A metà Settecento, dopo quasi un secolo di confronti armati con l'Inghilterra, in Francia i grandi alberi, indispensabili per le costrizioni navali, incominciano a scarseggiare. Ne è assai preoccupato l'abate Nolin, il direttore dei vivai reali, tanto più che la perdita del Canada ha chiuso anche quella fonte di rifornimento. E' necessario ripopolare in fretta le foreste francesi con alberi dalla crescita veloce ma dal legno inattaccabile, come hanno dimostrato essere diverse specie nordamericane. I rivali inglesi lo fanno da almeno un secolo, ma adesso che le loro 13 colonie - con l'aiuto determinante degli amici francesi - hanno conquistato l'indipendenza, perché non approfittarne per mandare nei neonati Stati Uniti un esperto di silvicoltura a fare incetta di semi e alberi? E, guarda caso, c'è la classica persona giusta al momento giusto: il "botanico del re" André Michaux ha una grande pratica di coltivazione di alberi esotici ed è appena tornato da un viaggio in Persia in cui ha dimostrato di non avere paura di nulla e di essere un instancabile cacciatore di piante dall'occhio di falco. E così nel 1785 André Michaux e il figlio quindicenne François André partono per gli Stati Uniti, dove rimarranno dieci anni, prima al servizio del re, poi di una repubblica di cui condividono gli ideali di libertà, eguaglianza e fratellanza, ma da cui presto non riceveranno più un franco. Michaux padre fonda due vivai e percorre instancabile gran parte degli Stati Uniti, spingendosi anche in Canada e nella Florida ancora spagnola. La fa quasi sempre da solo, per lo più a piedi, in modo spartano. Sulle piante americane, e in particolare sugli amati alberi, presto ne sa più di tutti. Vivaista dei due mondi, manda in Francia una stupefacente quantità di piante, ma arricchisce anche i giardini americani di tante specie esotiche. Il suo libro sulla flora dell'America nord orientale farà testo per molti anni, così come quello di suo figlio sugli alberi americani. La pianta che lo celebra però non viene dall'America, ma dal Medio Oriente. Da Versailles al mar Caspio André Michaux (1746-1801) è nato nel parco di Versailles e se un evento tragico non avesse sconvolto la sua vita forse sarebbe rimasto per tutta la vita fattore reale, come lo era suo padre prima di lui. La famiglia gestisce la fattoria di Sautory e André, che ha potuto frequentare la scuola solo quel tanto che basta a imparare a leggere, scrivere e far di conto, lavora al fianco del padre fin da bambino. Alla sua morte, gli subentra come fattore insieme al fratello, ma nel 1770 sua moglie muore di parto dando alla luce l’unico figlio François André. Per André la vita non ha più senso. A sollevarlo dalla depressione è uno dei suoi vicini, Louis Le Monnier, professore di botanica del Jardin du roi, che gli fa scoprire la coltivazione di piante esotiche. Michaux fa esperimenti di acclimatazione a Sautory e incomincia a frequentare le lezioni di Antoine-Laurent de Jussieu al Trianon. Ha trovato la sua strada; si trasferisce a Parigi a studiare al Jardin du roi e nel 1779 ottiene il brevetto di «botanico reale». Il suo desiderio più ardente è viaggiare. Quell'anno, viene inviato ai Kew Gardens a studiarne le serre, quindi partecipa insieme ad André Thouin a una spedizione in Alvernia organizzata e finanziata da Lamarck. Nel 1780, da solo, va a caccia di piante nei Pirenei francesi e spagnoli. Sogna viaggi più esotici e quando viene a sapere che il nuovo console a Bassora, Jean-François Rousseau, cugino del filosofo, sta per partire per la Persia si unisce al suo seguito con la missione di raccogliere piante belle, utili e interessanti per i giardini di Maria Antonietta al Trianon e il Jardin du roi. Lasciata la Francia nel febbraio 1782, sbarcano ad Alessandretta e, dopo un soggiorno di qualche mese ad Aleppo, si uniscono a una carovana che a ottobre li porta a Bagdad, dove trascorrono l’inverno. Quindi Michaux saluta il console con l’intenzione di raggiungere l’impero persiano; sulla strada per Bassora è fatto prigioniero da una tribù in rivolta. Liberato, può finalmente continuare il suo viaggio visitando metodicamente la Persia, da Shiraz a Persepoli, da Isfahan a Julfa e fino alle rive del Caspio. Dopo un viaggio di tre anni, rientra in Francia nel giugno 1785 con più di quattrocento specie di piante. Tra di esse, Rosa persica, raccolta su un’alta montagna tra Shiraz e Isfahan, l’olmo del Caucaso Zelkova carpinifolia, il noce del Caucaso Pterocarya fraxinifolia e la pianta che oggi porta il suo nome, Michauxia campanuloides, trovata sulle montagne della Siria occidentale. Riporta anche manoscritti, medaglie, reperti archeologici, tra cui un kudurru babilonese, oggi conservato al Cabinet des medailles della Biblioteca nazionale e noto come "sasso di Michaux". Appena tornato, vorrebbe ripartire, magari di nuovo per l'Oriente, ma il ministero gli propone una meta totalmente diversa: gli Stati Uniti. Il direttore dei vivai reali, l'abate Nolin, preoccupato per il depauperamento delle foreste francesi, ha chiesto di inviare in America una missione a caccia di piante e Michaux è il candidato ideale. Così, appena tre mesi dopo il suo ritorno, riparte. La Francia è il principale alleato dei neonati Stati Uniti, che ha sostenuto attivamente nella guerra d’indipendenza da poco ufficialmente conclusa con la pace di Parigi (settembre 1783). Dunque in America Michaux può contare su buoni amici. Benjamin Franklin era vissuto molti anni tra Parigi e Versailles, diventando una figura di primo piano della società parigina; Thomas Jefferson, che lo aveva sostituito come ambasciatore, era di casa nel Jardin du roi, era spesso ospite di Buffon e aveva stretto una duratura amicizia con il capo giardiniere André Thouin. Alberi d'America Dunque il viaggio può essere organizzato con la massima rapidità. L’abate Nolin consulta i cataloghi degli orticultori americani e redige una lista delle piante più desiderabili. Michaux si imbarca con il figlio quindicenne François André, il giardiniere Paul Saunier (un altro allievo di Thouin) e un servitore e a novembre sbarca a New York. Nonostante il tempo pessimo e una lingua poco familiare, riesce quasi subito a mettere insieme un primo invio di piante e semi, che si è procurato nei vivai cittadini. Nel corso dell’inverno crea un vivaio di 30 acri a Hackensack (New Jersey) e incomincia ad esplorare i dintorni di New York. Su invito di Benjamin Frankilin, va a Filadelfia a conoscere William Bartram e a visitare il suo celebre vivaio. Poi è la volta di Mount Vernon, il magnifico parco di piante native creato dal presidente Washington; quindi, prima di rientrare in New Jersey, scende a sud fino a Fredericksburg in Virginia. L’incontro con Bartram, a sua volta un grande esploratore che tra il 1773 e il 1777 ha raccolto piante in otto colonie, dalla Pennsylvania alla Florida, è determinante; i due si scrivono, scambiano semi e informazioni, ma soprattutto è Bartram a suggerirgli di spostare il centro delle sue ricerche in South Carolina, una zona particolarmente ricca di nuove piante. Nel settembre 1786, Michaux affida il vivaio di Hackensack a Saunier e insieme a suo figlio si imbarca per Charleston. Qui, a poche miglia dalla città, crea un secondo vivaio di 111 acri che sarà la sua base operativa per i prossimi dieci anni. A Charleston c’è una grossa comunità di ugonotti di origine francese e Michaux si ambienta benissimo. Il suo giardino si sviluppa in fretta e presto può funzionare da centro di interscambio nelle due direzioni: oltre a coltivare le piante americane da spedire in Francia, si fa mandare semi dalla madrepatria e arricchisce i giardini dei suoi ricchi e influenti clienti americani di piante ancora sconosciute su questa riva dell’Oceano: tra quelle di cui gli si attribuisce l’introduzione negli Stati Uniti, Albizia julibrissin, Melia azedarach, Osmanthus fragrans, Lagerstroemia indica, Ginkgo biloba e la pianta del tè, Camellia sinensis. È chiaro che uno come Michaux non è venuto in America a fare il vivaista e non vede l’ora di riprendere a viaggiare. Appena il giardino è ben avviato, ricominciano le spedizioni. Nella primavera del 1787, dapprima in compagnia del botanico scozzese John Fraser, segue il percorso di Bartram lungo il fiume Savannah, poi si addentra da solo in territorio Cherokee fino alle sue sorgenti, scoprendo la rara Shortia galacifolia. Negli anni successivi visiterà gran parte del nord America orientale, spingendosi anche nella provincia canadese del Quebec, nella Florida spagnola e nelle Bahamas. Esplorò con particolare intensità la Georgia e le Caroline, in particolate la regione del Piedmont che visitò ben sette volte. Amava viaggiare da solo, a piedi o a cavallo, e con un bagaglio minimo. Se trovava ospitalità per la notte, bene; altrimenti, si poteva dormire benissimo anche sotto le stelle. Aveva un occhio d’aquila, si fermava ad osservare ogni pianta ed era abilissimo a scovare nuove specie anche in zone già battute, come notò l’amico Bartram. Nel 1792 fece un lungo viaggio fino alla baia di Hudson; al ritorno, ebbe un colloquio con Jefferson, all’epoca segretario di stato, a cui propose di esplorare la sorgente del Missouri, individuare la linea di spartiacque e scendere fino al Pacifico. Jefferson era tentato, ma per opportunità politica rinunciò, tanto più che Michaux si trovò coinvolto in un incidente diplomatico; l’ambasciatore francese Genêt, che stava cercando di organizzare gruppi di volontari e una sommossa per strappare New Orléans agli spagnoli, approfittò dei suoi viaggi botanici per affidargli vari messaggi segreti. Le trame di Genêt indignarono il generale Washington che difendeva l’assoluta neutralità degli Stati Uniti nel conflitto tra Francia e Spagna; quando il coinvolgimento del botanico emerse, egli venne a trovarsi in una situazione difficile. Da lontano, aveva seguito con trepidazione le vicende francesi, divenendo un ardente rivoluzionario. Eppure proprio la rivoluzione finì per rovinarlo. Con la ripresa della guerra, divenne sempre più difficile fare giungere i suoi invii in Francia. Il governo rivoluzionario cessò di pagargli lo stipendio e di rimborsargli le spese. Nel 1795, dopo un ultimo viaggio, si decise a tornare casa. In dieci anni, aveva inviato in patria 90 casse di semi e 60.000 pianticelle. Tra le piante da lui introdotte in Europa molte nuove specie di querce, aceri, noccioli, lo spettacolare Rhododendron catawbiense, Magnolia micahuxii (oggi M. tripetala), la sfolgorante Cladrastis lutea, che d’autunno si tinge d’oro. Durante il viaggio di ritorno, sulle coste olandesi fu vittima di un naufragio in cui perse tutti i suoi effetti personali ma riuscì a salvare gran parte delle collezioni. Tornato a Parigi, non riuscì a ottenere se non in minima parte il pagamento degli arretrati. Nel 1800, accompagnato dall’aiuto giardiniere Jean-François Cagnet, si imbarcò con la spedizione Baudin, ma non andava d’accordo con il comandante e non accettava le nuove direttive che imponevano di consegnare tutte le raccolte al governo; a Mauritius sbarcò, vi rimase un anno, poi, sulle orme di Commerson, andò in Madagascar. Anche qui creò subito un giardino d’acclimatazione, ma, dopo appena tre mesi morì di una febbre tropicale. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Prima di partire per l’ultimo viaggio era riuscito a scrivere una monografia sulle querce americane e soprattutto Flora boreali-americana , pubblicata postuma a cura del figlio François-André e di Louis-Claude Richard, con le illustrazioni di Redouté. Quest’opera, che descrive 1700 piante, 40 delle quali inedite, fu a lungo la più completa flora del nord America orientale. Dopo la sua morte, il governo francese inviò in America François André Michaux a liquidare i due vivai. Al suo rientro, egli scrisse Mémoire sur la naturalisation des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Nel 1806, incaricato di individuare le specie arboree più adatte all'acclimatazione in Francia, ripartì per Charleston, ma durante la traversata fu catturato da una nave inglese e imprigionato alle Bermuda: una prigionia per modo di dire, che gli permise di esplorare la flora dell'isola St George. Tornato in patria, pubblicò l'importante Histoire des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Vero continuatore dell'opera paterna, visse fino a tarda età e per un trentennio fu l'amministratore della Société centrale d’agriculture per la quale creò l'arboretum di Harcourt, ricchissimo di specie americane. Campanelle levantine Numerose sono le specie che in ricordo di André Michaux portano l’eponimo michauxii: tra gli alberi, che erano i suoi preferiti, Quercus michauxii, Betula michauxii oppure Pyrus michauxii; ma ci sono anche arbusti, come il raro sommacco nano Rhus michauxii, bulbose come Lilium michauxii o erbacee come la piccolissima Minuartia michauxii. Il genere Michauxia gli fu dedicato nel 1788 da un altro botanico francese, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. Appartenente alla famiglia Campanulaceae, comprende sette specie di piante erbacee diffuse dal Mediterraneo orientale al Caucaso e all’Iran; la più nota è proprio la specie riportata da Michaux dal suo viaggio in Persia, M. campanuloides, un’alta erbacea annuale o perenne di breve vita con curiosi fiori bianchi a campana rovesciata con petali retroflessi e stilo verdastro protruso. Simile è M. tchihatchewii, che conquista la palma di una delle più impronunciabili tra le denominazioni botaniche. Tutto per la colpa della trascrizione francese del nome russo Čjačev (forse un diplomatico che operava nella Francia dell'Ottocento). Altre informazioni nella scheda.
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A partire dalla fine degli anni '30 del Settecento, a San Pietroburgo c'erano ben due orti botanici: uno dipendeva dalla Cancelleria medica e ospitava soprattutto specie medicinali; l'altro era annesso all'Accademia delle scienze ed era essenzialmente un giardino didattico e di acclimatazione. A volere fortemente il secondo fu il professore di botanica Johann Amman che, educato a Leida, pensava che il "vecchio" giardino (vecchio per modo di dire: aveva poco più di vent'anni) fosse ormai obsoleto, oltre che troppo lontano dall'Accademia. Ben presto i due giardini furono diretti dalla stessa persona e la bipartizione perse via via significato, finche nel 1823 vennero fusi a formare il nuovo Imperiale orto botanico. Amman, morto giovanissimo, fu ricordato dall'amico William Houstoun con il genere Ammania; Linneo lo fece proprio, ma lo ribattezzò Ammannia (con due enne) e lo dedicò a un omonimo: Paul Amman, direttore secentesco dell'orto botanico di Lipsia e precursore della classificazione naturale. Un giardino, anzi due... A studiare la storia russa, si ha sempre l'impressione che tutto sia complicato, non lineare, contraddittorio. E così capita che nell'arco di meno di mezzo secolo, l'autorità imperiale prenda l'iniziativa di fondare tre orti botanici, che poi continuano la loro vita parallela in una gran confusione di funzioni, conflitti personali, sperpero di denaro. Si comincia a Mosca nel 1706, quando Pietro il Grande ordina di creare un orto dei farmacisti (Aptekarskij ogorod) destinato alla coltivazione di piante officinali per le farmacie cittadine. Lo zar ci tiene tanto che, si racconta, vi piantò di sua mano tre conifere (l'ho raccontato qui). Il giardino è gestito dalla Cancelleria delle farmacie, un organismo tradizionale controllato da membri dell'alta aristocrazia. Ma intanto Pietro ha deciso di creare ex novo, facendola sorgere letteralmente dal mare e dalle paludi, la sua nuova capitale, San Pietroburgo, dove trasferisce a forza la corte e tutte le strutture amministrative. Mette mano anche alla riforma della medicina, affidandola al suo medico personale, lo scozzese Robert Erskine, che crea un nuovo organismo, la Cancelleria medica, che d'ora in avanti controllerà l'attività dei medici civili e militari e dei farmacisti. E' in un certo senso un doppione della Cancelleria dei farmacisti, che però per non creare un conflitto immediato con l'aristocrazia moscovita non viene abolita, ma svuotato dall'interno. Erskine dirige un gigantesco trasferimento di documenti, materiali e piante. La centrale operativa della Cancelleria medica viene stabilita in una delle isole settentrionali del delta della Neva, piuttosto distante dal nucleo centrale, dove vengono costruiti la sede degli uffici, un laboratorio per la preparazione dei medicamenti e un vasto orto botanico, la cui fondazione è decretata verso la fine del 1713. Si chiamerà Aptekarskij sad (giardino dei farmacisti) e l'isola stessa prenderà il nome Aptekarskij ostrog, Isola dei farmacisti. I due giardini hanno la stessa funzione, ma vista la distanza è sensato avere due giardini medici che coltivano piante officinali per le farmacie delle rispettive aree; un po' meno che uno dipenda dalla Cancelleria dei farmacisti (dunque da un organismo semi autonomo), l'altro dalla Cancelleria medica (dunque direttamente dal sovrano, attraverso il suo archiatra). Le cose si complicano quando, sull'esempio degli orti botanici di Parigi e Leida, si decide di farne anche dei giardini di acclimatazione delle piante esotiche ottenute con lo scambio semi da orti botanici europei e delle specie raccolte in natura nel vastissimo e variegato impero russo dalle numerose spedizioni naturalistiche che si succedono nel corso del secolo. Finisce per imporsi una certa specializzazione "geografica": fatto salvo che il centro è San Pietroburgo, le spedizioni che esplorano la Russia europea, le rive del mar Nero, il Caucaso tendono a far capo a Mosca, e il giardino moscovita si arricchisce soprattutto di piante delle steppe. I materiali raccolti dalle spedizioni che operano al di là degli Urali ed esplorano la Siberia fino alle rive del Pacifico, i confini con la Cina, l'Asia centrale tendono ad affluire all'Isola dei farmacisti. Le prime spedizioni, come quella di Messerschmidt in Siberia (1719-1727) o di Buxbaum (1724-1727) a Costantinopoli, sono organizzate dalla Cancelleria medica, ma nel 1724 viene fondato un terzo organismo, con compiti scientifici e didattici: l'Accademia russa delle Scienze, con sede nell'isola Vasil'ekskij, accanto all'edificio dove è conservata la Kunstkamera, la camera delle meraviglie imperiali. L'imperatore e il suo archiatra considerano tutto ciò che viene riportato dalle spedizioni russe un tesoro nazionale che va ad arricchire la Kunstkamera e deve essere studiato e pubblicato esclusivamente dai professori dell'Accademia. E così succede che le piante vive e i semi raccolti da Gmelin durante la Grande spedizione del Nord (salvo quelli che egli coltiva nel suo giardino privato) finiscono nelle aiuole dell'isola dei farmacisti, mentre gli esemplari d'erbario sono custoditi nell'isola Vasil'evskij. Qui il professore di botanica del ginnasio e dell'Università accademica tiene le lezioni teoriche, mentre lezioni pratiche, le "dimostrazioni", toccano al dimostratore del Giardino dei farmacisti. Meglio ancora, tre! All'inizio del 1733, mentre i professori dell'Accademia si preparano a partire per la Grande spedizione del Nord, da Londra arriva il giovane medico svizzero Johann Amman (1707-1741). Ha appena venticinque anni, ma ha ottime referenze: in primo luogo si è laureato a Leida con Boerhaave, il più grande professore di medicina e botanica dell'epoca; in secondo luogo, ha lavorato per tre anni come curatore della collezione naturalistica di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, alla quale egli stesso è stato ammesso nel 1731. Viene immediatamente nominato professore di botanica e scienze naturali in sostituzione di Gmelin in partenza per la Siberia e gli viene affidata la pubblicazione delle raccolte di Buxbaum e Messerschmidt. Nel 1735, dopo anni senza un direttore, al Giardino dei farmacisti viene nominato direttore e dimostratore il tedesco Johann Georg Siegesbeck, celebre per la sua polemica con Linneo e il suo pessimo carattere. La convivenza con Amman non è facile; Siegesbeck è frustrato perché briga inutilmente per essere ammesso all'Accademia e al rango di professore, Amman - la cui salute è purtroppo precaria - considera uno spreco di tempo e un disagio sempre più gravoso dover fare la spola tra le due isole, specie d'inverno, nel clima proverbialmente pessimo della capitale petrina. Incomincia così a fare pressioni perché l'Accademia si doti di un proprio orto botanico, dove studiare le piante dal vivo e impartire le lezioni pratiche. Educato a Leida, pensa che sia ora che anche San Pietroburgo abbandoni la vecchia concezione strumentale dell'hortus medicus, e si doti di un vero orto botanico moderno per la didattica e l'acclimatazione di piante esotiche e novità botaniche. Come ci informano le sue lettere a Sloane, l'idea fa breccia lentamente nell'amministrazione: all'inizio ha a disposizione solo un giardinetto, e come serra la sua stessa stanza. I finanziamenti per fare le cose in grande arrivano solo nel 1738 o nel 1739, quando la grande massa di piante giunte dalla Siberia e dalla Kamčatka grazie a Gmelin, Krašeninnikov e Steller rende urgente trovare loro una sede adeguata. E così, a San Pietroburgo, a pochi km di distanza, ci saranno due orti botanici: quello dell'Isola dei farmacisti, dipendente dalla cancelleria medica e principalmente orientato alle piante medicinali, e quello dell'isola Vasilev'skij, dipendente dall'Accademia, orientato alla didattica e alla coltivazione delle piante esotiche. Nel 1741 Amman, afflitto da ricorrenti problemi di salute fin dal suo arrivo a San Pietroburgo, morì a soli 34 anni. Siegesbeck ottenne finalmente la sospirata ammissione all'Accademia e gli succedette sia come professore sia come direttore del neonato orto accademico, mantenendo la direzione anche del Giardino dei farmacisti. Pochi anni dopo sarebbe stato scacciato con ignominia per il suo pessimo carattere e per la sua discutibile preparazione. Dopo di lui, i due giardini furono quasi sempre diretti dalla stessa persona, rendendo via via più assurdo il doppione, tanto più se si considerano gli angusti spazi dell'isola Vasil'evsij e il progressivo miglioramento dei trasporti urbani. Bisognò però attendere il 1823 perché i due orti botanici pietroburghesi fossero fusi in uno solo (denominato Imperiale orto botanico di san Pietroburgo), anche se il giardino dell'Accademia continuò ad esistere fino all'inizio del Novecento come sezione staccata. Un'Ammannia per due (forse) Prima di concludere, ancora due parole su Ammann. Testimonianze contemporanee lo descrivono come un uomo di grande cultura e insieme di grande umanità, che parlava molte lingue ed era profondamente dedito allo studio. La salute gli impedì di partecipare a raccolte sul campo, a parte brevi escursioni nei dintorni della capitale, ma fu un attivissimo "botanico da scrivania". Oltre a completare la pubblicazione dell'opera di Buxbaum, seminò nel giardino dell'Accademia i semi inviati dai suoi numerosi corrispondenti europei e raccolti dalle spedizioni di Orenburg, in Siberia e in Kamčatka e trasse un notevole erbario dagli esemplari adulti. Descrisse le specie nuove raccolte soprattutto da Heinzelmenn durante la spedizione di Orenburg, da Messerscmidt e da Gmelin in Siberia in Stirpium Rariorum in Imperio Rutheno Sponte Provenientium Icones et Descriptiones (1739) in cui descrisse 285 piante. Quest'opera illustrata, di grande impegno editoriale, fu una una delle prime a fare conoscere piante precedentemente inedite del Caucaso, dell'Asia centrale e della Siberia centro-meridionale. Oltre che con Sloane, era in corrispondenza con Collinson, Dillenius e Miller in Gran Bretagna cui inviò molte piante e ne ottenne i semi di molte piante nordamericane che fu il primo a introdurre in Russia. Fu uno dei primi corrispondenti di Linneo, neo professore a Uppsala, e molto contribuì al suo "giadino siberiano". Si ritiene che attraverso di lui abbiano fatto il loro ingresso nei giardini europei Lonicera tatarica, Gypsophila paniculata e Delphinium grandiflorum. Quando studiava a Leida, Amman aveva stretto amicizia con William Houstoun, che fu proprio la persona che lo presentò a Sloane. L'amico volle ricordarlo con uno dei nuovi generi da lui scoperti in Messico e nelle Antille, Ammania; egli non motivò la dedica, che però è confermata dalla testimonianza dell'amico comune Philip Miller. Linneo riprese il genere da Houstoun e lo ufficializzò in Species plantarum come Ammannia. In Critica botanica (1737) dichiara però di averlo dedicato al medico e botanico tedesco Paul Amman (1631-1694). Se pensiamo che all'epoca Johann Amman era ancora vivo, non aveva scritto nulla e la sua stessa corrispondenza con Linneo era ancora al di là da venire, non è strano che egli abbia cambiato il dedicatario. Inoltre, dal punto di vista di Linneo, Paul Amman (Paulus Ammannus) era certamente meritevole di essere ricordato. Direttore dell'hortus medicus di Lipsia nella seconda metà del Seicento ne fece il più importante della Germania; famoso per il suo sarcasmo e le sue critiche corrosive, oltre al primo catalogo del giardino, che comprende anche le piante della flora locale, scrisse Character plantarum naturalis (1676) in cui diede una prima diagnosi dei generi, basandosi principalmente sul frutto, e tentò una classificazione delle piante che riprende il sistema di Robert Morrison. Era dunque uno dei quei "sistematici" che Linneo considerava suoi predecessori. Per non fare torto né a Houstoun né a Linneo, ricordiamo dunque entrambi gli Amman, sia Johann sia Paul, delle cui vite troverete una sintesi nella sezione biografie. Il genere Ammannia L. (famiglia Lythraceae) - in seguito alla confluenza dell'affine genere Nesaea -comprende un centinaio di specie di piante erbacee acquatiche o di palude provenienti da varie zone temperate o tropicali; per lo più annuali, hanno fusti eretti o decombenti, che possono crescere sulle rive o fluttuare semisommersi, foglie da arrotondate a lanceolate o lineari, fiori minuti con 4-5 petali (ma talvolta apetali), in genere rosa, seguiti da capsule che contengono un grandissimo numero di semi. Questi ultimi, concavo-convessi, sono atti a fluttuare sulle acque e si mantengono vitali relativamente a lungo. Alcune specie (solitamente in precedenza classificate come Nesaea) sono utilizzate come piante da acquario. Tra di esse A. pedicellata, originaria di ambienti acquatici dell'Africa sudorientale, con folti ciuffi semisommersi di foglie lunghe e strette, che nella cultivar 'Golden' sono giallo dorato; A. gracilis ha invece foglie verdi nella parte inferiore e rosso vivo in quella superiore o emersa. Alcune specie sono presenti come avventizie nella nostra flora, soprattutto come occasionali infestanti delle risaie: A. coccinea (il nome deriva dal fatto che i fusti sono spesso rossastri) cresce in ambienti umidi della pianura padana, come fossi e arginelli delle risaie; A. robusta è segnalata in Lombardia e in Veneto; A. verticillata è naturalizzata in Sardegna e sporadicamente ritrovata altrove. Qualche approfondimento nella scheda. Negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento, la Francia del re Sole lancia una serie di spedizioni scientifiche: i viaggi di Plumier nelle Antille, il viaggio in Levante di Tournefort, la tragica spedizione di Lippi in Sudan. Di tre viaggi è protagonista padre Feuillée, frate minimo come Plumier, e provenzale come quest'ultimo e Tournefort. E' un astronomo e un cartografo e le sue spedizioni si muovono sempre sul sottile confine che separa l'esplorazione scientifica dallo spionaggio: prima è in Levante a disegnare carte e fare il punto su installazioni strategiche come porti, poi nelle Antille, infine, nel viaggio più importante, in Cile, mai esplorato da nessun studioso prima di lui. All'astronomia alterna la botanica: alle piante dedica il giorno, agli astri la notte. In appendice al suo Journal pubblica la prima rassegna della flora cilena e peruviana, con un occhio di riguardo alle specie officinali. Linneo si ricordò di lui dedicandogli il genere Fevillea, con semi ricchissimi di oli da secoli utilizzati nella farmacopea indigena e oggi forse una fonte alternativa di combustibili e preziosi grassi alimentari. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei? I tre viaggi di Plumier nelle Antille avevano dimostrato le grandi potenzialità botaniche di quell'area; così nel 1703, quando si offrì la possibilità di inviare in Martinica un astronomo e cartografo, Fagon, l'archiatra del re Sole e intendente del Jardin royal, insistette perché la missione avesse anche risvolti botanici. La scelta cadde su un altro frate minimo, forse allievo di Plumier: Louis Feuillée. Anche lui era provenzale e fin da ragazzo aveva dimostrato grande attitudine per la fisica e la matematica. Nel 1680, a vent’anni, prese i voti, l'unico modo per continuare gli studi per un giovane senza mezzi; nel convento di Marsiglia ebbe modo di studiare astronomia e cartografia e forse incontrò Plumier che lo avrebbe iniziato alla botanica. Tuttavia il campo in cui si fece notare fu l'astronomia: due saggi pubblicati nel 1697 e nel 1699 nelle Memorie dell’Accademia delle scienze attirarono l’attenzione dell’astronomo reale Giovanni Domenico Cassini che nel 1700 lo inviò nel Mediterraneo orientale a determinare la posizione geografica di vari porti. L’elogiativo rapporto di Cassini spinge il ministro Pontchartrain e Fagon ad affidargli la missione nelle Antille, dove dovrà fare rilievi cartografici e e osservazioni astronomiche ma anche, auspice Fagon, proseguire le ricerche botaniche di Plumier. Il 5 febbraio 1703 il frate si imbarca a Marsiglia sulla nave Grand Saint Paul diretta in Martinica con un carico di deportati. Sbarcato l’11 aprile, viene accolto nel convento dei domenicani di Saint-Pierre, ma poco dopo si ammala di febbre gialla. La sua robusta costituzione gli permette di recuperare; nei quattrodici mesi che trascorre nell’isola, come racconterà lui stesso, divide il suo tempo osservando le piante di giorno, gli astri di notte. Arrivato in Martinica su una nave di galeotti, ne riparte su un vascello corsaro. Il 4 luglio 1704 si imbarca sull’Ambitieuse, un veliero armato con sessanta cannoni, inviato nel mare dei Caraibi a insidiare le navi mercantili spagnole. Alla ricerca di prede, la nave corsara fa scalo a La Guaira in Venezuela, poi risale verso l’attuale Colombia, toccando Porto Cabello, Santa Maria (dove c’è uno scontro a fuoco con gli spagnoli), Porto Bello. Il 5 dicembre raggiunge Cartagena, dove il nostro frate sbarca salutando l’onorevole compagnia. Ha intenzione di raggiungere il Pacifico, ma il progetto si rivela irrealizzabile; dopo due mesi trascorsi ancora a fare osservazioni cartografiche e astronomiche, trova un passaggio su un piccolo vascello di filibustieri che, passando per San Domingo e Saint Thomas, lo riporta in Martinica. Vi trascorre ancora un anno, prima di poter rientrare in Francia il 21 giugno 1706. Da questo primo viaggio riporta una messe di dati astronomici, rilievi cartografici, disegni e numerose piante. Ridisegna la carta della Martinica e si guadagna il titolo di «matematico del re». Ma già Ponchartrain e Fagon progettano una nuova missione per questo frate che ha dimostrato di sapersi muovere abilmente in situazioni difficili: dovrà recarsi in Sud America per rilevare le esatte posizioni geografiche delle coste del Cile e del Perù. In piena guerra di successione spagnola, siamo a metà tra la spedizione scientifica e lo spionaggio. Infatti il buon padre Fueillée è costretto nuovamente ad accompagnarsi a corsari; ma adesso (insediatosi Filippo V a Madrid) i nemici non sono più spagnoli, ma inglesi e olandesi. Dato che molte navi nemiche incrociano nel Mediterraneo, la Saint-Jean-Baptiste su cui si è imbarcato a Marsiglia, raggiunge Tolone per unirsi a una flotta protetta dal vascello corsaro l’Heureux retours, comandato da Nicolas Lambert. Per evitare incontri pericolosi, seguono una rotta contorta e, partiti da Tolone il 14 dicembre 1707, solo il 9 maggio 1708 sono a Gibilterra. Il passaggio è sorvegliato da due fregate inglesi. Pur sapendo che l’esito è scontato, Lambert affronta la battaglia e si lascia catturare: ma con il suo sacrificio permette agli altri vascelli francesi di sfuggire e continuare il viaggio. Il primo scalo della Saint-Jean-Baptiste è Tenerife, dove sosta circa un mese. Il frate si immerge con gioia nella ricca flora canaria. L’11 luglio ripartono e 14 agosto raggiungono Buenos Aires; il comandante decide di attendere l’estate australe prima di affrontare il difficile passaggio del Capo Horn. Fueillée ne approfitta per fare i rilievi necessari a disegnare una nuova carta dell’estuario del Rio de la Plata. Ripartiti il 9 ottobre, negli ultimi giorni dell’anno superano senza troppe difficoltà Capo Horn e il 21 gennaio gettano l’ancora a Concepcion in Cile. Ah, Sud America Sud America! La vera missione di padre Feuillé è solo all’inizio: rimane circa un mese a Conception, dove fa osservazioni astronomiche e raccoglie campioni di piante e animali; poi si sposta verso nord, toccando Valparaiso, Pisco, Callao e infine Lima, dove soggiorna per circa nove mesi. Nel gennaio 1710 riscende verso sud e, prima di tornare a Concepcion a cercare un imbarco, visita ancora Coquimbo e Arica. Il viaggio si protrae per un altro anno, con una lunga sosta a Conception, finché il 6 gennaio 1711 si imbarca sul Philipeaux e il 27 agosto è a Brest, dopo un’assenza di tre anni e otto mesi. Durante il lungo viaggio, come scrive uno dei suoi biografi, Paul Autran, «si dedicò a fissare la posizione e disegnare le mappe di tutti i porti, a correggere gli errori dei geografi precedenti in vari punti del suo itinerario, e raccolse un’infinità di piante, oggetti e osservazioni di storia naturale» ; fu tra l’altro uno dei primi astronomi a misurare la longitudine utilizzando segnali astronomici. Al ritorno, presentò personalmente i suoi disegni al re, che gli concesse una pensione e lo premiò con un dono graditissimo: la costruzione di un osservatorio tutto per lui nel convento dei minimi di Marsiglia, dove sarebbe vissuto quasi stabilmente fino alla morte, nel 1732. Già anziano, nel 1724, parteciperà ancora a una spedizione scientifica nelle isole Canarie, anche se dovrà rinunciare a scalare il picco del Teide insieme ai suoi più giovani accompagnatori. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Feuillé ha documentato il viaggio in Sud America nei tre volumi del suo Journal, pubblicato tra il 1712 e il 1725; in appendice al secondo e terzo volume vengono trattate le piante cilene e peruviane, sotto il titolo Histoire des plantes médicinales qui poussent sur les côtes du Chili et du Pérou. Le piante trattate sono un centinaio, molte delle quali mai descritte in precedenza. Di ciascuna viene dato un nome-descrizione in latino, seguito dal nome indigeno; seguono la descrizione in francese, solitamente molto dettagliata, indicazioni sull’habitat e gli eventuali usi terapeutici. Di eccellente qualità le tavole, ricavate da disegni e acquerelli eseguiti dal vivo dallo stesso Feuillée, che insieme alle precise descrizioni ci permettono di riconoscere facilmente, tra le altre, Alstroemeria ligtu e A. pelegrina, Lapageria rosea, Nicandra physaloides, Argylia radiata, Lobelia tupa, Mimulus luteus, Brugmansia arborea, Tropaeolum majus e T. minus. Tra le specie alimentari troviamo il pepino (Solanum muricatum), due specie di Passiflora, il lulo o naranjilla (Solanum quitoense), l’alchechengi peruviano (Physalis peruviana), la quinoa (Chenopodium quinoa), l’annona (Annona cherimolia), la caigua (Cyclanthera pedata). Una liana dai semi oleosi L’opera botanica di Feuillé ha grande importanza storica, soprattutto per la flora cilena, mai studiata in precedenza, ed è anche di buon livello, nonostante l’autore fosse un astronomo prestato alla botanica. Ne aveva stima anche Linneo che gli rese omaggio ribattezzando Fevillea due specie alle quali Plumier aveva conservato la denominazione indigena Nhandiroba . Il genere Fevillea L. (famiglia Cucurbitaceae) comprende otto specie di liane rampicanti che vivono nelle foreste umide, dal Messico meridionale e dai Caraibi all’Argentina settentrionale. Una scelta opportuna, trattandosi di zone esplorate dal solerte frate-astronomo. La loro caratteristica più notevole sono i semi, i più grandi della famiglia (un seme secco può pesare anche 9 grammi) e i più ricchi di grassi tra le dicotiledoni. Le specie più nota e più diffusa è F. cordifolia, una liana che si aggrappa alle piante circostanti per mezzo di viticci e può allungarsi anche per 30 metri. Dioica, ha fiori maschili campanulati, piatti, con cinque lobi giallo aranciato, e fiori femminili con lobi brunastri tomentosi. L'ovario globoso si trasforma in un frutto tondeggiante, che contiene numerosi semi oleosi, da cui viene estratto un olio dal sapore simile a quello di arachide, utilizzato sia come alimento sia come combustile. Inoltre nella medicina tradizionale trova impiego come purgante, rimedio per affezioni di varia natura, emetico e antiveleno, come ricorda il nome inglese antidote vine. Un'altra specie da cui si ricava un olio alimentare è la brasiliana F. triloba. Recenti studi hanno sottolineato le potenzialità di queste piante, che potrebbero essere una buona fonte di combustibili e grassi alimentari a basso impatto ecologico. Qualche approfondimento nella scheda. Torniamo a solcare i mari delle Indie orientali per incontrare, dopo Garcia de Orta, l'altro dedicatario del genere linneano Garcinia. E' il chirurgo e poi medico franco-svizzero Laurent Garcin che per otto anni lavorò per la VOC visitando molti dei paesi che si affacciano sull'Oceano indiano, dalla Persia all'Indonesia. Oltre alla dedica da parte di Linneo, vari aspetti della sua biografia lo accomunano a Orta: entrambi sono figli di rifugiati per motivi religiosi, entrambi studiano da pionieri flore quasi sconosciute in Europa, entrambi tengono in grande considerazione le tradizioni mediche locali. E, ovviamente, entrambi hanno scritto del mangostano, ovvero Garcinia mangostana. Un chirurgo navale fuori dal comune Nel 1733, il medico franco-svizzero Laurent Garcin pubblica nelle Transactions della Royal Society, di cui è membro corrispondente, una memoria in cui propone l'istituzione di un nuovo genere di piante "detto secondo i malesi Mangostano". Qualche anno dopo (1737), Linneo, che probabilmente lo conosce di persona (all'epoca entrambi vivono nei Paesi Bassi e frequentano gli stessi ambienti), in Hortus Cliffortianus gli intesta il nuovo genere, con la seguente motivazione: "Ho chiamato questo nuovo genere di albero Garcinia, da Garcin, che primo ne ha dato i caratteri nelle Transactions, e da Garcia de Horta che l'ha descritto per primo". E' perciò nel segno del mangostano che due pionieri dello studio della flora delle Indie orientali si trovano congiunti nella nomenclatura botanica. Torniamo dunque anche noi nelle Indie, quasi un secolo e mezzo dopo il rogo di Goa che ridusse in cenere le spoglie di Garcia de Orta e le pagine dei suoi Colóquios dos simples (l'ho raccontato in questo post), per seguire i passi del co-dedicatario Laurent Garcin. Nel loro destino c'è una strana coincidenza: come il medico portoghese era figlio di ebrei spagnoli, espulsi dalla loro patria nel 1492, Garcin era figlio di calvinisti francesi che dovettero abbandonare la Francia in seguito alla revoca dell'editto di Nantes del 1685. Il padre era un medico e decise di stabilirsi con la famiglia non lontano dal confine, a Neuchâtel, all'epoca un principato retto in unione personale dal re di Prussia, ma di fatto largamente autonomo. All'epoca in cui lasciò la Francia, Laurent, di cui non conosciamo con esattezza la data di nascita, doveva avere circa 4 anni. Intorno ai 14 anni fu mandato a studiare nei Paesi Bassi (un paese calvinista e assai all'avanguardia nella scienza medica); secondo alcune fonti, studiò medicina sotto il celebre Boerhaave, ma poiché non risulta immatricolato in nessuna università olandese, è più probabile che sia stato affidato come apprendista a un maestro chirurgo. Intorno al 1704 (di nuovo, poco sappiamo della sua giovinezza) si arruolò come chirurgo militare in un reggimento fiammingo nel quale servì per sedici anni, nelle Fiandre, in Spagna e in Portogallo. Nel 1720 lasciò l'esercito e fu assunto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali (d'ora in avanti VOC) come chirurgo di bordo di una nave in partenza per Batavia, il quartier generale dell'impero olandese delle spezie. Aveva dunque circa 40 anni, un'età in cui - lo sottolinea egli stesso - i suoi colleghi, se erano stati abbastanza fortunati da sopravvivere, intraprendevano il viaggio di ritorno. La VOC lo assegnò come capo chirurgo (oppermeester) alla Oudenaarde, in partenza il 20 maggio dal porto di Middelburg. Circa sette mesi dopo, il 19 gennaio 1721, Laurent Garcin sbarcava a Batavia. A questo punto, avrebbe potuto essere assegnato all'ospedale della VOC a Batavia oppure alle navi della compagnia che facevano la spola tra i porti e gli empori asiatici. Probabilmente prestò servizio in entrambi i ruoli, ma soprattutto come chirurgo di bordo, visto che risulta abbia visitato la Persia, Surat, la costa del Coromandel, il Bengala, Ceylon e varie isole indonesiane, nel corso di almeno tre viaggi. In tutti questi paesi, osservò fenomeni naturali poco noti, si dedicò a osservazioni barometriche, raccolse semi e esemplari di piante, e si informò sistematicamente sulle pratiche mediche locali. A impressionarlo, furono soprattutto la competenza medica dei bramini indù e dei medici cinesi che incontrò in Malacca. Oltre a corrispondere ai suoi interessi, imparare a riconoscere le erbe locali e le loro proprietà officinali era anche una necessità per un chirurgo impegnato nelle Indie, sia per rifornire la farmacia della nave con rimedi freschi, sia per far fronte alle malattie tropicali che i medici europei non conoscevano e non sapevano come affrontare; invece i medici locali possedevano un tesoro di pratiche e saperi tradizionali che, forse, erano più disponibili a spartire con un chirurgo che con uno spocchioso medico formato in un'università europea. Fu dunque con un bagaglio materiale di semi e piante essiccate e immateriale di conoscenze mediche (ma non solo) che il 1 novembre 1728 Garcin si imbarcò sulla Valkenisse per il viaggio di ritorno. Il 26 giugno sbarcò nei Paesi Bassi. Deciso a esercitare la medicina anche in Europa, a quasi cinquant'anni dovette rimettersi a studiare: si fermò ancora un anno a Leida per completare gli studi medici con Boerhaave e si laureò a Reims. Le competenze acquisite nelle Indie in medicina, botanica, meteorologia gli aprirono le porte della società scientifica europea, come attesta la corrispondenza con personaggi come Daniel Bernoulli, Pieter van Musschenbroek (l'inventore della bottiglia di Leida), Hans Sloane, Réamur, Bernard de Jussieu. Nel 1731 fu ammesso alla Royal Society come membro onorario. Nei Paesi Bassi, oltre a Boerhaave, il suo principale referente era Johannes Burman, cui cedette gran parte dell'erbario raccolto nelle Indie, che fu poi utilizzato dal figlio Nicolaas Laurens Burman per la sua Flora indica (1768). E' probabile che a casa di Burman abbia conosciuto Linneo, anche se non sono rimaste lettere tra i due. E' certo però che fu il primo a far conoscere il sistema linneano in Svizzera, preferendolo a quello di una gloria locale come Haller. Dopo la laurea, ritornò per qualche tempo in Svizzera per sposarsi e rivedere la famiglia. Quindi lavorò come medico a Hulst, in Zelanda e dal 1739 si stabilì definitivamente a Neuchâtel, divenendo un membro eminente della piccola comunità scientifica del principato. Ammesso come membro corrispondente anche all'Accademia delle scienze francese, pubblicò articoli su diversi argomenti, oltre che sulle Transactions della Royal Society, sul Journal helvétique/Mercure Suisse, per il quale teneva anche una rubrica meteorologica, e collaborò alla revisione del Dictionnaire universel de commerce (1742). Morì a Neuchâtel nel 1752. Una sintesi della vita nella sezione biografie. Anche suo figlio Jean-Laurent Garcin (1733–1781), poeta e letterato, si occupò di botanica e rivide per l'Encyclopédie d’Yverdon le voci botaniche scritte da Jean-Jacques Rousseau. Frutti tropicali e pigmenti trasparenti Il mangostano, nome botanico Garcinia manogostana, è la specie più nota di un genere molto vasto delle Clusiaceae (il secondo per dimensioni della famiglia), che comprende da 260 a 400 specie di alberi e arbusti diffusi nella fascia tropicale e subtropicale di tutti i continenti. Sempreverdi, sono in genere dioici e in qualche caso possono riprodursi per apomissia (ovvero senza fecondazione). Per l'estrema varietà delle strutture fiorali, Garcinia è considerato un genere dalla tassonomia discussa, come dimostra anche l'incerto numero di specie. Molte di esse, come altre Clusiaceae (che proprio per questa ragione un tempo si chiamavano Guttiferae), producono resine bruno-giallastre per la presenza di xantonoidi come la mangostina, talvolta usate come purganti o lassativi piuttosto drastici, ma più spesso come coloranti. Molte specie producono frutti eduli, talvolta dolci e da consumare crudi, talvolta acidi e da consumare essiccati. Il frutto più noto è ovviamente proprio il mangostano: è originario del Sud Est asiatico (il nome deriva dalla lingua malese) dove è talmente amato da essere chiamato "regina dei frutti"; già prima dell'arrivo degli europei, fu diffuso in altri paesi asiatici: sicuramente era già noto in India nel Cinquecento, come attestano proprio i Colóquios dos simples di Garcia de Orta. Furono gli inglesi a introdurlo nel resto del mondo: arrivato a Kew intorno 1850, fu importato nelle Antille britanniche, specialmente in Giamaica, che divenne il centro di diffusione in paesi come Guatemala, Honduras, Panama e Ecuador. Tuttavia richiede condizioni ambientali difficili da riprodurre; il sudest asiatico conserva il primato nella produzione mondiale (il paese leader è la Thailandia), e le coltivazioni in altre aree giocano un ruolo marginale. Poco noto da noi fino a pochi anni fa, oggi non è difficile vederlo in vendita tra i frutti tropicali anche sui banchi dei supermercati. I frutti di altre specie sono consumati per lo più a livello locale. Ma non sono solo i frutti a rendere interessanti le Garciniae. Da qualche anno sono stati lanciati sul mercato capsule o estratti di Garcinia gummi-gutta (in genere commercializzati sotto il sinonimo G. cambogia); ricavati dalla scorza dei frutti, dovrebbero facilitare la perdita di peso. Studi scientifici in doppio cieco hanno in realtà dimostrato che la loro efficacia è pari a quello del placebo, mentre sono stati evidenziati effetti collaterali a carico del fegato e dell'apparto gastro-intestinale. Nel sudest asiatico, i frutti essiccati di G. gummi-gutta, ma anche di molte altre specie, dal gusto acido, sono un ingrediente di diversi piatti della cucina tradizionale, come il kaeng-som della Tailandia meridionale. In Vietnam, per dare colore e sapore al bún riêu, si usa G. multiflora. La resina estratta da varie specie di Garcinia, in particolare G. hanburyi, G. morella, G. elliptica e G. heteranda, è nota con il nome gommagutta; in inglese è conosciuta come gamboge, derivato dal Gambogia, il nome latino della Cambogia, paese di origine di G. hanburyi. Trasparente e di colore giallo vivo, arrivò in Europa nel Seicento (la prima attestazione come nome di colore in Inghilterra è del 1634) e fu assai apprezzata come pigmento nella pittura a olio e ad acquarello: la utilizzarono, tra gli altri, Rembrandt, Turner e Reynolds. All'inizio dell'Ottocento l'illustratore botanico William Hooker (omonimo del celebre botanico), avendo bisogno di un verde trasparente per le sue illustrazioni di frutti, mescolò la gommagutta con il blu di Prussia, ottenendo il pigmento ancora oggi noto come verde di Hooker. Un tempo la gommagutta era anche utilizzata come velatura per le stampe, ma all'inizio del Novecento, essendo molto costosa, è stata sostituita da un colorante sintetico, l'aureolina, che è anche più resistente alla luce. Altri approfondimenti su questo interessante genere nella scheda. Quello del Bounty è probabilmente l'ammutinamento più celebre della storia della marina, anche grazie a diversi film hoolywoodiani. Nei quali il cattivo è, immancabilmente, il tirannico capitano William Bligh. Ma forse la realtà è un po' diversa. E soprattutto, in quei film manca l'altro protagonista, senza il quale forse quella rivolta non sarebbe mai scoppiata: l'albero del pane, Artocarpus altilis. Dopo tante vicissitudini, il discusso capitano riuscì nella sua impresa di importarlo nelle Antille, e, en passant, riportò dal viaggio anche un'altra pianta dai frutti eduli. In suo onore, fu battezzata Blighia sapida. L'albero più utile delle Indie orientali L'albero del pane Artocarpus altilis è una delle più importanti piante alimentari del pianeta. Un singolo albero adulto può produrre, a seconda delle condizioni in cui cresce, da 50 a 150 frutti l'anno, e ciascun frutto può pesare fino a 5 kg. I frutti cotti hanno un gusto e un profumo simili a quelli del pane e sono ricchi di carboidrati, fibre e minerali. Una porzione fornisce il potassio di due patate e mezzo, oppure di dieci banane o ancora di venti tazze di riso. Oggi è coltivato in almeno novanta paesi tropicali e ha salvato dalla fame milioni di persone. Questa specie tanto utile è originaria della Nuova Guinea, delle isole Maluku e delle Filippine. Nel corso della loro espansione in Asia Orientale e in Oceania fu conosciuta e domesticata dai popoli austronesiani, che la importarono in quasi tutte le isole dell'Oceania, facendone una delle basi della loro alimentazione e della loro economia. Il primo europeo a descrivere l'albero del pane fu William Dampier, che lo conobbe nell'isola di Guam nel 1687, quando i suoi frutti salvarono dalla fame l'equipaggio stremato della Cygnet; nella sua relazione all'ammiragliato, fu anche il primo a raccomandarne l'introduzioni nei Caraibi. Negli anni '40 del Settecento, l'ammiraglio George Anson ne esaltò le virtù, dichiarando che i suoi marinai lo preferivano al pane. Durante il loro soggiorno a Tahiti nel corso del primo viaggio di Cook, sia il capitano sia Banks furono impressionati dalla sua grande produttività (tre raccolti all'anno), dalla facilità di propagazione, dallo scarso fabbisogno di manodopera e della sua resistenza al vento. Al loro ritorno in Europa, ne parlarono con tanto entusiasmo che incominciò ad affacciarsi l'idea di importalo nelle colonie americane. Nel 1772, poco dopo il rientro della spedizione, Valentine Morris, governatore di St Vincent, scrisse a Banks (un vecchio compagno di scuola dei tempi di Eton) per chiedergli informazioni di prima mano. Nel 1775 John Ellis pubblicò A Description of the Mangostan and the Breadfruit in cui definì l'albero il più utile delle Indie orientali, e aggiunse che la sua introduzione sarebbe stata "estremamente benefica per gli abitanti delle nostre isole delle Indie occidentali". Nel 1777 la Society of Arts offrì un premio e una medaglia d'oro a chi fosse riuscito a trasportare con successo l'albero in Gran Bretagna. Ovviamente Banks, che nel 1784 era diventato presidente della Royal Society, divenne il principale promotore del progetto che, tuttavia, a causa della ribellione delle colonie americane e della guerra d'indipendenza, dovette attendere qualche anno. Fu così soltanto nel 1786 che egli riuscì a convincere il re e il primo ministro William Pitt il giovane a finanziare una spedizione finalizzata al trasporto di virgulti di albero del pane da Tahiti alle Antille britanniche; la propagazione per seme era infatti impossibile, dal momento che le varietà tahitiane erano sterili e prive di semi. Per l'occasione, la marina britannica acquistò e fece adattare una piccola nave, ribattezzata Bounty "Premio", probabilmente in riferimento al premio offerto dalla Society of Arts che ancora nessuno era riuscito ad aggiudicarsi. Come comandante, Banks raccomandò il luogotenente William Bligh, che era stato l'idrografo della Resolution nel terzo viaggio di Cook; benché poco più che trentenne, aveva una lunghissima esperienza di navigazione e inoltre conosceva bene sia Tahiti sia le Antille, che aveva visitato quando serviva nella marina mercantile. Per occuparsi della propagazione delle piante e del loro benessere durante il lungo viaggio, a bordo ci sarebbero stati anche due giardinieri: David Nelson (anche lui un reduce del terzo viaggio di Cook) e l'aiuto giardiniere William Brown. Il primo e il secondo viaggio dell'albero del pane Bligh era indubbiamente un lupo di mare. Aveva cominciato a navigare a sette anni, per poi diventare, via via, marinaio scelto, guardia marina, sailing master, luogotenente. Il viaggio agli ordini di Cook (all'epoca aveva poco più di vent'anni) era stato per lui una grande scuola di navigazione e di vita. Successivamente si era distinto nella battaglia di Dogger Bank e nella difesa di Gibilterra, raggiungendo il grado di luogotenente. Tornata la pace, era stato messo a mezza paga e tra il 1783 e il 1787 aveva comandato diverse navi mercantili. Il comando del Bounty era dunque l'occasione che aspettava da un po' per far ripartire la sua carriera Il Bounty era una piccola carboniera a tre alberi di 215 tonnellate, lunga appena 27 metri. Per adattarla al trasporto delle piante, la grande cabina, normalmente riservata al comandante, venne estesa a un terzo della lunghezza della nave e trasformata in una serra viaggiante, con una stufa a carbone e un secondo livello di tavole forate, atte a ospitare 626 vasi. Lo spazio divenne dunque estremamente angusto; Bligh, privato del simbolo della sua autorità di comando, dovette accontentarsi di dormire in un bugigattolo e fu costretto a condividere ogni momento della giornata con i suoi sotto ufficiali. Era l'unico ufficiale a bordo, e non c'erano soldati che potessero aiutarlo in circostanze difficili. Oltre a lui, c'erano 43 marinai, molti dei quali alla prima esperienza di navigazione, e i due giardinieri: in tutto, 46 uomini. A causa del maltempo, che aveva ritardato la partenza prevista per ottobre, la nave salpò da Spithead il 23 dicembre 1787; incappò così in venti contrari che per oltre un mese le impedirono di superare il Capo Horn, finché Bligh si rassegnò a seguire la rotta più lunga, attraverso il Capo di Buona Speranza e l'Oceano Indiano; dopo una sosta relativamente lunga al Capo, l'unico scalo intermedio fu Adventure Bay, in Tasmania, dove si manifestarono le prime tensioni con alcuni sottoufficiali e morì un marinaio, forse mal curato dal chirurgo di bordo, un ubriacone impenitente. Per giustificarsi, questi attribuì il decesso allo scorbuto; di conseguenze Bligh rese ancora più severe le poco gradite misure anti-scorbuto imparate da Cook. Il Bounty raggiunse Tahiti solo il 26 ottobre 1788, dopo dieci mesi di navigazione. Sotto la guida di Nelson, i marinai dovettero trasformarsi in aiuto giardinieri: bisognava scegliere le piante adatte, prelevare le talee, trapiantarle, seguirne la crescita. Prima che le pianticelle fossero pronte per affrontare il viaggio, erano trascorsi cinque mesi. Bligh permise ai suoi uomini di vivere a terra; molti socializzarono con i nativi e diversi uomini, compreso il secondo Fletcher Christian, strinsero relazioni sentimentali con ragazze tahitiane. I compiti dei marinai erano poco impegnativi e incominciò a diffondersi un'atmosfera di rilassatezza e di indolenza che irritava sommamente il capitano. Era un uomo dalla lingua tagliente, e ci furono altri momenti di tensione. All'inizio di gennaio 1789, tre marinai sottrassero una lancia e disertarono; vennero catturati dopo pochi giorni e Bligh si accontentò di farli frustare. A febbraio erano pronte ben 1015 pianticelle, e iniziò il loro trasporto nella cabina-serra; il lavoro fu completato il 1 aprile e il 4 aprile il Bounty lasciò Tahiti. Dato che era morto anche l'etilico chirurgo, ora a bordo erano in 44. Il 22 aprile, a Nomuka, una delle Tonga, dove la nave aveva fatto scalo per completare le provviste, ci fu uno scontro tra Bligh e Christian che forse fu la causa scatenante dell'ammutinamento. Questo iniziò nelle prime ore del 28 aprile, quando Christian, insieme ad alcuni marinai che aveva convinto a seguirlo, prese il controllo del ponte superiore e si impadronì delle armi; tre uomini irruppero nella cabina di Bligh, profondamente addormentato, lo legarono e lo trascinarono fuori senza neppure permettergli di rivestirsi. Seguirono scene di grande confusione; gli ammutinati erano in minoranza (19 uomini su 44), ma gli uomini rimasti fedeli, privi di armi e annichiliti dalla cattura del comandante, non apposero resistenza. Bligh e 18 uomini furono imbarcati a forza su una lancia, con provviste e acqua per circa una settimana, senza carte e senza strumenti nautici, eccetto una bussola, un quadrante, un sestante rotto e un orologio da tasca. Tra i "fedeli" c'era anche Nelson, mentre Brown si schierò con gli ammutinati. Non c'è bisogno di dire che le povere piante di albero del pane furono scaraventate fuori bordo. Da allora gli storici si dividono sulle cause (e sulle responsabilità) dell'ammutinamento. Registi e sceneggiatori di Hollywood (con l'eccezione di una pellicola "revisionista") non hanno dubbi: Bligh era un tiranno, e fu la sua crudeltà insensata a spingere Christian e gli altri alla rivolta. Ma probabilmente la realtà è più complessa; Bligh, rispetto agli standard della marina britannica, non era particolarmente violento, anzi era probabilmente molto meno duro dello stesso Cook. D'altra parte, era noto per il carattere irascibile e il linguaggio intemperante. Probabilmente si sommarono diversi fattori: lo spazio sovraffollato della nave, inadatta al compito cui era destinata; la mancanza di gradi intermedi tra il comandante e i marinai specializzati; il lungo piacevole soggiorno a Tahiti, che aveva allentato la disciplina e creato relazioni di cui i marinai avevano nostalgia; rivalità personali tra Bligh e i suoi sotto ufficiali, primo tra tutti Christian, che all'inizio egli aveva favorito anche troppo, e alla fine umiliato in pubblico. Ovviamente il cattivo carattere del comandante e la sua totale mancanza di diplomazia avranno giocato la loro parte. E' certo invece che Bligh era un grande uomo di mare, e lo dimostrò realizzando un'impresa senza precedenti. Dato che la destinazione degli ammutinati era Tahiti, la meta obbligata del comandante era la colonia olandese di Timor, 3618 miglia nautiche (6700 km) di distanza. Grazie alla grande esperienza di marinaio, con l'aiuto di alcune carte di navigazione e dei pochissimi strumenti disponibili, ma affidandosi soprattutto alla memoria e al suo eccezionale talento di cartografo, Bligh riuscì a trovare la rotta giusta e a coprire la distanza in appena quarantasette giorni, un vero record. A poche miglia dal luogo dell'ammutinamento, il capitano e i suoi sostarono a Tofua per caricare acqua e provviste; tuttavia, furono attaccati dagli indigeni e un uomo perse la vita. Con l'imbarcazione sovraccarica, con un tempo spesso tempestoso e razioni ridotte a 40 g di pane al giorno, continuarono la navigazione senza altre soste in quel mare insidioso e il 29 maggio riuscirono a raggiungere la grande barriera corallina. Quel giorno sbarcarono in una piccola isola al largo dell'Australia occidentale: la battezzarono Restoration Island, perché vi trovarono ostriche e frutti che diedero loro grande ristoro, e anche perché era l'anniversario della restaurazione della monarchia, nel 1660. All'inizio di giugno superarono l'Endevour Strait e si trovarono di nuovo in mare aperto. Infine, il 14 giugno giunsero a Kupang nell'isola di Timor. Erano sopravvissuti tutti, ma erano così deboli che diversi uomini morirono nei giorni successivi. Tra di loro il giardiniere David Nelson. Quando tornò in Inghiterra, Bligh fu processato (era un atto obbligato per chi avesse perso una nave della Royal Navy) e fu assolto con onore, anche se i parenti di alcuni degli ammutinati, di condizione sociale molto superiore alla sua, orchestrano una campagna di stampa contro di lui. Molti, non ultimo il re Giorgio III, lo considerarono invece un eroe e anche Banks non perse la sua fiducia in lui. Promosso capitano, tre anni dopo poté completare l'impresa interrotta dall'ammutinamento. Nell'agosto del 1791, al comando della Providence, accompagnata dall'Assistence, comandata da Nathaniel Portlock (un altro veterano dell'ultimo viaggio di Cook), Bligh salpò una seconda volta per Tahiti; a bordo c'era di nuovo una coppia di uomini di Banks, James Wiles e Christopher Smith, incaricati non solo di preparare le piante di albero del pane, ma anche di raccogliere altre piante per Kew. Molto efficienti e solerti, fecero raccolte in Sud Africa, a Tahiti, in Tasmania e a Timor; particolarmente importanti quelle fatte a Adventure Bay in Tasmania. Questa volta la missione fu un successo: Smith e Wiles prepararono ben 1600 pianticelle; qualcuna morì durante il viaggio, qualcuna fu sostituita con pianticelle raccolte a Timor, qualcuna fu lasciata a Sant'Elena per essere acclimata o essere spedita in Inghilterra; 678 piante vive nel gennaio 1793 arrivarono nelle Antille. Alexander Anderson, il sovrintendente dell'orto botanico di Saint Vincent, salì sulla Providence per accogliere di persona le sue; altre furono sbarcate in Giamaica, insieme al giardiniere James Wiles, che preferì rimanere a prendersi cura di loro nel vivaio di Bath; più tardi diventò sovrintendente dell'orto botanico di Liguanea, quindi fu nominato Botanico dell'isola e redasse Hortus Eestensis, il catalogo del giardino. Si sposò, aprì due piccoli caffè e visse in Giamaica fino alla morte, nel 1851, all'età di 83 anni. Smith tornò a casa, ma già l'anno successivo fu assunto come giardiniere del giardino della Compagnia delle Indie a Calcutta; tra 1795 e il 1805 viaggiò nelle Molucche come cacciatore di piante di Kew e terminò la sua carriera come sovrintendente dell'orto botanico di Penang dove morì nel 1807. Bligh rientrò in Inghilterra nell'estate del 1793 e a gennaio dell'anno successivo ricevette la medaglia d'oro messa in palio dalla Society of arts. La sua carriera proseguì tra luci e ombre (inclusi altri due ammutinamenti e tre processi), per le quali rimando alla biografia. Blighia, un'altra pianta viaggiatrice In Giamaica il capitano Bligh conobbe e riportò con sé in Inghilterra un'altra pianta dai frutti eduli, nota come ackee. In realtà non si tratta di una pianta indigena: era arrivata nell'isola (di cui oggi è considerata il frutto nazionale) solo una ventina di anni prima dall'Africa occidentale. E' infatti originaria della Costa d'Avorio e del Ghana. In onore del capitano, nel 1806 il botanico di origine tedesca Charles Konig, che all'epoca lavorava al British Museum, la denominò Blighia sapida. E' la più nota delle tre specie del genere Blighia, famiglia Sapindaceae. L'ackee è un albero sempreverde di medie dimensioni, con foglie pinnate, e fiori stellati raccolti in brevi pannocchie. Il frutto è una capsula ovale trilobata con buccia coriacea rossa o aranciata, che contiene tre semi, ciascuno dei quali alla base è avvolto da un arillo carnoso giallo; mentre l'arillo maturo è edule, tutte le altre parti del frutto sono tossiche. Per eliminare la tossicità, il frutto dell'ackee va raccolto quando è completamente aperto, in modo da poter separare con facilità gli arilli; questi ultimi vengono sbollentati in acqua o latte, e quindi utilizzati come ingredienti di vari piatti: curry, zuppe, stufati, riso. In Giamaica il piatto più comune è ackee and saltfish (Aki ah saalfish), preparato con varie verdure, baccalà ammollato e ackee. Abitualmente viene servito con banane verdi e frutti dell'albero del pane: una conclusione perfetta per questa storia! Qualche approfondimento sulle altre specie del genere Blighia nella scheda. Prima che se ne conoscesse la causa (la carenza di vitamina C) lo scorbuto è stato la maledizione dei viaggi oceanici. Ed è proprio lo scorbuto a fare da filo rosso a questo post, con la scoperta in una remota isola antartica di una pianta capace di combatterlo, e la sua dedica a un medico, John Pringle, che aveva salvato la vita di molti soldati inglesi e aveva detto la sua anche su questa malattia e sul modo migliore per prevenirla. Accanto a lui, come comprimari, troviamo nuovamente il capitano Cook e il suo chirurgo William Anderson, ma anche un giovanissimo Joseph Dalton Hooker. Il cavolo delle Kerguelen e il dottor Pringle: prevenire è meglio che curare La vigilia di Natale del 1776 le navi della terza e ultima spedizione di Cook, la Resolution e la Discovery, a metà strada tra il Sud Africa e l'Australia occidentale raggiunsero un gruppo di isole disabitate, sempre battute dal vento glaciale e spesso avvolte dalla nebbia alternata a una pioggerellina incessante. A Natale gettarono l'ancora in una baia dell'isola principale (oggi Grande Terre), che Cook battezzò Christmas Harbour, e vi rimasero per sei giorni. In quell'isola in parte ricoperta dai ghiacci non crescevano né alberi né arbusti, tanto che Cook battezzò l'arcipelago Isole della desolazione; più tardi, i marinai trovarono una bottiglia con una pergamena che attestava che l'isola era già stata raggiunta nel 1772 dal francese Yves Joseph de Kerguelen-Trémarec. Per non privare il collega della gloria della scoperta, Cook cambiò il nome in Isole Kerguélen; per quanto pensasse che "queste isole della desolazione i francesi se le possono tenere", secondo le indicazioni dell'Ammiragliato ne prese formale possesso a nome del re d'Inghilterra con una cerimonia che il chirurgo di bordo, William Anderson, giudicò francamente ridicola. Anderson mise a frutto la breve sosta per esplorare la natura dell'isola; la fauna era rappresentata da foche (si tratta dell'otaria Arctocephalus gazella) e da molti tipi di uccelli, tra cui tre specie di pinguini; la flora nelle aree rocciose era limitata a muschi, licheni e ciuffi d'erba sparsi, ma dove c'era un po' di terra c'erano cuscini, e qui e là estesi tappeti, di una minuscola pianta verdissima con foglie simili a quelle della sassifraga (si tratta di Azorella selago); in alcuni luoghi, cresceva con relativa abbondanza una graminacea (Poa cookii) e, nei luoghi umidi, una pianticella dal gusto acido simile a crescione, forse da identificare con Ranunculus crassipes. In tutto, non più di sedici-diciotto specie, inclusi sei-otto muschi e il notevole lichene Neuropogon taylori. La pianta più interessante cresceva in considerevoli quantità lungo i declivi paludosi: alta circa due piedi, con forti radici rizomatose, era caratterizzata da grandi foglie arrotondate con apice appuntito, raccolte in fitte rosette simili a un piccolo cavolo cappuccio, da cui si ergevano scapi con infiorescenze erette. All'assaggio, le foglie risultavano decisamente acide, segno di sicure proprietà antiscorbutiche. Accettabili crude, bollite in una zuppa risultavano ottime e gradite all'equipaggio, che ne fece grandi scorte in vista della traversata che li attendeva. La pianta era nuova, e Anderson la battezzò Pringlea, senza aggiungere un epiteto. Il dedicatario era il presidente della Royal Society John Pringle. Come Anderson, era scozzese, anzi il più illustre membro della scuola medica di Edimburgo, oltre che esponente di punta dell'Illuminismo scozzese. A renderlo celebre, e a propiziare la sua nomina alla testa della Royal Society, erano stati i grandi risultati conseguiti come medico capo dell'esercito. Cadetto di una famiglia nobile, era stato inviato in Olanda per essere avviato alla mercatura, ma a Leida, affascinato dalle lezioni di Boerhaave, aveva deciso di studiare medicina e si era laureato (come molti conterranei) in quella università nel 1730. I suoi interessi includevano però anche la filosofia, e dal 1733 insegnò filosofia morale all'Università di Edimburgo. Intanto proseguiva la carriera medica e nel 1742 divenne medico personale del secondo Earl di Stair, John Dalrymple, all'epoca comandante dell'esercito inglese nelle Fiandre, che gli affidò la direzione dell'ospedale militare. Nel giugno del 1743, alla vigilia della battaglia di Dettingen in Baviera, su suo suggerimento l'Earl di Stair concordò con il comandante francese, il Maresciallo di Noialles, di considerare neutrali gli ospedali militari di entrambe le parti. Quest'atto è considerato un'anticipazione della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra. Nel 1744 il duca di Cumberland promosse Prigle medico capo dell'armata dei Paesi Bassi. Nei sette anni in cui servì l'esercito, il medico fu colpito dal fatto che la maggior parte delle perdite non avvenivano in battaglia o in seguito alle ferite, ma erano causate dalla dissenteria e da malattie infettive, prima fra tutte la misteriosa "febbre da accampamento" . Grazie alla sua mentalità pratica e aperta, capì che la soluzione stava nella prevenzione, migliorando l'alimentazione e l'abbigliamento e curando scrupolosamente l'igiene di persone e ambienti. Nel 1749 Pringle si stabilì a Londra, dove divenne un medico alla moda. Ebbe così modo di seguire da vicino un'epidemia di "febbre delle carceri", che portò alla morte di molte persone, inclusi vari giudici e il sindaco della città. A partire da questo episodio, pubblicò Observations on the Nature and Cure of Hospital and Jayl Fevers, in cui dimostrò che questa malattia era identica alla "febbre da accampamento": entrambe andavano identificate come tifo e potevano essere prevenute introducendo rigorose misure igieniche. Nel 1752 seguì la sua opera maggiore, Observations on the Diseases of the Army in Camp and Garrison, che gli diede fama europea e gli guadagnò l'ammissione alla Royal Society. In questo testo, considerato l'atto di fondazione della medicina militare, Pringle, anche se non aveva un'idea corretta dell'origine della malattia (che attribuiva a processi di "putrefazione" diffusi dal "miasma", ovvero dall'aria corrotta), individuava giustamente tra i veicoli di diffusione l'affollamento, la scarsa ventilazione, la mancanza di igiene, prescrivendo misure come il distanziamento dei malati, l'arieggiamento dei locali, la cura dell'igiene delle persone e degli ambienti. Negli anni successivi, condusse esperimenti su vari antisettici (fu lui a coniare il termine); dal momento che secondo le teorie di Boerhaave, la putrefazione ha natura alcalina, i mezzi migliori per combatterli sono le sostanze acide; prescrisse anche l'uso dell'ammoniaca. La carriera successiva di Pringle fu ricca di successi. Tra il 1752 e il 1775 uscirono ben sette edizioni di Observations on the Diseases of the Army, inclusa un'edizione tascabile in ottavo. Nel 1766 egli fu nominato baronetto e nel 1774 divenne medico personale del re e della regina. Era un apprezzato e influente membro della società colta della capitale, amico tra gli altri di Benjamin Franklin. Nel 1772 fu eletto presidente della Royal Society, incarico che mantenne fino al 1778, quando diede le dimissioni. Dopo un breve rientro a Edimburgo, che giudicò presto troppo provinciale, ritornò a Londra dove morì nel 1782. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Pringle legò le sue carte al Reale collegio dei medici di Edimburgo, con la singolare clausola che venissero mantenute sotto chiave in perpetuo. Nel 2004, dopo una lunga causa legale, l'accesso ai documenti e la loro pubblicazione sono stati infine consentiti. Va da sé che hanno un notevole valore per la ricostruzione della storia della medicina. Pringle, Cook e lo scorbuto: una storia di equivoci? Il prestigio scientifico e l'alto ruolo istituzionale di Pringle sarebbero già sufficienti a giustificare la dedica di Pringlea da parte di Anderson; del resto, l'unica pubblicazione del giovane chirurgo, An account of some poisonous fish in South Seas, venne trasmessa alla Royal Society sotto forma di lettera proprio a Pringle. Ma tra Pringle, Anderson e Cook (nonché Pringlea) c'è un legame più diretto: lo scorbuto. Benché questa piaga decimasse soprattutto i marinai, non era sconosciuta all'esercito: durante la guerra dei Sette anni (1756-1763) ebbero a soffrirne a più riprese i soldati britannici di stanza in Nord America, quando il prolungarsi dell'inverno rendeva indisponibili vegetali freschi. Dunque, non stupisce che Pringle abbia dedicato la sua attenzione anche a questa malattia. Ai suoi tempi, la causa (oggi sappiamo che si tratta di carenza di vitamina C) era sconosciuta. Fin dal XV secolo, quando i lunghi viaggi transoceanici lo avevano reso un triste compagno di viaggio dei marinai, si erano però scoperti vari rimedi empirici. I portoghesi avevano presto capito che il consumo di agrumi era una prevenzione molto efficace, tanto che crearono frutteti di aranci e limoni a Sant'Elena, un abituale scalo nel tragitto tra l'Europa e il Capo di Buona Speranza. Gli Olandesi invece caricavano le stive delle loro navi di barili di crauti, quasi altrettanto validi. Molti capitani di marina poterono verificare di persona che il rimedio principale era il consumo di verdura e frutta fresca. Ma nonostante queste esperienze, si continuava a morire: nel 1740 il capitano (e futuro ammiraglio) George Amson, nel corso di una spedizione di sei navi in Sud America nei primi dieci mesi di navigazione perse circa 1300 uomini su 2000. A complicare la situazione, c'era anche il fatto che lo scorbuto in genere non provoca la morte in modo diretto, ma piuttosto uno stato generale di prostrazione e debilitazione che favorisce l'insorgere di altre malattie letali: la dissenteria, la tubercolosi, la polmonite, ecc. I medici del tempo dunque tendevano a spiegarlo, più che come una malattia con una causa specifica (che non conoscevano) come uno squilibrio causato da una somma di fattori. Boerhaave (che abbiamo già incontrato come maestro di Pringle) scrisse un trattato sullo scorbuto in cui teorizzò che il morbo fosse causato da un vero e proprio avvelenamento del sangue, reso troppo sottile e alcalino da processi di putrefazione causati dal freddo, dall'umidità e dall'aria corrotta. Nel 1747 il chirurgo navale James Lind, imbarcato sulla nave Salisbury, condusse un esperimento controllato su sei coppie di marinai, ai quali somministrò sostanze diverse ritenute efficaci contro lo scorbuto; nel 1753 espose i risultati nel Trattato sullo scorbuto, nel quale concluse che "i risultati di tutti i miei esperimenti sono che arance e limoni sono i rimedi più efficaci per questo morbo dei mari". Tuttavia, lo scritto non ottenne seguito immediato, forse anche perché il rimedio messo a punto dal chirurgo, lo "sciroppo di Lind", si dimostrò del tutto inefficace; era prodotto facendo bollire il succo di limone, un processo che distrugge la vitamina C, termolabile. Pringle credeva in altri rimedi. Riprendendo le teorie del suo maestro, egli riteneva che, proprio come le febbri tifoidi, lo scorbuto dovesse essere considerato una malattia epidemica di origine putrida, che poteva essere combattuta sia con misure di igiene preventiva (come la ventilazione e la pulizia scrupolosa delle navi) sia assumendo sostanze acide, capaci di ristabilire l'equilibrio del sangue. Certamente, limoni e verdure fresche andavano benissimo, dal momento che sono acidi, ma il rimedio migliore a suo parere era il mosto di malto, oltre tutto economico, facile da trasportare e da somministrare. Durante la digestione, supponeva, i gas acidi prodotti dal malto avrebbero neutralizzato la putrefazione alcalina. Gli ammiragliati pensavano che non ci si fosse un'unica cura efficace, e che la soluzione migliore fosse rifornire le navi di una batteria di rimedi preventivi che includeva la "zuppa portatile" (una miscela di vegetali essiccati), sciroppi di frutta concentrati (tra cui quello di Lind), aceto, mostarda, malto, crauti, melassa, fagioli; non mancava il più drastico, l'elisir di vetriolo. Torniamo dunque a Cook. Durante il primo viaggio (1768-1771) egli riuscì a mantenere in relativa buona salute i suoi uomini, ma a Batavia molti si ammalarono di "dissenteria" e 30 uomini ne morirono. A privarli delle difese immunitarie, però, forse era stato proprio lo scorbuto. Cook stesso era convinto che la vera causa fosse "la lunga mancanza della dieta ricca di vegetali cui erano abituati in precedenza, e insieme ad essa tutti i disordini della vita in mare". Per il secondo viaggio, era deciso a non ripetere l'esperienza, tanto più che l'esplorazione dei mari più meridionali del globo richiedeva lunghi mesi di navigazione senza scali, nelle condizioni più proibitive possibili. Sia lui sia l'ammiragliato si affidarono dunque proprio all'autorità di Pringle. Le stive della Resolution e della Adventure furono rifornite con 40 barili di malto, 1000 libbre di zuppa portatile, 30 galloni di marmellata di carote, aceto, mostarda, grano, crauti e sciroppi di arance e limoni. Durante il viaggio, Cook impose ai suoi uomini una pulizia scrupolosissima, con il lavaggio quotidiano dei ponti, e approfittò di ogni scalo per approvvigionarsi di cibi freschi, in particolare quei vegetali "acidi" che erano considerati un toccasana contro lo scorbuto. Per convincere i suoi uomini a mangiare i poco graditi crauti, li fece servire ogni giorno alla mensa degli ufficiali. I risultati furono eccellenti: anche se si manifestarono diversi casi (tra i sicuramente affetti, il naturalista Johann Reinhold Forster) tutti furono curati con successo e neppure un uomo della Resolution morì di scorbuto. Sebbene con una piccola riserva, Cook si allineò con Pringle, riconoscendo i meriti del suo rimedio preferito; nella sua relazione alla Royal Society scrisse: "Avevamo a bordo una grande quantità di malto, con la quale è stato preparato del mosto dolce che è stato somministrato non solo agli uomini che manifestavano sintomi di scorbuto, ma anche a tutti coloro che, per vari motivi, sembravano più inclini a questa malattia. Senza dubbio si tratta della migliore medicina antiscorbutica finora trovata; se somministrato in tempo, con la necessaria attenzione a tutti gli altri fattori, io sono persuaso che impedisce allo scorbuto di fare progressi per un lungo periodo; ma allo stesso tempo non è mia opinione che in mare possa curare uno stadio avanzato della malattia". Gongolante, Pringle fece pubblicare la relazione nelle Transactions della Royal Society, ma soppresse la frase sottolineata. E' chiaro che Cook aveva ottenuto un grande successo, ma non sapeva perché. L'ammiragliato continuò a insistere con il malto per altri vent'anni; fu solo intorno agli anni '90 che i limoni (freschi e non in sciroppo) si imposero nella dieta dei marinai della Royal Navy. Una pianta contro lo scorbuto Adesso vi è chiaro perché il cavolo delle Kerguelen fu così apprezzato da Cook, e anche perché il nome Pringlea era particolarmente appropriato. Ma alla pianta mancava ancora il nome specifico. Per acquisirlo dovette aspettare quasi settant'anni e l'intervento di un altro giovane chirurgo: Joseph Dalton Hooker. Hooker arrivò nelle Kerguelen nel 1840 come aiuto chirurgo della Erebus, una delle due navi della celebre spedizione antartica guidata da Ross. Soggiornò nelle isole un paio di mesi, tra maggio e luglio, e ne approfittò per documentarne in modo completo la flora: mentre Anderson (che però era rimasto qui meno di una settimana) aveva trovato non più di 18 specie, Hooker riuscì a raccogliere, identificare e descrivere 150 specie, tra cui 18 angiosperme, 3 felci, 35 muschi, 25 licheni e una cinquantina di alghe. Ovviamente, anche per lui la specie più eccitante era il cavolo delle Kerguelen. Ne apprezzò le qualità alimentari e ne studiò gli effetti: "Per un equipaggio costretto a cibarsi di cibo sotto sale [...] è una verdura molto importante, perché possiede tutte le qualità del suo omonimo inglese, ma al contrario di quello contiene una grande abbondanza di oli essenziali che non producono mai bruciori di stomaco né nessuna delle sensazioni sgradevoli prodotte dalle nostre piante". Aggiunse che il gusto delle foglie crude ricordava quello del crescione, mentre quelle bollite assomigliavano al cavolo cappuccio, e le radici al rafano. Predisse, senza sbagliarsi, che questa pianta sarebbe stato la salvezza dei marinai che avrebbero frequentate quei mari e, finalmente, ne diede la descrizione scientifica e le assegnò un nome completo: Pringlea antiscorbutica. Si tratta dell'unica specie di questo genere ed è davvero parente dei nostri cavoli, appartenendo alla famiglia Brassicaceae. Non è esclusiva delle Kerguelen, ma è presente anche in altre isole dei mari Antartici: Isole Heard e McDonald, Crozet, Principe Edoardo. Sono ambienti proibitivi, a circa 50° grandi di latitudine sud, con clima pre-antartico, costantemente battuti da violente raffiche di vento gelido che non di rado superano i 150 km orari. Qui non esistono insetti che possano impollinarla (nelle isole ci sono insetti, ma quasi privi di ali), e il vento cessa solo in giornate particolarmente miti; in queste condizioni, è discusso se prevalga l'autoimpollinazione o l'impollinazione anemofila. Forse ciò spiega le particolari caratteristiche delle infiorescenze, densi racemi verticali, talvolta ramificati, di piccoli fiori portati su brevi peduncoli; ciascuno ha quattro sepali verdi e pelosi, ma la corolla, formata da quattro piccoli petali, è spesso incompleta o mancante, anche in boccio. Come tutta la vegetazione delle isole, Pringlea antiscorbutica, così abbondante ai tempi di Anderson e Hooker, è oggi a rischio. I tentativi di colonizzazione hanno portato qui topi e conigli, che divorano le radici; e piante aliene stanno sostituendo la vegetazione nativa. Qualche approfondimento nella scheda. Il medico austriaco di origine croata Nicolaus Thomas Host dedicò tutta la vita alla ricerca, alla pubblicazione e alla valorizzazione della flora nativa del vasto e variegato impero austriaco, tanto da fondare un "Giardino delle terre della Corona". E' dunque curioso che oggi sia ricordato, più che per questa impresa o per le sue pubblicazioni, per aver dato il nome a un genere che arriva da molto lontano. Le specie del genere Hosta, oggi tra le piante più amate e coltivate, sono infatti originarie dell'Estremo oriente. Le prime hanno fatto timidamente la loro comparsa in pochi orti botanici europei negli ultimi anni del Settecento; la loro vera diffusione in Europa si deve però a Siebold, che a partire dal 1830 ne importò dal Giappone una ventina tra specie e varietà. Questa rimase più o meno la situazione per circa un secolo, tanto che si dice che buona parte delle piante coltivate in Europa all'inizio del '900 discendesse in un modo o nell'altro dagli esemplari importati da Siebold. Ancora nel 1950, in Olanda se ne coltivavano non più di una trentina di varietà. Ma nel secondo dopoguerra la selezione di cultivar e ibridi è cresciuta in modo esponenziale, tanto che ormai essi si contano a migliaia (anche più di 10.000 secondo alcune fonti). Alla ricerca delle piante native La monarchia asburgica, nata dall'accumulo secolare di eredità disparate più ancora che dalle conquiste territoriali, è nota per essere l'antitesi dello stato nazionale: ne facevano parte territori molto diversi tra loro per lingua, cultura, storia, strutture economiche. Ovviamente, queste considerazioni valgono anche per l'ambiente naturale: dalla vegetazione tipicamente alpina del Tirolo a quella continentale dell'Austria orientale e della Pannonia, per non parlare delle aree con flore peculiari come l'Istria. Con i cinque volumi della spettacolare Florae austriacae (1773-78), Nicolaus Joseph von Jacquin aveva cominciato a rendere disponibile questo variegato patrimonio; tuttavia, il suo lavoro si limitava all'arciducato d'Austria, escludendo dunque non solo territori che oggi fanno parte di altri stati come l'Ungheria, la Croazia, la Boemia, l'Istria, la Carniola, la contea di Gorizia, ma anche la Stiria, la Carinzia, l'Austria anteriore, il Tirolo, il principato di Salisburgo. Forse non è strano che l'idea di allargare l'indagine quanto più possibile a tutti questi territori, che all'epoca erano raggruppati sotto l'etichetta Kronländer, "terre della corona", sia venuta a un suddito dell'impero originario di una regione di confine: il croato Nicolaus Thomas (o Nikola Toma) Host. Era a nato a Fiume / Rijeka, una città multietnica che dopo aver fatto parte per circa duecento anni prima della Carniola quindi della Bassa Austria, dal 1776 era stata unita al regno d'Ungheria come porto franco e corpus separatum, ovvero entità autonoma. Molto giovane Host si trasferì a Vienna per studiare medicina; fu accolto nell'entourage di von Jacquin, suo professore di botanica, e strinse amicizia con suo figlio Joseph Franz; insieme i due iniziarono ad esplorare la flora di aree ancora poco studiate, come la Stiria, il Tirolo, l'Istria. Laureatosi nel 1786, Host rimase a Vienna dove si fece un nome come medico, tanto nel 1792, a poco più di trent'anni, fu scelto come medico personale dall'imperatore Francesco II che più tardi lo volle come consigliere. Nel frattempo Host aveva continuato ad alternare all'attività professionale lunghe escursioni nelle terre della corona, incluse l'Ungheria e la Croazia, raccogliendo non solo esemplari d'erbario ma anche piante vive e semi che coltivava nel suo giardino. Nel 1793 propose all'Imperatore di creare un orto botanico esclusivamente dedicato alle piante native; Francesco II, grande appassionato di botanica, accolse la proposta con entusiasmo e gli mise a disposizione un'area del parco di Belvedere, adiacente all'orto botanico imperiale. Durante i suoi soggiorni estivi sul Danubio, l'imperatore si faceva suo allievo e gli chiese di dare lezioni ai suoi fratelli minori, gli arciduchi Johann, Anton e Rainer. Per il loro uso, Host creò un giardino didattico nel parco di Schönbrunn con le piante collocate secondo il sistema di Linneo. Il primo nucleo del Garten der Kronländer fu costituito dalle piante coltivate da Host nel suo giardino privato, cui si aggiunsero via via le piante native che andava raccogliendo nelle sue escursioni botaniche in molte parti dell'Impero. Funzionale alla realizzazione del giardino fu anche la prima pubblicazione di Host, Synopsis plantarum in Austria (1797), che contiene molte nuove specie; a differenza della monumentale opera illustrata di Jacquin, costosissima, stampata in poche copie e diventata presto quasi irreperibile, vuole essere un'opera di consultazione il più possibile completa (conta oltre 600 pagine) ma relativamente agile e di ampia diffusione; proprio per questo è priva di illustrazioni. Il capolavoro botanico di Host tuttavia è Icones et descriptions graminum austriacorum (1801-09), una magnifica opera in quattro volumi in folio con le illustrazioni di Johann Ibmayer che illustra le graminacee dell'Austria e dell'Europa centrale. Ugualmente splendido è Salix (1808), anch'esso illustrato da Ibmayer, dedicato ai salici delle provincie austriache. L'ultima fatica di Host fu ancora un'opera complessiva sulla flora dei territori asburgici, Flora austriaca, in due volumi (1827-1831), particolarmente importante per l'inclusione di specie di aree all'epoca poco note e ricche di endemismi, l'Istria e la Dalmazia, con tavole tratte da acquarelli di Ibmayer. Anche se Host è stato a volte criticato perché tendeva a moltiplicare le specie, classificando come specie distinte qualsiasi variazione, si tratta di lavori molto importanti che arricchirono notevolmente la conoscenza della flora dell'Austria e delle aree limitrofe. Host morì a Schönbrunn nel 1834. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Sembra che dopo la sua morte il giardino che aveva concepito, creato e diretto sia caduto presto nella trascuratezza. Intorno al 1865, quanto rimaneva della collezione di piante alpine fu trasferita al Belvedere e divenne il primo nucleo dell'attuale giardino alpino. Hosta, una po' di storia Come medico imperiale ed esponente di punta della scuola botanica di Vienna, Host era in contatto con molti colleghi in patria e all'estero. Tra i suoi corrispondenti ed amici troviamo anche Leopold Trattinick che 1812 volle onorarlo ribattezzando Hosta plantaginea una pianta giapponese precedentemente pubblicata da Thunberg come Hemerocallys japonica. Nacque così il genere Hosta, famiglia Asparagaceae; oggi è una superstar dei giardini, ma a quel tempo solo due specie erano arrivate in Europa ed erano ancora una curiosità coltivata in pochissimi orti botanici. A rigori, il nome di Trattinick era illegittimo, perché la denominazione era già stata utilizzata da von Jacquin per un genere poi riconosciuto sinonimo di Cornutia. Nel 1817 il botanico prussiano Kurt Sprengel propose una denominazione alternativa, ribattezzando il genere Funkia, in onore del botanico bavarese Heinrich Christian Funck. Questo nome ottenne un certo successo, tanto da fornire il nome comune in varie lingue, tra cui il tedesco Funkie; venne inoltre largamente usato in campo orticolo ed è ancora presente in vecchie pubblicazioni. Tuttavia, anche la denominazione di Sprengel era altrettanto illegittima, perché preceduta da Funckia Willd. (sinonimo di Astelia). Per farla corta (vennero proposte anche altre denominazioni, che però per una ragione o per l'altra non si affermarono), la questione venne risolta solo nel 1905, quando il Congresso internazionale di botanica optò per Hosta. E così, un botanico che aveva dedicato tutta la sua vita alla ricerca e alla valorizzazione della flora nativa si è trovato associato a un genere che arriva da molto lontano, ovvero dall'Estremo oriente (Cina, Giappone, Corea, Russia sud-orientale). Il primo incontro tra i botanici europei e le Hosta avvenne in Giappone, dove queste piante sono chiamate giboshi e, oltre a crescere in natura (le isole giapponesi sono il centro di diversità del genere) sono coltivate almeno dall'ottavo secolo. Engelbert Kaempfer, che soggiornò a Deshima tra il 1690 e il 1692 come medico della Compagnia olandese orientale, descrisse e disegnò Joksan, vulgo gibbooschi Gladiolus plantagenis folio che è stata identificata come Hosta lancifolia. Quasi un secolo dopo fu la volta di Carl Peter Thunberg, che fu a Deshima tra il 1775 e il 1776 e pubblicò due specie, assegnandole al genere Hemerocallis. Tuttavia le prime specie di Hosta raggiunsero l'Europa dalla Cina. La prima fu H. plantaginea, arrivata nel Jardin des Plantes di Parigi nel 1784 grazie ai semi inviati dal console francese a Macao. I semi germinarono e nel 1788 Lamarck descrisse la pianta come Hemerocallis plantaginea. La seconda specie arrivò a Londra nel 1790 e qualche anno dopo fu descritta da Salisbury come Bryocles ventricosa. Ma il personaggio più importante per l'introduzione delle Hosta in Europa fu senza dubbio Philipp Franz von Siebold, anche lui medico a Deshima per la Compagnia olandese delle Indie tra il 1823 e il 1828. Al suo ritorno in Europa ne portò con sé diversi esemplari, aprendo anche un proprio vivaio a Leida; più tardi, quando poté ritornare in Giappone, ne importò altri ancora; grazie a lui, il numero di specie o cultivar coltivate in Europa passò di colpo da due a una ventina. Non a caso, due tra le specie più note portano il suo nome: H. sieboldiana e H. sieboldii. Dall'Europa le Hosta raggiunsero anche gli Stati Uniti; tuttavia negli anni '70 Thomas Hogg, un vivaista che lavorava in Giappone per il governo statunitense, aprì un canale di importazione diretto. Le Hosta incominciarono via a via ad acquistare popolarità, ma fino alla seconda guerra mondiale le varietà disponibili erano ancora più o meno quelle note nell'Ottocento. Intorno al 1950, nei Paesi Bassi, se ne coltivavano una trentina di specie. Si era alla vigilia della grande esplosione dei nuovi ibridi e della selezione di cultivar sempre nuove, il cui numero nell'arco di mezzo secolo è cresciuto in modo esponenziale. Nel 2009 il vivaista e ibridatore americano Mark Zilis nella sua Hostapedia ha elencato 7000 tra specie, ibridi e cultivar. Ovviamente, quelle non selezionate sono ancora di più. Altre informazioni su questo genere molto amato nella scheda, dove troverete soprattutto una selezione di link per approfondire la conoscenza con il "pianeta Hosta". Nonostante la sua breve vita, la figura di William Anderson, aiuto chirurgo della Resolution nel secondo viaggio di Cook e primo chirurgo nel terzo, ha destato interesse come prototipo del tipico chirurgo della Royal Navy che univa all'abilità professionale spiccati interessi naturalistici. Benché non avesse avuto un'educazione formale come naturalista, era una sicura promessa della scienza britannica, ma anche un "giovane sensibile" ricco di acume e umanità la cui morte destò grande rimpianto tra i suoi compagni d'avventura. A ricordarlo, grazie a Robert Brown, l'Ericacea australiana Andersonia, che tuttavia presiede in condominio con due omonimi: il giardiniere William Anderson e il botanico Alexander Anderson. Soprattutto quest'ultimo è una figura di notevole interesse. Apprendistato di un giovane uomo sensibile Il 3 o il 4 agosto 1778 sulla Resolution, la nave ammiraglia del terzo viaggio di Cook, ha luogo una mesta cerimonia: di fronte all'isola di San Lorenzo nello stretto di Bering viene sepolto in mare il chirurgo William Anderson. Non aveva ancora ventotto anni. La sua morte, preceduta da una lunga malattia, non è una sorpresa per nessuno, ma lascia tutti sgomenti. Cook, di solito freddo e riservato, scrive: "Era un giovane uomo sensibile, un compagno gradevole, molto preparato nella sua professione e aveva acquisito grande conoscenza in altre scienze; se fosse piaciuto a Dio di risparmiare la sua vita sarebbe stato molto utile nel corso del viaggio". Più toccanti e accorate le parole del comandante della Discovery, Charles Clerke (poco più di un anno dopo condividerà lo stesso destino): "La sua morte è il più sventurato colpo subito dalla nostra spedizione; la sua eminente abilità di chirurgo e la sua illimitata umanità lo rendevano il più rispettabile e il più stimato membro della nostra piccola società; la perdita della sua superiore conoscenza, soprattutto rispetto alla scienza della Storia naturale, ha lasciato un vuoto nel nostro viaggio che si farà molto rimpiangere". La grandezza della perdita è sottolineata da James King, secondo ufficiale della Resolution, che era aveva studiato astronomia ad Oxford: "Le sue conoscenze toccavano tutti gli oggetti naturali; la sua applicazione era costante e regolare, e di gran lunga eccessiva per la sua salute; la dedizione con cui studiava le diverse scienze della Storia naturale e le specie umane era tale da dare un vero piacere a ogni persona per bene e ogni uomo di scienza; era la persona più libera dalle ristrettezze di un spirito limitato che io abbia mai conosciuto". Il rimpianto dei suoi compagni d'avventura è condiviso da coloro che hanno studiato questa giovane promessa della scienza britannica. Molti riconoscono in lui il prototipo di una figura tipica della Royal Navy: il chirurgo di bordo che unisce alle capacità professionali una preparazione scientifica di buon livello e dedica qualcosa di più dei ritagli di tempo alla ricerca naturalistica. Come molti chirurghi della marina britannica, William Anderson era nato in Scozia, nel 1750, e tra i sedici e i diciotto anni aveva seguito i corsi della facoltà di medicina di Edimburgo, che includevano nozioni di botanica e scienze naturali. Forse per ragioni economiche, aveva però preferito diventare chirurgo, andando a studiare alla Surgeon Hall di Londra, dove si diplomò come aiuto chirurgo e chirurgo rispettivamente nel 1768 e nel 1770. Quindi si arruolò in marina e servì successivamente come aiuto chirurgo sulla Thunder e sulla Barfleur. Nel 1771 fu scelto come aiuto chirurgo della Resolution, la nave del secondo viaggio di Cook. Al momento dell'imbarco aveva 22 anni e l'esperienza fu sicuramente importantissima per sviluppare la sua competenza scientifica, anche se, poiché il suo diario è andato perduto, dobbiamo accontentarci di notizie indirette. Forse, almeno inizialmente, poté giovarsi in qualche modo dell'addestramento dei Forster, grazie alla mediazione del primo chirurgo James Patten, uno dei pochi che avesse rapporti accettabili con loro. Ma poi subentrò la rivalità e il sospetto. I termini in cui Georg Forster parla di lui nel suo resoconto (senza nominarlo espressamente) sono velenosi: "Uno degli aiuto chirurghi, che partecipò a questa escursione, raccolse una prodigiosa quantità di nuove e curiose conchiglie nell'isola di Ballabea, e ugualmente molte nuove specie di piante di cui non avevamo visto un singolo esemplare nei distretti che avevamo visitato; ma la più malvagia e più irragionevole invidia gli insegnò a nasconderci queste scoperte sebbene fosse del tutto incapace di usarle a profitto della scienza". L'episodio si colloca verso lo fine del viaggio, in Nuova Caledonia, in un momento in cui entrambi i Forster erano malati. Tutto dimostra che, al contrario, Anderson era invece più che capace di trarre profitto dalle sue scoperte. Compilò liste di vocaboli di diverse delle isole visitate, incluso un dizionario di 28 pagine del tahitiano che fu allegato a una delle edizioni del resoconto ufficiale. Solander, che visitò la Resolution subito dopo il ritorno in Inghilterra (ma non poté incontrare Anderson), parla delle sue collezioni in termini elogiativi. Unendo le competenze mediche con gli interessi scientifici, il giovane chirurgo studiò alcuni casi di avvelenamento causati dall'ingestione di pesci tossici e ne fece oggetto di una memoria che, sotto forma di lettera al Presidente della Royal Society John Pringle, ebbe l'onore di essere pubblicata nelle Philosophical Transactions nel 1776. Il terzo viaggio di Cook Nel 1775 il Parlamento britannico istituì un premio di 20.000 sterline a chi avesse scoperto il mitico passaggio a Nord-ovest. E proprio questo fu l'obiettivo non dichiarato del terzo viaggio di Cook: quello ufficiale era riportare in patria Omai, un polinesiano di Raiatea che era stato condotto in Inghilterra sulla Adventure. Alla spedizione parteciparono di nuovo due vascelli: la vecchia Resolution, ancora comandata da Cook, e la piccola Discovery, al comando di Clerke (che era stato il secondo ufficiale della Resolution nel secondo viaggio). Cook la intendeva come una spedizione esclusivamente geografica, e non volle scienziati a bordo (secondo i maligni, dopo la convivenza con i Forster ne aveva avuto abbastanza) e scelse personalmente gli ufficiali tra i veterani che avevano partecipato ai suoi viaggi precedenti. C'erano però un pittore paesaggista, John Webber, e un astronomo, William Bayly. Come primo chirurgo, Cook volle il nostro William Anderson, che in tal modo divenne il naturalista ufficioso della spedizione: rispetto ai "gentiluomini naturalisti", in quanto chirurgo di bordo, presentava l'indubbio vantaggio di essere soggetto alla disciplina militare. Accanto a lui, Banks riuscì tuttavia a insinuare come aiutante uno dei giardinieri di Kew, David Nelson. Purtroppo, la sorte di Anderson era già segnata. Nel breve intervallo tra i due viaggi aveva servito sulla fregata Milfort, dove aveva contratto la tubercolosi. Anche Clerke si trovava nelle medesime condizioni: essendosi offerto come garante di un fratello insolvente, era finito in carcere per debiti, e qui era stato infettato. Al momento della partenza, tuttavia, entrambi sembravano ancora in buona salute. La Resolution partì per prima nel luglio 1776, mentre la Discovery poté salpare solo all'inizio di agosto. Nell'intervallo tra i due viaggi, la nave di Cook non era stata adeguatamente riparata e presto incominciò a imbarcare acqua soprattutto attraverso il ponte principale; con il mare grosso, le cuccette degli uomini venivano inondate, destando la preoccupazione del coscienzioso Anderson per la salute dei marinai. A Cape Town fu raggiunta dalla Discovery ; mentre entrambe le navi venivano ricalafatate, Anderson si unì a Nelson in alcune escursioni botaniche. Dopo aver lasciato il Sud Africa, navigando in direzione sud-est Cook scoprì le isole del Principe Edoardo, quindi, seguendo gli ordini dell'ammiragliato, prese possesso delle desolate isole Kerguelen con una cerimonia che Anderson (possediamo i suoi diari relativi alla prima parte della spedizione) trovava ridicola; in tutto l'emisfero, era difficile trovare un posto più sterile e meno interessante per un naturalista. Eppure, oltre a studiare i pinguini, proprio qui fece la sua più importante scoperta botanica: il cavolo delle Kerguelen, Pringlea antiscorbutica. La tappa successiva fu la Tasmania, dove l'interesse di Anderson sembra essere stato attratto soprattutto dagli indigeni, miti e accoglienti verso i forestieri; tuttavia egli osservò anche le piante, in particolare gli onnipresenti eucalipti. Il viaggio proseguì per il Queen Charlotte Sound in Nuova Zelanda, quindi toccò le isole Cook (a Atiu gli indigeni sequestrarono le piante che Anderson aveva appena raccolto, ma il chirurgo fu tutto sommato divertito dalla possibilità di osservare dal vivo l'uomo allo stato di natura) e le Tonga. Anderson descrive con ammirazione i pesci che popolano la barriera corallina, osserva con occhio clinico le malattie che affliggono gli indigeni (compresa la sifilide, importata dai viaggiatori europei), esprime qualche critica - ma sempre nel rispetto delle gerarchie - sulle punizioni a suo parere sproporzionate inflitte agli indigeni. Intanto, gli effetti della malattia avevano cominciato a manifestarsi sia per Anderson sia per Clerke. A Anderson era chiaro che proseguire il viaggio e affrontare i gelidi mari del Pacifico settentrionale sarebbe stato fatale ad entrambi. A Tahiti, dove arrivarono il 12 agosto 1777 e si fermarono fino all'inizio di dicembre, i due decisero di dare le dimissioni e di chiedere di essere lasciati a terra, affidati alle cure degli indigeni. Tuttavia, il senso del dovere, la lealtà verso i compagni, l'incertezza della reazione di Cook, li fecero esitare e rimandare la comunicazione, finché fu troppo tardi; lasciata Tahiti, dopo aver toccato le Isole della Società, nella loro rotta verso la costa americana le navi si addentrarono infatti in acque inesplorate. La salute di Anderson incominciò a declinare. Il 21 dicembre accompagnò ancora Cook in una passeggiata di discreta lunghezza a Kauai, la prima isola delle Hawaii toccata dalla spedizione. Tuttavia, il 10 gennaio, giorno in cui le navi raggiunsero l'isola di Hawaii, l'astronomo Bayly annotò sul suo diario che tutto l'equipaggio era in buona salute "eccetto il chirurgo Mr. Anderson che è molto malato in stato di consunzione". Fu solo la forza della volontà a permettergli di continuare le osservazioni linguistiche ed etnografiche e forse anche le raccolte naturalistiche (non possediamo il suo diario dopo Tahiti). Dopo aver lasciato le Hawaii all'inizio di febbraio, le navi si diressero a nord, toccando terra il 6 marzo presso Capo Foulweather nell'attuale Oregon. Proseguendo verso nord, si ancorarono nella baia di Nootka, dove trascorsero circa un mese, dal 29 marzo al 26 aprile 1778. Quindi iniziarono ad esplorare e a mappare la costa, proseguendo fino allo stretto di Bering, nella speranza di individuare il passaggio a Nord-ovest. A maggio gettarono l'ancora nell'attuale Prince William Sound in Alaska e Anderson mise piede a terra forse per l'ultima volta, arrampicandosi con Cook su una collina. Fino alla morte, avvenuta tra le 3 e le 4 del pomeriggio del 3 agosto di fronte all'isola di San Lorenzo, non abbiamo altre notizie su di lui. Se fosse vissuto, oltre ad arricchire il risultati scientifici dello sventurato terzo viaggio di Cook, sarebbe sicuramente diventato qualcosa di più di una promessa della scienza britannica; probabilmente sarebbe stato ammesso alla Royal Society e sarebbe diventato uno degli uomini di Banks, al quale legò le sue collezioni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. Ancora qualche riga per concludere il racconto. Ovviamente, Cook non trovò il passaggio a nord-ovest (sarà conquistato solo nel 1906 dal celebre esploratore polare Roald Amundsen) e divenne sempre più esasperato e intrattabile. Quindi ritornò alle Hawaii dove, come tutti sanno, il 14 febbraio 1779 trovò la morte. Clerke, che si era apparentemente un poco ripreso, assunse il comando della Resolution, mentre sulla Discovery gli subentrava John Gore, e riprese la ricerca del passaggio a nord-ovest. Ridotto a uno scheletro dalla tubercolosi, si spense in mare il 22 agosto 1779 (era il giorno del suo trentottesimo compleanno) e fu sepolto a Petropavlovsk in Kamčatka. Dopo diverse altre vicissitudini, una delle spedizioni più disastrose della storia della Royal Navy si concluse il 4 ottobre 1780 con il rientro in patria delle due navi. La stesura del resoconto ufficiale fu affidato al canonico John Douglas che per integrare il diario di Cook utilizzò ampiamente il diario del nostro William Anderson. Un genere per tre I materiali raccolti da Anderson rimasero inediti nella biblioteca di Banks, finché Robert Brown molti anni dopo li esaminò mentre preparava il suo importante lavoro sulla flora australiana. Oramai avevano perso ogni carattere di novità, ma Brown volle rendere omaggio allo sfortunato chirurgo dedicandogli il genere Andersonia, con una interessante nota biografica: "L'ho denominato in memoria di William Anderson, chirurgo navale, che partecipò a due spedizioni di Cook e morì durante l'ultima; si dedicò quanto più poteva all'osservazione di uomini e animali e non trascurò la botanica. Nella biblioteca di Banks e nel suo catalogo rimangono diverse sue descrizioni di piante, soprattutto dell'isola di Demen [cioè la Tasmania]; tra di essi non ho trovato alcun genere inedito, ovvero Goodenia Sm., Corraea Sm., Bauera (Ms. Ramsay) e Eucalyptum L.Hérit." Brown tuttavia approfittò dell'occasione per ricordare altri due Anderson: "Alexander Anderson, prefetto dell'orto botanico dell'isola di Saint Vincent, e William Anderson, giardiniere abilissimo, solertissimo coltivatore e acuto osservatore di piante esotiche". Al momento della dedica erano entrambi viventi e sicuramente più noti dello sfortunato chirurgo di Cook. Alexander Anderson (1748-1811) era nato ad Aberdeen e aveva studiato all'università di Edimburgo senza completare gli studi, quindi si era trasferito a Londra dove aveva lavorato per qualche tempo al Chelsea Physic Garden sotto il suo conterraneo William Forsyth. Nel 1774 si spostò a New York, dove lavorò come giardiniere e spedì a Forsyth alcuni esemplari di piante raccolte a Long Island e York Island (oggi Manhattan). Fedele all'Inghilterra, durante la guerra di Indipendenza per sottrarsi all'arruolamento si trasferì prima in Suriname poi nelle Antille britanniche. Nel 1783 si trovava all'Ospedale militare di Saint Lucia come aiutante di George Young, che gli chiese di cercare piante medicinali locali, tra cui un antimalarico che si pensava potesse sostituire la china; tuttavia la pianta, conosciuta come Cinchona sanctaeluciae, benché amara, non contiene gli alcaloidi presenti nel genere Cinchona ed è stata trasferita nel genere Exostema quindi in Solenandra, come S. sanctaeluciae. Nel 1784, quando il dottor Young poté tornare a Saint Vincent (per qualche anno occupata dai francesi), lo accompagnò, quindi gli succedette come prefetto del giardino botanico dell'isola, specializzato nella coltivazione di piante tropicali. Era anche un attivo raccoglitore, in corrispondenza con Banks, su sollecitazione del quale nel 1785 redasse un catalogo delle piante coltivate nell'orto, nel quale elenca 348 piante diverse, soprattutto medicinali o di interesse commerciale. Intorno al 1800 ne compilò una seconda edizione, che contiene circa 2000 specie, dandoci la misura del grande lavoro compiuto da Anderson per ampliare le collezioni dell'orto, sia grazie alle raccolte sul campo, sia grazie alla rete di corrispondenti. Anderson fece raccolte non solo a St Vincent, ma anche nelle piccole Antille, nell'entroterra costiero del Messico caraibico, a Trinidad e Tobago e nelle Guiane. Ricevette molte piante da capitani di marina e da numerosi corrispondenti, risiedenti nelle tredici colonie e nelle Antille francesi. Fu così che grazie a lui numerose piante caraibiche furono introdotte in Europa. Ma l'orto botanico di Saint Vincent divenne anche un centro di diffusione delle piante tropicali che, attraverso Kew, giungevano da altre parti del mondo. La più famosa è l'albero del pane Artocarous altilis, che arrivò a Saint Vincent da Tahiti nel 1793; Anderson la moltiplicò e provvide a distribuirla nelle altre isole delle Antille britanniche. Egli fu anche un prolifico autore di contributi che inviava alla Royal Society e alla Linnean Society. Progettò inoltre di scrivere una Flora dei Caraibi, di cui rimangono solo poche pagine manoscritte inviate a Banks. Purtroppo non pubblicò nessuna delle almeno 100 piante caraibiche che aveva raccolto e il suo nome è ricordato appunto solo dalla dedica collettiva di Andersonia R. Br. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Veniamo infine al secondo William Anderson (1766-1846); anche lui era scozzese e dopo aver lavorato come giardiniere in alcuni vivai nei pressi di Edimburgo, negli anni '90 si trasferì a Londra dove divenne il giardiniere capo del facoltoso mercante James Vere, che a Kengsinton Gore possedeva una notevolissima collezione di piante tropicali, in particolare succulente. Gli è stato persino dedicato il genere Veraea / Vereia, oggi sinonimo di Kalanchoe. William Anderson si fece un nome come esperto di succulente e nel 1798 fu ammesso alla Linnean Society. Nel 1814 venne nominato sovrintendente del Chelsea Physical Garden che in quegli anni aveva perso molto del passato smalto. Anderson ne seppe risollevare le sorti; contribuì anche attivamente con numerosi articoli al Gardeners Magazine e alle Transactions della Horticultural Society. Anche su di lui, una nota biografica nella sezione biografie. Andersonia, viva la varietà! Andersonia R.Br. è un piccolo genere endemico dell'Australia sudoccidentale, della famiglia Ericaceae (precedentemente Epacridaceae). Brown lo stabilì sulla base di cinque specie che egli stesso aveva raccolto lungo il King George's Sound e di una specie raccolta a Lucky Bay. Oggi comprende una trentina di specie di arbusti che vivono soprattutto nelle boscaglie di ericacee, con alcune specie tipiche di habitat più sabbiosi o rocciosi. Anche se alcune specie sono di dimensioni maggiori, la maggior parte sono piccoli arbusti che non superano il metro, mentre le specie di ambienti rocciosi sono nane a cuscino. Una differenza legata ai diversi habitat, che vanno dalle zone con precipitazioni abbondanti a quelle semiaride. Sempreverdi, hanno foglie da piccole a minute, spesso aghiformi, alternate o disposte a spirale. I fiori possono essere solitari ma più spesso sono aggregati in infiorescenze terminali, con i fiori sotteso da una serie di brattee o bratteole. Il calice con cinque sepali o polisepalo è persistente e in genere eccede la corolla tubolare; bianco, rosa, viola o azzurro, spesso è più decorativo della corolla. Anche quest'ultima, tubolare o a urna, con lobi ricurvi o retroflessi, è piuttosto varia. Il gigante del genere è A. axillaris, un grande arbusto che può superare i tre metri. Presente solo sulle pendici superiori e sulle sommità delle cime occidentali del Stirling Range National Park, dove vive in suoli rocciosi in associazione a fitte boscaglie di ericacee, è una pianta ormai rara oggetto di progetti di reintroduzione. Tra le più piccole e più comuni, troviamo invece A. macranthera, una specie non più alta di mezzo metro che vive nelle pianure sabbiose dalla costa sud-occidentale, con minuscole foglie aghiformi e deliziosi piccoli fiori con sepali e corolla rosa-porpora. Altre specie sono ancora più decorative. A. grandiflora, una minuscola specie a cuscino presente in poche aree con suolo roccioso e sabbioso dei dintorni di Albany, ostenta sorprendenti fiori con calice bruno e corolla rosso-aranciato. Ma forse la più singolare è A. caerulea, una specie piuttosto diffusa, con portamento tappezzante o decombente; al momento della fioritura, produce fitte infiorescenze a spiga di fiori bicolori, con calice rosa-violaceo e corolla azzurra, da cui emerge un ciuffo di stami candidi. Altre informazioni nella scheda. Curioso destino, quello di Johann Reinhold Forster e di suo figlio Georg. Oggi il primo è considerato uno dei filosofi naturali più interessanti dell'ultimo Settecento, e il secondo uno dei padri dell'etnologia. Eppure, al loro tempo, l'uno e l'altro sono stati ostracizzati per motivi diversi. A rovinare la fama di Johann Reinhold è stato il suo pessimo carattere, che lo ha fatto definire da uno dei biografi di Cook un "incubo"; la reputazione di Georg è stata invece compromessa dall'entusiastica adesione alla rivoluzione francese, che gli è costata la condanna come traditore della patria, l'esilio, la morte precoce e il lungo oblio della sua opera scientifica. Entrambi parteciparono alla seconda spedizione di Cook, il padre come naturalista ufficiale, il secondo soprattutto come disegnatore e, al di là delle polemiche, si dimostrarono naturalisti solerti e capaci. A ricordarli nella terminologia botanica un genere di piante minuscole endemiche della Nuova Zelanda e della Tasmania, Forstera. A raccogliere il primo esemplare nei pressi di Cascade Cove fu Anders Sparmman che volle dedicarla al "mio compagno botanico" Georg Forster. Prima del viaggio: un erudito tedesco Anche ai suoi tempi, nessuno dubitava che Johann Reinhold Forster, il naturalista ufficiale della seconda spedizione Cook, fosse un uomo coltissimo e di grande competenza scientifica. Eppure la convivenza con Cook fu così disastrosa che, dopo quell'esperienza, il navigatore decise di non volere più alcun naturalista a bordo. Il giudizio del biografo di Cook J.C. Beaglehole è senza appello: "Niente può renderlo diverso da uno dei peggiori errori dell'ammiragliato. Dall'inizio alla fine del viaggio, e anche successivamente, fu un incubo. Si esita a descriverne le caratteristiche, nel timore che il ritratto passi per una caricatura. Dogmatico, privo di umorismo, sospettoso, pretenzioso, polemico, censorio, esigente, afflitto dai reumatismi: era un problema sotto qualsiasi punto di vista". Molto diversa è l'immagine che ne dà il biografo di Forster Michael E. Hoare, che ha anche curato la monumentale edizione del suo diario del viaggio della Resolution. Secondo Hoare, egli è stato uno dei grandi geni universali dell'ultimo Settecento e l'oblio che è caduto sulla sua figura è una grande perdita per l'antropologia, la linguistica, la geografia e la zoologia del Pacifico. Le incomprensioni e lo scontro con Cook, più che al celebre cattivo carattere dello studioso tedesco, sarebbero dovuti allo incontro impossibile tra due mondi e due visioni della vita: da una parte, un marinaio e un uomo d'arme, dall'altra un filosofo, anzi un "filosofo senza tatto", come lo ha battezzato lo stesso Hoare. Proviamo dunque a raccontarlo, questo personaggio impossibile. E con lui suo figlio Georg, allievo, compagno di viaggio, ragazzo prodigio da esibire, in una relazione padre-figlio che ricorda per molti aspetti quella tra Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart. Johann Reinhold Forster, discendente da una famiglia di origine scozzese emigrata in Germania, nacque all'estrema periferia del mondo tedesco, a Dirschau, nei pressi di Danzica. Dopo aver studiato teologia, lingue classiche e orientali all'Università di Halle, divenne pastore della chiesa luterana di Nassenhuben, un altro villaggio della Pomerania prussiana. Gli aneddoti riferiscono di un pastore riluttante: aveva speso gran parte dell'eredità paterna in libri, e tutto il suo tempo era dedicato allo studio; a preparare i sermoni dedicava solo qualche minuto e durante il servizio spesso era così stanco da cadere addormentato. Intanto si era sposato con una cugina, da cui ebbe ben otto figli. Durante la Guerra dei sette anni (1756-63), quando la sua parrocchia fu ripetutamente occupata dalle truppe russe, conquistò però la stima dei suoi parrocchiani difendendo con energia i loro interessi e le loro proprietà dalla rapacità degli occupanti. Insoddisfatto della sua posizione, fece sapere al residente russo a Danzica che era disposto a trasferirsi in Russia come pastore. Fu forse in seguito a questa richiesta che nel 1764 Caterina II lo incaricò di ispezionare gli insediamenti tedeschi lungo il corso del Volga, per dissipare le voci negative sulle condizioni di vita dei coloni. Lasciando il resto della famiglia a Nassenhuben, Forster partì per la Russia con il figlio maggiore Georg, all'epoca un bambino di dieci anni. Un bambino molto speciale: così appassionato di scienze naturali che il padre, per soddisfare la sua curiosità, acquistò le opere di Linneo e incominciò a studiare zoologia e botanica insieme a lui. Forster prese molto sul serio l'incarico, e ne approfittò per studiare la meteorologia e la storia naturale della regione. La zarina contava su una relazione edulcorata, invece Johann Reinhold presentò un rapporto fortemente critico; di conseguenza gli fu negato il salario promesso. Dopo qualche mese passato a San Pietroburgo cercando inutilmente di essere pagato (Georg ne approfittò per imparare decentemente il russo), quando tornò in patria scoprì che a causa della prolungata assenza era stato privato della parrocchia. Forster decise di andare a cercare fortuna in Inghilterra, forse anche per evitare ritorsioni da parte delle autorità russe. Lasciando nuovamente il resto della famiglia in Pomerania, nell'autunno del 1766 si trasferì a Londra con il piccolo Georg. Non riuscì a trovare impiego al neonato British Museum come aveva sperato, ma nella primavera del 1767 fu assunto come insegnante di lingue moderne e scienze naturali alla Warrington Academy, una scuola non conformista con un curriculum innovativo. L'incarico durò poco: non per la scarsa qualità dell'insegnamento (Hoare, che ha studiato i materiali delle lezioni, ne sottolinea la profondità e l'alto livello) ma per il "caratteraccio" di Forster, accusato di aver inflitto "misure disciplinari violente" a uno studente; senza contare i debiti contratti con molti fornitori. Dopo aver insegnato lingue per un altro anno in una Grammar School della stessa località, Forster tornò a Londra, dove si mantenne con traduzioni sue e del figlio, specializzandosi nei racconti di viaggio: tradusse tra l'altro in inglese le relazioni degli allievi di Linneo Kalm, Loefling e Osbeck e il Viaggio intorno al mondo di Bougainville. Inoltre era redattore di una rivista specializzata in letteratura internazionale. Presentando diversi lavori su svariati soggetti alla Società degli Antiquari e alla Royal Society riuscì a farsi una solida reputazione come naturalista; inoltre era in corrispondenza con molti scienziati in Inghilterra e all'estero, incluso Linneo. Nel 1771 pubblicò A Catalogue of the Animals of North America, accreditandosi come zoologo. Lo stesso anno fu ammesso alla Royal Society. Così, quando praticamente da un giorno all'altro Banks e Solander rinunciarono a partire per il secondo viaggio di Cook, Forster sembrò indiscutibilmente il candidato ideale. Tanto più che l'avrebbe accompagnato suo figlio, un disegnatore di talento, "senz'altro molto utile in questa parte della faccenda", come scrisse il lord dell'Ammiragliato, lord Sandwich. Per tagliar corto con la burocrazia, il re autorizzò il pagamento di una discreta somma per l'acquisto delle attrezzature e in dieci giorni i Forster erano pronti a partire. Prima del viaggio: un erudito tedesco Anche ai suoi tempi, nessuno dubitava che Johann Reinhold Forster, il naturalista ufficiale della seconda spedizione Cook, fosse un uomo coltissimo e di grande competenza scientifica. Eppure la convivenza con Cook fu così disastrosa che, dopo quell'esperienza, il navigatore decise di non volere più alcun naturalista a bordo. Il giudizio del biografo di Cook J.C. Beaglehole è senza appello: "Niente può renderlo diverso da uno dei peggiori errori dell'ammiragliato. Dall'inizio alla fine del viaggio, e anche successivamente, fu un incubo. Si esita a descriverne le caratteristiche, nel timore che il ritratto passi per una caricatura. Dogmatico, privo di umorismo, sospettoso, pretenzioso, polemico, censorio, esigente, afflitto dai reumatismi: era un problema sotto qualsiasi punto di vista". Molto diversa è l'immagine che ne dà il biografo di Forster Michael E. Hoare, che ha anche curato la monumentale edizione del suo diario del viaggio della Resolution. Secondo Hoare, egli è stato uno dei grandi geni universali dell'ultimo Settecento e l'oblio che è caduto sulla sua figura è una grande perdita per l'antropologia, la linguistica, la geografia e la zoologia del Pacifico. Le incomprensioni e lo scontro con Cook, più che al celebre cattivo carattere dello studioso tedesco, sarebbero dovuti allo incontro impossibile tra due mondi e due visioni della vita: da una parte, un marinaio e un uomo d'arme, dall'altra un filosofo, anzi un "filosofo senza tatto", come lo ha battezzato lo stesso Hoare. Proviamo dunque a raccontarlo, questo personaggio impossibile. E con lui suo figlio Georg, allievo, compagno di viaggio, ragazzo prodigio da esibire, in una relazione padre-figlio che ricorda per molti aspetti quella tra Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart. Johann Reinhold Forster, discendente da una famiglia di origine scozzese emigrata in Germania, nacque all'estrema periferia del mondo tedesco, a Dirschau, nei pressi di Danzica. Dopo aver studiato teologia, lingue classiche e orientali all'Università di Halle, divenne pastore della chiesa luterana di Nassenhuben, un altro villaggio della Pomerania prussiana. Gli aneddoti riferiscono di un pastore riluttante: aveva speso gran parte dell'eredità paterna in libri, e tutto il suo tempo era dedicato allo studio; a preparare i sermoni dedicava solo qualche minuto e durante il servizio spesso era così stanco da cadere addormentato. Intanto si era sposato con una cugina, da cui ebbe ben otto figli. Durante la Guerra dei sette anni (1756-63), quando la sua parrocchia fu ripetutamente occupata dalle truppe russe, conquistò però la stima dei suoi parrocchiani difendendo con energia i loro interessi e le loro proprietà dalla rapacità degli occupanti. Insoddisfatto della sua posizione, fece sapere al residente russo a Danzica che era disposto a trasferirsi in Russia come pastore. Fu forse in seguito a questa richiesta che nel 1764 Caterina II lo incaricò di ispezionare gli insediamenti tedeschi lungo il corso del Volga, per dissipare le voci negative sulle condizioni di vita dei coloni. Lasciando il resto della famiglia a Nassenhuben, Forster partì per la Russia con il figlio maggiore Georg, all'epoca un bambino di dieci anni. Un bambino molto speciale: così appassionato di scienze naturali che il padre, per soddisfare la sua curiosità, acquistò le opere di Linneo e incominciò a studiare zoologia e botanica insieme a lui. Forster prese molto sul serio l'incarico, e ne approfittò per studiare la meteorologia e la storia naturale della regione. La zarina contava su una relazione edulcorata, invece Johann Reinhold presentò un rapporto fortemente critico; di conseguenza gli fu negato il salario promesso. Dopo qualche mese passato a San Pietroburgo cercando inutilmente di essere pagato (Georg ne approfittò per imparare decentemente il russo), quando tornò in patria scoprì che a causa della prolungata assenza era stato privato della parrocchia. Forster decise di andare a cercare fortuna in Inghilterra, forse anche per evitare ritorsioni da parte delle autorità russe. Lasciando nuovamente il resto della famiglia in Pomerania, nell'autunno del 1766 si trasferì a Londra con il piccolo Georg. Non riuscì a trovare impiego al neonato British Museum come aveva sperato, ma nella primavera del 1767 fu assunto come insegnante di lingue moderne e scienze naturali alla Warrington Academy, una scuola non conformista con un curriculum innovativo. L'incarico durò poco: non per la scarsa qualità dell'insegnamento (Hoare, che ha studiato i materiali delle lezioni, ne sottolinea la profondità e l'alto livello) ma per il "caratteraccio" di Forster, accusato di aver inflitto "misure disciplinari violente" a uno studente; senza contare i debiti contratti con molti fornitori. Dopo aver insegnato lingue per un altro anno in una Grammar School della stessa località, Forster tornò a Londra, dove si mantenne con traduzioni sue e del figlio, specializzandosi nei racconti di viaggio: tradusse tra l'altro in inglese le relazioni degli allievi di Linneo Kalm, Loefling e Osbeck e il Viaggio intorno al mondo di Bougainville. Inoltre era redattore di una rivista specializzata in letteratura internazionale. Presentando diversi lavori su svariati soggetti alla Società degli Antiquari e alla Royal Society riuscì a farsi una solida reputazione come naturalista; inoltre era in corrispondenza con molti scienziati in Inghilterra e all'estero, incluso Linneo. Nel 1771 pubblicò A Catalogue of the Animals of North America, accreditandosi come zoologo. Lo stesso anno fu ammesso alla Royal Society. Così, quando praticamente da un giorno all'altro Banks e Solander rinunciarono a partire per il secondo viaggio di Cook, Forster sembrò indiscutibilmente il candidato ideale. Tanto più che l'avrebbe accompagnato suo figlio, un disegnatore di talento, "senz'altro molto utile in questa parte della faccenda", come scrisse il lord dell'Ammiragliato, lord Sandwich. Per tagliar corto con la burocrazia, il re autorizzò il pagamento di una discreta somma per l'acquisto delle attrezzature e in dieci giorni i Forster erano pronti a partire. Seconda parte: Nuova Zelanda-Spithead A giugno le due navi ripartono verso nord per esplorare il Pacifico centrale. Il 15 agosto raggiungono Tahiti, che impressiona fortemente Georg, forse influenzando le sue future idee politiche. Johann Reinhold, che è di cattivo umore per essere stato ferito durante una manovra, lamenta che ancora una volta sono arrivati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Dopo una breve sosta, il viaggio riprende attraverso le isole della Società. Qui, all'inizio di settembre, nell'isola di Raiatea, avviene la rottura tra Cook e Forster. Durante un'escursione a terra, vedendo che un indigeno cerca di impadronirsi del moschetto di suo figlio, Forster padre spara e lo ferisce. Un incidente che potrebbe costare molto caro, come ben sa il comandante, che rimprovera aspramente il naturalista; i due si scambiano male parole, finché Cook lo spinge fuori dalla sua cabina con violenza. Tre giorni dopo si rappacificano e si stringono la mano, ma qualcosa si è rotto per sempre. Da quel momento, agli occhi di Forster Cook è l'uomo egoista che non ha alcun interesse per la scienza e pensa solo alla sua gloria personale. Per il comandante, Forster è sempre più una mina vagante che, oltre a rendere irrespirabile l'atmosfera a bordo, può causare devastanti conflitti con gli indigeni. Il viaggio continua. A ottobre vistano alcune isole delle Tonga. Qui non ci sono molte nuove piante, ma in compenso ad attrarre entrambi i Foster sono i costumi degli abitanti delle isole, la loro musica, le loro lingue, che Georg studia e mette a confronto. Quindi tornano a sud; nuovamente una tempesta separa le due navi, che non si congiungeranno mai più. Il 3 novembre la Resolution è di nuovo nel Queen Charlotte Sound. Rispetto alla prima visita, ci sono molte più fioriture. Tra le piante in fiore c'è Phormium tenax (oggi forse la pianta più nota della Nuova Zelanda) e diverse orchidee, tra cui Thelymitra longifolia. In tutto le specie raccolte sono una trentina, ma Johann Reinhold è deluso perché si aspettava di trovare più animali. Dopo tre settimane di attesa, Cook si convince che l'Adventure sia naufragata durante la tempesta e decide di ripartire. In realtà, Furneaux ha raggiunto anch'esso la Nuova Zelanda in un altro punto, ma, avendo perso diversi uomini in seguito a un attacco maori e essendo a corto di provviste, ha deciso di rientrare in Inghilterra. Come l'estate precedente, anche quella del 1773-4 è dedicata all'esplorazione delle regioni antartiche. La Resolution riprende a percorrere e ripercorrere quei mari gelidi. Il 30 gennaio 1774 incontra un immenso campo di ghiaccio; Cook sospetta si estenda fino al Polo. Ci troviamo a 71° 10' di latitudine sud, il punto più meridionale mai toccato da una nave prima di allora. Forster soffre atrocemente di reumatismi, e ancora più lo angustia la sua personale ossessione: "Ci siamo affaticati per diciotto mesi, ma non abbiamo visto nulla che non sia già stato visto prima. Da parte mia credo che le poche piante e i pochi animali che abbiamo potuto incontrare durante le nostre brevi soste sono probabilmente già state osservate da Mr. Banks e dal dr. Solander". E' ora di tornare in acque più calde. La Resolution ora punta a nord e completa il periplo del Pacifico. Dopo quasi cinque mesi passati ininterrottamente in mare, il primo scalo, a marzo, è l'isola di Pasqua. Quindi si fa rotta per le Marchesi, Tahiti e nuovamente Raiatea. Durante il secondo soggiorno a Tahiti, nella speranza di trovare almeno qualche pianta che sia sfuggita a Banks e Solander, Forster padre scala le colline che coronano Matavai Bay accompagnato da un ragazzo del posto; il cammino è insidioso; sotto la pioggia cade e si procura una lussazione che lo farà zoppicare per anni. L'unica consolazione è aver trovato otto piante che molto probabilmente Banks e Solander non hanno mai visto. Cook esplora e cartografa le isole che portano il suo nome. A Niue (che di conseguenza Cook ribattezzerà isola selvaggia), Sparmann e Georg non fanno in tempo a sbarcare che vengono accolti da una sassaiola. Nelle isole Tonga, Cook proibisce ai naturalisti di scendere a terra, suscitando le prevedibili proteste di Forster. A Tanna, nelle Vanuatu, il naturalista mette le mani addosso a un indigeno che secondo lui voleva imbrogliarlo; dopo aver cercato inutilmente di fermarlo, il secondo ufficiale Charles Clerk ordina a una sentinella di sparargli se non la smette. Forster reagisce mettendo mano alla pistola. Tutti e due vanno a protestare da Cook, che sembra non credere né all'uno né all'altro. E' poi la volta di Vatoa, l'unica isola delle Fiji visitata, e delle Nuove Ebridi, sempre con soste ridotte al minimo che rendono furioso Forster: "Il denaro pubblico è andato sprecato e la mia missione, che consiste nel raccogliere nuove piante, di cui queste isole sono piene, è stata resa del tutto inutile. Che senso ha vedere due o tre isole in più? senza conoscere di quell'isola i prodotti, la natura del suolo, la disposizione degli abitanti, tutto ciò che non può essere imparato osservandola dal largo". Mai il contrasto di obiettivi tra marinai-geografi e naturalisti è stato espresso in modo più netto. Eppure le scoperte geografiche sono eccezionali: prima di tornare per la terza volta in Nuova Zelanda, Cook scopre la Nuova Caledonia e l'isola Norfolk. Il 19 ottobre, getta nuovamente l'ancora nel Queen Charlotte Sound. E' di nuovo una sosta di tre settimane, durante la quale Sparrman e i Forster raccolgono qualche pianta, ma senza entusiasmo: lo scalo è sempre quello, non c'è molto di nuovo da scoprire. L'11 novembre si riparte, questa volta per tornare a casa. Tenendosi approssimativamente a 50° di latitudine, la Resolution attraversa il Pacifico in direzione est e il 18 dicembre raggiunge il Sud America. Natale sarà festeggiato nella Terra del Fuoco. Il 21 marzo 1775 sono a Cape Town, dove Sparrman si separa dagli amici e la Resolution viene rimessa in sesto per affrontare l'ultimo tratto. Il 30 luglio 1775, poco più di tre anni dalla partenza, getta l'ancora a Spithead, in Inghilterra. Dal punto di vista geografico e oceanografico, è una delle spedizioni più importanti di tutti i tempi, con buona pace dell'inquieto Forster. Che, tuttavia, può vantare la raccolta di 260 nuove piante e circa 200 nuovi animali; l'erbario conta migliaia di esemplari di 785 diverse specie, di cui 119 della Nuova Zelanda, la zona dove sono state fatte le raccolte più cospicue. Molto notevole è anche la raccolta di oggetti e manufatti etnografici. Dopo il viaggio: altri guai Gli scontri non sono finiti. Forse in base ad accordi orali con l'ammiragliato, Forster è convinto che gli sarà affidata la redazione del resoconto ufficiale della spedizione, un incarico che invece Cook rivendica per sé. Lord Sandwich tenta un compromesso: Cook scriverà la parte relativa alla navigazione e alle scoperte geografiche, Forster quella naturalistica; i ricavi verranno divisi a metà. Sembra funzionare: Forster prepara un capitolo di prova e lo presenta a Sandwich, che, insoddisfatto della forma linguistica, lo restituisce con molte correzioni e propone di affidare la revisione a un curatore madrelingua. Apriti cielo! Forster lo vive come un oltraggio, un tentativo mascherato di censura. Si impunta e non ascolta ragioni, finché lord Sandwich affida la redazione del resoconto al solo Cook. Forster, che sperava anche in un buon riscontro finanziario (come sempre, è pieno di debiti), cerca di batterlo sul tempo. Suo figlio Georg, che non ha alcun impegno formale con l'Ammiragliato, scriverà a tempo di record la sua versione, utilizzando i diari propri e del padre. E così nel marzo 1777 esce A voyage around the World di Georg Forster, anticipando di sei settimane lo scritto di Cook. E' uno sgarbo istituzionale: in Inghilterra molti pensano che il vero autore sia Johann Reinhold. E, oltre tutto, vende pochissimo: per tirare avanti, i Forster sono costretti a vendere parte della collezione etnografica e, quel che è peggio, i disegni di Georg. A aggiudicarseli è Banks, che sta diventando sempre più la bestia nera dei due naturalisti tedeschi. Georg incomincia a lavorare all'edizione tedesca, Reise um die Welt (1778-80), che, al contrario della controversa versione inglese, avrà un'accoglienza trionfale. Con la sua prosa non solo scientificamente accurata, ma anche vivace, coinvolgente, di facile lettura, è considerato un caposaldo della letteratura di viaggio, che ha grandemente influenzato la letteratura tedesca. Particolarmente importante la parte etnografica, che fa di Georg un precursore dell'etnografia e una delle fonti più importanti sulle lingue, le religioni, la musica, i costumi e l'economia dei popoli polinesiani. In Germania, di colpo, i Forster diventano eroi nazionali. Nel gennaio 1777 Georg, che adesso ha ventitré anni, viene ammesso alla Royal Society. Quindi va in Germania, nella speranza di trovare una sistemazione accademica per il padre; la situazione finanziaria di quest'ultimo è infatti sempre più compromessa, tanto che rischia il carcere per debiti. Con sorpresa, Georg scopre che il prestigioso Collegium Carolinum di Kassel preferisce assegnare la cattedra di storia naturale a lui anziché al padre. Allora va a Berlino a perorare la causa paterna; grazie all'interessamento dello stesso Federico II, infine Johann Reinhold viene nominato professore di storia naturale e ricerca mineraria presso la sua alma mater, l'Università di Halle. Il duca di Brunswick si offre graziosamente di estinguere i suoi debiti. Dopo tante inquietudini, la vita di Johann Reinhold sfocia in una tranquilla carriera accademica: insegnerà ad Halle per vent'anni (1779-1798), diventerà un riconosciuto membro dell'establishment universitario, verrà ammesso a molte accademie in giro per l'Europa. Ma non riuscirà a finire o a vedere pubblicate le varie opere che aveva progettato. La più importante, Descriptiones animalium, uscirà solo nel 1844, molti anni dopo la sua morte. La vita di Georg fu più movimentata e più tragica. In corrispondenza con molti intellettuali del tempo, divenne una figura di punta dell'illuminismo tedesco. Insieme a Georg Christoph Lichtenberg, che insegnava a Gottinga, fondò e pubblicò la rivista letteraria Göttingisches Magazin der Wissenschaften und Litteratur. Innamoratosi di Therese Heyne, che sarebbe divenuta una delle prime scrittrici tedesche, nel 1784 per poterla sposare accettò di trasferirsi all'Università di Vilnius, sempre come professore di scienze naturali. L'anno successivo si laureò in medicina a Halle, con una tesi sulle piante del Pacifico meridionale. L'ambiente di Vilnius lo lasciava insoddisfatto, e nel 1787 ruppe il contratto, nella speranza di partecipare a una spedizione russa intorno al mondo, che tuttavia venne annullata. Si trasferì quindi a Magonza come capo bibliotecario dell'Università. Nel frattempo aveva continuato a scrivere di argomenti diversi, anche se la cronica mancanza di denaro l'aveva spesso costretto a privilegiare brevi lavori occasionali e traduzioni. Tra gli allievi di suo suocero Christian Gottlob Heyne a Gottinga c'era anche il ventenne Alexander von Humboldt che ammirava molto Reise um die Welt (anni dopo confesserà che fu proprio questa lettura a fargli scoprire la sua vocazione di naturalista-viaggiatore); il giovane strinse amicizia con Forster e nel 1790 i due viaggiarono insieme in Renania, quindi visitarono Bruxelles, L'Aia, Amsterdam, Londra, Parigi. Forster raccontò questo viaggio in Vedute del Basso Reno, Brabante e Fiandre, in tre volumi, un libro che impressionò grandemente lo stesso Goethe. Di notevole importanza la parte dedicata alla storia dell'arte, con la prima riscoperta dello stile gotico. A Parigi Forster poté seguire le vicende iniziali della rivoluzione francese, cui guardava con entusiasmo. Nel 1792, quando le truppe francesi occuparono Magonza, si unì al locale Club giacobino e partecipò attivamente alla fondazione della Repubblica di Magonza; divenne vice-presidente dell'amministrazione provvisoria, deputato alla Convenzione nazionale tedesca e redattore del Nuovo giornale di Magonza o L'amico del popolo, che anche nel titolo si ispirava alla omonima rivista di Marat. Cosciente che la neonata repubblica non sarebbe stata in grado di reggersi senza il sostegno francese, il 23 marzo 1793 la Convenzione decise di inviare a Parigi tre delegati (Georg Forster, Adam Lux e Potocki) per chiedere l'adesione alla Francia. Tuttavia poco dopo le truppe prussiane invasero la repubblica e presero Magonza dopo un lungo assedio; Forster fu proscritto come traditore della patria. Costretto a rimanere a Parigi, assisté al Terrore. Tra le vittime anche il suo collega Adam Lux, ghigliottinato per aver scritto un'apologia di Carlotta Corday. In miseria e sempre più malato, Georg Forster morì di polmonite nel gennaio 1794, prima di compiere quarant'anni. Una sintesi della vita dei due Forster nella sezione biografie. Le idee politiche condannarono Georg Forster all'ostracismo postumo. Il suo ricordo fu recuperato dalla Repubblica democratica tedesca, ma la sua importanza per la cultura tedesca ed europea ha incominciato ad essere pienamente riconosciuta solo negli anni '70 del Novecento. Come padre fondatore dell'etnologia tedesca, la Fondazione Humboldt gli ha intitolato un premio e una borsa di studio. Minuscoli endemismi delle isole Nel 1776, Johann Reinhold Forster inviò a Linneo, di cui era grande ammiratore, dieci nuove piante raccolte durante la spedizione, con le relative descrizioni e i nomi binomiali, perché le validasse e le pubblicasse. Le descrizioni erano state redatte presumibilmente da Sparrman, ma il testo era stato organizzato da Georg e rivisto da Johann Reinhold. Linneo fece in tempo a preparare il manoscritto di Decas plantarum, ma non a pubblicarlo, a causa della malattia che lo portò alla morte. A provvedere alla pubblicazione fu nel 1780 suo figlio Carl junior. A causa di questa intricata vicenda, la paternità del genere Forstera in passato è stata attribuita a Linneo figlio, mentre oggi viene riconosciuta a Georg Forster attraverso Linneo padre. Tra quelle dieci piante c'è anche il dono d'amicizia di Sparrman; Georg, sempre devoto al padre, volle che l'omaggio fosse esteso anche a lui, sebbene questa tenera pianticella sembri più adatta a lui com'era nei suoi vent'anni che all'ipocondriaco e rancoroso Johann Reinhold. Il genere Forstera, della famiglia Stylidiaceae, comprende sette specie di erbacee perenni, sei endemiche della Nuova Zelanda e una della Tasmania; sono piante alpine o subalpine che crescono in terreni sciolti ma con umidità costante. Le specie della Nuova Zelanda hanno portamento decombente, con steli più o meno ramificati che tendono a formare densi tappeti, strisciando a livello del terreno, con foglie rivolte verso l'alto agli apici e spesso si addensano e si sovrappongono; nelle zone esposte tuttavia gli steli sono eretti e molto più brevi, non più lunghi di 2 cm. L'unica specie tasmana, F. bellidifolia, ha invece foglie basali raccolte a rosetta e steli eretti. I fiori, generalmente solitari, talvolta in gruppi di due-tre, sono portati all'apice di lunghi e sottili scapi che emergono al di sopra del fogliame; a forma di coppa, con breve tubo e sei petali, sono per lo più bianchi, talvolta con gola rosata, rossa o arancio. Un elenco delle specie e qualche approfondimento nella scheda. Anche in un secolo che non difetta di avventurieri, la vita inquieta del principe Charles Henri Othon (o, se preferite Karl Heinrich) di Nassau-Siegen è decisamente sopra le righe. A poco più vent'anni lo troviamo tra i compagni di Bougainville intorno al mondo; quindi sarà successivamente al servizio di Francia, Spagna, Polonia e Russia, con imprese militari spericolate, qualche successo e clamorosi disastri. Ovunque accumulando una montagna di debiti e collezionando duelli e conquiste femminili. Il suo incontro con le piante sta all'inizio e alla fine del percorso esistenziale: giovane volontario della spedizione Bougainville, viene contagiato dall'entusiasmo di Commerson e collabora attivamente alle sue raccolte, arrampicandosi con Baret sulle più ardue pendici dello stretto di Magellano; anziano proprietario terriero, sperimenta innovazioni agricole nelle sue terre in Ucraina. Sono le escursioni al seguito di Commerson a guadagnargli l'affetto del burbero botanico, e la dedica dell'intrigante genere Nassauvia. A vent'anni con Bougainville e Commerson Secondo il principe di Ligne, che lo conobbe quando era ammiraglio di Caterina II, fu l'incertezza delle sue origini a alimentare nel giovanissimo Charles-Henri Othon di Nassau Siegen il desiderio di gloria e la sete di avventure. Nato a Parigi e educato in Francia nella tenuta dei nonni materni, il ragazzo aveva ereditato dal padre, di cui era rimasto presto orfano, un'intricata vicenda familiare. Il nonno, Emanuele Ignazio di Nassau Siegen, era l'ultimo figlio del principe dell'impero Giovanni Francesco Desiderato. Nato da un matrimonio morganatico, venne escluso dalla successione e dal titolo principesco (di cui continuò a fregiarsi arbitrariamente). Trasferitosi in Francia, sposò la bella contessa Charlotte de Mailly, da cui ebbe due figli morti bambini; poi si separò dalla moglie. Diversi anni dopo, Charlotte ebbe un terzo figlio, Massimiliano Giuseppe. Il principe inizialmente ne riconobbe la paternità, ma più tardi, poco prima di morire, la rigettò, dichiarando il bimbo figlio adulterino della moglie. Seguì una serie infinita di processi e sentenze contrastanti; il parlamento francese riconobbe Massimiliano come legittimo, al contrario della giustizia imperiale. In Francia egli era un principe dell'impero, erede delle terre dei Nassau-Siegen; nel Sacro Romano Impero, un signor nessuno. Figlio di Massimiliano Giuseppe, il giovane Charles (per farla breve, lo chiameremo così; ma è altrettanto noto con il nome tedesco Carl Heinrich Nikolaus Otto) crebbe con questa storia alle spalle. Aveva appena quindici anni quando si arruolò tra i dragoni prendendo parte alle ultime fasi della Guerra dei sette anni come aiutante del maresciallo de Castries. Alla fine della guerra, si congedò con il grado di capitano. A Parigi e a Versailles si diede a una vita così dispendiosa e accumulò tanti debiti che gli amici gli consigliarono di cambiare aria; forse c'era di mezzo anche una relazione con una cantante che la famiglia voleva interrompere a tutti i costi. Fu così che, ventunenne, si imbarcò come volontario sulla Boudeuse per partecipare all'impresa di Bougainville. Sorprendentemente, durante il viaggio si dimostrò un ottimo acquisto: partecipò attivamente alla ricognizione delle coste e all'esplorazione delle isole, negoziò abilmente con i nativi e, come vedremo meglio tra poco, collaborò con Commerson. Ovunque, si interessò a tutto e dimostrò una buona attitudine al comando, come riconobbe lo stesso Bougainville. L'avventura più clamorosa gli capitò quasi all'inizio del viaggio. Durante la sosta all'estuario del Rio della Plata, forse nel gennaio del 1767, mentre cavalcava lungo la spiaggia con un gruppo di ufficiali, fu sorpreso con i suoi compagni da un giaguaro che gettò a terra il cavaliere d'Oraison, uno dei luogotenenti di Bougainville; prontamente, Nassau estrasse la pistola e freddò la belva con un colpo ben mirato. La scena, qualche anno dopo, fu immortalata dal pittore Jean-Baptiste Le Paon (ne esiste anche una replica lievemente modificata di Francesco Casanova, fratello di Giacomo). Sicuramente, dopo il ritorno in Europa il principe ne fece un pezzo forte dei suoi racconti durante le serate mondane, tanto da farsi una reputazione di eroico domatore di mostri. E qualche biografo ci ricamò su, favoleggiando una mai avvenuta partita di caccia alla tigre in Africa. A Tahiti dimostrò buone capacità diplomatiche, riuscendo a ricucire i rapporti con i tahitiani quando un gruppo di soldati francesi assassinò un indigeno. In assenza di una lingua comune, lo fece con doni, gesti, buone maniere, atteggiamenti amichevoli; che per riuscirci abbia sedotto la moglie di un capo (e tanto meno la "regina" di Tahiti, che i francesi non incontrarono), è di nuovo un volo pindarico dei biografi successivi. Sicuramente, come i suoi compagni, fu affascinato dall'isola e dai costumi dei suoi abitanti, portando il suo contributo all'edificazione del mito di Nuova Citera: "Lasciammo a malincuore questa isola la cui natura e i cui abitanti di concerto avevano reso il nostro soggiorno così gradevole e che Venere, alla quale non cessano di immolare nuove vittime, sembra aver scelto come proprio rifugio". Curioso di tutto, Nassau fu contagiato dall'entusiasmo di Commerson per la botanica e spesso lo accompagnò a erborizzare; in particolare, lo troviamo sulle sponde dello stretto di Magellano insieme al botanico e Jeanne Baret ad affrontare condizioni proibitive per procurarsi il maggior numero possibile di esemplari. Tra di essi, anche la pianticella che Commerson battezzerà in suo onore Nassauvia magellanica. Una vita romanzesca Al ritorno in Francia, si trovò ad essere uno degli eroi del giorno: riprese a frequentare salotti, a sedurre dame, a battersi in duello, e ad accumulare debiti. Aveva mantenuto ottime relazioni con Bougainville che nel 1772 fece da padrino alla figlia Sophie, nata fuori dal matrimonio. Di certo, si annoiava, al punto di sognare di ritagliarsi un regno personale nell'Africa centrale; l'impresa ovviamente fallì prima di cominciare. Al principe non restava che rientrare nell'esercito, prima come colonnello del reggimento di cavalleria Royal-Allemand poi nella marina miliare. Intanto, dal 1778 la Francia era di nuovo in guerra contro la Grand Bretagna. Per mettere fine agli attacchi pirati che partivano da Jersey, l'anno successivo Nassau propose all'ammiragliato un'impresa temeraria: occupare l'isola con un colpo di mano, approfittando dell'effetto sorpresa. Il tentato sbarco fallì per la pronta reazione britannica. Nel 1780 partecipò all'assedio di Gibilterra, come comandante di una delle batterie galleggiati. Collocate in posizione infelice, furono tutte distrutte dai proiettili incendiari britannici durante l'attacco generale del 13 settembre 1782, compresa quella comandata da Nassau. Tuttavia, con la batteria già avvolta dalle fiamme, egli continuò l'azione finché non fu costretto a mettersi in salvo a nuoto, tanto che il re di Spagna premiò il suo coraggio con una gratifica di tre milioni di franchi e il titolo di grande di Spagna. Siglata la pace, l'irrequieto principe, che nel 1780 aveva sposato la contessa polacca Karolina Gozdzka, raggiunse la moglie a Varsavia, dove il re Stanislao Poniatowski gli fece concedere la cittadinanza dal Parlamento e lo decorò con gli ordini di San Stanislao e dell'Aquila bianca. Il nuovo mirabolante progetto di Nassau era aprire una via commerciale alle merci polacche attraverso il Dniestr e il mar Nero; per questo si recò prima a Istanbul, poi nella Russia meridionale per incontrare Grigorij Potëmkin, il potente favorito di Caterina II. Potëmkin fu conquistato dal vulcanico principe franco-tedesco e lo coinvolse nella preparazione del viaggio trionfale dell'imperatrice. Caterina era prevenuta nei confronti di Nassau Siegen, che aveva fama di essere un pazzo totale, ma quando lo conobbe anch'essa ne fu affascinata, al punto da farlo entrare al suo servizio con il grado di contrammiraglio. La sua carriera alla corte russa iniziò nel segno della vittoria e terminò nel disastro. Nel giugno 1788 il principe sconfisse la flotta turca a Ochakov, e un mese dopo sbaragliò quanto ne restava. I suoi successi gli guadagnarono il grado di viceammiraglio, ma anche la gelosia di Potëmkin. L'imperatrice gli affidò varie missioni diplomatiche presso le corti europee quindi lo nominò capo della flotta del Baltico. In questa veste nell'agosto 1789 egli sconfisse pesantemente la flotta svedese nella prima battaglia di Swensksund, tuttavia un anno dopo, nel luglio 1790, subì la disastrosa sconfitta della seconda battaglia di Swenskund, in cui la flotta russa venne totalmente annientata. L'autostima del principe crollò a zero; appena poté diede le dimissioni e lasciò la Russia. Nel 1792 lo troviamo a Coblenza, dove il principe di Brunswick stava organizzando un'armata controrivoluzionaria e si ammassavano i nobili francesi emigrati. Nassau li aiutò generosamente, vendendo persino la sciabola d'oro tempestata di brillanti che gli era stata donata da Caterina II al tempo delle sue vittorie; ma dovette allontanarsi precipitosamente quando si scoprì che passava informazioni militari ai russi. Nel 1802, dopo la pace di Amiens, rientrò in Francia; delusa l'aspettativa di ricevere un comando da Napoleone, si rassegnò infine a tornare in Russia a fare il gentiluomo di campagna nelle sue terre di Tynna, nell'attuale Ucraina. Qui morì nel 1808, preceduto dall'amata moglie. Nella sua vita spericolata aveva affrontato decine di duelli e aveva rischiato più volte la vita in battaglia, ma senza mai ricevere neppure una ferita. Il solito principe di Ligne lo chiamava l'Invulnerabile. Nel testamento, un ultimo guizzo di eccentricità: istituì un lasciato per provvedere annualmente la dote di due fanciulle, che per un anno avrebbero rifornito di fiori freschi la sua tomba, per poi celebrare le nozze il giorno anniversario della sua morte. Nassauvia o dell'eroismo delle piante Come Linneo, anche Commerson amava trovare un legame tra i suoi generi celebrativi e i dedicatari, di cui la pianta avrebbe dovuto essere quasi un ritratto vegetale. Eppure è davvero difficile trovare qualche analogia tra Nassauvia magellanica e l'esuberante principe, che nel suo diario Commerson descrive mentre percorre le rive dello stretto di Magellano avvolto in un vistoso mantello rosso che suscita l'ammirazione dei Tehuelche. Questa pianticella endemica della Patagonia meridionale e della Terra del Fuoco è infatti un piccolo cardo, che si è adattato a vivere nelle condizioni proibitive di questa terra gelida e battuta dai venti: piuttosto variabile in base alle condizioni che trova, cresce tra sabbie e rocce, formando cuscinetti più o meno estesi e densi di coriacee foglie a rosetta, da cui emergono capolini per nulla vistosi. Forse l'unica esuberanza sta nel profumo, che ha fama di richiamare quello del cioccolato (tanto che è nota come flor de chocolate). Ma è forse proprio nella resilienza, nella capacità di adattamento che consiste l'eroismo delle Nassauvia. Oggi a questo genere della famiglia Asteraceae è assegnata una quarantina di specie, distribuite tra l'America andina, dalla Bolivia all'Argentina, la Patagonia e le isole Falkland. Talvolta sono arbustini bassi e striscianti, più spesso sono erbacee perenni a cuscinetto con molte rosette di foglie coriacee. Possono crescere come cespi isolati tra le rocce, ma non di rado formano tappeti che possono anche ricoprire aree piuttosto vaste come specie dominante. La caratteristica più singolare del genere è data dalla grande variabilità delle infiorescenze: in alcune specie i capolini sono piccoli e solitari, ma nella maggior parte dei casi essi si aggregano fittamente in grandi infiorescenze terminali o ascellari a spiga, globose o cilindriche, che in alcune specie sono discretamente disposte lungo lo scapo, ma in altre sono decisamente vistose e insolite, poste come sono all'apice di scapi fittamente ricoperti di foglie che possono richiamare un serpente o la coda di un animale (alcune specie sono note localmente come "coda di armadillo"). La specie più diffusa è N. axillaris, presente lungo la catena andina dalla Bolivia al Cile e all'Argentina centrale fino alla Patagonia nelle comunità delle steppe alpine. E' un arbustino con foglie glauche e fusti eretti, poco ramificati, con graziose infiorescenze ascellari a spiga. Ben più vistosa la singolare N. revoluta, una specie alpina adattata a condizioni aride della cordigliera centrale di Cile e Argentina, che forma cuscini laschi da cui emergono gli scapi florali eretti ricoperti di foglie glauche e coronati da vistose infiorescenze bianche che qualcuno ha paragonato a un piccolo cavolfiore. Degna di nota è anche N. lagascae, una specie nana di alta quota del Cile e dell'Argentina, con fusti scultorei ricoperti di foglie profondamente solcate e numerosi fiori globosi. Ma forse la più graziosa è la minuscola N. gaudichaudii, endemica delle Falkland / Malvine, che forma bassi cuscinetti di piccolissime rosette da cui emergono capolini singoli delicatamente profumati di miele. Qualche approfondimento e una selezione di specie nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2024
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