Che la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) non fosse un ente di beneficenza è chiaro: il suo fine era il guadagno, a qualsiasi prezzo, compresi la deportazione e il genocidio degli indigeni, la distruzione delle piante della concorrenza, la difesa del proprio monopolio a cannonate. Chi si arruolava come mercenario nel suo esercito privato sapeva di dover essere pronto a tutto. Se poi, venuto dal nulla, riusciva pure a fare fortuna, certo non doveva mancare di pelo sullo stomaco. Sicuramente non ne difettava il (sedicente?) medico Andreas Cleyer: arrivato a Batavia come soldato da una Germania ancora segnata dalla Guerra dei Trent'anni, riuscì in breve tempo a diventare il direttore e il fornitore ufficiale della farmacia della VOC, a scalare i vertici locali della Compagnia e ad essere l'unico non olandese a dirigere l'emporio di Dejima (dove fece soldi in modo per lo meno disinvolto). Il suo interesse per le piante però non era solo strumentale e, insieme al suo capo giardiniere Georg Meister, ha lasciato uno dei primi contributi sulla flora giapponese, precedendo anche Kaempfer (che probabilmente convinse ad accettare il posto di chirurgo a Dejima). Tutto sommato meritato l'omaggio tributatogli da Thunberg, che gli dedicò una pianta molto importante nella cultura giapponese, la sacra Cleyera japonica. Da faccendiere a naturalista Al contrario dell'eroe di Thomas Mann, il cavaliere d'industria Andreas Cleyer (1634-1698) non ci ha lasciato le sue confessioni; altrimenti forse sapremmo qualcosa di più (o a ben pensarci ancora di meno) sui punti oscuri della sua vita. Due certezze: la nascita a Kassel, in Assia, nel 1634, quando ancora imperversava la Guerra dei Trent'anni, e l'arrivo nelle Indie orientali olandesi nel 1662, come adelborst, ovvero soldato mercenario al servizio della VOC. In mezzo, il vuoto. La sua versione è che si fosse laureato in medicina (forse a Marburg), ma non risulta immatricolato in nessuna università. Certo qualche studio l'aveva fatto: sapeva il latino e si intendeva davvero di anatomia e piante medicinali; almeno abbastanza da essere assunto all'ospedale della VOC di Batavia come assistente. Da quel momento, incominciò a fare carriera. Nel 1665, i registri della Compagnia indicano che era stato assegnato alla farmacia del forte con il compito di preparare e consegnare i medicinali. L'anno successivo fu coinvolto nella fondazione della scuola latina, di cui per qualche tempo fu anche rettore. Ma ad assicurargli la ricchezza e una posizione sociale eminente furono le piante officinali: nel 1667, alla morte del farmacista della fortezza, ne prese il posto e l'anno successivo assunse anche la gestione della farmacia cittadina; più tardi aprì un proprio negozio. I semplici, gli ingredienti dei medicinali, che arrivavano dall'Europa, oltre ad essere molto costosi, a causa del lunghissimo viaggio per mare spesso perdevano tutte le loro virtù. L'idea geniale di Cleyer fu di produrli lui stesso sul posto. Allestì uno o più orti dei semplici (sappiamo che li lavoravano ben cinquanta schiavi) dove fu in grado di far coltivare le erbe medicinali che poi utilizzava per creare medicamenti a basso costo. A basso costo per lui, s'intende: riuscì a strappare un lucrativo contratto alla VOC, che pagava le sue medicine al prezzo corrente sul mercato europeo maggiorato di una commissione del 50% (un prezzo così sospetto che ad Amsterdam fiutarono l'inganno e rescissero il contratto). Il suo interesse per le piante medicinali però era genuino, e non solo come fonte di guadagno, al punto di creare attorno a sé una piccola rete di collaboratori, in genere altri tedeschi giunti come lui a Batavia in cerca di fortuna. Per qualche tempo quello principale fu Georg Meister (1653-1713), anche lui arruolatosi come soldato mercenario; in patria però era stato giardiniere, e a partire dal 1677 Cleyer ne fece il suo capo giardiniere. Ufficialmente, era un dipendente della VOC, e a guardare per il sottile che lavorasse per Cleyer era illegale, dettaglio che certo non impensieriva il nostro disinvolto affarista, che ormai era uno dei membri più ricchi, stava scalando i vertici locali della Compagnia e dal 1680 faceva parte del Consiglio di giustizia. Incominciò anche a farsi conoscere in Europa come naturalista; nel 1678 fu ammesso all’Academia naturae curiosorum (la futura Accademia leopoldina di Berlino) ed entrò in contatto con i direttori dell'Orto botanico di Amsterdam, cui inviò diverse piante e con vari accademici tedeschi, tra cui Christian Mentzel. Nel 1681 capitò a Batavia un altro tedesco, Heinrich Claudius (il nome è più noto nella forma olandese Hendrik, circa 1665-97): era un farmacista e anche un dotato pittore. Clayer lo assunse e decise di approfittare dei suoi talenti per spedirlo a Mauritius e al Capo di Buona Speranza a fare incetta di piante medicinali. Tuttavia in Sud Africa Claudius passò direttamente al servizio della VOC e il suo rapporto con Cleyer si interruppe. L'anno dopo l'intraprendente farmacista fu nominato opperhoofd (mercante-capo o governatore) di Dejima, benché non fosse olandese e in teoria solo questi ultimi vi fossero ammessi. Da una parte era un incarico redditizio, perché (in modo più o meno tollerato) i mercanti olandesi, oltre che per conto della VOC, trafficavano in proprio; dall'altra parte Cleyer contava di approfittarne per studiare la flora giapponese, tanto che si fece accompagnare da Georg Meister (interesse privato in atto d'ufficio, ma violazione più violazione meno...). Cleyer fu governatore di Dejima per due mandati, nel 1682-83 e nuovamente nel 1685-86, quando fu espulso dalle autorità giapponesi con l’accusa di non tenere abbastanza sotto controllo il contrabbando. Visto che i giapponesi coinvolti furono giustiziati e al suo rientro a Giava egli era abbastanza ricco da acquistare la più bella casa di Batavia, è molto probabile che uno di quei contrabbandieri fosse proprio lui. In Giappone acquistò uno splendido manoscritto con centinaia di disegni di piante e uccelli; inviato a Berlino a Mentzel, ora è uno dei gioielli della Biblioteca di stato; inoltre mise a frutto l'anno e mezzo trascorso a Dejima (compresi i due viaggi a Edo per rendere omaggio allo shogun) per raccogliere i materiali e informazioni grazie ai quali, dopo il ritiro a vita privata, si costruì una reputazione di naturalista e esperto di cose giapponesi. Infatti, l'espulsione dal Giappone, che sicuramente creò non pochi problemi alla VOC, lo costrinse a lasciare la Compagnia; da quel momento dedicò il suo tempo alla ricerca e alla scrittura. Già nel 1682 aveva esordito in questa attività pubblicando Specimen medicinae sinicae, il primo testo illustrato di medicina cinese uscito in Europa; anche se il suo nome compare sul frontespizio, ne era solo il curatore; si tratta infatti della traduzione di trattati di medicina cinese a opera di vari padri gesuiti missionari in Cina; uno di loro era il polacco Michael Boym, di cui nel 1686 Cleyer pubblicò un trattato sull'esame del polso, Clavis medica ad Chinarum de pulsibus. A partire dal 1683, incominciò a contribuire alle Miscellanee dell’Academia Naturae Curiosorum di Berlino con una serie di Observationes (in tutto 46, alcune postume) che riguardano argomenti diversi, tra cui la pratica della moxa, ma il nucleo più consistente è costituito dalla descrizione di una cinquantina di piante giapponesi, comprese Camellia japonica e Wisteria japonica. Eccetto alcune specie coltivate di larga diffusione, sono basate, più che sull'osservazione delle piante vive, sulle informazioni raccolte dagli interpreti e su campioni di medicinali; non di rado le descrizioni sono dunque assai parziali e vertono in gran parte sulle proprietà officinali. Bastano però a farne il pioniere dello studio della flora nipponica; inoltre gli va riconosciuto il merito di aver incoraggiato Kaempfer ad accettare l'incarico di chirurgo a Dejima, dove egli poté riprendere la sua indagine con ben altra competenza e profondità. Cleyer non tornò mai in Europa e rimase a Giava, dove morì nel 1698. Invece il giardiniere Meister, che come abbiamo visto lo accompagnò nei due soggiorni giapponesi, nel 1686 tornò in Germania, divenne giardiniere capo dell'elettore di Sassonia a Dresda e nel 1692 pubblicò il curioso Der Orientalische-Indianische Kunst-und Lust-Gärtner, «Il giardiniere d’arte e di piacere delle Indie orientali», il primo libro esplicitamente dedicato ai giardini dell’Estremo oriente. Nel capitolo dieci Japponische Baumschule "Vivaio giapponese" si parla dell'arte del bonsai e si descrive un'ottantina di piante giapponesi. Le descrizioni di Meister sono considerate ancora più approssimative di quelle del suo datore di lavoro. Del resto, a parte qualche breve escursione, non lasciò mai Dejima, e anche per descrivere i giardini giapponesi di Nagasaki dovette affidarsi totalmente a quanto gliene riferirono gli interpreti. Cleyera ovvero il sacro sakaki Carl Peter Thunberg, anche lui medico della VOC quasi un secolo dopo queste vicende, quando le condizioni di semi prigionia in cui operavano gli olandesi si erano fatte ancora più aspre, riconobbe i meriti di precursore del nostro naturalista-faccendiere dedicandogli in genere Cleyera; e scelse opportunamente una pianta estremamente significativa per la cultura giapponese, il sakaki (Cleyera japonica): considerata sacra nella religione shintoista, i suoi rametti intrecciati con strisce di carta, seta e cotone formano il tamagushi, offerto ritualmente in occasione di matrimoni, funerali e altre cerimonie. Inoltre boschetti di sakaki delimitano lo spazio sacro attorno ai templi. Si tratta della più nota delle circa venti specie del genere Cleyera (famiglia Pentaphylacaceae), caratterizzato da una distribuzione disgiunta: due terzi delle specie vivono nell'Estremo oriente temperato (dall'Himalaya al Giappone), il resto in Messico e America centrale. C. japonica è un grande arbusto o un alberello sempreverde con foglie ovali, coriacee, lucide, verde scuro nella pagina superiore, verde giallastro in quella inferiore, profondamente solcate in corrispondenza del picciolo. All'inizio dell'estate produce piccoli fiori profumati bianchi simili a quelli della camelia (un tempo le Pentaphylacaceae facevano parte della famiglia Theaceae). I frutti sono bacche dapprima rosse quindi nere, anch'esse rese attraenti dal contrasto con i sepali persistenti. E' l'unica specie del genere talvolta disponibile nei nostri vivai, anche nella forma 'Variegata' o 'Tricolor', con foglie dai margini crema.
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