Paolo Boccone, che prese il nome di Silvio quando entrò nell'ordine cistercense, è uno dei più importanti botanici italiani del Seicento, certo il più noto a livello interazionale, grazie ai suoi viaggi, ai molti contatti, all'erudizione delle sue opere. Lo testimoniano i luoghi di pubblicazione, che vanno da Parigi a Oxford, da Amsterdam a Venezia, e i molti erbari che confezionò per i suoi protettori e mecenati, conservati a Lione, Parigi, Leida, Oxford, Innsbruck, Vienna, Breslavia. Il suo maggior merito fu attirare l'attenzione degli studiosi europei sulla peculiare flora siciliana, che fu uno dei primi ad esplorare. Plumier, che fu suo allievo a Roma, volle onorarlo con il genere Bocconia, poi validato da Linneo. Da Palermo a Parigi Il palermitano Paolo Boccone (1633-1704) fu una figura di caratura internazionale per le sue ricerche che, oltre alla botanica, toccarono la chimica, la mineralogia, la natura dei fossili, le eruzioni dell'Etna e molti altri argomenti. Eppure, la sua biografia è tutt'altro che chiara, e molte delle notizie che si ripetono su di lui mancano di prove: ad esempio, non è affatto provato che la sua famiglia fosse di nobili origini, né che si sia laureato a Padova, né tanto meno che abbia insegnato in quell'ateneo. Molto incerta è la cronologia della sua vita, in particolare dei viaggi che lo portarono a visitare molti paesi europei. Nacque a Palermo da una famiglia oriunda di Savona e si ritiene si sia avvicinato alla botanica, alla chimica e alla scienze naturali grazie alla frequentazione di Pietro Castelli e dell'orto botanico di Messina, ma neppure di questa notizia spesso ripetuta abbiamo alcuna evidenza; fu invece con certezza allievo del matematico Giovanni Alfonso Borelli, che conobbe a Messina e di cui intorno al 1655 seguì le lezioni a Pisa. Lasciata la Sicilia, continuò infatti gli studi a Perugia, a Padova e nella città toscana. Nella seconda metà degli anni '50 dovette fare la spola tra la Sicilia e la Toscana, dove sperava di inserirsi stabilmente alla corte del granduca. In effetti per qualche tempo divenne uno dei semplicisti di Ferdinando II; nel frontespizio di gran parte delle sue opere, non manca di ostentare questo titolo, usando formule diverse: "botanico del serenissimo duca di Toscana", "serenissimi magni Hetruriæ ducis Phylliatra", "Herboriste de Ferdinand II de glorieuse mémoire Grand-Duc de Toscane"; il suo compito principale doveva essere quella di raccogliere piante e semi per arricchire i giardini granducali, nonché gli orti dei semplici di Pisa e Firenze. Era però una posizione subordinata e poco soddisfacente (nella dedicatoria a Cosimo III di Recherches et observations naturelles del 1674 scrive più realisticamente "per qualche tempo ho avuto l'onore di essere uno degli erboristi del fu Monsignore vostro padre"); Boccone dunque si rassegnò a tornare in Sicilia, dove si fissò almeno dal 1663. Si sposò e cercò di conciliare gli impegni familiari (che egli definisce "noiosi", ovvero penosi e difficili) con le ricerche naturalistiche, specialmente con il "diletto di osservar piante", che lo portò a percorrere molte contrade dell'isola. Erano un oggetto di studio, ma anche un cespite d'entrate; nel 1668 a Catania pubblicò l'elenco di piante siciliane Manifestum botanicum de plantis Siculis, il cui scopo commerciale è palese nella riedizione dello stesso anno, Elegantissimarum plantarum cultoribus, nec non obseruatoribus perdoctis, quibus forte desunt infrascripta semina nunc recentia offeruntur, & communicantur honesto pretio per Paulum Boccone Panormitanum, ovvero un catalogo di semi offerti a studiosi e appassionati a giusto prezzo. Importante fu la frequentazione del pittore messinese Agostino Scilla, con il quale condivideva l'interesse per i fossili, la geologia, le specie marine e quelle strane forme che paiono al confine tra i regni della natura: coralli, madrepore, fossili marini, pietre a forma di conchiglia o di lingua. In questi anni risiedeva nella Sicilia orientale, tra Leontini, Messina e Catania, dove pubblicò i suoi cataloghi e il suo primo saggio naturalistico, Della pietra belzuar minerale Siciliana, dedicato a Giacomo Ruffo visconte di Francavilla e scritto sotto forma di lettera al farmacista bolognese Giacomo Zannone, uno dei suoi clienti e corrispondenti. Nel 1668 visitò Malta, dove stabilì qualche utile contatto, raccolse poche piante (nel libro sulla flora siciliana e maltese che pubblicherà qualche anno dopo a Oxford ne figurano solo tre e un fungo), ma molti fossili tra cui le ricercatissime glossopietre. Rientrò poi a Messina, dove fece escursioni e ricerche congiunte con Scilla. Ebbe anche modo di assistere all'eruzione dell'Etna, la più importante dell'epoca. Si trovava nell'isola ancora nel marzo 1669, come risulta da una lettera a Redi in cui accenna all'acquisto di semi per l'orto botanico di Pisa su incarico del granduca. La morte della moglie, avvenuta quell'anno, e la speranza di reinserirsi nell'ambiente toscano lo spinsero a lasciare l'isola. Nella seconda metà del 1669 era a Firenze, dove mostrò le sue collezioni al granduca, ma la morte di quest'ultimo nel maggio 1670 lo convinse a cercare fortuna altrove. Munito di lettere di presentazione dell'archiatra Giovanbattista Gornia, di altri medici toscani e del Gran Priore dell'ordine di Malta Valencé, si imbarcò per la Francia. Dalle raccolte botaniche, risulta che erborizzò nei dintorni di Marsiglia ed Aix e nell'Isola Ste Marguerite, di fronte a Cannes. Fu poi a Lione, dove è conservato uno dei suoi erbari e per tre mesi insegnò la bella arte della botanica a due distinte dame (come aveva già fatto in Italia con "gentiluomini di prima qualità"). Era sicuramente a Parigi all'inizio del 1671; infatti, secondo quanto egli stesso scrive nel curioso dialogo "Entretien d'un Seigneur de la Cour de France avec M. Boccone" che conclude Recherches et observations naturelles sur la production de plusieurs pierres, nell'aprile di quell'anno aveva iniziato a tenere nella sua casa parigina quelli che potremmo definire dei seminari in cui presentava le curiosità che aveva portato con sé dall'Italia e determinava le piante proposte dai partecipanti: ognuno era invitato a portarne con sé "fino a mezza dozzina, fresche o essiccate, per essere esaminate, scegliendole tra le più curiose e le più rare"; gli incontri si tenevano il giovedì all'una, ogni due settimane, e Boccone vi parlava “di piante, di animali, di pietre, di metalli, e di tutto ciò che di più raro e prezioso la natura racchiude nel suo seno”. Dal dialogo scopriamo anche che il botanico siciliano aveva portato con sé i semi di piante da offrire al Re cristianissimo per arricchire il Jardin du Roi, e a tal fine aveva preso contatto con il sovrintendente Vallot, che li aveva rifiutati, sostenendo che erano vecchi e non più vitali, anche se Boccone chiedeva di essere ricompensato solo per quelli che avrebbero germinato. Non era dunque un dono, ma una transazione commerciale. Il trattatello, stampato a Parigi appunto nel 1671, oltre al dialogo fittizio, contiene cinque saggi in forma di lettera su pietre dalle forme curiose, la pietrificazione di parti di animali e l'eruzione dell'Etna, che riproducevano in forma scritta le conferenze tenute da Boccone all'Accademia privata fondata dal medico del principe di Condé, l'abate Pierre Bourdelot. Seguì una seconda serie, intitolata Recherches et observations curieuses sur la nature du corail, con ulteriori cinque lettere sul corallo e alcuni pesci; nell'introduzione dell'editore si preannuncia la prossima uscita di un'opera illustrata totalmente dedicata alle piante. Rispetto a un opuscolo con poche immagini, si trattava di un'operazione editoriale decisamente costosa, che Boccone non poteva affrontare senza un mecenate. In realtà, proprio grazie a Bourdelot, ne aveva incontrato uno dal nome altisonante, appunto il gran Condé; ma il principe, in disgrazia per la sua partecipazione alla Fronda, era privo di ogni influenza politica e viveva lontano dalla corte, nella sua tenuta di Chantilly; Boccone dovette frequentarla con una certa assiduità e una sua erborizzazione è testimoniata dal Cahier de Chantilly, un quaderno di piccolo formato probabilmente di sua mano in cui le piante raccolte sono elencate utilizzando per lo più la nomenclatura del Pinax di Caspar Bauhin; la seconda parte del manoscritto è un erbario, non costituito da exsiccata, ma da impressioni ottenute inchiostrando esemplari secchi, una tecnica impiegata qualche anno primo anche da Fabio Colonna e perfezionata dallo stesso Boccone. Era invece un più tradizionale erbario di piante essiccate quello che Boccone avrebbe approntato per un altro principe reale in odore di Fronda, il botanofilo Gastone d'Orlèans, ugualmente conservato a Parigi; visto che il principe morì nel 1660, quando Boccone viveva ancora in Toscana ed era del tutto sconosciuto, è escluso che gli sia mai appartenuto, tanto più che contiene piante sicuramente raccolte da Boccone nelle Fiandre nel 1672; moltissimi esemplari sono invece comuni all'erbario del Principe di Condé, anche se non sappiamo quando e per chi il botanico siciliano preparò il cosiddetto "erbario di Gastone d'Orlèans". Un naturalista di fama europea Nel 1672 Luigi XIV si decise a riabilitare il gran Condé per servirsi del suo genio militare nella campagna contro l'Olanda. Una buona notizia per lui, ma non necessariamente per Boccone, che vide il suo principale protettore partire per il campo di battaglia. Forse il suo manoscritto, con le descrizioni delle piante raccolte in Sicilia, a Malta, in altre regioni italiane e in Francia e le illustrazioni a stampa diretta, era pronto, ma mancava chi lo finanziasse. Ma la cronologia si imbroglia di nuovo; non sappiamo quando abbia lasciato la Francia né se abbia visitato altri paesi, a parte una visita ad Anversa nel 1672. Di certo invece si trovava a Londra il 5 maggio 1673, giorno in cui presentò alla Royal Society, alla quale aveva donato un gabinetto di curiosità e una piccola natura morta di Agostino Scilla, una memoria su alcune pietrificazioni siciliane. Fu presumibilmente in questo ambiente che conobbe un gentiluomo appassionato di botanica e giardinaggio, Charles Hatton, che era stato allievo di Robert Morison e decise di inviare il manoscritto al suo maestro. L'arrogante Morison per una volta comprese pienamente il valore di quel materiale, e si diede da fare per prepararlo per la pubblicazione. Hatton, benché non fosse un nababbo, non fece mancare il sostegno finanziario, così nel 1674, per i tipi dell'Università di Oxford, uscì Icones et descriptiones rariorum plantarum Siciliae, Melitae, Galliae et Italiae, con la descrizione di un centinaio di piante (ci sono anche alcuni funghi), più della metà delle quali siciliane, e incisioni ricavate dalle immagini a stampa diretta; saltando i passaggi del dipinto e del disegno al tratto, i costi si riducevano di molto, ma i risultati, tranne che nei casi di piante minute o dalle forme lineari, lasciano spesso a desiderare; diverse immagini erano di qualità così bassa che Morrison le scartò e le sostituì con sette incisioni calcografiche, che furono pagate da Hatton così come la stampa. Con il libro fresco di stampa, Boccone ripartì alla volta dell'Olanda, deciso a farlo conoscere e cercare nuovi sponsor per stampare le sue opere erudite sulle curiosità naturali; sappiamo che pensò a Hieronymus van Beverningh, il protettore di Paul Hermann, visitò diversi gabinetti di curiosità, donò uno dei suoi erbari a Arnold Seyen, professore di botanica a Leida. Tra gli altri, incontrò il microscopista Johannes Swammerdam, perfezionando l'uso del microscopio che fu il primo ad applicare allo studio dei fossili. Incontrò anche il farmacista Johann Breyne, ma mancò il nipote Jacob, il collezionista e botanico di Danzica. Nel 1674 ad Amsterdam uscì Recherches et observations naturelles, che riprende ed amplia le pubblicazioni parigine e le comunicazioni alla Royal Society; le lettere, indirizzate ad eminenti esponenti della scienza italiana, francese, inglese e olandese, sono ora 29, e toccano argomenti disparati. In ogni caso, assicurarono la fama europea di Boccone. Sulle vicende successive e sulla data del rientro in Italia di nuovo la cronologia e i percorsi (ricavabili per lo più dai luoghi di raccolta delle piante citate in Museo di piante rare e da notizie sparse in varie opere) si fanno incerti e intricati. Forse tornò per qualche tempo in Francia, e certo sulla via del ritorno visitò il Delfinato e la Savoia (raccolse alla Grande Chartreuse e a Chambéry), varcò le Alpi al passo del Moncenisio, dove fece notevoli raccolte, quindi visitò il giardino reale di Torino. Fu poi la volta della Liguria, da dove passò in Corsica, visitata nel 1677. Nel 1678 era a Roma, dove ritrovò Agostino Scilla e frequentò l'accademia fisico-matematica fondata da Giovanni Giustino Ciampini, di cui condivideva il metodo sperimentale e lo spirito di ricerca. Lo si vedeva anche alle riunioni dell'Accademia reale voluta da Cristina di Svezia, cui donò l'ennesimo erbario. Passato per donazioni successive all'Istituto botanico di Genova, è probabilmente andato perduto durante la seconda guerra mondiale. Forse Boccone anche a Roma teneva lezioni ed accademie come quelle parigine; certo tra i suoi discepoli vi fu Charles Plumier, che in quegli anni studiava presso il convento dei minimi di Trinità dei monti. In questo stesso torno di anni, incominciò a corrispondere con Francesco Cupani, incoraggiandolo ad esplorare la flora siciliana. Non sappiamo come maturò la decisione, alla vigilia dei cinquant'anni, di abbracciare lo stato ecclesiastico. Nel 1682 entrò nell'ordine cistercense, assumendo il nome di Silvio (Sylvius) e svolgendo il noviziato a Firenze. Non per questo cessò di studiare e di viaggiare per raccogliere piante e oggetti naturali. Nel 1684 pubblicò a Bologna Osservazioni naturali, sempre sotto forma di lettere a medici e dotti soprattutto bolognesi e veneti, dedicate ad argomenti disparati, in cui sembrano prevalere gli aspetti più curiosi della natura, dai "fuochi naturali" di cui i contadini modenesi si servono per cucinare alle formiche o mosche odorose della campagne pisane. Delle piante si parla soprattutto per le proprietà farmacologico-terapeutiche, ma nella lettera 21 si disquisisce "delle cause della viridità perpetua di alcune piante in tutte le stagioni". Bologna non fu certo l'ultima tappa della sua vita errabonda. Nella biblioteca nazionale di Vienna sono conservati due piccoli erbari di Boccone, da lui dedicati "alla sacra maestà cesarea di Leopoldo Primo", in cui probabilmente sperava di trovare l'ennesimo mecenate. Il primo è intitolato "Piante originali e rare ostensive", è firmato Paolo Boccone ed è relativo alle piante di Icones et descriptiones; il nome secolare e il contenuto ci rimandano a una data precedente il 1682, forse addirittura agli anni francesi. Il secondo, intitolato "Piante dell'Austria", è invece firmato Silvio; sul recto di ciascun foglio sono incollate piante piuttosto comuni dei dintorni di Vienna, sul verso sintetiche indicazioni sul loro uso terapeutico, certamente di mano del botanico siciliano, di cui documentano il passaggio in Austria probabilmente negli anni '90. Sono gli anni in cui Boccone, con il nome onorifico di Plinius II, è ammesso all'Accademia curiosorum naturae di Halle, posta sotto l'alto patronato di Leopoldo I e ribattezzata Accademia cesarea leopoldina. Come risulta da Museo di piante rare, da Vienna si spostò a Brno, Bratislava, quindi potrebbe aver raggiunto Wroclaw, dove è conservato un altro erbario. Secondo una serie di documenti in gran parte inediti ritrovati dalla studiosa palermitana Floriana Giallombardo, i viaggi in Europa centrale si collocano tra il 1694 e il 1697. Ma era soprattutto di casa in Veneto. Nel 1694 fece raccolte in Dalmazia e nel 1697 pubblicò a Venezia Museo di fisica e di esperienze, l'ultima delle grandi opere miscellanee su svariati argomenti di scienze naturali, e Museo di piante rare della Sicilia, Malta, Corsica, Italia, Piemonte e Germania, la più ampia delle sue opere botaniche. L'impostazione è assai diversa rispetto alla sintetica opera oxoniense: le descrizioni delle piante, che rimangono brevi o brevissime, sono riunite in gruppi o decadi affini per qualche ragione (ad esempio, le analoghe proprietà medicinali, l'origine alpina, il profumo simile delle foglie) e si alternano a trattati più ampi, sotto forma di lettere aperte ad altrettanti dotti e mecenati. Le tavole, di buona qualità, non sono più alternate al testo, ma riunite nella seconda parte del volume; ne risulta un'opera corposa, di quasi 200 pagine di testo e 130 tavole calcografiche con 319 figure. È dedicato "ad alcuni nobili patritii Veneti protettori della botanica, e delle buone lettere", ovvero agli sponsor che aprirono la borsa per finanziare il bello e certamente costoso volume. Alle piante già pubblicate in Icones et descriptiones si sono aggiunte quasi duecento nuove specie; i nuclei principali di raccolta, il cui luogo è quasi sempre puntigliosamente indicato, sono il Moncenisio, le Alpi Apuane, la Corsica, l'Appennino modenese e la zona di Norcia/Monti Sibillini; frequenti pure le raccolte dei territori di Bologna, Roma e Padova. Se il grosso Boccone lo raccolse personalmente, qualche specie si deve a doni e invii di amici e corrispondenti; il gruppo più cospicuo gli fu donato dal domenicano francese Jacques Barrelier, che probabilmente Boccone conobbe a Parigi (e non a Roma, come scrivono alcuni). Nella prefazione, Boccone racconta che fu incoraggiato a pubblicarlo da William Sherard, che nel 1697 come lui si trovava a Venezia; quando gli mostrò le sue raccolte, l'inglese confermò che molte piante erano inedite. L'anno successivo, il volume fu recensito da John Ray sulle Transactions della Royal Society, che ne riconosce l'importanza ("ci offre una vasta collezione di piante rare, la maggioranza delle quali sono nuove e mai descritte"), ma rimarca tre difetti: le piante sono collocate senza alcun ordine o connessione; le descrizioni si limitano a pochi elementi, senza una sufficiente descrizione delle parti principali; mancano i sinonimi delle piante descritte da altri botanici; prosegue poi facendo le pulci a diversi passi specifici. Questa recensione agrodolce è comunque una carezza in confronto alla reazione di Antoine de Jussieu che accusò Boccone di plagio per aver pubblicato alcune piante raccolte da Barrelier (di cui per altri riconosce sempre apertamente la paternità). Dopo il grande exploit dei due Musei, Boccone dovette ritornare a Palermo; visse gli ultimi anni nella Abbazia di Santa Maria di Altofonte in Parco, a 5 km dalla città, divenendone anche priore; qui morì nel 1704. Come pioniere dello studio della flora siciliana, e più in generale mediterranea, gli è stata dedicata la rivista Bocconea, edita dalla fondazione internazionale Pro Herbario Mediterraneo. Una bella invadente Come scopritore di decine di specie inedite (intorno a 120), Boccone è ricordato dall'epiteto di numerose specie, dallo splendido Eryngium bocconei a Limonium bocconei, da Seseli bocconei a Hieracium bocconei. Il genere Bocconia si deve a Plumier che in Nova plantarum americanarum genera riserva a Boccone termini assai elogiativi: "Il reverendo padre Dom Silvio Boccone, in precedenza Paolo Boccone, nobile gentiluomo palermitano, celeberrimo in tutto il mondo letterario per le sue opere sia botaniche sia naturalistiche, che dopo aver contemplato molte parti del mondo terrestre, si accinge a meditare su quello celeste, essendo stato accolto nell'ordine cistercense a Firenze". Non fa cenno di esserne stato allievo, ma confermò la circostanza all'amico Garidel. Fatto proprio da Linneo, il genere Bocconia (Papaveraceae) riunisce una decina di specie di arbusti e piccoli alberi, diffusi nei Caraibi, in Messico e in Sud America. Hanno rami sottili, grandi foglie lobate o dentate, piccoli fiori apetali raccolti in pannocchie terminali; i rami spezzati emanano un latice giallastro o arancio, con proprietà antidolorifiche; dalla corteccia di alcune specie si ricava invece una tintura gialla. La specie più nota e diffusa è B. frutescens, nativa del Messico, delle Antille e di parti del centro e del Sud America, dove si trovi in habitat diversi, dalle foreste aride a quelle umide, incluse quelle nebulose, nonché in terreni disturbati. E' un grande arbusto o piccolo albero, alto fino a sei metri, molto ramificato, con rami sottili e intricati, che portano all'apice gruppi di grandi foglie profondamente lobate. Benché i fiori siano privi di petali, le grandi infiorescenze a pennacchio risultano piuttosto decorative. Per questo, intorno al 1920 è stata introdotta come pianta da giardino nelle Hawaii, dove si è rivelata una pericolosa infestante. Produce infatti una grande quantità di piccoli frutti, mangiati e dispersi dai semi, e cresce in fretta, sottraendo luce e nutrienti alle piante native. Non fa invece più parte del genere B. cordata, trasferita al genere Macleaya come M. cordata.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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