Nel Settecento, Danzica diventò una meta turistica irrinunciabile per i curiosi della natura grazie al Museum Kleinianum, reputato il Gabinetto naturalistico più ricco d'Europa. A crearlo fu il segretario del Consiglio della città, Jacob Theodor Klein, che, sull'esempio dell'amico Johann Philipp Breyne, volle che sorgesse in uno splendido giardino ricco di piante esotiche. Quella che mostrava con maggiore orgoglio ai visitatori era il "gelsomino arabo" - che cosa fosse lo scoprirete leggendo - su quale per anni condusse esperimenti di semina e coltivazione. A renderlo famoso in tutta Europa fu però anche la sua copiosa produzione di libri sui fossili e gli animali, per classificare i quali creò un sistema che pretendeva semplice ed evidente quanto quello che Dio aveva infuso in Adamo. Per difenderlo, arrivò a polemizzare con lo stesso Linneo (all'epoca giovane e non ancora "mostro sacro"). Lo svedese, si sa, non era tipo da passare sopra alle offese; fu forse per questo che il genere Kleinia, creato in onore della naturalista tedesco in Hortus cliffortianus, in Species plantarum scomparve a favore di una denominazione ripescata da Clusius. Ma il genere, respinto dal suo creatore, fu ripreso da altri botanici: e, così, a dispetto di Linneo, il Plinio dei Gedanesi continua a dare il nome a questo magnifico gruppo di piante (ormai sicuramente separato da Senecio). Un giardino esotico in riva alla Motława Sebbene Johann Philipp Breyne, come abbiamo visto in questo post, lamentasse con gli amici inglesi lo scarso interesse dei suoi concittadini per le scienze naturali, nel Settecento Danzica divenne un attivo centro di studi scientifici. Merito certo anche del suo esempio, che fu di stimolo ad un nuovo arrivato in città, il prussiano orientale Jacob Theodor Klein (1685-1759). Figlio di un giurista al servizio del re di Prussia, Klein era nato a Königsberg ed era stato avviato dal padre alla carriera legale, ma all'università della città natale frequentò anche corsi di matematica e di scienze naturali. Sembra che già da ragazzo fosse già interessato alla botanica ed erborizzasse nei dintorni della città. Nel 1706 lasciò Königsberg per un lunghissimo grand tour che lo portò in Inghilterra, Olanda, Germania e Austria. Dopo uno scalo in Svezia, nel 1712 tornò in patria, per poi trasferirsi a Danzica, dove l'anno successivo venne nominato segretario del Consiglio comunale. Era un incarico tra l'amministrativo e il diplomatico: tra i suoi compiti c'era anche quello di rappresentare la città presso la corte del re di Polonia, ovvero il principe elettore di Sassonia Federico Augusto, re di Polonia dal 1709 come Augusto II. Fu così che tra il 1714 e il 1716 Klein soggiornò prima a Dresda, poi a Varsavia; nel 1716, quando Pietro il Grande cercò di imporre l'ispezione delle navi che partivano dal porto di Danzica, come misura d'embargo anti svedese, la città lo inviò a parlamentare. Egli seguì gli spostamenti dell'inquieto monarca da Stettino a Lubecca, senza riuscire ad ottenere un'udienza. Altre missioni diplomatiche lo portarono a Berlino e ad Hannover, come rappresentante ufficiale della città presso la corte dell'elettore, dal 1714 re d'Inghilterra come Giorgio I. Ancora nel 1737 fu a Dresda in occasione delle nozze della principessa Maria Amalia con il re di di Napoli e futuro re di Spagna Carlo III. I molti viaggi e la stessa posizione di diplomatico gli permisero di coltivare la passione per le scienze naturali, che aveva scoperto (o riscoperto) proprio grazie alla frequentazione della casa-museo e del giardino di Johann Philipp Breyne. Nel 1718 acquistò un vasto appezzamento di terreno nei Giardini lungi (Langgarten, in polacco Długie Ogrody), una strada affacciata lungo il canale della Nuova Moltawa, e vi creò un giardino, un'aranciera e una casa-museo, presto noto in tutta Europa come Museum Kleinianum. Errata l'informazione che si legge in vari siti che il giardino sorgesse ad Oliwa e fosse l'antenato dell'attuale giardino botanico. Possiamo farci un'idea della sua topografia grazie al frontespizio di uno dei libri di Klein, Historiae Avium Prodromus (1750), dove a presentarcelo è una robusta Minerva, dea della sapienza: situato lungo il fiume in lieve pendenza, è un appezzamento rettangolare, circondato su tre lati da muri e da una cancellata dalla parte del fiume, disposto su tre terrazze collegate da un viale centrale e da brevi scalinate. Ai due lati del viale, dieci aiuole quadrate, alternativamente organizzate in parcelle rettangolari e ramages fioriti. Al fondo, l'edificio con l'orangerie al piano terra e il museo ai due piani superiori; sulla sinistra, una scalinata permette di accedere al primo piano e alla terrazza, pensata per godere la vista del giardino dall'alto. Che cosa vi si coltivasse lo sappiamo grazie a una serie di cataloghi. Nel primo, pubblicato nel 1722 (Plantæ rariores horti kleiniani), sono elencate 221 piante "esotiche ed estremamente rare" tra cui Balsamina indica, Caryophillus sinensis, Acetosa moscovitica, Acacia aegyptica, Botrys ambrosioides mexicana, Ricinus amercianus, Mimosa zeylanica; nella seconda edizione del 1724 (Fasciculus rariorum et exoticarum priori auctior ex horto Kleiniano) le piante sono diventate 300, nella terza del 1726 oltre 370: nell'ultimo catalogo, redatto per suo conto dal giardiniere Johan Heinrich Meyer (Plantarum rariorum et exoticarum in Horto Kleiniano fasciculus I et II) nel 1747-48, molte centinaia. Scorrere questi cataloghi è come ripercorrere la storia non solo di questo giardino, ma dell'introduzione delle piante esotiche in Europa; è chiaro che all'inizio il giardino dovette molto a Breyne che fornì molte talee e semi, anche se Klein, grazie ai suoi viaggi e ai suoi contatti diplomatici, aveva anche altre vie di approvvigionamento, che divennero via via più importanti. Un numero notevole di piante dell'ultima edizione arrivano direttamente dall'orto botanico di Uppsala; e adesso, accanto alle piante introdotte dagli olandesi (con due impressionanti collezioni di Ficoides - ovvero Mesembryanthemum e altre Azoiaceae - e di Geranium - ovvero Pelargonium) ci sono moltissime novità americane, arrivate attraverso Chelsea e altri giardini e vivai britannici. Tra tutte queste esotiche, il fiore all'occhiello era quello che Klein chiamava Jasminum arabicum "gelsomino arabo con foglie di castagno, fiore bianco, profumato, il cui frutto viene chiamato dagli speziali caffè": insomma, il nostro Coffea arabica. Nel 1721 il segretario della città di Danzica aveva ottenuto la sua prima preziosa pianticella dall'Hortus Bosianus, il giardino fondato a Lipsia verso la fine del Seicento da Caspar Bose, ma poco dopo il suo arrivo a Danzica essa morì. A venirgli in soccorso fu allora Breyne, che già l'anno successivo riuscì a procurargliene diversi piedi dall'Olanda, dove fin dal 1705 era coltivato con grande successo nelle serre dell'Hortus botanicus di Amsterdam; uno aveva un frutto con due semi, che Klein provò a seminare. Uno solo germinò, ma già due anni fiorì e fruttificò, fornendo molti semi vitali con i quali continuare gli esperimenti. Da quel momento, le piante di caffè, coltivate in vaso e riparate d'inverno nell'orangerie, divennero il suo orgoglio. Klein le coltivò e le studiò per anni, pubblicando i risultati delle sue osservazioni nella rivista della società scientifica di Danzica; finché, tra il 1742 e il 1743, i suoi "gelsomini d'Arabia" finirono uno dopo l'altro vittima delle voraci mandibole di insetti non meglio identificati. Classificare gli animali... come faceva Adamo All'epoca, anche se non cessò mai di arricchire il giardino, gli interessi scientifici di Klein si erano già spostati dalla botanica alla zoologia. Anche qui, tutto parte dal collezionismo: come l'amico Breyne, il segretario Klein raccolse fogli d'erbario, minerali, fossili, conchiglie (fu lui ad acquistare l'eccezionale raccolta del sindaco di Amsterdam Nicolaes Wietsen), scheletri e reperti anatomici, disegni naturalistici, in parte di sua stessa mano. Nel 1725 approfittò del passaggio a Danzica del conterraneo Christan Gabriel Fischer (che aveva chiesto "asilo politico" alle autorità cittadine dopo essere stato cacciato da Königsberg per le sue idee religiose eterodosse) per chiedergli di organizzare e catalogare le collezioni; ma dopo la partenza di Fischer nel 1727, i problemi posti dalla catalogazione dei fossili e degli animali lo spinsero a concentrarsi sempre di più sulla creazione di un sistema semplice ed evidente, volutamente artificiale. In polemica con gli "anatomisti", tra cui lo stesso Linneo, egli lo basò su caratteristiche esterne e visibili senza ricorrere alla dissezione e al microscopio, come il numero e la posizione degli arti. Nell'arco di un trentennio, si susseguì un'impressionante quantità di contributi (oltre sessanta), che gli guadagnarono il titolo di Plinius gadenensium, "il Plinio dei gedanesi" (ovvero degli abitanti di Danzica), a partire da Descriptiones tubulorum marinorum (1731), dedicato nientemeno che a Hans Sloane, in cui presentò diversi animali marini fossili della sua collezione e tentò una classificazione di un gruppo di molluschi dalla conchiglia tubiforme che egli chiama tubuli marini. Di notevole interesse il lavoro successivo, Naturalis dispositio echinodermatum (1734), il più importante dell'epoca su questo gruppo di animali, in cui Klein non solo inventò il termine echinodermi, ma distinse nettamente i loro aculei fossili dalle belemniti e mise a confronto gli echinodermi fossili con i ricci di mare viventi. Nel 1743, in risposta alla pubblicazione della prima edizione di Systema naturae, pubblicò Summa dubiorum circa classes quadrupedum et amphibiorum in celebris domini Caroli Linnaei systemate naturae, in cui polemizzò con Linneo sostenendo, sulla scorta della Bibbia, che gli animali devono essere distinti sulla base di caratteristiche evidenti, stabilite da Dio stesso: "Nella sua nomenclatura, Adamo non ebbe bisogno di far ricorso all'anatomia, all'osteologia o alla dentologia; non contò i denti degli animali, non studiò l'organizzazione delle loro ossa, non frugò nelle loro viscere [...] La sua grande saggezza gli permise di riconoscere la loro natura con un colpo d'occhio grazie alla loro forma esteriore". Se queste idee a noi paiono bizzarre, nelle osservazioni che seguono sulle varie classi stabilite da Linneo non mancano notazioni basate su una reale conoscenza del mondo animale, di cui lo svedese non mancò di tenere conto nelle edizioni successive di Systema naturae. Ma, dopo tutto, anche Klein usava il microscopio e "frugava nelle viscere" degli animali. L'anno successivo in Historiae Piscium Naturalis promovendae Missus primus Gedani (1744), dedicato alla Royal Society alla quale era stato ammesso nel 1729, nell'intento di dimostrare errata la teoria di Aristotele (e della gente comune) che i pesci siano privi di udito, analizzò minutamente i "sassolini" (otoliti) che si trovano nel loro cranio e fu il primo a capire che, poiché sono soggetti a una crescita stagionale, sono utili per determinare l'età degli animali; distinse inoltre i pesci ossei da quelli cartilaginei. Nel 1755 con Tentamen Herpetologiae donò alla scienza un altro termine tuttora in uso, appunto erpetologia, ma anche la confusione tra anfibi e rettili, visto che li collocò nella medesima classe; mentre lucertole, tartarughe e rane finivano tutte insieme allegramente, i serpenti si trovarono in compagnia dei vermi: gli uni e gli altri, dopo tutto, sono senza zampe! In Stemmata avium, pubblicato a Lipsia nel 1759, l'anno stesso della sua morte, classificò gli uccelli sulla base di uno studio dettagliato delle zampe, della testa e della lingua. Insomma si occupò di moltissime categorie di animali, tranne una, gli insetti; non si sa se perché non compaiono nella rassegna degli animali nominati da Adamo o se li detestasse come nemici del suo giardino e del suo gelsomino d'Arabia. Nel Settecento Klein godette di ampia fama internazionale; le sue opere, editorialmente molto curate e spesso riccamente illustrate, non mancavano in nessuna biblioteca naturalistica. L'astronomo Johann Daniel Titus giunse addirittura a proclamarlo il più importante "filosofo naturale" del secolo. Oltre che della Royal Society, fu membro della Deutsche Gesellschaft di Jena, dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e dell'Accademia delle scienze di San Pietroburgo. Nel 1743 fu tra i membri fondatori della Società di Scienze naturali di Danzica, sul cui bollettino pubblicò numerosi contributi. Nessun visitatore della città casciuba mancava poi di dedicare qualche ora al suo splendido giardino e al Museum Kleinianum, considerato la collezione di naturalia più vasta d'Europa. A partire dagli anni '40, però, forse per sopraggiunte difficoltà finanziarie, ne vendette gran parte al margravio Federico di Brandeburgo-Kulmbach che più tardi li donò all'Università di Erlangen, mentre la collezione di ambre fossili finì a Dresda. Seguendo l'esempio di Breyne, anche Klein, che non aveva figli maschi, fece impartire lezioni di disegno naturalistico alla tre figlie, che collaborarono come illustratrici alle opere del padre (lui stesso un disegnatore di talento). La più dotata, Dorotea Juliane, sposò un altro membro della Società di scienze naturali di Dresda, il medico e fisico Daniel Gralath, che migliorò la "bottiglia di Leida" e forse fu il primo a creare una batteria elettrica collegando più bottiglie. Fu lui a ereditare la biblioteca del suocero, molto ammirata da Bernoulli che la visitò nel 1777 o nel 1778. Non mancarono, ovviamente, anche i critici, che accusavano Klein di essere poco scientifico e di basarsi troppo spesso su credenze non verificate. Esemplare un articolo pubblicato nel 1760 da Peter Collinson sulle Transactions della Royal Society, il cui lo criticò per aver presa per vera la credenza che il topino o rondine riparia (Riparia riparia) non fosse un uccello migratore, ma si ritirasse sott'acqua nei mesi invernali, un'idea "contraria alle leggi della natura" e smentita dalle osservazioni di vari ufficiali di marina. Una denominazione a dispetto di Linneo Oltre ai cataloghi del suo giardino, l'unica opera botanica di Klein è l'opuscolo An Tithymaloides foliis nerii, pubblicato nel 1730, in cui egli descrisse per primo la fioritura di una pianta che aveva ottenuto dall'Olanda; sulla base di quei fiori, confortato dal parere di due autorevolissimi corrispondenti, Boerhaave, all'epoca prefetto di Leida, e Giuseppe Monti dell'Orto botanico di Bologna, argomentò che non poteva essere assegnata, come era stato fatto in precedenza da vari botanici, al genere Cacalia, né a Cacaliastrum, Tithymalus o Tithymaloides. Rinunciò però a proporre una propria denominazione, perché lo riteneva un atto arrogante di cui non si riconosceva l'autorità. A proporre quel nuovo nome fu un personaggio che non aveva questi scrupoli, ovvero Linneo. In Hortus cliffortianus (1737) battezzò il nuovo genere Kleinia, "in onore del nobilissimo J. Th. Klein, segretario della città di Danzica, sommo cultore delle piante più rare, che descrisse per primo il fiore della prima specie in uno specifico opuscolo" (si tratta di K. neriifolia, la prima delle quattro specie descritte da Linneo in questo libro). Linneo confermò la dedica nei coevi Critica botanica e Genera plantarum. Tuttavia, nel 1753 in Species plantarum Linneo eliminò il genere Kleinia facendolo confluire in Cacalia, mantenendo la denominazione solo come epiteto: Kleinia foliis lanceolatis planis di Hortus cliffotianus (dove, lo ricordo, Linneo non usa ancora i nomi binomiali) divenne Cacalia kleinia. Se consideriamo che Linneo nutriva molti dubbi sulla corretta identificazione di Cacalia, un nome che Clusius aveva ripreso da Dioscoride, e che le quattro specie precedentemente assegnate a Kleinia non sembrano mostrare strette affinità con Cacalia alpina, oggi Adenostyles alpina, è una malignità pensare che dietro questa scelta ci fosse anche un po' d'astio verso lo zoologo che aveva cercato di demolire il suo sistema? Sia come sia, appena l'anno dopo nell'edizione ridotta di The Gardener's Dictionary Miller riprese la denominazione di Hortus cliffortianus, scrivendo: "Il titolo di questo genere di piante è stato dato dal dr. Linnaeus, in onore del nobile J. Th. Klein di Danzica che fu un grande coltivatore di piante rare". E lo stesso fece von Jacquin nel 1760 (alcuni repertori attribuiscono il nome ufficiale a Miller, altri a von Jacquin) e dopo di loro altri botanici. Dunque, volente o nolente Linneo, Klein è rimasto patrono di questo notevole genere della famiglia Asteraceae, al quale non sono però mancate altre vicissitudini tassonomiche. Affine a Senecio, ora vi è confluito, ora ne è stato separato: così a Kleinia neriifolia alias Cacalia kleinia è toccato di chiamarsi anche Senecio kleinia o Senecio neriifolius. Oggi, dati molecolari alla mano, sembra che la sua indipendenza sia confermata (è piuttosto l'enorme e polifiletico Senecio ad avviarsi ad essere smembrato); comprende una cinquantina di specie native di luoghi aridi, diffuse dalle Canarie all'Indocina, attraverso l'Africa, la penisola arabica e l'India. K. neriifolia è un endemismo delle Canarie (dove si chiama verode), frequentissimo nelle zone aride di tutte le isole come componente della formazione vegetale detta taibabal-cardonal. E' un grande arbusto molto ramificato, con fusti carnosi adatti ad accumulare acqua, segnati dalle cicatrici delle foglie cadute; queste ultime sono portate solo agli apici e cadono all'inizio della stagione secca, cedendo la funzione clorofilliana ai rami più giovani. In primavera sbocciano profumatissime infiorescenze bianche assai apprezzate dalle api. La marocchina K. antieuphorbion è famosa per essere una delle prime succulente coltivate in Europa: la prima menzione si deve a Dodoens che ricorda che fu portata nel nostro continente nel 1570. Gerard la coltivava nel suo giardino 1596. Tuttavia, per vederla in fioritura bisognò aspettare il 1874 quando Thomas Hambury riuscì a farla fiorire nel suo giardino di Ventimiglia. Forma fitti e intricati cespugli di rami eretti o arcuati, spesso molto ramificati, verde chiaro, con striature longitudinali più scure e piccole foglie effimere che cadono all'inizio della stagione secca; agli apici porta fiori bianchi con lunghi stami gialli. Per quanto questi ultimi siano senz'altro apprezzabili, entrambe sono coltivate più per la curiosità dei loro fusti intricati e senza foglie che per la bellezza delle fioriture (che, come abbiamo appena visto, è anche difficile da ottenere); essa è invece un pregio ulteriore delle specie a fiori rossi come K. stapeliiformis, K. galpinii o la spettacolare K. fulgens, che mantiene tutto l'anno le bellissime foglie grigio-glauche. Qualche informazione in più nella scheda.
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Nel Seicento, la lontana Danzica diventa uno snodo centrale del commercio olandese con la Polonia, la Prussia orientale e la Russia. Nella città casciuba si stabilisce una fiorente colonia di mercanti olandesi che commerciano, tra l'altro, la cocciniglia polacca, all'epoca ancora abbondante anche se sta già subendo la concorrenza della meno costosa cocciniglia messicana. Proprio a questo piccolo insetto deve la sua fortuna il ricchissimo mercante Jacob Breyne, che unisce all'abilità negli affari una sfrenata passione per le piante: quelle di casa, che studia e raccoglie nei suoi erbari, e quelle esotiche, che, trasportate dalle navi delle compagnie olandesi, l'EIC e la VOC, dai quattro angoli del mondo, si riversano sempre più numerose negli orti botanici di Leida e Amsterdam e nei "paradisi" (ovvero i giardini privati) dei magnati della giovane Repubblica delle province unite. In occasione dei ricorrenti viaggi nel paese d'origine della sua famiglia, Breyne li visita, osserva e annota le novità, e si porta a casa quello che può, ad arricchire il suo stesso "paradiso". Alle esotiche dedica non meno di tre libri, il primo dei quali, curatissimo nella veste editoriale e nell'apparato iconografico, affidato a pittori e incisori di vaglia, è un capolavoro dell'editoria botanica secentesca. Con questi libri, anticipando tutti, è spesso il primo a far conoscere novità sudafricane destinate a grande fortuna, come Pelargonium, Agapanthus, Mesembrianthemum. E' bravo anche a stabilire rapporti umani, creando una vasta rete di contatti che negli ultimi anni della sua vita si estende anche alla nuova potenza coloniale (e orticola) emergente: l'Inghilterra. Insieme al giardino, alla biblioteca, alle collezioni naturalistiche, la lascia in eredità al figlio Johann Philipp, che la allargherà ulteriormente e diventerà un membro riconosciuto dell'establishment scientifico internazionale. A ricordare entrambi, il loro splendido giardino e le loro opere che fecero conoscere tante piante rare, il genere Breynia (Phyllantaceae). Un mercante olandese a Danzica Nel Seicento, la Repubblica delle Province unite aveva forti legami commerciali con Danzica, all'epoca il maggiore porto del Baltico, oltre che una città cosmopolita appartenente al Regno di Polonia ma con una forte presenza tedesca. I mercanti olandesi commerciavano soprattutto granaglie e l'apprezzatissimo colorante rosso ricavato dalla cocciniglia polacca, Porphyrophora polonica. La città casciuba era una piazza così importante che spesso, invece di avvalersi di agenti locali, per seguire gli affari sul posto vi mandavano un figlio cadetto. Questo destino toccò anche a Jacob Breyne senior, membro di una famiglia di mercanti che dal Brabante si era trasferita nei Paesi Bassi nel 1585, in seguito all'assedio di Anversa. A Danzica Jacob fece fortuna trasportando a Amsterdam e Leida piante medicinali e cocciniglia; si sposò con Anna Moorman, anch'essa appartenente a una famiglia di origine olandese, e nel 1637 ne ebbe un figlio: è il nostro Jacob Breyne (1637-1697), il primo protagonista di questa storia. Grazie alle buone disponibilità finanziarie del padre, egli ricevette un'ottima educazione e incominciò presto a interessarsi di scienze naturali, che del resto erano anche un ferro del mestiere per chi commerciava merci ricavate da animali e piante. Uno dei suoi professori al ginnasio accademico, Christian Mentzel, che vi insegnò dal 1648 al 1650, lo coinvolse nelle sue ricerche sulla flora locale, insegnandogli le tecniche per predisporre un erbario. All'inizio degli anni '50, il padre lo inviò a Leida da suo fratello Pieter per imparare le tecniche commerciali; Jacob junior ne approfittò per seguire le lezioni di botanica di Adolf Vortsius (1624-1663), prefetto dell'orto botanico, nelle cui aiuole egli incontrò la passione della sua vita: le piante esotiche. Dotato di un gran talento per i rapporti umani, strinse amicizie durevoli sia nell'ambiente universitario sia tra i ricchi possidenti che nei loro giardini (Paul Hermann li chiamò giustamente "paradisi") facevano a gara a coltivare le specie più rare e nuove portate ad Amsterdam dalle navi delle due compagnie olandesi, l'EIC (Compagnia olandese delle Indie occidentali) e la VOC (Compagnia olandese delle Indie orientali). Alla morte del padre nel 1655, Jacob Breyne si stabilì definitamente a Danzica, ma mantenne i contatti con l'Olanda, che visitava periodicamente. Allargò il giro d'affari della famiglia, estendendolo anche all'Inghilterra. Senza però dimenticare la passione per le scienze naturali: nella sua bella casa nella centralissima via Długa creò una notevole collezione di naturalia e una fornitissima biblioteca; in una delle sue proprietà (non ne conosciamo l'ubicazione) creò anche un orto botanico privato, ispirato ai paradisi che tanto aveva ammirato nei Paesi Bassi. Riprese anche a esplorare la flora locale; all'inizio, doveva essere poco più di un passatempo. Visitava i dintorni della città e sistemava le piante che veniva raccogliendo in un erbario con i nomi in olandese e talvolta qualche annotazione sull'aspetto generale; era una specie di diario botanico privato che chiamava Herbarium vivum (la copia che ci è giunta risale al 1659). Ma negli anni '70, con una situazione economica ormai orientata al bello stabile, poté dedicare più tempo alla botanica e concepire due progetti paralleli e complementari: da una parte esplorare e fare conoscere la flora locale, dall'altra documentare le novità esotiche introdotte nei giardini europei dagli olandesi. Complementari perché, per i naturalisti del Seicento, la flora della Casciubia e della Prussia orientale era non meno esotica e inesplorata di quella sudamericana, sudafricana o indonesiana. Avvalendosi probabilmente anche di una rete di informatori e raccoglitori, nel 1673 Breyne creò un secondo, assai più ambizioso erbario, Plantes rariores borussicae et casubicae ("Piante più rare della Prussia e della Casciubia"), un corposo manoscritto in quattro volumi con i nomi e le annotazioni in latino. Con i duplicati, ne creò anche un certo numero di copie, dal contenuto variabile, che inviava come dono a protettori, amici e corrispondenti; il più importante era sicuramente l'influente uomo politico Hieronymus van Beverningh, che fu anche curatore dell'università di Leida, città nei cui dintorni possedeva uno dei più spettacolari "paradisi" della Repubblica. Nel 1697, l'anno stesso della morte di Breyne, una copia raggiunse anche James Petiver, con il quale il mercante corrispondeva da qualche anno e dal quale aveva ottenuto semi di varie piante nordamericane coltivate a Chelsea. Pur vivendo in un luogo apparentemente periferico, Breyne riuscì infatti ad inserirsi brillantemente nella grande rete dei naturalisti europei che scambiavano disegni, fogli di erbario, semi, tuberi e bulbi di piante esotiche, potendo anche approfittare dei legami commerciali della sua famiglia con l'EIC e la VOC. In cambio di esemplari dell'altrettanto esotica flora della Polonia settentrionale, riceveva materiali e preziose informazioni dai quattro angoli dell'impero olandese. Tra gli agenti della VOC con cui fu in contatto, vale la pena di citare almeno Willem ten Rhijne, medico delle VOC a Dejima tra il 1674 e il 1676, e Paul Hermann, che prima di diventare prefetto dell'orto botanico di Leida, aveva visitato Ceylon e il Capo di Buona Speranza. Dai suoi periodici viaggi in Olanda, durante i quali non mancava mai di informarsi sulle novità orticole e di visitare i più bei giardini, Breyne riportò anche l'attrezzatura per creare una propria tipografia, alla quale nel 1677-78 affidò la stampa di Exoticarum aliarumque minus cognitarum plantarum centuria prima, un corposo e curatissimo in folio con splendide illustrazioni dovute ai migliori artisti locali, tra cui il pittore Andreas (o Andrzej) Stech e l'incisore Isaak Steel. Il libro, dedicato a Hieronymus van Beverningh, contiene la presentazione in latino di cento piante, una ventina delle quali raccolte da lui stesso nella Polonia settentrionale, le altre osservate nei giardini olandesi o segnalate dai suoi corrispondenti; tra le prime Geum rivale, Pulsatilla pratensis, Pulsatilla patens, Saxifraga hirculus. Le seconde sono quasi un'epitome dei traffici olandesi nel secolo d'oro: ci sono parecchie americane, giunte dal Suriname ma anche da altre parti del centro e sud America, come la splendida Caesalpinia pulcherrima (che Breyne chiama Crista pavonis, cresta di pavone), Asclepias curassavica e Jatropha multifida; da Ceylon o da Giava arrivano Gomphrena globosa, Clitoria ternatera L., Hibiscus rosa-sinensis (Breyne lo chiama Alcea javanica arborescens flore pleno, a segnalare che gli olandesi l'hanno incontrato a Giava, in una forma coltivata e stradoppia) e una delle piante che da Breyne prenderanno il nome, Frutex indicus baccifer vitis ideae secundae clusii foliis, oggi Breynia vitis-idaea; grazie a Willem ten Rhijne, dal Giappone abbiamo la canfora (Cinnamomum camphora) e la prima rappresentazione a stampa del tè The Sinensum, sive Tsia japonensibus (Camellia sinensis). Ma a fare la parte del leone è il Sudafrica, grazie allo stesso ten Rhijne ma soprattutto alle raccolte di Paul Hermann: ecco la oggi assai nota Leonotis leonurus, i primi pelargoni, Pelargonium triste e P. lacerum, parecchie Aizoaceae tra cui Cylindrophyllum calamiforme, che campeggia in un elegante vaso al centro del frontespizio, la prima Proteacea Protea conifera, la prima Restionacea Restio dichotomus. E poi ancora le bulbose Wachendorfia paniculata, Drimia elata, Oxalis purpurea, e quello che Linneo chiamò in suo onore Tulipa breyniana, oggi Moraea collina. In appendice Breyne pubblicò un trattatello sul tè scritto dal caro amico (così lo definisce, summus amicus meus) Willem ten Rhijne. Breyne sperava di pubblicare una seconda centuria; nel 1680 ne diede un'anticipazione in Prodromus fasciculi rariorum plantarum, dedicato alle piante esotiche osservate - in occasione di un viaggio del 1670 - nell'orto botanico di Leida e nei giardini di Beverningh e altri appassionati, incluso Jan Commelin, futuro commissario dell'Orto botanico di Amsterdam; nel 1689 ne pubblicò una seconda edizione, Prodromus fasciculti rariorum plantarum secundus, che include le piante viste nel viaggio in Olanda dell'estate di quello stesso anno; qui Breyne aveva potuto tra l'altro incontrare il giardiniere Georg Meister, di ritorno da Batavia e dal Giappone, che gli consegnò un pacco di esemplari inviati da Andreas Cleyer. Ad assisterlo nella pubblicazione fu il figlio Johann Philipp che all'epoca aveva solo nove anni. Sono opere di minor impegno rispetto alla Centuria prima: in entrambi i casi, si tratta una lista di piante in ordine alfabetico, priva di illustrazioni, con una descrizione sintetica e l'indicazione di dove le vide e se poté averne semi o talee. Le sudafricane anche qui hanno il primato, con l'arrivo di Agapanthus e Mesembrynathemum; da segnalare anche la pubblicazione della prima Nepenthes, raccolta da Hermann a Ceylon: Breyne le conservò il nome locale Bandura zingelensium, Linneo la ribattezzò Nepenthes distillatoria. In effetti, dato che Paradisus batavus di Hermann (anch'esso un resoconto delle piante esotiche coltivate nei grandi giardini olandesi) poté essere pubblicato postumo solo nel 1695, in qualche modo Breyne gli soffiò la primogenitura: sono spesso i suoi libri, pubblicati nella periferica Danzica, ad aver fatto conoscere a botanici e appassionati europei le piante esotiche introdotte dagli olandesi. Talis pater, talis filius Breyne non riuscì mai a scrivere la progettata seconda centuria; inoltre, come confidò in una lettera all'amico Petiver e come sappiamo anche dalla testimonianza del figlio, avrebbe voluto scrivere una flora della Casciubia e della Prussia orientale, ma ne fu impedito da una penosa malattia e dalla morte, sopraggiunta nel gennaio del 1697, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno. Lasciava idealmente il compito in eredità al figlio minore Johann Philipp (1680-1764), che, come abbiamo visto, fin da bambino aveva coinvolto nei suoi progetti. Alla morte del padre Johann Philipp era un ragazzo di sedici anni. Qualche anno dopo, secondo le consuetudini familiari, anch'egli fu inviato a Leida; non però per avviarlo alla mercatura (di questo si occupava il fratello maggiore), ma per seguire i corsi di medicina del grande Hermann Boerhaave. Ottenuta la laurea di primo livello nel 1699 e quella magistrale nel 1702, munito delle lettere di presentazione dei suoi professori intraprese un grand tour scientifico attraverso l'Europa. La prima lunga tappa fu Londra, dove si trattenne per nove mesi, ospite del corrispondente del padre James Petiver, che gli fece conoscere Ray e Sloane, grazie al quale egli fu introdotto alla Royal Society, di cui divenne membro nel 1703. Fu poi la volta dell'Italia dove studiò la fauna marina nei dintorni di Ancona e visitò Padova, ospite di Vallisneri. Il viaggio proseguì attraverso Austria, Boemia e Germania, per concludersi nei Paesi Bassi, da dove rientrò a Danzica nel 1704. In una lettera del 1705 all'amico Petiver, dichiara di aver l'intenzione di riprendere e completare entrambi i progetti paterni. In realtà, per almeno venticinque anni, durante i quali esercitò con successo la professione medica, il proposito fu accantonato. Non però la passione per il giardino e le collezioni. Nel 1707 investì la dote della moglie Constantia Ludewig nell'acquisto di una casa e di un vasto giardino nel sobborgo di Brabank, dove poté sistemare le collezioni paterne che continuò ad arricchire per tutta la vita; oltre agli erbari, ai compendi di botanica, alle matrici delle opere del padre, c'erano monete, illustrazioni naturalistiche e a stampa (incluse le opere di Maria Sibylla Merian), minerali, fossili, pietre preziose o meno, ambre, preparati anatomici umani e animali conservati in formalina. Il giardino era così celebre che nel 1717 fu visitato dallo zar Pietro il Grande. Dalle testimonianze dell'epoca, sappiamo che c'erano una grotta, fontane, statue a grandezza naturale di Flora e Apollo, piante medicinali e molte esotiche: ananas, acacie, oleandri, fichi, ma anche banani, alberi di canfora, caffè e cannella. Ben noto negli ambienti scientifici europei anche grazie ai suoi viaggi, oltre che della Royal Society era membro della Leopoldina, e corrispondeva con oltre 170 scienziati, tra i quali, oltre al già citato Sloane, Leibnitz, Bernard de Jussieu, Peter Collinson e lo stesso Linneo. La corrispondenza con gli altri naturalisti europei era anche un modo per mantenere viva la fiamma della scienza in un ambiente che giudicava, se non ostile, poco interessato: "Per quanto mi riguarda, sono confinato in questo angolo d'Europa dove alla gente interessano solo i soldi", si sfogò con Hans Sloane. Alcune sue comunicazioni comparvero sporadicamente anche in precedenza sulle Transactions della Royal Society, ma l'attività scientifica occupò il centro della sua vita solo dopo il 1730, quando (anche in seguito alla morte del fratello che lo lasciò unico erede della fortuna familiare) si ritirò a vita privata. Tuttavia non scrisse mai né la seconda centuria né la progettata flora della Cascubia e della Prussia. Si accontentò di pubblicare una nuova edizione dei due fascicoli del Prodromus (1739), dandole però una splendida veste editoriale con eccellenti incisioni; in appendice vi pose una biografia del padre scritta da G. D. Seyler e un trattato sul ginseng, in origine la sua tesi di laurea. Le altre opere, per lo più brevi opuscoli usciti tra il 1730 e il 1740, dimostrano l'ecclettismo ma anche la mancanza di sistematicità dei suoi interessi: scrisse delle piante e degli insetti che aveva osservato sulla costa spagnola durante uno scalo del suo viaggio alla volta dell'Italia, del cosiddetto agnello vegetale o barometz, della cocciniglia polacca cui la sua famiglia doveva la propria ricchezza, di una foglia preistorica racchiusa nell'ambra, di alcuni tipi di molluschi fossili, delle ossa e dei denti di mammut scoperti in Siberia da un altro dei suoi amici, il conterraneo Daniel Gottlieb Messerschmidt. Come si vede, la paleontologia finì per occupare un posto importante nelle sue ricerche. Dalla moglie ebbe ben otto figli, ma tutti i maschi morirono bambini o in giovane età. In una commovente lettera a Linneo, confessa di essere vecchio e malato e provato dalla morte dell'unico maschio superstite, morto a ventiquattro anni nel 1740. Gli rimanevano invece quattro figlie, tre delle quali coltivarono gli interessi naturalistici di famiglia in uno dei pochi modi concessi all'epoca alle donne (escluse anche dalla lingua della scienza, il latino): la pittura. Saper danzare, strimpellare un clavicembalo e dipingere alla meno peggio un acquarello faceva parte dell'educazione delle fanciulle di buona famiglia, ma per Constantia Philippina (1708-?), Anna Renata (1713-1759), Johanna Henrietta (1714-1797) Breyne, cresciute praticamente in un museo naturalistico dove potevano ammirare le opere di grandi illustratori e in uno dei giardini botanici privati più belli d'Europa, dipingere piante e animali fu qualcosa di più di un passatempo. Nelle collezioni del castello di Gotha sono conservati molti loro disegni e acquerelli, caratterizzati da un livello di esecuzione notevole per delle dilettanti. Ciascuna di loro si specializzò in un capo preciso: i disegni di piante e uccelli si devono per lo più a Anna Renata (che era anche poetessa e musicista) e in parte a Constantia Philippina; Johanna Henrietta si dedicò alle immagini di animali marini. In almeno un caso, abbiamo la prova che i disegni di piante, presi dal vivo nello splendido giardino, erano destinati a illustrare le opere del padre. Furono utilizzati anche da almeno uno dei naturalisti che frequentavano casa Breyne, Jacob Theodor Klein. Impegnato anche nella creazione della prima società naturalistica polacca, Breyne fece della sua casa-museo un luogo di incontro dei naturalisti e ne incoraggiò l'attività, finanziando tra l'altro la pubblicazione della Flora quasimodogenita di Georg Andreas Helwing, di cui scrisse anche la prefazione. Johann Philipp Breyne morì nel 1764. Due anni dopo gran parte delle sue collezioni fu acquistata dagli agenti di Caterina II e finì nella Kunst Kamera imperiale di San Pietroburgo. Quasi tutti i manoscritti dei due Breyne, le lettere e i disegni rimasero però a Danzica fino alla morte dell'ultima delle sue figlie (1797); due anni dopo furono acquistati da Ernesto II di Sassonia-Gotha. Un albero dalle foglie rosa Nonostante vivessero in una città tanto periferica, le opere e le attività di padre e figlio erano ben note ai naturalisti europei, con i quali, come abbiamo visto, i due si mantennero in assiduo contatto epistolare. Il primo a voler celebrare Breyne padre fu Plumier che ne ammirava grandemente la Centuria prima per la nitidezza dei caratteri tipografici, l'eccellenza delle incisioni e il contributo alla conoscenza di tante nuove piante. Ma nel dedicargli il genere Breynia il buon frate incorse anche in una fake news: chissà attraverso quali fonti, gli era giunta la notizia che quella Centuria fosse la sola superstite di parecchie, ma "delle quali, oh, dolore!, ne sopravvive una sola prima e ultima; tutte le altre furono distrutte dalle fiamme inique, come riferiscono, di un incendio fortuito che distrusse la casa e le opere. Ma l'opera di un tale uomo e la sua memoria tra gli uomini per bene e i botanici né le fiamme né le onde potranno farle perire". Linneo fece propria la denominazione e la ufficializzo in Species plantarum, nel 1753. Senza considerare che il nome non era più disponibile (all'epoca non c'erano ancora regole fisse) nel 1776 i Forster dedicarono ad entrambi i Breyne un secondo genere Breynia con una motivazione che ben testimonia la reputazione dei due naturalisti di Danzica: "In onore dei sommi botanici Jacob Breyne e suo figlio Johann Philipp Breyne, dottore in medicina, entrambi i quali coltivavano piante esotiche in un giardino di Danzica e molte le pubblicarono disegnate con grande arte e descritte con ingegno immortale". Benché il nome linneano preceda quello dei Forster, quest'ultimo è considerato nomen conservandum ("nome da conservare") perché comprende almeno una specie piuttosto coltivata e diverse specie alquanto diffuse nell'Asia meridionale e orientale. Breynia J.R.Forst. & G.Forst. (famiglia Phyllanthaceae) è comunque un genere dalla tassonomia travagliata, che minaccia prima o poi di confluire in Phyllanthus, Al momento attuale comprende, a seconda delle fonti, da 25-30 specie a oltre 90. Sono alberi o arbusti monoici diffusi nell'Asia tropicale, in Australia e nelle isole del Pacifico. Come abbiamo visto, una specie indiana e indocinese, Breynia vitis-idaea, fu descritta per la prima volta proprio da Jacob Breyne. La specie più nota è Breynia disticha, nativa della Nuova Caledonia e delle Vanuatu. Conosciuta con il nome comune "albero della neve", è coltivata nei giardini delle zone a clima mite per le foglie, rosa nella forma giovanile, poi crema o verde chiaro. Alcune specie di questo genere, tra cui proprio B. vitis-idaea, sono anche studiate dai biologi come esempio di mutualismo e coevoluzione con alcune falene del genere Epicephala, che impollinano i fiori, assicurando così la produzione di semi vitali, ma depongono anche le loro uova nell'ovario; i semi potrebbero essere distrutti dalle larve, se nonché in alcuni frutti esse abortiscono e non riescono a svilupparsi. Questo meccanismo è stato paragonato al mutualismo obbligato tra il fico e le sue vespe impollinatrici. Del medico veneziano Lionardo Sesler (o Leonardo, ma lui preferiva firmarsi nel primo modo) oggi ci rimangono un ritratto, un manoscritto copiato di sua mano, una lettera pubblicata nell'opera di un amico con la dedica di un nuovo genere - ormai ridotto a sinonimo - e poche notizie non sempre affidabili. Eppure intorno alla metà del Settecento il suo nome era noto anche al di fuori dei confini della Serenissima, e anche di più lo era l'orto botanico privato che aveva creato nell'isola di Sant'Elena, nel sestiere Castello. Fu il ricordo indelebile di quel giardino a spingere Scopoli a dedicargli il genere Sesleria, di casa nei prati aridi anche di casa nostra, divenuto così il suo ricordo più importante e concreto. Un medico veneziano appassionato di piante Intorno al 1745 un giovanissimo Giovanni Antonio Scopoli giunse a Venezia, deciso ad approfondire lo studio della medicina e della botanica, alla quale aveva incominciato ad appassionarsi esplorando le sue montagne. Tra i luoghi che frequentava si può dire quotidianamente spicca il giardino che il medico veneziano Lionardo ( o Leonardo) Sesler aveva creato nell'isola di Sant'Elena, all'estremità orientale della città, così evocato dallo stesso Scopoli nella prima edizione di Flora carniolica (1760): "Nella nostra memoria rimane indelebile il giardino, di sovente visitato, bellissimo e ricchissimo di piante rare, creato a Sant'Elena dal dottor Leonardo Sesler, uomo sommamente curioso delle scienze naturali". In quegli anni a Venezia Sesler era senza dubbio una riconosciuta autorità per "l'osservazione e la coltivazione delle piante" (anche queste sono parole di Scopoli), ma le informazioni che ci rimangono su di lui sono poche e sfuggenti. Stando a Saccardo, la sua famiglia era di origini tedesche, ma nacque a Venezia, in quale anno non sappiamo. Mosé Giuseppe Levi nel 1835, dunque una sessantina di anni dopo la sua morte, riferisce che morì nel 1785 all'età di ben 102 anni; sarebbe nato dunque nel 1683, una data davvero improbabile. La data di morte è invece confermata tra l'altro da un suo ritratto a penna conservato nella biblioteca dell'orto botanico padovano, in cui lo vediamo intento a leggere un manoscritto con molte correzioni; sul tavolo di fronte a lui, due volumi, uno forse un testo medico di Falloppio, l'altro indubbiamente il dizionario di Miller, e un cartiglio che recita: "Neque Leo, neque Nardus, sed Lionardus" (Non sono né leone, né nardo [un animale e una pianta] ma Leonardo). Alto e segaligno, con gli occhiali, non è certo un ottuagenario; purtroppo però il ritratto non è datato e anche il Garden's Dictionary, con le sue 8 edizioni, non ci aiuta. Sempre secondo Levi fu medico molto stimato, specializzato in ostetricia (a questo potrebbe alludere il volume di Falloppio); presumibilmente si laureò a Padova e certamente fu legato a Giulio Pontedera, prefetto dell'orto padovano dal 1719 al 1757, visto che sempre nella biblioteca dell'istituzione patavina è conservato un manoscritto di mano di Sesler che consiste in una copia della prima parte del primo volume della storia dell'Orto Botanico di Padova dello stesso Pontedera. Se la data di nascita riferita da Levi fosse affidabile, i due sarebbero stati quasi coetanei (anzi il minore d'età risulterebbe Pontedera, nato nel 1688). C'è da dubitarne, se consideriamo che una seconda amicizia padovana ci porta a tutt'altra data: si tratta di Vitaliano Donati, con il quale Sesler potrebbe aver erborizzato in Veneto, Friuli e Istria negli anni '40. E proprio in appendice all'edizione olandese (1757) della Storia naturale dell'Adriatico di Donati compare l'unica opera edita di Sesler: la lettera nella quale egli istituisce in onore dell'amico il genere Vitaliana, sulla base di una pianticella da lui raccolta sul monte Pellegrino sopra Cividale (oggi Androsace vitaliana); la lettera testimonia anche la sua grande ammirazione sia per il giovane amico e la sua sensazionale scoperta della natura animale dei coralli, sia per Linneo, definito omnium naturalium rerum lumen fulgentissimum. Come si è visto, agli anni '40 ci riporta anche la testimonianza di Scopoli. Molte delle piante rare che egli notò nel giardino di Sant'Elena dovevano essere il frutto delle erborizzazioni di Sesler nei territori della Serenissima; la sua fama dovette però superarne i confini, tanto da essere citato anche da von Haller. Secondo Levi, quando Sesler fu nominato chirurgo dell'ospedale di San Pietro e Paolo, sempre nel sestiere Castello, vi trasferì il giardino, ma colui che gli successe nell'anno della sua morte "quasi cignale ne ha lo interamente guastato, poiché meglio gli piacque vedervi sorgere piante di frutta saporite". Difficile credere che Sesler mantenesse il "grave suo ufficio" (così lo definisce Levi) a 102 anni! Forse se gliene togliamo venti o trenta, i conti tornano di più... Sempre a Padova e agli anni '40 ci riporta infine una terza documentata frequentazione di Sesler: quella con l'abate Filippo Vicenzo Farsetti: il ricchissimo nobiluomo nel 1744 affidò all'architetto Paolo Posi il compito di trasformare la sua villa di Santa Maria della Sala presso Padova in una residenza degna di Versailles; il parco, progettato dal francese Charles-Louis Clérisseau, si arricchì di templi, laghetti, labirinti, parterres, boschetti. Ma Farsetti volle anche un orto botanico ricco di piante rare; Lionardo Sesler, stimatissimo "fiorista" (cioè esperto di piante anche ornamentali) fu il suo principale consulente; secondo alcune fonti ne fu addirittura il direttore o curatore, ma è difficile pensarlo, visto che continuava a risiedere a Venezia e ad esercitarvi molto attivamente la medicina. Là dove fioriscono i prati di Sesleria Fu tuttavia il giardino di Sant'Elena tanto ammirato da Scopoli a fare entrare il medico veneziano nella lista dei dedicatari di generi botanici; il grato botanico trentino volle infatti dedicargli Sesleria, stabilito sulla base di una graminacea che cresceva copiosa nei luoghi sassosi nei pressi di Idrija (attuale Slovenia); Scopoli non le assegnò un nome specifico, ma potrebbe trattarsi di S. caerulea. Oggi al genere sono assegnate da 30 a 40 specie, una delle quali in Nord Africa, le altre diffuse dall'Europa all'Iran, con centro di diversità nei Balcani, dove ne vive circa l'80%. Ne è ben fornita anche la flora italiana, con una dozzina di specie, cinque delle quali endemiche: S. calabrica (Massiccio del Pollino e Catena dell'Orsomarso a cavallo tra Lucania e Calabria); S. italica (Appennini centrali e settentrionali, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria Marche e Lazio); S. nitida (Appennini centrali e meridionali, Sicilia); S. pichiana (Appennini settentrionali, con stazioni sparse dal Piemonte e dalla Liguria all'Emilia); S. x tuzsonii (endemismo del Monte Procinto nelle Alpi Apuane, possibilmente sinonimo di S. autumnalis). Specie pioniere dei prati aridi e rocciosi, soprattutto nelle aree montane, le Sesleriae sono le erbe dominanti dei seslerieti, talvolta insieme ai carici. Nelle Alpi, il seslerieto da Sesleria caerulea colonizza pendii aridi, scoscesi e assolati su substrati calcarei della fascia montana e prealpina ed è ricco di fioriture, con specie come Aster alpinus, la stella alpina Leontopodium alpinum, Potentilla aurea, Anemone alpina, Viola calcarata e l'orchidea Gymnadenia nigra (sin. Nigritella nigra). Insieme a Carex sempervirens costituisce il seslerieto-sempervireto. Negli Appennini, dove è presente dal piano montano a quello alpino in pendii fortemente aridi e lungo le creste esposte al vento, il seslerieto è dominato da S. juncifolia o da S. appenina, anch'esse con un ricco corteggio di compagne tra cui spiccano Pedicularis elegans subsp. elegans, Carex kitaibeliana, Helianthemum oelandicum subsp. incanum, Androsace villosa, Astrantia tenorei, Leontopodium nivale, Gentiana dinarica, Pulsatilla alpina subsp. millefoliata, Linum alpinum. Oltre a costituire la base dei tappeti di fiori multicolori che ammantano le montagne, le Sesleriae stanno entrando anche in giardino, per la robustezza, le scarse esigenze, e l'indubbio valore decorativo; quelle più facilmente disponibili nei vivai sono S. caerulea, apprezzata per i ciuffi sempreverdi di foglie glauche, e S. autumnalis, interessante anche per le spighette argentee prodotte a partire da settembre. Da Sesleria intorno alla metà del secolo scorso è stato separato il molto affine genere Sesleriella, con una o due specie di minuscole erbe rupicole delle Alpi orientali (Italia, Svizzera, Austria e Slovenia): si tratta di S. sphaerocephala, e forse da S, leucocephala, oggi per lo più considerata una variante cromatica della precedente. Altre notizie nelle rispettive schede di Sesleria e Sesleriella. |
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November 2024
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