Tra le piante più venerabili del Jardin des plantes di Parigi, c'è un albero di pistacchio famoso non solo per la sua età (un po' più tre secoli) ma per aver permesso a Sébastien Vaillant di comprendere i meccanismi della riproduzione sessuale delle piante. Quando egli presentò i risultati in pubblico, le sue parole destarono scandalo, forse anche perché non risparmiò le metafore antropomorfe. Linneo ne aveva invece grande stima e considerava il suo Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna. Riprendendo una denominazione di Tournefort, lo celebrò con Valantia, un piccolo genere che annovera anche due rari endemismi siciliani. Scandalose nozze delle piante Il 10 giugno 1717, tra gli studenti che affollavano l'anfiteatro del Jardin royal c'era una certa attesa per la prolusione con la quale Sébastien Vaillant (1669-1722) avrebbe inaugurato il corso di botanica. Vaillant, che lavorava nel giardino già da una quindicina di anni e da una decina era sotto dimostratore (l'insegnante "pratico" che mostrava come riconoscere le piante) non era certo una faccia nuova. Ma quell'anno avrebbe tenuto anche il corso teorico, come supplente del professore titolare, il dimostratore Antoine de Jussieu, in missione botanica nella penisola iberica. Forse in quel che successe quel giorno c'entrò anche un pizzico di spirito di rivalsa. Al contrario di Jussieu, medico e accademico di Francia, Vaillant aveva fatto la gavetta e non aveva titoli accademici. Nato in una famiglia contadina, inizialmente aveva ricevuto una formazione come musicista; poi era divenuto chirurgo (ricordo che all'epoca i chirurghi non erano laureati, ma artigiani che imparavano il mestiere con l'apprendistato), lavorando prima nell'esercito poi all'Hôtel-Dieu di Parigi. Incominciò così a seguire i corsi di botanica, chimica, anatomia del Jardin royal. Appassionato raccoglitore, fu d'aiuto a Tournefort per la sua flora dei dintorni di Parigi Histoire des plantes qui naissent aux environs de Paris. Fu notato da Fagon che ne fece il suo segretario. Nel 1702 gli fece ottenere il brevetto di «inserviente del laboratorio del Giardino reale», un titolo modesto che ne faceva il responsabile delle coltivazioni. Nel 1708, gli cedette il suo posto di sotto dimostratore di botanica, mentre a Tournefort, morto quell’anno, succedeva come professore il medico Antoine-Tristan Danty d’Isnard. Dopo appena un anno, quest’ultimo diede le dimissioni; Vaillant, che dal 1709 era stato nominato anche direttore del Gabinetto reale delle droghe, sarebbe stato il più qualificato ad assumere la cattedra, ma non era né medico né laureato. Così il posto andò a un outsider, il medico lionese Antoine de Jussieu che aveva solo ventiquattro anni, diciassette meno di lui. Tra i due c'era anche una certa rivalità scientifica: Jussieu era uno stretto seguace di Tournefort, mentre Vaillant aveva espresso da tempo riserve su Institutiones rei herbriae e conduceva ricerche sperimentali che lo stavano portando su strade nuove. E qui entra in scena il famoso pistacchio (Pistacia vera). Era nato nei primi anni del secolo dai semi portati dal Levante da Tournefort, prosperava, fioriva, ma non portava frutti. Vaillant venne a sapere che anche nel Giardino dei farmacisti ce n'era uno, con fiori diversi, che ugualmente fioriva senza fruttificare. Nel 1716 tagliò una fronda fiorita del pistacchio del Jardin e la scosse presso l’altro albero e viceversa. Poco tempo dopo l'albero del Giardino dei farmacisti (un esemplare femminile), così fecondato, diede i primi frutti, cosa che non fece quello del Jardin des plantes, maschio. Era la prova che serviva a Vaillant per spiegare la funzione del polline. Così decise di inaugurare il corso di botanica del 1717 con una prolusione dedicata alla funzione sessuale dei fiori. Che le piante avessero organi sessuali e che una pianta potesse portare solo fiori maschili, solo fiori femminili, oppure fiori sia femminili sia maschili non era un’idea nuova. All'inizio del Seicento, era stata suggerita da Prospero Alpini; nel 1681 Nehemiah Grew ipotizzò che gli stami fossero gli organi maschili e in Historia plantarum (1686) Ray portò numerosi esempi di piante dioiche; nel 1694 il tedesco Rudolph Camerarius in De sexu plantarum epistola diede la dimostrazione sperimentale della funzione del polline. Tuttavia, oltre ad essere ancora inaccettabile per l’opinione pubblica, la sessualità delle piante era stata respinta proprio dal maestro di Vaillant, Joseph Pitton de Tournefort, che riteneva il polline un «escremento» delle piante. Vaillant, oltre tutto, entrò in campo a gamba tesa, usando metafore antropomorfe e sessualmente esplicite, con espressioni come «letto nuziale», «consumare il matrimonio», «questi focosi non sembrano che cercare altro che soddisfare i loro violenti trasporti». Gli studenti furono elettrizzati, i professori dell’Accademia delle scienze un po’ meno. A indignare era anche il fatto che Vaillant avesse osato criticare un mostro sacro come Tournefort, mostrando quella che veniva considerata vera e propria ingratitudine. L'Accademia, alla quale Vaillant era stata ammesso nel 1716 (prima del fattaccio) arrivò addirittura ad ammonirlo ufficialmente di non attaccare più il suo maestro. Nei salotti non si parlava d'altro e quando Jussieu tornò dalla Spagna, le acque erano ancora agitate. Fino a quel momento, egli aveva seguito le idee di Tournefort ma, non essendo un dogmatico, volle capire meglio. Scrisse al farmacista Joan Salvador i Riera, che lo aveva accompagnato in Spagna, di raccogliere esemplari di fiori di piante fruttifere e non fruttifere di palme da dattero, e capì che Vaillant aveva ragione. L'anno successivo, nella prolusione del 1718, abbracciò le sue tesi, anche se le espresse con un prudente linguaggio neutro e distaccato. Vaillant applicò le sue scoperte alla sua opera maggiore Botanicon parisiense, frutto di trent’anni di ricerche, in cui descrisse sistematicamente la flora di Parigi e dintorni delineando un nuovo sistema di classificazione basato sugli organi sessuali, criticò anche con asprezza il sistema di Tournefort e usò per la prima volta nel significato moderno i termini stame, ovario, ovolo. In vista della pubblicazione, fece eseguire accuratissimi disegni a Claude Aubriet, ma si trovò impossibilitato a pagarlo; tanto meno aveva i soldi per la stampa, che certo l'Accademia non avrebbe finanziato. Nel maggio 1721, si risolse a scrivere a Boerhaave, il direttore dell'orto botanico di Leida, che liquidò il debito con Aubriet e insieme a William Sherard, amico comune, curò la pubblicazione. Una prima edizione senza figure uscì nel 1723 e Vaillant, morto nel 1722, non fece in tempo a vederla. Nel 1727, sempre a Leida, seguì una seconda edizione, con trecento tavole di Aubret incise da Jan Wandelaar, che qualche anno dopo avrebbe collaborato con Linneo per Hortus Cliffortianus. Per l'Académie, Vaillant rimase un paria: contrariamente all'uso, alla sua morte non venne commissionato il consueto elogio a Fontenelle. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Endemismi siciliani Non molto tempo prima di morire, Tournefort in una Memoria letta all'Accademia delle scienze aveva dedicato all'allievo il genere Valantia: uno di quelli che lo stesso Vaillant contestava, visto che lo considerava identico a Cruciata; del resto esprimeva le sue riserve anche sull'abitudine di denominazioni ricavate dai nomi dei botanici. Linneo lo recuperò in Species plantarum. Non solo aveva grande stima di Vaillant, in cui vedeva un proprio precursore considerando Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna, ma riteneva il genere particolarmente adatto. Non certo per la sua bellezza: si tratta di pianticelle minime, che passano inosservate, ma per le singolari caratteristiche dei fiori perfette per celebrare lo studioso della differenziazione sessuale. Questo piccolo genere della famiglia Rubiaceae raggruppa sette specie di minute erbe rupicole diffuse attorno al bacino del Mediterraneo, dalla Macaronesia al Vicino oriente. Hanno minuscole foglie carnose verticillate in gruppi di quattro, da cui il nome comune di «erba croce»; i fiori sono raggruppati in verticilli di tre: quello centrale è bisessuale, i due laterali maschili. Quattro specie (V. calva, V. deltoidea, V. hispida, V. muralis) fanno parte della flora italiana; V. calva è endemica dell’isola di Linosa dove cresce sulle pendici laviche del Monte Vulcano e di Montagna rossa. V. deltoidea è invece un endemismo della Rocca Busambra, il rilievo maggiore dei monti Sicani, dove vive nei pascoli aridi intorno a 1600 metri. Qualche approfondimento nella scheda.
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A metà Settecento, dopo quasi un secolo di confronti armati con l'Inghilterra, in Francia i grandi alberi, indispensabili per le costrizioni navali, incominciano a scarseggiare. Ne è assai preoccupato l'abate Nolin, il direttore dei vivai reali, tanto più che la perdita del Canada ha chiuso anche quella fonte di rifornimento. E' necessario ripopolare in fretta le foreste francesi con alberi dalla crescita veloce ma dal legno inattaccabile, come hanno dimostrato essere diverse specie nordamericane. I rivali inglesi lo fanno da almeno un secolo, ma adesso che le loro 13 colonie - con l'aiuto determinante degli amici francesi - hanno conquistato l'indipendenza, perché non approfittarne per mandare nei neonati Stati Uniti un esperto di silvicoltura a fare incetta di semi e alberi? E, guarda caso, c'è la classica persona giusta al momento giusto: il "botanico del re" André Michaux ha una grande pratica di coltivazione di alberi esotici ed è appena tornato da un viaggio in Persia in cui ha dimostrato di non avere paura di nulla e di essere un instancabile cacciatore di piante dall'occhio di falco. E così nel 1785 André Michaux e il figlio quindicenne François André partono per gli Stati Uniti, dove rimarranno dieci anni, prima al servizio del re, poi di una repubblica di cui condividono gli ideali di libertà, eguaglianza e fratellanza, ma da cui presto non riceveranno più un franco. Michaux padre fonda due vivai e percorre instancabile gran parte degli Stati Uniti, spingendosi anche in Canada e nella Florida ancora spagnola. La fa quasi sempre da solo, per lo più a piedi, in modo spartano. Sulle piante americane, e in particolare sugli amati alberi, presto ne sa più di tutti. Vivaista dei due mondi, manda in Francia una stupefacente quantità di piante, ma arricchisce anche i giardini americani di tante specie esotiche. Il suo libro sulla flora dell'America nord orientale farà testo per molti anni, così come quello di suo figlio sugli alberi americani. La pianta che lo celebra però non viene dall'America, ma dal Medio Oriente. Da Versailles al mar Caspio André Michaux (1746-1801) è nato nel parco di Versailles e se un evento tragico non avesse sconvolto la sua vita forse sarebbe rimasto per tutta la vita fattore reale, come lo era suo padre prima di lui. La famiglia gestisce la fattoria di Sautory e André, che ha potuto frequentare la scuola solo quel tanto che basta a imparare a leggere, scrivere e far di conto, lavora al fianco del padre fin da bambino. Alla sua morte, gli subentra come fattore insieme al fratello, ma nel 1770 sua moglie muore di parto dando alla luce l’unico figlio François André. Per André la vita non ha più senso. A sollevarlo dalla depressione è uno dei suoi vicini, Louis Le Monnier, professore di botanica del Jardin du roi, che gli fa scoprire la coltivazione di piante esotiche. Michaux fa esperimenti di acclimatazione a Sautory e incomincia a frequentare le lezioni di Antoine-Laurent de Jussieu al Trianon. Ha trovato la sua strada; si trasferisce a Parigi a studiare al Jardin du roi e nel 1779 ottiene il brevetto di «botanico reale». Il suo desiderio più ardente è viaggiare. Quell'anno, viene inviato ai Kew Gardens a studiarne le serre, quindi partecipa insieme ad André Thouin a una spedizione in Alvernia organizzata e finanziata da Lamarck. Nel 1780, da solo, va a caccia di piante nei Pirenei francesi e spagnoli. Sogna viaggi più esotici e quando viene a sapere che il nuovo console a Bassora, Jean-François Rousseau, cugino del filosofo, sta per partire per la Persia si unisce al suo seguito con la missione di raccogliere piante belle, utili e interessanti per i giardini di Maria Antonietta al Trianon e il Jardin du roi. Lasciata la Francia nel febbraio 1782, sbarcano ad Alessandretta e, dopo un soggiorno di qualche mese ad Aleppo, si uniscono a una carovana che a ottobre li porta a Bagdad, dove trascorrono l’inverno. Quindi Michaux saluta il console con l’intenzione di raggiungere l’impero persiano; sulla strada per Bassora è fatto prigioniero da una tribù in rivolta. Liberato, può finalmente continuare il suo viaggio visitando metodicamente la Persia, da Shiraz a Persepoli, da Isfahan a Julfa e fino alle rive del Caspio. Dopo un viaggio di tre anni, rientra in Francia nel giugno 1785 con più di quattrocento specie di piante. Tra di esse, Rosa persica, raccolta su un’alta montagna tra Shiraz e Isfahan, l’olmo del Caucaso Zelkova carpinifolia, il noce del Caucaso Pterocarya fraxinifolia e la pianta che oggi porta il suo nome, Michauxia campanuloides, trovata sulle montagne della Siria occidentale. Riporta anche manoscritti, medaglie, reperti archeologici, tra cui un kudurru babilonese, oggi conservato al Cabinet des medailles della Biblioteca nazionale e noto come "sasso di Michaux". Appena tornato, vorrebbe ripartire, magari di nuovo per l'Oriente, ma il ministero gli propone una meta totalmente diversa: gli Stati Uniti. Il direttore dei vivai reali, l'abate Nolin, preoccupato per il depauperamento delle foreste francesi, ha chiesto di inviare in America una missione a caccia di piante e Michaux è il candidato ideale. Così, appena tre mesi dopo il suo ritorno, riparte. La Francia è il principale alleato dei neonati Stati Uniti, che ha sostenuto attivamente nella guerra d’indipendenza da poco ufficialmente conclusa con la pace di Parigi (settembre 1783). Dunque in America Michaux può contare su buoni amici. Benjamin Franklin era vissuto molti anni tra Parigi e Versailles, diventando una figura di primo piano della società parigina; Thomas Jefferson, che lo aveva sostituito come ambasciatore, era di casa nel Jardin du roi, era spesso ospite di Buffon e aveva stretto una duratura amicizia con il capo giardiniere André Thouin. Alberi d'America Dunque il viaggio può essere organizzato con la massima rapidità. L’abate Nolin consulta i cataloghi degli orticultori americani e redige una lista delle piante più desiderabili. Michaux si imbarca con il figlio quindicenne François André, il giardiniere Paul Saunier (un altro allievo di Thouin) e un servitore e a novembre sbarca a New York. Nonostante il tempo pessimo e una lingua poco familiare, riesce quasi subito a mettere insieme un primo invio di piante e semi, che si è procurato nei vivai cittadini. Nel corso dell’inverno crea un vivaio di 30 acri a Hackensack (New Jersey) e incomincia ad esplorare i dintorni di New York. Su invito di Benjamin Frankilin, va a Filadelfia a conoscere William Bartram e a visitare il suo celebre vivaio. Poi è la volta di Mount Vernon, il magnifico parco di piante native creato dal presidente Washington; quindi, prima di rientrare in New Jersey, scende a sud fino a Fredericksburg in Virginia. L’incontro con Bartram, a sua volta un grande esploratore che tra il 1773 e il 1777 ha raccolto piante in otto colonie, dalla Pennsylvania alla Florida, è determinante; i due si scrivono, scambiano semi e informazioni, ma soprattutto è Bartram a suggerirgli di spostare il centro delle sue ricerche in South Carolina, una zona particolarmente ricca di nuove piante. Nel settembre 1786, Michaux affida il vivaio di Hackensack a Saunier e insieme a suo figlio si imbarca per Charleston. Qui, a poche miglia dalla città, crea un secondo vivaio di 111 acri che sarà la sua base operativa per i prossimi dieci anni. A Charleston c’è una grossa comunità di ugonotti di origine francese e Michaux si ambienta benissimo. Il suo giardino si sviluppa in fretta e presto può funzionare da centro di interscambio nelle due direzioni: oltre a coltivare le piante americane da spedire in Francia, si fa mandare semi dalla madrepatria e arricchisce i giardini dei suoi ricchi e influenti clienti americani di piante ancora sconosciute su questa riva dell’Oceano: tra quelle di cui gli si attribuisce l’introduzione negli Stati Uniti, Albizia julibrissin, Melia azedarach, Osmanthus fragrans, Lagerstroemia indica, Ginkgo biloba e la pianta del tè, Camellia sinensis. È chiaro che uno come Michaux non è venuto in America a fare il vivaista e non vede l’ora di riprendere a viaggiare. Appena il giardino è ben avviato, ricominciano le spedizioni. Nella primavera del 1787, dapprima in compagnia del botanico scozzese John Fraser, segue il percorso di Bartram lungo il fiume Savannah, poi si addentra da solo in territorio Cherokee fino alle sue sorgenti, scoprendo la rara Shortia galacifolia. Negli anni successivi visiterà gran parte del nord America orientale, spingendosi anche nella provincia canadese del Quebec, nella Florida spagnola e nelle Bahamas. Esplorò con particolare intensità la Georgia e le Caroline, in particolate la regione del Piedmont che visitò ben sette volte. Amava viaggiare da solo, a piedi o a cavallo, e con un bagaglio minimo. Se trovava ospitalità per la notte, bene; altrimenti, si poteva dormire benissimo anche sotto le stelle. Aveva un occhio d’aquila, si fermava ad osservare ogni pianta ed era abilissimo a scovare nuove specie anche in zone già battute, come notò l’amico Bartram. Nel 1792 fece un lungo viaggio fino alla baia di Hudson; al ritorno, ebbe un colloquio con Jefferson, all’epoca segretario di stato, a cui propose di esplorare la sorgente del Missouri, individuare la linea di spartiacque e scendere fino al Pacifico. Jefferson era tentato, ma per opportunità politica rinunciò, tanto più che Michaux si trovò coinvolto in un incidente diplomatico; l’ambasciatore francese Genêt, che stava cercando di organizzare gruppi di volontari e una sommossa per strappare New Orléans agli spagnoli, approfittò dei suoi viaggi botanici per affidargli vari messaggi segreti. Le trame di Genêt indignarono il generale Washington che difendeva l’assoluta neutralità degli Stati Uniti nel conflitto tra Francia e Spagna; quando il coinvolgimento del botanico emerse, egli venne a trovarsi in una situazione difficile. Da lontano, aveva seguito con trepidazione le vicende francesi, divenendo un ardente rivoluzionario. Eppure proprio la rivoluzione finì per rovinarlo. Con la ripresa della guerra, divenne sempre più difficile fare giungere i suoi invii in Francia. Il governo rivoluzionario cessò di pagargli lo stipendio e di rimborsargli le spese. Nel 1795, dopo un ultimo viaggio, si decise a tornare casa. In dieci anni, aveva inviato in patria 90 casse di semi e 60.000 pianticelle. Tra le piante da lui introdotte in Europa molte nuove specie di querce, aceri, noccioli, lo spettacolare Rhododendron catawbiense, Magnolia micahuxii (oggi M. tripetala), la sfolgorante Cladrastis lutea, che d’autunno si tinge d’oro. Durante il viaggio di ritorno, sulle coste olandesi fu vittima di un naufragio in cui perse tutti i suoi effetti personali ma riuscì a salvare gran parte delle collezioni. Tornato a Parigi, non riuscì a ottenere se non in minima parte il pagamento degli arretrati. Nel 1800, accompagnato dall’aiuto giardiniere Jean-François Cagnet, si imbarcò con la spedizione Baudin, ma non andava d’accordo con il comandante e non accettava le nuove direttive che imponevano di consegnare tutte le raccolte al governo; a Mauritius sbarcò, vi rimase un anno, poi, sulle orme di Commerson, andò in Madagascar. Anche qui creò subito un giardino d’acclimatazione, ma, dopo appena tre mesi morì di una febbre tropicale. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Prima di partire per l’ultimo viaggio era riuscito a scrivere una monografia sulle querce americane e soprattutto Flora boreali-americana , pubblicata postuma a cura del figlio François-André e di Louis-Claude Richard, con le illustrazioni di Redouté. Quest’opera, che descrive 1700 piante, 40 delle quali inedite, fu a lungo la più completa flora del nord America orientale. Dopo la sua morte, il governo francese inviò in America François André Michaux a liquidare i due vivai. Al suo rientro, egli scrisse Mémoire sur la naturalisation des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Nel 1806, incaricato di individuare le specie arboree più adatte all'acclimatazione in Francia, ripartì per Charleston, ma durante la traversata fu catturato da una nave inglese e imprigionato alle Bermuda: una prigionia per modo di dire, che gli permise di esplorare la flora dell'isola St George. Tornato in patria, pubblicò l'importante Histoire des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Vero continuatore dell'opera paterna, visse fino a tarda età e per un trentennio fu l'amministratore della Société centrale d’agriculture per la quale creò l'arboretum di Harcourt, ricchissimo di specie americane. Campanelle levantine Numerose sono le specie che in ricordo di André Michaux portano l’eponimo michauxii: tra gli alberi, che erano i suoi preferiti, Quercus michauxii, Betula michauxii oppure Pyrus michauxii; ma ci sono anche arbusti, come il raro sommacco nano Rhus michauxii, bulbose come Lilium michauxii o erbacee come la piccolissima Minuartia michauxii. Il genere Michauxia gli fu dedicato nel 1788 da un altro botanico francese, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. Appartenente alla famiglia Campanulaceae, comprende sette specie di piante erbacee diffuse dal Mediterraneo orientale al Caucaso e all’Iran; la più nota è proprio la specie riportata da Michaux dal suo viaggio in Persia, M. campanuloides, un’alta erbacea annuale o perenne di breve vita con curiosi fiori bianchi a campana rovesciata con petali retroflessi e stilo verdastro protruso. Simile è M. tchihatchewii, che conquista la palma di una delle più impronunciabili tra le denominazioni botaniche. Tutto per la colpa della trascrizione francese del nome russo Čjačev (forse un diplomatico che operava nella Francia dell'Ottocento). Altre informazioni nella scheda. Negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento, la Francia del re Sole lancia una serie di spedizioni scientifiche: i viaggi di Plumier nelle Antille, il viaggio in Levante di Tournefort, la tragica spedizione di Lippi in Sudan. Di tre viaggi è protagonista padre Feuillée, frate minimo come Plumier, e provenzale come quest'ultimo e Tournefort. E' un astronomo e un cartografo e le sue spedizioni si muovono sempre sul sottile confine che separa l'esplorazione scientifica dallo spionaggio: prima è in Levante a disegnare carte e fare il punto su installazioni strategiche come porti, poi nelle Antille, infine, nel viaggio più importante, in Cile, mai esplorato da nessun studioso prima di lui. All'astronomia alterna la botanica: alle piante dedica il giorno, agli astri la notte. In appendice al suo Journal pubblica la prima rassegna della flora cilena e peruviana, con un occhio di riguardo alle specie officinali. Linneo si ricordò di lui dedicandogli il genere Fevillea, con semi ricchissimi di oli da secoli utilizzati nella farmacopea indigena e oggi forse una fonte alternativa di combustibili e preziosi grassi alimentari. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei? I tre viaggi di Plumier nelle Antille avevano dimostrato le grandi potenzialità botaniche di quell'area; così nel 1703, quando si offrì la possibilità di inviare in Martinica un astronomo e cartografo, Fagon, l'archiatra del re Sole e intendente del Jardin royal, insistette perché la missione avesse anche risvolti botanici. La scelta cadde su un altro frate minimo, forse allievo di Plumier: Louis Feuillée. Anche lui era provenzale e fin da ragazzo aveva dimostrato grande attitudine per la fisica e la matematica. Nel 1680, a vent’anni, prese i voti, l'unico modo per continuare gli studi per un giovane senza mezzi; nel convento di Marsiglia ebbe modo di studiare astronomia e cartografia e forse incontrò Plumier che lo avrebbe iniziato alla botanica. Tuttavia il campo in cui si fece notare fu l'astronomia: due saggi pubblicati nel 1697 e nel 1699 nelle Memorie dell’Accademia delle scienze attirarono l’attenzione dell’astronomo reale Giovanni Domenico Cassini che nel 1700 lo inviò nel Mediterraneo orientale a determinare la posizione geografica di vari porti. L’elogiativo rapporto di Cassini spinge il ministro Pontchartrain e Fagon ad affidargli la missione nelle Antille, dove dovrà fare rilievi cartografici e e osservazioni astronomiche ma anche, auspice Fagon, proseguire le ricerche botaniche di Plumier. Il 5 febbraio 1703 il frate si imbarca a Marsiglia sulla nave Grand Saint Paul diretta in Martinica con un carico di deportati. Sbarcato l’11 aprile, viene accolto nel convento dei domenicani di Saint-Pierre, ma poco dopo si ammala di febbre gialla. La sua robusta costituzione gli permette di recuperare; nei quattrodici mesi che trascorre nell’isola, come racconterà lui stesso, divide il suo tempo osservando le piante di giorno, gli astri di notte. Arrivato in Martinica su una nave di galeotti, ne riparte su un vascello corsaro. Il 4 luglio 1704 si imbarca sull’Ambitieuse, un veliero armato con sessanta cannoni, inviato nel mare dei Caraibi a insidiare le navi mercantili spagnole. Alla ricerca di prede, la nave corsara fa scalo a La Guaira in Venezuela, poi risale verso l’attuale Colombia, toccando Porto Cabello, Santa Maria (dove c’è uno scontro a fuoco con gli spagnoli), Porto Bello. Il 5 dicembre raggiunge Cartagena, dove il nostro frate sbarca salutando l’onorevole compagnia. Ha intenzione di raggiungere il Pacifico, ma il progetto si rivela irrealizzabile; dopo due mesi trascorsi ancora a fare osservazioni cartografiche e astronomiche, trova un passaggio su un piccolo vascello di filibustieri che, passando per San Domingo e Saint Thomas, lo riporta in Martinica. Vi trascorre ancora un anno, prima di poter rientrare in Francia il 21 giugno 1706. Da questo primo viaggio riporta una messe di dati astronomici, rilievi cartografici, disegni e numerose piante. Ridisegna la carta della Martinica e si guadagna il titolo di «matematico del re». Ma già Ponchartrain e Fagon progettano una nuova missione per questo frate che ha dimostrato di sapersi muovere abilmente in situazioni difficili: dovrà recarsi in Sud America per rilevare le esatte posizioni geografiche delle coste del Cile e del Perù. In piena guerra di successione spagnola, siamo a metà tra la spedizione scientifica e lo spionaggio. Infatti il buon padre Fueillée è costretto nuovamente ad accompagnarsi a corsari; ma adesso (insediatosi Filippo V a Madrid) i nemici non sono più spagnoli, ma inglesi e olandesi. Dato che molte navi nemiche incrociano nel Mediterraneo, la Saint-Jean-Baptiste su cui si è imbarcato a Marsiglia, raggiunge Tolone per unirsi a una flotta protetta dal vascello corsaro l’Heureux retours, comandato da Nicolas Lambert. Per evitare incontri pericolosi, seguono una rotta contorta e, partiti da Tolone il 14 dicembre 1707, solo il 9 maggio 1708 sono a Gibilterra. Il passaggio è sorvegliato da due fregate inglesi. Pur sapendo che l’esito è scontato, Lambert affronta la battaglia e si lascia catturare: ma con il suo sacrificio permette agli altri vascelli francesi di sfuggire e continuare il viaggio. Il primo scalo della Saint-Jean-Baptiste è Tenerife, dove sosta circa un mese. Il frate si immerge con gioia nella ricca flora canaria. L’11 luglio ripartono e 14 agosto raggiungono Buenos Aires; il comandante decide di attendere l’estate australe prima di affrontare il difficile passaggio del Capo Horn. Fueillée ne approfitta per fare i rilievi necessari a disegnare una nuova carta dell’estuario del Rio de la Plata. Ripartiti il 9 ottobre, negli ultimi giorni dell’anno superano senza troppe difficoltà Capo Horn e il 21 gennaio gettano l’ancora a Concepcion in Cile. Ah, Sud America Sud America! La vera missione di padre Feuillé è solo all’inizio: rimane circa un mese a Conception, dove fa osservazioni astronomiche e raccoglie campioni di piante e animali; poi si sposta verso nord, toccando Valparaiso, Pisco, Callao e infine Lima, dove soggiorna per circa nove mesi. Nel gennaio 1710 riscende verso sud e, prima di tornare a Concepcion a cercare un imbarco, visita ancora Coquimbo e Arica. Il viaggio si protrae per un altro anno, con una lunga sosta a Conception, finché il 6 gennaio 1711 si imbarca sul Philipeaux e il 27 agosto è a Brest, dopo un’assenza di tre anni e otto mesi. Durante il lungo viaggio, come scrive uno dei suoi biografi, Paul Autran, «si dedicò a fissare la posizione e disegnare le mappe di tutti i porti, a correggere gli errori dei geografi precedenti in vari punti del suo itinerario, e raccolse un’infinità di piante, oggetti e osservazioni di storia naturale» ; fu tra l’altro uno dei primi astronomi a misurare la longitudine utilizzando segnali astronomici. Al ritorno, presentò personalmente i suoi disegni al re, che gli concesse una pensione e lo premiò con un dono graditissimo: la costruzione di un osservatorio tutto per lui nel convento dei minimi di Marsiglia, dove sarebbe vissuto quasi stabilmente fino alla morte, nel 1732. Già anziano, nel 1724, parteciperà ancora a una spedizione scientifica nelle isole Canarie, anche se dovrà rinunciare a scalare il picco del Teide insieme ai suoi più giovani accompagnatori. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Feuillé ha documentato il viaggio in Sud America nei tre volumi del suo Journal, pubblicato tra il 1712 e il 1725; in appendice al secondo e terzo volume vengono trattate le piante cilene e peruviane, sotto il titolo Histoire des plantes médicinales qui poussent sur les côtes du Chili et du Pérou. Le piante trattate sono un centinaio, molte delle quali mai descritte in precedenza. Di ciascuna viene dato un nome-descrizione in latino, seguito dal nome indigeno; seguono la descrizione in francese, solitamente molto dettagliata, indicazioni sull’habitat e gli eventuali usi terapeutici. Di eccellente qualità le tavole, ricavate da disegni e acquerelli eseguiti dal vivo dallo stesso Feuillée, che insieme alle precise descrizioni ci permettono di riconoscere facilmente, tra le altre, Alstroemeria ligtu e A. pelegrina, Lapageria rosea, Nicandra physaloides, Argylia radiata, Lobelia tupa, Mimulus luteus, Brugmansia arborea, Tropaeolum majus e T. minus. Tra le specie alimentari troviamo il pepino (Solanum muricatum), due specie di Passiflora, il lulo o naranjilla (Solanum quitoense), l’alchechengi peruviano (Physalis peruviana), la quinoa (Chenopodium quinoa), l’annona (Annona cherimolia), la caigua (Cyclanthera pedata). Una liana dai semi oleosi L’opera botanica di Feuillé ha grande importanza storica, soprattutto per la flora cilena, mai studiata in precedenza, ed è anche di buon livello, nonostante l’autore fosse un astronomo prestato alla botanica. Ne aveva stima anche Linneo che gli rese omaggio ribattezzando Fevillea due specie alle quali Plumier aveva conservato la denominazione indigena Nhandiroba . Il genere Fevillea L. (famiglia Cucurbitaceae) comprende otto specie di liane rampicanti che vivono nelle foreste umide, dal Messico meridionale e dai Caraibi all’Argentina settentrionale. Una scelta opportuna, trattandosi di zone esplorate dal solerte frate-astronomo. La loro caratteristica più notevole sono i semi, i più grandi della famiglia (un seme secco può pesare anche 9 grammi) e i più ricchi di grassi tra le dicotiledoni. Le specie più nota e più diffusa è F. cordifolia, una liana che si aggrappa alle piante circostanti per mezzo di viticci e può allungarsi anche per 30 metri. Dioica, ha fiori maschili campanulati, piatti, con cinque lobi giallo aranciato, e fiori femminili con lobi brunastri tomentosi. L'ovario globoso si trasforma in un frutto tondeggiante, che contiene numerosi semi oleosi, da cui viene estratto un olio dal sapore simile a quello di arachide, utilizzato sia come alimento sia come combustile. Inoltre nella medicina tradizionale trova impiego come purgante, rimedio per affezioni di varia natura, emetico e antiveleno, come ricorda il nome inglese antidote vine. Un'altra specie da cui si ricava un olio alimentare è la brasiliana F. triloba. Recenti studi hanno sottolineato le potenzialità di queste piante, che potrebbero essere una buona fonte di combustibili e grassi alimentari a basso impatto ecologico. Qualche approfondimento nella scheda. Ultimo esponente di un'illustre famiglia di astronomi, Henri Cassini (ovvero Cassini V) fu costretto a rompere la tradizione, e invece che di astri si occupò di... Aster, o meglio di Asteraceae. Di questa immensa famiglia, la più estesa tra le piante da fiore, elaborò la prima classificazione, così puntuale e innovativa da gettare le basi di tutte le sistematizzazioni successive. Fu il primo a raggruppare i generi in tribù e a intuire relazioni ed affinità evolutive tra i diversi gruppi. La sua impronta è tuttora largamente presente nelle denominazioni della famiglia, con circa 130 dei generi da lui stabili tuttora validi. Tra le specie che ha descritto e denominato, molto opportunamente per un discendente di astronomi, non poteva mancare la stella alpina, Leontopodium alpinum Cass.; e non stupisce che Cassinia, il genere con cui Robert Brown volle onorarlo, appartenga alla famiglia Asteraceae. Una nascita all'Osservatorio Il 9 maggio 1781, nell'appartamento di famiglia situato al primo piano dell'Osservatorio di Parigi, viene alla luce Alexandre Gabriel Henri Cassini (d'ora in avanti, lo chiameremo semplicemente Henri, come spesso si firmava). Il suo destino sembra già tracciato: come il trisnonno Giovanni Domenico, detto Cassini I (1625-1712), il bisnonno Jacques, detto Cassini II (1677-1756) e il nonno César-François, detto Cassini III (1714-1784), studierà astronomia e a suo tempo dirigerà l'Osservatorio. Da più di un secolo i Cassini si tramandano quell'incarico di padre in figlio, e dal 1771 con Cassini III il titolo di "Direttore generale" dell'Osservatorio è diventato anche formalmente ereditario, così come il diritto di abitare in quell'appartamento. Nel 1784, Jean-Dominique, detto Cassini IV, che già da tempo affianca l'anziano padre, ne prende puntualmente il posto. Cerca di convincere il re a finanziare un rinnovamento dell'edificio e delle attrezzature ormai obsoleti e intanto completa la carta generale di Francia (la "carta di Cassini") iniziata da suo padre. Nel 1787 partecipa alle rilevazioni per stabilire la distanza esatta tra gli osservatori di Greenewich e Parigi. Al piccolo Henri incominciano ad essere impartite le prime nozioni di astronomia. Ma la storia si incarica di rimescolare le carte. Il 16 luglio 1789, due giorni dopo la presa della Bastiglia, trecento rivoluzionari irrompono nell'Osservatorio alla ricerca di viveri, armi, munizioni; non trovano nulla, ma in mancanza di meglio strappano il piombo della cupola per farne pallottole. Cassini IV è fedele alla monarchia: la sua famiglia è stata grandemente beneficiata dai Borboni, si è imparentata con la nobiltà, ed egli stesso si fregia del titolo di conte. Nel 1791 l'Accademia delle Scienze, al fine di stabilire la lunghezza corretta del metro, decide di effettuare una nuova misurazione del meridiano di Francia (la prima era stata portata a termine nel 1718 da Cassini I e Cassini II ed era stata rettificata da Cassini III nel 1740) e istituisce una commissione apposita, formata da Cassini IV, Legendre, Méchain e Borda. I quattro il 19 giugno vengono ricevuti da Luigi XVI. Il re è perplesso e chiede a Cassini: "Davvero volete misurare di nuovo il meridiano che vostro padre e vostro nonno hanno misurato prima di voi? Pensate di saperlo fare meglio?". Cassini replica: "Sire, non mi lusingo di essere migliore di loro. Ma i miei strumenti sono quindici volte meglio". Il giorno dopo il re prende la fuga, ma viene intercettato a Varennes e arrestato. La situazione precipita anche dalle parti dell'Osservatorio. Cassini IV si scontra con i suoi assistenti che lo accusano di pubblicare a suo nome i loro lavori. Nelle sue memorie, l'astronomo ne traccia un ritratto patibolare: il più vecchio, Nicolas-Antoine Nouet, è l'ex cappellano dell'osservatorio con il quale ha rotto ogni rapporto quando ha saputo che si è spretato e intende sposarsi con la sua serva; il secondo, Jean Perny, avrebbe anche talento, ma una notte è rientrato ubriaco dal suo club giacobino e ha incominciato a tempestare la sua porta con l'elsa della spada gridando "Cassini l'aristocratico a morte!"; il terzo, Alexandre Ruelle, è un disertore che egli ha accolto generosamente e adesso gli si rivolta contro. L'Assemblea nazionale vede le cose diversamente. E' ora che anche all'Osservatorio il monarca Cassini ceda il posto alla repubblica: dovrà dividere le responsabilità alla pari con i suoi tre assistenti, e ciascuno di loro sarà direttore a turno, per un anno; la sua paga sarà dimezzata. Cassini IV dà immediatamente le dimissioni; l'Assemblea nazionale gli dà 24 ore di tempo per sgomberare l'appartamento dove la sua famiglia vive da 122 anni. I Cassini si trasferiscono nel loro castello di Thury. Durante il Terrore, Jean-Dominque è arrestato e rimane in carcere per otto mesi e mezzo. Il Termidoro gli salva la vita. D'ora in avanti dedicherà tutta la vita (lunghissima, visto che morirà nel 1845, a 97 anni) alla stesura di testi polemici in difesa della reputazione scientifica propria e dei suoi antenati. a.C. e d.C (prima e dopo Cassini) Quando viene cacciato dall'Eden dell'Osservatorio, Henri ha dodici anni. E' evidente che non sarà mai astronomo. Anzi, neppure scienziato, almeno non ufficialmente. Dopo aver completato gli studi, entra in magistratura e percorre una carriera di successo: negli anni napoleonici, è giudice del tribunale di prima istanza della Senna, di cui nel 1811 diventa vice-presidente. Con la restaurazione, diventa consigliere quindi presidente della Corte Reale di Parigi (l'equivalente della corte d'appello) e consigliere della corte di Cassazione. Nel 1831 Luigi Filippo lo nomina pari di Francia. L'anno dopo, a soli cinquant'anni, Cassini V muore di colera, ultimo membro della famiglia. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Eppure anche il nostro Henri Cassini raccoglie, in altro modo, l'eredità scientifica dei suoi avi. Non misura meridiani, non disegna carte, non osserva gli astri con il telescopio; ma nel suo tempo libero studia appassionatamente, disseziona, osserva al microscopio le sue piante preferite: le Asteraceae (il nome prevalente ai suoi tempi era Compositae, ma lui amava chiamarle Synantherées, ovvero "piante con stami caratterizzati da antere fuse in unico corpo"). A chi gli chiedeva perché le avesse scelte, rispondeva che la dissezione di una margherita richiede poca empatia. Oltre a studiarle, le coltivava nel giardino di Thury, facendo anche esperimenti di introduzione soprattutto di specie americane . I suoi studi su questa famiglia (la più vasta delle Fanerogame, con forse 32.000 specie e 1900 generi) sono così importanti che qualcuno ne ha diviso la storia in due ere: prima e dopo Cassini. Anzi è considerato il vero fondatore di questo ramo della botanica, che grazie a lui si chiama sinanterologia. Tra il 1812 e il 1831, Cassini V pubblicò circa 65 articoli, in cui propose la prima divisione delle Asteraceae in tribù, sezioni e sottosezioni. Il suo sistema, pur con aggiustamenti dei tassonomisti successivi, ha gettato le base della classificazione della famiglia fino a tempi molto recenti; anzi si può dire che perdura in altra forma anche oggi, quando le relazioni tra le tribù (molte delle quali coincidono con quelle riconosciute da Cassini) sono studiate sulla base di dati molecolari. Henri Cassini non scriveva in latino, ma in francese e pubblicò buona parte dei suoi articoli nel Dictionnaire des Sciences Naturelles di Cuvier tra il 1816 e il 1830; contemporaneamente articoli sugli stessi taxa uscivano in riviste come il Bulletin des Sciences della Société Philomatique de Paris, il Journal de Physique, de Chimie, d’Histoire Naturelle et des Arts et Métiers, Annales des Sciences naturelles, a volte con sovrapposizioni che creano qualche confusione. Il suo intento era stabilire una classificazione naturale delle Asteraceae, secondo la tradizione della scuola tassonomica francese; si basò dunque sull'osservazione minuziosa, sull'analisi sistematica e sul confronto tra il maggior numero possibile di caratteristiche morfologiche, che includono l'ovario, lo stilo, gli stami, la corolla staminata, il capolino, il ricettacolo, le brattee, il portamento, lo scapo, le foglie, il colore delle corolle, senza lasciarsi sfuggire neppure gli elementi più minuti. Il suo sistema, esposto nel 1816 e poi via via perfezionato, suddivide la famiglia in 19 tribù. Originale e suggestivo è anche il metodo di cui si servì per presentare quelle che chiama le "affinità" tra di esse: un diagramma in cui ciascuna tribù, posta in un cerchio, si sistema lungo un'ellisse, accanto alle tribù più vicine. Le Heliantheae, le Asteraceae più tipiche con capolini completi di flosculi ligulati e flosculi del raggio, stanno in basso al centro, le Eupatorieae e le Veronieae con capolini solo discoidi occupano il vertice sinistro, in contrapposizione a Mutisieae e Lactucaceae (= Cichorieae) con capolini solo ligulati posti al vertice destro. Linee continue e tratteggiate suggeriscono altri legami possibili E' stato ipotizzato che il concetto di "affinità" sia stato influenzato dalle teorie evoluzioniste di Lamarck (Philosophie zoologique uscì nel 1809); ma forse per Cassini sarebbe stato poco diplomatico parlare apertamente di evoluzione, dato che, come abbiamo visto, i suoi lavori furono pubblicati per lo più sull'Enciclopedia di Cuvier, che di quelle posizioni fu acerrimo avversario. Cassini fu anche un prolifico creatore di generi: ne descrisse e stabilì 391; molti sono oggi ridotti a sinonimi, ma è significativo della alta qualità del suo lavoro che circa 130 siano ancora accettati, ovvero circa l'8% delle denominazioni della famiglia. Tra di essi, per citare solo alcuni dei più noti, Brachyscome, Callistephus, Eurybia, Euryops, Felicia, Glebionis, Gynura, Kalimeris, Leontopodium, Ligularia, Pallenis. Ed è simpatico pensare che la stella alpina debba il suo nome botanico Leontopodium alpinum a questo discendente di astronomi. Omaggi coniugali Nel 1812 Henri Cassini si sposò con Catherine Elisabeth Agathe de Riencourt, che era anche sua cugina, essendo figlia di Louis Henri de Riencourt e Françoise Elisabeth Cassini, sorella di suo padre. La coppia non ebbe figli. Non sappiamo quasi nulla di Mme la contesse Cassini. Intorno al 1839, il suo nome appare tra i sottoscrittori di una raccolta fondi a favore dell'Abbaye du Gard. Probabilmente viveva a Parigi, dove morì nel 1861, quasi trent'anni dopo il marito. Grazie all'affetto di Henri, anche lei è entrata a fare parte dei dedicatari di generi celebrativi, ben due volte. Nel 1816 il marito le dedicò Agathaea, sulla base di A. coelestis, una bellissima margherita sudafricana dalle corolle azzurre. Oggi non si chiama più così perché il genere è confluito in Felicia, un'altra creatura di Cassini, ma il nome persiste non solo in vecchie pubblicazioni e abbastanza spesso come nome commerciale, ma anche nel nome comune agatea (spesso scritto così) di quella che ora si chiama Felicia amelloides. Nel 1818 Cassini replicò con Riencourtia, ricavato dal cognome della moglie. Questo piccolo genere sudamericano, con cinque specie diffuse nelle savane da Panama al Brasile settentrionale, non ha i pregi estetici di Agathaea-Felicia. Si tratta infatti di modeste erbacee annuali o perenni con esili fusticini alquanto ramificati, foglie più o meno da ovate a lanceolate, e minuscoli capolini bianchi o lilla con pochi fiori tubolosi e un unico fiore fertile. Una sintesi delle poche informazioni disponibili in rete e un elenco delle specie nella scheda. Cassinia, arbusti australiani E' invece un grande genere di notevole impatto estetico quello che onora lo stesso Henri Cassini: Cassinia, omaggio di Robert Brown. Inutile dire che anche queste piante sono Asteraceae, diffuse prevalentemente nell'Australia sud-orientale, ma anche nelle isole Norfolk e in Nuova Zelanda. Il genere comprende più di quaranta specie. Sono grandi arbusti legnosi o piccoli alberi, di portamento prostrato o eretto, con foglie dai margini ricurvi o arrotolati e vistose infiorescenze corimbose, piramidali o raccolte in grappoli compatti. Visti da vicino, i piccoli fiori ricordano un po' quelli dei nostri Gnaphalium (e infatti Cassinia appartiene alla tribù Gnaphalieae), per l'involucro con numerose brattee cartacee. Il colore va dal bianco al cinerino al giallo oro. Una delle specie più diffuse è C. aculeata, nota infatti come "common Cassinia", un grande e folto arbusto con foglie lunghe e strette quasi arrotolate su se stesse e fitte infiorescenze terminali bianco crema. C. arcuata, caratterizzata da rami sottili e arcuati, ha dimensioni minori, foglie aromatiche molto minute e ciuffi di piccoli fiori biancastri che durano mesi, per poi essere sostituiti dai frutti, di aspetto non dissimile. Poiché ciascuna pianta produce migliaia di semi, è invasiva, ma è anche una specie pioniera che è stata utilizzata per il recupero di aree disturbate. Ha invece fiori dorati C. cunninghamii, un piccolo arbusto con fusti e foglie tomentose. E' stata invece recentemente trasferita a Ozothamnus C. leptophylla, oggi Ozothamnus leptophyllus. Qualche approfondimento nella scheda. Quando il suo nome viene proposto come naturalista della spedizione Bougainville, Philibert Commerson ha già 39 anni; non può più contare sulla forza fisica che, giovane, gli ha permesso di percorrere più volte, erborizzatore solitario, le Alpi e i Pirenei. Accetta solo a condizione di essere accompagnato da un servitore a carico della Corona. Così, all'imbarco dell'Etoile si presentano in due, Commerson e Baret. In definitiva, sarà questa scelta a impedire a Commerson di tornare in Francia, dove pure lo aspetta un bimbo, e a fare di lui il primo esploratore della flora delle isole Mascarene e di Madagascar. Inoltre, farà sì che le circostanze della sua vita privata incuriosiscano i posteri molto di più della pur formidabile attività scientifica: negli ultimi anni, non si contano i romanzi, le biografie, gli articoli dedicati a Baret, mentre di Commerson come naturalista si occupano solo gli specialisti. Nella nomenclatura botanica, le cose vanno all'opposto: il genere Baretia, che avrebbe dovuto ricordare Baret anche nel regno di Flora, non è valido, al contrario di Commersonia, omaggio di una coppia di colleghi altrettanto sfortunati. Giovinezza di un botanico fanatico Il 21 marzo 1773 l'Accademia delle scienze parigine ammette tra i suoi membri due botanici: il giovane Antoine-Laurent de Jussieu, che ha appena presentato una memoria sulla famiglia dei Ranuncoli, e Philibert Commerson, che, per quanto ne sanno gli accademici, è ancora a Mauritius a raccogliere piante. Non si potrebbero immaginare due modi più diversi di essere botanici, anzi di "vivere" la botanica. Jussieu, oltre che l'erede della più illustre famiglia di botanici di Francia, dunque un uomo di potere che sa usare tutti gli agganci per perseguire il successo personale, è un tassonomista, uno che passerà tutta la vita studiare esemplari d'erbario, a confrontare, a scrivere (e con quali grandiosi risultati!). Commerson, oltre ad essere un ousider, un eremita, un uomo isolato e fuori degli schemi, è soprattutto un instancabile raccoglitore, un erculeo creatore di erbari che ammassa esemplari a migliaia. Certo, ha scritto molto anche lui, ma senza mai pubblicare nulla, un po' per perfezionismo, un po' per sfortuna. Infatti, quando arriva quella nomina è già morto da otto giorni. Aveva appena 46 anni. Non solo i suoi manoscritti rimarranno incompleti, ma le sue raccolte andranno in parte disperse o saranno trascurate da chi avrebbe dovuto pubblicarle, non ultimo proprio Antoine-Laurent. L'ultima sventura di una vita difficile. Ma andiamo con ordine. Philibert Commerson è nato nel 1727 in una cittadina della Bresse; è il figlio maggiore di un notaio e maggiorente locale, che vorrebbe seguisse le sue orme. Ma Philibert, già innamorato della natura, vuole diventare medico e naturalista. Dopo uno scontro che non dovette essere facile, il padre cede e gli permette di studiare medicina a Montpellier. Qui le sue doti sono apprezzate da Antoine Gouan, ma il suo fanatismo, che lo spinge a saccheggiare l'orto botanico dell'università per arricchire il proprio erbario, spinge il conservatore, François de Sauvage, a vietargliene l'ingresso. Commerson continuerà a rifornirsi, scalando le mura del giardino nottetempo. Ma sull'esempio di Sauvage creerà uno splendido erbario di sole foglie delle piante che crescono nei dintorni di Montpellier. Dopo esserci laureato, prima di tornare a casa va a erborizzare tra Cevenne, Savoia e Svizzera. Passa da Ferney a fare visita a Voltaire, che vorrebbe assumerlo come segretario; ma Commerson rifiuta: quel filosofo ha una faccia da birbante; meglio tornare nella Bresse, raccogliendo piante lungo la strada. E' medico, ma non esercita la professione. A trent'anni, dipende ancora dai genitori. Nella casa paterna di Châtillon-les-Dombes crea un orto botanico privato, visita i giardini e gli orti botanici della regione, e intesse una rete di corrispondenti con cui scambia semi ed esemplari. Il suo nome incomincia ad essere conosciuto tanto che Linneo, anche grazie al suo buon amico Gouan, gli chiede di raccogliere e descrivere le piante marine, le conchiglie e i pesci del Mediterraneo per il gabinetto di curiosità della regina di Svezia; non sappiamo in che modo Commerson assolse l'incarico, ma al Museo di Stoccolma è ancora conservata la sua bella collezione di pesci. Un editore gli propone di pubblicare uno studio di ittiologia, ma Commerson declina. Tutto il tempo che può lo dedica alle raccolte sul campo, e lo fa nel suo solito modo eccessivo. Lasciamo la parola al suo futuro cognato, il curato François Beau: "Per otto o nove anni consecutivi, ha trascorso le estati alternativamente nelle Alpi e nei Pirenei per cercare piante e insetti in queste montagne che ha percorso almeno tre o quattro volte; viveva di pane e di latticini che acquistava dai pastori e dormiva sulla paglia nelle loro capanne". Al ritorno, alle fatiche della raccolta seguono, altrettanto forsennate, quello dello studio. A raccontarcelo è l'amico Lalande: "Passava settimane intere, giorni e notte, senza interruzione, senza sonno e senza riposo, concentrato nelle ricerche di botanico, nell'esame e nella sistemazione delle ricchezze che aveva raccolto erborizzando o che aveva ottenuto dai suoi corrispondenti. Spesso all'alba era ancora lì, con la sua lampada accesa, senza essersi accorto che era rinato il giorno". La famiglia pensa che è ora che metta la testa a posto e gli combina un matrimonio. La prescelta è Antoinette Vivante Beau, la figlia di un altro notaio. La coppia va a vivere nel villaggio di Toulon-sur-Arroux, nel Charolais, dove François Beau è curato. Il matrimonio è straordinariamente felice e Commerson sembra trovare un equilibrio tra la vita del medico di villaggio e la passione botanica. Ma dopo due anni, Antoinette muore dando alla luce il piccolo Archambault. Philibert cade nella depressione più nera, che alterna a fiammate di furore botanico. Intermezzo: lo svelamento di Baret A strapparlo al suo malinconico ritiro pensa un conterraneo e amico d'infanzia, l'astronomo Jêrome de Lalande, che sta facendo una brillante carriera scientifica nella capitale. Così nel 1764 Commerson si trasferisce a Parigi e va ad abitare non distante dal Jardin des Plantes, mentre il piccolo Archambaud, che adesso ha due anni, rimane al paese, affidato allo zio materno. Meno orso di quanto potremmo pensare, il botanico si inserisce abbastanza bene negli ambienti scientifici parigini: frequenta i naturalisti del Jardin des Plantes e Lalande lo introduce nei circoli dei matematici e degli astronomi. Gli fa conoscere l'accademico e medico Pierre-Isaac Poissonnier, ispettore della marina e delle colonie; probabilmente grazie a lui Commerson è scelto come naturalista della spedizione Bougainville. Per quest'ultima egli redige un programma di ricerche così articolato da apparire troppo ambizioso persino a lui, e si dimostra molto abile a negoziare le sue condizioni: la nomina a botanico del re, uno stipendio di tutto rispetto, un servitore a carico della corona. Durante una delle sue escursioni solitarie, è stato ferocemente morso da un cane e la ferita non è mai guarita del tutto; è claudicante e ha bisogno di assistenza per la raccolta e il trattamento degli esemplari. Riprendiamo dunque il filo del racconto dove lo avevamo lasciato nel post dedicato alla spedizione Bougainville. Commerson e Baret si imbarcano tra gli ultimi. Il botanico ostenta di non conoscere il giovane servitore: Jean Baret gli si è presentato a Rochefort e ha chiesto di assumerlo, spinto dal desiderio di avventura. I due si sistemano nella cabina ceduta dal capitano e durante la traversata ne escono raramente: Commerson soffre atrocemente di mal di mare, l'ulcera alla gamba si è aggravata e deve essere continuamente assistito. Sulle vicende successive, possediamo diverse versioni. Cominciamo da quella di Bouganville, non necessariamente la più vera, ma quella ufficiale. Come già sappiamo, durante gli scali in America Baret assiste instancabile Commerson, trasporta cibo, armi e munizioni, raccoglie e sistema gli esemplari. Si arrampica agile e audace sulle montagne dello Stretto di Magellano. Alla fine, le raccolte americane di padrone e servitore ammonteranno a 1800 esemplari. Il colpo di scena avviene a Tahiti. Non appena i due mettono piede a terra, sono circondati da una folla che grida: "Vahinè! Una donna!" e cerca di aggredire Baret; reimbarcato in tutta fretta, da quel momento non lascia più la nave. Turbato dagli eventi, Commerson fa poche raccolte; nei suoi taccuini, di Tahiti rimangono soprattutto alcuni disegni etnografici. Bougainville sembra prenderla con calma, ordina un'inchiesta discreta, e solo molti giorni dopo, mentre le navi sono ancorate di fronte a Espiritu Santu, va sull'Etoile a interrogare Baret, che, in lacrime ammette di essere una donna e gli propina una storia degna di un romanzo larmoyant. Nata in Borgogna, rimasta orfana, era stata ridotta in miseria da un processo; per sottrarsi ai suoi persecutori si era travestita da uomo e si era trasferita a Parigi dove aveva servito come lacchè un Ginevrino. Quando ha saputo della spedizione intorno al mondo, per desiderio di avventura e curiosità femminile si è presentata a Commerson poco prima della partenza; il suo padrone non sa nulla, lo ha ingannato nel desiderio di essere la prima donna a fare il giro del mondo. Bougainville la prende con filosofia, accontentandosi di separarla da Commerson facendola trasferire sulla Boudeuse. Secondo il chirurgo dell'Etoile, François Vivès (che detestava cordialmente Commerson), voci sulla vera natura di Baret circolavano già durante la traversata dell'Atlantico e in Sud America, ma lo smascheramento sarebbe avvenuto solo nella Nuova Irlanda, dove la ragazza sarebbe stata rapita e spogliata da un gruppo di marinai. Anche Nassau-Siegen e Duclos-Gouyot collocano lo svelamento in Nuova Irlanda, ma senza riferirne i particolari. D'altra parte, alcuni tahitiani riferirono a Cook, che visitò l'isola due anni dopo Bougainville, che tra i francesi c'era una donna, il che prova che il sesso di Baret era noto almeno a loro, e forse anche ai marinai. Alcuni commentatori hanno sostenuto che Bougainville scoprì chi era Baret già a Rio e per questo fece mettere agli arresti Commerson; è altamente improbabile: in tal caso avrebbe fatto sbarcare la ragazza, rispedendola in Francia con la prima nave disponibile. E' però verosimile che la sua versione sia stata concordata con Commerson o confezionata dallo stesso Bougainville per scagionare il più possibile il naturalista, che rischiava la carriera e anche un processo, visto che la legge proibiva a qualsiasi donna di trattenersi su una nave militare. Il racconto di Jean / Jeanne Baret in effetti è del tutto falso. Nata in un villaggio non troppo lontano da Toulon-sur-Arroux, era entrata al servizio di Commerson come domestica probabilmente dopo la morte della moglie di lui; intelligente e curiosa, ben presto imparò a preparare, organizzare e classificare gli esemplari, divenendo il braccio destro del suo padrone. E' assai probabile che ne sia divenuta anche l'amante, visto che quando Commerson si trasferì a Parigi e la portò con sé, era incinta di padre ignoto. Alla nascita, il bambino fu affidato all'assistenza pubblica e morì poco dopo. Una conferma inequivocabile del legame è nel testamento che Commerson dettò prima di partire per il giro del mondo, con cui lasciò a "Jeanne Baret, conosciuta con il nome di Bonnefoi, mia governante" la somma forfettaria di 600 lire. Resta da chiarire se l'idea di far travestire Jeanne da uomo in modo che potesse continuare ad assistere il suo padrone fu di lui, di lei o di entrambi. Lucile Allorge, che tende a presentare Commerson come un timido che gioca al cinico per nascondere la sua debolezza, ritiene che una scelta tanto audace vada ascritta totalmente a Jeanne, una donna coraggiosa, decisa, devota al suo Philibert fino all'abnegazione. In una lettera al cognato, Commerson sostiene di aver cercato di dissuaderla, sottolineando tutti i pericoli del viaggio. Certo, Jeanne era una donna ammirevole, come scrive apertamente lo stesso Bougainville: "Sarà la sola del suo sesso e io ammiro la sua risolutezza, tanto più che si è sempre comportata con la saggezza più scrupolosa. La Corte, credo, le perdonerà di aver infranto le ordinanze". Ma anche Commerson, lo abbiamo visto, non era tipo da farsi spaventare dalle convenzioni. Una destinazione non prevista: le Mascarene e Madagascar Come abbiamo visto, dopo Tahiti gli scali furono pochissimi e le raccolte di Commerson si limitano a una ottantina di esemplari della Nuova Irlanda, cui sia aggiungono poche piante raccolte a Giava. L'8 novembre 1768 la Boudeuse e l'Etoile gettano l'ancora all'Ile de France, oggi Mauritius. Qui, a togliere dall'imbarazzo Bougainville, Commerson e Baret, interviene una vecchia conoscenza parigina del naturalista: Pierre Poivre, che da poco più di un anno si è trasferito a Mauritius come Intendente delle isole di Francia e Borbon. Accanto alla sua residenza, sta creando il primo orto botanico dei tropici, il Jardin de Pamplemousses, un giardino di acclimatazione dove fa affluire piante provenienti dal maggior numero possibile di paesi tropicali, nella speranza di lanciare l'economia delle isole e di spezzare il dominio olandese delle spezie. Invita Commerson a rimanere per collaborare con lui; gli offre una casa e emolumenti maggiorati del 30 per cento. A sedurre il botanico, più dei vantaggi materiali, sono le collezioni di quel favoloso giardino e ancor più la prospettiva di riprendere l'esplorazione: oltre alle Mascarene, il Madagascar, dove Poire progetta una spedizione. Dunque, non può che accettare, tanto più che a Parigi potrebbe attenderlo un'inchiesta, forse addirittura un processo. Così, quando Bougainville riparte, a bordo non ci sono più Philibert e Jeanne. La piccola équipe scientifica della spedizione si è sciolta: sono rimasti a Mauritius anche l'astronomo Pierre-Antoine Véron, e l'ingegnere Charles Routier de Romainville, che presto ripartirà per colonizzare le Seychelles. Véron, che è figlio di un giardiniere, è divenuto l'amico più caro di Commerson, che nel 1770 apprenderà con grande dolore la notizia della sua morte a Timor, dove si è recato nella speranza di assistere al transito di Venere. Commerson riprende le raccolte con l'entusiasmo della giovinezza, anche se la forza fisica e la salute non sono più quelle; al suo fianco, assistente non più clandestina, c'è sicuramente Jeanne. Si interessa a tutto, e sostiene l'intraprendente Poivre in tutti i suoi progetti. L'Ile de France è di per sé un campo di ricerca appassionante, con la sua ricchezza di endemismi; ma è anche il punto di arrivo di piante esotiche portate da viaggiatori vecchi e nuovi, come l'Hortensia (oggi Hydrangea macrophilla), forse portata qui dal Giappone da marinai olandesi; o il seducente coco de mer, arrivato dalle Seychelle, che Commerson battezza audacemente Ladoicea callypige, per quel seme che evoca le natiche femminili. Quando la gotta non lo costringe a rimanere a letto, batte palmo palmo l'isola e erborizzando per monti e per valli raccoglie almeno mille esemplari. Ora lo affiancano ben due disegnatori, Paul Philippe Sanguin de Jossigny, un militare giunto nell'isola come aiutante del governatore, e Pierre Sonnerat, il nipote di Poivre. Il giovane è qui come segretario dello zio, ma si appassiona di scienze naturali e diventa di fatto l'allievo di Commerson cui mette a disposizione il suo talento di disegnatore. Dopo vari rinvii, dovuti soprattutto alla sua cattiva salute, nell'ottobre 1770 Commerson, insieme a Joissigny, si imbarca per il Madagascar, dove nello stesso periodo si trova anche Sonnerat, come scrivano di una nave militare. E' stupefatto della ricchezza e della varietà della flora dell'isola, che da sola gli sembra riunire più specie di quante ne abbiano descritte tutti i botanici, Linneo compreso. Jeanne è rimasta a Mauritius, ma come assistente Commerson si è procurato un giovanissimo schiavo nero, un bambino non più grande di suo figlio Archambaud. Anche se il soggiorno nell'isola è di soli due mesi e il botanico deve limitarsi ad esplorare il dintorni di Fort Dauphin, raccoglie quasi 500 esemplari. Una ferita lo costringere a rientrare, ma la nave su cui viaggia incappa in una burrasca ed è costretta a rifugiarsi a Bourbon (oggi La Réunion). E' un nuovo territorio da esplorare e ben accolto dai locali, Commerson prolunga il soggiorno per undici mesi, aggiungendo 600 esemplari alla sue collezioni. E' così instancabile che Jossigny scrive inutilmente a Poivre per essere esonerato; il bottino sarà di circa 600 esemplari. Il momento più memorabile è la grande spedizione al "Vulcano di Bourbon", oggi Piton de la Fournaise, insieme a Jossigny e al sedicenne Jean-Baptiste Lislet Geoffroy, un ragazzo nato a Bourbon che in seguito diventerà uno scienziato e il primo membro dell'Accademia delle scienze nato nelle colonie. Ritornato all'Ile de France all'inizio del 1772, Commerson ha il dispiacere di assistere alla partenza di Poivre, che è stato richiamato in Francia. E' ormai molto malato e non può unirsi a lui, tanto più che a bordo non c'è posto per le sue casse. Il nuovo sovrintendente, Maillard de Melle, che lo detesta, lo priva dell'alloggio e sopprime il suo stipendio e quello di Jossigny. Assistito da Jeanne, che è sempre rimasta al suo fianco, muore il 13 marzo 1773, all'età di 46 anni. Jeanne è rimasta senza mezzi; per qualche tempo lavora in una taverna, poi si sposa con un soldato. Forse nel 1774 o nel 1775 può ritornare con il marito in Francia, completando il suo giro del mondo. Porta con sé le 34 casse dei materiali di Commerson, che consegna al Jardin des Plantes. Quindi rivendica la sua parte di eredità e va a stabilirsi con il marito in Dordogna. Nel 1785, il re le concede una pensione con questa motivazione: "Jeanne Barré, grazie ad un travestimento, circumnavigò il globo su uno dei vascelli comandati da Bougainville. Si dedicò in particolare ad assistere Commerson, dottore e botanico, e condivise con grande coraggio il lavoro ed i pericoli di costui. Il suo comportamento fu esemplare e Bougainville le riconobbe numerosi meriti". Alla morte, nel 1807, lascia tutto ciò che possiede a Archambaud, il figlio di Commerson. Candida Commersonia di Natale Chi dovrebbe occuparsi di pubblicare i materiali di Commerson è proprio Antoine-Laurent de Jussieu, che ne ha per così dire ereditato la cura dallo zio Bernard. In altre faccende affaccendato, non lo farà mai, utilizzandone solo una piccola parte, molti anni dopo, in Genera plantarum (1789). In compenso, botanici e zoologi non si fanno troppi scrupoli a saccheggiare i materiali del botanico scomparso e a pubblicarli come propri. L'enorme erbario (più di seimila esemplari e 3000 specie) andò in parte disperso, in parte fu riordinato e pubblicato da Lamarck, in parte rimase inedito. Il giudizio di Cuvier sulla questione è una condanna inappellabile: "Commerson era un uomo infaticabile e della scienza più profonda. Se avesse potuto pubblicare le sue osservazioni, occuperebbe uno dei primi posti tra i naturalisti. Sfortunatamente, è morto senza poter completare la redazione dei suoi scritti e coloro a cui sono stati affidati i suoi manoscritti e i suoi erbari li hanno trascurati in modo colpevole". Commerson creò moltissimi generi botanici, molti dei quali dedicati a amici o studiosi che stimava; solo una piccola parte fu pubblicata, anche se ne rimangono validi circa quaranta. Tra quelli mai pubblicati e quindi non riconosciuti, anche i due generi che volle dedicare alle due donne della sua vita. Per ricordare la moglie, scelse un bellissimo albero del Madagascar con più fiori che foglie e frutti che racchiudono due noccioli uniti in forma di cuore e lo battezzò Pulcheria commersonia; il nome non è stato mantenuto nella nomenclatura botanica e la specie che designa non è stata identificata con certezza. A Jeanne, salutata come "Amazzone dei botanici", "fanciulla armata di arco e frecce come Diana, ma di condotta delicata e rigorosa come Atena", dedicò invece Baretia bonafidia, oggi Turraea casimiriana, un endemismo delle Mascarene. Anche questo nome dunque non è riconosciuto; solo di recente, nel 2012, un'équipe di ricercatori ha voluto rimediare con la dedica di Solanum baretiae, una specie scoperta in Ecuador caratterizzata da un numero variabile di foglie che allude alla scelta di Jeanne di infrangere le regole della sua epoca, facendosi uomo per amore dell'uomo amato e della scienza. A ricordare Commerson, oltre a un centinaio di specie con l'epiteto commersonii, ha pensato una coppia di botanici sfortunata quanto lui: Johann Reinhold e Georg Forster, i due botanici padre e figlio della seconda spedizione di Cook. Anche le collezioni di Forster padre andarono disperse, e la sua opera più importante fu pubblicata postuma molti anni dopo la sua morte. Quanto a Georg, morì giovane in modo tragico. I due pubblicarono insieme la specie tipo, Commersonia echinata (il nome attuale è C. bartramia), raccolta a Tahiti, ma secondo una lettera di Forster figlio a Voss, il padre non vi ebbe parte; fu Georg a completarne la descrizione insieme a Sparrman. Commersonia, della famiglia Malvaceae, è un genere di circa venticinque specie di alberi e arbusti la cui area di distribuzione coincide con almeno una parte del teatro delle ricerche di Commerson: è presente soprattutto in Australia, il centro di diversità con una ventina di specie, ma anche nelle isole del Pacifico, comprese Tahiti e le Vanuatu, nel sud-est asiatico e in Madagascar. La specie più diffusa è C. bartramia, presente in Australia, nelle isole del Pacifico, in Indocina e nella Cina meridionale; è un arbusto o un piccolo albero con chioma espansa, molto attraente per le foglie cordate simili a quelle del tiglio e i densi corimbi di piccoli fiori bianchi a stella. In Australia è chiamato kurrajong di Natale (questo nome di solito indica alberi del genere Brachychiton, un'altra Malvacea) sia per la stagione della fioritura sia per il colore candido. Come omaggio ai viaggi di Commerson, aggiungo C. obliqua, un endemismo delle Vanuatu (l'arcipelago dove Bougainville ebbe il colloquio rivelatore con Baret), e C. madagascariensis, l'unica specie malgascia. Altre notizie nella scheda. La spedizione La Pérouse è una delle più celebri della storia della marina: non per i risultati scientifici, che pure furono importanti, ma per il mistero che ha a lungo avvolto la sua fine. In questo primo post, seguiremo le vicende della prima parte della spedizione e faremo conoscenza con i numerosi membri della variegata squadra di scienziati che avevano aderito con entusiasmo a un'impresa da cui si aspettavano grandiosi risultati e una larga fama. Le loro aspettative si scontrarono con le scelte del comandante, che considerava prioritaria la sua missione oceanografica e mal sopportava le pretese di quegli spocchiosi studiosi terricoli (in tre anni di navigazione, i periodi passati a terra furono ridotti agli scali indispensabili per i rifornimenti e il raddobbo). Con due eccezioni, anch'essi condivisero la sorte tragica e oscura dei loro compagni. A tre di loro sono dedicati altrettanto generi botanici: i sudamericani Lamanionia e Colignonia, e l'australiano Bossiaea. La partenza: dramatis personae All'alba del primo agosto 1785, al comando di Jean-François de Galaup, conte di La Pérouse, salpano dal porto di Brest le fregate La Boussole e L'Astrolabe. A bordo circa duecentoventi uomini, tra ufficiali, marinai, scienziati. Solo tre di loro torneranno a casa. La spedizione che avrebbe dovuto essere la risposta francese alle imprese del capitano Cook si risolverà infatti nel più celebre disastro della storia della marina d'oltralpe. Eppure è stata preparata con estrema cura e nulla, apparentemente, è stato lasciato al caso; le navi sono state raddobbate per affrontare un viaggio della durata prevista di tre anni, attraverso tre oceani, mari tropicali e mari artici; la strumentazione di bordo è all'avanguardia (l'ingegnere capo è andato personalmente a Londra a procurarsi persino alcuni degli strumenti utilizzati da Cook); gli uomini sono stati scelti con cura, tra fin troppi candidati: molti avrebbero voluto partecipare a un'impresa tanto gloriosa. Tra quelli che sono stati scartati pare ci sia anche un ambizioso allievo ufficiale sedicenne, un genio in matematica, ma davvero troppo giovane: un certo Napoleone Bonaparte. La missione è stata concepita inizialmente dal ministro della marina de Castries come esclusivamente diplomatico-economica, con lo scopo principale di inserire la Francia nei traffici dell'Oceano Pacifico, soprattutto nel promettente commercio delle pellicce . Tuttavia, con il coinvolgimento di istituzioni come l'Accademia delle scienze e il Jardin des Plantes, si è allargata fino ad divenire la più ambiziosa della sua epoca, con l'obiettivo che è insieme scientifico e politico di completare l'esplorazione del Pacifico, delle sue terre, delle sue popolazioni e delle sue rotte per "costituire un catalogo ragionato delle conoscenze in tutti i campi del sapere". Ecco perché a bordo c'è un nutrito drappello di studiosi, specialisti in tutti i campi delle scienze naturali e esponenti delle più prestigiose istituzioni scientifiche del regno. Gli ufficiali, a cominciare dal comandante La Pérouse, sulla Boussole, e dal suo secondo Paul Fleuriot de Langle, sulla Astrolabe, hanno una lunga esperienza di navigazione oceanica; molti sono stati scelti personalmente da La Pérouse tra gli uomini che hanno combattuto al suo fianco nella guerra d'indipendenza americana. I marinai sono in buona parte sperimentati bretoni dal piede marino. Quanto agli scienziati, che si sono imbarcati con una interminabile lista di compiti scientifici e un voluminoso bagaglio di strumenti all'avanguardia (c'è persino una mongolfiera), hanno un'età media di trent'anni e sono membri già affermati delle più prestigiose istituzioni scientifiche del paese; hanno grandi aspettative sui loro compiti, e un'altrettanto grande considerazione di sé. I rilievi cartografici sono ovviamente affidati a ufficiali della marina, a cominciare dall'ingegnere capo Paul Monneron, coadiuvato da Sébastien Bernizet. Gli astronomi sono Joseph Lepaute Dagelet, che ha già partecipato alla spedizione nelle "terre australi" di Kerguelen, e Louis Monge (fratello del più celebre matematico Gaspard). Lo scienziato più prestigioso (e più spocchioso, a detta del comandante) è Jean Honoré Robert de Paul de Lamanon, fisico, geologo, mineralogista, paleontologo, membro dell'Accademia delle scienze di Torino e di Parigi. Il botanico ufficiale è Joseph Hugues Boissieu La Martinière del Jardin des Plantes. Anche i due elemosinieri hanno una formazione scientifica: Jean-André Mongez è un mineralogista rinomato, ma è anche ornitologo, entomologo e chimico, "uomo curioso di tutte le cose"; Louis Receveur è botanico, geologo, chimico, astronomo. Una mano la danno anche i medici di bordo Claude Rollin, Jacques Joseph Le Cor, Simon Lavaux e Jean Guillou. Con un ruolo incerto c'è il naturalista Jean-Nicolas Dufresne, che si è aggiunto come soprannumerario e, al contrario degli altri scienziati, non divide i pasti con gli ufficiali ma con i marinai. Ci sono tre pittori: il paesaggista e ritrattista Gaspard Duché de Vancy, raccomandato personalmente dalla regina; e due illustratori naturalisti, zio e nipote: Guillaume e Jean-Louis Prévost. C'è un interprete, il diciannovenne Bathélemy de Lesseps, figlio del console a San Pietroburgo. Ho volutamente lasciato per ultimo il secondo botanico, o meglio il giardiniere Jean-Nicolas Collignon; ventitrenne, è uno degli assistenti André Thouin al Jardin des Plantes. Parte con un sacco di sementi e pianticelle di alberi da frutto ben protette in speciali serre portatili in legno e vetro, da seminare e trapiantare nel corso del viaggio a beneficio degli indigeni; è il suo compito principale, ma anche lui parteciperà alla raccolta di semi, esemplari vivi o essiccati. Tuttavia Thouin raccomanda che sia indipendente e non subordinato a La Martinière. E infatti La Pérouse lo farà imbarcare sulla nave ammiraglia, mentre l'altro botanico viaggia sull'Astrolabe. La spedizione: prima parte, da Brest a Manila (1735-1737) Seguendo la rotta puntigliosamente tracciata dall'ammiragliato (e rivista di persona dal re), le navi puntano direttamente sull'America meridionale, con solo due brevi scali a Madera e a Tenerife (29 agosto), dove c'è la prima defezione: l'astronomo Monge ha sofferto talmente il mal di mare che chiede di essere lasciato a terra. Sarà così il primo sopravvissuto. Si registra anche la prima frizione tra il comandante e gli scienziati. Lamanon e i suoi compagni decidono di scalare il Pico de Teide, per misurarne esattamente l'altezza. Sono convinti che rientri pienamente nei loro compiti scientifici e che il costo delle mule e delle guide sarà coperto dai fondi della spedizione; non così la pensa La Pérouse che informa il geologo che la notevole spesa dovrà pagarla lui. Alla gita partecipa anche Collignon, che in una lettera a Thouin racconta di un piccolo incidente: mentre scendeva dalla montagna, il suo mulo si è spaventato e si è messo a correre, di conseguenza il suo vacuolo si è aperto e tutte le piante che aveva raccolto sono andate perdute. Ripartite da Tenerife già il giorno dopo, il 9 novembre le navi gettano l'ancora nell'isola di Santa Catarina, di fronte alle coste brasiliane. Dopo i rifornimenti (gli astronomi approfittano della sosta per montare un telescopio e provare la precisione degli orologi, indispensabili per determinare la longitudine), si riparte per doppiare Capo Horn, con una navigazione insolitamente tranquilla. Il 24 febbraio 1786 la spedizione attracca al porto di cileno di Concepcion; è una vera città, sede del governatore e del vescovo. L'accoglienza è molto cortese e i francesi ricambiano offrendo un ricevimento in una tenda appositamente eretta sulla spiaggia, seguito da un ballo, da fuochi artificiali e dal lancio di una mongolfiera; La Pérouse è euforico e paga da bere a tutti i suoi uomini. Sicuramente i naturalisti avranno approfittato della sosta per le loro raccolte, ma, al contrario del diario di bordo del capitalo, i loro diari di campo sono andati perduti. Terminati i rifornimenti, a metà aprile, si riparte. L'itinerario stabilito dall'ammiragliato prevede che si dirigano a sud, per esplorare le isole del Pacifico meridionale non toccate da Cook. La Pérouse decide di invertire la rotta e di puntare direttamente verso l'America settentrionale, con due sole tappe intermedie: l'isola di Pasqua e le Hawaii. Nella prima si fermano solo un giorno e Collignon, accompagnato da Lange, ne approfitta per seminare verdure e alberi da frutto; gli indigeni vivono in condizioni miserevoli, e rubano tutto quello che possono, specialmente i cappelli e i fazzoletti dei marinai. Anche la sosta alle Hawaii è brevissima; il comandante evita l'isola di Hawaii, tristemente legata alla morte di Cook, e va a fare rifornimento a Maui, dove arriva il 18 maggio; rinnovate le scorte di acqua, maiali, banane, taro, il 1 giugno si riparte in direzione nord. Dopo tre settimane di navigazione sotto costa, spesso resa difficile dalle nebbie, si vede emergere dalle nubi la cima del Monte Sant'Elia. E' ancora estate, e, secondo gli ordini del re, devono esplorare con la massima accuratezza quest'area dove secondo i racconti dei marinai spagnoli potrebbe trovarsi l'imbocco del mitico passaggio a Nord-ovest. La Pérouse è scettico e scrive nel diario di bordo: "Bisogna ammettere una volta per tutte che si tratta di favole geografiche che sono state accettate troppo facilmente dai moderni geografi". Tuttavia, non si sottrae al compito. Il 2 luglio a 58° 52' nord scopre un'insenatura non indicata sulle carte che battezza Porto dei francesi (oggi si chiama Lituya Bay). Gli indigeni li accolgono amichevolmente e, in cambio di oggetti di ferro, offrono salmoni e pelli di lontre di mare. I francesi si fermano qui per un mese e i naturalisti sono finalmente felici di esplorare una natura che, tuttavia, li delude un po' perché fin troppo familiare. La Martinière lamenta di aver trovato al massimo tre specie sconosciute; tutte le altre avrebbe potuto raccoglierle agevolmente nei dintorni di Parigi. Il più contento è Lamanon, che si arrampica sulle scogliere e trova conchiglie a 400 metri dal livello del mare; insieme a Mongez, Receveur e Collignon va anche in cerca di minerali. Questa baia ben riparata, ricca di cacciagione e abitata da indigeni accoglienti, sembra la sede ideale di una futura base commerciale, ma il soggiorno dei francesi è funestato da una prima tragedia. L'imboccatura della baia, molto stretta, è percorsa da correnti pericolose che inghiottono due lance e le vite di 21 uomini. E' dunque con l'animo gravato dal dolore per i compagni morti che La Pérouse decide di ripartire verso sud: il passaggio a nord-ovest, decisamente, è una "pia frottola" di epoche più credulone, e ci vorrebbero anni per esplorare a dovere quelle coste intricate, immerse nelle nebbie e rese pericolose da correnti imprevedibili e dal gioco delle maree. Partite dall'Alaska il 30 luglio, la Boussole e l'Astrolabe a metà settembre attraccano a Monterey, in California, che è stata fondata appena quindici anni prima. Si fermano dieci giorni, visitano la missione francescana (non senza criticare, da veri uomini dei lumi, lo sfruttamento degli indigeni da parte dei frati). E' un'area incredibilmente fertile, e i botanici si danno da fare, anche se la stagione è poco favorevole, con le piante inaridite dalla calura estiva e i semi già caduti. Ammirano invece la ricchezza di fauna, comprese le balene che riempiono letteralmente la baia. E' ora di ripartire alla volta della Cina. Fallito il tentativo di attraccare alle Marianne, occorreranno tre mesi senza neppure uno scalo per raggiungere Macao (3 gennaio 1787). Una lunga traversata che finisce di esasperare i naturalisti, già irritati dal cambio di itinerario e dalla brevità degli scali; senza informare il capitano, guidati da Lamanon, decidono di lasciare la nave e di acquartierarsi a terra. La Pérouse risponde escludendoli dai ricevimenti offerti dai portoghesi e, alle loro proteste, li mette agli arresti per ventiquattro ore. Entrambe le parti inviano lettere di fuoco in Francia; in un dispaccio il comandante si lamenta di quei "diavolacci che mettono alla prova la mia pazienza oltre ogni limite". Ad averne abbastanza è anche Dufresne, che probabilmente non è mai riuscito ad integrarsi con gli altri scienziati più titolati. Chiede il permesso di lasciare la spedizione e di tornare in Francia, imbarcandosi su una delle tante navi che fanno la spola con l'Europa; porterà con sé la corrispondenza e il giornale di bordo della prima parte della spedizione. Prima però si incarica di vendere, con grande profitto, le pellicce acquistate in Alaska. Sarà così il secondo sopravvissuto, e uno dei cronisti della spedizione. Per uno che parte, altri che arrivano. A sostituire uno degli ufficiali morti in Alaska si imbarca sull'Astrolabe un ragazzo di appena vent'anni, Gabriel Jean du Pac de Bellegarde, che scrive a Parigi per sollecitare il suo brevetto d'ufficiale. Altri ufficiali e altri marinai si imbarcheranno a Manila, dove la Boussole e l'Astrolabe arrivano alla fine di febbraio e sostano fino a metà aprile per riparare le vele, calafatare gli scafi, completare le provviste. Quindi ripartono verso nord, per completare l'esplorazione del Pacifico settentrionale con la costa occidentale. Per ora non li seguiremo, rimandando il racconto della seconda parte dell'avventura a un altro post. Tre generi per tre scienziati: l'energico Lamanon e Lamanonia Dobbiamo infatti occuparci di piante, ovvero dei numerosi generi che sono stati dedicati agli scienziati che hanno preso parte alla spedizione. Cominciamo dagli ottimi abati Receveur e Mongez, entrambi dedicatari di generi botanici non più accettati. A ricordarsi dei due "colleghi", morti al servizio della scienza, fu un altro sacerdote naturalista, il brasiliano José Mariano Vellozo che in Flora flumienensis dedicò loro Receveura e Mongezia, oggi rispettivamente sinonimi di Hypericum e Symplocos. Sempre a Vellozo si deve anche la dedica di Lamanonia al combattivo Robert de Lamanon, il più prestigioso scienziato della spedizione. Geologo e paleontologo in anticipo sulla sua epoca, era così appassionato delle sue ricerche da apparire "folle" a chi lo conosceva poco e mancava di diplomazia, tanto che osò polemizzare con il potentissimo Buffon; amava lo studio sul campo (aveva percorso a piedi molti paesi europei ed era un appassionato alpinista che forse scalò il Monte Bianco qualche anno prima di Saussure) e sicuramente avrà sofferto più di ogni altro la reclusione per mesi e mesi nell'angusto spazio di una nave. Era sicuramente lui il "diavolaccio" che più faceva uscire dai gangheri La Pérouse. Ma seppe mettere a frutto il suo tempo, anticipando due importanti scoperte: la marea barometrica all'equatore e la variazione dell'intensità magnetica con la latitudine. Purtroppo, anche se riuscì a inviarle a Parigi, le sue comunicazioni all'Accademia delle scienze rimasero inedite e le sue scoperte passarono quasi inosservate, non fosse per l'apprezzamento di Humboldt. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Lamanonia è un piccolo genere della famiglia Cunoniaceae che comprende sei specie di piccoli alberi o occasionalmente arbusti diffusi in Argentina settentrionale, Paraguay e Brasile, in ambienti diversi, dalla formazione vegetale del cerrado, alle foreste di araucaria e alle foreste nebulose. Hanno foglie composte palmate con margini dentati e infiorescenze a spiga di fiori privi di petali con calice a stella e numerosissimi stami, da bianco a crema. La specie più notevole è L. ternata, un albero che può superare i venti metri, con chioma arrotondata, di notevole impatto estetico soprattutto al momento della fioritura, tanto che in Brasile viene anche utilizzato nell'arredo urbano. Qualche notizia in più nella scheda. Dalle sabbie della California alle foreste andine: Collignon e Colignonia Tutt'altra personalità deve essere stata quella di Jean-Nicolas Collignon, sempre attivo e pronto a eseguire modestamente i suoi compiti di botanico-giardiniere. Era anche uno dei più giovani della spedizione (al momento della scomparsa, aveva solo ventisei anni). Una sintesi della sua breve vita nelle biografie. Di lui ci rimangono poche lettere al suo mentore Thouin e l'onore di aver inviato in Francia la prima pianta californiana ad essere descritta dalla scienza. Nei pressi di Monterey raccolse infatti diversi semi che poi spedì a Parigi da Macao; al Jardin des Plantes tra gli altri germinarono quelli di Abronia umbellata, una piccola annuale tappezzante che si accontenta delle zone più aride e sabbiose. I discendenti di quei semi furono studiati da Lamarck che li descrisse nel 1791 (la pubblicazione però è del 1793). Ricordandosi di questo merito piccolo ma significativo, il tedesco Endlicher nel 1837 volle rendere omaggio al nostro solerte giardiniere rinominando Colignonia una specie precedentemente assegnata proprio al genere Abronia. Anche questo genere, appartenente come Abronia alla famiglia Nyctaginaceae, è sudamericano, ma è esclusivamente andino. Le sue sei specie sono erbacee perenni, suffrutici e liane, originarie delle foreste pluviali d'altura e delle foreste nebulose, talvolta anche in aree disturbate. Hanno foglie intere, opposte o verticillate, con lunghi piccioli e fiori raccolti in cime a ombrella; presentano due tipologie di fiori, con perianzio campanulato o a imbuto con tre o cinque lobi. Più che per i fiori, si fanno notare per le grandi brattee bianche. Un profilo di questo genere non molto noto nella scheda. Una puntata in Australia: Boisseu de La Martinière e Bossiaea Veniamo infine al botanico ufficiale della spedizione, ovvero Boisseau de La Martinière. Anche lui era un protetto di André Thouin e abbastanza competente da essere nominato botanico del re a poco più di vent'anni; inoltre era un medico laureato a Montpellier. Apparteneva a una famiglia abbastanza influente e uno dei suoi fratelli fu deputato all'Assemblea legislativa e alla Convenzione (cosa che avrà qualche importanza per il seguito della nostra storia). La partecipazione di La Martinière alla spedizione fu in un certo senso una seconda scelta; il Jardin des Plantes aveva infatti indicato Louis-Augustin Bosc d'Antiq che tuttavia (per sua fortuna) rifiutò. Abbiamo anche l'impressione che Thouin nutrisse qualche riserva nei suoi confronti, visto che raccomandò che Collignon non gli fosse subordinato. Perdute le sue raccolte botaniche, il suo contributo più importante è affidato ad alcune memorie sulla biologia marina. Anche sulla sua vita una sintesi nella sezione biografie. Diversi botanici hanno voluto ricordarlo, facendo anche un po' di confusione con i suoi due nomi, scritti in vari modi. Ancora a Vellozo si deve Martinieria, oggi sinonimo di Kielmeyera; si deve invece a Guillemin Martiniera, sinonimo di Balbisia. Grazie a Ventenat, lo sfortunato botanico si è comunque aggiudicato il notevole genere australiano Bossiaea, con la seguente motivazione: "Genere consacrato alla memoria di Boisseu-Lamartinière, che accompagnò La Pérouse nel suo viaggio intorno al mondo. La relazione di questo viaggio, pubblicato l'anno V della Repubblica francese, contiene un gran numero di scoperte che testimoniano lo zelo e le conoscenze di questo sapiente naturalista". Bossiaea della famiglia Fabaceae comprende oltre settanta specie, distribuite un po' ovunque in Australia, tranne nelle zone centrali. E' un genere molto variabile, e altrettanto variabili sono anche le singole specie, in base all'habitat e soprattutto al regime delle piogge. Alcune specie hanno un areale ampio, ma molte sono endemiche di aree limitate e si distinguono tra loro soprattutto per le dimensioni, il portamento e le foglie, mentre i fiori sono relativamente omogenei. Dal punto di vista ecologico, sono l'equivalente australiano delle nostre ginestre. Sono arbusti da piccoli a medi, alcuni dei quali per adattarsi al clima arido hanno fusti e rami modificati in cladodi cilindrici o appiattiti; le foglie sono alternate od opposte, in genere piuttosto piccole, talvolta ridotte a scaglia oppure assenti; i fiori solitari o raccolti in infiorescenze poco numerose hanno corolla papilionacea gialla, aranciata o bicolore e sono sottesi da una serie brattee e da una coppia di bratteole. Il frutto è un baccello più o meno compresso. In alcune specie si apre in modo esplosivo, disperdendo i semi lontani dalla pianta madre. Nonostante la loro bellezza, sono raramente coltivate; tra tante specie, tutte interessanti, è difficile scegliere quali citare. Per esemplificare la variabilità del genere, la mia scelta è caduta su B. aquifolium, un grande arbusto o addirittura un alberello con foglie con nove o più punte che ricordano quelle dell'agrifoglio e piccoli fiori che fioriscono in massa, da arancio a giallo e da rosso a bruno; B. procumbens, di portamento prostrato e tappezzante, con minuscole foglie da ellittiche a ovate e fiori giallo oro con una macchia rossa alla gola; B. rhombifolia, un arbusto alto anche due metri, con foglie romboidali glauche e fiori bicolori gialli e aranciati; la sorprendente B. walkeri, priva di foglie e con fusti modificati in cladodi, con fiori rosso vivo. Qualche approfondimento su queste e altre specie nella scheda. Talvolta, la giustizia poetica è concessa anche ai nomi botanici. Che a ricordare il grande Michel Adanson, autore di un'opera impossibile per il suo stesso gigantismo, per perseguire la quale egli rinunciò a fama, riconoscimenti materiali e alle stesse elementari necessità della vita per chiudersi nel suo lavoro solitario, sia proprio il baobab, albero gigante che si erge sulla arida savana, vive per migliaia di anni e supera le peggiori siccità accumulando acqua nel fusto e rinunciando alle foglie, ne è la dimostrazione. A guidare la mano dell'inconsapevole Linneo e a ispirargli la creazione del genere Adansonia, molto prima che il destino di Adanson si palesasse, è uno scherzo della sorte o, appunto, un atto di giustizia poetica. Primo atto: un viaggio in Senegal L'incontro tra i due protagonisti della nostra storia avviene nell'agosto del 1749, nel villaggio senegalese di Sor. Michel Adanson è arrivato in Senegal da circa sei mesi ed è ancora pieno di entusiasmo e di stupore per la ricchezza della natura tropicale. Ha già imparato abbastanza la lingua wolof (tra i suoi tanti talenti c'è anche quello linguistico) da muoversi da solo; chiede indicazioni su un buon terreno da caccia e viene indirizzato sulle tracce di un branco di gazzelle. Ma una visione stupefacente spegne ogni interesse venatorio: è un albero immenso, il più grande che abbia mai visto. Non per l'altezza (forse una ventina di metri), ma per la circonferenza straordinaria; incredulo, Adanson gli gira intorno tredici volte. Cerca di misurarla allargando le braccia, poi con una corda. Calcola una circonferenza di 20 metri, e un diametro di quasi 7. Ciascuno dei rami che forma la chioma, alcuni dei quali toccano terra, è più lungo e spesso del tronco di uno dei maggiori alberi monumentali d'Europa. L'albero in sé non è raro, aggiunge Adanson, appartiene anzi a una delle specie più comuni nel paese, che i francesi chiamano calebassier, o anche pain-de-singe ("pane delle scimmie") e i locali goui. Noi lo conosciamo con il nome di origine araba baobab, ma anche - grazie a Bernard de Jussieu e a Linneo - come Adansonia digitata. Nel momento in cui incontrò l'albero destinato a preservare il suo nome, Adanson aveva 22 anni, ma era già un naturalista ambizioso e singolare. La famiglia lo aveva destinato alla chiesa e durante gli anni di collegio si era distinto come allievo solerte e brillante; quattordicenne, aveva attirato l'attenzione del biologo inglese John Needham che gli donò un microscopio con queste parole: "Dato che avete imparato così bene a conoscere le opere degli uomini, è ora che studiate quelle della natura". Fu una folgorazione. Il ragazzo incominciò a frequentare il Jardin du Roy e le lezioni di Réaumur e Bernard de Jussieu. A diciotto anni conosceva migliaia di specie vegetali e sapeva classificare tutte le piante del giardino. Gli era anche chiaro che il suo destino non era nella Chiesa, ma nello studio della natura. Rinunciò al beneficio ecclesiastico che aveva coperto i costi degli studi e insisté con il padre - scudiero del vescovo di Parigi - perché trovasse il modo di farlo partire per un paese tropicale, se possibile inesplorato. Grazie a Pierre-Barthélemy David, direttore della Compagnia delle Indie, ottenne infine un modesto posto di commesso a Saint-Louis, l'emporio della compagnia sulla costa del Senegal. Malfamato per il suo clima insalubre, era praticamente sconosciuto ai naturalisti. Senza alcun incarico ufficiale, senza alcun titolo di studio formale, fu dunque come "impiegato incaricato di tenere i registri" che Adanson il 3 marzo 1749 si imbarcò a Lorient sul Chevalier marin. Si era preparato con scrupolo al viaggio, raccogliendo tutte le informazioni possibili sul clima, gli animali, le piante, le lingue, i costumi locali. Aveva imparato i metodi più all'avanguardia per conservare piante e animali. Nel suo bagaglio, telescopi, barometri, termometri e altri strumenti scientifici. Il soggiorno di Adanson in Senegal si prolungò per cinque anni (fino al febbraio 1754), fu ricchissimo di risultati scientifici, ma difficile da ogni punto di vista. Si ammalò ripetutamente e la Compagnia si dimostrò ostile; anche se lui cercava di convincere i suoi capi dell'utilità anche economica delle sue ricerche, per loro questo impiegato che si dava troppo da fare e faceva di tutto tranne quello per cui era pagato, era davvero meno che inutile. Solo grazie alle insistenze dei suoi protettori parigini (in particolare Jussieu e Réaumur) riuscì ad ottenere il permesso di coltivare un piccolo giardino, dove sperimentava incroci e coltivava piante rare da introdurre in Francia. Eppure, era attivissimo: oltre a St. Louis e ai suoi dintorni, visitò l'isola di Gorée, Podor, e il bacino del Gambia; annotò dati meteorologici e astronomici, disegnò mappe, imparò lingue e compilò dizionari, raccolse ogni sorta di dati etnografici, geografici, economici. E, ovviamente, campioni di minerali, animali, piante. Spedì centinaia di esemplari ai corrispondenti parigini, e molte migliaia lo avrebbero accompagnato nelle casse che portò con sé nel viaggio di ritorno, insieme a 300 piante vive da acclimatare al Jardin du Roy. Secondo atto: un'opera pionieristica Provato dal clima tropicale, privo di mezzi e di relazioni, l'uomo che sbarca infine in Francia nel 1754 è molto diverso dal ventunenne di quasi sei anni prima. Da quell'esperienza, oltre all'enorme mole di materiali, ha portato indietro una convinzione profonda: per comprendere la natura, la scienza deve cambiare paradigma. Tutti i sistemi che si è finora data per classificarla, di fronte alla sterminata esuberanza dei tropici, dimostrano la loro inconsistenza: "Appena lasciamo i nostri paesi temperati per entrare nella zona torrida, la botanica sembra mutare totalmente volto: sono sempre piante, ma sono così particolari nelle loro loro forme, hanno caratteristiche così nuove che eludono la maggior parte dei nostri sistemi, i cui limiti non vanno al di là delle piante dei nostri climi". Ma il primo compito è studiare e pubblicare le raccolte senegalesi. Ospitato generosamente dai Jussieu, Adanson elabora il primo dei suoi grandiosi progetti: una storia naturale del Senegal in otto volumi. In realtà, ne scriverà solo il primo: Histoire naturelle du Sénegal (1757) comprende il vivace racconto del suo viaggio e le descrizione delle conchiglie senegalesi, che egli classifica in modo del tutto originale, non più basandosi sulle conchiglie stesse, come si faceva all'epoca, ma sui molluschi che vivono all'interno e le loro strutture. E' il primo saggio di quel metodo globale che tra poco vedremo in azione con le piante. Benché parziale, l'opera gli assicura fama immediata. Adanson è ammesso all'Accademia delle Scienze parigina, seguita qualche anno dopo dalla Royal Society. Ottiene una pensione con il titolo (praticamente una sinecura) di censore reale. Ma ormai sta perseguendo un nuovo progetto. Dal 1759, collabora con il maestro Bernard de Jussieu alla creazione del giardino botanico del Trianon, con le piante disposte in famiglie naturali e incomincia a lavorare a un proprio metodo di classificazione, che esporrà nella sua opera maggiore, Familles naturelles des Plantes (1763). Quando essa uscì, Adanson viveva ancora a casa dei Jussieu ed è impossibile che la frequentazione quotidiana e il lavoro comune non abbiano influito sul suo pensiero; eppure, Adanson cercò di minimizzare il debito con il suo maestro. A suo dire, aveva concepito il progetto di una classificazione naturale fin da ragazzo al Jardin du Roy e la spinta decisiva era venuta dal viaggio in Senegal, con la sua natura tanto diversa da quella europea; quanto a Bernard, lo descriveva come un linneano ortodosso, incapace di allontanarsi dal fallace sistema di Linneo. Di parere opposto sarà Antoine-Laurent de Jussieu, secondo il quale il metodo di Adanson era un plagio delle elaborazioni di suo zio, il solo vero inventore della classificazione naturale. Come avviene quasi sempre, anche in questo caso la verità starà nel mezzo: Bernard aveva cominciato a lavorare a una classificazione naturale e a insegnarla ai suoi allievi quando il giovanissimo Michel seguiva le sue lezioni al Jardin du Roy e sicuramente alla fine degli anni cinquanta era giunto a definire un proprio sistema (non sappiamo quanto coincidente con quello esposto da Antoine-Laurent in Genera Plantarum); d'altra parte, la ricerca di Adanson, se fu stimolata da quella di Bernard de Jussieu, dovette poi seguire un proprio percorso e un proprio metodo. Terzo atto: manie classificatorie Il primo volume di Familles naturelles des Plantes si apre con un'ampissima disamina di tutti i sistemi di classificazione proposti in precedenza, tutti quanti considerati incapaci di rendere conto del vero ordine della natura. Per giungere a individuarlo, lo studioso non deve concentrasi su uno o pochi elementi, scelti in modo più o meno arbitrario, ma deve analizzare tutte le caratteristiche possibili, senza stabilire una gerarchia: "Non c'è dubbio che in botanica c'è un solo metodo naturale, ed è quello che considera tutte le parti, qualità, proprietà e facoltà delle piante". Adanson individua quindi 595 categorie di caratteri che raggruppa in 66 sistemi "artificiali", fondati ciascuno su un gruppo di caratteri omogenei (ad esempio, caratteristiche delle foglie, delle radici, delle corolle, ecc.); inserendo tutte le piante note in ciascun sistema, è possibile individuare la loro maggiore o minore affinità. Le piante che, in tutti i sistemi, ricadono nella stessa classe, hanno un alto grado di affinità; quelle che si ritrovano insieme solo in alcune classi sono meno prossime; quelle poi che in tutti i sistemi stanno in classi diverse non hanno alcuna affinità. Come si vede, è un metodo altamente complesso che implica un enorme numero di comparazioni, che difficilmente Adanson avrà utilizzato davvero per classificare nel secondo volume ben 1615 generi, assegnati a 58 famiglie naturali (52 delle quali sono piante da fiore), in un'epoca in cui i computer e il calcolo combinatorio erano al di là da venire. Anche lui, non diversamente da Bernard de Jussieu, avrà condotto le sue comparazioni "par tatonnement", per usare le parole di Augustin de Candolle. In ogni caso, il risultato è imponente; il concetto di "famiglia" entra ormai nella storia della botanica e molte delle sue famiglie sono riconosciute ancora oggi, spesso proprio con i nomi che lui stesso diede loro. Fu infatti Adanson a introdurre la convenzione di nominare le famiglie sulla base di un genere tipico, anche se non usava ancora il suffisso che oggi le contraddistingue: ad esempio, Papavera (oggi Papaveraceae), Ranunculi (oggi Ranunculaceae), Cisti (oggi Cistaceae), Solana (oggi Solanaceae). Nel Congresso internazionale di botanica del 1987, Familles naturelle des plantes fu addirittura scelto come punto di partenza per i nomi delle famiglie (attualmente, tuttavia, non lo è più: dal 2003 è sostituito da Genera plantarum di Jusseu). Di Linneo, Adanson rifiutò anche la nomenclatura binomiale, vista a sua volta come un'imposizione. A suo parere i nomi delle piante dovrebbero cambiare il meno possibile e non dovrebbero essere motivati: bisognerebbe evitare sia i nomi figurati sia i termini che rimandano a una qualche etimologia. I nomi migliori sono quelli che esistono già, quindi in primo luogo quelli indigeni. Coerentemente, gli spiacque persino che Linneo avesse dato il suo nome al baobab. Insieme alla personalissima grafia fonetica che Adanson volle adottare per la sua opera (ad esempio scrive Botanik anziché Botanique), anche questa scelta contribuì all'insuccesso dell'opera che la comunità scientifica apprezzò per l'erudizione, ma non per il metodo; fu ovviamente avversata dai linneani; quanto a Linneo, il suo commento fu che non aveva mai visto un simile ammasso di sciocchezze. Da parte sua, Adanson stava già pensando a un nuovo progetto, ancora più ambizioso. Il metodo induttivo e combinatorio da lui scoperto non era forse universale, applicabile all'intero mondo naturale, anzi ad ogni sapere umano? Ci lavorò almeno una dozzina di anni, e nel 1774 (l'anno prima aveva finalmente ottenuto il sospirato titolo accademico, come botanico aggiunto dell'Accademia delle scienze) presentò all'Accademia stessa lo schema del suo L'Ordre universel de la Nature. La commissione incaricata di analizzare la proposta, sgomenta, si trovò di fronte 27 volumi manoscritti dedicati alle relazioni tra tutte le entità; 150 volumi manoscritti con la descrizione di 40.000 specie in ordine alfabetico; un vocabolario di 200.000 parole; 40.000 illustrazione; 24.168 esemplari; in più, note e osservazioni. I commissari gli consigliarono di espungere tutta la parte compilatoria, limitandosi ai suoi contributi originali, da presentare in una serie di memorie separate. Adanson rifiutò, ostinandosi fino alla fine della vita nel suo folle progetto. Il rifiuto lo amareggiò, e lo spinse a chiudersi in se stesso, a sacrificare tutto alla sua "enciclopedia". Non aveva più né amici né allievi, e neppure una famiglia. Nel 1784 lasciò addirittura la moglie, da cui aveva avuto una bambina (Aglaé Adanson, a sua volta botanica), perché la sua presenza lo distraeva dal lavoro. Divenne un eremita; si ritirò in periferia, in una casa sempre più ingombra di collezioni e manoscritti, dove lavorava accanitamente sedici, diciotto ore al giorno; unica pausa dallo studio e dalla scrittura, il piccolo giardino dove sperimentava incroci e coltivava alberi di gelso. Già in condizioni economiche precarie, fu totalmente rovinato dalla Rivoluzione, che soppresse le pensioni reali di cui godeva. Perse anche l'amatissimo giardino e fu ridotto a vivere in condizioni di miseria estrema. Nel 1798, invitato a prendere parte alle sedute dell'Institut national (la nuova denominazione "rivoluzionaria" dell'Accademia delle scienze), rifiutò, dicendo che gli era impossibile andarci perché non aveva neppure un paio di scarpe. Se non altro, il ministro dell'interno provò vergogna e gli assegnò una pensione, poi raddoppiata da Napoleone. Nel testamento, espresse un solo desiderio: che la sua bara fosse ornata da una ghirlanda formata dai fiori delle sue 58 famiglie. Una sintesi di questa vita tutta occupata dallo studio e da progetti sempre più giganteschi e più impossibili nella sezione biografia. Boabab, giganti minacciati Tra le scoperte di Adanson in Senegal, sicuramente quella che destò maggiore interesse fu proprio l'albero gigante che tanto aveva ammirato. Poco dopo il suo ritorno, nel 1757, egli lesse all'Accademia delle scienze una memoria in cui lo descriveva e ne ricostruiva la storia. Prima di allora, nessun europeo l'aveva mai visto, anche se se ne conoscevano i frutti, che venivano venduti nei mercati egiziani, dove li vide Alpini. Jussieu ritenne che sarebbe stato un doveroso omaggio dedicare allo scopritore il nuovo genere e si affrettò a scrivere in proposito a Linneo. Il tempo dell'inimicizia e delle polemiche era ancora lontano, e lo svedese lo accontentò volentieri, ufficializzando la denominazione nella decima edizione di Systema naturae (1759). Così, con dispetto del dedicatario, il baobab (parola di origine araba che significa "padre di molti semi"), divenne Adansonia digitata. E' la più nota delle otto-nove specie del genere Adansonia, della famiglia Malvaceae (precedentemente Bombacaceae). Uno dei suoi esemplari, il baobab di Glencoe, un albero monumentale della provincia di Limpopo in Sud Africa, era considerato l'essere vivente più grande del mondo, con una circonferenza di 47 metri e un diametro di 15,9. Purtroppo nel novembre del 2009 si è spaccato in due parti e il primato è passato al baobab di Sunland, sempre in Sud Africa, con una circonferenza di 34 metri. Nativi di aree stagionalmente aride, i baobab africani sono in grado di immagazzinare nel tronco enormi quantità di acqua (fino a 120.000 litri); inoltre nella stagione secca, riducono la dispersione lasciando cadere le foglie. Tuttavia, oggi in varie zone dell'Africa sono in grande pericolo: a partire dall'inizio del secolo, proprio gli esemplari maggiori, che vantano un'età tra 1000 e 2500 anni, hanno incominciato a collassare e a morire uno dopo l'altro. Secondo gli studiosi, è una conseguenza del cambiamento climatico, in particolare della combinazione tra siccità e innalzamento della temperatura: gli alberi si disidratano e non riescono più alimentare i loro enormi tronchi. E non possiamo neanche sperare in un Napoleone che sollevi questi giganti dalla loro miseria. Ma non c'è solo A. digitata. Il Madagascar ospita ben sei specie endemiche, tra cui A. grosdidieri, considerata la più bella per il tronco slanciato. Vive invece in Australia A. gregorii, non meno affascinate delle cugine africane. Qualche approfondimento nella scheda. Per circa centocinquanta anni, l'orto botanico parigino, prima Jardin du Roy poi Jardin des Plantes, fu dominato da esponenti della famiglia Jussieu, nelle vesti di professori di botanica e dimostratori. Abbiamo già incontrato uno dei membri della prima generazione, Joseph de Jussieu, nel ruolo di botanico della spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. E' ora di conoscere più da vicino i suoi celebri fratelli, gli accademici Antoine e Bernard, soprattutto quest'ultimo, cui si deve un decisivo passo avanti nell'elaborazione di un metodo di classificazione naturale delle piante, poi perfezionato da un altro Jussieu, suo nipote Antoine-Laurent. L'ultima generazione è poi rappresentato dal figlio di questi, Adrien. Non più validi i generi che furono dedicati all'intera famiglia, a celebrare almeno Bernard e Adrien rimangono due generi di Euphorbiaceae, Bernardia e Adriana. I Jussieu, linneani riluttanti Nel maggio del 1738, prima di tornare definitivamente in Svezia, Linneo passò da Parigi per visitare il Jardin du roy e le sue collezioni. Per preparare il soggiorno, aveva scritto ai padroni di casa, i due Jussieu: Antoine, il titolare della cattedra di botanica, e Bernard, il dimostratore delle piante. Si racconta che arrivasse al Jardin senza annunciarsi, unendosi a un gruppo di studenti che seguiva una dimostrazione di Bernard. A un certo punto, questi chiese di identificare una pianta sconosciuta. Dal gruppo si levò una voce dall'accento straniero: "Haec planta facem americanam habet" (Questa pianta ha le caratteristiche di una pianta americana). Bastò perché Bernard capisse con chi aveva a che fare, replicando "Tu es diabolus aut Linnaeus" (O sei il diavolo o sei Linneo"). Fu l'inizio di una duratura amicizia. Bernard condusse Linneo a visitare il giardino, gli aprì le porte dell'erbario e della biblioteca, erborizzò con lui nelle campagne parigine, lo introdusse nei circoli scientifici della capitale. Più tardi, ne fece il suo corrispondente all'Accademia delle Scienze e fu determinante per la sua ammissione all'istituzione come membro estero. Linneo ricambiava con una profonda stima per Bernard, con cui continuò a scambiare lettere per quasi un trentennio; nel 1747 così scrisse a un corrispondente: "E' l'astro del nostro secolo; lo metto al di sopra di tutti, perché è ricchissimo di osservazioni solide e ben fondate". Nella sua famosa lista degli "ufficiali del Regno di Flora", assegnò a Bernard il ruolo di generale maggiore, secondo solo a lui, il generale in capo. Candolle riferisce che lo ammirava tanto da dire ai suoi allievi: "Non c'è nessuno in grado di spiegare così bene le piante. Aut Deus aut magister noster Jussiaeus, o Dio o il nostro maestro Jussieu". Al contrario di Buffon, il sovrintendente del Jardin, che espresse critiche feroci al sistema linneano, i Jussieu ne vedevano con equilibrio pregi e limiti. Nel 1744 Bernard curò la pubblicazione francese della quarta edizione di Systema naturae, integrando le denominazioni linneane con quelle di Tournefort e i nomi volgari francesi. Nel 1774, per volontà di Bernard e suo nipote Antoine-Laurent, la denominazione binomiale fu adottata nel Jardin des Plantes. I Jussieu riconoscevano anche i vantaggi pratici del sistema sessuale linneano, tanto che Antoine-Laurent scrisse: "La botanica gli deve una parte dei suoi progressi. Il suo sistema occuperà sempre uno dei primi ranghi tra i metodi artificiali, e faciliterà lo studio delle piante". Tuttavia, si trattava appunto di un metodo artificiale, comodo e facile da usare per identificare e nominare le piante, ma incapace di dare conto delle affinità reali e di cogliere l'ordine naturale del mondo. Naturalmente, Linneo stesso ne era perfettamente consapevole e, a parole, ammetteva la superiorità del metodo naturale, che definì "il compito ultimo della botanica", un compito, però, a suo parere non ancora accessibile ai botanici della sua generazione. Alla ricerca di un metodo naturale Pur nella sua infinita modestia, Bernard la pensava diversamente. Probabilmente poco dopo il fatidico incontro con Linneo, intorno al 1740, incominciò a elaborare un proprio metodo, basato non su un singolo criterio, ma sul maggior numero di criteri possibili, riprendendo la strada percorsa da Ray, Tournefort e Magnol. Gli erano di stimolo le acquisizioni dei suoi colleghi zoologi del Jardin du Roi, primo fra tutti Buffon, che molto prima dei botanici stavano individuando con successo validi criteri di classificazione degli animali. Nella sua ricerca Bernard si basò sull'osservazione continua e diretta delle piante, acquisendone una conoscenza profonda, direi intima. Era un osservatore, non un teorico, con un approccio olistico in cui molto contava l'istinto; il sistema dovette emergere poco a poco, per tentativi, "par tatonnement", con scriverà Candolle. Purtroppo egli era un grande studioso e un grande didatta che trasmetteva generosamente le sue acquisizioni agli allievi, ma non ha lasciato nulla di scritto sul suo lavoro. Come per ricostruire il pensiero di Socrate dobbiamo affidarci a (e fidarci di) Platone, per ricostruire il metodo di questo Socrate della botanica dobbiamo basarci su quanto ce ne racconta il nipote e allievo, Antoine-Laurent (un testimone tutt'altro che disinteressato). Nel 1759, il re chiese a Bernard di creare un orto botanico nel giardino del Trianon; il botanico accettò, e sistemò le piante nelle parcelle suddivise sulla base di ordini naturali (equivalenti grosso modo alle nostre famiglie). Non scrisse una riga per spiegare i criteri seguiti nei raggruppamenti, che però possiamo almeno in parte dedurre dalla lista manoscritta dei generi suddivisi in ordini, che fu pubblicata trent'anni dopo da Antoine-Laurent, nel 1789. Nel raggruppare le piante, Bernard prese in considerazione elementi come le caratteristiche dell'embrione, la posizione dell'ovario, la presenza o l'assenza di petali, la fusione o la libertà dei petali. La classificazione venne strutturata gerarchicamente in tre gruppi principali, 14 classi e 65 ordini. Cominciando dalle crittogame, proseguiva con le monocotiledoni, quindi le dicotiledoni, per finire con le conifere. Dal 1763, Bernard fu affiancato dal nipote Antoine-Laurent, che l'avrebbe poi sostituito come dimostratore e avrebbe concluso la carriera come direttore post rivoluzionario del Museo nazionale di scienze naturali. Nel fatidico 1789, oltre al manoscritto sulla disposizione del giardino del Trianon, egli diede alle stampe Genera Plantarum, secundum ordines naturales disposita. In questo testo importantissimo, oggi considerato il vero inizio della classificazione naturale come noi la concepiamo, egli presenta il proprio metodo come la continuazione, o meglio l'attualizzazione e il perfezionamento, delle acquisizioni dello zio. Non sappiamo se dobbiamo credergli fino in fondo; in questa affermazione c'è infatti l'intento polemico di assicurare la primogenitura alla propria famiglia, sminuendo il contributo di Adanson, che di Bernard era stato allievo, e aveva pubblicato la sua Familles de plantes a partire dal 1763. Non sappiamo dunque se davvero risalisse già a Bernard, o si debba interamente a Antoine-Laurent, l'introduzione di quella che Cuvier (che fu profondamente influenzato da quest'ultimo) avrebbe chiamato "legge di subordinazione degli organi". Per ritrovare l'ordine che presiede alla natura è necessario, è vero, osservare ogni parte delle piante, tenere conto dell'insieme delle caratteristiche, ma non tutte hanno la stessa importanza gerarchia. Per prime vengono le caratteristiche costanti, comuni a tutte le piante dell'ordine, ricavate dagli organi essenziali (prime fra tutte il numero dei cotiledoni o la loro mancanza); quindi le caratteristiche quasi costanti, ricavate da organi non essenziali, in particolare la corolla e gli stami, che nel loro insieme contribuiscono a individuare le caratteristiche di una famiglia, ma singolarmente servono unicamente a determinare un genere; infine le caratteristiche variabili, ricavate da qualsiasi organo, distintive di ciascuna specie. E' questa la maggiore novità del sistema di Jussieu, che lo distingue dai precedenti metodi naturali e apre la strada ai rapidi progressi della classificazione naturale, portata avanti nell'Ottocento tra gli altri dal maggiore discepolo di Antoine-Laurent, Augustin Pyrame de Candolle. Una famiglia di botanici per le famiglie di piante Prima di lasciare questa importantissima famiglia di botanici, che dominò il Jardin du Roy, poi Jardin des plantes per tre generazioni e quasi un secolo e mezzo, dal 1709, quando vi approdò Antoine, al 1853, quando morì Adrien, il suo ultimo esponente, è ora di conoscerne meglio i membri. I Jussieu erano originari di Lione, dove esercitavano da generazioni la professione di farmacista. Antoine (1686-1758) andò a studiare medicina a Montpellier, dove si appassionò di botanica; le sue spedizioni botaniche in Normandia e Bretagna attirarono l'attenzione di Fagon, che nel 1709, alla morte di Tournefort, lo chiamò al Jardin du Roy a insegnare botanica. Già due anni dopo fu ammesso all'Accademia delle Scienze. Nel 1716 fu inviato in missione in Spagna e prese con sé il fratello minore Bernard (1699-1777), all'epoca ancora adolescente. Nel 1722 anche Bernard arrivò al Jardin du Roy, come sottodimostratore, e nel 1725 anch'egli fu ammesso all'Accademia delle Scienze. Tra i due fratelli, legatissimi, ci fu subito una netta divisione di ruoli: Antoine era il professore titolare, ricopriva ruoli ufficiali anche amministrativi e inoltre era un medico reputato, con una vasta clientela. Bernard, sempre modesto, poco propenso ad apparire, era l'appartato studioso e il prestigioso didatta che svelava i segreti delle piante a uno stuolo di allievi riverenti. Si occupava anche dell'erbario e delle collezioni del Jardin, che incrementò (sembra di tasca propria) anche con due viaggi in Inghilterra, da uno dei quali riportò due plantule di Cedrus, che secondo un aneddoto forse apocrifo fecero il viaggio nel suo cappello. Da questa posizione defilata non volle discostarsi neppure dopo la morte di Antoine, rifiutando di succedergli nella cattedra di botanica per rimanere sottodimostatore come era sempre stato. Ai vecchi, diceva, non piacciono i cambiamenti. Ma ci sono ancora due fratelli; Christophe, rimasto a Lione a gestire la farmacia di famiglia, e Joseph (1704-1779) che abbiamo già incontrato parlando della Spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. Rimasto in America 35 anni a raccogliere piante e ad assistere i poveri, ritornò in Francia solo nel 1771, ormai privo di senno, e fu amorevolmente assistito da Bernard, ormai divenuto capo famiglia dopo la scomparsa di Antoine. Come ho già anticipato, dal 1763 era arrivato a Parigi anche Antoine-Laurent (1748-1836), figlio di Christophe. Divenuto l'assistente e il migliore allievo di Bernard, nel 1770 succedette a Le Monnier come professore al Jardin du Roy. Per almeno un quindicennio fu impegnato nella stesura di Genera Plantarum, che, come ho anticipato, uscì proprio nell'anno d'inizio della rivoluzione francese. Con la quale il nostro riuscì a destreggiarsi a sufficienza da essere nominato nel 1804 direttore del Museo Nazionale di Scienze naturali, sorto dalle ceneri del Jardin du Roy, ormai Jardin des Plantes. Fu una delle principali figure della botanica europea della prima metà dell'Ottocento. Nel 1826, divenuto quasi cieco (un destino che toccò a molti botanici, affaticati dall'eccessivo uso del microscopio, compreso suo zio Bernard), lasciò la cattedra al figlio Adrien. Siamo così arrivati all'ultima generazione: Adrien (1797-1853) fu a sua volta professore sia al Jardin des Plantes sia alla facoltà di scienze. Il suo contributo più importante è Cours élémentaire de botanique, un'opera didattica di grande diffusione. Gli si devono anche alcuni saggi su varie famiglie di piante, che andavano ad aggiungere un mattoncino all'edifico della botanica sistematica di cui Bernard aveva gettato le fondamenta. Due Euphorbiaceae esotiche per due Jussieu A questa famiglia così illustre non potevano mancare le dediche di generi botanici. Nel 1753 Linneo cercò di pagare il suo debito di riconoscenza verso i fratelli Jussieu dedicando loro Jussaea, oggi confluito in Ludwigia insieme a Isnardia. Nel 1781, in Reliquiae Houstonianae, lo scritto di Houstoun edito postumo da Banks, seguì Jussieuia, oggi sinonimo di Cnidoscolus. E così anche Antoine, Joseph e Antoine-Laurent si aggiungono alla lunga lista di grandi botanici non ricordati da alcun genere valido. Non è così né per Bernard né per Adrien. Si dove ancora a Houstoun (in questo caso la proposta fu accolta e fatta propria da Philip Miller, che il botanico lionese aveva conosciuto durante il viaggio a Londra) la dedica a Bernard de Jussieu del genere Bernardia della famiglia Euphorbiaceae. Bernardia è un vasto genere che comprende almeno una settantina di specie di arbusti ed erbacee perenni originari dell'America tropicale e subtropicale, tipiche soprattutto degli ambienti semiaridi, dalla California al Brasile. Morfologicamente molto vario, nonostante il grande numero di specie, è relativamente poco studiato. Sono piante monoiche o dioiche, con foglie per lo più dentate, usualmente con ghiandole basali e piccole stipole solitamente persistenti. I fiori unisessuali, privi di petali, sono raccolti in infiorescenze in forma di spiga o di racemo all'ascella dei rami. Quelli staminati (maschili) presentano solitamente tre brattee simili a foglie, mentre quelli pistillati sono globosi e ricoperti di peli. I frutti sono delle capsule con tre lobi o tre angoli. Tra le specie più note, B. incana, originaria dei deserti tra California e Messico settentrionale, con stipole persistenti che essudano una resina scura e foglie biancastre per la presenza di una densa peluria; B. myricifolia, che fa parte delle comunità di macchie di arbusti su roccia calcarea di Texas e Messico, è simile alla precedente, ma con stipole caduche e prive di essudato. Un riconoscimento, infine, è toccato anche all'epigono Adrien, che nel 1825 ricevette da Gaudichaud-Beaupré la dedica di un altro genere di Euphorbiaceae, il piccolissimo Adriana, con solo due specie originarie dell'Australia, A. quadripartita e A. urticoides, il primo endemico dell'Australia meridionale, il secondo presente in tutta l'isola, ad eccezione della Tasmania. Sono fitti arbusti eretti, dioici, anch'essi adattati ad habitat aridi. Di A. quadripartita, nota come bitter-bush, esistono due forme: una con foglie glabre, l'altra con foglie pubescenti. Quest'ultima viene anche utilizzata per formare siepi costiere antivento. Tra le questioni scientifiche più dibattute dalla scienza del '700 c'era quella della forma e della dimensione della Terra: a Newton che, sulla base della teoria della gravità postulava che fosse schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore, si opponeva Cartesio che, basandosi sulla propria teoria dei vortici, pensava piuttosto a una forma simile a un uovo, con un allungamento verso i poli. A sostegno di quest'ultima tesi, l'astronomo Cassini portava le misure da lui effettuate in Francia. Per dirimere la controversia, nel 1735 l'Accademia delle Scienze francese organizzò due spedizioni: una si sarebbe recata in Lapponia, la seconda nel vicereame del Perù. Le misure di un arco di meridiano prese rispettivamente al circolo polare artico e all'equatore avrebbero dovuto fornire la risposta. Per la durata, le personalità coinvolte, i risultati, la più importante fu indubbiamente la seconda, passata alla storia con tanti nomi: Missione geodetica in Perù, Missione geodetica all'equatore, Missione geodetica franco-spagnola o anche Spedizione La Condamine, da uno dei principali protagonisti. Anche se i suoi obiettivi principali erano geografici ed astronomici, coinvolse anche un botanico, Joseph de Jussieu, e portò a rilevanti scoperte su piante medicinali di grande importanza. Fu la prima grande spedizione scientifica internazionale, poiché vi presero parte anche due giovanissimi e perspicaci ufficiali della Marina spagnoli, destinati a un brillante avvenire: Jorge Juan e Antonio de Ulloa, i due dedicatari dello spettacolare genere Juanulloa. Dramatis personae: francesi e spagnoli L'idea che la Terra non fosse perfettamente sferica fu avanzata nel 1671 dal francese Jean Picard, l'astronomo che inventò il metodo della triangolazione geodetica. Qualche anno dopo Newton affermò che, se la Terra possedesse solo il moto di rivoluzione, sarebbe perfettamente sferica; ma a causa del movimento di rotazione assume la forma di uno sferoide schiacciato ai poli e dilatato all'equatore. A questa tesi si opponeva Cartesio, che, sulla base della teoria dei vortici, riteneva piuttosto che il pianeta avesse una forma simile a un uovo, con un allungamento lungo l'asse dei poli. A partire dal 1683, si passò alla verifica sperimentale; in Francia, gli astronomi Cassini, Maraldi e La Hire misurarono un meridiano dalla Manica ai Pirenei; le loro misure sembrarono confermare l'allungamento della Terra in senso longitudinale, secondo la tesi di Cartesio, ma furono respinte come erronee dai newtoniani . Per risolvere la questione una volta per tutte, l'Accademia delle Scienze decise di organizzare due spedizioni geodetiche (debitamente finanziate dalla Corona), che avrebbero dovuto misurare un arco di meridiano rispettivamente in prossimità del Polo nord e all'Equatore. La spedizione polare (1736-1737) fu guidata dal convinto newtoniano Pierre Louis Moreau de Maupertuis, accompagnato dal matematico Alexis Clairaut e dagli astronomi Charles-Étienne-Louis Camus e Pierre Charles Le Monnier; in Svezia fu inoltre accolta da Anders Celsius, l'inventore del termometro centigrado. La spedizione misurò un arco di meridiano tra Kittis e Tornea, constatando che era più lungo rispetto quello misurato da Cassini tra Amiens e Parigi; era la conferma che la Terra è appiattita ai poli. Maupertuis ritornò trionfante a Parigi e presentò i risultati con grande risonanza mediatica, tanto da guadagnarsi da parte dell'ironico Voltaire il soprannome di "schiacciatore della Terra". Ben più complessa si presentava la spedizione all'Equatore. Il primo problema era politico: la Francia decise di effettuare le misurazioni nell'attuale Ecuador, che all'epoca faceva parte del Vicereame del Perù, territorio sotto la giurisdizione spagnola. Fino ad allora, la Spagna aveva sempre negato l'autorizzazione a spedizioni straniere nelle proprie colonie; in virtù del patto di famiglia (tanto a Parigi quanto a Madrid regnava un Borbone) e del desiderio di partecipare a un'impresa tanto prestigiosa, la Spagna si convinse, ma a condizione che partecipassero anche due militari iberici, ufficialmente come collaboratori, ma in realtà come sorveglianti. Fu così che la Missione geodetica all'Equatore divenne la prima spedizione internazionale dell'età moderna. Per numero di partecipanti era decisamente imponente. L'équipe scientifica francese comprendeva dieci membri: tre accademici, l'astronomo Louis Godin (1704-1760), che era anche colui che aveva avuto l'idea della missione; il matematico, fisico e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758); il chimico e geografo Charles de La Condamine (1701-1774); i disegnatori e cartografi Jean-Louis de Morainville e Jean-Joseph Verguin; l'orologiaio e "ingegnere agli strumenti matematici" Théodore Hugot; il chirurgo Jean Siniergue; gli aiutanti Couplet-Viguer e Godin des Odonnais (nipote di Louis Godin); il medico e botanico Joseph de Jussieu (1704-1779), fratello minore degli accademici Antoine e Bernard. Infatti, anche se l'obiettivo principale della missione era geodetico e astronomico, l'Accademia non volle perdere l'occasione di studiare la natura di quella contrada esotica, in particolare le sue reputate piante medicinali. Aggiungendo i servitori e i soldati di scorta, a lasciare La Rochelle il 16 maggio 1735 a bordo del mercantile Portefaix furono in ventitré. Dopo 37 giorni di navigazione, la prima tappa fu la Martinica, quindi Santo Domingo dove dovettero attendere tre mesi il vascello che li avrebbe condotti a Cartagena de las Indias (nell'attuale Colombia); durante il soggiorno forzato, secondo la loro specializzazione, gli scienziati si dedicarono alle osservazioni astronomiche o alla raccolta di piante e animali. Purtroppo ebbero anche il primo assaggio di febbri tropicali: ne soffrirono Jussieu e Godin des Odonnais in modo lieve, La Condamine in modo grave, due servitori e un soldato ne morirono. Per rimpiazzarli, furono acquistati alcuni schiavi neri, intaccando le non molto abbondanti risorse finanziarie, che vennero per altro dissennatamente sperperate da Godin per far colpo su una bellezza creola. I francesi arrivarono a Cartagena solo nel novembre 1735, dove ad attenderli c'erano i loro compagni spagnoli, arrivati da Cadice già a giugno: una squadra di sette uomini capeggiata dai tenenti di vascello Jorge Juan Satacilia (1713-1773) e Antonio de Ulloa de la Torre Giral (1716-1795). Entrambi giovanissimi (avevano rispettivamente 22 e 19 anni), erano i due migliori allievi dell'Accademia dei guardia marina di Cadice, un centro di formazione di élite dove i rampolli dell'aristocrazia venivano preparati a comandare le navi della flotta spagnola. Avevano già partecipato ad azioni militari, possedevano buone basi matematiche e nozioni elementari di astronomia, ma erano dei "ragazzini" (come li definirà sprezzantemente La Condamine), che da guardia marina erano stati promossi dalla sera alla mattina tenenti di vascello per non troppo sfigurare. Erano muniti di istruzioni molto precise, alcune ufficiali, altre segrete: in base alle prime, dovevano determinare le coordinate dei porti visitati, tracciare le carte delle città, ispezionare lo stato delle difese, raccogliere ogni possibile informazione su cantieri, risorse economiche, minerarie e naturali incluse le piante, suggerire riforme; in base alle seconde, dovevano sorvegliare strettamente i francesi che agli occhi di Madrid, più che scienziati, erano potenziali spie. Nell'attesa dei francesi, anche loro non avevano perso tempo, esplorando e cartografando la regione: tra le altre cose, in una miniera abbandonata nella selva del Chocó Ulloa osservò un metallo così duro da resistere alla calcinazione. Era la prima segnalazione del platino, di cui Ulloa è considerato lo scopritore. Un'impresa epica... e litigiosa Così riuniti, francesi e spagnoli si imbarcarono per Portobelo, da dove avrebbero raggiunto la costa del Pacifico addentrandosi a piedi nelle foreste dell'istmo di Panama, un cammino reso difficile dalla vegetazione impenetrabile, dalle punture di insetti e scorpioni, dagli incontri con animali selvatici di ogni tipo, ma soprattutto dalle dimensioni stesse della carovana, che comprendeva trenta muli carichi di abiti, tende, attrezzi da cucina, armi, acquavite e ovviamente strumenti astronomici, geodetici, topografici. Trovare un imbarco a prezzo accessibile per tanti bagagli e una quarantina di persone fu dunque tutt'altro che semplice; solo dopo quasi tre mesi gli esploratori poterono imbarcarsi sul San Cristobal, che li condusse a Manta, sulla costa dell'attuale Ecuador (marzo 1736). Bouguer e Godin incominciarono subito ad accapigliarsi: gli accordi tra Francia e Spagna prevedevano che venisse misurato l'arco di meridiano che passa per Quito (sull'altopiano, a circa 2850 metri sul livello del mare), ma Bouguer suggerì di misurarlo sulla costa, dove le operazioni sarebbero state più semplici e non sarebbe stato necessario trasporre i calcoli al livello del mare; Godin rifiutò, ben sapendo che i loro passaporti erano vincolati all'itinerario già stabilito e che le autorità locali li guardavano con sospetto. Concesse però a Bouguer e La Condamine di fermarsi qualche giorno sulla costa per determinare la posizione esatta dell'equatore. Fu così che per arrivare a Quito ognuno dei tre accademici fece gruppo a sé: Godin e gli spagnoli vi arrivarono per primi il 29 maggio 1736, seguiti a qualche giorno di distanza dagli altri. Per nessuna delle tre comitive fu una passeggiata: senza considerare seccature come il cibo troppo piccante o la mancanza di vino, ad accoglierli ci furono nuvole di moscerini, piogge torrenziali, foreste in cui bisognava aprirsi il cammino con le asce e orientarsi con la bussola, ponti di corda sospesi su abissi vertiginosi. Dopo diversi mesi dedicati alla preparazione logistica e alla verifica degli strumenti, le triangolazioni iniziano a ottobre nella pianura di Yaruqui e proseguono fino all'agosto 1738: viene misurato l'arco geodetico che da Quito arriva fino a Cuenca, per una lunghezza di oltre 300 chilometri. Come aveva previsto Bouguer, effettuare misure geodetiche in un territorio accidentato d'altura pone problemi non banali. In una regione in cui le cime superano i 5000 metri, capita che le basi di rilevazione coincidano con un burrone o una scarpata, gli strumenti devono essere spostati, smontati e rimontati rischiando di comprometterne il funzionamento. Per sistemare i punti di riferimento e osservare gli angoli, bisogna scalare montagne, sopportare il mal d'altura, il freddo, le piogge torrenziali, le nebbie, il vento che spazza via i segnali (senza contare quelli smantellati e rubati dagli indigeni), cui si aggiungono occasionali terremoti e eruzioni vulcaniche. Molto spesso le guide si rifiutano di proseguire; gli unici che non demordono, e condividono con scienziati e tecnici il merito del successo finale, sono gli schiavi neri, di cui non conosciamo né il numero né il nome. A tutte queste difficoltà, si aggiunse la situazione finanziaria sempre più drammatica: terminati i fondi inizialmente assegnati e mai giunti quelli richiesti a Parigi, i francesi furono costretti a chiedere prestiti al tesoro spagnolo o a commercianti locali, indebitandosi sempre più pesantemente; ogni tanto, bisognava interrompere i lavori per tornare a Quito per riparare gli strumenti e per cercare soldi, un'operazione solitamente affidata a La Condamine: figlio di un esattore delle imposte, sapeva come condurre le trattative e, soprattutto, godeva di un patrimonio personale da usare come garanzia. Così, ogni tanto partiva e si faceva centinaia e centinaia di chilometri per andare a Lima a battere cassa. Le intemperie, le difficoltà del cammino, le malattie e gli scontri con i locali diradarono le file della spedizione: nel 1736 l'aiutante geografo Couplet-Viguer morì di malaria; nel 1739 Siniergues, in seguito a un intrigo amoroso, venne assassinato durante una corrida a Cuenca. Anche due dei servitori morirono di morte violenta. A tutte queste difficoltà oggettive si aggiunsero i pessimi rapporti tra i tre accademici; Godin rifiutò di mostrare i suoi dati ai colleghi per un confronto. Quando, terminate le misure geodetiche nell'agosto 1738, passarono a quelle astronomiche, un errore di calcolo di Godin rilevato da Bouguer fece scoppiare una violenta lite. Per altro, la parte astronomica delle missione si rivelò anche più penosa e difficile di quella geodetica, con giorni e giorni persi ad attendere condizioni di perfetta visibilità, supporti resi instabili dai terremoti, la necessità di smontare, rimontare e rettificare continuamente gli strumenti, senza contare l'inesperienza di Bouguer e La Condamine che persero quasi due anni in un duro apprendistato. Le misure astronomiche, condotte dagli accademici divisi in tre équipes separate, richiederanno quasi cinque anni, fino al 1743. Terminato il loro compito, anziché rientrare insieme, i tre litigiosi scienziati francesi si divisero, a testimoniare il solco incolmabile che si era scavato tra loro. Pierre Bouguer ripercorse all'inverso la strada dell'andata, imbarcandosi per Panama e da qui per le Antille, quindi per Nantes. Nell'agosto 1744 era a Parigi, dove il suo ritorno quasi non fece notizia: che la Terra fosse appiattita l'aveva già dimostrato Maupertuis otto anni prima. In ogni caso, egli presentò all'Accademia una relazione in cui cercò di attribuirsi tutti i meriti, minimizzando i contributi di Godin e La Condamine. Quest'ultimo arrivò a Parigi solo alla fine del 1745, dopo un viaggio molto avventuroso che merita di essere raccontato in un post a parte, visto che coinvolge la botanica e gli ha guadagnato la dedica di un genere. Quanto a Godin, aveva deciso di ampliare la triangolazione, estendendola fino alla latitudine di Cuenca; continuò il suo lavoro con l'assistenza di Juan e Ulloa fino al maggio 1744. Oppresso da enormi debiti che non aveva modo di saldare, si trasferì poi a Lima dove lavorò come astronomo e professore; poté tornare in Europa solo quando la corona spagnola pagò i suoi debiti a condizione che si trasferisse a Cadice come professore dell'Accademia dei guardia marina (quella dove si erano formati Juan e Ulloa). Non sarebbe più tornato in Francia. Un botanico inquieto e sfortunato Godin non fu il solo membro della spedizione ad essere trattenuto nel Vicereame del Perù dai debiti o da nuovi affetti. Suo nipote Jean-Baptiste Godin des Odonais si sposò con una ragazza della buona società creola e tornò in Francia con la moglie solo nel 1773 dopo avventure a non finire; in una versione un po' romanzata, le ha raccontate Robert Whitaker in La moglie del cartografo. Il meccanico-orologiaio Théodore Hugot rimase a Quito, si sposò con una peruviana e morì nella selva, mentre era impegnato a sfruttare una miniera. L'ingegnere e disegnatore Jean Louis de Morainville divenne architetto e morì per la caduta di una trave mentre lavorava alla ricostruzione di una chiesa a Riobamba, nel 1764 o nel 1765. Un destino amaro attendeva anche il nostro botanico, Joseph de Jussieu. Prima di studiare medicina e botanica seguendo l'esempio dei fratelli, aveva studiato matematica con l'intenzione di diventare ingegnere. In vista del viaggio in Sudamerica si era preparato alla sua missione studiando l'erbario di Joseph Donat Surian, il compagno di viaggio di Plumier. Le soste in Maritinica, a Santo Domingo, Cartagena e Portobelo furono per lui altrettante occasioni di raccolta di specie esotiche. Una volta a Quito, dovette però limitare le sue escursioni botaniche sulla sierra (dove in genere era accompagnato dal disegnatore de Morainville) perché, grazie alle sue basi matematiche, fu attivamente coinvolto nelle misurazioni geodetiche. Ma soprattutto a sottrarlo alle ricerche botaniche fu la sua condizione di medico in una regione dove la presenza di personale sanitario preparato era inversamente proporzionale alla frequenza di epidemie. Nel 1736 e nel 1737, insieme a Siniergues, fu cooptato dal viceré del Perù per assistere la popolazione colpita da epidemie di vaiolo a Cuenca e a Guayaquil. Fu dunque solo nel 1739, quando terminarono le misurazioni geodetiche, che poté dedicarsi pienamente alle ricerche botaniche. Quell'anno si recò a Loja, dove scoprì diverse specie di Cinchona, di cui studiò le caratteristiche botaniche e farmaceutiche. Quando la spedizione si sciolse, pensò di unirsi a La Condamine, ma ne fu impedito da un attacco di febbre e dalla mancanza di mezzi, che lo costringevano a mantenersi esercitando la medicina. Nel 1745 aveva abbastanza soldi per pensare di partire, ma non poté farlo a causa di un decreto della Real Audiencia di Quito che vietava di lasciare la città. Nel 1747, ricevette l'ordine del ministro degli esteri francese Maurepas di raggiungere Godin a Lima per recuperare gli strumenti. Attraversò a piedi la provincia di Canelos dove studiò gli alberi di cannella (non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, nativa dell'Asia, ma di una pianta della stessa famiglia oggi denominata Ocotea quixos); esplorò poi la valle del fiume Chambo, le pendici del vulcano Tunguragua e la valle centrale, dove fece importanti raccolte botaniche che inviò ai fratelli a Parigi, raggiungendo Lima nel 1748. Qui si unì a Godin e ad agosto si mosse con lui in direzione di Buenos Aires, visitando tra l'altro le sponde del lago Titicaca, dove raccolse molti esemplari di uccelli. Ma quando raggiunsero La Paz, dopo un viaggio di nove mesi, decise di separarsi del suo compagno per visitare le coltivazioni di coca a Yunga, continuando poi per Santa Cruz de la Sierra. Aveva intenzione di raggiungere Godin più tardi, ma ciò non avvenne mai. Infatti nel luglio 1750 l'inquieto botanico arrivò a Potosì, dove sorgevano le più importanti miniere d'argento dell'epoca, e vi si trattenne per cinque anni, esercitando la professione medica e interessandosi di opere idrauliche. Con la vista indebolita, depresso e debilitato dalle malattie e dall'esposizione ai vapori di mercurio, tornò a Lima nel 1755. La famiglia premeva perché tornasse a casa, ma gli mancarono sempre i mezzi per farlo. Solo nel 1771 poté tornare a Parigi: era ormai un vecchio dal corpo e dalle mente distrutti; lasciò dietro di sé a Lima erbari e manoscritti che Joseph Dombey fu incaricato di recuperare senza esito. Altri materiali erano andati perduti già in precedenza, rubati da un servo. Ammesso all'Accademia delle scienze per volontà degli influenti fratelli, Joseph de Jussieu non poté partecipare neppure a una seduta. Visse ancora otto anni, immemore e immerso nel suo mondo interiore. Tra le piante di cui gli viene attribuita l'introduzione Heliotropium arborescens. I suoi maggiori contributi riguardano la china (Cinchiona spp.), l'albero di cannella (egli la chiamò, in onore del suo re, Borbonia peruviana, oggi come abbiamo visto si chiama Ocotea quixos) e la coca (Erythroxylum coca). Marinai, scienziati, funzionari, spie... Ad eccezione di La Condamine, sul quale ritornerò, nessuno dei protagonisti francesi di questa spedizione (incluso il botanico Joseph de Jussieu) ha dato il suo nome a un genere botanico valido. Uno più che notevole celebra invece congiuntamente gli spagnoli Jorge Juan e Antonio de Ulloa. E' dunque ora di conoscerli meglio. I due "ragazzini" non solo si dimostrarono compagni di lavoro leali e affidabili, ma sfruttarono l'occasione per un apprendistato che fece di loro due esponenti di punta dell'illuminismo iberico. Come ho già accennato, al loro arrivo nel Vicereame si unirono a Godin, in quanto capo della missione, e solitamente fecero squadra con lui anche negli anni successivi. Condivisero i disagi, i pericoli e le malattie e furono determinanti per il completamento della missione, imparando ad usare strumenti che in Spagna non si erano mai visti, tanto da trasformarsi in provetti geodeti, cartografi ed astronomi. Come i francesi, erano ben accetti dagli ambienti colti e illuminati della colonia, e sospetti alle autorità, che li consideravano delle spie del governo centrale. Ritardi nell'atto di nomina e il rimborso del trasporto di alcuni bauli contenenti strumenti scatenarono una battaglia burocratica con il presidente dell'Audiencia di Quito e il suo tesoriere che si trascinò per anni. In tre occasioni, tra il 1740 e il 1744, in seguito alla ripresa delle ostilità con l'Inghilterra i due furono cooptati dal viceré del Perù per la difesa della costa. Per rispondere alla sua chiamata, nel 1740 essi percorsero in meno due mesi i 1800 km che separano Quito da Lima, guadando fiumi impetuosi, attraversando selve e deserti privi di acqua potabile, sempre accompagnati dai fedeli moscerini. Mentre attraversava un burrone, Ulloa cadde dal mulo, si ferì gravemente, viaggiando fino a Lima in condizioni molto difficili. Appena guarito, con il suo commilitone si occupò di organizzare la difesa dei porti più importanti della costa peruviana, di dirigere le costruzioni navali e disegnare le mappe delle principali città. Nel settembre 1741 erano di nuovo a Quito, ma ben presto furono richiamati dal viceré che, oltre a compiti simili a quelli già visti, affidò loro il comando di due brigantini mercantili trasformati in navi militari per contrastare la minaccia inglese (che, per loro fortuna, non si palesò). Quando tornarono a Quito per la terza volta, la spedizione era già in via di scioglimento. Come abbiamo già visto, affiancarono Godin nella triangolazione dell'area di Cuenca fino al maggio 1744. Poi partirono anch'essi per l'Europa, imbarcandosi su due diverse navi di una flotta francese che seguiva la rotta di Capo Horn. Nell'Atlantico, i vascelli si persero di vista ed ebbero sorte molto diversa: quello su cui viaggiava Juan ebbe una tranquilla navigazione e arrivò a Brest nell'ottobre 1745; l'ufficiale spagnolo proseguì per Parigi, dove espose le sue osservazioni astronomiche all'Accademia delle scienze (di cui divenne membro corrispondente), per poi rientrare a Madrid. Quello su cui era imbarcato Ulloa fu catturato dagli inglesi nei pressi di Terranova; Antonio gettò fuori bordo tutti i documenti, ad eccezione delle misure geodetiche. Imprigionato, fu condotto a Londra; ma appena si conobbe la sua identità, fu liberato e ammesso alla Royal Society per i suoi meriti scientifici. Una nave inglese lo ricondusse in patria, dove arrivò qualche mese dopo l'amico. Nominati capitani di vascello, Juan e Ulloa scrissero a quattro mani Observaciones astronómicas y físicas hechas en los Reinos del Perú e Relación histórica del viaje hecho de orden de su Majestad a la América Meridional, pubblicati nel 1748, debitamente epurati dalla censura, che fece cancellare tutte le beghe con le autorità coloniali, e dall'Inquisizione, che impose di presentare il sistema copernicano come un'ipotesi non provata. Entrambi ebbero poi carriere prestigiose e furono figure importanti della rinascita scientifica della Spagna del secondo Settecento. Ulloa, dopo un viaggio di studio in Europa, fondò lo Studio e Gabinetto di storia naturale, antenato dell'attuale Museo nazionale di scienze naturali e creò il primo laboratorio di metallurgia del paese. Divenne poi un importante funzionario coloniale, occupandosi tra l'altro del miglioramento del servizio postale tra America e madrepatria. Meno fortunato nella carriera militare, fu messo sotto processo quando fallì nel tentativo di riconquistare la Florida, ma terminò la sua carriera con il grado di ammiraglio e direttore generale dell'esercito spagnolo. Quanto a Juan, nel 1748 il ministro della marina lo mandò in Inghilterra a spiare i cantieri navali britannici per carpirne i segreti industriali. Riuscì a svolgere brillantemente l'incarico, convincendo anche ingegneri navali e operai qualificati a trasferirsi in Spagna con le famiglie; la polizia era sulle sue tracce e arrestò alcuni dei suoi contatti, ma egli riuscì a sfuggire di un soffio imbarcandosi clandestinamente su una nave diretta in Francia. Nel 1752, fu nominato direttore della Accademia dei Guardiamarina di Cadice, dove ritrovò il suo compagno di avventure Godin. Provetto matematico, applicò le sue conoscenze alle costruzioni navali, trasformò l'arsenale di Cadice in un laboratorio all'avanguardia. Fu tra i promotori della creazione dell'Accademia delle Scienze di Madrid, città dove fondò anche l'Osservatorio reale. Fu poi coinvolto nella creazione dell'arsenale di Ferreol e nella riorganizzazione della Scuola dei nobili. Fu autore di un importante compendio di navigazione e come astronomo elaborò un metodo di calcolo della parallasse solare. Liane epifite e grappoli aranciati Nel loro Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus del 1794 Ruiz e Pavon dedicarono molti nuovi generi a scienziati spagnoli, con il preciso intento di dimostrare che la scienza iberica aveva ormai raggiunto la maggiore età e la Spagna poteva competere alla pari con le altre nazioni europee anche in questo campo. In questo contesto, la dedica di un genere a Juan e Ulloa era obbligata: non solo erano due esponenti particolarmente brillanti del rinnovamento scientifico della Spagna, ma come esploratori del Vicereame del Perù e membri di una missione internazionale franco-iberica potevano essere considerati i diretti predecessori degli stessi Ruiz e Pavon. La pianta che scelsero per onorarli era singolare da diversi punti di vista: cresceva sui rami degli alberi della foresta pluviale peruviana e produceva fiori spettacolari di un caldo color arancio; credendo si trattasse di una pianta parassita, la chiamarono Juanulloa parasitica, unendo nel nome generico i nomi dei due dedicatari, in modo da sottolineare la loro stretta collaborazione e l'amicizia che li legò per tutta la vita. In realtà, le specie di questo piccolo genere della famiglia Solanaceae non sono parassite, ma semi epifite: possono crescere sia a terra, sia su alberi e rocce. Le sue nove-dieci specie sono distribuite tra il Messico e il Perù; la maggior parte sono liane, ma possono avere anche portamento arbustivo. Molte sono caratterizzate da vistose infiorescenze di fiori con corolle tubolari avvolte in calici pentagonali persistenti dai colori brillanti (rosso, giallo, arancio, viola). La specie più nota, disponibile anche da noi in vivai specializzati, è J. mexicana (spesso commercializzata con il sinonimo J. aurantiaca). E' una liana o un piccolo arbusto perenne sempreverde con foglie coriacee e racemi di fiori penduli con calice e corolla arancio brillante. In natura può essere epifita; proprio per questo si adatta molto bene alla coltivazione in vaso. Un cenno alle altre specie e alla loro distribuzione nella scheda. Sono due articoli, usciti rispettivamente sul Journal Général de France e sulla Gaceta de Madrid nel 1786 a pochi mesi di distanza, a rilanciare l'affare Dombey. Protagonista di questa seconda fase è un aristocratico, magistrato di professione e botanico per passione, Charles-Louis L'Héritier de Brutelle che, pur di pubblicare le nuove specie scoperte dallo sfortunato Dombey, non esita a inscenare una rocambolesca fuga a Londra. A fare da comprimari, tanti personaggi: un giovanissimo Redouté alle prime pennellate; il botanico Broussonet nelle vesti di complice; un prudente James Edward Smith e un riluttante Joseph Banks; Jonas Dryander nelle funzioni di cane da guardia; Cuvier e de Candolle come amici, testimoni e biografi. Alla fine, tanto rumore per nulla: le piante di Dombey in realtà L'Héritier non le pubblicherà mai; sarà però autore di tanti generi importanti, tra cui Plectranthus, Agapanthus, Eucomis, Eucalypytus, Pelargonium, Erodium. Per una strana coincidenza, anche a lui, come a Ruiz, Pavon e Dombey, è toccata una Malvacea, Heritiera, omaggio di Dryander e del giardiniere capo di Kew Aiton. Un magistrato appassionato di botanica Come abbiamo visto in questo post, Dombey tornò in Francia nell'ottobre 1785. Non ancora ricaduto nella depressione, affittò una casa a Parigi dove mise a disposizione di curiosi e studiosi le sue collezioni, prima che fossero trasferite nel Gabinetto del re. Il Journal Général de France ne informò i lettori nel numero del 14 gennaio 1786, elogiando la rarità e la ricchezza delle raccolte; quindi proseguì annunciando che il conte di Buffon, curatore del Jardin des Plantes, aveva affidato il prezioso erbario di Dombey a M. L'Héritier perché ne pubblicasse la descrizione. Con i tempi lenti dell'epoca, la notizia rimbalzò a Madrid suscitando indignazione e proteste ufficiali. L'affare Dombey tornava d'attualità. Ma prima di occuparcene, facciamo la conoscenza con il suo secondo protagonista, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. L'Héritier era un facoltoso magistrato divenuto botanico per passione. Si racconta che in gioventù, quando era sovrintendente del Dipartimento delle acque e delle foreste, mentre visitava l'orto botanico di Parigi con alcuni colleghi, fosse così dispiaciuto dal non aver saputo riconoscere un albero (si trattava di un Celtis) da decidere di studiare la botanica da autodidatta; lo fece così bene da diventare un esperto tassonomista di stretta osservanza linneana. L'adesione al sistema di Linneo lo mise in urto con i Jussieu e Adanson, che in quegli anni andavano mettendo a punto il loro sistema naturale, ma gli procurò la stima di altri naturalisti (in particolare Cuvier, Broussonet e Thouin) e gli consentì di entrare in corrispondenza con i linneani inglesi, come Joseph Banks e James Edward Smith. Più tardi divenne giudice dell'importante Court des Aides; i contemporanei lo dipingono come un giudice integerrimo e incorruttibile. Egli era interessato soprattutto alle piante arboree e arbustive; ma la sua maggiore aspirazione - ricordo che era outsider, un dilettante agli occhi dei professori del Jardin des Plantes - era conquistare la celebrità pubblicando piante inedite. E quando si trattava della sua passione, gli scrupoli di giudice senza macchia venivano un po' meno; si dice che giungesse a corrompere i giardinieri perché lo avvisassero delle fioriture prima dei proprietari; certa è la sua abitudine di antidatare le pubblicazioni a stampa, cosa che provocò una feroce polemica con Cavanilles sulla priorità di pubblicazione di alcune Malvaceae. Verso il 1783, L'Héritier, all'epoca estremamente facoltoso, decise di pubblicare a proprie spese una serie di monografie dedicate a specie poco note o di recente introduzione coltivate nel Jardin des Plantes o in giardini privati parigini; si sarebbe trattato di edizioni di lusso, in cui le sue precisissime descrizioni sarebbero state accompagnate da incisioni a piena pagina di eccellente qualità, affidate ad artisti capaci di ritrarre le piante dal vero con immediatezza, attenzione al dettaglio e precisione scientifica. Cercando i migliori collaboratori per il suo progetto, scoprì un giovane artista, appena trasferitosi a Parigi dal Lussemburgo: Pierre-Joseph Redouté. L'Héritier curò la sua formazione come illustratore botanico, gli aprì la sua biblioteca e gli affidò l'illustrazione di alcune sue opere, a cominciare dal secondo fascicolo di Stirpes novae. Il primo fascicolo di Stirpes Novae aut minus cognitae, quas descriptionibus et iconibus illustravit, con undici incisioni, uscì nel marzo del 1785, seguito da altri cinque tra il 1786 e il 1791. In tutto, le specie descritte e le incisioni sono 84. Tra i nuovi generi qui stabiliti da L'Héritier, il più noto è sicuramente Plectranthus (1788). Alcune delle nuove specie sono "peruviane" nate dai semi inviati da Dombey, tra cui quella che il magistrato-botanico battezza Verbena tryphilla (oggi Aloysia citrodora, ovvero la notissima cedrina o erba Luisa). La circostanza dovette attirare l'attenzione di Buffon che, come abbiamo già visto, decise di affidare proprio a L'Hériter de Brutelle la pubblicazione dell'erbario di Dombey, tanto più che il magistrato offriva di pagarla di tasca sua. Una fuga in Inghilterra e un progetto mai realizzato Sulla Gaceta de Madrid dell'11 luglio 1786 esce un articolo di fuoco, ispirato da Gomez Ortega o scritto direttamente da lui, in cui si denuncia l'annunciata pubblicazione dell'erbario di Dombey come una violazione della parola data da quest'ultimo di non pubblicare nulla prima del rientro di Ruiz e Pavon. Segue una protesta diplomatica ufficiale; la Spagna chiede non solo la sospensione della pubblicazione, ma addirittura l'invio a Madrid dell'erbario, onde evitare ogni tentazione. Una richiesta pesantissima e senza appigli legali, a cui tuttavia il governo francese si adegua. Per caso, L'Héritier de Brutelle si trova proprio a Versailles quando viene a sapere che è stato trasmesso a Buffon l'ordine di ritirare l'erbario, che gli sarà comunicato il giorno dopo. Disperato, corre a casa. Con l'aiuto della moglie, dell'amico Broussonet e di Redouté, passa la notte a imballare l'erbario e a fare i bagagli; la mattina dopo (è il 7 settembre 1786) parte con la moglie per Boulogne. Alla dogana, dichiara falsamente che sta andando in Inghilterra con dei materiali richiesti da Joseph Banks, un nome così prestigioso da spegnere i sospetti dei doganieri. Quindi si imbarca per Londra, dove passa quindici mesi, da settembre 1786 a dicembre 1787, con l'intenzione di preparare Il Prodromus di una Flora del Perù e del Cile, potendo approfittare delle biblioteche e degli erbari di Smith e Banks per il confronto e la determinazione degli esemplari. L'accoglienza di Banks non è proprio entusiastica: è stato avvertito della storia da Smith, che al momento della fuga di L'Héritier si trovava a Parigi, e soprattutto è furioso per l'uso del suo nome alla dogana di Boulogne. Tuttavia poi ammette il francese come regolare visitatore della sua biblioteca, pur raccomandando al segretario Dryander di tenerlo d'occhio: non si fida di questo fanatico, capace di tutto, anche di impadronirsi del lavoro altrui. In realtà, L'Hértitier si comporta più che correttamente. Tuttavia, a Londra i suoi piani cambiano: invece di concentrarsi sulla descrizione delle piante di Dombey, è attratto dalle specie ancora inedite dell'erbario di Banks e dalle novità botaniche che crescono a Kew e in altri giardini londinesi. Nasce così la sua seconda opera principale, Sertum anglicum (1789-1793), in cui pubblica 125 specie per lo più inedite, solo pochissime delle quali sono tratte dall'erbario di Dombey; per le incisioni si affida al grande illustratore britannico James Sowerby e a Pierre-Joseph Redouté, che lo ha raggiunto a Londra nella primavera del 1787. I nuovi generi pubblicati in questa opera sono tredici, sette dei quali dedicati a botanici britannici, come ringraziamento per l'accoglienza: Boltonia, Dicksonia, Lightfootia, Pitcarnia, Relhania, Stokesia, Witheringia. Quanto ai suoi principali ospiti, Banks, Smith e Dryander, L'Héritier non può omaggiarli, visto che i generi Banksia, Smithia e Dryandra esistono già. Ma tra i nuovi generi di Sertum anglicum ce ne sono almeno tre molti importanti: Agapanthus, Eucomis e Eucalyptus. Nel dicembre 1787, calmatasi le acque anche per il rientro di Ruiz e Pavon dal Perù (nel frattempo sono morti sia Galvez, il ministro spagnolo delle Indie, sia Buffon), L'Héritier de Brutelle ritorna a Parigi, pensando di poter continuare tranquillamente il suo lavoro in patria. In effetti, l'affare Dombey si è ormai dissolto in una bolla di sapone, e, oltre a continuare la pubblicazioni di altri fascicoli di Stirpes novae e Sertum anglicum, tra il 1787 e il 1788 L'Héritier dà alle stampe un'importante monografia, Geraniologia, in cui separa da Geranium i generi Pelargonium e Erodium. Di mettere fine ai suoi progetti si incarica la storia. Vicino agli ambienti illuministi, il magistrato-botanico si schiera dalla parte della rivoluzione e si batte per la monarchia costituzionale. Nell'ottobre 1789 è nominato comandante della guardia nazionale del suo quartiere; il suo reggimento è uno di quelli che il 6 ottobre proteggono il re della folla inferocita che lo costringe a trasferire la corte da Versailles a Parigi. Nel 1790 entra come associato all'Accademia delle Scienze, ma con lo scioglimento di tutte le istituzioni dell'Antico regime perde tutte le sue entrate; nel 1793 viene arrestato e rischia la pena capitale, ma viene ben presto liberato grazie alle testimonianze degli amici botanici Desfontaines e Thouin. Poco dopo rimane vedovo e il figlio maggiore, con cui non è mai andato d'accordo, lascia la famiglia. Con il termidoro, si mantiene grazie a un lavoro sottopagato al ministero di giustizia e diviene membro del comitato dell'agricoltura e delle arti. Nel 1795 quando l'Accademia delle scienze rinasce come Istituto nazionale delle scienze e delle arti, ne diviene membro residente della sezione di botanica e di fisica vegetale, con un modesto salario. Da tempo non pubblica più nulla, ma è riuscito a conservare la sua biblioteca e il suo erbario, e accoglie volentieri a casa sua i giovani botanici, come Augustin Pyramus de Candolle. La sera del 16 agosto 1800 lo attende una morte improvvisa e tragica: mentre rientra a casa a piedi dall'Istituto, a pochi passi dalla porta di casa viene assalito da uno sconosciuto che lo trafigge più volte con una sciabola. Il cadavere viene trovato solo il mattino dopo. E' coperto di ferite, ma non mancano né il denaro né altri effetti personali. Dunque, non si è trattato di una rapina. Il caso rimane irrisolto e si diffondono le voci più fantasiose, tra cui quella (riferita da Smith) che l'assassino fosse il figlio maggiore di L'Heritier. Prima di congedarci da lui (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), lasciamo la parola a de Candolle, che lo conobbe bene e dopo la sua morte aiutò la famiglia acquistando l'erbario: "Era un uomo secco, in apparenza freddo, ma in realtà appassionato, acrimonioso e sarcastico nella conversazione, un poco incline agli intrighi, un nemico dichiarato di Jussieu, Lamarck e anche dei nuovi metodi, ma verso di me ha dimostrato solo gentilezza di cui gli sono grato". Dalle foreste dell'Ile de France alle foreste di mangrovie Per una curiosa coincidenza, proprio come a Ruiz, Pavon e Dombey, anche a L'Héritier de Brutelle è toccato di essere celebrato da un genere della famiglia Malvaceae, Heritiera. A dedicarglielo fu William Aiton (anzi, potremmo dire Aiton e Dryander, visto che si tratta di un'opera a quattro mani) in Hortus kewensis, il catalogo dei Kew gardens del 1789. Come antico sovrintendente delle foreste della regione parigina L'Héritier amava gli alberi, e sarà stato sicuramente soddisfatto di questo omaggio, che ha legato per sempre il suo nome ad alberi dominanti delle foreste di alcune zone dell'Africa orientale, della regione indiana e del Pacifico. Alcune fanno parte delle foreste di mangrovie; tra di esse, la specie forse più nota, Heritiera littoralis, diffusa nelle foreste costiere dell'Oceano indiano e del Pacifico centro-occidentale, in un'area vastissima che va dall'Africa alla Micronesia. E' un albero di medie dimensioni a lenta crescita che forma larghi contrafforti basali che gli permettono di abbarbicarsi a suoli instabili e di resistere ad occasionali invasioni di acqua salina. Apprezzato per il legname, viene anche coltivato per la bellezza del fogliame, verde scuro e lucide nella pagina superiore, argentee in quella inferiore. H. fomes è invece la specie dominante delle mangrovie dell'India orientale e del Bangladesh, dove costituisce circa il 70% del manto arboreo. Sempreverde, è di dimensioni medie, ha radici munite di pneumatofori e tronco con vistosi contrafforti alla base; ha foglie coriacee ellittiche e fiori rosati o arancio riuniti in pannocchie. Anche il suo legname è molto apprezzato, ma la specie è considerata a rischio per l'eccessivo sfruttamento, la restrizione dell'habitat e la fluttuazione della salinità. Altre approfondimenti nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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