La pubblicazione di Flora Danica prosegue fin quasi alla fine dell'Ottocento, sotto sette curatori. Solo tre di loro sono ricordati da un genere botanico: Drejer, Schouw, Jens Vahl. E così scopriamo i minuscoli generi Drejera, Schouwia, Vahlodea e Mostuea (da dove salta fuori? leggete il post per saperlo). 7 curatori, 77 anni di lavoro Trascurata da Martin Vahl, la grande impresa di Flora danica era stata di fatto interrotta fin dal 1799. Le pubblicazioni ripresero solo nel 1806, due anni dopo la morte di Vahl. Per completare l'opera sarebbero stati necessari altri 77 anni e l'impegno di altri sette curatori. Solo tre di loro hanno avuto l'onore di essere ricordati da un genere celebrativo, e stranamente quelli che vi contribuirono in modo più episodico. L'immediato successore di Vahl, Jens Wilkens Hornemann (1770-1841), diede uno dei contributi più significativi: diresse l'opera per 34 anni, pubblicò 18 fascicoli (con più di mille tavole); successore di Vahl anche alla cattedra di botanica e alla direzione dell'Orto botanico di Copenhagen, fu un botanico non particolarmente innovativo, ma di solida preparazione, che si impegnò a fondo nella pubblicazione di Flora danica proprio perché non distratto da impegni scientifici più stimolanti, al contrario di Müller e Vahl. Per quanto riguarda l'onore postumo di dare il proprio nome a un genere botanico, fu insolitamente sfortunato: nel 1809 Willdenow gli dedicò il genere Hornemannia; a causa della priorità di quest'ultimo, vennero considerati non validi gli omonimi generi creati da Vahl (pubblicato postumo nel 1810) e da Bentham nel 1846. Ma per ironia della sorte anche Hornemannia Willd. è oggi un nome non valido: le due specie che ne facevano parte sono state assegnate una al genere Mazus, l'altra al genere Lindernia; il povero Hornemann deve accontentarsi di legare il suo nome all'Epilobium hornemanni (oltre che a un fungo agarico e una specie di cardellino). Da questo punto di vista, miglior sorte toccò ai suoi successori immediati, Drejer, Schouw e Jens Vahl (figlio di Martin) che nel 1843 curarono congiuntamente un unico fascicolo. Ma su di loro torneremo. Vediamo prima velocemente le vicende editoriali successive e citiamo i curatori, nessun dei quali è onorato da un nome celebrativo. Dal 1845 al 1853 l'opera fu affidata a Frederik Liebmann, che pubblicò tre fascicoli (240 tavole) e un volume di supplementi. In gioventù aveva viaggiato a Cuba e in Messico; anch'egli tenne la cattedra di botanica dell'Università di Copenhagen e la direzione dell'Orto botanico. Dopo la sua morte e una nuova lunga interruzione, un singolo fascicolo uscì nel 1848 grazie a Japetus Steenstrup e Johan Lange. Steenstrup (1813-1897) fu un importante zoologo, corrispondente di Darwin, non particolarmente interessato a un'opera come Flora danica. Sarà dunque il solo Johan Lange (1818-1898) a portarla finalmente a termine, facendo uscire tra il 1861 e il 1883 gli ultimi sette fascicoli e due volumi di supplementi, seguiti nel 1887 dagli indici alfabetici, sistematici e cronologici. Lange era un botanico di notevole spessore, che aveva compiuto studi approfonditi sulla flora danese, groenlandese e europea, in particolare spagnola; la sua revisione del sistema linneano ebbe una rilevante influenza nella nascita del Codice di nomenclatura botanica, il sistema oggi in uso. Nonostante tutti questi meriti, anche il suo ricordo è affidato unicamente a nomi specifici, come Armeria langei o Dianthus langeanus. Tre botanici per un fascicolo Curiosamente, come abbiamo anticipato, sono invece ricordati da almeno un nome di genere (sebbene si tratti di generi piccolissimi e poco noti) i tre curatori del fascicolo 40, uscito nel 1843. E' ora di fare la loro conoscenza. Salomon Drejer (1813-1842) morì giovanissimo proprio mentre ne stava preparando la pubblicazione; talentosa promessa della botanica danese, era un esperto di Cyperaceae e aveva già pubblicato alcuni notevoli lavori. La sua morte precoce destò grande commozione; gli vennero dedicati poemi, numeri monografici di riviste e un canto funebre per coro maschile, composto in occasione del suo funerale da Niels Gade, il maggior musicista danese dell'Ottocento; Drejer era stato a sua volta musicista e aveva fondato una società corale studentesca. Qualche informazione in più nella biografia. Dopo la sua morte, fu chiamato a completarne il lavoro Joakim Frederik Schouw (1789-1852), che di Drejer era stato professore. Schouw, di professione avvocato, si era appassionato alla botanica quando nel 1812 aveva avuto occasione di accompagnare Christen Smith e Hornemann in una spedizione in Norvegia destinata alla raccolta di esemplari per Flora Danica. Era stato grandemente colpito dalla relazione tra vegetazione e altitudine; pur continuando ad esercitare la professione forense, aveva incominciato a studiare a fondo la distribuzione geografica delle piante e si era laureato in botanica proprio con una tesi sull'argomento (Dissertatio de sedibus plantarum originariis) in cui tra l'altro sostenne teorie evoluzionistiche. Lasciata ormai la carriera legale, divenne un botanico a tutti gli effetti: fece viaggi in Europa, visitando colleghi come de Candolle; a Copenhagen venne creata apposta per lui una seconda cattedra di botanica. Il suo principale contributo scientifico fu Grundtræk til en almindelig Plantegeographie ("Fondamenti di fitogeografia generale", 1822). Grazie a questi contributi, egli fu uno dei pionieri della fitogeografia, riconosciuto in tutta Europa. Tuttavia a partire dagli anni '30, benché la sua carriera accademica proseguisse (diventò anche direttore dell'Orto botanico di Copenhagen), i suoi interessi scientifici passarono in secondo piano di fronte al crescente impegno politico che lo vide prima difensore della libertà di stampa, quindi leader del partito liberale, infine presidente dell'assemblea costituente nel movimentato '48 e candidato a un ministero. Per approfondire questo poliedrico personaggio, si rinvia alla biografia. La molteplicità degli impegni, oltre a una salute precaria, spiegano perché nella pubblicazione del fascicolo 40 di Flora danica fu affiancato da un altro curatore, Jens Vahl (1796-1854), figlio maggiore di Martin. Laureato in farmacia, ma con una formazione articolata anche come chimico e botanico, Vahl junior fu un importante specialista della flora artica: esplorò nel corso di lunghi viaggi la Groenlandia (1828-30; 1829-36); nel 1838-39 partecipò a una spedizione francese a Capo Nord e all'isola Spitsbergen. I suoi viaggi gli consentirono di raccogliere un grande erbario, con note particolarmente accurate sulle circostanze della raccolta, la localizzazione e l'habitat. Al suo rientro a Copenhagen nel 1840 divenne assistente all'Orto botanico; progettò una Flora groenlandica, che tuttavia non riuscì a completare a causa della morte. Qualche notizia in più nella biografia. Drejera, Schouwia, Vahlodea e... Mostuea (?) Sfortunato in vita come negli onori postumi Solomon Drejer vede appeso a un filo il suo genere celebrativo. Drejera fu istituito qualche anno dopo la sua morte (1847) dal botanico tedesco Nees von Esenbeck separandolo da Justicia (famiglia Acanthaceae). Oggi quasi tutte le sue undici specie sono stati riassegnate ad altri generi; rimane ancora da risolvere lo status di due specie brasiliane, D. polyantha e D. ramosa, forse da includere nel genere Thyrsacanthus. Un secondo genere, Drejerella, creato da Lindau qualche anno più tardi, è oggi considerato una sezione di Justicia. Proprio come Hornemann, dunque, Drejer rischia di perdere il suo genere celebrativo. Qualche notizia in più sullo sfuggente (e molto probabilmente non valido) genere Drejera nella scheda. A ricordare l'amico Schouw provvide invece il grande tassonomista de Candolle nel 1821. Schouwia (Brassicacae) è un genere monotipico che comprende la sola specie S. purpurea, un'erbacea annuale o perennante con foglie semisucculente e fiori violetti, diffusa dal Nord Africa alla penisola arabica, in ambienti deserti montani, che era stata descritta per la prima volta da Forsskål con il nome di Subularia purpurea. Qualche notizia in più, soprattutto sull'habitat e sulla sua importanza ecologica nella scheda. A fare la parte del leone è però Jens Vahl, che di generi se n'è visti assegnare ben due. Il primo è Vahlodea (il nome Vahlia era già "occupato", in celebrazione del padre Martin), una graminacea (Poacea), stabilita come genere dal botanico svedese Fries nel 1842. Anche in questo caso si tratta di un genere monotipico, rappresentato da V. atropurpurea, un'erba perenne circumboreale e sudamericana dei pascoli umidi della zona artica e subartica e dell'alta montagna (in inglese è chiamata Mountain hairgrass). Presente anche in Scandinavia e Groenlandia, è una scelta particolarmente adatta per ricordare un grande esperto di flora artica. Spesso viene assegnata al genere Deschampsia, ma in questo caso gli studi più recenti ne confermano l'indipendenza. Qualche approfondimento nella scheda. L'altro genere dedicato a Jens Vahl è formato a partire dal suo secondo nome, affine al secondo nome dell'onomastica anglosassone (il nome completo era Jens Laurentius Moestue Vahl): si tratta di Mostuea, della minuscola famiglia Gelsemiaceae, che comprende solo due generi, recentemente separata dalla famiglia Loganiaceae, creato nel 1853 dal botanico danese Didrichsen. Con le sue quattro-otto specie, è anche il genere più cospicuo tra i piccolissimi generi dedicati ai nostri tre protagonisti; si tratta di piccoli arbusti o rampicanti legnosi, con infiorescenze con graziosi fiori bianchi o lilla imbutiformi a cinque petali e curiosi frutti cuoriformi, con una distribuzione transoceanica in Africa e Sud America. E' piuttosto ironico che sia praticamente impossibile, a meno di fare una ricerca accurata, risalire dal nome del genere al suo dedicatario. E non si tratta di un caso unico. Anche per Mostuea, qualche notizia in più nella scheda.
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Seguendo le vicende editoriali di Flora Danica, arriviamo al terzo curatore, il grande Martin Vahl, uno dei più importanti tassonomisti della storia della botanica, cui si deve una prima intuizione del concetto di "tipo". Tuttavia, il suo sogno di diventare un secondo Linneo gli fa trascurare Flora Danica, lasciando addirittura in eredità alla vedova un contenzioso con l'erario danese. La gavetta di un grande botanico Con il terzo curatore, Flora danica approda nelle mani di un botanico di razza, il norvegese Martin Vahl. Quando gli viene assegnato l'incarico, ha alle spalle solidi studi con Linneo (dal 1769 al 1774) e una lunga attività sul campo. Dal 1779, in qualità di assistente e dimostratore, è stato coinvolto nei grandi lavori di trasferimento dell'orto botanico di Copenhagen che, dal 1778, in seguito al dono di un nuovo terreno da parte del re, viene spostato a Charlottenborg. La sua è però una posizione di subordinato: il giardino botanico aveva due direttori, uno scelto dall'Università (il primo fu C. F. Rottböll), l'altro dal re (il primo fu Thomas Holmskjold); è Vahl, però, di fatto a dirigere il trasferimento delle piante dal giardino di Oeder a Amaliegade e ad arricchirne le collezioni, anche grazie ai numerosi contatti europei. Non mancano però i dissapori con il giardiniere dell'istituzione, Niels Bache; anzi sono così gravi che il governo decide di inviare Vahl, a spese della corona, in un lungo viaggio nelle capitali europee, in Italia, penisola iberica e Nord Africa. Da un lato si tratta di una spedizione scientifica (Vahl erborizza in Portogallo, nelle isole mediterranee, tra cui la Sardegna, in Nord Africa), dall'altro è un modo per rafforzare i contatti della nascente scienza naturale danese con le principali istituzioni scientifiche europee; tappa essenziale è Londra, dove Vahl ha modo di conquistare la stima di Banks e del suo segretario, lo svedese Dryander. E' durante questo viaggio che Vahl, visitando diversi erbari, constatata un grave problema che influenzerà le sue ricerche future: ormai il verbo linneano si è affermato, tutte le istituzioni stanno adottando la nomenclatura binomiale e battezzano le piante sulla base dei libri di Linneo (Systema Naturae e Species Plantarum), ma poiché le descrizioni linneane sono spesso succinte, nell'attribuzione dei nomi di specie affini pullulano gli errori di identificazione. Nel 1785, al suo rientro a Copenhagen, Vahl riceve, come si è detto, l'incarico di curatore di Flora Danica e il sospirato titolo di professore. E' l'inizio di un'attività frenetica che, proprio come il suo predecessore O. F. Müller, lo porterà a una morte precoce e a non concludere le sue opere sempre più ambiziose. Il lavoro per Flora Danica esordisce con una spedizione botanica nel nord della Norvegia che tra il 1787 e 1788 lo porterà dalla natia Bergen fino a Capo Nord; alla fine, nei suoi andirivieni, avrà percorso 1500 km. A Copenhagen, tuttavia, anche se all'orto botanico vengono impartite lezioni ("dimostrazioni") di botanica, manca ancora una cattedra universitaria di scienze naturali. La tradizionalista università, che già aveva respinto la nomina di Oeder, continua a rifiutarne l'insegnamento. Per superare l'impasse, nel 1789 viene creata - con l'appoggio regio - Naturhistorie-Selskabet, la Società delle scienze naturali, sul modello della Royal Society londinese; oltre a curare una propria collezione e un'importante pubblicazione, di fatto funziona come un'università privata; la cattedra di botanica e zoologia è affidata proprio a Vahl, che la manterrà per un decennio. Soltanto nel 1797, l'Università di Copenhagen si deciderà a creare una propria cattedra di botanica, che tuttavia non sarà affidata a Vahl, ma E. N. Viborg. Al momento Vahl, sebbene sia noto e apprezzato in tutta Europa, ha ancora pubblicato poco. Il suo primo lavoro importante è Symbolae Botanicae (1790-1794), un'opera che tra le altre cose contiene la descrizione e la discussone delle piante scoperte da Peter Forsskål nel corso della sventurata spedizione danese in Yemen. Segue (1797-1807) Eclogae Americanae, dedicato alle piante che gli sono state inviate dalle piccole colonie danesi delle Antille. Riscrivere Linneo? Nel 1799-1800 un secondo viaggio a spese della corona porta Vahl in giro per l'Europa, con tappe principali a Parigi e Ginevra; lo scopo fondamentale è raccogliere materiali per l'enorme opera che egli ha concepito: Enumeratio Plantarum, una revisione delle opere di Linneo, volta a superare gli errori di identificazione. Secondo Vahl, questo problema potrà essere superato soltanto se la stessa persona studierà le diverse specie affini, basandosi sugli esemplari originali su cui è stata condotta l'identificazione. E' grazie a lui che si affaccia il concetto di "tipo": l'esemplare di un dato taxon (specie, sottospecie, varietà, ecc.) sul quale si è basata la descrizione originale ed è stata assegnata la denominazione. Il prestigio di Vahl è ormai tale che i botanici gli aprono le porte delle loro collezioni, comprese quelle inedite. Tra viaggi (compiuti, sarà bene sottolinearlo, in un'Europa devastata dalle guerre seguite alla rivoluzione francese), studio e scrittura, il norvegese intraprende un'opera titanica, che prevedeva 20 volumi, uno per ciascuna delle classi linneane; egli fece in tempo a pubblicarne solo uno (nel 1804, anno della sua morte) e un secondo seguì postumo, a cura di alcuni amici e collaboratori; quindi il progetto fu abbandonato. Le 20.000 schede preparatorie manoscritte che ne costituiscono l'indice dell'opera bastano per coglierne l'immensità. Al rientro a Copenhagen, nel 1801, quando Viburg passa alla direzione della scuola di veterinaria, per Vahl arriva finalmente anche la cattedra di botanica all'Università. E' ovvio che con questo accumulo di impegni (per lui, è evidente, al primo posto c'è Enumeratio Plantarum), la pubblicazione di Flora Danica - per la quale ha pure ricevuto uno stipendio - langue. Se ai tempi di Oeder usciva un fascicolo all'anno e con Müller un fascicolo ogni due anni, con Vahl i tempi si allungano ancora: ora esce mediamente un fascicolo ogni tre anni (in tutto sei tra il 1787 e il 1799); tra il 1799 e il 1804, anno della sua morte precoce e improvvisa, non ne esce neppure uno. Sebbene Vahl sia stato uno dei più grandi tassonomisti di tutti i tempi e nelle altre sue opere abbia pubblicato centinaia di nuove specie, ce ne sono pochissime in Flora Danica (alcune graminacee e qualche fungo). Quando il botanico morì, si aprì un contenzioso tra la corona, finanziatrice dell'opera, e la vedova: Anneken Vahl sosteneva che il marito avesse lasciato cinque fascicoli pronti per la pubblicazione e ne chiese il pagamento, la tesoreria di stato fece notare che Vahl era stato già pagato per produrre un fascicolo all'anno; alla fine, vista anche la fama europea dello studioso, si arrivò a un compromesso: il sovrano acquistò la biblioteca, i manoscritti, lo splendido erbario di Vahl (ancora oggi la perla del Museo di scienze naturali danese) e concesse alla vedova una pensione. Nel 1805 uscì un fascicolo di Flora Danica che almeno in parte si deve alla mano di Vahl; gli altri quattro erano presumibilmente frutto della fantasia (o del bisogno) di Anneken. Grandissimo botanico, Vahl fu anche un notevole zoologo; come se non gli bastassero gli impegni, fu anche tra i curatori di Fauna Danica, l'opera gemella di Flora Danica concepita da O.F. Müller. Per una sintesi di questa intensa vita di studioso si rimanda alla biografia. La sfuggente variabile Vahlia La dedica di un genere botanico giunse a Vahl quando era ancora un naturalista di belle speranze, impegnato nel trasloco dell'orto botanico di Copenhagen. Fu il condiscepolo Thunberg a dedicargli nel 1782 uno dei tanti nuovi generi che andava scoprendo nella provincia del Capo. Vahlia comprende 5-8 specie di erbacee e piccoli arbusti originari dell'Africa e del subcontinente indiano; un tempo assegnato alla famiglia Saxifragaceae, per le sue peculiarità oggi viene inserito in una famiglia propria (Vahliaceae) e in un ordine proprio (Vahliales). Sicuramente queste piante avrebbero fatto la gioia di Vahl: si tratta di specie molto variabili per statura, dimensione dei fiori, numero dei petali, presenza o assenza di peluria, ecc., così che la loro classificazione, tra specie, sottospecie, varietà, ha dato vita a una foresta di sinonimi e a intricati problemi tassonomici. Lo stesso nome Vahlia - oggi ufficialmente considerato il "nome da conservare" - è stato in passato contestato in quanto la denominazione di Thunberg è successiva a quella di Adanson (che aveva denominato il genere Bistella). La specie più nota, Vahlia capensis, è un grazioso arbustino molto ramificato, originario dell'Africa meridionale, con piccoli fiori gialli e foglioline lineari, apprezzabile per la lunga fioritura e l'adattabilità a condizioni aride; non c'è bisogno di dire che si manifesta in tante varietà (in un sito ne ho trovate elencate non meno di otto), anche se Plant list ne presenta solo due: Vahlia capensis subsp. vulgaris var. vulgaris, Vahlia capensis subsp. vulgaris var. linearis (come si vede nella fotografia, ha un numero di petali più che doppio della specie tipo, che ne presenta solo cinque). In effetti, esemplari raccolti in località anche abbastanza vicine - e talvolta persino nella stessa località - possono differire grandemente tra loro, ed è difficile stabilire i confini tra una varietà e l'altra. Un rebus su misura per il buon Martin Vahl. Qualche notizia in più nella scheda. All'inizio la botanica fu al servizio della medicina e si studiarono le piante officinali; poi se ne scopersero le valenze economiche, e si studiarono le piante utili; ma dalla fine del Settecento, alcuni scienziati iniziano a studiare la natura di per se stessa. E il microscopio apre orizzonti sconosciuti. Una pagina non insignificante di questa storia l'ha scritta Otto Friedrich Müller, secondo curatore di Flora Danica, e dedicatario - grazie al figlio di Linneo - dell'elusiva Muellera. Uno zoologo armato di microscopio Nel 1772, a continuare la grande impresa di Flora Danica, interrotta dl licenziamento di Oeder, fu chiamato Otto Friedrich Müller. Una scelta forse discutibile, dettata da motivazioni politiche: Müller, essenzialmente uno zoologo, era lo scienziato danese più noto all'estero e soprattutto non era tedesco, o, per lo meno, era nato in Danimarca. Infatti, anche se suo padre era un musicista di corte di origine tedesca, era nato a Copenhagen nel 1730; aveva studiato teologia e legge all'Università, poi, prima di laurearsi era passato al servizio della potente famiglia nobile Schulin, come precettore del piccolo Frederik Ludwig detto Fritz. Inspirato dalla splendida natura che circondava la tenuta degli Schulin, Fridrichsdalin, Müller incominciò a studiare scienze naturali da autodidatta, per insegnare a se stesso e al proprio allievo. Si servì in particolare dei libri di Linneo, che a partire dagli anni '60 divenne anche uno dei suoi corrispondenti. All'inizio, a interessarlo fu soprattutto la botanica, ma ad affascinarlo erano anche gli insetti. Nel 1761 si procurò il primo microscopio e incominciò a specializzarsi nello studio degli animali piccolissimi. Tra il 1765 e il 1767, accompagnò il suo pupillo in un grand tour che portò i due in Germania, Svizzera, Italia, Francia, Olanda. Visitarono musei, palazzi e teatri; ovunque, Müller ebbe cura di prendere contatto con gli ambienti scientifici e, in un certo senso, promuovere se stesso; grazie alle nuove conoscenze e alla stesura di brevi opuscoli, divenne così membro di molte accademie europee. Con molti importanti scienziati strinse duraturi rapporti scientifici e corrispose per tutta la vita; citiamo tra gli altri von Haller, Scopoli e Allioni. Fu quest'ultimo, nel 1766, a pubblicare un'opuscolo di Müller, Manipulus insectorum taurinensium, in cui il danese descrisse 185 insetti raccolti a Torino, tra la collina e l'area della Dora. Nel 1767, durante una sosta di cinque mesi a Strasburgo, Müller pubblicò la sua unica opera di botanica, Flora Fridrichsdalina, un catalogo delle piante che vivevano nei pressi della tenuta degli Schulin. Per un breve periodo, tra il 1771 e il 1772, egli lavorò poi come archivista del dipartimento norvegese dello Schacchiere, incarico che fu soppresso dopo la caduta di Struensee. Ma proprio allora per lo scienziato, sposatosi nel 1773 con una ricchissima vedova norvegese, grazie alla sicurezza economica, iniziò il periodo più proficuo. Gli anni 1774-1784 furono segnati da uno stupefacente numero di pubblicazioni, in particolare nei campi della zoologia trascurati da Linneo e dalla sua scuola; oltre a insetti, vermi, molluschi, si dedicò in particolare allo studio degli animali unicellulari con un importante libro sugli infusori. Quando uscirono i primi volumi di Flora Danica, concepì il progetto di realizzarne il contraltare nel campo della fauna, raccogliendo in Fauna Danica le tavole illustrative e le descrizioni di tutti gli animali del regno di Danimarca-Norvegia. Mentre già lavorava a questo progetto, gli venne assegnato l'incarico di continuare la pubblicazione di Flora Danica: due opere mastodontiche di cui ovviamente non era destinato a vedere la fine. Benché il suo interesse prioritario andasse all'opera zoologica (riuscì a scriverne l'introduzione, il Prodromus, importantissimo per la sua classificazione innovativa degli invertebrati, e due dei quattro volumi), il suo intervento su Flora Danica non fu di semplice routine. Anche se a sfogliare le tavole non avvertiamo alcuna discontinuità (la mano di pittore e incisore è ancora quella dei Rössler), in realtà sta cambiando sottilmente il focus dell'opera: dalle piante di interesse economico, secondo il progetto originale del botanico-economista Oeder, al mondo vegetale in tutte le sue manifestazioni, anche le più umili (i funghi, all'epoca, erano ancora considerati vegetali). Ecco allora farsi via via più numerosi, nei cinque fascicoli curati da Müller, le alghe, i funghi, i licheni. Alcune tavole destarono persino l'indignazione di un anonimo recensore: sono quelle che rappresentano le muffe che crescono sulla frutta marcia e su una mosca morta; chi avesse acquistato il libro per conoscere le piante utili e nocive nella produzione dei foraggi, fa notare l'anonimo, a vedersi davanti frutta marcia e mosche schifose, l'avrebbe gettato via per sempre! Ai nostri occhi meravigliati, invece, il fungo saprofita che avvolge la mosca, ingrandito molte volte, appare quasi una flora fantastica, degno di un artista visionario come Leo Lionni. In un'altra tavola, viene ritratta una diatomea: la scoperta e la descrizione della prima diatomea (Bacillaria paradoxa) si deve infatti a Müller, che la scoprì in una delle esplorazioni delle acque del golfo di Oslo a cui si dedicava ogni estate. Esausto dal superlavoro, Müller morì poco più che cinquantenne, nel 1784. Come sempre, qualche notizia in più nella biografia. Muellera: frutti come collane Al grande scienziato danese il figlio di Linneo aveva voluto dedicare nel 1782 un nuovo genere di leguminose sudamericane, Muellera. Nei secoli successivi, esso darà del filo da torcere ai tassonomisti; appartenente alla tribù Millettieae delle Fabaceae (il genere più noto di questo gruppo è Wisteria, quello del glicine), fino a qualche anno fa le si assegnavano per lo più due specie, una più meridionale, un albero delle foreste umide dalla Colombia al Brasile, M. denudata; una più settentrionale, un albero o arbusto delle foreste aride dal Messico al sud America settentrionale, M. frutescens (oggi sinonimo di M. monilis). Elemento più caratteristico gli strani baccelli, detti "moniliformi": i restringimenti e le dilatazioni ricordano le perle di una collana. La maggior parte degli studiosi propendeva anzi per considerare Muellera un sinonimo di Lonchocarpus. A rivoluzionare questa situazione, nel 2012 uno studio basato sul DNA, condotto da un gruppo di botanici brasiliani, ha confermato l'indipendenza del genere Muellera, al quale dovrebbero anzi essere assegnate ben 26 specie, in parte prima attribuite a Lonchocarpus, in parte ad altri generi affini. La proposta ha faticato un po' ad imporsi; nell'estate del 2016, quando ho redatto questo post, Plant list gli attribuiva ancora solo tre specie (due delle quali diverse da quelle citate). Oggi (estate 2019) la situazione si è capovolta: Plants of the world on-line accetta pienamente il genere, cui attribuisce 32 specie distribuite nelle regioni tropicali dell'America centrale e meridionale. Una delle più interessanti tra queste "nuove" specie è M. sericea (sin. Bergerona sericea), un albero nativo della foresta pluviale di Argentina, Bolivia e Paraguay, a volte usato anche come ornamentale per i bei fiori rosa porpora. Rinvio alla scheda per qualche approfondimento. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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