Negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento, la Francia del re Sole lancia una serie di spedizioni scientifiche: i viaggi di Plumier nelle Antille, il viaggio in Levante di Tournefort, la tragica spedizione di Lippi in Sudan. Di tre viaggi è protagonista padre Feuillée, frate minimo come Plumier, e provenzale come quest'ultimo e Tournefort. E' un astronomo e un cartografo e le sue spedizioni si muovono sempre sul sottile confine che separa l'esplorazione scientifica dallo spionaggio: prima è in Levante a disegnare carte e fare il punto su installazioni strategiche come porti, poi nelle Antille, infine, nel viaggio più importante, in Cile, mai esplorato da nessun studioso prima di lui. All'astronomia alterna la botanica: alle piante dedica il giorno, agli astri la notte. In appendice al suo Journal pubblica la prima rassegna della flora cilena e peruviana, con un occhio di riguardo alle specie officinali. Linneo si ricordò di lui dedicandogli il genere Fevillea, con semi ricchissimi di oli da secoli utilizzati nella farmacopea indigena e oggi forse una fonte alternativa di combustibili e preziosi grassi alimentari. ![]() Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei? I tre viaggi di Plumier nelle Antille avevano dimostrato le grandi potenzialità botaniche di quell'area; così nel 1703, quando si offrì la possibilità di inviare in Martinica un astronomo e cartografo, Fagon, l'archiatra del re Sole e intendente del Jardin royal, insistette perché la missione avesse anche risvolti botanici. La scelta cadde su un altro frate minimo, forse allievo di Plumier: Louis Feuillée. Anche lui era provenzale e fin da ragazzo aveva dimostrato grande attitudine per la fisica e la matematica. Nel 1680, a vent’anni, prese i voti, l'unico modo per continuare gli studi per un giovane senza mezzi; nel convento di Marsiglia ebbe modo di studiare astronomia e cartografia e forse incontrò Plumier che lo avrebbe iniziato alla botanica. Tuttavia il campo in cui si fece notare è dell’astronomia: due saggi pubblicati nel 1697 e nel 1699 nelle Memorie dell’Accademia delle scienze attirarono l’attenzione dell’astronomo reale Giovanni Domenico Cassini, che nel 1700 lo inviò nel Mediterraneo orientale a determinare la posizione geografica di vari porti. L’elogiativo rapporto di Cassini spinge il ministro Pontchartrain e Fagon ad affidargli la missione nelle Antille, dove dovrà fare rilievi cartografici e e osservazioni astronomiche ma anche, auspice Fagon, proseguire le ricerche botaniche di Plumier. Il 5 febbraio 1703 il frate si imbarca a Marsiglia sulla nave Grand Saint Paul diretta in Martinica con un carico di deportati. Sbarcato l’11 aprile, viene accolto nel convento dei domenicani di Saint-Pierre, ma poco dopo si ammala di febbre gialla. La sua robusta costituzione gli permette di recuperare; nei quattrodici mesi che trascorre nell’isola, come racconterà lui stesso, divide il suo tempo osservando le piante di giorno, gli astri di notte. Arrivato in Martinica su una nave di galeotti, ne riparte su un vascello corsaro. Il 4 luglio 1704 si imbarca sull’Ambitieuse, un veliero armato con sessanta cannoni, inviato nel mare dei Caraibi a insidiare le navi mercantili spagnole. Alla ricerca di prede, la nave corsara fa scalo a La Guaira in Venezuela, poi risale verso l’attuale Colombia, toccando Porto Cabello, Santa Maria (dove c’è uno scontro a fuoco con gli spagnoli), Porto Bello. Il 5 dicembre raggiunge Cartagena, dove il nostro frate sbarca salutando l’onorevole compagnia. Ha intenzione di raggiungere il Pacifico, ma il progetto si rivela irrealizzabile; dopo due mesi trascorsi ancora a fare osservazioni cartografiche e astronomiche, trova un passaggio su un piccolo vascello di filibustieri che, passando per San Domingo e Saint Thomas, lo riporta in Martinica. Vi trascorre ancora un anno, prima di poter rientrare in Francia il 21 giugno 1706. Da questo primo viaggio riporta una messe di dati astronomici, rilievi cartografici, disegni e numerose piante. Ridisegna la carta della Martinica e si guadagna il titolo di «matematico del re». Ma già Ponchartrain e Fagon progettano una nuova missione per questo frate che ha dimostrato di sapersi muovere abilmente in situazioni difficili: dovrà recarsi in Sud America per rilevare le esatte posizioni geografiche delle coste del Cile e del Perù. In piena guerra di successione spagnola, siamo a metà tra la spedizione scientifica e lo spionaggio. Infatti il buon padre Fueillée è costretto nuovamente ad accompagnarsi a corsari; ma adesso (insediatosi Filippo V a Madrid) i nemici non sono più spagnoli, ma inglesi e olandesi. Dato che molte navi nemiche incrociano nel Mediterraneo, la Saint-Jean-Baptiste su si è imbarcato a Marsiglia, raggiunge Tolone per unirsi a una flotta protetta dal vascello corsaro l’Heureux retours, comandato da Nicolas Lambert. Per evitare incontri pericolosi, seguono una rotta contorta e, partiti da Tolone il 14 dicembre 1707, solo il 9 maggio 1708 sono a Gibilterra. Il passaggio è sorvegliato da due fregate inglesi. Pur sapendo che l’esito è scontato, Lambert affronta la battaglia e si lascia catturare: ma con il suo sacrificio permette agli altri vascelli francesi di sfuggire e continuare il viaggio. Il primo scalo della Saint-Jean-Baptiste è Tenerife, dove sosta circa un mese. Il frate si immerge con gioia nella ricca flora canaria. L’11 luglio ripartono e 14 agosto raggiungono Buenos Aires; il comandante decide di attendere l’estate australe prima di affrontare il difficile passaggio del Capo Horn. Fueillée ne approfitta per fare i rilievi necessari a disegnare una nuova carta dell’estuario del Rio de la Plata. Ripartiti il 9 ottobre, negli ultimi giorni dell’anno superano senza troppe difficoltà Capo Horn e il 21 gennaio gettano l’ancora a Concepcion in Cile. ![]() Ah, Sud America Sud America! La vera missione di padre Feuillé è solo all’inizio: rimane circa un mese a Conception, dove fa osservazioni astronomiche e raccoglie campioni di piante e animali; poi si sposta verso nord, toccando Valparaiso, Pisco, Callao e infine Lima, dove soggiorna per circa nove mesi. Nel gennaio 1710 riscende verso sud e, prima di tornare a Concepcion a cercare un imbarco, visita ancora Coquimbo e Arica. Il viaggio si protrae per un altro anno, con una lunga sosta a Conception, finché il 6 gennaio 1711 si imbarca sul Philipeaux e il 27 agosto è a Brest, dopo un’assenza di tre anni e otto mesi. Durante il lungo viaggio, come scrive uno dei suoi biografi, Paul Autran, «si dedicò a fissare la posizione e disegnare le mappe di tutti i porti, a correggere gli errori dei geografi precedenti in vari punti del suo itinerario, e raccolse un’infinità di piante, oggetti e osservazioni di storia naturale» ; fu tra l’altro uno dei primi astronomi a misurare la longitudine, utilizzando segnali astronomici. Al ritorno, presentò personalmente i suoi disegni al re, che gli concesse una pensione e lo premiò con un dono graditissimo: la costruzione di un osservatorio tutto per lui nel convento dei minimi di Marsiglia, dove sarebbe vissuto quasi stabilmente fino alla morte, nel 1732. Già anziano, nel 1724, parteciperà ancora a una spedizione scientifica nelle isole Canarie, anche se dovrà rinunciare a scalare il picco del Teide insieme ai suoi più giovani accompagnatori. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Feuillé ha documentato il viaggio in Sud America nei tre volumi del suo Journal, pubblicato tra il 1712 e il 1725; in appendice al secondo e terzo volume vengono trattate le piante cilene e peruviane, sotto il titolo Histoire des plantes médicinales qui poussent sur les côtes du Chili et du Pérou. Le piante trattate sono un centinaio, molte delle quali mai descritte in precedenza. Di ciascuna viene dato un nome-descrizione in latino, seguito dal nome indigeno; seguono la descrizione in francese, solitamente molto dettagliata, indicazioni sull’habitat e gli eventuali usi terapeutici. Di eccellente qualità le tavole, ricavate da disegni e acquerelli eseguiti dal vivo dallo stesso Feuillée, che insieme alle precise descrizioni ci permettono di riconoscere facilmente, tra le altre, Alstroemeria ligtu e A. pelegrina, Lapageria rosea, Nicandra physaloides, Argylia radiata, Lobelia tupa, Mimulus luteus, Brugmansia arborea, Tropaeolum majus e T. minus. Tra le specie alimentari troviamo il pepino (Solanum muricatum), due specie di Passiflora, il lulo o naranjilla (Solanum quitoense), l’alchechengi peruviano (Physalis peruviana), la quinoa (Chenopodium quinoa), l’annona (Annona cherimolia), la caigua (Cyclanthera pedata). ![]() Una liana dai semi oleosi L’opera botanica di Feuillé ha grande importanza storica, soprattutto per la flora cilena, mai studiata in precedenza, ed è anche di buon livello, nonostante l’autore fosse un astronomo prestato alla botanica. Ne aveva stima anche Linneo che gli rese omaggio ribattezzando Fevillea due specie alle quali Plumier aveva conservato la denominazione indigena Nhandiroba . Il genere Fevillea L. (famiglia Cucurbitaceae) comprende otto specie di liane rampicanti che vivono nelle foreste umide, dal Messico meridionale e dai Caraibi all’Argentina settentrionale. Una scelta opportuna, trattandosi di zone esplorate dal solerte frate-astronomo. La loro caratteristica più notevole sono i semi, i più grandi della famiglia (un seme secco può pesare anche 9 grammi) e i più ricchi di grassi tra le dicotiledoni. Le specie più nota e più diffusa è F. cordifolia, una liana che si aggrappa alle piante circostanti per mezzo di viticci e può allungarsi anche per 30 metri. Dioica, ha fiori maschili campanulati, piatti, con cinque lobi giallo aranciato, e fiori femminili con lobi brunastri tomentosi. L'ovario globoso si trasforma in un frutto tondeggiante, che contiene numerosi semi oleosi, da cui viene estratto un olio dal sapore simile a quello di arachide, utilizzato sia come alimento sia come combustile. Inoltre nella medicina tradizionale trova impiego come purgante, rimedio per affezioni di varia natura, emetico e antiveleno, come ricorda il nome inglese antidote vine. Un'altra specie da cui si ricava un olio alimentare è la brasiliana F. triloba. Recenti studi hanno sottolineato le potenzialità di queste piante, che potrebbero essere una buona fonte di combustibili e grassi alimentari a basso impatto ecologico. Qualche approfondimento nella scheda.
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Nel 1978, l'astronomo russo Nikolaj Stepanovič Černych scopre un nuovo asteroide della fascia principale; decide di battezzarlo 3195 Fedchenko in onore di una eccezionale famiglia di scienziati: l'esploratore, glaciologo, zoologo e antropologo Aleksej Pavlovič Fedčenko; sua moglie, la botanica Ol'ga Aleksanderovna Fedčenko; e il figlio di entrambi, Boris Alekseevič Fedčenko, anch'egli botanico. Tutti e tre furono scienziati eminenti, anche se la figura più affascinante è probabilmente Ol'ga, coraggiosa compagna d'avventura del marito prima, tenace curatrice del suo lascito dopo l'improvvisa morte di lui, ma soprattutto grande botanica, la prima donna a studiare le piante in modo professionale nel suo paese, esperta di fama mondiale della flora del Turkestan. Esploratori della ricca flora dei monti dell'Asia centrale, madre e figlio sono ricordati anche da numerosi eponimi: fedtschenkoi o fedtschenkoanus in onore di Boris, fedtschenkoae o più spesso olgae in onore di Ol'ga, che è anche celebrata dall'unico genere valido dedicato al trio: il genere Olgaea, che raggruppa una quindicina di specie di grandi cardi asiatici. ![]() Una coppia nella vita e nella scienza Nella Russia degli zar, l'Università era preclusa alle donne. Tuttavia Ol'ga Aleksandrovna Armfeld (1845-1925) poté giovarsi di un ambiente familiare eccezionalmente aperto e stimolante. Suo padre, Aleksandr Osipovič Armfeld, discendente da una famiglia di origine tedesca, era uno stimato professore di medicina legale all'Università di Mosca, e dal 1838 svolgeva anche il ruolo di ispettore dell'Istituto Nikolaevskij, una scuola secondaria per ragazze di buona famiglia che preparava all'insegnamento. La madre Anna Vasilievna Dmitrovskaja, che a sua volta era stata educata nel famosa scuola femminile Ekaterinskij, era l'animatrice di un frequentatissimo salotto, uno dei centri della vita artistica e culturale della città, con ospiti del calibro di Gogol', Lermontov e Lev Tolstoj. Insieme alle sorelle, Ol'ga (era la terza di una nidiata di ben nove tra figli e figlie) inizialmente venne educata in casa, ma nel 1857, a dodici anni, iniziò a frequentare l'Istituto Nikolaevskij, concentrandosi soprattutto sulle lingue straniere, la musica, il disegno e la pittura. Nel curriculum le scienze naturali, troppo "maschili", non erano previste, ma Ol'ga le scoprì e se ne innamorò durante i soggiorni estivi nella tenuta di famiglia a Možajsk. Incominciò a collezionare minerali, conchiglie, insetti e uova d'uccelli, e creò il suo primo erbario, così ben fatto che Nikolaj Kaufman lo incluse nella sua Moskovsakaja flora: un risultato notevole per una ragazzina sedicenne che stava studiando la botanica da autodidatta, traducendo le descrizioni dai grandi repertori stranieri. Nel 1864 Ol'ga si diplomò con il grado di candidat, e rimase al Nikolaevskij come insegnante di lingue. Lo stesso anno (all'epoca aveva diciannove anni) fu tra i fondatori della Società degli amanti delle scienze naturali, antropologia, etnografia (più tardi Società delle scienze naturali di Mosca), nota con la sigla OLEAE, un'associazione sorta attorno all'Università di Mosca tra i cui soci figuravano scienziati ma anche colti dilettanti. Incominciò anche a collaborare come volontaria al Museo di zoologia, aiutando a tenere in ordine le collezioni, traducendo in russo testi scientifici dal francese, dal tedesco, dall'inglese, curando la corrispondenza con studiosi europei e disegnando illustrazioni naturalistiche. Un altro dei fondatori dell'OLEAE era Aleksej Pavlovič Fedčenko (1844-1873), un giovane naturalista che si era appena laureato all'Università di Mosca. Aleksej era nato a Irkustsk, in Siberia, ma nel 1860 si era trasferito a Mosca, dove già viveva un fratello maggiore; insieme a lui, nel 1863 Aleksej fece la sua prima escursione scientifica nella regione dei laghi salati della Russia meridionale, appassionandosi di entomologia e raccogliendo una notevole collezione di imenotteri e ditteri, oggetto della sua prima pubblicazione. Dopo la laurea, entrò al Nikolaevskij come insegnante di scienze naturali. Ol'ga e Aleksej si innamorarono e divennero una coppia di scienza e di vita. Nel 1867 si sposarono. Nel frattempo, su richiesta del governatore del Turkestan Kaufman, l'OLEAE aveva varato una spedizione scientifica in quella regione recentemente annessa all'Impero russo e decise di affidarne la direzione a Aleksej Fedčenko, la persona più indicata per la vastità degli interessi che spaziavano dalla zoologia alla geologia all'antropologia. Ol'ga volle accompagnarlo, come membro ufficiale ma non pagato della spedizione. Era una decisione inaudita: non solo nessuna donna russa prima di lei aveva partecipato a una grande spedizione scientifica, ma il territorio da esplorare era particolarmente difficile e pericoloso. Largamente inesplorato, impervio, con una popolazione per lo più ostile agli occupanti russi, era anche un luogo strategico in cui si incontravano (e scontravano) le aspirazioni russe e quelle britanniche alla base del "grande gioco". I Fedčenko si prepararono seriamente alla missione visitando musei e collezioni in patria e all'estero. Il viaggio di nozze li portò in Finlandia e in Svezia. Infine, nell'ottobre del 1868 partirono per il Turkestan: Aleksej si sarebbe occupato della geografia, della zoologia, dell'antropologia; Ol'ga della botanica, delle carte e delle illustrazioni. All'epoca anche i collegamenti con quella remota regione erano difficili, e il viaggio in vettura di posta richiese più di cinquanta giorni. La spedizione vera e propria iniziò dalla valle dello Zeravshan (attuale provincia di Samarcanda nell'Uzbekistan), da pochissimo annessa alla Russia; i Fedčenko si muovevano a cavallo, accompagnati da una scorta di cosacchi. Dopo aver esplorato le aree attorno alle città di Tashkent e Samarcanda, si spostarono nel deserto del Kizilkum, il vastissimo bassopiano arido che separa i bacini dell'Amu Darya e del Syr Darya, al confine tra Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. L'esplorazione continuò con i Monti Zeravshan, la fertile valle di Fergana e i Trans-Alaj, la catena dorsale che separa la valle dell'Alaj dal Pamir. I Fedčenko si muovevano tra scenari mozzafiato, con laghi, ghiacciai immensi e cime che superano i 7000 metri d'altitudine. Aleksej scoprì (e Ol'ga disegnò) la vetta maggiore del sistema, il Monte Kaufman (dal nome del governatore del Turkestan), poi Picco Lenin e oggi Picco Ibn Sina (7134 m sul livello del mare). Avrebbero voluto proseguire per il Pamir, il "tetto del mondo", che faceva sognare gli europei fin dal tempo di Humboldt. Ma dovettero tornare indietro: non aveano più provviste ("abbiamo fatto lo sciopero della fame per due giorni", annotò Aleksej). La spedizione era finita. Dopo tre anni esatti dalla partenza, nel novembre 1871 i Fedčenko erano di ritorno a Mosca con un immenso bottino; le sole piante raccolte da Ol'ga erano più di 1500, con molte specie nuove per la scienza. Iniziava il lavoro per la pubblicazione dei risultati. Nel dicembre 1871 Aleksej presentò alla Imperiale società geografica russa una relazione che destò sensazione per le informazioni inedite sul Pamir. Grande interesse fu suscitato anche dal padiglione dedicato al Turkestan, allestito dai Fedčenko nel 1872 per l'Esposizione politecnica panrussa di Mosca. Subito dopo, i coniugi partirono per un viaggio di studio in Europa occidentale. La prima tappa fu la Francia, quindi Lipsia, dove a Aleksej fu offerto un lavoro nel laboratorio dell'Università e Ol'ga seguì lezioni di botanica. Proprio a Lipsia, a dicembre, nacque l'unico figlio della coppia, Boris. Nell'estate, con il neonato si spostarono a Heidelberg e quindi in Svizzera, dove Aleksej intendeva studiare i ghiacciai per prepararsi a una nuova spedizione nel Pamir. Il 2 settembre 1873, accompagnato da due guide locali, Aleksej egli da Chamonix per raggiungere il ghiacciaio del Gigante. Proprio mentre si trovavano sul ghiacciaio, il tempo peggiorò all'improvviso e Fedčenko ebbe un malore. Le guide, piuttosto inesperte e a loro volta esauste, decisero di lasciarlo a se stesso e scesero in cerca di soccorsi. Quando questi arrivarono, trovarono Aleksej già morto. Ol'ga era invece convinta che fosse ancora vivo, e che se le autorità locali avessero inviato un medico, avrebbe potuto essere salvato. Al momento della morte, Aleksej Pavlovič aveva 29 anni. Fu sepolto a Chamonix e sulla sua tomba Ol'ga fece collocare una lapide con l'epigrafe "Dormi, ma le tue fatiche non saranno dimenticate". ![]() Vedova, madre, ma soprattutto botanica! Subito dopo la mesta cerimonia, Ol'ga ritornò a Mosca con il piccolo Boris. Negli anni successivi, una serie di sventure colpirono la famiglia Armfeld; la più dolorosa fu l'arresto della sorella minore Natal'ja, impegnata nel movimento populista, seguito dalla deportazione in Siberia e dalla morte. Le condizioni economiche di Ol'ga Fedčenko peggiorarono, e la donna fu costretta a mantenere se stessa e il figlio con una modesta rendita. Ancora nel 1873, pubblicò il suo primo lavoro: la traduzione di Sketch of the geography and history of the Upper Amu-Daria di Henry Yule, con le note di Aleksej. Un lavoro eccellente che le guadagnò una medaglia della Società Geografica. Molto successo godettero anche i suoi disegni e le sue vedute dei monti del Turkestan, Nonostante le difficoltà personali, Ol'ga si era data un compito sacro: assicurare la catalogazione, lo studio e la pubblicazione dei materiali raccolti durante la spedizione in Turkestan. Aleksej aveva fatto in tempo solo a scrivere Viaggio in Turkestan (che fu pubblicato nel 1875). Nella Russia di fine Ottocento, era impensabile che una donna dirigesse un lavoro così impegnativo e così costoso. Tuttavia il presidente dell'OLEAE riuscì a convincere il governatore Kaufman che la signora Fedčenko era l'unica a poter garantire il successo dell'impresa; ufficialmente, a curare la pubblicazione fu un comitato editoriale ad hoc, ma Ol'ga ne faceva parte ed era lei a coordinare tutte le attività e a corrispondere con i diversi autori coinvolti nel progetto. Solo grazie al suo impegno e alla sua perseveranza, tra il 1874 e il 1902 uscirono i venti volumi dedicati alla spedizione, con le descrizioni della geografia, della geologia, della flora e della fauna della regione. I volumi dedicati alle piante si devono a Ol'ga Fedčenko, che ormai era una botanica internazionalmente riconosciuta. In questi anni, si occupò anche dell'erbario dell'Orto botanico dei farmacisti di Mosca e pubblicò una catalogo dei muschi dell'Orto botanico di San Pietroburgo. Ma Ol'ga aveva ancora un sogno: tornare in Pamir e riprendere quel viaggio interrotto. Per tornare sul campo dovette aspettare quasi vent'anni, fino al 1891. Ora accanto a lei c'era un nuovo compagno: suo figlio Boris, che si era appena iscritto all'Università di Mosca dove studiava botanica, Il loro primo viaggio, tra il 1891 e il 1892, li portò negli Urali sudoccidentali, una regione con caratteristiche geologiche e una flora molto varia, dalle comunità delle steppe a quelle di alta montagna. L'anno dopo erano in Crimea, e quello successivo nel Caucaso. Nel 1897 (adesso Boris era assistente all'Università di Mosca) madre e figlio andarono nel Tian Shan. Ol'ga trascorse i due anni successivi a studiare le collezioni degli orti botanici e degli erbari dell'Europa occidentale, inclusi quelli di Parigi, Berlino e Londra, mentre Boris veniva assunto come botanico principale dell'Imperiale orto botanico di Pietroburgo. Finalmente, nel 1901 i Fedčenko poterono intraprendere la sognata esplorazione del Pamir. A cinquantacinque Ol'ga ritrovava i paesaggi che l'avevano affascinata quando era una giovane donna. La regione era ancora largamente inesplorata e sottoposta all'occupazione militare, ma era divenuta meno irraggiungibile, grazie alla ferrovia che ora arrivava a Tashkent. La spedizione durò cinquantadue giorni e li portò fino al confine dell'Afghanistan. Ol'ga cavalcò per intere giornate, riposandosi il minimo indispensabile, e sostentandosi con tè e pane secco. I risultati della spedizione furono pubblicati da Ol'ga Fedčenko in Flora Pamira (1903-1905) e Definizione delle piante del Pamir (1910). A quattro mani con Boris è l'imprescindibile Conspectus Florae Turkestanicae (1913), pubblicato contemporaneamente in russo e in tedesco, che copre 4145 specie. Adesso Ol'ga viveva con suo figlio a San Pietroburgo, dove dal 1905 Boris era diventato capo dell'erbario (il cui fiore all'occhiello erano proprio le collezioni dei Fedčenko), ma soggiornava spesso nella tenuta degli Armfeld a Možajsk. Qui, a partire dal 1895, madre e figlio avevano creato un eccezionale orto botanico privato, chiamato Ol'gino: era un giardino di acclimatazione, dove coltivavano e studiavano le piante raccolte durante le spedizioni; erano anche molto generosi nel distribuirne i semi ad altri orti botanici. Le piante preferite di Ol'ga erano le Iris, gli Allium e gli Eremurus. Nel 1906 Ol'ga divenne membro corrispondente dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo: la seconda donna, e la prima naturalista, ad ottenere questo onore. Seguirono ancora due viaggi nell'amato Turkestan, sempre con Boris, uno nel 1910 e l'altro nel 1915. Alla vigilia della guerra, nel corso del suo ultimo viaggio in Europa, visitò anche l'Italia e erborizzò nei dintorni di Napoli. Nonostante la salute declinante e i rovesciamenti politici, rimase attiva fino alla morte nel 1921. Aveva appena fatto in tempo a pubblicare il suo sessantaduesimo lavoro, una monografia sull'amato genere Eremurus. Una sintesi della vita della prima botanica professionista russa nella sezione biografie. Per concludere, qualche riga su Boris Alekseevič Fedčenko, a sua volta uno dei più importanti botanici della sua generazione. Come ho già detto, nel 1902 era stato nominato curatore dell'erbario dell'Orto botanico di San Pietroburgo; gli fu affidata anche la direzione della rivista dell'Istituto, Bulletin of the Imperial Institute. Nel 1908, insieme al micologo A. A. Elenkin e al botanico A. F. Flerov, iniziò a pubblicare una rivista indipendente, Journal Russe de Botanique, che uscì fino al 1915, quando fu costretto a chiudere in seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale. Sempre con Flerov, tra il 1908 e il 1910 pubblicò Flora Evropejskoj Rossii ("Flora della Russia europea"), che contiene 3.542 nuove specie, e una flora dell'Oka. Questi volumi furono criticati da alcuni colleghi per le descrizioni essenziali; era una scelta voluta, per mantenere loro un formato tascabile, che li rese un bestseller tra appassionati e escursionisti, Negli anni '20, Fedčenko fu impegnato in escursioni sul campo nella Russia asiatica, grazie alle quali poté completare Flora Asiatskoj Rossii "Flora della Russia asiatica" (1912-1924), ancora con Flerov. Nel 1931, quando l'Orto botanico e il Museo Botanico di Leningrado vennero fusi per creare l'Istituto Komarov, sotto la direzione dello stesso Vladimir Komarov, Fedčenko lo sostituì come editore capo della grandiosa Flora dell'Unione sovietica, di cui curò diversi volumi fino alla sua morte nel 1947. ![]() Olgaea, un ritratto vegetale? Aleksej Pavlovič Fedčenko era soprattutto uno zoologo ed è onorato dall'epiteto fedtschenkoi (la barbara grafia si deve alla trascrizione tedesca del cirillico) di alcune specie di animali; come geografo e glaciologo, a ricordarlo è soprattutto il ghiacciaio Fedčenko, il maggiore del Pamir, anzi il più grande al di fuori dei Poli, scoperto nel 1878. Le numerose piante con nome specifico fedtschenkoi o più raramente fedtschenkoanus sono invece dedicate a suo figlio Boris. Probabilmente la più famosa è Kalanchoe fedtschenkoi, una specie malgascia che nel 1915 fu dedicata dallo scopritore Perrier de la Bâthie al "sapiente e gentile dottor Fedčenko dell'Orto imperiale di San Pietroburgo". Nel 1941 Kudrjasev gli dedicò inoltre il genere Fedtschenkiella, oggi sinonimo di Dracocephalum. Moltissimi onori sono giustamente andati a sua madre Ol'ga Armfeld Fedčenko, una grande botanica di fama europea. Il primo omaggio venne nel 1878 da Regel, il botanico tedesco che dirigeva l'orto botanico di San Pietroburgo, con Rosa fedtschenkoana, una bellissima specie nativa dalle regioni coraggiosamente esplorate da Ol'ga e Aleksej. Nel 1882 replicò con il genere Fedtschenkoa, oggi sinonimo di Strigosella. La maggior parte delle piante che la ricordano hanno però una denominazione basata sul suo nome personale: sono un centinaio le specie di trenta famiglie diverse che portano in suo onore l'eponimo olgae. Nella maggior parte dei casi, si tratta di piante delle steppe e delle montagne dell'Asia centrale, da lei scoperte nel corso dei suoi viaggi. Tra di esse, non poteva mancare Eremurus olgae, un altro omaggio di Regel. Non fanno eccezione alcune specie del genere Olgaea, omaggio postumo di M. M. Ilijn (1922). Questo piccolo generi di cardi della famiglia Asteraceae comprende infatti una quindicina di specie distribuite tra l'Asia centrale, l'Himalaya e le aree temperate dell'Asia orientale; ma il loro territorio di elezione, il centro di diversità, sono proprio le impervie montagne dell'antica regione del Turkestan, oggi divisa tra varie repubbliche. Sono erbacee perenni piuttosto imponenti, assai ramificate e piuttosto spinose, con fiori viola o blu che ricordano quelli dei carciofi, adattate a resistere all'aridità e a condizioni climatiche estreme, con inverni glaciali ed estati torride. Sono piante bellissime e austere, che credo non sarebbero spiaciute alla tenace e coraggiosa dedicataria, di cui potrebbero anche essere un occulto ritratto vegetale. Qualche approfondimento nella scheda. Nonostante la sua breve vita, la figura di William Anderson, aiuto chirurgo della Resolution nel secondo viaggio di Cook e primo chirurgo nel terzo, ha destato interesse come prototipo del tipico chirurgo della Royal Navy, che unisce all'abilità professionale spiccati interessi naturalistici. Benché non avesse avuto un'educazione formale come naturalista, era una sicura promessa della scienza britannica, ma anche un "giovane sensibile" ricco di acume e umanità la cui morte destò grande rimpianto tra i suoi compagni d'avventura. A ricordarlo, grazie a Robert Brown, l'Ericacea australiana Andersonia, che tuttavia presiede in condominio con due omonimi: il giardiniere William Anderson e il botanico Alexander Anderson. Soprattutto quest'ultimo è una figura di notevole interesse. ![]() Apprendistato di un giovane uomo sensibile Il 3 o il 4 agosto 1778 sulla Resolution, la nave ammiraglia del terzo viaggio di Cook, ha luogo una mesta cerimonia: di fronte all'isola di San Lorenzo nello stretto di Bering viene sepolto in mare il chirurgo William Anderson. Non aveva ancora ventotto anni. La sua morte, preceduta da una lunga malattia, non è una sorpresa per nessuno, ma lascia tutti sgomenti. Cook, di solito freddo e riservato, scrive: "Era un giovane uomo sensibile, un compagno gradevole, molto preparato nella sua professione e aveva acquisito grande conoscenza in altre scienze; se fosse piaciuto a Dio di risparmiare la sua vita sarebbe stato molto utile nel corso del viaggio". Più toccanti e accorate le parole del comandante della Discovery, Charles Clerke (poco più di un anno dopo condividerà lo stesso destino): "La sua morte è il più sventurato colpo subito dalla nostra spedizione; la sua eminente abilità di chirurgo e la sua illimitata umanità lo rendevano il più rispettabile e il più stimato membro della nostra piccola società; la perdita della sua superiore conoscenza, soprattutto rispetto alla scienza della Storia naturale, ha lasciato un vuoto nel nostro viaggio che si farà molto rimpiangere". La grandezza della perdita è sottolineata da James King, secondo ufficiale della Resolution, che era aveva studiato astronomia ad Oxford: "Le sue conoscenze toccavano tutti gli oggetti naturali; la sua applicazione era costante e regolare, e di gran lunga eccessiva per la sua salute; la dedizione con cui studiava le diverse scienze della Storia naturale e le specie umane era tale da dare un vero piacere a ogni persona per bene e ogni uomo di scienza; era la persona più libera dalle ristrettezze di un spirito limitato che io abbia mai conosciuto". Il rimpianto dei suoi compagni d'avventura è condiviso da coloro che hanno studiato questa giovane promessa della scienza britannica. Molti riconoscono in lui il prototipo di una figura tipica della Royal Navy: il chirurgo di bordo che unisce alle capacità professionali una preparazione scientifica di buon livello e dedica qualcosa di più dei ritagli di tempo alla ricerca naturalistica. Come molti chirurghi della marina britannica, William Anderson era nato in Scozia, nel 1750, e tra i sedici e i diciotto anni aveva seguito i corsi della facoltà di medicina di Edimburgo, che includevano nozioni di botanica e scienze naturali. Forse per ragioni economiche, aveva però preferito diventare chirurgo, andando a studiare alla Surgeon Hall di Londra, dove si diplomò come aiuto chirurgo e chirurgo rispettivamente nel 1768 e nel 1770. Quindi si arruolò in marina e servì successivamente come aiuto chirurgo sulla Thunder e sulla Barfleur. Nel 1771 fu scelto come aiuto chirurgo della Resolution, la nave del secondo viaggio di Cook. Al momento dell'imbarco aveva 22 anni e l'esperienza fu sicuramente importantissima per sviluppare la sua competenza scientifica, anche se, poiché il suo diario è andato perduto, dobbiamo accontentarci di notizie indirette. Forse, almeno inizialmente, poté giovarsi in qualche modo dell'addestramento dei Forster, grazie alla mediazione del primo chirurgo James Patten, uno dei pochi che avesse rapporti accettabili con loro. Ma poi subentrò la rivalità e il sospetto. I termini in cui Georg Forster parla di lui nel suo resoconto (senza nominarlo espressamente) sono velenosi: "Uno degli aiuto chirurghi, che partecipò a questa escursione, raccolse una prodigiosa quantità di nuove e curiose conchiglie nell'isola di Ballabea, e ugualmente molte nuove specie di piante di cui non avevamo visto un singolo esemplare nei distretti che avevamo visitato; ma la più malvagia e più irragionevole invidia gli insegnò a nasconderci queste scoperte sebbene fosse del tutto incapace di usarle a profitto della scienza". L'episodio si colloca verso lo fine del viaggio, in Nuova Caledonia, in un momento in cui entrambi i Forster erano malati. Tutto dimostra che, al contrario, Anderson era invece più che capace di trarre profitto dalle sue scoperte. Compilò liste di vocaboli di diverse delle isole visitate, incluso un dizionario di 28 pagine del tahitiano che fu allegato a una delle edizioni del resoconto ufficiale. Solander, che visitò la Resolution subito dopo il ritorno in Inghilterra (ma non poté incontrare Anderson), parla delle sue collezioni in termini elogiativi. Unendo le competenze mediche con gli interessi scientifici, il giovane chirurgo studiò alcuni casi di avvelenamento causati dall'ingestione di pesci tossici e ne fece oggetto di una memoria che, sotto forma di lettera al Presidente della Royal Society John Pringle, ebbe l'onore di essere pubblicata nelle Philosophical Transactions nel 1776. ![]() Il terzo viaggio di Cook Nel 1775 il Parlamento britannico istituì un premio di 20.000 sterline a chi avesse scoperto il mitico passaggio a Nord-ovest. E proprio questo fu l'obiettivo non dichiarato del terzo viaggio di Cook: quello ufficiale era riportare in patria Omai, un polinesiano di Raiatea che era stato condotto in Inghilterra sulla Adventure. Alla spedizione parteciparono di nuovo due vascelli: la vecchia Resolution, ancora comandata da Cook, e la piccola Discovery, al comando di Clerke (che era stato il secondo ufficiale della Resolution nel secondo viaggio). Cook la intendeva come una spedizione esclusivamente geografica, e non volle scienziati a bordo (secondo i maligni, dopo la convivenza con i Forster ne aveva avuto abbastanza) e scelse personalmente gli ufficiali tra i veterani che avevano partecipato ai suoi viaggi precedenti. C'erano però un pittore paesaggista, John Webber, e un astronomo, William Bayly. Come primo chirurgo, Cook volle il nostro William Anderson, che in tal modo divenne il naturalista ufficioso della spedizione: rispetto ai "gentiluomini naturalisti", in quanto chirurgo di bordo, presentava l'indubbio vantaggio di essere soggetto alla disciplina militare. Accanto a lui, Banks riuscì tuttavia a insinuare come aiutante uno dei giardinieri di Kew, David Nelson. Purtroppo, la sorte di Anderson era già segnata. Nel breve intervallo tra i due viaggi aveva servito sulla fregata Milfort, dove aveva contratto la tubercolosi. Anche Clerke si trovava nelle medesime condizioni: essendosi offerto come garante di un fratello insolvente, era finito in carcere per debiti, e qui era stato infettato. Al momento della partenza, tuttavia, entrambi sembravano ancora in buona salute. La Resolution partì per prima nel luglio 1776, mentre la Discovery poté salpare solo all'inizio di agosto. Nell'intervallo tra i due viaggi, la nave di Cook non era stata adeguatamente riparata e presto incominciò a imbarcare acqua soprattutto attraverso il ponte principale; con il mare grosso, le cuccette degli uomini venivano inondate, destando la preoccupazione del coscienzioso Anderson per la salute dei marinai. A Cape Town fu raggiunta dalla Discovery ; mentre entrambe le navi venivano ricalafatate, Anderson si unì a Nelson in alcune escursioni botaniche. Dopo aver lasciato il Sud Africa, navigando in direzione sud-est Cook scoprì le isole del Principe Edoardo, quindi, seguendo gli ordini dell'ammiragliato, prese possesso delle desolate isole Kerguelen con una cerimonia che Anderson (possediamo i suoi diari relativi alla prima parte della spedizione) trovava ridicola; in tutto l'emisfero, era difficile trovare un posto più sterile e meno interessante per un naturalista. Eppure, oltre a studiare i pinguini, proprio qui fece la sua più importante scoperta botanica: il cavolo delle Kerguelen, Pringlea antiscorbutica. La tappa successiva fu la Tasmania, dove l'interesse di Anderson sembra essere stato attratto soprattutto dagli indigeni, miti e accoglienti verso i forestieri, ma egli osservò anche le piante e i particolare gli onnipresenti eucalipti. Il viaggio proseguì per il Queen Charlotte Sound in Nuova Zelanda, quindi toccò le isole Cook (a Atiu gli indigeni sequestrarono le piante che Anderson aveva appena raccolto, ma il chirurgo fu tutto sommato divertito dalla possibilità di osservare dal vivo l'uomo allo stato di natura) e le Tonga. Anderson descrive con ammirazione i pesci che popolano la barriera corallina, osserva con occhio clinico le malattie che affliggono gli indigeni (compresa la sifilide, importata dai viaggiatori europei), esprime qualche critica - ma sempre nel rispetto delle gerarchie - sulle punizioni a suo parere sproporzionate inflitte agli indigeni. Intanto, gli effetti della malattia avevano cominciato a manifestarsi sia per Anderson sia per Clerke. A Anderson era chiaro che proseguire il viaggio e affrontare i gelidi mari del Pacifico settentrionale sarebbe stato fatale ad entrambi. A Tahiti, dove arrivarono il 12 agosto 1777 e si fermarono fino all'inizio di dicembre, i due decisero di dare le dimissioni e di chiedere di essere lasciati a terra, affidati alle cure degli indigeni. Tuttavia, il senso del dovere, la lealtà verso i compagni, l'incertezza della reazione di Cook, li fecero esitare e rimandare la comunicazione, finché fu troppo tardi; lasciata Tahiti, dopo aver toccato le Isole della Società, nella loro rotta verso la costa americana le navi si addentrarono infatti in acque inesplorate. La salute di Anderson incominciò a declinare. Il 21 dicembre accompagnò ancora Cook in una passeggiata di discreta lunghezza a Kauai, la prima isola delle Hawaii toccata dalla spedizione. Tuttavia, il 10 gennaio, giorno in cui le navi raggiunsero l'isola di Hawaii, l'astronomo Bayly annotò sul suo diario che tutto l'equipaggio era in buona salute "eccetto il chirurgo Mr. Anderson che è molto malato in stato di consunzione". Fu solo la forza della volontà a permettergli di continuare le osservazioni linguistiche ed etnografiche e forse anche le raccolte naturalistiche (non possediamo il suo diario dopo Tahiti). Dopo aver lasciato le Hawaii all'inizio di febbraio, le navi si diressero a nord, toccando terra il 6 marzo presso Capo Foulweather nell'attuale Oregon. Proseguendo verso nord, si ancorarono nella baia di Nootka, dove trascorsero circa un mese, dal 29 marzo al 26 aprile 1778. Quindi iniziarono ad esplorare e a mappare la costa, proseguendo fino allo stretto di Bering, nella speranza di individuare il passaggio a Nord-ovest. A maggio gettarono l'ancora nell'attuale Prince William Sound in Alaska e Anderson mise piede a terra forse per l'ultima volta, arrampicandosi con Cook su una collina. Fino alla morte, avvenuta tra le 3 e le 4 del pomeriggio del 3 agosto di fronte all'isola di San Lorenzo, non abbiamo altre notizie su di lui. Se fosse vissuto, oltre ad arricchire il risultati scientifici dello sventurato terzo viaggio di Cook, sarebbe sicuramente diventato qualcosa di più di una promessa della scienza britannica; probabilmente sarebbe stato ammesso alla Royal Society e sarebbe diventato uno degli uomini di Banks, al quale legò le sue collezioni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. Ancora qualche riga per concludere il racconto. Ovviamente, Cook non trovò il passaggio a nord-ovest (sarà conquistato solo nel 1906 dal celebre esploratore polare Roald Amundsen) e divenne sempre più esasperato e intrattabile. Quindi ritornò alle Hawaii dove, come tutti sanno, il 14 febbraio 1779 trovò la morte. Clerke, che si era apparentemente un poco ripreso, assunse il comando della Resolution, mentre sulla Discovery gli subentrava John Gore, e riprese la ricerca del passaggio a nord-ovest. Ridotto a uno scheletro dalla tubercolosi, si spense in mare il 22 agosto 1779 (era il giorno del suo trentottesimo compleanno) e fu sepolto a Petropavlovsk in Kamčatka. Dopo diverse altre vicissitudini, una delle spedizioni più disastrose della storia della Royal Navy si concluse il 4 ottobre 1780 con il rientro in patria delle due navi. La stesura del resoconto ufficiale fu affidato al canonico John Douglas che per integrare il diario di Cook utilizzò ampiamente il diario del nostro William Anderson. ![]() Un genere per tre I materiali raccolti da Anderson rimasero inediti nella biblioteca di Banks, finché Robert Brown molti anni dopo li esaminò mentre preparava il suo importante lavoro sulla flora australiana. Oramai avevano perso ogni carattere di novità, ma Brown volle rendere omaggio allo sfortunato chirurgo dedicandogli il genere Andersonia, con una interessante nota biografica: "L'ho denominato in memoria di William Anderson, chirurgo navale, che partecipò a due spedizioni di Cook e morì durante l'ultima; si dedicò quanto più poteva all'osservazione di uomini e animali e non trascurò la botanica. Nella biblioteca di Banks e nel suo catalogo rimangono diverse sue descrizioni di piante, soprattutto dell'isola di Demen [cioè la Tasmania]; tra di essi non ho trovato alcun genere inedito, ovvero Goodenia Sm., Corraea Sm., Bauera (Ms. Ramsay) e Eucalyptum L.Hérit." Brown tuttavia approfittò dell'occasione per ricordare altri due Anderson: "Alexander Anderson, prefetto dell'orto botanico dell'isola di Saint Vincent, e William Anderson, giardiniere abilissimo, solertissimo coltivatore e acuto osservatore di piante esotiche". Al momento della dedica erano entrambi viventi e sicuramente più noti dello sfortunato chirurgo di Cook. Alexander Anderson (1748-1811) era nato ad Aberdeen e aveva studiato all'università di Edimburgo senza completare gli studi, quindi si era trasferito a Londra dove aveva lavorato per qualche tempo al Chelsea Physic Garden sotto il suo conterraneo William Forsyth. Nel 1774 si spostò a New York, dove lavorò come giardiniere e spedì a Forsyth alcuni esemplari di piante raccolte a Long Island e York Island (oggi Manhattan). Fedele all'Inghilterra, durante la guerra di Indipendenza per sottrarsi all'arruolamento si trasferì prima in Suriname poi nelle Antille britanniche. Nel 1783 si trovava all'Ospedale militare di Saint Lucia come aiutante di George Young, che gli chiese di cercare piante medicinali locali, tra cui un antimalarico che si pensava potesse sostituire la china; tuttavia la pianta, conosciuta come Cinchona sanctaeluciae, benché amara, non contiene gli alcaloidi presenti nel genere Cinchona ed è stata trasferita nel genere Exostema quindi in Solenandra, come S. sanctaeluciae. Nel 1784, quando il dottor Young poté tornare a Saint Vincent (per qualche anno occupata dai francesi), lo accompagnò, quindi gli succedette come prefetto del giardino botanico dell'isola, specializzato nella coltivazione di piante tropicali. Era anche un attivo raccoglitore, in corrispondenza con Banks, su sollecitazione del quale nel 1785 redasse un catalogo delle piante coltivate nell'orto, nel quale elenca 348 piante diverse, soprattutto medicinali o di interesse commerciale. Intorno al 1800 ne compilò una seconda edizione, che contiene circa 2000 specie, dandoci la misura del grande lavoro compiuto da Anderson per ampliare le collezioni dell'orto, sia grazie alle raccolte sul campo, sia grazie alla rete di corrispondenti. Anderson fece raccolte non solo a St Vincent, ma anche nelle piccole Antille, nell'entroterra costiero del Messico caraibico, a Trinidad e Tobago e nelle Guiane. Ricevette molte piante da capitani di marina e da numerosi corrispondenti, che includevano il famoso collezionista William Anderson di Philadelphia e residenti nelle Antille francesi. Fu così che grazie a lui numerose piante caraibiche furono introdotte in Europa. Ma l'orto botanico di Saint Vincent divenne anche un centro di diffusione delle piante tropicali che, attraverso Kew, giungevano da altre parti del mondo. La più famosa è l'albero del pane Artocarous altilis, che arrivò a Saint Vincent da Tahiti nel 1793; Anderson la moltiplicò e provvedette a distribuirla nelle altre isole delle Antille britanniche. Egli fu anche un prolifico autore di contributi che inviava alla Royal Society e alla Linnean Society. Progettò anche di scrivere una Flora dei Caraibi, di cui rimangono solo poche pagine manoscritte inviate a Banks. Purtroppo non pubblicò nessuna delle almeno 100 piante caraibiche che aveva raccolto e il suo nome è ricordato appunto solo dalla dedica collettiva di Andersonia R. Br. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Veniamo infine al secondo William Anderson (1766-1846); anche lui era scozzese e dopo aver lavorato come giardiniere in alcuni vivai nei pressi di Edimburgo, negli anni '90 si trasferì a Londra dove divenne il giardiniere capo del facoltoso mercante James Vere, che a Kengsinton Gore possedeva una notevolissima collezione di piante tropicali, in particolare succulente. Gli è stato persino dedicato il genere Veraea / Vereia, oggi sinonimo di Kalanchoe. William Anderson si fece un nome come esperto di succulente e nel 1798 fu ammesso alla Linnean Society. Nel 1814 venne nominato sovrintendente del Chelsea Physical Garden che in quegli anni aveva perso molto del passato smalto. Anderson ne seppe risollevare le sorti; contribuì anche attivamente con numerosi articoli al Gardeners Magazine e alle Transactions della Horticultural Society. Anche su di lui, una nota biografica nella sezione biografie. ![]() Andersonia, viva la varietà! Andersonia R.Br. è un piccolo genere endemico dell'Australia sudoccidentale, della famiglia Ericaceae (precedentemente Epacridaceae). Brown lo stabilì sulla base di cinque specie che egli stesso aveva raccolto lungo il King George's Sound e di una specie raccolta a Lucky Bay. Oggi comprende una trentina di specie di arbusti che vivono soprattutto nelle boscaglie di ericacee, con alcune specie tipiche di habitat più sabbiosi o rocciosi. Anche se alcune specie sono di dimensioni maggiori, la maggior parte sono piccoli arbusti che non superano il metro, mentre le specie di ambienti rocciosi sono nane a cuscino. Una differenza legata ai diversi habitat, che vanno dalle zone con precipitazioni abbondanti a quelle semiaride. Sempreverdi, hanno foglie da piccole a minute, spesso aghiformi, alternate o disposte a spirale. I fiori possono essere solitari ma più spesso sono aggregati in infiorescenze terminali, con i fiori sotteso da una serie di brattee o bratteole. Il calice con cinque sepali o polisepalo è persistente e in genere eccede la corolla tubolare; bianco, rosa, viola o azzurro, spesso è più decorativo della corolla. Anche quest'ultima, tubolare o a urna, con lobi ricurvi o retroflessi, è piuttosto varia. Il gigante del genere è A. axillaris, un grande arbusto che può superare i tre metri. Presente solo sulle pendici superiori e sulle sommità delle cime occidentali del Stirling Range National Park, dove vive in suoli rocciosi in associazione a fitte boscaglie di ericacee, è una pianta ormai rara oggetto di progetti di reintroduzione. Tra le più piccole e più comuni, troviamo invece A. macranthera, una specie non più alta di mezzo metro che vive nelle pianure sabbiose dalla costa sud-occidentale, con minuscole foglie aghiformi e deliziosi piccoli fiori con sepali e corolla rosa-porpora. Altre specie sono ancora più decorative. A. grandiflora, una minuscola specie a cuscino presente in poche aree con suolo roccioso e sabbioso dei dintorni di Albany, ostenta sorprendenti fiori con calice bruno e corolla rosso-aranciato. Ma forse la più singolare è A. caerulea, una specie piuttosto diffusa, con portamento tappezzante o decombente; al momento della fioritura, produce fitte infiorescenze a spiga di fiori bicolori, con calice rosa-violaceo e corolla azzurra, da cui emerge un ciuffo di stami candidi. Altre informazioni nella scheda. Curioso destino, quello di Johann Reinhold Forster e di suo figlio Georg. Oggi il primo è considerato uno dei filosofi naturali più interessanti dell'ultimo Settecento, e il secondo uno dei padri dell'etnologia. Eppure, al loro tempo, l'uno e l'altro sono stati ostracizzati per motivi diversi. A rovinare la fama di Johann Reinhold è stato il suo pessimo carattere, che lo ha fatto definire da uno dei biografi di Cook un "incubo"; la reputazione di Georg è stata invece compromessa dall'entusiastica adesione alla rivoluzione francese, che gli è costata la condanna come traditore della patria, l'esilio, la morte precoce e il lungo oblio della sua opera scientifica. Entrambi parteciparono alla seconda spedizione di Cook, il padre come naturalista ufficiale, il secondo soprattutto come disegnatore e, al di là delle polemiche, si dimostrarono naturalisti solerti e capaci. A ricordarli nella terminologia botanica un genere di piante minuscole endemiche della Nuova Zelanda e della Tasmania, Forstera. A raccogliere il primo esemplare nei pressi di Cascade Cove fu Anders Sparmman, che volle dedicarla al "mio compagno botanico" Georg Forster. ![]() Prima del viaggio: un erudito tedesco Anche ai suoi tempi, nessuno dubitava che Johann Reinhold Forster, il naturalista ufficiale della seconda spedizione Cook, fosse un uomo coltissimo e di grande competenza scientifica. Eppure la convivenza con Cook fu così disastrosa che, dopo quell'esperienza, il navigatore decise di non volere più alcun naturalista a bordo. Il giudizio del biografo di Cook J.C. Beaglehole è senza appello: "Niente può renderlo diverso da uno dei peggiori errori dell'ammiragliato. Dall'inizio alla fine del viaggio, e anche successivamente, fu un incubo. Si esita a descriverne le caratteristiche, nel timore che il ritratto passi per una caricatura. Dogmatico, privo di umorismo, sospettoso, pretenzioso, polemico, censorio, esigente, afflitto dai reumatismi: era problema sotto qualsiasi punto di vista". Molto diversa è l'immagine che ne dà il biografo di Forster Michael E. Hoare, che ha anche curato la monumentale edizione del suo diario del viaggio della Resolution. Secondo Hoare, egli è stato uno dei grandi geni universali dell'ultimo Settecento e l'oblio che è caduto sulla sua figura è una grande perdita per l'antropologia, la linguistica, la geografia e la zoologia del Pacifico. Le incomprensioni e lo scontro con Cook, più che al celebre cattivo carattere dello studioso tedesco, sarebbero dovuti allo incontro impossibile tra due mondi e due visioni della vita: da una parte, un marinaio e un uomo d'arme, dall'altra un filosofo, anzi un "filosofo senza tatto", come lo ha battezzato lo stesso Hoare. Proviamo dunque a raccontarlo, questo personaggio impossibile. E con lui suo figlio Georg, allievo, compagno di viaggio, ragazzo prodigio da esibire, in una relazione padre-figlio che ricorda per molti aspetti quella tra Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart. Johann Reinhold Forster, discendente da una famiglia di origine scozzese emigrata in Germania, nacque nell'estrema periferia del mondo tedesco, a Dirschau, nei pressi di Danzica. Dopo aver studiato teologia, lingue classiche e orientali all'Università di Halle, divenne pastore della chiesa luterana di Nassenhuben, un altro villaggio della Pomerania prussiana. Gli aneddoti riferiscono di un pastore riluttante: aveva speso gran parte dell'eredità paterna in libri, e tutto il suo tempo era dedicato allo studio; per preparare i sermoni, rimaneva solo qualche minuto e durante il servizio spesso era così stanco da cadere addormentato. Intanto si era sposato con una cugina, da cui aveva avuto ben otto figli. Durante la Guerra dei sette anni (1756-63), quando la sua parrocchia fu ripetutamente occupata dalle truppe russe, conquistò però la stima dei suoi parrocchiani difendendo con energia i loro interessi e le loro proprietà dalla rapacità degli occupanti. Insoddisfatto della sua posizione, aveva fatto sapere al residente russo a Danzica che era disposto a trasferirsi in Russia come pastore. Fu forse in seguito a questa richiesta che nel 1764 Caterina II lo incaricò di ispezionare gli insediamenti tedeschi lungo il corso del Volga, per dissipare le voci negative sulle condizioni di vita dei coloni. Lasciando il resto della famiglia a Nassenhuben, Forster partì per la Russia con il figlio maggiore Georg, all'epoca un bambino di dieci anni. Un bambino molto speciale: così appassionato di scienze naturali che il padre, per soddisfare la sua curiosità, acquistò le opere di Linneo e incominciò a studiare zoologia e botanica insieme a lui. Forster prese molto sul serio l'incarico, e ne approfittò per studiare la meteorologia e la storia naturale della regione. La zarina contava su una relazione edulcorata, invece Johann Reinhold presentò un rapporto fortemente critico; di conseguenza gli fu negato il salario promesso. Dopo qualche mese passato a San Pietroburgo cercando inutilmente di essere pagato (Georg ne approfittò per imparare decentemente il russo), quando tornò in patria scoprì di essere stato privato della parrocchia, a causa della prolungata assenza. Forster decise di andare a cercare fortuna in Inghilterra, forse anche per evitare ritorsioni da parte delle autorità russe. Lasciando nuovamente il resto della famiglia in Pomerania, nell'autunno del 1766 si trasferì a Londra con il piccolo Georg. Non riuscì a sistemarsi al neonato British Museum come aveva sperato, ma nella primavera del 1767 fu assunto come insegnante di lingue moderne e scienze naturali alla Warrington Academy, una scuola non conformista con un curriculum innovativo. L'incarico durò poco: non per la scarsa qualità dell'insegnamento (Hoare, che ha studiato i materiali delle lezioni, ne sottolinea la profondità e l'alto livello) ma per il "caratteraccio" di Forster, accusato di aver inflitto "misure disciplinari violente" a uno studente; senza contare i debiti contratti con molti fornitori. Dopo aver insegnato lingue per un altro anno in una Grammar School della stessa località, Forster tornò a Londra, dove si mantenne con traduzioni sue e del figlio, specializzandosi nei racconti di viaggio: tradusse tra l'altro in inglese le relazioni degli allievi di Linneo Kalm, Loefling e Osbeck e il Viaggio intorno al mondo di Bougainville. Inoltre era redattore di una rivista specializzata in letteratura internazionale. Presentando diversi lavori su svariati soggetti alla Società degli Antiquari e alla Royal Society riuscì a farsi una solida reputazione come naturalista; inoltre era in corrispondenza con molti scienziati in Inghilterra e all'estero, incluso Linneo. Nel 1771 pubblicò A Catalogue of the Animals of North America, accreditandosi come zoologo. Lo stesso anno fu ammesso alla Royal Society. Così, quando praticamente da un giorno all'altro Banks e Solander rinunciarono a partire per il secondo viaggio di Cook, Forster sembrò indiscutibilmente il candidato ideale. Tanto più che l'avrebbe accompagnato suo figlio, un disegnatore di talento, "senz'altro molto utile in questa parte della faccenda", come scrisse il lord dell'Ammiragliato, lord Sandwich. Per tagliar corto con la burocrazia, il re autorizzò il pagamento di una discreta somma per l'acquisto delle attrezzature e in dieci giorni i Forster erano pronti a partire. ![]() Il viaggio, prima parte: Plymouth-Nuova Zelanda Al momento della partenza, Johann Reinhold ha 42 anni. E' un uomo coltissimo, un filologo, un linguista che parla diciassette lingue, e allo stesso tempo un mineralogista, uno zoologo, un botanico. Ha un'alta considerazione di sé, molte frustrazioni da superare, grandissime aspettative; inoltre, poco esperto della politica inglese, ha scambiato l'autorizzazione reale per una vera e propria investitura. Purtroppo è anche privo di tatto, permaloso, diffidente, collerico e litigioso. Tutte caratteristiche destinate a inasprirsi nella coabitazione forzata e prolungata nell'angusto spazio di una nave da guerra. Invece Georg di anni ne ha appena diciotto e, secondo la testimonianza di tutti, è di carattere dolce e amabile. Ho già raccontato il secondo viaggio di Cook per sommi capi in questo post, dal punto di vista di Sparrman. E' ora di sviluppare l'argomento, ponendo al centro le attività scientifiche dei Forster. Le due navi della spedizione, la Resolution comandata da Cook e l'Adventure comandata da Furneaux, salpano da Plymouth il 13 luglio 1772. A Madeira e a Capo Verde Forster padre fa le prime raccolte botaniche e Forster figlio disegna e dipinge i suoi primi acquarelli. Segue un scalo di tre settimane al Capo di Buona Speranza, dove Johann Reinhold propone a Sparrman di accompagnarlo come assistente. Secondo i suoi detrattori, lo fa per compensare le sue scarse competenze di botanica; un'accusa infondata, anche se il suo campo di elezione è la zoologia. Seguono quattro mesi di difficile di navigazione senza scali nelle gelide acque dell'Atlantico meridionale, tra burrasche, nebbie, iceberg. I disagi incominciano a farsi sentire: la cabina dei Forster è angusta, con gran parte dello spazio occupato da libri, strumenti, raccolte; non vede mai la luce del giorno e non è mai completamente all'asciutto. Il bestiame sistemato nei passaggi ai due lati aggiunge rumori, profumi e deiezioni. Ma la vera frustrazione è un'altra: "Se non fosse stato per la piacevole speranza di fare grandi scoperte nel campo della Storia naturale, non avrei mai avuto grande inclinazione per questa spedizione. Ma invece di incontrare qualche oggetto degno di attenzione, dopo aver circumnavigato metà del globo, non abbiamo visto altro che acqua, ghiaccio e cielo". Finalmente il 27 marzo 1773 la Resolution getta l'ancora a Dusky Bay, all'estremità meridionale dell'Isola del Sud della Nuova Zelanda. Si fermerà qui tre settimane, per le necessarie riparazioni e i rifornimenti. I due Forster, Sparmann e Ernest Scholient, il servitore di Johann Reinhold, ne approfittano per raccolte febbrili. Tra i tre naturalisti si stabilisce una divisione dei ruoli: i due giovani sistemano le raccolte, disegnano, descrivono gli esemplari botanici; Forster padre controlla il loro lavoro, fa correzioni se necessario, e riserva a se stesso gli animali e le osservazioni sulla lingua, i costumi, le cerimonie, le credenze religiose, la vita economica dei nativi. Spesso il lavoro si protrae tutta la notte, al lume di candela. La zona è ricca di uccelli: i Forster ne descrivono 38 nuove specie, e Georg ne dipinge 35. La vegetazione è abbondante e ricca di specie potenzialmente nuove, ma la stagione avanzata (si avvicina l'autunno australe) è un nuovo motivo di frustrazione per Johann Reinhold: "E' un supplizio di Tantalo vedere innumerevoli piante e alberi, tutte nuove, ma nessuna ha fiori in questa stagione e i frutti o sono acerbi o sono già caduti"; senza parlare della pioggia incessante e delle crudeli morsicature dei moscerini delle sabbie (Austrosimilium spp.). Ma qualche piacevole sorpresa c'è: durante questo primo soggiorno Georg dipinge e descrive l'orchidea a fioritura autunnale Earina autumnalis, Leptospermum scoparium, Olearia oporina, Schefflera digitata, Cordyline indivisa. Il 23 aprile Anders Sparrman si arrampica con alcuni ufficiali su un picco che sovrasta Cascade Cove; ne ritorna con una graziosa pianticella subalpina che in onore del "mio compagno botanico" Georg battezza Forstera (oggi F. sedifolia). Tra i due ragazzi è nata una grande amicizia che durerà per tutta la vita. L'11 maggio la Resolution leva l'ancora e fa rotta a nord; il 18 maggio entra nel Queen Charlotte Sound, dove l'Adventure (da cui è stata separata durante una burrasca) attende da sei settimane. La nuova sosta si prolungherà per tre settimane, durante le quali i Forster e Sparrman scoprono altre specie di uccelli, il pipistrello Chalinolobus tuberculatus e raccolgono varie piante: Gaultheria antipoda, Aciphylla squarrosa, Euphrasia cuneata, Lepidium oleraceum, Hydrocotyle moschata. Per ora i rapporti tra Forster e Cook sono buoni, anche se non sono mancate tensioni con altri membri dell'equipaggio. Secondo l'astronomo William Wallis, che detesta Forster ricambiato, non passa settimana senza che litighi con qualcuno. Ad ogni torto vero o presunto, il collerico naturalista dichiara che al ritorno farà le sue rimostranze al re, the King, che lui pronuncia ze Kinck. Una minaccia che diventa di moda tra i marinai della Resolution, che se la scambiano scherzosamente in ogni occasione. ![]() Seconda parte: Nuova Zelanda-Spithead A giugno le due navi ripartono verso nord per esplorare il Pacifico centrale. Il 15 agosto raggiungono Tahiti, che impressiona fortemente Georg, forse influenzando le sue future idee politiche. Johann Reinhold, che è di cattivo umore per essere stato ferito durante una manovra, lamenta che ancora una volta sono arrivati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Dopo una breve sosta, il viaggio riprende attraverso le isole della Società. Qui, all'inizio di settembre, nell'isola di Raiatea, avviene la rottura tra Cook e Forster. Durante un'escursione a terra, vedendo che un indigeno cerca di impadronirsi del moschetto di suo figlio, Forster padre spara e lo ferisce. Un incidente che potrebbe costare molto caro, come ben sa il comandante, che rimprovera aspramente il naturalista; i due si scambiano male parole, finché Cook lo spinge fuori dalla sua cabina con violenza. Tre giorni dopo si rappacificano e si stringono la mano, ma qualcosa si è rotto per sempre. Da quel momento, agli occhi di Forster Cook è l'uomo egoista che non ha alcun interesse per la scienza e pensa solo alla sua gloria personale. Per il comandante, Forster è sempre più una mina vagante che, oltre a rendere irrespirabile l'atmosfera a bordo, può causare devastanti conflitti con gli indigeni. Il viaggio continua. A ottobre vistano alcune isole delle Tonga. Qui non ci sono molte nuove piante, ma in compenso ad attrarre entrambi i Foster sono i costumi degli abitanti delle isole, la loro musica, le loro lingue, che Georg studia e mette a confronto. Quindi tornano a sud; nuovamente una tempesta separa le due navi, che non si congiungeranno mai più. Il 3 novembre la Resolution è di nuovo nel Queen Charlotte Sound. Rispetto alla prima visita, ci sono molte più fioriture. Tra le piante in fiore c'è Phormium tenax (oggi forse la pianta più nota della Nuova Zelanda) e diverse orchidee, tra cui Thelymitra longifolia. In tutto le specie raccolte sono una trentina, ma Johann Reinhold è deluso perché si aspettava di trovare più animali. Dopo tre settimane di attesa, Cook si convince che l'Adventure sia naufragata durante la tempesta e decide di ripartire. In realtà, Furneaux ha raggiunto anch'esso la Nuova Zelanda in un altro punto, ma, avendo perso diversi uomini in seguito a un attacco maori e essendo a corto di provviste, ha deciso di rientrare in Inghilterra. Come l'estate precedente, anche quella del 1773-4 è dedicata all'esplorazione delle regioni antartiche. La Resolution riprende a percorrere e ripercorrere quei mari gelidi. Il 30 gennaio 1774 incontra un immenso campo di ghiaccio; Cook sospetta si estenda fino al Polo. Ci troviamo a 71° 10' di latitudine sud, il punto più meridionale mai toccato da una nave prima di allora. Forster soffre atrocemente di reumatismi, e ancora più lo angustia la sua personale ossessione: "Ci siamo affaticati per diciotto mesi, ma non abbiamo visto nulla che non sia già stato visto prima. Da parte mia credo che le poche piante e i pochi animali che abbiamo potuto incontrare durante le nostre brevi soste sono probabilmente già state osservate da Mr. Banks e dal dr. Solander". E' ora di tornare in acque più calde. La Resolution ora punta a nord e completa il periplo del Pacifico. Dopo quasi cinque mesi passati ininterrottamente in mare, il primo scalo, a marzo, è l'isola di Pasqua. Quindi si fa rotta per le Marchesi, Tahiti e nuovamente Raiatea. Durante il secondo soggiorno a Tahiti, nella speranza di trovare almeno qualche pianta che sia sfuggita a Banks e Solander, Forster padre scala le colline che coronano Matavai Bay accompagnato da un ragazzo del posto; il cammino è insidioso; sotto la pioggia cade e si procura una lussazione che lo farà zoppicare per anni. L'unica consolazione è aver trovato otto piante che molto probabilmente Banks e Solander non hanno mai visto. Cook esplora e cartografa le isole che portano il suo nome. A Niue (che di conseguenza Cook ribattezzerà isola selvaggia), Sparmann e Georg non fanno in tempo a sbarcare che vengono accolti da una sassaiola. Nelle isole Tonga, Cook proibisce ai naturalisti di scendere a terra, suscitando le prevedibili proteste di Forster. A Tanna, nelle Vanuatu, il naturalista mette le mani addosso a un indigeno che secondo lui voleva imbrogliarlo; dopo aver cercato inutilmente di fermarlo, il secondo ufficiale Charles Clerk ordina a una sentinella di sparargli se non la smette. Forster reagisce mettendo mano alla pistola. Tutti e due vanno a protestare da Cook, che sembra non credere né all'uno né all'altro. E' poi la volta di Vatoa, l'unica isola delle Fiji visitata, e delle Nuove Ebridi, sempre con soste ridotte al minimo che rendono furioso Forster: "Il denaro pubblico è andato sprecato e la mia missione, che consiste nel raccogliere nuove piante, di cui queste isole sono piene, è stata resa del tutto inutile. Che senso ha vedere due o tre isole in più? senza conoscere di quell'isola i prodotti, la natura del suolo, la disposizione degli abitanti, tutto ciò che non può essere imparato osservandola dal largo". Mai il contrasto di obiettivi tra marinai-geografi e naturalisti è stato espresso in modo più netto. Eppure le scoperte geografiche sono eccezionali: prima di tornare per la terza volta in Nuova Zelanda, Cook scopre la Nuova Caledonia e l'isola Norfolk. Il 19 ottobre, getta nuovamente l'ancora nel Queen Charlotte Sound. E' di nuovo una sosta di tre settimane, durante la quale Sparrman e i Forster raccolgono qualche pianta, ma senza entusiasmo: lo scalo è sempre quello, non c'è molto di nuovo da scoprire. L'11 novembre si riparte, questa volta per tornare a casa. Tenendosi approssimativamente a 50° di latitudine, la Resolution attraversa il Pacifico in direzione est e il 18 dicembre raggiunge il Sud America. Natale sarà festeggiato nella Terra del Fuoco. Il 21 marzo 1775 sono a Cape Town, dove Sparrman si separa dagli amici e la Resolution viene rimessa in sesto per affrontare l'ultima tratto. Il 30 luglio 1775, poco più di tre anni dalla partenza, getta l'ancora a Spithead, in Inghilterra. Dal punto di vista geografico e oceanografico, è una delle spedizioni più importanti di tutti i tempi, con buona pace dell'inquieto Forster. Che, tuttavia, può vantare la raccolta di 260 nuove piante e circa 200 nuovi animali; l'erbario conta migliaia di esemplari di 785 diverse specie, di cui 119 della Nuova Zelanda, la zona dove sono state fatte le raccolte più cospicue. Molto notevole è anche la raccolta di oggetti e manufatti etnografici. ![]() Dopo il viaggio: altri guai Gli scontri non sono finiti. Forse in base ad accordi orali con l'ammiragliato, Forster è convinto che gli sarà affidata la redazione del resoconto ufficiale della spedizione, un incarico che invece Cook rivendica per sé. Lord Sandwich tenta un compromesso: Cook scriverà la parte relativa alla navigazione e alle scoperte geografiche, Forster quella naturalistica; i ricavi verranno divisi a metà. Sembra funzionare: Forster prepara un capitolo di prova e lo presenta a Sandwich, che, insoddisfatto della forma linguistica, lo restituisce con molte correzioni e propone di affidare la revisione a un curatore madrelingua. Apriti cielo! Forster lo vive come un oltraggio, un tentativo mascherato di censura. Si impunta e non ascolta ragioni, finché lord Sandwich affida la redazione del resoconto al solo Cook. Forster, che sperava anche in un buon riscontro finanziario (come sempre, è pieno di debiti), cerca di batterlo sul tempo. Suo figlio Georg, che non ha alcun impegno formale con l'Ammiragliato, scriverà a tempo di record la sua versione, utilizzando i diari propri e del padre. E così nel marzo 1777 esce A voyage around the World di Georg Forster, anticipando di sei settimane lo scritto di Cook. E' uno sgarbo istituzionale: in Inghilterra molti pensano che il vero autore sia Johann Reinhold. E, oltre tutto, vende pochissimo: per tirare avanti, i Forster sono costretti a vendere parte della collezione etnografica e, quel che è peggio, i disegni di Georg. A aggiudicarseli è Banks, che sta diventando sempre più la bestia nera dei due naturalisti tedeschi. Georg incomincia a lavorare all'edizione tedesca, Reise um die Welt (1778-80), che, al contrario della controversa versione inglese, avrà un'accoglienza trionfale. Con la sua prosa non solo scientificamente accurata, ma anche vivace, coinvolgente, di facile lettura, è considerato un caposaldo della letteratura di viaggio, che ha grandemente influenzato la letteratura tedesca. Particolarmente importante la parte etnografica, che fa di Georg un precursore dell'etnografia e una delle fonti più importanti sulle lingue, le religioni, la musica, i costumi e l'economia dei popoli polinesiani. In Germania, di colpo, i Forster diventano eroi nazionali. Nel gennaio 1777 Georg, che adesso ha ventitré anni, viene ammesso alla Royal Society. Quindi va in Germania, nella speranza di trovare una sistemazione accademica per il padre; la situazione finanziaria di quest'ultimo è infatti sempre più compromessa, tanto che rischia il carcere per debiti. Con sorpresa, Georg scopre che il prestigioso Collegium Carolinum di Kassel preferisce assegnare la cattedra di storia naturale a lui anziché al padre. Allora va a Berlino a perorare la causa paterna; grazie all'interessamento dello stesso Federico II, infine Johann Reinhold viene nominato professore di storia naturale e ricerca mineraria presso la sua alma mater, l'Università di Halle. Il duca di Brunswick si offre graziosamente di estinguere i suoi debiti. Dopo tante inquietudini, la vita di Johann Reinhold sfocia in una tranquilla carriera accademica: insegnerà ad Halle per vent'anni (1779-1798), diventerà un riconosciuto membro dell'establishment universitario, verrà ammesso a molte accademie in giro per l'Europa. Ma non riuscirà a finire o a vedere pubblicate le varie opere che aveva progettato. La più importante, Descriptiones animalium, uscirà solo nel 1844, molti anni dopo la sua morte. La vita di Georg fu più movimentata e più tragica. In corrispondenza con molti intellettuali del tempo, divenne una figura di punta dell'illuminismo tedesco. Insieme a Georg Christoph Lichtenberg, che insegnava a Gottinga, fondò e pubblicò la rivista letteraria Göttingisches Magazin der Wissenschaften und Litteratur. Innamoratosi di Therese Heyne, che sarebbe divenuta una delle prime scrittrici tedesche, nel 1784 per poterla sposare accettò di trasferirsi all'Università di Vilnius, sempre come professore di scienze naturali. L'anno successivo si laureò in medicina a Halle, con una tesi sulle piante del Pacifico meridionale. L'ambiente di Vilnius lo lasciava insoddisfatto, e nel 1787 ruppe il contratto, nella speranza di partecipare a una spedizione russa intorno al mondo, che tuttavia venne annullata. Si trasferì quindi a Magonza come capo bibliotecario dell'Università. Nel frattempo aveva continuato a scrivere di argomenti diversi, anche se la cronica mancanza di denaro l'aveva spesso costretto a privilegiare brevi lavori occasionali e traduzioni. Tra gli allievi di suo suocero Christian Gottlob Heyne a Gottinga c'era anche il ventenne Alexander von Humboldt che ammirava molto Reise um die Welt (anni dopo confesserà che fu proprio questa lettura a fargli scoprire la sua vocazione di naturalista-viaggiatore); il giovane strinse amicizia con Forster e nel 1790 i due viaggiarono insieme in Renania, quindi visitarono Bruxelles, L'Aia, Amsterdam, Londra, Parigi. Forster raccontò questo viaggio in Vedute del Basso Reno, Brabante e Fiandre, in tre volumi, un libro che impressionò grandemente lo stesso Goethe. Di notevole importanza la parte dedicata alla storia dell'arte, con la prima riscoperta dello stile gotico. A Parigi Forster poté seguire le vicende iniziali della rivoluzione francese, cui guardava con entusiasmo. Nel 1792, quando le truppe francesi occuparono Magonza, si unì al locale Club giacobino e partecipò attivamente alla fondazione della Repubblica di Magonza; divenne vice-presidente dell'amministrazione provvisoria, deputato alla Convenzione nazionale tedesca e redattore del Nuovo giornale di Magonza o L'amico del popolo, che anche nel titolo si ispirava alla omonima rivista di Marat. Cosciente che la neonata repubblica non sarebbe stata in grado di reggersi senza il sostegno francese, il 23 marzo 1793 la Convenzione decise di inviare a Parigi tre delegati (Georg Forster, Adam Lux e Potocki) per chiedere l'adesione alla Francia. Tuttavia poco dopo le truppe prussiane invasero la repubblica e presero Magonza dopo un lungo assedio; Forster fu proscritto come traditore della patria. Costretto a rimanere a Parigi, assisté al Terrore. Tra le vittime anche il suo collega Adam Lux, ghigliottinato per aver scritto un'apologia di Carlotta Corday. In miseria e sempre più malato, Georg Forster morì di polmonite nel gennaio 1794, prima di compiere quarant'anni. Una sintesi della vita dei due Forster nella sezione biografie. Le idee politiche condannarono Georg Forster all'ostracismo postumo. Il suo ricordo fu recuperato dalla Repubblica democratica tedesca, ma la sua importanza per la cultura tedesca ed europea ha incominciato ad essere pienamente riconosciuta solo negli anni '70 del Novecento. Come padre fondatore dell'etnologia tedesca, la Fondazione Humboldt gli ha intitolato un premio e una borsa di studio. ![]() Minuscoli endemismi delle isole Nel 1776, Johann Reinhold Forster inviò a Linneo, di cui era grande ammiratore, dieci nuove piante raccolte durante la spedizione, con le relative descrizioni e i nomi binomiali, perché le validasse e le pubblicasse. Le descrizioni erano state redatte presumibilmente da Sparrman, ma il testo era stato organizzato da Georg e rivisto da Johann Reinhold. Linneo fece in tempo a preparare il manoscritto di Decas plantarum, ma non a pubblicarlo, a causa della malattia che lo portò alla morte. A provvedere alla pubblicazione fu nel 1780 suo figlio Carl junior. A causa di questa intricata vicenda, la paternità del genere Forstera in passato è stata attribuita a Linneo figlio, mentre oggi viene riconosciuta a Georg Forster attraverso Linneo padre. Tra quelle dieci piante c'è anche il dono d'amicizia di Sparrman; Georg, sempre devoto al padre, volle che l'omaggio fosse esteso anche a lui, sebbene questa tenera pianticella sembri più adatta a lui com'era nei suoi vent'anni che all'ipocondriaco e rancoroso Johann Reinhold. Il genere Forstera, della famiglia Stylidiaceae, comprende sette specie di erbacee perenni, sei endemiche della Nuova Zelanda e una della Tasmania; sono piante alpine o subalpine che crescono in terreni sciolti ma con umidità costante. Le specie della Nuova Zelanda hanno portamento decombente, con steli più o meno ramificati che tendono a formare densi tappeti, strisciando a livello del terreno, con foglie rivolte verso l'alto agli apici e spesso si addensano e si sovrappongono; nelle zone esposte tuttavia gli steli sono eretti e molto più brevi, non più lunghi di 2 cm. L'unica specie tasmana, F. bellidifolia, ha invece foglie basali raccolte a rosetta e steli eretti. I fiori, generalmente solitari, talvolta in gruppi di due-tre, sono portati all'apice di lunghi e sottili scapi che emergono al di sopra del fogliame; a forma di coppa, con breve tubo e sei petali, sono per lo più bianchi, talvolta con gola rosata, rossa o arancio. Un elenco delle specie e qualche approfondimento nella scheda. Completiamo il racconto della spedizione La Pérouse seguendo la Boussole e l'Astrolabe prima nei mari della Siberia, dove il comandante fa le scoperte geografiche più importanti, compreso lo stretto che porta il suo nome, e forse si riconcilia con i "diavolacci" naturalisti. Dopo una breve sosta in Kamčatka, dove sbarca l'ultimo sopravvissuto, le accompagniamo nei sognati mari del sud, dove un gruppo di isolani mette fine al mito del buon selvaggio facendo a pezzi il secondo Fleurot de Langle e il combattivo geologo Lamanon. Con i nostri naviganti provati nel corpo e nello spirito, arriviamo a Botany Bay, dove è appena avvenuto un evento di portata storica. Poi le navi ripartono e scompaiono nel nulla, inghiottite da un mistero lungo quarant'anni. Ma di misteri ce ne sono altri, tra cui: che c'entra il sudafricano genere Galopina con il comandante La Pérouse? ![]() Idillio geografico-naturalistico: esplorando la Tartaria In questo post, avevamo lasciato la Boussoule e l'Astrolabe a Manila. Il dieci aprile 1787, con l'equipaggio al completo, gli scafi in stato perfetto e le stive cariche, salpano dirigendosi di nuovo a nord. L'obiettivo è la costa asiatica del Pacifico settentrionale: al contrario di quella americana (per non parlare del Pacifico meridionale, che Cook ha battuto isola per isola) è ancora poco nota ai navigatori europei e c'è molto da scoprire; è l'occasione tanto attesa da La Pérouse, che è un grande ammiratore di Cook ma è anche ossessionato dal suo fantasma. La navigazione procede rapida e senza scali fino al 23 giugno, quando, dopo aver risalito la Corea, le navi sostano nella baia di Ternej, in "Tartaria" (ovvero in Siberia). Da questo momento inizia l'esplorazione vera e propria, con la rilevazione accurata delle coste siberiane; sono finalmente appagati anche i naturalisti, Lamanon che scopre cristalli, quarzi e pietre curiose, i botanici affascinati dalla vegetazione che nell'arco di tre mesi nasce dal terreno gelato in profondità (è il permafrost), fiorisce e muore; a stupire tutti è anche la grande quantità e varietà di uccelli. Forse anche le tensioni di Macao sono acqua passata e i diavolacci sono meno diabolici: il comandante ribattezza due montagne Pic Lamanon e Pic La Martinière. Le due navi si addentrano nello stretto dei Tartari, che separa il continente da Sachalin; La Pérouse è stato informato dai pescatori locali che si tratta di un'isola e cerca un passaggio a nord, ma là dove il canale si restringe e i fondali si fanno sempre più bassi, desiste; la Boussole e l'Astrolabe invertono la rotta e tornano a sud, per doppiare l'isola passando attraverso lo stretto che separa Sachalin da Hokkaido; oggi, in onore del comandante, si chiama Stretto di La Pérouse: fino a quel momento, infatti, in occidente si pensava che si trattasse di un'isola unica. E' la seconda importante scoperta geografica di La Pérouse, dopo la baia di Lituya. Ormai è metà agosto, la stagione estiva sta per finire, e le navi fanno rotta direttamente per la Kamčatka, dove giungono all'inizio di settembre. Amichevolmente accolti dai russi, i francesi sostano qui un mese, prima nella baia di Avača poi a Petropavlovsk; Barthélemy de Lesseps presta i suoi servigi come interprete; quindi, terminato il suo compito, saluta gli amici e si accinge a traversare la Siberia per tornare in Francia via terra. Porta con sé lettere, disegni, raccolte e la seconda parte del diario di bordo. Sarà un viaggio epico della durata di un anno. Ma così Lesseps (a proposito, zio del più celebre Ferdinand, il promotore del canale di Suez) salva se stesso e molti materiali preziosi. E' il terzo, e ultimo, sopravvissuto della spedizione. ![]() Prima tragedia: il buon selvaggio non è così buono E' ora di andare a sud, per fissare le coordinate dei punti già cartografati e eventualmente completare l'inventario delle isole "in questa vasta parte del grande Oceano disseminato di isole che sul globo terrestre sono l'equivalente della via lattea in cielo". Insomma, quello che La Pérouse avrebbe dovuto fare due anni prima, se avesse rispettato l'itinerario ufficiale. Senza alcun scalo, alla fine di novembre le navi superano la linea dell'equatore, mentre a bordo incominciano a farsi sentire i primi effetti dello scorbuto. In cerca di acqua e viveri freschi, La Pérouse punta verso le Isole dei navigatori (ovvero le Samoa), scoperte da Bougainville poco meno di vent'anni prima. Il 7 dicembre getta l'ancora al largo di Maouna (oggi Tutuila), la maggiore delle isole e la più ricca di villaggi e risorse. Nel corso di una prima spedizione di vettovagliamento alcuni segni lo allarmano, ma si lascia convincere dal suo secondo Fleuriot de Langle ad organizzare una secondo spedizione per caricare acqua di fonte, all'epoca considerata un rimedio infallibile contro lo scorbuto. La spedizione fatale ha luogo l'11 dicembre; vi prendono parte una sessantina di uomini, imbarcati su quattro scialuppe al comando dello stesso Langle; tra loro ci sono anche il geologo Lamanon, i botanici Collignon e La Martinière, il cappellano padre Receveur. Mentre i marinai caricano l'acqua, l'atmosfera si fa sempre più tesa, con forse un migliaio di indigeni che si riversano sulla spiaggia. Langle, che si rifiuta di sparare, seguendo alla lettera gli ordini del re che raccomandano di usare "dolcezza", cerca di calmare gli animi offrendo doni, con il risultato di eccitarli ancora di più. Incominciano a volare le pietre e una lo colpisce alla testa. E' il segnale del massacro: l'ufficiale viene fatto a pezzi, e con lui undici uomini, tra cui Lamanon. La Martinière si salva a nuoto: con un braccio nuota, con l'altro regge un sacco con la raccolta di piante. Anche Collignon e Receveur sono tra gli scampati, ma il cappellano è stato ferito a un occhio. La Pérouse è sconvolto per la perdita di alcuni dei suoi migliori uomini e di colui che non era solo il suo secondo, ma anche l'amico più caro; tuttavia rifiuta di vendicarsi sugli indigeni che sono a bordo, come vorrebbero i suoi marinai, perché essi sono innocenti e non si risponde alla violenza con la violenza. Ma rimpiange che il re abbia vietato l'uso delle armi e che Langle e Lamanon siano andati incontro alla morte illusi dal mito del buon selvaggio. La colpa ce l'hanno i filosofi: "Scrivono i loro libri all'angolo del focolare, e io viaggio da trent'anni; sono testimone delle ingiustizie e delle furberie di questi popoli che ci dipingono così buoni perché sono tanto vicini alla natura; ma è impossibile [...] fare società con l'uomo della natura, perché è barbaro, malvagio e furbo". ![]() Un mistero durato quarant'anni (e oltre) Traumatizzati, comandante ed equipaggio riprendono il viaggio. Dopo le Samoa, è la volta dell'arcipelago di Tonga; qui gli abitanti sono così amichevoli da aver guadagnato a questo gruppo il soprannome di "isole degli amici". Incominciano i primi decessi di scorbuto e le condizioni di padre Receveur si aggravano. Il 13 gennaio 1788 le navi passano al largo dell'isola di Norfolk ma non possono sbarcare; non resta che fare rotta per Botany Bay, sulla costa orientale dell'Australia, che raggiungono il 26 gennaio. Sono stati preceduti di appena una settimana dalla cosiddetta First Fleet, ovvero la flotta che ha trasportato in Australia il primo convoglio di un migliaio di galeotti deportati. C'è un grande trambusto, perché il comandante, il capitano Arthur Phillip, ha ordinato di trasferire la colonia da Botany Bay a Port Jackson (oggi Sidney), dodici km più a nord. L'accoglienza dei britannici è amichevole, e offrono tutta l'assistenza possibile; non viveri, perché ne hanno meno di loro. I francesi si fermano sei settimane; all'inizio di febbraio padre Receveur muore in seguito alla ferita ricevuta a Tutuila; è il secondo europeo a morire e ad essere tumulato nell'Australia orientale (il primo è stato un marinaio di Cook) e il suo funerale è la prima cerimonia sacra ricordata negli annali australiani. La Boussole e l'Astrolabe ripartono verso metà marzo; il 10 marzo, il capitano de Clonard, che adesso comanda l'Astrolabe, si presenta a Phillip e gli affida un pacco di documenti da consegnare all'ambasciata francese a Londra: contiene dispacci, carte, relazioni, l'ultima parte del diario di bordo; nell'ultima lettera al ministro della marina, La Pérouse enuncia il suo programma; conta di completare l'esplorazione delle isole del Pacifico e di rientrare in Francia passando dalla Réunion, dove dovrebbe essere al più tardi all'inizio di dicembre. Da quel momento, le navi entrano nel mistero. A Réunion non arrivano né a dicembre né mai. Mano a mano che il tempo passa, cresce l'ansia delle famiglie, degli amici, del re, della stessa opinione pubblica che aveva seguito appassionatamente le vicende della spedizione. All'inizio del 1791, la Società di storia naturale di Parigi fa pressioni sull'assemblea legislativa perché venga organizzata una spedizione di soccorso; tra quei deputati siede anche il fratello di uno dei nostri scienziati, l'avvocato Pierre Joseph Didier de Boissieu. All'inizio di febbraio l'assemblea nazionale costituente decreta la missione di soccorso, che sarà posta sotto il comando di Antoine Bruny d'Entrecasteaux; il re promette un premio di 10.000 lire a chi porterà notizie. Come ho già raccontato in questo post, la spedizione Entrecasteux (a sua volta sventurata) non riuscirà a trovare traccia degli scomparsi. E il tempo continua a passare. Il 21 gennaio 1793 Luigi XVI sale al patibolo; sembra che ancora pochi giorni prima abbia chiesto ansioso: "Ci sono notizie di La Pérouse?" Cambiano i regimi: il terrore, il termidoro, l'impero napoleonico, la restaurazione. E arriviamo al 1826. Peter Dillon, irlandese che comanda una nave mercantile britannica, nella sua rotta verso l'India fa una deviazione per visitare alcuni amici nell'isola di Tikopia, nell'arcipelago di Santa Cruz; gli vengono mostrati un'elsa di spada e un cucchiaio d'argento con delle cifre e uno stemma, proveniente dai relitti di un naufragio avvenuto in un'altra isola, Vanikoro. Dillon, che è al corrente del premio offerto dalla monarchia francese, pensa subito alla Boussole e all'Astrolabe. Per ora non può indagare oltre, ma appena arriva a Calcutta informa il governatore della scoperta e la Compagnia delle Indie gli mette a disposizione una nave, prontamente ribattezzata The Research, per andare a cercare altre prove a Vanikoro. Qui trova altri resti, tra cui una campana di bronzo; con i suoi reperti va in Francia, li mostra a Ferdinand de Lesseps, che li riconosce senza ombra di dubbio come provenienti dalle navi scomparse. Il re di Francia (ancora per poco è Carlo X) paga sull'unghia il premio, fa Dillon cavaliere e gli concede una pensione vitalizia. Intanto, il Ministero francese della marina ha finanziato una nuova spedizione nel Pacifico, al comando del navigatore di lungo corso Jules Dumont d'Urville; tra gli obiettivi c'è anche scoprire qualcosa sul mistero delle navi perdute, tanto che la nave di d'Urville viene ribattezzata Astrolabe. Quando arriva in Nuova Zelanda, all'inizio del 1827, il francese viene a sapere delle scoperte di Dillon e si dirige immediatamente a Vanikoro, dove trova abbondanti resti del relitto di una delle due navi e ascolta le testimonianze degli indigeni sul naufragio di quasi quarant'anni prima. Buona parte del mistero è risolto, ma molti particolari rimangono oscuri: per fare totale chiarezza, bisogna aspettare il lavoro dei sommozzatori e degli archeologi, che nel 2005 permettono di trovare, sommersi in un'altro punto della barriera corallina, il relitto del secondo vascello, e di identificare con sicurezza le due navi: quella che si è schiantata sulla costa dell'isola è l'Astrolabe, quella che si è arenata più in là è la Boussole, nel cui relitto viene anche trovato un scheletro intatto. Molte ipotesi sulla sua identità; tumulato a Brest con una cerimonia solenne, è noto come lo "sconosciuto di Vanikoro", e, come il milite ignoto, è diventato un po' il simbolo dei duecento e più giovani uomini scomparsi insieme alle due navi. E finalmente anche noi siamo in grado di raccontare come andò. Forse a maggio, forse a giugno, quando la regione è battuta dalle tempeste tropicali, un violento tifone scaglia le due navi contro la barriera corallina che circonda l'isola di Vanikoro. La Boussole, che è più veloce, riesce a vedere in tempo l'ostacolo e a virare, mentre l'Astrolabe lo urta violentemente e va letteralmente in mille pezzi; probabilmente ci sono ben pochi sopravvissuti. A sua volta, la Boussole si incaglia sulle rocce coralline e incomincia ad affondare. Gran parte dell'equipaggio è risparmiato e può raggiungere l'isola. Secondo le testimonianze degli isolani, gli scampati sono un centinaio; ma non trovano un'accoglienza amichevole: gli indigeni sono convinti che siano stati loro a provocare quel terribile tifone e li accolgono come gli abitanti di Tutuila avevano accolto Lange e Lamanon. I francesi (ci piace immaginare che a guidarli ci sia La Pérouse, grande marinaio e eccellente uomo d'armi) resistono con le armi in pugno; alla strage sopravvive una quarantina di marinai che si arrocca in un fortino improvvisato e incomincia a costruire una nave di fortuna usando il fasciame dei relitti e gli alberi delle foreste dell'isola. Quando l'imbarcazione è pronta, la lanciano in mare e scompaiono per la seconda volta, questa volta definitivamente (anche sul loro viaggio non mancano indizi e congetture, ma noi la finiremo qui). Sull'isola lasciano indietro due uomini, che sarebbero vissuti molti anni. Se il 17 maggio 1793 il capitano Entrecasteaux, invece di passare al largo di Vanikoro, fosse sbarcato, li avrebbe trovati ancora vivi e avrebbe ricevuto indicazioni sulla rotta degli altri. Ma la storia, anche della marineria, non è fatta con i se. ![]() Che c'entra La Pérouse con la botanica? E Galopina con La Pérouse? Forse vi state chiedendo: che c'entra la botanica con questa storia, visto che ci siamo già congedati dai botanici della spedizione con il post precedente? Il fatto è che anche i botanici hanno voluto rendere omaggio a La Pérouse; gli sono stati dedicati vari generi, anche se le confusioni non mancano, sia per problemi ortografici, sia per la quasi omonimia con il naturalista Philippe Picot de Lapeyrouse, tanto che in alcuni casi è difficile capire chi sia il vero dedicatario. Nessuno è però oggi valido, ad eccezione del genere Galopina; la dedica si deve a Thunberg, che non spiega l'etimologia del nome, formato a partire dal cognome Galaup, trascritto a orecchio, e non a partire dal gentilizio La Pérouse. E' dunque probabile, ma non certa. Poiché risale addirittura al 1781, non ha nulla a che fare con la tragica spedizione nel Pacifico, ma si riferisce o alla lunga spedizione nei mari dell'India intrapresa da La Pérouse nel 1773 o più in generale ai suoi viaggi nell'Oceano Indiano; infatti, Thunberg inserisce questo genere in mezzo ad altri dedicati a personaggi connessi con l'esplorazione dell'India. Prima di partire per la sua ultima avventura, il navigatore francese aveva già alle spalle una lunga carriera di marinaio e soldato, che è sintetizzata nella biografia. Galopina Thun. è un piccolo genere della famiglia Rubiaceae, con quattro specie diffuse in Sud Africa e nell'Africa tropicale sud-orientale. Sono erbacee con fusti esili, foglie lanceolate e aeree infiorescenze di fiori minuscoli bianco-verdastri; assomigliano molto al loro parente europeo Galium. Ad eccezione di una specie, vivono nel sottobosco delle foreste d'altura. Sono piccole piante che non hanno nulla di eroico, tranne vivere in diverse condizioni anche sulle rocce. Qualche approfondimento nella scheda. La spedizione La Pérouse è una delle più celebri della storia della marina: non per i risultati scientifici, che pure furono importanti, ma per il mistero che ha a lungo avvolto la sua fine. In questo primo post, seguiremo le vicende della prima parte della spedizione e faremo conoscenza con i numerosi membri della variegata squadra di scienziati che avevano aderito con entusiasmo a un'impresa da cui si aspettavano grandiosi risultati e una larga fama. Le loro aspettative si scontrarono con le scelte del comandante, che considerava prioritaria la sua missione oceanografica e mal sopportava le pretese di quegli spocchiosi studiosi terricoli (in tre anni di navigazione, i periodi passati a terra furono ridotti agli scali indispensabili per i rifornimenti e il raddobbo). Con due eccezioni, anch'essi condivisero la sorte tragica e oscura dei loro compagni. A tre di loro sono dedicati altrettanto generi botanici: i sudamericani Lamanionia e Colignonia, e l'australiano Bossiaea. ![]() La partenza: dramatis personae All'alba del primo agosto 1785, al comando di Jean-François de Galaup, conte di La Pérouse, salpano dal porto di Brest le fregate La Boussole e L'Astrolabe. A bordo circa duecentoventi uomini, tra ufficiali, marinai, scienziati. Solo tre di loro torneranno a casa. La spedizione che avrebbe dovuto essere la risposta francese alle imprese del capitano Cook si risolverà infatti nel più celebre disastro della storia della marina d'oltralpe. Eppure è stata preparata con estrema cura e nulla, apparentemente, è stato lasciato al caso; le navi sono state raddobbate per affrontare un viaggio della durata prevista di tre anni, attraverso tre oceani, mari tropicali e mari artici; la strumentazione di bordo è all'avanguardia (l'ingegnere capo è andato personalmente a Londra a procurarsi persino alcuni degli strumenti utilizzati da Cook); gli uomini sono stati scelti con cura, tra fin troppi candidati: molti avrebbero voluto partecipare a un'impresa tanto gloriosa. Tra quelli che sono stati scartati pare ci sia anche un ambizioso allievo ufficiale sedicenne, un genio in matematica, ma davvero troppo giovane: un certo Napoleone Bonaparte. La missione è stata concepita inizialmente dal ministro della marina de Castries come esclusivamente diplomatico-economica, con lo scopo principale di inserire la Francia nei traffici dell'Oceano Pacifico, soprattutto nel promettente commercio delle pellicce . Tuttavia, con il coinvolgimento di istituzioni come l'Accademia delle scienze e il Jardin des Plantes, si è allargata fino ad divenire la più ambiziosa della sua epoca, con l'obiettivo che è insieme scientifico e politico di completare l'esplorazione del Pacifico, delle sue terre, delle sue popolazioni e delle sue rotte per "costituire un catalogo ragionato delle conoscenze in tutti i campi del sapere". Ecco perché a bordo c'è un nutrito drappello di studiosi, specialisti in tutti i campi delle scienze naturali e esponenti delle più prestigiose istituzioni scientifiche del regno. Gli ufficiali, a cominciare dal comandante La Pérouse, sulla Boussole, e dal suo secondo Paul Fleuriot de Langle, sulla Astrolabe, hanno una lunga esperienza di navigazione oceanica; molti sono stati scelti personalmente da La Pérouse tra gli uomini che hanno combattuto al suo fianco nella guerra d'indipendenza americana. I marinai sono in buona parte sperimentati bretoni dal piede marino. Quanto agli scienziati, che si sono imbarcati con una interminabile lista di compiti scientifici e un voluminoso bagaglio di strumenti all'avanguardia (c'è persino una mongolfiera), hanno un'età media di trent'anni e sono membri già affermati delle più prestigiose istituzioni scientifiche del paese; hanno grandi aspettative sui loro compiti, e un'altrettanto grande considerazione di sé. I rilievi cartografici sono ovviamente affidati a ufficiali della marina, a cominciare dall'ingegnere capo Paul Monneron, coadiuvato da Sébastien Bernizet. Gli astronomi sono Joseph Lepaute Dagelet, che ha già partecipato alla spedizione nelle "terre australi" di Kerguelen, e Louis Monge (fratello del più celebre matematico Gaspard). Lo scienziato più prestigioso (e più spocchioso, a detta del comandante) è Jean Honoré Robert de Paul de Lamanon, fisico, geologo, mineralogista, paleontologo, membro dell'Accademia delle scienze di Torino e di Parigi. Il botanico ufficiale è Joseph Hugues Boissieu La Martinière del Jardin des Plantes. Anche i due elemosinieri hanno una formazione scientifica: Jean-André Mongez è un mineralogista rinomato, ma è anche ornitologo, entomologo e chimico, "uomo curioso di tutte le cose"; Louis Receveur è botanico, geologo, chimico, astronomo. Una mano la danno anche i medici di bordo Claude Rollin, Jacques Joseph Le Cor, Simon Lavaux e Jean Guillou. Con un ruolo incerto c'è il naturalista Jean-Nicolas Dufresne, che si è aggiunto come soprannumerario e, al contrario degli altri scienziati, non divide i pasti con gli ufficiali ma con i marinai. Ci sono tre pittori: il paesaggista e ritrattista Gaspard Duché de Vancy, raccomandato personalmente dalla regina; e due illustratori naturalisti, zio e nipote: Guillaume e Jean-Louis Prévost. C'è un interprete, il diciannovenne Bathélemy de Lesseps, figlio del console a San Pietroburgo. Ho volutamente lasciato per ultimo il secondo botanico, o meglio il giardiniere Jean-Nicolas Collignon; ventitrenne, è uno degli assistenti André Thouin al Jardin des Plantes. Parte con un sacco di sementi e pianticelle di alberi da frutto ben protette in speciali serre portatili in legno e vetro, da seminare e trapiantare a beneficio degli indigeni nel corso del viaggio; è il suo compito principale, ma anche lui parteciperà alla raccolta di semi, esemplari vivi o essiccati. Tuttavia Thouin raccomanda che sia indipendente e non subordinato a La Martinière. E infatti La Pérouse lo farà imbarcare sulla nave ammiraglia, mentre l'altro botanico viaggia sull'Astrolabe. ![]() La spedizione: prima parte, da Brest a Manila (1735-1737) Seguendo la rotta puntigliosamente tracciata dall'ammiragliato (e rivista di personalmente dal re), le navi puntano direttamente sull'America meridionale, con solo due brevi scali a Madera e a Tenerife (29 agosto), dove c'è la prima defezione: l'astronomo Monge ha sofferto talmente il mal di mare che chiede di essere lasciato a terra. Sarà così il primo sopravvissuto. Si registra anche la prima frizione tra il comandante e gli scienziati. Lamanon e i suoi compagni decidono di scalare il Pico de Teide, per misurarne esattamente l'altezza. Sono convinti che rientri pienamente nei loro compiti scientifici e che il costo delle mule e delle guide sarà coperto dai fondi della spedizione; non così la pensa La Pérouse che informa il geologo che la notevole spesa dovrà pagarla lui. Alla gita partecipa anche Collignon, che in una lettera a Thouin racconta di un piccolo incidente: mentre scendeva dalla montagna, il suo mulo si è spaventato e si è messo a correre, di conseguenza il suo vacuolo si è aperto e tutte le piante che aveva raccolto sono andate perdute. Ripartite da Tenerife già il giorno dopo, il 9 novembre le navi gettano l'ancora nell'isola di Santa Catarina, di fronte alle coste brasiliane. Dopo i rifornimenti (gli astronomi approfittano della sosta per montare un telescopio e provare la precisione degli orologi, indispensabili per determinare la longitudine), si riparte per doppiare Capo Horn, con una navigazione insolitamente tranquilla. Il 24 febbraio 1786 la spedizione attracca al porto di cileno di Concepcion; è una vera città, sede del governatore e del vescovo. L'accoglienza è molto cortese e i francesi ricambiano offrendo un ricevimento in una tenda appositamente eretta sulla spiaggia, seguito da un ballo, da fuochi artificiali e dal lancio di una mongolfiera; La Pérouse è euforico e paga da bere a tutti i suoi uomini. Sicuramente i naturalisti avranno approfittato della sosta per le loro raccolte, ma, al contrario del diario di bordo del capitalo, i loro diari di campo sono andati perduti. Terminati i rifornimenti, a metà aprile, si riparte. L'itinerario stabilito dall'ammiragliato prevede che si dirigano a sud, per esplorare le isole del Pacifico meridionale non toccate da Cook. La Pérouse decide di invertire la rotta e di puntare direttamente verso l'America settentrionale, con due sole tappe intermedie: l'isola di Pasqua e le Hawaii. Nella prima si fermano solo un giorno e Collignon, accompagnato da Lange, ne approfitta per seminare verdure e alberi da frutto; gli indigeni vivono in condizioni miserevoli, e rubano tutto quello che possono, specialmente i cappelli e i fazzoletti dei marinai. Anche la sosta alle Hawaii è brevissima; il comandante evita l'isola di Hawaii, tristemente legata alla morte di Cook, e va a fare rifornimento a Maui, dove arriva il 18 maggio; rinnovate le scorte di acqua, maiali, banane, taro, il 1 giugno si riparte in direzione nord. Dopo tre settimane di navigazione sotto costa, spesso resa difficile dalle nebbie, si vede emergere dalle nubi la cima del Monte Sant'Elia. E' ancora estate, e, secondo gli ordini del re, devono esplorare con la massima accuratezza quest'area dove secondo i racconti dei marinai spagnoli potrebbe trovarsi l'imbocco del mitico passaggio a Nord-ovest. La Pérouse è scettico e scrive nel diario di bordo: "Bisogna ammettere una volta per tutte che si tratta di favole geografiche che sono state accettate troppo facilmente dai moderni geografi". Tuttavia, non si sottrae al compito. Il 2 luglio a 58° 52' nord scopre un'insenatura non indicata sulle carte che battezza Porto dei francesi (oggi si chiama Lituya Bay). Gli indigeni li accolgono amichevolmente e, in cambio di oggetti di ferro, offrono salmoni e pelli di lontre di mare. I francesi si fermano qui per un mese e i naturalisti sono finalmente felici di esplorare una natura che, tuttavia, li delude un po' perché fin troppo familiare. La Martinière lamenta di aver trovato al massimo tre specie sconosciute; tutte le altre avrebbe potuto raccoglierle agevolmente nei dintorni di Parigi. Il più contento è Lamanon, che si arrampica sulle scogliere e trova conchiglie a 400 metri dal livello del mare; insieme a Mongez, Receveur e Collignon va anche in cerca di minerali. Questa baia ben riparata, ricca di cacciagione e abitata da indigeni accoglienti, sembra la sede ideale di una futura base commerciale, ma il soggiorno dei francesi è funestato da una prima tragedia. L'imboccatura della baia, molto stretta, è percorsa da correnti pericolose, che inghiottono due lance e le vite di 21 uomini. E' dunque con l'animo gravato dal dolore per i compagni morti che La Pérouse decide di ripartire verso sud: il passaggio a nord-ovest, decisamente, è una "pia frottola" di epoche più credulone, e ci vorrebbero anni per esplorare a dovere quelle coste intricate, immerse nelle nebbie e rese pericolose da correnti imprevedibili e dal gioco delle maree. Partite dall'Alaska il 30 luglio, la Boussole e l'Astrolabe a metà settembre attraccano a Monterey, in California, che è stato fondata appena quindici anni prima. Si fermano dieci giorni, visitano la missione francescana (non senza criticare, da veri uomini dei lumi, lo sfruttamento degli indigeni da parte dei frati). E' un'area incredibilmente fertile, e i botanici si danno da fare, anche se la stagione è poco favorevole, con le piante inaridite dalla calura estiva e i semi già caduti. Ammirano invece la ricchezza di fauna, comprese le balene che riempiono letteralmente la baia. E' ora di ripartire alla volta della Cina. Fallito il tentativo di attraccare alle Marianne, occorreranno tre mesi senza neppure uno scalo per raggiungere Macao (3 gennaio 1787). Una lunga traversata che finisce di esasperare i naturalisti, già irritati dal cambio di itinerario e dalla brevità degli scali; senza informare il capitano, guidati da Lamanon, decidono di lasciare la nave e di acquartierarsi a terra. La Pérouse risponde escludendoli dai ricevimenti offerti dai portoghesi e, alle loro proteste, li mette agli arresti per ventiquattro ore. Entrambe le parti inviano lettere di fuoco in Francia; in un dispaccio il comandante si lamenta di quei "diavolacci che mettono alla prova la mia pazienza oltre ogni limite". Ad averne abbastanza è anche Dufresne, che probabilmente non è mai riuscito ad integrarsi con gli altri scienziati più titolati. Chiede il permesso di lasciare la spedizione e di tornare in Francia, imbarcandosi su una delle tante navi che fanno la spola con l'Europa; porterà con sé la corrispondenza e il giornale di bordo della prima parte della spedizione. Prima però si incarica di vendere, con grande profitto, le pellicce acquistate in Alaska. Sarà così il secondo sopravvissuto, e uno dei cronisti della spedizione. Per uno che parte, altri che arrivano. A sostituire uno degli ufficiali morti in Alaska si imbarca sull'Astrolabe un ragazzo di appena vent'anni, Gabriel Jean du Pac de Bellegarde, che scrive a Parigi per sollecitare il suo brevetto d'ufficiale. Altri ufficiali e altri marinai si imbarcheranno a Manila, dove la Boussole e l'Astrolabe arrivano alla fine di febbraio e sostano fino a metà aprile per riparare le vele, calafatare gli scafi, completare le provviste. Quindi ripartono verso nord, per completare l'esplorazione del Pacifico settentrionale con la costa occidentale. Per ora non li seguiremo, rimandando il racconto della seconda parte dell'avventura a un altro post. ![]() Tre generi per tre scienziati: l'energico Lamanon e Lamanonia Dobbiamo infatti occuparci di piante, ovvero dei numerosi generi che sono stati dedicati agli scienziati che hanno preso parte alla spedizione. Cominciamo dagli ottimi abati Receveur e Mongez, entrambi dedicatari di generi botanici non più accettati. A ricordarsi dei due "colleghi", morti al servizio della scienza, fu un altro sacerdote naturalista, il brasiliano José Mariano Vellozo che in Flora flumienensis dedicò loro Receveura e Mongezia, oggi rispettivamente sinonimi di Hypericum e Symplocos. Sempre a Vellozo si deve anche la dedica di Lamanonia al combattivo Robert de Lamanon, il più prestigioso scienziato della spedizione. Geologo e paleontologo in anticipo sulla sua epoca, era così appassionato delle sue ricerche da apparire "folle" a chi lo conosceva poco e mancava di diplomazia, tanto che osò polemizzare con il potentissimo Buffon; amava lo studio sul campo (aveva percorso a piedi molti paesi europei ed era un appassionato alpinista, che forse scalò il Monte Bianco qualche anno prima di Saussure) e sicuramente avrà sofferto più di ogni altro la reclusione per mesi e mesi nell'angusto spazio di una nave. Era sicuramente lui il "diavolaccio" che più faceva uscire dai gangheri La Pérouse. Ma seppe mettere a frutto il suo tempo, anticipando due importanti scoperte: la marea barometrica all'equatore e la variazione dell'intensità magnetica con la latitudine. Purtroppo, anche se riuscì a inviarle a Parigi, le sue comunicazioni all'Accademia delle scienze rimasero inedite e le sue scoperte passarono quasi inosservate, non fosse per l'apprezzamento di Humboldt. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Lamanonia è un piccolo genere della famiglia Cunoniaceae che comprende sei specie di piccoli alberi o occasionalmente arbusti diffusi in Argentina settentrionale, Paraguay e Brasile, in ambienti diversi, dalla formazione vegetale del cerrado, alle foreste di araucaria e alle foreste nebulose. Hanno foglie composte palmate con margini dentati e infiorescenze a spiga di fiori privi di petali con calice a stella e numerosissimi stami, da bianco a crema. La specie più notevole è L. ternata, un albero che può superare i venti metri, con chioma arrotondata, di notevole impatto estetico soprattutto al momento della fioritura, tanto che in Brasile viene anche utilizzato nell'arredo urbano. Qualche notizia in più nella scheda. ![]() Dalle sabbie della California alle foreste andine: Collignon e Colignonia Tutt'altra personalità deve essere stata quella di Jean-Nicolas Collignon, sempre attivo e pronto a eseguire modestamente i suoi compiti di botanico-giardiniere. Era anche uno dei più giovani della spedizione (al momento della scomparsa, aveva solo ventisei anni). Una sintesi della sua breve vita nelle biografie. Di lui ci rimangono poche lettere al suo mentore Thouin e l'onore di aver inviato in Francia la prima pianta californiana ad essere descritta dalla scienza. Nei pressi di Monterey raccolse infatti diversi semi che poi spedì a Parigi da Macao; al Jardin des Plantes tra gli altri germinarono quelli di Abronia umbellata, una piccola annuale tappezzante che si accontenta delle zone più aride e sabbiose. I discendenti di quei semi furono studiati da Lamarck che li descrisse nel 1791 (la pubblicazione però è del 1793). Ricordandosi di questo merito piccolo ma significativo, il tedesco Endlicher nel 1837 volle rendere omaggio al nostro solerte giardiniere rinominando Colignonia una specie precedentemente assegnata proprio al genere Abronia. Anche questo genere, appartenente come Abronia alla famiglia Nyctaginaceae, è sudamericano, ma è esclusivamente andino. Le sue sei specie sono erbacee perenni, suffrutici e liane, originarie delle foreste pluviali d'altura e delle foreste nebulose, talvolta anche in aree disturbate. Hanno foglie intere, opposte o verticillate, con lunghi piccioli e fiori raccolti in cime a ombrella; presentano due tipologie di fiori, con perianzio campanulato o a imbuto con tre o cinque lobi. Più che per i fiori, si fanno notare per le grandi brattee bianche. Un profilo di questo genere non molto noto nella scheda. ![]() Una puntata in Australia: Boisseu de La Martinière e Bossiaea Veniamo infine al botanico ufficiale della spedizione, ovvero Boisseau La Martinière. Anche lui era un protetto di André Thouin e abbastanza competente da essere nominato botanico del re a poco più di vent'anni; inoltre era un medico laureato a Montpellier. Apparteneva a una famiglia abbastanza influente e uno dei suoi fratelli fu deputato all'assemblea legislativa e alla convenzione (cosa che avrà qualche importanza per il seguito della nostra storia). La partecipazione di La Martinière alla spedizione fu in un certo senso una seconda scelta; il Jardin des Plantes aveva infatti indicato Louis-Augustin Bosc d'Antiq che tuttavia (per sua fortuna) rifiutò. Abbiamo anche l'impressione che Thouin nutrisse qualche riserva nei suoi confronti, visto che raccomandò che Collignon non gli fosse subordinato. Perdute le sue raccolte botaniche, il suo contributo più importante è affidato ad alcune memorie sulla biologia marina. Anche sulla sua vita una sintesi nella sezione biografie. Diversi botanici hanno voluto ricordarlo, facendo anche un po' di confusione con i suoi due nomi, scritti in vari modi. Ancora a Vellozo si deve Martinieria, oggi sinonimo di Kielmeyera; si deve invece a Guillemin Martiniera, sinonimo di Balbisia. Grazie a Ventenat, lo sfortunato botanico si è comunque aggiudicato il notevole genere australiano Bossiaea, con la seguente motivazione: "Genere consacrato alla memoria di Boisseu-Lamartinière, che accompagnò La Pérouse nel suo viaggio intorno al mondo. La relazione di questo viaggio, pubblicato l'anno V della Repubblica francese, contiene un gran numero di scoperte che testimoniano lo zelo e le conoscenze di questo sapiente naturalista". Bossiaea della famiglia Fabaceae comprende oltre settanta specie, distribuite un po' ovunque in Australia, tranne nelle zone centrali. E' un genere molto variabile, e altrettanto variabili sono anche le singole specie, in base all'habitat e soprattutto al regime delle piogge. Alcune specie hanno un areale ampie, ma molte sono endemiche di aree limitate e si distinguono tra loro soprattutto per le dimensioni, il portamento e le foglie, mentre i fiori sono relativamente omogenei. Dal punto di vista ecologico, sono l'equivalente australiano delle nostre ginestre. Sono arbusti da piccoli a medi, alcuni dei quali per adattarsi al clima arido hanno fusti e rami modificati in cladodi cilindrici o appiattiti; le foglie sono alternate od opposte, in genere piuttosto piccole, talvolta ridotte a scaglia oppure assenti; i fiori solitari o raccolti in infiorescenze poco numerose hanno corolla papilionacea gialla, aranciata o bicolore e sono sottesi da una serie brattee e da una coppia di bratteole. Il frutto è un baccello più o meno compresso. In alcune specie si aprono in modo esplosivo, disperdendo i semi lontani dalla pianta madre. Nonostante la loro bellezza, sono raramente coltivate; tra tante specie, tutte interessanti, è difficile scegliere quali citare. Per esemplificare la variabilità del genere, la mia scelta è caduta su B. aquifolium, un grande arbusto o addirittura un alberllo con foglie con nove o più punte che ricordano quelle dell'agrifoglio e piccoli fiori che fioriscono in massa, da arancio a giallo e da rosso a bruno; B. procumbens, di portamento prostrato e tappezzante, con minuscole foglie da ellittiche a ovate e fiori giallo oro con una macchia rossa alla gola; B. rhombifolia, un arbusto alto anche due metri, con foglie romboidali glauche e fiori bicolori gialli e aranciati; la sorprendente B. walkeri, priva di foglie e con fusti modificati in cladodi, con fiori rosso vivo. Qualche approfondimento su queste e altre specie nella scheda. Sarà perché iniziano a fiorire già in inverno, sarà perché crescono in fretta e si arrampicano dappertutto, sarà per l'allegria dei loro grappoli viola: fatto sta che nel mondo anglosassone i rampicanti del genere Hardenbergia sono noti con il nome comune happy wanderer, "vagabondo felice". Anche l'uomo che suggerì il nome botanico, il barone Hügel, era un vagabondo, o almeno un viaggiatore, ma tutt'altro che felice; si era messo in viaggio per guarire dal mal d'amore. Per sua volontà, l'allegra vagabonda è stata dedicata a sua sorella, la contessa von Hardenberg, sulla quale - come capita troppo spesso alle donne - sappiamo davvero troppo poco. ![]() Un cuore infranto e un viaggio intorno al mondo Nel bel mondo della Vienna effervescente degli anni venti dell'Ottocento, che il congresso omonimo aveva trasformato nella capitale europea della diplomazia e del walzer, il barone Carl von Hügel era una figura molto nota. Come il fratello maggiore, direttore dell'Archivio di Stato, apparteneva al circolo del cancelliere Metternich. In gioventù, oltre a combattere con onore nelle campagne contro Napoleone, aveva molto viaggiato in Europa, sviluppando un raffinato gusto di collezionista e una grande passione per le piante. Dopo la morte del padre, nel 1826, venuto in possesso di un cospicuo patrimonio, acquistò una vasta proprietà nel sobborgo viennese di Hietzing; vi fece costruire una splendida villa e creò un giardino botanico privato, dove sperimentava la coltivazione di piante esotiche. Intorno al 1830, si fidanzò con una bella e volitiva contessa ungherese, Melanie Zichy-Ferraris. Ma la madre di lei mise gli occhi su un partito molto più promettente: niente meno che il principe Metternich, da poco rimasto vedovo per la seconda volta. Melanie riuscì a fare breccia nel suo cuore e ruppe il fidanzamento con Hügel per sposarsi con il cancelliere (che aveva trentadue anni più di lei). Tradito dalla donna amata e da un uomo che ammirava e considerava un amico, a Hügel non restava che partire. Non per l'Europa, che del resto conosceva già bene, ma per il Levante e oltre. Per prepararsi al viaggio, visitò brevemente l'Inghilterra e la Francia, e nel maggio 1831 si imbarcò a Tolone alla volta delle Grecia. Visitò poi Creta, Cipro, la valle del Nilo, la Palestina e la Siria. Nella primavera del 1832 era in India. Visitò Decca, Goa, Mysore, scalò le Blue Mountains, e percorse la costa del Malabar da Travancore a Capo Camorin. Passò poi a Ceylon, dove si trattenne quattro mesi. Seguendo la costa del Coromandel raggiunse Pondicherry e Madras, da dove si imbarcò per l'Indonesia e l'Australia. Nell'Australia occidentale Hügel intendeva raccogliere semi e piante per il suo giardino. Il primo impatto con il paesaggio australiano, allo sbarco nel porto di Fremantle nel novembre 1833, fu una cocente delusione: "Mi aspettavo fiduciosamente praterie verdi immacolate, alberi e arbusti coperti di fiori e frutti all'inizio dell'estate australe, tutto il paese un quadro della Natura non toccato dall'uomo". Invece ciò che vide era una terra "totalmente priva di vita", grigia, dove "tutto era immobile escluso il mare ribollente e minaccioso". Ma tutto cambiò quando si inoltrò nel bush: "A poche centinaia di passi dalla città inizia la vegetazione. La particolarità delle piante della Nuova Olanda è che la bellezza delle forme e i colori dei fiori si rivelano solo quando li si osserva attentamente a breve distanza. Dunque, la ricchezza e la varietà della flora in tutto il suo splendore colpisce l'occhio solo a uno sguardo ravvicinato. Il triste grigio-verde si trasforma nelle più varie sfumature di verde, dal più chiaro e luminoso al più scuro e lussureggiante, mescolati a fiori brillanti di ogni tipo, in numero indicibile. Mi aggiravo in quel mondo di colori come intossicato". Stranamente, è un mondo allo stesso tempo estraneo e familiare: estraneo per la sua inattesa varietà e bellezza, familiare perché il barone incontra ad ogni passo piante che già conosce, per averle coltivate nel suo giardino. Infatti, la bellezza delle flora dell'Australia occidentale non era sfuggita ai primi coloni, e diverse specie avevano incominciato a fare la loro comparsa nelle serre europee fin dalla fine del Settecento. Immerso in quella flora di sogno, il nostro viaggiatore infelice ritrova la felicità: "Per la prima volta dopo anni - lunghi anni penosi - vissi per un'ora nella piena delizia del momento. La mano sinistra stringeva un enorme mazzo di splendidi fiori, mentre la destra ancora si protendeva a raccogliere varietà sempre nuove". Il barone si trattenne circa un mese nell'area dello Swan River, esplorandone la foce, le isole all'imboccatura, i dintorni di Perth e spingendosi all'interno fino a Darlington e alle colline della Darling Scarp. Continuò poi per mare lungo il King George Sound, visitando l'area di Albany, incluse le valli inferiori del King River e del Kalgan River. Raccolse centinaia di specie, ma a colpire il suo cuore più di ogni cosa furono i grappoli rossi e viola di alcune leguminose rampicanti, su cui torneremo. Il suo viaggio australiano proseguì fino all'ottobre 1834, toccando la Terra di Van Demen (ovvero la Tasmania), l'Isola Norfolk e il Nuovo Galles del Sud. Seguirono la Nuova Zelanda, Manila e nuovamente l'India. Lo attendeva la parte più importante della spedizione: il lungo viaggio che da Calcutta lo portò ad attraversare l'India settentrionale, fino al Punjab, con un'ampia deviazione fino alle alte terre himalayane al confine tra Tibet e Kashmir. Sempre accumulando ricche collezioni di materiali di ogni genere, osservando usi e costumi, visitando personalità incluso il Maharaja Ranjit Singh, acquisì una profonda conoscenza, per molti aspetti inedita, della storia, della geografia fisica e umana, della natura, delle risorse economiche del Kasmir. Dalla terra dei Sikh, scese a Delhi, quindi a Bombay, dove nel 1836 iniziò il viaggio di ritorno. Attraverso il Capo di Buona Speranza e l'isola di Sant'Elena, nel 1837, dopo sei anni di assenza, era di nuovo a casa, dove poté riabbracciare la madre. ![]() Piante australiane ed altre avventure Dopo il viaggio, giungeva il tempo dello studio e del riordino della collezioni. Insieme a lui, a Vienna erano arrivate centinaia e centinaia di casse di opere d'arte, oggetti etnologici, animali impagliati, esemplari d'erbario. E finalmente entra in scena la dedicataria della nostra pianta. Per riordinare le collezioni botaniche, il barone si affidò alla sorella minore, Franziska detta Fanny, che durante la sua assenza si era sposata con il conte Anton August von Hardenberg, ed era ora la contessa von Hardenberg. Poco sappiamo di lei, tranne che assolse il compito con zelo e che dovette avere qualche conoscenza di botanica se Bentham (cui, come vedremo, si deve la dedica) dice di lei "con il suo ingegno orna la nostra scienza". Il barone divideva il suo tempo tra la stesura del suo capolavoro, Kaschmir und das Reich der Siek ("Il Kasmir e il regno dei Sikh"), in quattro volumi (1840-48), grazie al quale nel 1849 fu premiato dalla Royal Geographical Society come "intraprendente esploratore del Kashmir", gli impegni mondani, la cura del giardino e la promozione dell'orticultura austriaca. Ad occuparsi di pubblicare la sua collezione di piante australiane, riordinata con tanta cura da Fanny, fu un gruppo di botanici capeggiato da Stephan Endlicher: oltre allo stesso Enclicher, ne facevano parte l'inglese George Bentham e gli austriaci Eduard Fenzl e Heinrich Schott. Il risultato fu Enumeratio plantarum quas in Novae Hollandiæ ora austro-occidentali ad fluvium Cygnorum et in sinu Regis Georgii collegit Carolus Liber Baro de Hügel (1837), in cui vennero pubblicate quasi trecento specie raccolte dal Barone tra lo Swan River e il King George Sound. Tra di esse, le amate leguminose del Fiume dei Cigni. In realtà, non erano una novità assoluta in Europa, perché già da qualche anno alcune specie erano arrivate nelle serre europee, classificate come Glycine poi come Kennedia. Sulla base delle sue raccolte in Australia, Hügel suggerì a Bentham (che si occupò della pubblicazione delle Leguminose) di dividerle in quattro generi: oltre a Kennedia, Physolobium, Zichya e Hardenbergia. Due di questi nuovi generi dovevano ricordare le due donne più importanti della sua vita: la mai dimenticata ex fidanzata Melanie Zichy-Ferraris e la sorella Fanny, ora contessa Hardenberg. Provvide egli stesso a creare il genere Zichya sulla rivista della società botanica austriaca, mentre Hardenbergia venne pubblicata da Bentham appunto in Enumeratio plantarum. Per inciso, oggi sia Physolobium sia Zichya sono stati riassorbiti da Kennedia, mentre Hardenbergia continua da essere riconosciuto come un genere indipendente, come vedremo meglio tra poco. Ma prima di concludere, ancora due parole sul barone e sua sorella Fanny. Le cronache del tempo descrivono il giardino di Hietzing come uno dei più belli d'Europa, ricco di piante esotiche riportate dal viaggio intorno al mondo. All'ingresso, di fronte al soggiorno, circondata da pilastri con piante rampicanti, c'era una terrazza pavimentata, con una grande varietà di piante coltivate tra le lastre, e aiuole con bulbi, erbacee ed arbusti scelti con grande cura perché fiorissero quasi tutto l'anno, tra cui una notevole collezione di camelie; un prato con molti alberi e arbusti esotici; serre fredde e riscaldate con la collezione di piante australiane. Non mancava un orchidarium, che nel 1842 contava 83 generi e quasi 200 specie. Molto ammirato era il cosiddetto Giardino rococò, con aiuole formali bordate di tufo, parterre, fontane e statue. Il barone si dava da fare per diffondere il gusto per il giardinaggio e le piante esotiche non solo con l'esempio; riprendendo un progetto che già accarezzava prima di partire, nel 1837 fondò la Österreichische Gartenbau-Gesellschaft, la società di giardinaggio austriaca, di cui dettò lo statuto e fu il primo presidente. Le prime mostre organizzate dalla società si tennero proprio nel parco di Hietzing. Gli eventi del 1848 misero fine a un tranquillo decennio di studio e giardinaggio; Hügel riprese servizio nell'esercito e partecipò alla guerra in Italia (dal nostro punto di vista, la prima guerra d'Indipendenza); era però a Vienna nei giorni tumultuosi in cui Metternich rischiò di essere linciato dalla folla e, insieme all'amata Melanie, lo portò in salvo nascondendolo nella sua carrozza. Forse disgustato da questi eventi, abbracciò la carriera diplomatica, servendo per molti anni prima a Firenze, poi a Bruxelles. Quando si ritirò, preferì trasferirsi in Inghilterra insieme alla moglie, un'irlandese molto più giovane di lui che aveva conosciuto in India e sposato a Firenze, e ai figli. Il giardino e la villa, passati di mano in mano, fatalmente andarono in rovina e vennero dispersi dalla lottizzazione. Quanto a Fanny, la sua vita ha lasciato ben poche tracce nelle cronache del tempo. Sappiamo che, dopo il matrimonio con il conte von Hardenberg, un gentiluomo della corte di Hannover, lo accompagnò nelle varie sedi cui fu assegnato (le fonti dell'epoca citano Berlino e Dresda) e soggiornò spesso nella tenuta di campagna di Rettkau, in Slesia. Proprio qui si rifugiò e morì il fratello maggiore, Clemens Wenzel, collaboratore di Metternich, travolto dalla disgrazia del cancelliere. Nel 1849 Franziska rimase vedova e, presumibilmente senza figli, decise di raggiungere Carl, vivendo per qualche tempo nella sua casa di Vienna, per poi trasferirsi insieme a lui a Firenze. Qui morì nel 1852. Una sintesi di queste poche notizie nella sezione biografie. ![]() Finalmente, Hardenbergia Ovviamente, anche il barone Hügel, come raccoglitore e collezionista, nonché promotore dell'orticoltura, ha avuto la sua parte nella nomenclatura botanica. Un genere Huegelia gli fu dedicato sia da Robert Brown, sia da Reichenbach, sia da Bentham; nessuno dei tre è oggi accettato. A resistere più a lungo è stato forse Huegelia Rchb., oggi confluito in Trachymene Rudge. La specie più nota è probabilmente Trachymene coerulea, spesso ancora indicata con il sinonimo Huegelia coerulea. Un manipoli di piante neppure troppo esiguo ricorda invece il barone nel nome specifico: sono per lo più australiane, come Alyogyne huegelii, il cosiddetto ibisco blu, oppure Melaleuca huegelii. Ed eccoci infine arrivati alla nostra protagonista verde, la felice vagabonda Hardenbergia. Appartenente alla sottotribù Kennediinae della famiglia Fabaceae, è in effetti molto affine a Kennedia; le piante di entrambi i generi sono liane originarie dell'Australia. Ad Hardenbergia sono assegnate tre specie: H. comptoniana, nativa dell'Australia sudoccidentale (che è la specie raccolta da Hügel lungo lo Swan River); H. perbrevidens, endemica del Queensland; H. violacea, nativa dell'Australia meridionale e orientale. Rampicanti, volubili o ricadenti, sono sempreverdi con foglie alterne, ovate ma anche palmate, piuttosto coriacee; a fine inverno e all'inizio della primavera producono copiose pannocchie di fiori papilionacei dai colori sgargianti: da malva a porpora con marcature bianche H. comptoniana; da malva a viola scuro con marcature gialle al centro la rara H. perbrevidens; da viola a porpora, ma anche rosa e bianchi H. violacea. Questa è la specie più coltivata e ne sono state selezionate molte cultivar, compresa una bicolore. Viene coltivata all'aperto dove non gela, come nella nostra riviera, altrove in serra temperata o in posizione protetta contro un muro. Qualche informazione in più nella scheda. Benché abbia vissuto buona parte della sua vita adulta nella "piatta" Livonia, Friedrich Parrot amava sopra ogni cosa le montagne: le misurava, ne disegnava le carte, le studiava come fisico e geologo, ma soprattutto le scalava. Le aveva scoperte giovanissimo durante una spedizione in Crimea e nel Caucaso; più tardi lo troviamo sulle Alpi, a tentare la scalata del Monte Rosa, e sui Pirenei. Ma il suo nome è soprattutto legato all'Ararat, la sacra montagna di Noè, che riuscì a conquistare nel 1829 al terzo tentativo. Ad accompagnarlo, l'armeno Khachatur Abovian, futuro padre della letteratura armena moderna. A ricordarlo due piccoli generi di piante, ovviamente montane: Parrotia e Parrotiopsis. ![]() Uno scienziato innamorato delle montagne Il monte Ararat, nell'Armenia storica (oggi, dopo tanti passaggi di mano, è in territorio turco), non è una montagna come le altre; sulla sua cima (posta a oltre 5100 metri) secondo il racconto biblico si posò l'arca di Noè; per questo motivo, la chiesa armena la ritenne sacra e vietò di avvicinarsi alla cima, dove si riteneva fosse ancora preservata l'augusta reliquia. Dal XVI secolo fino al 1828 la venerata montagna si trovava in territorio persiano, ma quell'anno, in seguito alla guerra russo-persiana del 1826-28, fu ceduta all'impero russo. Fu così che Friedrich Parrot, un giovane scienziato e appassionato alpinista dell'Università di Dorpat, propose allo zar di organizzare una spedizione per esplorarla e cercare di conquistarla. E' curioso che colui che è considerato il padre dell'alpinismo russo e armeno abbia trascorso gran parte della sua vita adulta in un paesaggio piatto e privo di montagne: Dorpat, oggi Tartu, all'epoca una delle principali città della Livonia, era sede di un'antica università che era rinata all'inizio dell'Ottocento, in gran parte grazie all'energica azione di Georg Friedrich Parrot, il padre di Friedrich, che ne divenne anche il primo rettore. Grande scienziato - era un fisico di fama europea - e amico personale dello zar Alessandro I, era riuscito a trasformare quella università periferica in un centro di studi all'avanguardia, che nel corso dell'Ottocento diede un importante contribuito all'esplorazione geografica, geologica e naturalistica di molti territori dell'Impero russo. Friedrich, che era nato in Germania, arrivò in Livonia bambino e, dopo gli studi liceali a Riga e a Dorpat, frequentò i corsi di medicina e scienze naturali all'Università di Dorpat. Era appena ventenne quando, nel 1811, il suo professore di mineralogia, Moritz von Engelhardt, lo invitò ad accompagnarlo in una spedizione scientifica incaricata di effettuare rilievi barometrici in Russia meridionale, Moldavia e Valacchia. Strada facendo, cambiarono itinerario, e si diressero verso la Crimea e il Caucaso. E fu così che Friedrich scoprì le montagne e se ne innamorò. Insieme a Engelhardt, cartografò l'idrografia della Crimea e ne scalò le montagne per stabilirne l'altezza con il metodo barometrico; si spostarono poi verso il Caucaso, seguendo il corso del fiume Terek dalla sorgente alla foce. Oltre a disegnare le mappe di altre montagne, i due scalarono il monte Kasbek, di cui Parrot studiò i piani di vegetazione. Quindi si divisero: mentre Engelhardt misurò il livello del Mar Nero, Parrot misurò quello del Mar Caspio. I risultati della spedizione furono pubblicati nel 1815 in Reise in die Krim und den Kaukasus; Parrot redasse tra l'altro la parte dedicata alla vegetazione del Caucaso. Nel 1812 Napoleone invase la Russia e Parrot, benché non ancora laureato (avrebbe conseguito la laurea nel 1814), lavorò come medico all'ospedale di Riga e poi come chirurgo militare fino alla fine della guerra. Tornata la pace, egli poteva finalmente coltivare la sua passione per la montagna. Nel 1816 tentò di scalare il Monte Rosa, ma raggiunse solo il limite delle nevi. Anche se non riuscì a scalarla, qualche anno dopo gli fu dedicata una delle cime del massiccio, la Punta Parrot. Nel 1817 visitò estesamente i Pirenei, compiendo la prima ascensione della Maladeta e del Pic de Perdiguère. Dopo aver esercitato per qualche anno la professione medica in Germania, nel 1821 tornò a Dorpat come professore di fisiologia e patologia; nel 1826 assunse la cattedra di fisica, lasciata dal padre che si era trasferito a San Pietrburgo. Nel 1828, in virtù del trattato di Turkmenchay, la Persia cedette all'Impero russo parte dell'Armenia e dell'Azerbaigian e il governo russo decise di inviare nella regione una missione esplorativa capeggiata da Parrot. Quest'ultimo pensò che era arrivato il momento di realizzare il suo grande sogno: scalare il monte sacro dell'arca, il grande Ararat. Sottopose il progetto allo zar Nicola I, che lo approvò e garantì una scorta militare. Fu così che nell'aprile del 1829, insieme a un gruppo di studenti di medicina e scienze naturali partì da Dorpat in direzione dell'Armenia russa. ![]() La difficile conquista dell'Ararat Dopo aver raggiunto la steppa calmucca, il gruppo si divise in due parti: mentre il grosso della spedizione si dirigeva direttamente a Mozdok in Ossezia, Parrot, insieme a Maximilian Behaghel von Adlerskron e alla guida militare Schütz, attraversò il fiume Manych e si dedicò a una serie di nuovi rilievi del livello del Mar Nero e del Mar Caspio. La spedizione riunita proseguì poi verso sud attraverso la Georgia; raggiunto il confine armeno, la notizia di un'epidemia di peste nei dintorni di Erevan la costrinse a tornare in Georgia, per esplorare la Chachezia e condurre diverse misurazioni. Solo alla fine di agosto, il gruppo poté raggiungere la città santa di Echmiadzin, sede del catholicos, il Capo della chiesa apostolica armena; benché in generale la chiesa armena considerasse la spedizione sacrilega, il catholicos Yeprem I permise che vi si aggregasse, come guida ed interprete, lo studente di teologia Khachatur Abovian. Insieme a lui, il gruppo attraversò il fiume Aras e si diresse verso il villaggio di Akhuri (oggi Yenidoğan, nella Turchia orientale), posto a circa 1200 metri di altitudine sul versante settentrionale dell'Ararat. Stabilirono poi il campo base presso il Monastero di San Giacobbe, a 1943 metri sul livello del mare. Tra il 12 e il 14 settembre, tentarono una prima volta di raggiungere la cima della montagna dal versante nord-est, ma il freddo e la mancanza di abiti adeguati li costrinsero a rinunciare. Sei giorni dopo, su consiglio del capo villaggio di Akhuri, tentarono la scalata dal versante nord-ovest. Tuttavia furono sorpresi dal tramonto a quota 4885 metri e dovettero nuovamente tornare indietro. Ma, proprio come succede nelle fiabe, il successo doveva arrivare al terzo tentativo: il 27 settembre 1829 Parrot, Abovian, due soldati russi e due guide armene raggiunsero finalmente la cima del grande Ararat; Abovian eresse una piccola croce e raccolse un pezzo di ghiaccio, la cui acqua, per lui sacra, portò poi con sé in una bottiglia. Il 27 ottobre Parrot e Abovian scalarono poi insieme anche l'altra cima della sacra montagna, il piccolo Ararat. Colpito dall'intelligenza, dalla cultura e dallo zelo di Abovian, Parrot istituì per lui una borsa di studio a Dorpat. I sei anni trascorsi dal giovane armeno nella città estone furono estremamente fruttuosi: egli seguì corsi di filosofia, letteratura, scienze sociali e scienze naturali, imparò il tedesco, il russo, il francese e il latino, strinse amicizie e entrò in corrispondenza con molti intellettuali europei. Autore di poesie e di un romanzo storico, è considerato il padre della letteratura armena moderna, oltre che una figura eminente del movimento per la modernizzazione del paese. Quanto al nostro Parrot, non era tipo da accontentarsi di una tranquilla carriera universitaria di professore di fisica, dividendo le sue giornate tra le lezioni, il laboratorio (tra l'altro, inventò un gasometro e un baro-termometro) e la famiglia. Nel 1837 partecipò a una spedizione a Capo Nord e in Lapponia studiò fenomeni connessi con il magnetismo e la rotazione dell'asse terrestre. Al ritorno, già ammalato, ne diede conto in Kurze Nachricht von meiner Reise zum Nordkap; morì a Dorpat nel gennaio 1841. Una sintesi della sua vita avventurosa nella sezione biografie. ![]() Parrotia persica & friends Come abbiamo visto, tra gli interessi di questo medico e scienziato polivalente, soprattutto fisico e geologo, rientrava anche la botanica. Durante la sua prima spedizione aveva studiato i piani di vegetazione del Caucaso, e risulta che anche successivamente abbia raccolto piante nell'area del Caspio. E' proprio qui, sui monti dell'Azerbaigian, che vive la pianta destinata a immortalarne il nome nella nomenclatura botanica. Nel 1831 Carl Anton Meyer, un botanico di origine tedesca che aveva studiato a Dorpat con Ledebour e Bunge, con i quali nel 1826 aveva preso parte a una spedizione negli Altai e nella steppa del Kazakistan, decise di dedicargli una delle piante raccolte durante la spedizione, Parrotia persica, un endemismo della catena dei monti Alborz. Appartenente alla famiglia Hamamelidaceae, è un alberello noto soprattutto per lo spettacolare fogliame autunnale: le grandi foglie prima di cadere si tingono di giallo, d'arancio e di rosso. Piuttosto interessante anche la fioritura, che avviene sui rami nudi prima dell'emissione delle foglie molto presto nella stagione, tra febbraio e marzo; i fiori, piccoli e privi di petali, si fabbo notare per i numerosi stami con le antere rosso brillante. A lungo si è pensato che Parrotia fosse un genere monospecifico; solo nel 1998, sulla base dell'esame del DNA, è stata riclassificata come P. subaequalis una specie cinese prima classificata come Hamamelis subaequalis, poi come Shaniodendron subaequalis. E' anch'essa un piccolo albero o un grande arbusto con infiorescenze globose di fiori circondati da brattee e vistoso fogliame autunnale, dapprima bruno, quindi rosso brillante e viola. Molto raro in natura, è stato recentemente introdotto nei giardini (dove la sua sorella più nota era arrivata fin dal 1848, sempre grazie a Meyer, che ne l'aveva riprodotta nell'Orto botanico di San Pietroburgo). Ma c'è anche una "cugina" più lontana, assegnata a un genere a parte, Parrotiopsis, dal botanico C.K. Schneider nel 1905. La sua unica specie è Parrotiopsis jacquemontiana, originaria dell'Himalaya occidentale, dall'Afghanistan al Kashmir, dove vive nelle foreste tra 1200 e 2800 metri, un delizioso arbusto con vistose fioriture primaverili, che appaiono sui rami nudi; a renderli speciali, sono le grandi brattee crema che circondano un fitto ciuffo di stami dorati. Scoperto negli anni '30 dell'Ottocento, fu inizialmente assegnato al genere Fothergilla, quindi a Parrotia, con i nomi Parrotia jacquemontana e Fothergilla involucrata. Per completezza, ricordiamo anche x Sycoparrotia semidecidua, un ibrido intergenerico tra Sycopsis sinensis e Parrotia persica, prodotto intorno al 1950 nell'Orto botanico di Basilea in Svizzera. E' un bellissimo alberello, notevole sia per i fiori, con stami gialli e antere rosse, sia per il fogliame autunnale. Tra le questioni scientifiche più dibattute dalla scienza del '700 c'era quella della forma e della dimensione della Terra: a Newton che, sulla base della teoria della gravità postulava che fosse schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore, si opponeva Cartesio che, basandosi sulla propria teoria dei vortici, pensava piuttosto a una forma simile a un uovo, con un allungamento verso i poli. A sostegno di quest'ultima tesi, l'astronomo Cassini portava le misure da lui effettuate in Francia. Per dirimere la controversia, nel 1735 l'Accademia delle Scienze francese organizzò due spedizioni: una si sarebbe recata in Lapponia, la seconda nel vicereame del Perù. Le misure di un arco di meridiano prese rispettivamente al circolo polare artico e all'equatore avrebbero dovuto fornire la risposta. Per la durata, le personalità coinvolte, i risultati, la più importante fu indubbiamente la seconda, passata alla storia con tanti nomi: Missione geodetica in Perù, Missione geodetica all'equatore, Missione geodetica franco-spagnola o anche Spedizione La Condamine, da uno dei principali protagonisti. Anche se i suoi obiettivi principali erano geografici ed astronomici, coinvolse anche un botanico, Joseph de Jussieu, e portò a rilevanti scoperte su piante medicinali di grande importanza. Fu la prima grande spedizione scientifica internazionale, poiché vi presero parte anche due giovanissimi e perspicaci ufficiali di Marina spagnoli, destinati a un brillante avvenire: Jorge Juan e Antonio de Ulloa, i due dedicatari dello spettacolare genere Juanulloa. ![]() Dramatis personae: francesi e spagnoli L'idea che la Terra non fosse perfettamente sferica fu avanzata nel 1671 dal francese Jean Picard, l'astronomo che inventò il metodo della triangolazione geodetica. Qualche anno dopo Newton affermò che, se la Terra possedesse solo il moto di rivoluzione, sarebbe perfettamente sferica; ma a causa del movimento di rotazione assume la forma di uno sferoide schiacciato ai poli e dilatato all'equatore. A questa tesi si opponeva Cartesio, che, sulla base della teoria dei vortici, riteneva piuttosto che il pianeta avesse una forma simile a un uovo, con un allungamento lungo l'asse dei poli. A partire dal 1683, si passò alla verifica sperimentale; in Francia, gli astronomi Cassini, Maraldi e La Hire misurarono un meridiano dalla Manica ai Pirenei; le loro misure sembrarono confermare l'allungamento della Terra in senso longitudinale, secondo la tesi di Cartesio, ma furono respinte come erronee dai newtoniani . Per risolvere la questione una volta per tutte, l'Accademia delle Scienze decise di organizzare due spedizioni geodetiche (debitamente finanziate dalla Corona), che avrebbero dovuto misurare un arco di meridiano rispettivamente in prossimità del Polo nord e all'Equatore. La spedizione polare (1736-1737) fu guidata dal convinto newtoniano Pierre Louis Moreau de Maupertuis, accompagnato dal matematico Alexis Clairaut e dagli astronomi Charles-Étienne-Louis Camus e Pierre Charles Le Monnier; in Svezia fu inoltre accolta da Anders Celsius, l'inventore del termometro centigrado. La spedizione misurò un arco di meridiano tra Kittis e Tornea, constatando che era più lungo rispetto quello misurato da Cassini tra Amiens e Parigi; era la conferma che la Terra è appiattita ai poli. Maupertuis ritornò trionfante a Parigi e presentò i risultati con grande risonanza mediatica, tanto da guadagnarsi da parte dell'ironico Voltaire il soprannome di "schiacciatore della Terra". Ben più complessa si presentava la spedizione all'Equatore. Il primo problema era politico: la Francia decise di effettuare le misurazioni nell'attuale Ecuador, che all'epoca faceva parte del Vicereame del Perù, territorio sotto la giurisdizione spagnola. Fino ad allora, la Spagna aveva sempre negato l'autorizzazione a spedizioni straniere nelle proprie colonie; in virtù del patto di famiglia (tanto a Parigi quanto a Madrid regnava un Borbone) e del desiderio di partecipare a un'impresa tanto prestigiosa, la Spagna si convinse, ma a condizione che partecipassero anche due militari iberici, ufficialmente come collaboratori, ma in realtà come sorveglianti. Fu così che la Missione geodetica all'Equatore divenne la prima spedizione internazionale dell'età moderna. Per numero di partecipanti era decisamente imponente. L'équipe scientifica francese comprendeva dieci membri: tre accademici, l'astronomo Louis Godin (1704-1760), che era anche colui che aveva avuto l'idea della missione; il matematico, fisico e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758); il chimico e geografo Charles de La Condamine (1701-1774); i disegnatori e cartografi Jean-Louis de Morainville e Jean-Joseph Verguin; l'orologiaio e "ingegnere agli strumenti matematici" Théodore Hugot; il chirurgo Jean Siniergue; gli aiutanti Couplet-Viguer e Godin des Odonnais (nipote di Louis Godin); il medico e botanico Joseph de Jussieu (1704-1779), fratello minore degli accademici Antoine e Bernard. Infatti, anche se l'obiettivo principale della missione era geodetico e astronomico, l'Accademia non volle perdere l'occasione di studiare la natura di quella contrada esotica, in particolare le sue reputate piante medicinali. Aggiungendo i servitori e i soldati di scorta, a lasciare La Rochelle il 16 maggio 1735 a bordo del mercantile Portefaix furono in ventitré. Dopo 37 giorni di navigazione, la prima tappa fu la Martinica, quindi Santo Domingo dove dovettero attendere tre mesi il vascello che li avrebbe condotti a Cartagena de las Indias (nell'attuale Colombia); durante il soggiorno forzato, secondo la loro specializzazione, gli scienziati si dedicarono alle osservazioni astronomiche o alla raccolta di piante e animali. Purtroppo ebbero anche il primo assaggio di febbri tropicali: ne soffrirono Jussieu e Godin des Odonnais in modo lieve, La Condamine in modo grave, due servitori e un soldato ne morirono. Per rimpiazzarli, furono acquistati alcuni schiavi neri, intaccando le non molto abbondanti risorse finanziarie, che vennero per altro dissennatamente sperperate da Godin per far colpo su una bellezza creola. I francesi arrivarono a Cartagena solo nel novembre 1735, dove ad attenderli c'erano i loro compagni spagnoli, arrivati da Cadice già a giugno: una squadra di sette uomini capeggiata dai tenenti di vascello Jorge Juan Satacilia (1713-1773) e Antonio de Ulloa de la Torre Giral (1716-1795). Entrambi giovanissimi (avevano rispettivamente 22 e 19 anni), erano i due migliori allievi dell'Accademia dei guardia marina di Cadice, un centro di formazione di élite dove i rampolli dell'aristocrazia venivano preparati a comandare le navi della flotta spagnola. Avevano già partecipato ad azioni militari, possedevano buone basi matematiche e nozioni elementari di astronomia, ma erano dei "ragazzini" (come li definirà sprezzantemente La Condamine), che da guardia marina erano stati promossi dalla sera alla mattina tenenti di vascello per non troppo sfigurare. Erano muniti di istruzioni molto precise, alcune ufficiali, altre segrete: in base alle prime, dovevano determinare le coordinate dei porti visitati, tracciare le carte delle città, ispezionare lo stato delle difese, raccogliere ogni possibile informazione su cantieri, risorse economiche, minerarie e naturali incluse le piante, suggerire riforme; in base alle seconde, dovevano sorvegliare strettamente i francesi che agli occhi di Madrid, più che scienziati, erano potenziali spie. Nell'attesa dei francesi, anche loro non avevano perso tempo, esplorando e cartografando la regione: tra le altre cose, in una miniera abbandonata nella selva del Chocó Ulloa osservò un metallo così duro da resistere alla calcinazione. Era la prima segnalazione del platino, di cui Ulloa è considerato lo scopritore, ![]() Un'impresa epica... e litigiosa Così riuniti, francesi e spagnoli si imbarcarono per Portobelo, da dove avrebbero raggiunto la costa del Pacifico addentrandosi a piedi nelle foreste dell'istmo di Panama, un cammino reso difficile dalla vegetazione impenetrabile, dalle punture di insetti e scorpioni, dagli incontri con animali selvatici di ogni tipo, ma soprattutto dalle dimensioni stesse della carovana, che comprendeva trenta muli carichi di abiti, tende, attrezzi da cucina, armi, acquavite e ovviamente strumenti astronomici, geodetici, topografici. Trovare un imbarco a prezzo accessibile per tanti bagagli e una quarantina di persone fu dunque tutt'altro che semplice; solo dopo quasi tre mesi gli esploratori poterono imbarcarsi sul San Cristobal, che li condusse a Manta, sulla costa dell'attuale Ecuador (marzo 1736). Bouguer e Godin incominciarono subito ad accapigliarsi: gli accordi tra Francia e Spagna prevedevano che venisse misurato l'arco di meridiano che passa per Quito (sull'altopiano, a circa 2850 metri sul livello del mare), ma Bouguer suggerì di misurarlo sulla costa, dove le operazioni sarebbero state più semplici e non sarebbe stato necessario trasporre i calcoli al livello del mare; Godin rifiutò, ben sapendo che i loro passaporti erano vincolati all'itinerario già stabilito e che le autorità locali li guardavano con sospetto. Concesse però a Bouguer e La Condamine di fermarsi qualche giorno sulla costa per determinare la posizione esatta dell'equatore. Fu così che per arrivare a Quito ognuno dei tre accademici fece gruppo a sé: Godin e gli spagnoli vi arrivarono per primi il 29 maggio 1736, seguiti a qualche giorno di distanza dagli altri. Per nessuna delle tre comitive fu una passeggiata: senza considerare seccature come il cibo troppo piccante o la mancanza di vino, ad accoglierli ci furono nuvole di moscerini, piogge torrenziali, foreste in cui bisognava aprirsi il cammino con le asce e orientarsi con la bussola, ponti di corda sospesi su abissi vertiginosi. Dopo diversi mesi dedicati alla preparazione logistica e alla verifica degli strumenti, le triangolazioni iniziano a ottobre nella pianura di Yaruqui e proseguono fino all'agosto 1738: venne misurato l'arco geodetico che da Quito arriva fino a Cuenca, per una lunghezza di oltre 300 chilometri. Come aveva previsto Bouguer, effettuare misure geodetiche in un territorio accidentato d'altura pone problemi non banali. In una regione in cui le cime superano i 5000 metri, capita che le basi di rilevazione coincidano con un burrone o una scarpata, gli strumenti devono essere spostati, smontati e rimontati rischiando di comprometterne il funzionamento. Per sistemare i punti di riferimento e osservare gli angoli, bisogna scalare montagne, sopportare il mal d'altura, il freddo, le piogge torrenziali, le nebbie, il vento che spazza via i segnali (senza contare quelli smantellati e rubati dagli indigeni), cui si aggiungono occasionali terremoti e eruzioni vulcaniche. Molto spesso le guide si rifiutano di proseguire; gli unici che non demordono, e condividono con scienziati e tecnici il merito del successo finale, sono gli schiavi neri, di cui non conosciamo né il numero né il nome. A tutte queste difficoltà, si aggiunse la situazione finanziaria sempre più drammatica: terminati i fondi inizialmente assegnati e mai giunti quelli richiesti a Parigi, i francesi furono costretti a chiedere prestiti al tesoro spagnolo o a commercianti locali, indebitandosi sempre più pesantemente; ogni tanto, bisognava interrompere i lavori per tornare a Quito per riparare gli strumenti e per cercare soldi, un'operazione solitamente affidata a La Condamine: figlio di un esattore delle imposte, sapeva come condurre le trattative e, soprattutto, godeva di un patrimonio personale da usare come garanzia. Così, ogni tanto partiva e si faceva centinaia e centinaia di chilometri per andare a Lima a battere cassa. Le intemperie, le difficoltà del cammino, le malattie e gli scontri con i locali diradarono le file della spedizione: nel 1736 l'aiutante geografo Couplet-Viguer morì di malaria; nel 1739 Siniergues, in seguito a un intrigo amoroso, venne assassinato durante una corrida a Cuenca. Anche due dei servitori morirono di morte violenta. A tutte queste difficoltà oggettive si aggiunsero i pessimi rapporti tra i tre accademici; Godin rifiutò di mostrare i suoi dati ai colleghi per un confronto. Quando, terminate le misure geodetiche nell'agosto 1738, passarono a quelle astronomiche, un errore di calcolo di Godin rilevato da Bouguer fece scoppiare una violenta lite. Per altro, la parte astronomica delle missione si rivelò anche più penosa e difficile di quella geodetica, con giorni e giorni persi ad attendere condizioni di perfetta visibilità, supporti resi instabili dai terremoti, la necessità di smontare, rimontare e rettificare continuamente gli strumenti, senza contare l'inesperienza di Bouguer e La Condamine che persero quasi due anni in un duro apprendistato. Le misure astronomiche, condotte dagli accademici divisi in tre équipes separate, richiederanno quasi cinque anni, fino al 1743. Terminato il loro compito, anziché rientrare insieme, i tre litigiosi scienziati francesi si divisero, a testimoniare il solco incolmabile che si era scavato tra loro. Pierre Bouguer ripercorse all'inverso la strada dell'andata, imbarcandosi per Panama e da qui per le Antille, quindi per Nantes. Nell'agosto 1744 era a Parigi, dove il suo ritorno quasi non fece notizia: che la Terra fosse appiattita l'aveva già dimostrato Maupertuis otto anni prima. In ogni caso, egli presentò all'Accademia una relazione in cui cercò di attribuirsi tutti i meriti, minimizzando i contributi di Godin e La Condamine. Quest'ultimo arrivò a Parigi solo alla fine del 1745, dopo un viaggio molto avventuroso che merita di essere raccontato in un post a parte, visto che coinvolge la botanica e gli ha guadagnato la dedica di un genere. Quanto a Godin, aveva deciso di ampliare la triangolazione, estendendola fino alla latitudine di Cuenca; continuò il suo lavoro con l'assistenza di Juan e Ulloa fino al maggio 1744. Oppresso da enormi debiti che non aveva modo di saldare, si trasferì poi a Lima dove lavorò come astronomo e professore; poté tornare in Europa solo quando la corona spagnola pagò i suoi debiti a condizione che si trasferisse a Cadice come professore dell'Accademia dei guardia marina (quella dove si erano formati Juan e Ulloa). Non sarebbe più tornato in Francia. ![]() Un botanico inquieto e sfortunato Godin non fu il solo membro della spedizione ad essere trattenuto nel Vicereame del Perù dai debiti o da nuovi affetti. Suo nipote Jean-Baptiste Godin des Odonais si sposò con una ragazza della buona società creola e tornò in Francia con la moglie solo nel 1773 dopo avventure a non finire; in una versione un po' romanzata, le ha raccontate Robert Whitaker in La moglie del cartografo. Il meccanico-orologiaio Théodore Hugot rimase a Quito, si sposò con una peruviana e morì nella selva, mentre era impegnato a sfruttare una miniera. L'ingegnere e disegnatore Jean Louis de Morainville divenne architetto e morì per la caduta di una trave mentre lavorava alla ricostruzione di una chiesa a Riobamba, nel 1764 o nel 1765. Un destino amaro attendeva anche il nostro botanico, Joseph de Jussieu. Prima di studiare medicina e botanica seguendo l'esempio dei fratelli, aveva studiato matematica con l'intenzione di diventare ingegnere. In vista del viaggio in Sudamerica si era preparato alla sua missione studiando l'erbario di Joseph Donat Surian, il compagno di viaggio di Plumier. Le soste in Maritinica, a Santo Domingo, Cartagena e Portobelo furono per lui altrettante occasioni di raccolta di specie esotiche. Una volta a Quito, dovette però limitare le sue escursioni botaniche sulla sierra (dove in genere era accompagnato dal disegnatore de Morainville) perché, grazie alle sue basi matematiche, fu attivamente coinvolto nelle misurazioni geodetiche. Ma soprattutto a sottrarlo alle ricerche botaniche fu la sua condizione di medico in una regione dove la presenza di personale sanitario preparato era inversamente proporzionale alla frequenza di epidemie. Nel 1736 e nel 1737, insieme a Siniergues, fu cooptato dal viceré del Perù per assistere la popolazione colpita da epidemie di vaiolo a Cuenca e a Guayaquil. Fu dunque solo nel 1739, quando terminarono le misurazioni geodetiche, che poté dedicarsi pienamente alle ricerche botaniche. Quell'anno si recò a Loja, dove scoprì diverse specie di Cinchona, di cui studiò le caratteristiche botaniche e farmaceutiche. Quando la spedizione si sciolse, pensò di unirsi a La Condamine, ma ne fu impedito da un attacco di febbre e dalla mancanza di mezzi, che lo costringevano a mantenersi esercitando la medicina. Nel 1745 aveva abbastanza soldi per pensare di partire, ma non poté farlo a causa di un decreto della Real Audiencia di Quito che vietava di lasciare la città. Nel 1747, ricevette l'ordine del ministro degli esteri francese Maurepas di raggiungere Godin a Lima per recuperare gli strumenti. Attraversò a piedi la provincia di Canelos dove studiò gli alberi di cannella (non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, nativa dell'Asia, ma di una pianta della stessa famiglia oggi denominata Ocotea quixos); esplorò poi la valle del fiume Chambo, le pendici del vulcano Tunguragua e la valle centrale, dove fece importanti raccolte botaniche che inviò ai fratelli a Parigi, raggiungendo Lima nel 1748. Qui si unì a Godin e ad agosto si mosse con lui in direzione di Buenos Aires, visitando tra l'altro le sponde del lago Titicaca, dove raccolse molti esemplari di uccelli. Ma quando raggiunsero La Paz, dopo un viaggio di nove mesi, decise di separarsi del suo compagno per visitare le coltivazioni di coca a Yunga, continuando poi per Santa Cruz de la Sierra. Aveva intenzione di raggiungere Godin più tardi, ma ciò non avvenne mai. Infatti nel luglio 1750 l'inquieto botanico arrivò a Potosì, dove sorgevano le più importanti miniere d'argento dell'epoca, e vi si trattenne per cinque anni, esercitando la professione medica e interessandosi di opere idrauliche. Con la vista indebolita, depresso e debilitato dalle malattie e dall'esposizione ai vapori di mercurio, tornò a Lima nel 1755. La famiglia premeva perché tornasse a casa, ma gli mancarono sempre i mezzi per farlo. Solo nel 1771 poté tornare a Parigi: era ormai un vecchio dal corpo e dalle mente distrutti; lasciò dietro di sé a Lima erbari e manoscritti che Joseph Dombey fu incaricato di recuperare senza esito. Altri materiali erano andati perduti già in precedenza, rubati da un servo. Ammesso all'Accademia delle scienze per volontà dei potentissimi fratelli, Joseph de Jussieu non poté partecipare neppure a una seduta. Visse ancora otto anni, immemore e immerso nel suo mondo interiore. Tra le piante di cui gli viene attribuita l'introduzione Heliotropium arborescens. I suoi maggiori contributi riguardano la china (Cinchiona spp.), l'albero di cannella (egli la chiamò, in onore del suo re, Borbonia peruviana, oggi si chiama Ocotea quixos) e la coca (Erythroxylum coca). ![]() Marinai, scienziati, funzionari, spie... Ad eccezione di La Condamine, sul quale ritornerò, nessuno dei protagonisti francesi di questa spedizione (incluso il botanico Joseph de Jussieu) ha dato il suo nome a un genere botanico valido. Uno più che notevole celebra invece congiuntamente gli spagnoli Jorge Juan e Antonio de Ulloa. E' dunque ora di conoscerli meglio. I due "ragazzini" non solo si dimostrarono compagni di lavoro leali e affidabili, ma sfruttarono l'occasione per un apprendistato che fece di loro due esponenti di punta dell'illuminismo iberico. Come ho già accennato, al loro arrivo nel Vicereame si unirono a Godin, in quanto capo della missione, e solitamente fecero squadra con lui anche negli anni successivi. Condivisero i disagi, i pericoli e le malattie e furono determinanti per il completamento della missione, imparando ad usare strumenti che in Spagna non si erano mai visti, tanto da trasformarsi in provetti geodeti, cartografi ed astronomi. Come i francesi, erano ben accetti dagli ambienti colti e illuminati della colonia, e sospetti alle autorità, che li consideravano delle spie del governo centrale. Ritardi nell'atto di nomina e il rimborso del trasporto di alcuni bauli contenenti strumenti scatenarono una battaglia burocratica con il presidente dell'Audiencia di Quito e il suo tesoriere che si trascinò per anni. In tre occasioni, tra il 1740 e il 1744, in seguito alla ripresa delle ostilità con l'Inghilterra i due furono cooptati dal viceré del Perù per la difesa della costa. Per rispondere alla sua chiamata, nel 1740 essi percorsero in meno due mesi i 1800 km che separano Quito da Lima, guadando fiumi impetuosi, attraversando selve e deserti privi di acqua potabile, sempre accompagnati dai fedeli moscerini. Mentre attraversava un burrone, Ulloa cadde dal mulo, si ferì gravemente, viaggiando fino a Lima in condizioni molto difficili. Appena guarito, con il suo commilitone si occupò di organizzare la difesa dei porti più importanti della costa peruviana, di dirigere le costruzioni navali e disegnare le mappe delle principali città. Nel settembre 1741 erano di nuovo a Quito, ma ben presto furono richiamati dal viceré che, oltre a compiti simili a quelli già visti, affidò loro il comando di due brigantini mercantili trasformati in navi militari per contrastare la minaccia inglese (che, per loro fortuna, non si palesò). Quando tornarono a Quito per la terza volta, la spedizione era già in via di scioglimento. Come abbiamo già visto, affiancarono Godin nella triangolazione dell'area di Cuenca fino al maggio 1744. Poi partirono anch'essi per l'Europa, imbarcandosi su due diverse navi di una flotta francese che seguiva la rotta di Capo Horn. Nell'Atlantico, i vascelli si persero di vista ed ebbero sorte molto diversa: quello su cui viaggiava Juan ebbe una tranquilla navigazione e arrivò a Brest nell'ottobre 1745; l'ufficiale spagnolo proseguì per Parigi, dove espose le sue osservazioni astronomiche all'Accademia delle scienze (di cui divenne membro corrispondente), per poi rientrare a Madrid. Quello su cui era imbarcato Ulloa fu catturato dagli inglesi nei pressi di Terranova; Antonio gettò fuori bordo tutti i documenti, ad eccezione delle misure geodetiche. Imprigionato, fu condotto a Londra; ma appena si conobbe la sua identità, fu liberato e ammesso alla Royal Society per i suoi meriti scientifici. Una nave inglese lo ricondusse in patria, dove arrivò qualche mese dopo l'amico. Nominati capitani di vascello, Juan e Ulloa scrissero a quattro mani Observaciones astronómicas y físicas hechas en los Reinos del Perú e Relación histórica del viaje hecho de orden de su Majestad a la América Meridional, pubblicati nel 1748, debitamente epurati dalla censura, che fece cancellare tutte le beghe con le autorità coloniali, e dall'Inquisizione, che impose di presentare il sistema copernicano come un'ipotesi non provata. Entrambi ebbero poi carriere prestigiose e furono figure importanti della rinascita scientifica della Spagna del secondo Settecento. Ulloa, dopo un viaggio di studio in Europa, fondò lo Studio e Gabinetto di storia naturale, antenato dell'attuale Museo nazionale di scienze naturali e creò il primo laboratorio di metallurgia del paese. Divenne poi un importante funzionario coloniale, occupandosi tra l'altro del miglioramento del servizio postale tra America e madrepatria. Meno fortunato nella carriera militare, fu messo sotto processo quando fallì nel tentativo di riconquistare la Florida, ma terminò la sua carriera con il grado di ammiraglio e direttore generale dell'esercito spagnolo. Quanto a Juan, nel 1748 il ministro della marina lo mandò in Inghilterra a spiare i cantieri navali britannici per carpirne i segreti industriali. Riuscì a svolgere brillantemente l'incarico, convincendo anche ingegneri navali e operai qualificati a trasferirsi in Spagna con le famiglie; la polizia era sulle sue tracce e arrestò alcuni dei suoi contatti, ma egli riuscì a sfuggire di un soffio imbarcandosi clandestinamente su una nave diretta in Francia. Nel 1752, fu nominato direttore della Accademia dei Guardiamarina di Cadice, dove ritrovò il suo compagno di avventure Godin. Provetto matematico, applicò le sue conoscenze alle costruzioni navali, trasformò l'arsenale di Cadice in un laboratorio all'avanguardia. Fu tra i promotori della creazione dell'Accademia delle Scienze di Madrid, città dove fondò anche l'Osservatorio reale. Fu poi coinvolto nella creazione dell'arsenale di Ferreol e nella riorganizzazione della Scuola dei nobili. Fu autore di un importante compendio di navigazione e come astronomo elaborò un metodo di calcolo della parallasse solare. ![]() Liane epifite e grappoli aranciati Nel loro Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus del 1794 Ruiz e Pavon dedicarono molti nuovi generi a scienziati spagnoli, con il preciso intento di dimostrare che la scienza iberica aveva ormai raggiunto la maggiore età e la Spagna poteva competere alla pari con le altre nazioni europee anche in questo campo. In questo contesto, la dedica di un genere a Juan e Ulloa era obbligata: non solo erano due esponenti particolarmente brillanti del rinnovamento scientifico della Spagna, ma come esploratori del Vicereame del Perù e membri di una missione internazionale franco-iberica potevano essere considerati i diretti predecessori degli stessi Ruiz e Pavon. La pianta che scelsero per onorarli era singolare da diversi punti di vista: cresceva sui rami degli alberi della foresta pluviale peruviana e produceva fiori spettacolari di un caldo color arancio; credendo si trattasse di una pianta parassita, la chiamarono Juanulloa parasitica, unendo nel nome generico i nomi dei due dedicatari, in modo da sottolineare la loro stretta collaborazione e l'amicizia che li legò per tutta la vita. In realtà, le specie di questo piccolo genere della famiglia Solanaceae non sono parassite, ma semi epifite: possono crescere sia a terra, sia su alberi e rocce. Le sue nove-dieci specie sono distribuite tra il Messico e il Perù; la maggior parte sono liane, ma possono avere anche portamento arbustivo. Molte sono caratterizzate da vistose infiorescenze di fiori con corolle tubolari avvolte in calici pentagonali persistenti dai colori brillanti (rosso, giallo, arancio, viola). La specie più nota, disponibile anche da noi in vivai specializzati, è J. mexicana (spesso commercializzata con il sinonimo J. aurantiaca). E' una liana o un piccolo arbusto perenne sempreverde con foglie coriacee e racemi di fiori penduli con calice e corolla arancio brillante. In natura può essere epifita; proprio per questo si adatta molto bene alla coltivazione in vaso. Un cenno alle altre specie e alla loro distribuzione nella scheda. Gli spagnoli li chiamavano semplicemente amapola, "papavero" o copa de oro. Ogni anno, a milioni rivestono di un tappeto d'oro le praterie della California che li ha scelti come proprio simbolo floreale. A questi fiori così semplici, così campagnoli, è stato assegnato uno dei nomi botanici dalla grafia più terroristica, Eschscholzia californica. Eppure a ideare questa mostruosità è stato un poeta. La colpa, più che sua, è di una duplice trascrizione: dal tedesco al russo, quindi dal russo al latino della botanica. A farne le spese anche il buon dottor Eschscholtz (nato altrove, si sarebbe chiamato Escholz): lo abbiamo incontrato come membro della prima spedizione Kotzebue insieme all'amico Adelbert von Chamisso (il poeta in questione); ora ci farà da guida nella seconda. Scopriremo poi che Eschscholzia californica ha tante sorelle, bellissime e ardimentose foglie dei deserti. ![]() Un fiore semplice dal nome terroristico Nell'ottobre 1816, quando i russi gettarono l'ancora nella baia di San Francisco, Adelbert von Chamisso fu piuttosto deluso; in quella stagione ormai autunnale le fioriture erano ben poche e la maggior parte delle piante apparivano disseccate dal sole estivo; gli sembrava di vedere solo cadaveri vegetali, tanto che parlò di "botanica forense". A rallegrare lui e l'amico Eschscholtz, lo zoologo e medico di bordo della Rjurik, le ultime tardive fioriture di una papaveracea dai fiori d'oro, che Chamisso avrebbe poi battezzato Eschscholzia californica. Esuberanti e generose, in primavera fioriscono a milioni, ma le fioriture possono prolungarsi sporadicamente fino all'autunno. Fu così che a questo fiore dalla bellezza semplice fu associato un nome dalla grafia terroristica. Scopriamo perché. Johann Friedrich Gustav von Eschscholtz era un tedesco baltico, nato a Dorpat (oggi Tartu), di lingua tedesca ma suddito russo. La grafia originaria del suo cognome era Escholtz (o anche Escholz), che nella trascrizione in cirillico diventa Эшшольц, ripetendo due volte il carattere corrispondente al trigramma tedesco sch. Ritraducendo in alfabeto latino, il tutto produce appunto Eschscholtz, la forma adottata in tutte le sue opere a stampa dal nostro dottore. Chamisso si adeguò, denominando il genere che celebra l'amico Eschscholzia (se non altro, risparmiò una t). Eschscholtz aveva studiato medicina e chirurgia all'Università di Dorpat, divenendo il più promettente allievo e l'assistente di von Ledebour. Quando fu scelto come medico di bordo e zoologo della Rjurik aveva appena ventidue anni. Era un naturalista entusiasta, appassionato soprattutto di insetti, ma pronto a estendere le sue osservazioni a tutti i campi della natura. Tra l'altro, fu il primo a segnalare il fenomeno del ghiaccio fossile (o permafrost), che poté studiate nella penisola di Seward in Alaska. Come quelle di Chamisso, le sue collezioni botaniche furono pubblicate in diverse riviste e in appendice alla relazione di viaggio di Kotzebue, A voyage of discovery into the South Sea and Beering's Straits … undertaken in the years 1815-1818 … under the command of the Lieutenant … Otto von Kotzebue (1821). Al suo rientro a Dorpat, si sposò con la sorella del maestro e iniziò una promettente carriera accademica; nel 1819 fu nominato aggiunto di anatomia e nel 1822 direttore del gabinetto zoologico. Pubblicò anche le sue scoperte entomologiche in Entomographien (1822). Intanto in Russia si andava preparando una terza circumnavigazione del globo. Nuovamente affidata al comando di Kotzebue (che nel frattempo era stato promosso capitano), avrebbe dovuto riprendere gli obiettivi di quella precedente, ma con mezzi maggiori, a partire dalla nave, la Predpriatie, una fregata con un equipaggio di 145 persone (la Rjurik ne ospitava 32). A bordo ci sarebbe stata anche un'équipe scientifica, interamente formata da giovani studiosi dell'Università di Dorpat; a capeggiarla fu chiamato proprio il nostro Eschscholtz, che era anche il medico di bordo. Gli altri erano l'astronomo Ernst Wilhelm Preuss, il geologo Ernst Hoffmann e il chimico e fisico Emil Lenz. Come si vede, nessun botanico; evidentemente, l'ammiragliato condivideva il punto di vista di Kotzebue e di tanti capitani, a cominciare da Cook: in una spedizione oceanografica, i botanici non servivano a niente e creavano solo guai. La Predpriatie avrebbe anche dovuto scortare una flotta di rifornimenti per l'America russa. Ma all'ultimo momento gli obiettivi furono cambiati; vista la sempre più agguerrita concorrenza di cacciatori di pellicce di altre nazioni, avrebbe dovuto soprattutto proteggere gli interessi russi, scoraggiando la penetrazione altrui lungo la costa nordoccidentale dell'Alaska. ![]() La seconda spedizione Kotzebue La Predpriatie salpò da Kronstadt il 28 luglio 1823 e seguendo la rotta ormai consueta il 23 dicembre doppiava Capo Horn; dopo una breve sosta a Talcahuano in Cile, si diresse a Tahiti, passando per l'arcipelago delle Tuamotu, dove toccò diverse isole scoperte in spedizioni precedenti e ne scoprì una nuova, battezzata appunto Predpriatie. Kotzebue giunse a Tahiti il 14 marzo 1824 e, dopo aver incontrato diversi membri della London Missionary Society, ne ripartì il 24. Proseguendo verso nord, incontrò varie isole degli arcipelaghi della Società e delle Sottovento, scoprendo l'atollo di Motu Onu (ribattezzato Bellingshausen in onore del celebre esploratore russo). La rotta proseguì attraverso le Samoa, dove furono scambiati maiali e altre provviste con gli indigeni, la catena Radak e le Marshall, già toccate durante il primo viaggio. Dopo una breve sosta a Petropavlovsk in Kamčatka, raggiunsero le Aleutine e l'avamposto di Novoarchangelsk (Sitka) in Alaska, dove trascorsero i mesi estivi, impegnati in operazioni di pattugliamento. Scendendo a sud per svernare, il 27 settembre gettavano l'ancora nella Baia di San Francisco; rispetto alla visita della Rjurik, la situazione politica era totalmente mutata. Ora sul forte sventolava la bandiera messicana (nel 1822 l'Alta California si era infatti resa indipendente dalla Spagna). Il soggiorno si protrasse fino alla fine di novembre; grazie all'ospitale comandante della piazza, Eschscholtz ebbe l'opportunità di viaggiare in battello fino a Santa Clara e soprattutto di visitare l'avamposto russo di Fort Ross, nei pressi di Sonora, che era stato creato nel 1812 dalla compagnia russo-americana. Fu un viaggio avventuroso nel corso del quale poté incrementare le sue raccolte di insetti e osservare molte specie di uccelli; emozionante il viaggio di ritorno con una flottiglia di baidarke, i kayak degli Aleutini al servizio della compagnia. A novembre, insieme al comandante (con cui cui si intendeva molto di più di Chamisso) risalì il fiume Sacramento in una piacevole gita di più giorni; osservarono molti animali selvatici e fecero una scorpacciata degli acini, piccoli ma dolcissimi, delle viti selvatiche che si arrampicavano sugli alberi lungo le rive, predicendo un sicuro futuro vinicolo alla California. Con molto sangue freddo, Eschscholz rese inoffensivo e catturò un piccolo serpente a sonagli; conseguenze più sgradevoli ebbe l'incontro con una puzzola. Il secondo soggiorno californiano di Eschscholtz fu molto più produttivo del primo: circa duecento specie di insetti, tutti ignoti alla scienza tranne uno; una vasta collezione di molluschi; numerosi uccelli e anfibi; una quarantina di specie di uccelli; in tutto, registrò circa 2400 animali. Raccolse anche qualche nuovo esemplare di pianta, anche se queste collezioni sono difficili da distinguere da quelle del 1816; le pubblicò infatti insieme in Descriptiones plantarum novae Californiae, adjectis florum exoticorum analysibus (1826) che è anche la prima pubblicazione scientifica nel cui titolo si menziona la California. Lasciata la quale, il 12 dicembre Kotzebue era di nuovo a Honolulu, dove fece omaggio al ministro Kalaimoku di una copia calcografica del ritratto del re Kamehameha dipinto da Choris. Alla fine di gennaio, lasciate le Hawaii, si tornò a nord, puntando direttamente sull'Alaska; i mesi da marzo a agosto 1825 vennero di nuovo trascorsi a Novoarchangelsk. Con la fine dell'estate, giunse il momento del ritorno; di nuovo a Honululu il 13 settembre, dopo una sosta di appena sei giorni, la Predpriatie, attraverso le Marshall e le Marianne, si diresse a Manila per le riparazioni necessarie ad affrontare l'Oceano aperto. Ne ripartì il 10 gennaio 1826 e, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, era di ritorno a Kronstadt il 10 luglio. Rispetto alla spedizione della Rjurik, quella della Predpriatie, che si mosse in gran parte lungo rotte già percorse e si trattenne per molti mesi in Alaska, furono molto meno ricche di scoperte geografiche, limitate ad alcuni atolli nelle Tuamotu, nelle isole della Società e nelle Marshall; uno fu dedicato proprio al nostro Eschscholtz, ma noi siamo abituati a chiamarlo con il nome locale Bikini. Rilevanti furono invece i risultati oceanografici, in particolare le misure delle temperature delle acque oceaniche profonde condotte da Emil Lenz (destinato a diventare un importantissimo scienziato). Di grande importanza per la storia della zoologia anche il lavoro di Eschscholtz, che, oltre che in California, fece raccolte significative di insetti anche in Alaska e nelle Hawaii. Nel 1825 nelle Marshall scoprì il primo esemplare di Balanoglossus. Di ritorno a Dorpat, fu nominato professore di zoologia e contribuì per le parti naturalistiche alla relazione di Kotzebue, nell'edizione inglese A new voyage round the world in the years 1823, 24, 25, and 26. Cominciò a lavorare a un grande atlante illustrato delle specie da lui scoperte; per identificare e classificare le numerose specie nuove di insetti (soprattutto coleotteri e lepidotteri), andò a Parigi a consultare l'esperto di coleotteri Pierre François Dejean. Putroppo, morì improvvisamente ad appena 37 anni e il suo Zoologischer Atlas (1829-1833) uscì parzialmente postumo. Molte delle specie da lui raccolte furono descritte da altri, tra cui lo stesso Dejean, lo svedese Carl Gustaf Mannerheim e il tedesco naturalizzato russo Gotthelf Fischer von Waldheim. Una sintesi della vita troppo breve di questo grande zoologo nella sezione biografie. ![]() Eschscholzia, sognando California Il genere Eschscholzia, creato da Chamisso nel 1820, è strettamente legato alla California. Eccetto due, tutte le sue quattordici specie vi sono presenti; le spettacolari fioriture di Eschscholzia californica, la specie di nota e diffusa, in primavera trasformano le praterie della penisola in tappeti d'oro. La distesa più impressionante è la riserva dell'Antelope Valley nel deserto del Mojave, dove i "papaveri della California" coprono 1.745 acri; altre fioriture notevoli si possono godere nella Bear Valley, nel Carrizo Plain e a Point Buchon. Niente da stupirsi che siano stati scelti come simbolo floreale dello Stato di California. Piante adattabili, sono presenti in diversi habitat, dal livello del mare fino a 2000 metri, lungo la costa come nei deserti interni; prevalgono le praterie aperte, ma crescono anche lungo le strade e in luoghi sassosi e sabbiosi. La fioritura è lunghissima, con un periodo che varia di anno in anno in base al regime delle piogge; può iniziare a febbraio e protrarsi fino a settembre (o oltre: come abbiamo visto, Chamisso e Eschscholtz la raccolsero a ottobre). E' anche piuttosto variabile, con varietà annuali e perenni; varia anche il colore dei petali: oltre al giallo aranciato prevalente, ci sono varietà giallo più o meno chiaro, bianche, rosate o rossastre. Ne hanno approfittato i vivaisti per creare numerose cultivar, alcune delle quali a fiori doppi. Diffusa nelle aree temperate di tutto il mondo come pianta da giardino, è arrivata anche dove non avrebbe dovuto. Si dice che quando finì la corsa all'oro, i minatori che andarono a cercare fortuna in Cile, in Nuova Zelanda e in Australia portarono con sé involontariamente i semi di E. californica mescolati alla sabbia della California usata come zavorra delle navi. Sia come sia, oggi in Cile i papaveri della California formano distese ancora più grandi e vigorosi di quelle della loro terra natale, a scapito delle piante native. Ma non c'è solo E. californica. C'è almeno una dozzina di altre specie, molte delle quali sono annuali degli ambienti desertici della California e degli stati adiacenti. Per conoscerle più da vicino, leggete la scheda, dove troverete anche informazioni sulle più interessanti cultivar di E. californica. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
Gennaio 2021
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