Geetbets, furono piantati almeno trent’anni dopo . Si deve invece a lui (o al tipografo che compose Amoenitates exoticae) l’errore di trascrizione a causa del quale il giapponese ginkio divenne ginkgo. Rimasero manoscritti i due progetti più ambiziosi di Kaempfer: la relazione completa dei suoi viaggi e il libro sul Giappone Huetiges Japan («Il Giappone di oggi»). Dopo la sua morte, avvenuta nel 1716, gli erbari e i manoscritti furono acquistati dal medico e collezionista inglese Hans Sloane, che finanziò la pubblicazione dell'edizione inglese curata dal naturalista svizzero Johann Caspar Scheuchzer, History of Japan (1727). Quasi trent’anni dopo il viaggio giapponese e undici anni dopo la morte di Kaempfer, l’opera ebbe un successo sensazionale e presto fu tradotta in altre lingue europee, forgiando per almeno un secolo l'immagine del Giappone in Occidente. Non meno profondo e permanente fu l’impatto sulla cultura europea delle pagine dedicate alla corte persiana e alle antichità di Persepoli. Una sintesi della vita di questo grande viaggiatore nella sezione biografie. Kaempferia, profumi tropicali La Flora japonica contenuta in Amoenitates exoticae costituisce la fonte principale di Linneo per le piante giapponesi; morto nel 1778 e già malato da tempo, egli infatti non poté giovarsi delle ricerche dell’allievo Carl Peter Thunberg. Non stupisce dunque la sua dedica del genere Kaempferia a quel pioniere dello studio della flora nipponica, così motivata in Hortus Cliffortianus: «Ho dedicato questo genere al curiosissimo viaggiatore Kaempfer, al quale dobbiamo la conoscenza delle piante giapponesi e la loro accurata descrizione». Il genere Kaempferia L. (famiglia Zingiberaceae) comprende una quarantina di specie di piante erbacee originarie dell’Asia tropicale e subtropicale (India, Indocina, Cina meridionale, Malaysia, arcipelago indonesiano), con centro di diversità nel bacino del Mekong. Di piccole dimensioni, hanno radici rizomatose aromatiche che producono da una o poche foglie ovoidali o tondeggianti raccolte a rosetta, che in alcune specie sono marcate d’argento o porpora; i fiori, che in genere spuntano al livello del terreno, in alcune specie prima delle foglie, sono profumati e relativamente vistosi. Diverse specie fanno parte della farmacopea tradizionale o sono usate come spezie: ad esempio, le foglie di K. galanga (il cui aroma ricorda quello di Alpinia galanga, del resto appartenente alla stessa famiglia) sono un ingrediente comune della cucina di Giava e Bali, mentre le radici hanno proprietà antibatteriche, digestive e diuretiche. Alcune specie sono coltivate come piante d’appartamento; una delle più notevoli è K. elegans, una piccola erbacea non più alta di 20 cm, apprezzata, più che per i piccoli fiori lilla, per le foglie vistosamente marcate d’argento. K. pulchra è simile, ma con marcature scure. Qualche informazione in più nella scheda. Per tutto il Settecento, nessun botanico europeo aveva potuto mettere piede in Giappone, chiuso agli stranieri dalla politica isolazionista del sakoku. L'impresa di infrangere quella cortina di ferro riuscì a uno dei formidabili apostoli di Linneo, Carl Peter Thunberg. Per riuscirci dovette farsi olandese. E mentre cambiava pelle e lingua, diede un ineguagliabile contributo alla conoscenza della flora e della fauna del Sud Africa. Come si diventa olandesi? Nel 1636, nella baia di Nagasaki venne costruita l'isola artificiale di Dejima (o Deshima). A forma di ventaglio, lunga 120 m e profonda 75, con una circonferenza di poco più di 500 m, questo luogo minuscolo per circa 200 anni sarebbe stata l'unica finestra del Giappone sul mondo; vi aveva infatti sede l'agenzia della Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC), l'unica ad essere autorizzata a commerciare con il Giappone durante il lungo periodo dell'isolazionismo, o sakoku. Qui nel 1775 giunse Carl Peter Thunberg, il più grande dei discepoli di Linneo. Per arrivarci, aveva già percorso una lunga strada e si era creato una nuova identità. Studente a Uppsala alla fine degli anni '60, nel 1770 aveva lasciato la Svezia per perfezionarsi in medicina e scienze naturali a Parigi, Leida e Amsterdam. In Olanda il suo talento fu notato da Johannes Burman (che oltre trent'anni prima aveva ospitato Linneo) e dal figlio Nicolaas, i quali progettavano di inviare in Giappone un medico-naturalista che arricchisse di nuove piante gli orti botanici olandesi; in effetti, nell'ultimo quarto del Settecento l'isolazionismo del Giappone si era fatto meno severo e, grazie all'importazione di numerosi libri scientifici in lingua olandese, vi era vivo l'interesse per le scienze occidentali, soprattutto l'erboristeria e la medicina. Un medico con una buona preparazione botanica sarebbe stato il benvenuto e avrebbe potuto ottenere piante in cambio di informazioni scientifiche. Ottimo medico e dotto naturalista della scuola linneana, Thunberg era il candidato ideale; tranne per un particolare: non era olandese. Non un ostacolo tale da impressionare né i Burman né l'avventuroso Thunberg: se non era olandese, avrebbe potuto diventarlo almeno abbastanza da apparire credibile a occhi e orecchie giapponesi. Sostenuti gli esami per essere assunto dalla VOC come chirurgo, avrebbe dovuto trasferirsi in Sud Africa, in modo da imparare la lingua e le abitudini olandesi soggiornando nella colonia del Capo. E ovviamente, mentre era sul posto, esplorare la flora e la fauna di quella ricca regione naturalistica. Linneo, sempre puntigliosamente informato dalle lettere dell'affezionato allievo, diede il suo assenso. Dunque nell'autunno del 1771 Thunberg partì per il Capo di Buona Speranza come medico di bordo della nave Schoonzigt. Il viaggio gli costò quasi la vita, per colpa di un cuoco maldestro che per errore mescolò biacca di piombo alla farina dei pancake della mensa ufficiali; ma fu anche un'occasione per dimostrare il suo acume scientifico, salvando se stesso e le altre vittime e descrivendo il decorso della malattia in una puntigliosa relazione. Il "padre della botanica sudafricana" Dopo la pericolosa avventura, Thunberg arrivò al Capo il 16 aprile 1772, appena una settimana dopo il condiscepolo Sparrman (come si è visto in questo post). In Sud Africa sarebbe rimasto tre anni durante i quali avrebbe esplorato sistematicamente le ricchezze naturali della regione. Il primo contatto con la flora sudafricana avvenne proprio in compagnia di Sparrman con il quale esplorò la baia del Capo, ma ben presto le strade dei due si divisero. Nonostante il nuovo governatore della Compagnia, Joachim van Plettenberg (a differenza del predecessore, Rijh Tulbagh, corrispondente di Linneo) fosse scarsamente interessato alle esplorazioni scientifiche e Thunberg fosse sempre a corto di denaro (si manteneva con il lavoro di medico della VOC e ottenne aiuto e prestiti da alcuni sponsor), egli riuscì a sfruttare al meglio la sua permanenza: ogni anno, dedicò il periodo settembre-dicembre (corrispondente alla primavera australe, la stagione delle piogge e il momento di massimo rigoglio della vegetazione) a una lunga spedizione naturalistica nell'interno; i mesi restanti erano utilizzati per raggranellare quattrini, riordinare le raccolte, scrivere le pubblicazioni scientifiche relative, compiere frequenti escursioni a breve raggio nei dintorni di Città del Capo (ad esempio, scalò la Table Mountain per almeno quindici volte). Nella prima spedizione (7 settembre 1972-2 gennaio 1773) Thunberg fu accompagnato da Johann Andreas Auge, il soprintendente dei giardini della Compagnia al Capo; dal sedicenne Daniel Ferdinand Immelmann, figlio di un ufficiale olandese; dal sergente dell'esercito Christian Hector Leonhard e da due "ottentotti" (ovvero Khoi). Dapprima si mossero verso occidente, fino alla base di Saldanha; quindi, dopo aver raggiunto le montagne, un grande giro verso est lungo l'altopiano li portò a toccare la costa a Mossel Bay. Qui si inoltrarono ancora verso est, toccando il punto più orientale al fiume Gamtoos. La spedizione si muoveva lentamente, pernottando nelle fattorie della compagnia con carri trainati dai buoi, più adatti dei cavalli ad affrontare la scarsità d'acqua. Al suo rientro a Città del Capo, Thunberg accompagnò in una breve escursione il naturalista francese Pierre Sonnerat, di passaggio in Sud Africa; ma soprattutto incontrò Francis Masson, il raccoglitore di piante inviato al Capo da Banks per conto dei Kew Gardens. I due, pur diversissimi per cultura e carattere, divennero amici e decisero di proseguire insieme l'esplorazione; in effetti, la collaborazione conveniva da entrambi: Masson aveva dalla sua una maggiore disponibilità di mezzi, Thunberg l'eccezionale competenza scientifica, oltre a una migliore conoscenza del territorio. Dopo un breve viaggio di prova, in cui insieme al capitano Gordon esplorarono le montagne intorno al Capo (13-16 maggio 1773), nel settembre 1773 i due, accompagnati da quattro khoi, partirono, per una lunga spedizione che si mosse grosso modo sulle tracce di quella precedente; tuttavia, spesso, mentre i khoi proseguivano con i carri per strade più battute e percorribili, i due naturalisti, a cavallo, affrontarono impervie scalate e passi disagevoli per esplorare la flora e la fauna delle montagne dell'altopiano. Impetuoso e talvolta imprudente, mentre guadava un torrente Thunberg rischiò di annegare nella profonda buca scavata da un ippopotamo, ma superò l'avventura con imperturbabile sangue freddo. Il punto estremo della spedizione fu questa volta il Sundays River. L'anno successivo i due amici si unirono per un'ultima spedizione (settembre-dicembre 1774) che si spinse all'interno, in direzione nord-ovest, per esplorare l'altipiano del Roggeveld, fino ad allora mai toccato dai naturalisti. Tra gli obiettivi anche la raccolta di campioni minerari. Anche se una parte delle collezioni andò perduta in seguito al ribaltamento di uno dei carri, anche in questo caso il bottino dei due amici fu ricchissimo. Durante la sua permanenza al Capo, Thunberg, raccoglitore estremamente accurato e coscienzioso, raccolse un'impressionante massa di esemplari botanici (ma anche animali, rocce, minerali, fossili): circa 3000 piante (ovvero il 30% delle specie dell'area), di cui almeno un migliaio ignote alla scienza. Insieme a numerosissime pubblicazioni più brevi dedicate a generi endemici della flora sudafricana, i suoi Prodromus plantarum capensium (1794-1800) e Flora capensis (1807-1823) furono per decenni i testi di riferimento per la conoscenza della flora sudafricana e gli guadagnarono il soprannome di "Padre della botanica sudafricana". Il "Linneo giapponese" Ma era tempo per Thunberg di lasciare il Sud Africa per la sua vera meta. Ora parlava fluentemente l'olandese (se ne servì anche per alcuni scritti scientifici) e degli olandesi aveva assunto anche le abitudini (ma non quella del fumo, che detestava). Nel marzo del 1775 si imbarcò come medico di bordo sulla Loo, diretta a Batavia, dove riuscì a farsi assegnare il posto di medico residente dello stabilimento commerciale di Dejima. Vi arrivò ad agosto a bordo della nave Stavenisse e vi rimase per circa quindici mesi (fino al novembre 1776). Agli europei era vietato lasciare l'isola (collegata alla terraferma da un ponticello strettamente sorvegliato e chiuso da una grata); così, all'inizio l'avventura giapponese di Thunberg fu estremamente frustrante. Le uniche piante che riuscì ad osservare erano quelle utilizzate come foraggio per il bestiame che gli olandesi tenevano sull'isola. Tuttavia, grazie al suo carattere aperto e allegro, riuscì a stringere amicizia con alcuni degli interpreti giapponesi - alcuni dei quali erano medici o naturalisti - che gli procurarono esemplari in cambio di informazioni mediche e scientifiche. Grazie ai suoi contatti giapponesi nel febbraio 1776 ottenne finalmente dal governatore di Nagasaki l'autorizzazione ad esplorare i dintorni, anche se sempre accompagnato da uno stuolo di interpreti, guardie e domestici, a cui era obbligato ad offrire il tè a proprie spese in ogni punto di sosta. Ogni anno, in occasione del Capodanno giapponese, il capo dell'agenzia olandese si recava ad Edo (l'odierna Tokio) per rendere omaggio allo Shogun. Nel 1776 della delegazione fa parte anche Thunberg; durante il lungo e lento viaggio di circa 1000 km - gli ospiti europei sono trasportati in lussuose portantine - può così osservare gli usi e i costumi del paese e raccogliere numerosi esemplari botanici; unico rammarico: i contadini giapponesi sono coltivatori così solerti che difficilmente nei campi si trovano erbacce. Dopo aver toccato Osaka e Miyako (oggi Kyoto), ad aprile la delegazione arriva a Edo. Qui Thunberg è stato preceduto dalla sua fama di sapiente medico e incontra, tra gli altri, il medico personale dello Shogun, Katsuragawa Hoshu, che, insieme all'amico Nakagawa Jun-an, sta traducendo in giapponese un importante testo di anatomia; sono tre settimane di intensissimo colloqui scientifici su diversi argomenti, nel corso dei quali, tra l'altro, Thunberg avrà modo di introdurre in Giappone il mercurio per curare la sifilide. I due medici giapponesi - con i quali Thunberg rimarrà in contatto anche quando sarà rientrato in Svezia - gli procurano piante e lo informano sui loro nomi giapponesi; a sua volta, lo svedese riferisce i nomi olandesi e latini. Dopo essere stato ricevuto dallo Shogun il 18 maggio, il gruppo riparte per Nagasaki; a Osaka Thunberg trova un piccolo giardino botanico dove acquista diverse piante che poi spedirà a Amsterdam in tinozze piene di terra. Il 29 giugno è di nuovo a Deshima; durante l'estate, Thunberg, oltre a riordinare le collezioni raccolte durante il viaggio, ha modo di compiere diverse escursioni nell'area di Nagasaki. Il risultato del suo soggiorno giapponese sarà Flora japonica (1784), la prima descrizione sistematica della flora e della fauna del Giappone, un testo innovativo e influente, che gli guadagnerà il soprannome di "Linneo giapponese". Curiosamente, molte delle piante battezzate da Thunberg con il nome specifico japonica, non sono autoctone giapponesi, ma piuttosto piante orticole di origine cinese importate da secoli nel paese del Sol Levante. Altri approfondimenti su questa grande figura di naturalista nella biografia. Thunbergia, esuberanza tropicale Onorato in vita con numerosi riconoscimenti, Thunberg ha lasciato una profonda impronta nella nomenclatura botanica. Scopritore di dozzine di nuovi generi, ha tenuto a battesimo piante oggi comuni nei giardini come Deutzia, Weigela, Aucuba, Nandina, Skimmia. Sono almeno 250 le specie vegetali (e alcune animali) che lo onorano con l'epiteto thunbergii, thunbergianus. Si deve a un altro botanico svedese, Anders Johan Retzius, la dedica del genere Thunbergia (1780), la cui specie tipo è T. capensis, una delle numerose piante raccolte da Thunberg nella regione del Capo. Questo genere della famiglia Acanthaceae comprende un centinaio di specie di erbacee, arbusti, ma soprattutto rampicanti, originarie dell'Africa meridionale, del Madagascar e dell'Asia tropicale. Vigorose, di rapida crescita e molto decorative per l'esuberante fioritura, molte sono popolari piante da giardino, soprattutto dove il clima mite ne consente la coltivazione all'aperto. La più diffusa è probabilmente T. alata, nota con il curioso nome "Susanna dagli occhi neri" per i fiori dalle corolle aranciate o gialle con un caratteristico centro dal colore scuro. Di rapida crescita, è spesso coltivata come annuale anche in climi più rigidi. Di frequente coltivazione è anche T. grandiflora, nativa dell'India tropicale, una vigorosa rampicante sempreverde con grandi fiori blu-violetto. Per approfondimenti su altre specie si rimanda alla scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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