Il nome di Gabriele Falloppio probabilmente è noto anche a chi non ha particolari conoscenze né di anatomia umana, né di storia della medicina, per aver prestato il suo nome alle trombe uterine o tube di Falloppio. Egli fu infatti un grande anatomista, il primo ad aver descritto con precisione l'apparato sessuale femminile, tanto che si devono proprio a lui anche termini come placenta e vagina. Ma le sue scoperte riguardano anche molte altre parti del corpo umano, e in particolare la testa e i suoi organi. Professore prima a Ferrara, poi a Pisa, infine per un decennio a Padova, fu anche un medico ricercato da pazienti altolocati. Era un grande sperimentatore e, anche se i suoi contributi che hanno fatto la storia riguardano soprattutto l'anatomia, era un buon conoscitore dei "semplici" e aveva una notevole fama come farmacologo, tanto che dopo la sua morte precoce uno stampatore veneziano pubblicò sotto il suo nome un ricettario con 400 "segreti", sicuro che avrebbe attirato l'interesse di un vasto pubblico. Che l'opera sia davvero di Falloppio è discusso, ma è certamente un documento interessante e curioso. Non è invece certo, ma assai probabile che Adanson pensasse a lui creando il genere Fallopia, che tra le sue dodici specie annovera due piante native della nostra flora e una notissima rampicante ornamentale, forse fin troppo esuberante. La breve vita di grande anatomista Il 9 ottobre 1562 moriva a Padova, a soli 39 anni, uno dei più illustri professori dello studio, l'anatomista Gabriele Falloppio (1523-1562). A stroncarlo fu una malattia polmonare, la tisi secondo alcuni, una pleuropolmonite secondo altri. Nato a Modena da un uomo d'arme di pessima fama morto di sifilide che lo lasciò orfano quando aveva solo dieci anni, dal padre ereditò solo una salute malferma e una situazione economica precaria che lo costrinse ad abbandonare gli studi. La famiglia lo spinse ad abbracciare lo stato ecclesiastico, contando che ereditasse il beneficio di uno zio canonico; così a 19 anni fu ordinato sacerdote, ma presto abbandonò una carriera che gli garantiva qualche entrata ma per la quale non aveva alcuna vocazione. Fin da bimbo l'aveva infatti trovata nella medicina: si racconta che a soli sei anni già annotasse mentalmente i decorsi di un'epidemia di peste. Incominciò a studiare anatomia, farmacologia, botanica da autodidatta, quindi la sua formazione proseguì nell'ambito del Collegio medico di Modena, dove divenne allievo di Niccolò Machella. Avido lettore e proprietario di una biblioteca notevole per l'epoca, Machella era un medico erudito e dalle posizioni eterodosse, uno dei principali animatori dell'accademia informale che si riuniva presso la bottega dello speziale Antonio Grillenzoni, cui partecipavano anche umanisti come il celebre filologo Ludovico Castelvetro. Gli accademici dibattevano con grande libertà e spirito critico di letteratura e scienza, ma anche - più pericolosamente - di religione, tanto che nel 1543 furono costretti a sottoscrivere un formulario di accettazione dei dogmi della chiesa cattolica. Tra il firmatari il ventenne Falloppio, accusato di essere "un pessimo eretico luterano". Falloppio si perfezionò nella dissezione di animali e raggiunse una tale abilità nel 1544 il suo maestro gli affidò la pubblica dissezione anatomica del cadavere di una giovane donna impiccata come criminale. Ottenne anche la licenza di praticare la chirurgia, ma intorno al 1545 il miglioramento della situazione economica della famiglia gli permise di trasferirsi a Ferrara per studiare anatomia e medicina con Gianbattista Canano e Antonio Musa Brasavola. Forse seguì come uditore anche le lezioni di Gianbattista da Monte e Matteo Realdo Colombo a Padova, ma non ne abbiamo la certezza. E' probabile che già affiancasse i suoi maestri come dimostratore di anatomia e per l'anno 1547-48, sebbene non avesse ancora conseguito la laurea, fu incaricato di insegnare "la scienza delle erbe, delle piante e delle altre cose che nascono dalla terra", ovvero di commentare Dioscoride. L'anno successivo fu chiamato ad insegnare medicina all'Università di Pisa, incarico che mantenne fino al 1551. Il duca Cosimo I gli permise di sperimentare veleni e oppiacei sui condannati, fino a provocarne la morte, per poi anatomizzarli, cosa che gli procurò pressi i posteri l'accusa di aver praticato la vivisezione. Meno discutibili le sue ricerche sulla causa e le possibili cure della sifilide, di cui fu tra i primi a comprendere correttamente l'origine contagiosa. Nel fecondo ambiente del recente ateneo pisano, Falloppio allargò i suoi interessi alle scienze naturali e strinse amicizia con Luca Ghini, il fondatore del primo orto botanico, e il suo allievo Bartolomeo Maranta. Ci è noto che erborizzò nelle campagne pisane, alla ricerca delle piante degli antichi. Fu così che riconobbe nella salsapariglia la Smilax di Dioscoride e prese a utilizzarla anche per curare la sifilide. La sua competenza di "simplicista" era tale che, dopo la morte di Ghini, Maranta inviò a lui il manoscritto del suo Methodi cognoscendorum simplicium, pregandolo di verificarne l'esattezza e di correggerlo. All'epoca Falloppio era già a Padova, dove nel 1551 fu chiamato a reggere la doppia cattedra di "Lettura dei semplici e chirurgia, con l'obbligo di anatomia", anche se avrebbe conseguito la laurea solo l'anno dopo (si addottorò a Ferrara con Brasavola nell'ottobre 1552). Per dieci anni, tenne lezioni seguitissime, in cui profondeva la sua competenza nei campi dell'anatomia, della chirurgia, della medicina generale, della farmacologia e più in generale delle scienze naturali; così nel 1555 trattò del morbo gallico, ovvero della sifilide, nel 1556 delle acque termali e dei tumori, nel 1557 di metalli e fossili, di fratture e lussazioni, nel 1558 delle ulcere provocate o meno dal morbo gallico e dei purganti, nel 1560 del libro di Ippocrate sulle ferite alla testa, nel 1561 del primo libro di Dioscoride, nel 1562 (l'ultimo della sua vita) nuovamente di morbo gallico e ulcere. Avendo fatto della "sua meravigliosa scientia prove soprahumane", come scrive un biografo contemporaneo e conterraneo, F. Panini, divenne un medico noto e ricercato. Tra i suoi pazienti più illustri, il papa Giulio II, Alfonso II e Isabella d'Este, il duca di Parma Ottavio Farnese, il tipografo Aldo Manuzio che guarì di una malattia agli occhi. Uomo noto per la sua gentilezza, la pacatezza, la rettitudine morale, i poveri li curava gratis, fin da ragazzo, quando addirittura chiedeva la carità per loro. Forse intorno al 1554 (non conosciamo con precisione la data) nella sua vita entrò Melchiorre Guilandino; non era raro che Falloppio ospitasse e aiutasse gli studenti indigenti e meritevoli, ma nel medico tedesco, coetaneo, con alle spalle una travagliata storia familiare, fondamentalmente autodidatta, trovò un alter ego e un inseparabile compagno di vita, con il quale amava erborizzare sui colli euganei. Il legame tra i due giovani medici non mancò di suscitare la malignità di Mattioli, un tempo amico di Falloppio; quando Guilandino osò criticare i suoi Commentari a Dioscoride, a suo parere con il consenso e la complicità di Falloppio, non potendo attaccare direttamente quest'ultimo, troppo celebre e prestigioso, l'irascibile senese incominciò a diffondere insinuazioni scurrili sulla loro relazione, che, se fossero giunte alle orecchie dell'inquisizione, avrebbero potuto diventare molto pericolose. Lo stesso Falloppio , a malincuore, consigliò l'amico di accompagnare in Oriente il bailo veneziano in partenza per Costantinopoli. Quando seppe che Guilandino era stato catturato da corsari turchi ed era prigioniero ad Algeri, mise insieme 200 scudi e, nonostante la salute traballante, non esitò a partire per la Grecia per consegnare il riscatto. Sappiamo che soffriva di una debolezza polmonare, probabilmente da identificare come tubercolosi. Mano a mano che il suo fisico si indeboliva diventò sempre più difficile per lui far fronte ai tanti impegni, ed in particolare alle lezioni nelle stanze fredde e umide dell' ateneo patavino; fin dal 1556-57, tramite un altro amico, Ulisse Aldrovandi, entrò in trattative segrete con l'Università di Bologna per trasferirsi in quell'ateneo. Ma le trattative andarono per le lunghe e solo nel 1562 sembrò certa la sua nomina per l'anno accademico 1562-63; ma prima che potesse assumere la cattedra bolognese, all'inizio di ottobre si ammalò di una forma acuta di "mal di punta" che in meno di una settimana lo portò alla morte. Sconsolato, Guilandino (che da un anno, certo anche grazie all'interessamento del suo compagno, era diventato prefetto dell'orto botanico) pose sulla sua tomba una commossa epigrafe: «Falloppio, in questa tomba non verrai sepolto da solo / con te viene sepolta anche la nostra casa». Nel 1589, alla morte di Guilandino, le ossa di Falloppio vennero traslate nella sua tomba "da una mano pietoso". Grandi scoperte anatomiche e ricette pratiche Intorno al 1557 Falloppio incominciò a esporre le proprie scoperte anatomiche in un trattato che pubblicò a Venezia nel 1561 con il titolo Observationes anatomicae. Si tratta della sua unica opera edita in vita. Consapevole dell'importanza delle sue scoperte, che in molti casi superavano e correggevano quelle dello stesso Vesalio, temendo che qualcun altro se ne attribuisse il merito, si affrettò a pubblicare il suo trattato senza figure (certo pensava a una seconda edizione illustrata, ma ne fu impedito dalla morte); è però stato scritto che le sue descrizioni sono così accurate e precise da rendere quasi superflue le immagini. La sua scoperta più famosa è certamente quella delle trombe uterine, comunemente note come trombe o tube di Falloppio. Da lui prende il nome anche il legamento inguinale, o legamento di Falloppio. Oltre agli organi riproduttivi di entrambi i sessi, studiò molte altre parti del corpo umano, e in particolare l'anatomia della testa e dei suoi organi. Diede importanti contributi alla conoscenza dell'anatomia dell'orecchio e dell'occhio, diede un'accurata descrizione dei muscoli del capo e del collo, analizzò la struttura dei denti e descrisse il processo di sostituzione dei denti da latte con quelli permanenti, dimostrò la funzione dei muscoli intercostali, descrisse accuratamente i nervi oculo-motori, l'ipoglosso e il trigemino. Notevoli furono anche i suoi contributi alla medicina generale e alla farmacologia, ma li conosciamo solo in modo indiretto, attraverso numerose opere postume, non scritte direttamente da lui, ma basate sugli appunti presi durante le sue lezioni dai suoi allievi e forse su sui manoscritti. La più nota di queste opere "indirette" è probabilmente De morbo gallico tractatus, pubblicato a Padova nel 1563, che contiene anche la prima descrizione di un antenato del preservativo inventato dallo stesso Falloppio. Per passare all'argomento che più interessa questo blog, ovvero la botanica farmaceutica, la "materia medica" come si chiamava allora, le sue lezioni sui purganti furono pubblicate nel 1565 come De simplicibus medicamentis purgantibus tractatus. Ma forse il lascito più curioso è una raccolta di ricette, pubblicata inizialmente dallo stampatore veneziano Marco di Maria nel 1563 sotto il titolo Secreti diversi, et miracolosi e poi ripubblicata nel 1565 in edizione ampliata, con le ricette riordinate e riviste da alcuni allievi di Falloppio; il libro ottenne abbastanza successo da essere successivamente ristampato tre volte entro il 1602 da altri tipografi. La curiosa opera, che dovrebbe presentare le ricette messe a punto e sperimentate da Falloppio in vent'anni di carriera medica, raccoglie 400 "segreti", divisi in tre libri. Il primo, dedicato al "modo di fare cerotti, unguenti, pillole e altri medicinali", è quello più propriamente medico; vi compaiono ad esempio rimedi contro la peste, per combattere o prevenire la quale vengono anche suggeriti gli alimenti più opportuni. Falloppio prescrive ricette per curare le malattie polmonari, cui egli stesso era soggetto, il mal di testa, il mal di denti, i calcoli renali. Non mancano antidoti contro il morso dei serpenti e ricette per eliminare i vermi, curare la rogna, guarire le ferite da taglio. Molte le ricette per curare la sifilide, di cui, come abbiamo già visto, Falloppio era uno specialista. Il secondo libro è dedicato a "diverse sorti di vini e acque molto salutifere". Vi troviamo un vino "per il core, et per molti altri casi, miracoloso, et salutifero" che, oltre a fluidificare il sangue, combatte la malinconia e un altro che facilita e mantiene le gravidanze; acque per guarire le malattie della pelle e una per sciogliere i calcoli renali, a base di varie erbe tra cui la sassifraga. Infine il terzo libro, dedicato a "secreti di Alchimia, et altri dilettevoli, e curiosi", esce dalla medicina vera e propria per occuparsi dell'igiene della persona e della casa, con ricette per cacciare mosche, zanzare, pulci e pidocchi, trucchi per lavare e pulire i vestiti, pomate cosmetiche per la pelle, ricette contro la calvizie, per rendere i capelli biondi o migliorare la memoria. Tra la chimica, l'alchimia e la magia, le ricette per preparare il sale d'ammonio, l'acqua borica, il cinabro, l'ambra e il corallo, trasformare il piombo in oro, trovare il cadavere di un annegato. Potrebbe invece risalire alle esperienze degli anni di Pisa il metodo per estrarre oppio finissimo per fare dormire: "con un poco di questo farai dormire uno quanto tu vuoi, ma ci bisogna buona discretione". Non sappiamo quanto di queste ricette risalga davvero a Falloppio; alcuni studiosi considerano il libro del tutto spurio, altri lo ritengono almeno in parte risalente all'esperienza del medico modenese, che però qui si rivolge non ai dotti o agli studenti di medicina, ma alle persone comuni, alla ricerca di rimedi pratici con ingredienti semplici e facili da reperire. Per il suo ampio ventaglio di argomenti, la raccolta è comunque un documento significativo della pratica medica e farmacologica del tempo. Rampicanti assai esuberanti, con qualche confusione Nel 1763, nel secondo volume di Familles de plantes Michel Adanson separò da Polygonum il nuovo genere Fallopia. Benché egli non fornisca alcuna indicazione sull'origine della denominazione, si ritiene generalmente abbia così voluto rendere omaggio a Gabriele Falloppio, il cui cognome latinizzato era appunto Fallopius, con una sola p. Esplicita è invece la dedica al nostro del secondo genere Fallopia (Malvaceae), creato da Loureiro nel 1790: "L'ho nominato in memoria del celebre Gabriele Falloppio, professore di botanica a Padova". Per la legge della priorità, il genere di Loureiro è illegittimo, mentre è valido quello di Adanson (famiglia Polygonaceae). Valido ma con una storia piuttosto travagliata. Nell'Ottocento, i botanici per lo più lo includevano in un più ampio genere Polygonum: così fecero sia Meissner nel 1856 sia Bentham e Hooker nel 1880. Il genere è stato universalmente accettato solo nella seconda metà del Novecento, a volte inteso in senso più ristretto, a volte in senso più ampio, a includere anche l'affine Reynoutria. Le analisi basate sul DNA hanno confermato sia l'indipendenza di Fallopia, sia la sua stretta affinità con Reynoutria e Muhelenbeckia, con le quali forma un'unica clade nota con la signa RMF (Reuynoutria, Muhelenbeckia, Fallopia). Sono noti anche ibridi intergenerici con Reynoutria (x Reyllopia) e Muhelenbeckia (x Fallenbeckia). La situazione è comunque ancora fluida. Per fare solo due esempi POWO riconosce Reynoutria e Fallopia come generi indipendenti, mentre INaturalist include tutte le specie di Reynoutria in Fallopia. Senza dimenticare i botanici che ancora optano per un vastissimo Polgygonum. Da qui incertezze di denominazione: ad esempio. il poligono giapponese è classificato come Reynoutria japonica nell'edizione più recente di Flora d'Italia, ma è ancora denominato Fallopia japonica in molti libri e repertori. Qui, seguendo la linea prevalente, considereremo Fallopia e Reynoutria come generi separati. Ne ricordiamo le differenze principali: Fallopia comprende specie rampicanti, annuali o perenni, con infiorescenze ascellari ad asse semplice; i fiori hanno perianzio carnoso e stimmi capitati; i frutti sono talvolta muniti di ali. Reynoutria comprende specie non rampicanti con infiorescenze ascellari ad asse ramificato; i fiori hanno perianzio sottile e stimmi flabellati; i frutti non sono alati. Purtroppo, i due generi hanno in comune una caratteristica spiacevole: varie specie dell'uno come dell'altro, introdotte nei giardini come ornamentali, si sono rivelate aliene invasive di straordinario successo e difficili da combattere, anche se da questo punto di vista Reynoutria ha la fama del peggiore. Fallopia in senso stretto comprende una dozzina di specie originarie dell'emisfero boreale (Eurasia, Nord America, Africa settentrionale), ma largamente introdotte anche altrove. Sono per lo più liane e rampicanti noti per il grande vigore e la rapida crescita, decidui, tanto annuali quanto perenni. Il genere è soprattutto eurasiatico, con nove specie, e centro di diversità in Cina con cinque specie, tre delle quali endemiche; due specie sono nordamericane; una di amplissimo areale si spinge anche in Africa. E' F. convolvulus, diffusa dalla Macaronesia all'Asia orientale, passando per il Nord Africa e l'Europa; è presente anche in tutte le regioni italiane, dove cresce come infestante delle culture di cereali e negli ambienti ruderali; è già citata negli erbari del rinascimento, incluso quello di Mattioli. Si ritiene tuttavia non sia originaria del nostro territorio, ma vi sia giunto in un'epica molto antica. Della flora italiana fa parte anche l'eurasiatica F. dumetorum, ugualmente presente in tutte le regioni eccetto la Sardegna; come la precedente è un'erbacea annuale e cresce preferenzialmente sulle siepi e ai margini delle foreste di latifoglie decidue. Sono invece largamente coltivate F. aubertii e F. baldschuanica, la prima di origine cinese, la seconda proveniente dall'Asia centrale, che POWO tratta come specie diverse, mentre molte fonti autorevoli le considerano sinonimi. Il problema non è semplice, trattandosi di specie altamente variabili. F. aubertii fu raccolta nel 1899 nel Tibet cinese dal padre missionario francese Georges Aubert, che ne inviò i semi al Muséum national di Parigi, che la distribuì già l'anno successivo; nel 1907 fu descritta da Louis Henry come Polygonum aubertii e riclassificata nel 1971 dal botanico ceco Holub come F. aubertii. Fallopia baldschuanica fu invece raccolta per la prima volta nell'attuale Turkestan nel 1883 da August von Regel che la introdusse nell'orto botanico di San Pietroburgo e l'anno successivo la pubblicò come Polygonum baldschianicum; il nome deriva dal toponimo latino Baldschuan, una località della zona orientale del kanato di Bukhara. Anch'essa fu riclassificata come F. baldschuanica da Holub nel 1971. Se si tratta della stessa specie, la priorità spetta a questa denominazione, mentre F. aubertii è sinonimo. F. baldschuanica è rampicante estremamente vigoroso, capace di crescere anche di 30 cm al giorno, raggiungendo un'altezza di 15 metri. E' in grado di coprire rapidamente una facciata (perciò la chiamano Consolazione dell'architetto), ma si arrampica anche su alberi e altri rampicanti, ed è difficile da rimuovere per le radici molto forti. In Italia è stata introdotta per la prima volta in Piemonte nel 1900; oggi è presente in tutto il territorio nazionale tranne la Calabria, è naturalizzata nella maggior parte delle regioni e classificata come alloctona invasiva in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Campania. F. aubertii, se si tratta di un'entità diverse, è molto simile; forse la principale differenza sono le infiorescenze pelose anziché glabre, e forse un vigore appena minore. Sono piante di grande bellezza (al momento della fioritura si trasformano in una cascata di fiori candidi), ma può essere imprudente coltivarle, a meno di controllarne strettamente la crescita.
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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