Con oltre 200 milioni di nuovi casi e più di 400.000 morti ogni anno, la malaria è ancora oggi la malattia endemica più temibile. Lo è stata anche di più in passato, quando l'unico rimedio era la corteccia della china. Un rimedio di cui la corona spagnola e l'ordine dei gesuiti detennero per quasi duecento anni il monopolio, alimentando miti e leggende. Come quella cui deve il nome scientifico, Cinchona spp. Una storia troppo bella per essere vera La corteccia di china giunse in Europa intorno alla metà del Seicento; per ragioni soprattutto culturali, il nuovo rimedio antimalarico stentò ad affermarsi in una medicina ancora dominata dalla teoria galenica degli umori. Tra i primi sostenitori della sua efficacia terapeutica, il medico genovese Sebastiano Bado che le dedicò diverse opere, tra cui Anastasis cortici peruvianae, seu chinae-chinae defensio ("Resurrezione della corteccia peruviana, ovvero difesa della china-china", 1665). E' attraverso questo testo che si diffuse la leggenda della contessa di Chinchon (o come scriveva erroneamente l'italiano Bado, Cinchon). Bado riferisce di essere venuto a conoscenza della corteccia e del modo di somministrarla dal mercante genovese Antonio Bolli che aveva vissuto a lungo in Perù; oltre a testimoniare che le virtù medicinali della quina-quina (ovvero "corteccia delle corteccia", in quechua) erano ben note agli indios, Bolli riferì la seguente storia. Una trentina di anni prima, a Lima la moglie del Viceré si era ammalata di febbre terzana. Venuto a conoscenza della malattia, il governatore di Loxa scrisse al viceré di conoscere un rimedio segreto e infallibile. Visto che la moglie era in pericolo di vita, il viceré permise che la medicina fosse somministrata all'inferma, che subito guarì in modo quasi miracoloso. Con gratitudine e entusiasmo, la viceregina distribuì la corteccia di china ai poveri di Lima e al suo ritorno in Spagna la portò con sé, per curare i contadini delle sue terre iberiche, dove ugualmente imperversava la malaria. Risalirebbe dunque a lei, la contessa di Chinchon (il viceré rispondeva all'impressionante nome di Luis Jeronimo Fernandez de Cabrera Babadilla de la Cerda y Mendoza, conte di Chinchon) la prima introduzione in Europa della china, presto nota anche come "polvere della contessa". Il racconto circolò per duecento anni senza essere messo in dubbio. A prestarvi fede fu tra gli altri Linneo che nel 1753 in Species plantarum battezzò Cinchona il genere cui appartengono diverse specie di alberi della china, riprendendo la grafia errata di Bado. In forma romanzata, la storia fu anche ripresa dalla scrittrice Mme de Genlis che nel suo romanzo Zuma (1817) attribuisce la scoperta del magico farmaco a una fedele serva india, che avrebbe salvato la vita alla sua padrona, ovvero la contessa di Chinchon. Tuttavia, nel 1935 la pubblicazione del Diario de Lima o Diario del Viceregno di Chinchon, redatto per volontà del conte di Chinchon da due segretari (prima Juan Antonio Suardo, quindi Diego Medrano) non ha offerto alcun riscontro alla leggenda. Intanto, un primo problema riguarda l'identità della contessa; il conte infatti si sposò due volte. Alcuni identificano la benefattrice con la prima moglie del conte, Ana de Osorio; tra di essi in particolare l'esploratore britannico C. R. Markham, futuro presidente della Royal Geographical Society e uno dei principali artefici della introduzione della coltivazione della china in India: nel 1874 egli dedicò alla prima contessa di Chinchon A Memoir of the Lady Ana De Osorio: Countess of Chinchon and Vice-Queen of Peru, in cui si batté tra l'altro per cambiare il nome linneano ripristinando la grafia "giusta" Chinchona. L'identificazione è sicuramente errata: Ana morì nel 1625, tre anni prima che Luis Jeronimo fosse nominato viceré. Ad accompagnarlo in Perù fu la seconda moglie, Francisca Henriquez de Rivera; sarà dunque lei ad essersi ammalata ed aver riportato con sé la china in Europa? Non è vero neppure questo; il diario di Suardo ci informa minutamente degli eventi del viceregno, compresa la salute della coppia Chinchon. Non risulta che Francisca si sia mai ammalata di malaria. A contrarre la malattia fu invece il marito, che tuttavia venne curato, come allora era in uso, con salassi. Inoltre la nobildonna non tornò mai in Spagna; infatti morì nel 1641 a Cartagena de las Indias dove lei e Luis Jeronimo stavano per imbarcarsi per far ritorno in patria. Dunque, molto probabilmente anche la seconda contessa non ebbe alcun ruolo nell'introduzione della china in Europa, e l'omaggio di Linneo è immeritato. Ma la sua fama di "scopritrice della china", nonostante tutte le evidenze contrarie, persiste e non molti anni fa il comune di Chinchon le ha addirittura dedicato un monumento. Nella sezione biografie, un suo breve profilo. Molto più prosaicamente, a diffondere la corteccia di china in Europa furono i gesuiti, che forse ne avevano conosciuto le proprietà grazie ai guaritori indigeni o le avevano scoperte essi stessi nei loro ospedali sudamericani. Tra i suoi principali promotori, il gesuita spagnolo Juan de Lugo (cardinale dal 1643) che, convinto della sua efficacia, prese a distribuirne la polvere ai poveri romani (le Paludi Pontine, e la stessa città eterna, erano infestate dalla malaria), tanto che essa divenne nota come "polvere di Lugo", ma anche "polvere dei gesuiti". Anzi, il legame con l'odiato ordine gesuita ne rallentò la diffusione nei paesi protestanti, dove era addirittura osteggiata come "polvere dell'Anticristo". Si dice che Oliver Cromwell sia morto di malaria dopo aver rifiutato di assumere la medicina "papista". Soltanto la guarigione di due teste coronate (prima il re d'Inghilterra Carlo II d'Inghilterra, poi il re di Francia Luigi XIV), la sdoganò definitivamente, facendo del genere Cinchona una delle più importanti "piante che hanno cambiato la storia" con milioni di vite salvate al suo attivo. Secondo qualche studioso, che fa notare che il primo diffusore, Antonio Bolli, era un mercante, la leggenda della contessa di Chinchon sarebbe stata inventata a bella posta per attribuire alla corteccia miracolosa un'origine più nobile (o almeno un po' meno politicamente connotata). La salvifica (e schizzinosa) Cinchona Il genere Cinchona appartiene alla famiglia delle Rubiaceae, la stessa della pianta del caffè, e comprende una ventina di specie di arbusti e alberi originari delle foreste dell'area amazzonica andina, tra i 1500 e 3000 metri di altitudine (dalla Colombia alla Bolivia, con massima presenza in Perù e Bolivia). Le diverse specie, molto variabili per dimensioni, colore della corteccia, forma delle foglie, hanno vistosi fiori bianchi, rosa o rossi, profumati; ma non è certo il pregio estetico ad aver reso la Cinchona una delle piante più ricercate della storia, bensì le proprietà medicinali della corteccia, per circa trecento anni l'unico rimedio efficace contro il paludismo. Non si contano i botanici e gli esploratori che sono andati alla sua ricerca, da Plumier a fine Seicento a Humboldt a inizio Ottocento. Almeno fino agli anni '30 del Settecento, in Europa se ne conosceva solo la corteccia, ma non si sapeva né quale fosse la "vera" pianta della china, né dove crescesse. I gesuiti prima, le autorità coloniali spagnole poi, ne tennero segrete le zone d'origine. Soltanto con l'avvento dei Borboni in Spagna la cortina cominciò a squarciarsi; così nel 1738 l'esploratore francese La Condamine poté portare in Europa gli esemplari essiccati su cui Linneo basò la prima descrizione scientifica. Ancora per un secolo la Spagna (e brevemente le sue ex colonie sudamericane) conservarono il monopolio del richiestissimo farmaco, finché intorno alla metà dell'Ottocento Olandesi e Inglesi ne diffusero la coltivazione nelle loro colonie, dovendo affrontare notevoli problemi di acclimatazione: si tratta infatti di piante di montagna, originarie dalle foreste "nebulose", che non sopportano né il gelo né il caldo estremo, né l'umidità ristagnante né la siccità. Innestando la specie più pregiata e ricca di chinino, Cinchona calysaia var. ledgeriana sulla più robusta C. pubescens gli Olandesi riuscirono ad assicurarsi il monopolio della produzione mondiale del chinino per quasi un secolo, fino alla seconda guerra mondiale. Unico rimedio per la prevenzione e il contenimento della malaria, la Cinchona intreccia la sua storia con quella del colonialismo europeo, che rese possibile preservando soldati e funzionari dal paludismo in Africa e in Asia; durante la seconda guerra mondiale si trasformò addirittura in un obiettivo strategico, quando Tedeschi e Giapponesi si impadronirono di tutte le riserve mondiali, mettendo in seria difficoltà gli alleati. Ma se volete saperne di più su questa storia, molto più intricata e affascinante di qualsiasi leggenda, leggete i dettagli nella scheda.
0 Comments
Dopo il primo viaggio di Cook (1763-1771), nelle grandi spedizioni oceaniche la presenza a bordo di almeno un naturalista è un fatto scontato. Ma la convivenza non è sempre facile, soprattutto se il naturalista è un botanico e non si accontenta di esemplari essiccati e semi, ma vorrebbe riportare a casa piante vive, che richiedono spazio, acqua, protezione dal clima mutevole, dalle burrasche, dalle onde, dalla salsedine, dagli animali di bordo. Molto può la benevolenza del capitano che, però di solito, ha ben altro per la testa. Lo scoprì a sue spese Archibald Menzies, alle prese con l'irascibile capitano Vancouver. Prima della partenza: le ingerenze di Banks Nel luglio 1789 - negli stessi giorni in cui la folla parigina mette un moto eventi di ben altra portata - nello stretto di Nootka, un'insenatura di quella che oggi conosciamo come isola Vancouver, va in scena una delle più insignificanti crisi diplomatiche della storia. Alcune navi mercantili britanniche vengono poste sotto sequestro (insieme ai beni dei mercanti e al loro insediamento sull'isola) dagli spagnoli, per aver osato commerciare e installarsi in un'area di cui la Spagna rivendica la sovranità. A Madrid e a Londra gli animi si eccitano, le rispettive flotte vengono mobilitate, sembra si arrivi alla guerra; senonché, proprio a causa degli eventi parigini, la Spagna, priva del sostegno della Francia, è costretta a cedere e ad incassare tutte le richieste britanniche, siglando la convenzione di Nootka (ottobre 1790). Alcuni particolari devono essere definiti sul posto. Invece di una guerra, l'ammiragliato britannico prepara una spedizione che è allo stesso tempo diplomatica, geografica e scientifica. Il comando è affidato al capitano George Vancouver, esperto marinaio e abile cartografo che si è formato alla scuola di Cook; la spedizione infatti ha un obiettivo ufficiale e dichiarato, ovvero verificare l'esecuzione della convenzione; e uno più importante e segreto: cercare il mitico passaggio a nord-ovest oppure dimostrarne l'inesistenza. Come tutte le maggiori spedizioni dell'epoca, ha anche scopi scientifici: vi si aggregano un astronomo, William Gooch, e un botanico, lo scozzese Archibald Menzies. E' stato Banks a volere con forza la presenza di Menzies (da tempo suo corrispondente, con una certa conoscenza dell'America settentrionale), a dettargli gli obiettivi scientifici, addirittura a progettare uno strano cassone-serra destinato a proteggere dei rigori della navigazione le piante vive che egli raccoglierà. L'influenza di Banks sull'ammiragliato impone al capitano Menzies e la sua serra viaggiante, che viene sistemata sul ponte di comando. L'arroganza di Banks si spinge fino a scrivere una lettera di istruzioni al capitano, chiedendogli di mettere alcuni uomini a disposizione di Menzies e di provvedere con sollecitudine all'integrità del cassone. Vancouver, che non è l'uomo più paziente del mondo, non si degna neppure di rispondergli (con grande indignazione di Banks). Per capirne i sentimenti, non dimentichiamo che il ponte di comando non era un luogo qualunque: era il simbolo stesso del potere del capitano, là dove impartiva gli ordini, sventolava la bandiera di bordo e gli uomini venivano convocati per ricevere gli ordini e assistere alle punizioni. La spedizione di Vancouver La nave di Vancouver, ribattezzata Discovery in ricordo del vascello del terzo viaggio di Cook, accompagnata dalla nave d'appoggio Chatam, salpò il 1 aprile 1791, una data altamente simbolica agli occhi del capitano. Agli ordini di Cook, nel corso del suo terzo viaggio, Vancover aveva già esplorato il Pacifico settentrionale ed era convinto che il passaggio a nord-ovest fosse un miraggio: quella missione era uno scherzo, affidatagli da pazzi. La spedizione sarebbe durata quattro anni e mezzo (1 aprile 1791-ottobre 1795), avrebbe circumnavigato il globo e percorso più di 60.000 miglia. Navigando verso est, toccando le Canarie, il Capo di Buona Speranza, la costa dell'Australia meridionale, la Nuova Zelanda, alla fine dell'anno erano a Tahiti dove Vancouver, memore delle vicende del Bounty, proibì ai suoi uomini contatti personali con i nativi. Un guardiamarina sedicenne, che aveva disobbedito, fu vergato pubblicamente. Il capitano dimostrò così la sua severità, ma anche scarso senso politico: quell'adolescente era Thomas Pitt, cugino del primo ministro. A marzo 1792 raggiunsero l'arcipelago delle Hawaii che, da quel momento, sarebbe stato il loro quartier generale invernale. Ad aprile toccarono la costa americana intorno al 39° Nord, incominciandone l'esplorazione sistematica. Iniziò così una routine che si sarebbe ripetuta per tre anni: la bella stagione era dedicata all'esplorazione e alla mappatura della costa americana, seguendo palmo palmo ogni più minima insenatura, risalendo fiordi e fiumi, per verificare se vi si celasse l'imboccatura del mitico passaggio a nord-ovest. Poiché anche la piccola Chatam era troppo grande per questo compito, ci si servì delle scialuppe di bordo, mosse a vela o a remi, spesso in condizioni proibitive di nebbia, pioggia, freddo, oltre a disagi come fame, sete, moscerini, indigeni non sempre amichevoli. Si calcola che siano stati percorse così circa 10.000 miglia, dall'attuale stato di Washington al limite occidentale dell'Alaska. D'inverno, le navi ritornavano alle Hawaii, in genere dopo aver trascorso qualche tempo in California, nel tentativo infruttuoso di arrivare a un accordo diplomatico con la Spagna. In effetti, la missione diplomatica si rivelò impossibile: gli spagnoli erano disponibili a restituire ai britannici i pochi metri quadrati dove si trovava la base mercantile messa sotto sequestro, gli inglesi pretendevano il controllo dell'intero stretto di Nootka. Nonostante gli ottimi rapporti personali con il negoziatore spagnolo, Juan Francisco de la Bodega y Quadra, ogni accordo risultò impossibile. Così Vancouver e Bodega decisero di attendere nuove istruzioni: che non arrivarono mai. In Europa erano iniziate le guerre contro la Francia rivoluzionaria, la Spagna da nemica era diventata alleata, quel lembo di isola era ormai indifferente a Londra come a Madrid. Alla fatica di un'esplorazione condotta in condizioni difficilissime, alla ricerca di un obiettivo inesistente in cui non credeva, si aggiungeva per Vancouver la frustrazione del fallimento della missione diplomatica. Mano a mano che passavano i mesi (e gli anni), il capitano diventava sempre più malato e più irascibile. Era diventato un uomo con cui non si discuteva; a farne le spese non fu il solo Pitt (lo fece vergare altre due volte, infine lo rispedì in Inghilterra), ma anche ufficiali e marinai che pure Vancouver stimava. E, ovviamente, Menzies e le sue piante. Menzies si era imbarcato come soprannumerario naturalista, accompagnato da un servitore. Tuttavia durante il viaggio era stato chiamato a sostituire il medico di bordo, rimasto paralizzato in seguito a un ictus. Benché riluttante, all'arrivo a Nootka il botanico, che era già il medico personale del capitano, assunse ufficialmente l'incarico di chirurgo di bordo, con il vantaggio di avere a disposizione una seconda cabina, benvenuta per sistemare le crescenti collezioni naturalistiche; ma con lo svantaggio di non essere più un civile, ma un ufficiale della Marina militare, soggetto all'autorità del capitano. Durante il viaggio di andata, aveva approfittato di ogni sosta (in Sudafrica, Autralia, Nuova Zelanda, Tahiti) per erborizzare e raccogliere campioni naturalistici, nonché piante vive che sistemava nel famoso cassone di Banks. E lì cominciarono i guai: bisognava proteggere le piante dalla pioggia, dalle onde, dal sole eccessivo e sorvegliare il cassone costantemente per impedire agli uccelli marini e agli animali di bordo di farvi irruzione. Menzies chiese ripetutamente che il cassone fosse protetto da una spessa rete e che qualche marinaio lo sorvegliasse quando lui o il suo servitore non erano a bordo o erano impegnati altrove. La prima richiesta fu soddisfatta (dopo due mesi), la seconda mai. Il primo anno di esplorazione fu fruttuoso per Menzies. Fu affascinato dalle fioriture primaverili delle aree costiere dall'attuale Stato di Washington e esplorò a fondo Nootka, mentre iniziavano le trattative con gli spagnoli. Ma dovette constatare con disappunto che i suoi colleghi iberici - che si trovavano nell'isola al seguito di una delle diverse spedizioni scientifiche finanziate dalla corona spagnola - avevano opportunità di ricerca ben maggiori delle sue: ammirò con una punta d'invidia gli erbari di José Mariano Mociño e soprattutto i disegni di Atanasio Echevarria. Lui, un disegnatore non ce l'aveva; doveva fare tutto da sé. Poi, mano a mano che ci si spingeva a nord e gli uomini si logoravano nell'esplorazione sistematica di quel labirinto d'acqua, le opportunità di scendere a terra o di aggregarsi a qualche gruppo di esploratori, per il chirurgo si facevano più scarse. C'erano infreddature, contusioni, congelamenti da curare, l'eterno incubo dello scorbuto da scongiurare. Non poteva allontanarsi dalla Discovery oltre un tiro di schioppo. Alle Hawaii, i motivi di scontento erano altri: era un paradiso in terra, ricchissimo di specie nuove, ma a Menzies era negato di vederle in fioritura, o in frutto, visto che vi trascorrevano solo i mesi invernali. E, naturalmente, c'era il maledetto cassone: nel trasferimento da sud a nord, le delicate tropicali morivano di freddo, in quello da nord a sud erano spazzate via dalle onde, bruciate dal sole, saccheggiate dagli animali di bordo. Ma il tenace scozzese si dava da fare: raccoglieva piante e semi, muschi e licheni (le sue piante preferite), disegnava e descriveva, seccava le piante per l'erbario, riempiva i vuoti creati dal disastro di turno con nuove piante vive. Nel 1794, l'ultimo inverno trascorso alle Hawaii, si tolse la soddisfazione, insieme ad un ufficiale, un guardiamarina e un marinaio, di scalare il maggiore vulcano dell'arcipelago. Dimostrò anche di essere un medico efficientissimo: in quel lungo viaggio, in condizioni tanto difficili, su 153 uomini uno solo morì di malattia. E nessuno di scorbuto. Un tempestoso viaggio di ritorno L'esplorazione delle coste del Pacifico settentrionale fu completata nell'agosto 1794, quando venne raggiunto quella che il capitalo battezzò significativamente Port Conclusion, sulla punta meridionale dell'Isola Baranof in Alaska. Nel viaggio di ritorno si toccarono la California (dove Vancouver fu informato che le trattative che tanto lo avevano angustiato probabilmente erano state concluse in Europa), diverse isole tra cui le Galapagos e Juan Fernandez, il Cile, dove furono ospiti del governatore; durante un pranzo, furono offerte curiosi frutti: Menzies se ne ficcò qualcuno in tasca. Ne sarebbero germogliate le prime plantule mai viste in Europa di Araucaria araucana. Le difficoltà delle ultime tappe del viaggio, che affrontò il Pacifico meridionale e il terribile Capo Horn nelle proibitive condizioni dell'inizio dell'inverno australe, resero sempre più tese le relazioni tra Menzies e il capitano. Alle sue richieste di aiuto per proteggere le sue preziose piante, Vancouver rispondeva in termini talmente irritati che il botanico decise di comunicare con lui solo per lettera. Nei pressi di SantElena, venne catturata una nave olandese; così il capitano, a corto di braccia dovendo dividere gli uomini su tre vascelli, utilizzò per altri compiti il servitore di Menzies. Quando l'ennesima tempesta allagò completamente il cassone, il botanico irruppe nella cabina del capitano per protestare; volarono parole grosse e Menzies fu messo agli arresti nella sua cabina. Il risultato fu che le piante rimasero abbandonate a se stesse e ben poche si salvarono. Quando furono di ritorno in Inghilterra nell'ottobre del 1795, Vancouver era deciso a deferire Menzies alla corte marziale, tanto più che il botanico si era rifiutato di consegnargli il suo diario. Il capitano dovette tuttavia constatare che mettersi contro uno dei protetti di Banks non era stata un'idea brillante per la sua carriera; in cambio di scuse da parte di Menzies, si risolse a ritirare le accuse, e il botanico poté sbarcare, con i suoi preziosi diari. Meno brillante ancora era stato far vergare ripetutamente e reimbarcare a forza il giovane Pitt; lo spocchioso aristocratico lo sfidò a duello, lo assalì per la strada, lo perseguitò con una campagna di stampa che, con i suoi mezzi, poteva permettersi, al contrario del capitano, che, con la salute logorata, morì pochi anni dopo, nel 1798. Qualche dettaglio nella sezione biografie. Lunga fu invece ancora la vita di Menzies, che morì a 88 anni nel 1842. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tante specie per Menzies, ma solo un ex-genere Il contributo di Menzies alle scienze naturali in generale, e alla botanica in particolare, è notevole. Lungo le tappe del viaggio, raccolse animali e piante in tre continenti (Africa, Oceania e America) e esplorò aree ancora ignote o scarsamente conosciute, come le Hawaii, la California, la Columbia Britannica (soprattutto l'Isola Vancouver). Si calcola che le specie nuove per la scienza da lui raccolte siano circa 400. Benché abbia avuto una vita molto lunga, non pubblicò molto (solo un libro sui muschi), ma i suoi diari e il suo erbario furono una delle fonti principali di Flora-Boreali Americana di William Jackson Hooker, in cui vennero pubblicati anche diversi disegni di Menzies, eccellente disegnatore naturalistico. Molte tra le specie da lui descritte per la prima volta lo ricordano nel nome specifico: il bellissimo Arbutus menziesii, l'abete di Douglas Pseudotsuga menziesii, Banksia menziesii, Erysimum menziesii, Nemophila menziesii, Ribes menziesii, Delphinium menziesii, Silene menziesii, Tolmieia menzesii e altre ancora. Tra le più note piante da lui fatte conoscere in Europa Araucaria araucana, Mahonia aquifolium, Eschscholzia californica, Pinus strobus, Ribes sanguineum, Tuja plicata, Sequoia sempervirens, Chamaecyparis lawsoniana, Cornus nuttali, Rhododendron occidentalis, Tropaeolum speciosum. Per duecento anni, anche un genere ne ha celebrato il ricordo: Menziesia, creato in suo onore dall'amico James Edward Smith nel 1791, che comprendeva una decina di specie di belle Ericaceae, diffuse tra Nord America, Giappone e Siberia. Nel 2011, sulla base di analisi del DNA, il genere è stato incluso in Rhododendron. La specie tipo, una delle piante raccolte da Menzies in America settentrionale, Menziesia ferruginea, è stata ribattezzata in suo onore Rhododendron menziesii. Il cambio di nome non è ancora registrato da Plant list, ma lo è da Taxonomicon. In rete la maggior parte dei siti usa ancora le vecchie denominazioni. Per questo, e per non darla vinta del tutto allo spettro di Vancouver, ho deciso di fare un'eccezione alle regole del blog, dedicando a Menzies un post, sebbene anche lui, come Ghini o Siebold, sia ormai uno dei grandi botanici non ricordati da alcun genere (analogamente ai grandi scrittori che non hanno mai vinto il premio Nobel). Le specie più note dell'ex genere Menziesia sono Menziesia ferruginea (= Rhododendron menziesii), nativa del Nord America nordoccidentale, dall'Alaska al Wyoming, dove vive nel sottobosco di diversi tipi di conifere delle aree montane; M. ciilicalyx (= Rhododendron benhoullii), un grazioso arbusto di piccole dimensioni nativo del Giappone; M. pilosa (= Rhododendron pilosum), un endemismo degli Appalachi centrali e meridionali. Vancouveria, una dedica meritata? Ben saldo è invece il genere che onora l'irascibile capitano Vancouver. Ovviamente nessun botanico inglese - tutti in un modo o nell'altro formatisi all'ombra di Banks - avrebbe mai dedicato un genere a quel fitocida. L'omaggio venne da due botanici francesi, Morren e Decaisne, che nel 1834 crearono il genere Vancouveria nell'ambito di una revisione di Epimedium. Appartenente alla famiglia Berberidaceae, comprende tre specie di erbacee perenni endemiche della costa occidentale degli Stati Uniti. La specie più nota è Vancouveria hexandra, una graziosa pianta del sottobosco delle foreste di conifere (per colmo di ironia, lo stesso ambiente del Rhododendron menziesii) con piccoli fiori bianchi con una forma che ricorda un ombrellino rovesciato e foglie composte con tre foglioline trilobate. E' un eccellente tappezzate per posizioni ombrose e suoli umidi, con caratteristiche simili ai suoi cugini Epimedium. Qualche informazione in più nella scheda. Non c'è neppure bisogno di ricordare che il capitano ha poi lasciato il suo nome, oltre all'isola Vancouver (lui l'aveva battezzata Isola Vancouver e Bodega, per ricordare i suoi eccellenti rapporti con Juan Francisco de la Bodega y Quadra), alla città di Vancouver e a una manciata di altri luoghi, in Canada, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda. E questi, da grandissimo esploratore, se li è guadagnati tutti. Anche Menzies (e fu un omaggio proprio di Vancouver) è ricordato da alcune località della Columbia Britannica, in particolare Mount Menzies e Menzies Bay. Bartolomeo Maranta, terzo esponente del Rinascimento botanico napoletano, ebbe una vita travagliata e segnata, suo malgrado, dalle polemiche, tanto da essere preso di mira dall'Inquisizione. Più fortunata la sua vita postuma. Ammirati dalla sua opera, notevole e originale nel pur ricco panorama della botanica italiana del tardo Cinquecento, Plumier prima e Linneo poi gli dedicarono un genere destinato a diventare una delle più popolari piante d'appartamento: Maranta, genere tipo della famiglia Marantaceae. Un metodo per riconoscere i semplici Maestro di Gian Vincenzo Pinelli, amico e collaboratore di Ferrante Imperato, il botanico Bartolomeo Maranta del vivace circolo botanico napoletano del tardo Rinascimento fu in un certo senso il teorico. Nato a Venosa, si formò come medico all'università di Napoli, raggiungendo un'altissima reputazione professionale (si dice che fosse in grado di diagnosticare una malattia solo dall'aspetto del paziente, prima ancora di sentirgli il polso) tanto che sarebbe stato nominato medico di corte di Carlo V (forse tra il 1535 e il 1539). Per approfondire le conoscenze botaniche, presumibilmente tra il 1550 e il 1554 si spostò a Pisa per studiare con Luca Ghini. Dal veneratissimo maestro, Maranta apprese le basi della scienza botanica e un approccio innovativo, basato, più che sulla lettura filologica di Teofrasto, Plinio e Dioscoride, sull'osservazione diretta delle piante e delle loro proprietà mediche. Il soggiorno pisano gli fruttò la stima del maestro, che lo considerò il più brillante dei suoi allievi, tanto da lasciargli in eredità le sue carte e il suo erbario. Frutto del soggiorno pisano furono anche l'amicizia con Gabriele Falloppio (altro professore dello studio di Pisa) e con Ulisse Aldrovandi, suo compagno di studi, con il quale intrattenne un'importante corrispondenza epistolare per tutta la vita. Tornato a Napoli nel 1554, divenne il maestro di Gian Vincenzo Pinelli, che gli mise a disposizione l'orto botanico della Montagnola; fu qui, sul campo, che Maranta poté mettere alla prova quanto appreso da Ghini. Il risultato fu Methodi cognoscendorum simplicium libri tres, "Tre libri del metodo per riconoscere i semplici". Il suo non è né l'ennesimo commento a Dioscoride - gli immensi Discorsi di Mattioli avevano ormai esaurito questo filone di ricerca - né un erbario o un prontuario con i semplici ben disposti in ordine alfabetico. Lo potremmo piuttosto considerare il primo trattato di botanica generale. Destinato ai medici, cerca di definire un metodo per riconoscere i semplici citati dagli autori classici (primo fra tutti Dioscoride) o comunque usati nella pratica medica. Grazie a una profonda conoscenza del mondo vegetale, Maranta prende in esame tre criteri, a ciascuno dei quali è dedicato uno dei tre libri. Il primo analizza i nomi e i modi in cui possono aiutare (o talvolta ostacolare) l'identificazione delle piante: troviamo così denominazioni tratte da personaggi reali o mitologici, dal luogo di provenienza, dalle caratteristiche morfologiche o dalle proprietà officinali; i nomi tramandati dai classici o di nuova coniazione; si analizzano gli equivoci che nascono dallo stesso nome attribuito a piante diverse o al contrario dai molti nomi con cui è designata la stessa specie. Il secondo libro è dedicato alla descrizione delle piante, sempre intesa come chiave di riconoscimento; Maranta è ben consapevole che le descrizioni degli autori classici sono spesso parziali e inutilizzabili. Ma soprattutto è attento - sono per noi le pagine più affascinanti - alle infinite variazioni di una stessa specie: la stessa pianta si mostra sotto un aspetto diverso nel corso dell'anno e nelle diverse fasi dello sviluppo; una pianta giovane e vigorosa è diversa da una pianta senescente e in declino, una coltivata è diversa da una spontanea; l'aspetto è influenzato dal terreno, dall'esposizione, dalle contingenze stagionali. Più specificamente medico il terzo libro, dedicato alle proprietà officinali delle piante, anche in questo caso nella consapevolezza che le nozioni tratte dagli antichi vanno verificate alla luce dell'esperienza. Secondo le sue stesse dichiarazioni, Maranta avrebbe scritto i Methodi libri tres su sollecitazione di Ghini (con il quale mantenne un'assidua corrispondenza dopo essere tornato a Napoli); prima di pubblicarlo, avrebbe voluto sottoporlo al giudizio del maestro ma questi nel 1556 morì improvvisamente. Maranta ripiegò su un altro amico, Gabriele Falloppio, che nel frattempo si era trasferito a Padova, dove aveva la cattedra di medicina, anatomia e botanica. Solo dopo l'approvazione di quest'ultimo, pubblicò la sua opera, che uscì nel 1559 a Venezia, preceduta dalla dedica a Pinelli e dal carteggio con Falloppio. Nonostante Maranta nel suo testo si pronunci sempre con grande prudenza, evitando toni polemici, nella piena consapevolezza dell'enorme difficoltà della materia, che ha tratto in errore anche gli studiosi più grandi, l'iracondo Mattioli insorse. Già ingelosito dal fatto che le carte di Ghini fossero andate a Maranta anziché a lui, attaccò con violenza il medico venosino, reo di aver identificato in modo diverso da lui un tipo di felce, la lonchite. Ma il calmo e avveduto Maranta non era il tipo da farsi trascinare in polemiche sterili; così non esitò a scrivere un'Epistula excusatoria (insomma, una lettera di scuse); pace fu fatta e i due divennero amici. Un'avventura peggiore toccò a Maranta nel 1562, quando fu arrestato e trattenuto nelle carceri dell'Inquisizione sospettato di simpatie luterane. Liberato dopo qualche mese, da quel momento si dedicò soprattutto alla critica letteraria. Tuttavia nel 1568, come scrive in una lettera all'amico Aldrovandi, lo ritroviamo a Roma dove era impegnato a impiantare un orto botanico (forse per il Cardinale Branda Castiglioni). L'anno dopo però tornò a Napoli, dove su richiesta del protofisico, sulla base delle ricerche condotte con l'amico Ferrante Imperato, scrisse Della Theriaca e del Mitridato, che gli creò la fama di specialista di antiveleni. Pubblicato postumo nel 1571, anche questo libro era destinato a suscitare roventi polemiche con i medici di Padova. Ma Maranta era già morto da qualche mese. Oltre che illustre botanico, fu anche un fine letterato e un esperto d'arte. Qualche notizia in più nella biografia. Maranta: tuberi alimentari e foglie spettacolari I Methodi libri tres di Maranta non erano certo fatti per diventare un bestseller. Privi di immagini, con quasi 400 pagine fitte di informazioni e osservazioni in un latino brillante ma complesso, arrivarono comunque a una seconda edizione (uscita l'anno stesso della morte dell'autore, con il titolo Novum herbarium sive methodus cognoscendorum omnium simplicium). Grazie a questo testo sapiente e singolare, il nome di Maranta rimase noto ai botanici delle generazioni successive. Nel Settecento, lo svizzero Albrecht von Haller ebbe persino a proclamarlo "l'oracolo dei botanici". Plumier nel 1704 gli dedicò uno dei suoi nuovi generi americani, dedica confermata da Linneo in Genera Plantarum (1753). Il genere Maranta, che ha anche dato il nome alla famiglia delle Marantaceae, è nativo dell'America tropicale (centro e sud America, Antille). Comprende 40-50 specie di erbacee perenni rizomatose con grandi foglie sempreverdi intere e piccoli fiori tubolari con tre petali. Due sono le specie più note, per motivi molto diversi. La prima è M. arundinacea, nota con il nome di arrowroot, dai cui tuberi si ricava una fecola alimentare, conosciuta con lo stesso nome; nativa del Messico, dell'America centrale e meridionale, delle Antille, dove è coltivata fin dalla preistoria, è stata introdotta e si è naturalizzata in moltissimi paesi tropicali, dall'Africa all'Asia orientale. Utilizzata in questi paesi nell'alimentazione ordinaria, per la sua eccellente digeribilità da noi è soprattutto impiegata per preparare alimenti leggeri per bambini o ammalati. La seconda è M. leuconeura, una delle più popolari piante da appartamento. Non è coltivata per i fiori, bianchi o violacei e insignificanti, ma per la bellezza delle grandi foglie, caratterizzate da nervature vivacemente colorate che spiccano, talvolta simili a piume, sullo sfondo di colore contrastante o isolano grandi macchie di colore. Curioso è il portamento di queste foglie: nelle ore diurne sono abbassate e distese, in quelle notturne si raddrizzano e si ammassano l'un l'altra. Poiché in quest posizione evocherebbero mani giunte in preghiera, nei paesi anglosassoni sono note come Prayer Plant. Il movimento delle foglie , ovviamente accelerato, è ben apprezzabile in questo video. Sul mercato sono disponibili molte cultivar che si distinguono per i colori e le diverse forme delle variegature. Qualche informazione in più nella scheda. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
Dal 1 dicembre, si può sfogliare il Calendario dell'Avvento 2024 "Spezie di Natale"
https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
Categorie
All
|