Mentre, grazie al ruolo di stimolo dei naturalisti di Tranquebar, la Presidenza di Madras della Compagnia delle Indie sosteneva le ricerche naturalistiche e aveva alle sue dipendenze un botanico, niente di simile avveniva in Bengala. A introdurre un primo cambiamento fu un militare e un funzionario di lungo corso, il colonnello Kyd, che nel 1787 propose alla Compagnia di creare a Calcutta un grande giardino di acclimatazione. Nacque così l'orto botanico di Calcutta, oggi Acharya Jagadish Chandra Bose Indian Botanic Garden, destinato a diventare il più importante dell'Asia, grazie soprattutto al secondo intendente dopo Kyd, il grande botanico William Roxburgh, il "padre della botanica indiana". Il colonnello Kyd è ricordato dal genere Kydia (Malvaceae), mentre nessun genere valido onora Roxburgh. Consoliamoci con la bellissima Rosa roxburghii. Un colonello molto attivo e la nascita di un giardino Grazie ai naturalisti di Tranquebar e soprattutto all'attività di König, nell'ultimo quarto del Settecento nell'India meridionale si registra una vivace ricerca naturalistica, sostenuta dalla Presidenza di Madras della Compagnia delle Indie che nel 1778 assume lo stesso König come naturalista ufficiale. Si tratta sia di esplorare le risorse del paese, sia di introdurre da altri paesi dal clima simile piante medicinali, alimentari e industriali. Da questo punto di vista, l'iniziativa più importante è la fondazione di una stazione sperimentale a Samalkot, a duecento miglia a nord di Madras, affidata al medico scozzese William Roxburgh (1751-1815). Arrivato in India nel 1776, ha lavorato come medico e chirurgo all'ospedale della Compagnia di Madras e ha incominciato a interessarsi di botanica e a fare le sue prime raccolte di piante grazie all'amicizia con König. Nel 1781 diventa intendente di Samalkot, dove sperimenta la coltivazione di pepe nero; purtroppo le piante non riescono a fruttificare. Maggiore successo incontrano le coltivazioni di caffè, canna da zucchero, alberi del pane, gelsi. Non c'è niente di simile nell'India settentrionale, come era ben chiaro a Joseph Banks che così si esprime in una lettera a un membro del Consiglio privato del re, George Yonge: "A dire la verità, si sa poco dei prodotti naturali del Bengala. La costa del Malabar è stata ben studiata dagli olandesi […] e il lavori del fu dr. Koenig mi hanno dato una conoscenza accettabile del Coromandel. Ma il Bengala e il suo entroterra rimangono una vasta pagina bianca nel libro delle informazioni”. E' dunque forse ispirandosi a Samalkot che nel 1786 il colonnello Robert Kyd (1746-1796) propone alla Compagnia la creazione di un ben più vasto giardino di acclimatazione nei pressi di Calcutta. Kyd è arrivato in India nel 1764 e ha percorso una brillante carriera militare: luogotenente un anno dopo, capitano nel 1768, maggiore nel 1780, e luogotenente colonnello nel 1782, quando viene nominato segretario del dipartimento militare di ispezione del Bengala. Non ha una formazione come botanico, ma possiede una proprietà a Shibpur, di fronte a Calcutta sull'altra riva dell'Hoogly (il braccio del delta del Gange su cui sorge la città) e ama sperimentare la coltivazione di piante utili indiane o importate. Nell'aprile del 1786 scrive una prima lettera al Governo del Bengala in cui insiste sull'opportunità per la Compagnia di fondare un giardino dove coltivare piante alimentari per poi moltiplicarle e trapiantarle in ogni villaggio. Gli inglesi hanno dato pace e ordine all'India, scrive, ma per giustificare la loro presenza agli occhi degli indiani devono dare loro benefici più concreti, mettendo fine alle due peggiori piaghe del paese: la fame e le epidemie, che ne sono la conseguenza. La proposta si precisa nella seconda lettera, del giugno dello stesso anno: un giardino della Compagnia "ci permetterebbe di superare i nostri rivali in ogni produzione utile che la natura ha confinato in questa parte del globo”; insiste sugli scopi pratici del giardino e sui suoi vantaggi economici per la nazione: non va creato “per raccogliere piante rare (sebbene anch’esse abbiano i loro usi) come oggetti di pura curiosità o che gratificano il piacere del lusso, ma per stabilire una scorta per la disseminazione di quelle piante che si riveleranno utili sia per gli abitanti sia per i nativi della Gran Bretagna, che ora tendono ad espandere il commercio e la ricchezza nazionali”. Tra le piante di cui suggerisce l'introduzione, le palme da dattero e di sagù e gli alberi di teak, che potranno fornire legname di qualità per le navi della Compagnia. La proposta di Kyd cade in un momento particolarmente opportuno. In Inghilterra, la politica di puro sfruttamento della Compagnia e la rapacità dei suoi funzionari hanno incominciato a destare molte critiche. D'altra parte, non pochi dei suoi uomini condividono gli ideali illuministici e molti nutrono un interesse personale per le scienze naturali, a cominciare dal governatore Warren Hastings, che ha creato egli stesso un raffinato giardino nella tenuta di Belvedere ad Alipore e nel 1784 ha incoraggiato la fondazione dell'Asiatic Society. Una migliore conoscenza del patrimonio naturale del paese sarà utile per l'economia e la medicina, senza contare che sponsorizzare la ricerca scientifica, dopo tutto, è un modo a basso costo per ripulire l'immagine della Compagnia, che sta pure affrontando un momento di crisi economica: il mercato delle cotonine indiane è ormai saturo, l'indipendenza delle colonie americane ha chiuso un sbocco importante e la drastica riduzione delle tasse sul tè (la fonte di maggiori proventi) ha ulteriormente ridotto i dividendi. Del resto, conoscere meglio l'ignota, aliena e spesso minacciosa natura indiana, è il primo passo per dominarla; è dunque rassicurante. Accolta con favore dai vertici della Compagnia in Bengala, la proposta arriva a Londra dove trova un sostenitore entusiasta in Joseph Banks. Egli guarda decisamente al modello di Pamplemousses a Mauritius, dove i francesi, introducendo la coltivazione del pepe, del chiodo di garofano, della noce moscata, sono riusciti addirittura a intaccare il monopolio olandese delle spezie. Vede già un Bengala trasformato nel principale produttore di materie prime dell'Impero, da esportare, chissà, persino in Cina. E, se Kyd vede nella palma di Sagù la pianta miracolosa che metterà fine alle carestie indiane, Banks pensa piuttosto all'albero del pane. Così nel luglio 1787 la direzione della Compagnia approva la creazione dell'Orto botanico di Calcutta, affidandone la direzione a Kyd, nominato intendente onorario, ovvero senza stipendio. Egli sceglie un terreno di 310 acri situato lungo la riva dell'Hoogly, attiguo alla sua residenza di campagna. Molto attivo, si dà molto da fare per realizzarlo; sollecita donazioni di privati, allestisce squadre di raccoglitori, sterratori e giardinieri, riceve invii dall'Europa e da altre colonie inglesi. Fa piantare manghi, alberi di teak, palma da dattero e da sagù, alberi del pane, manioca. Nel clima caldo-umido del Bengala, nessuno prospera; l'unica produzione alimentare ad essere un successo è la canna da zucchero, la cui coltivazione diverrà redditizia soprattutto dopo l'inizio delle guerre con la Francia, che ostacolano i commerci con le Antille e fanno lievitare i prezzi. Nel 1790, dalla Cina arrivano 272 pianticelle di tè; anche in questo caso, l'esperimento fallisce: per l'introduzione del tè cinese in India bisognerà aspettare il 1848 e Robert Fortune. Pessima sorte tocca anche agli alberi da frutta arrivati dall'Europa. Si stabilisce invece una proficua collaborazione con l'orto botanico di Saint Vincent e il suo sovrintendente, Alexander Anderson, da cui Kyd riceve alberi del pane e annatto (Bixa orellana). Nel 1793 il giardino è in grado di distribuire semi di canapa indiana, tabacco, indaco, caffè, teak e di spedire pianticelle in altre parti dell'India, a Sant'Elena, nelle Indie occidentali e in Inghilterra. Banks ammira l'attivismo di Kyd, ma gli spiace che non abbia alcuna preparazione scientifica e che il giardino (troppo vasto, ha la stessa estensione di Kew) sia concepito esclusivamente come giardino di acclimatazione. Le cose cambiano con l'arrivo di Roxburgh. Kyd muore all'improvviso nel 1796, quando il giardino ha meno di dieci anni. Anche se finora non ha dato i risultati sperati, e si è rivelato una fonte di spese crescenti (Kyd aveva preventivato un costo mensile di 200 rupie, nel 1800 la cifra sarà più che decuplicata), la Compagnia decide di mantenerlo in vita e di nominare secondo intendente William Roxburgh (che lascia Samalkot alle cure di Heyne, come ho raccontato in questo post). Quando Roxburgh arriva a Calcutta, nel giardino si coltivano 300 varietà di piante. Secondo le indicazioni della Compagnia, continua a sperimentare piante alimentari e da reddito. Incrementa la piantagione di teak, tenta la coltivazione del cotone (che va male) e intensifica quella dell'indaco (che va molto bene); ma soprattutto trasforma il giardino in un vero orto botanico, grazie a una rete di raccoglitori che inviano piante dalle Presidenze di Bengala, Bombay e Madras e da altre colonie dell'Asia britannica. La Compagnia fa fatica ad accettare il nuovo corso e ammette lo scopo scientifico del giardino solo nel 1807. Nel 1814, quando Roxburgh, malato, lascia l'India, le specie e varietà che vi si coltivano sono passate a 3500. Una dedica fraterna Fu proprio Roxburgh a ricordare il suo predecessore con la dedica di Kydia, un piccolo genere della famiglia Malvaceae, con due sole specie, entrambe distribuite tra subcontinente indiano e sud-est asiatico; per sottolineare il legame di amicizia e riconoscenza con Kyd, denomina addirittura K. fraterna una delle due specie che riconosce e descrive (oggi è considerata sinonimo di K. calycina). Sono alberi dalla densa chioma arrotondata, con foglie lobate e piccoli fiori bianchi o rosa raccolti in grandi grappoli. La specie più diffusa, K. calycina, talvolta coltivata, di crescita veloce, è utilizzata per il legname, ma soprattutto per le fibre ricavate dalla corteccia, usate per fabbricare corde o filtri per chiarificare lo zucchero. Meno fortunato di Kyd da questo punto di vista Roxburgh, uno dei tanti grandi botanici cui è toccato di essere onorato da un genere non più valido. Roxburghia, dedicatagli da W. Jones, è infatti sinonimo di Stemona Lour. Pur non potendo essere protagonista di un post, non mancherà occasione di parlare di lui, approfondendo la nostra conoscenza con la botanica indiana. Sono comunque numerosissime le piante che lo ricordano nel nome specifico; tra di esse, vorrei ricordare almeno la bellissima Rosa roxburghii, una spettacolare specie himalayana e cinese, notevole sia per i fiori sia per i grandi cinorrodi spinosi.
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Per accattivarsi il favore di sovrani, uomini politici e potenti, da cui dipendevano finanziamenti e incarichi prestigiosi, i botanici sono stati prodighi di dediche di generi, spesso scelti tra i più vistosi. Non fa eccezione neppure Napoleone, che anzi ha collezionato ben tre dediche. Ad aprire la lista sono gli spagnoli Ruiz e Pavón che già nel 1802 intitolano all'allora primo Console Bonapartea. Niente di strano: i due non andavano tanto per il sottile con le dediche, e le elargirono generosamente ai potenti di turno, adattandosi di volta alla linea politica del momento; all'epoca, la monarchia spagnola era alleata con la Francia e si trattava di ingraziarsi, più ancora che lo stesso Napoleone, il ministro filofrancese Godoy (lui stesso dedicatario di Godoya). Nel 1804, l'anno in cui Bonaparte si autoincorona imperatore, arriva un omaggio ben più sorprendente: il botanico Palisot de Beauvois, un nobile vittima della rivoluzione, battezza pomposamente Napoleonaea imperialis un singolare alberello da lui scoperto in Africa. Il personaggio è tale che la dedica non può essere liquidata come plateale adulazione, e vale la pena di approfondire. Non stupisce (tranne che nel nome) che lo stesso anno Ventenat, che al momento era nel libro paga di S. M. l'Impératrice, abbia voluto metterci anche del suo con Calomeria. E poi, tutto sommato, i meriti di Napoleone agli occhi degli scienziati, inclusi i botanici, non erano pochi. Un'adulazione smaccata? Il due dicembre 1804, con un gesto clamoroso, Napoleone Bonaparte incoronò se stesso Imperatore dei francesi. Culminava così un lungo processo, iniziato il 18 maggio, quando il Senato aveva mutato la costituzione trasformando la Repubblica in impero ereditario; immediatamente dopo la decisione era stata sancita dal plebiscito i cui risultati furono proclamati il 6 novembre: risultati ovviamente... plebiscitari, con 99,76% di voti favorevoli e solo 2569 contrari. In mezzo a queste date, il botanico Ambroise Marie François Joseph Palisot de Beauvois allestì la sua personale corona per Napoleone: una corona di petali (o almeno luio credeva così), quelli di una pianta che aveva raccolto in Africa. Dopo averla preannunciata in una seduta dell'Institut de France di ottobre, pubblicò scoperta e dedica verso la fine di dicembre, a incoronazione avvenuta, nell'opuscolo Napoléone impériale: Napoleonaea imperialis. E' una esplicita scelta di campo, dal significato eminentemente politico; il sottotitolo "Primo genere di un nuovo ordine di piante: le Napoleonée" non lascia dubbi. Napoleonaea inaugura una nuova famiglia di piante, esattamente come Napoleone inaugura un regime senza precedenti e una nuova dinastia: "Per essere un re si devono ereditare vecchie idee e genealogie. Io non voglio discendere da alcuno." Come dobbiamo leggere la plateale dedica di Palisot de Beauvois? E' la più smaccata delle adulazioni? O l'espressione di un entusiasmo reale, del resto condiviso - al netto della propaganda e della repressione - da una grande maggioranza di francesi? Certo non possiamo escludere l'interesse. All'epoca Palisot de Beauvois versava in una situazione economica molto difficile. Un tempo ricco possidente terriero, era stato rovinato dalla rivoluzione, da un amministratore incapace (o piuttosto interessato e disonesto) e da un divorzio; tornato in Francia dopo una serie di viaggi avventurosi e un lungo esilio, aveva in programma di pubblicare degnamente le sue scoperte in una serie di opere illustrate, corpose e costose: la sua Flore d'Oware et de Benin incominciò ad uscire proprio nel 1804; l'anno successivo seguì il primo volume di Insectes recueillis en Afrique et en Amérique. Cerro sperava anche che l'appoggio di Napoleone e dei suoi corifei scientifici gli garantisse l'ammissione come membro effettivo (con tanto di stipendio) dell'Institut de France (che aveva incorporato l'Accademia delle scienze), di cui era da tempo membro corrispondente. Eppure, a leggere le biografie e le testimonianze su Palisot de Beauvois, il tipo di cortigiano leccapiedi non sembra calzargli affatto (al contrario di tanti anche più famosi colleghi, a cominciare da Laplace). Nobile, durante la rivoluzione si era trovato proscritto e privato di tutti i suoi beni ed aveva potuto rientrare in Francia solo alla fine del 1798, quando il suo nome era stato cancellato dalle liste degli emigrati (un provvedimento che anticipa l'amnistia generale concessa da Napoleone primo console nel 1802). Di Napoleone certamente apprezzava la politica di conciliazione nazionale, ma anche di ritorno all'ordine dopo gli eccessi rivoluzionari. Feroce difensore dello schiavismo, che per le proprie posizioni aveva rischiato di essere messo a morte durante la rivolta di Haiti, gradiva particolarmente che egli avesse ristabilito la schiavitù nelle colonie, a suo parere follemente abolita dai rivoluzionari. Dunque, la dedica riflette probabilmente l'adesione al progetto politico di Napoleone, che rimarrà costante e sincera anche in tempi difficili, come conferma un fatto inequivocabile: nel 1815, durante i Cento giorni, il traballante Napoleone si fidava tanto della sua fedeltà che lo nominò consigliere per l'Università. Napoleone e la scienza Oltre a considerazioni di ordine più generale, avrà pesato anche la politica culturale del nuovo imperatore che aveva fatto della scienza un importante tassello della sua propaganda e aveva valorizzato il ruolo politico e sociale degli scienziati, tanto che Eric Sartori ha definito quello napoleonico "l'impero delle scienze". Lo era, secondo lo studioso francese, da tre punti di vista: il dominio scientifico a livello europeo; la formazione e la passione scientifica dell'imperatore stesso; il ruolo politico assegnato all'élite scientifica. Quanto al dominio scientifico, la Parigi napoleonica è indubitabilmente la capitale della scienza: Laplace rivoluziona l'astronomia, i vari Berthollet, Fourcroy, Gay-Lussac portano avanti la rivoluzione della chimica inaugurata da Lavoisier, l'abate Haüy studia la struttura dei cristalli, Daubenton e Lacépède proseguono l'opera di Buffon, Fourier fa avanzare l'analisi matematica, Cuvier getta le basi della paleontologia, Lamarck e Saint-Hilaire preparano l'evoluzionismo. Parlando poi di Bonaparte, l'interesse per la scienza è una costante della sua vita, da quando ragazzo era considerato il migliore matematico della scuola militare fino all'esilio di Sant'Elena, quando riempiva le giornate leggendo la Storia naturale di Buffon, il trattato di astronomia di Delambre o il corso di chimica di Fourcroy (gli ultimi due, per altro, pubblicati grazie a lui). Veniamo al terzo punto, anche se nel breve spazio di un post dovremo limitarci a qualche cenno. Già durante la Campagna d'Italia Napoleone intraprende una vera propria opera di seduzione verso gli scienziati, chiamati a sostituire le vecchie classi dirigenti e a formare una nuova élite fondata non sul sangue e sul privilegio, ma sul talento e il sapere. A Milano, frequenta artisti, letterati e scienziati, invita alle propria tavola Volta e Spallanzani, incoraggia gli scienziati ad assumere un nuovo ruolo sociale: "A Milano gli scienziati non godono della considerazione che spetterebbe loro. Ritirati nel fondo dei loro laboratori, si ritengono fortunati se i re e i preti si limitano a non offenderli. Ma oggi non è più così: in Italia il pensiero ora è libero. Non ci sono più né Inquisizione, né intolleranza, né despoti. Invito gli studiosi a riunirsi e ad espormi le loro idee sui mezzi da adottare, o sui bisogni che emergeranno, per dare alle scienze e alle arti una nuova vita e una nuova esistenza. Tutti quelli che vorranno venire in Francia saranno accolti con distinzione dal governo. Il popolo francese valuta molto di più l'acquisizione di un matematico [...] che la conquista della città più ricca e più popolosa". Ovviamente questi proclami democratici fanno da paravento alla spogliazione del patrimonio culturale italiano; in nome della fratellanza e della libertà, a prendere la via di Parigi non sono solo quadri e statue, ma anche biblioteche intere, collezioni scientifiche, erbari e piante vive (attese con trepidazione da sua moglie Joséphine, grande appassionata di piante e giardini). Tra i "commissari governativi" che dirigono la spogliazione ci sono il grande matematico Monge (uno degli insegnanti di Napoleone alla scuola militare) e il chimico Berthollet; entrambi si legano a Bonaparte e nel 1797 ne propongono la candidatura all'Institut de France per la sezione meccanica. L'elezione del brillante generale, che non ha scritto una riga né di meccanica né di altre scienze al contrario dei candidati sconfitti, è tutta politica, primo atto della sua alleanza con l'establishment scientifico. Il secondo atto è la spedizione in Egitto (1798-1801); insieme ai soldati, ci sono 167 savants: disegnatori, architetti, ingegneri, geometri, cartografi, astronomi, chimici, mineralogisti, zoologi e botanici; divisi nelle quattro sezioni di matematica, fisica, economia politica, letteratura e arti, devono studiare e descrivere ogni aspetto dell'Egitto del passato e del presente: la geografia, la flora, la fauna, le risorse minerarie, l'arte, la società. A reclutarli a stato proprio Monge - assistito ancora da Berthollet e dal matematico Fourier - che li ha contattati e convinti in segreto (la missione era coperta dal segreto militare). In genere sono molto preparati, giovani, di salute robusta, ma una ventina di loro perirà durante la missione. Tralasciando gli altri settori, soffermiamoci sulle scienze naturali. Il compito dei naturalisti è redigere un catalogo completo della fauna e la flora del paese; per assolverlo lo zoologo Geoffroy de Saint Hilaire, affiancato dal pittore Henri-Joseph Redouté (fratello del più celebre Pierre-Joseph) e il botanico Alire Raffeneau-Delile intraprendono molte spedizioni, a volte lunghe e faticose, nell'alto e nel basso Egitto. Raffeneau-Delile descrive il loto e il papiro e crea un orto botanico al Cairo; un altro attivo raccoglitore è Ernest Coquebert de Montbret, che la ha sfortuna di morire ventunenne di peste il 7 aprile 1801, lo stesso giorno in cui la Commissione delle scienze e dell'arti si imbarca alla volta dell'Europa. Nel febbraio 1802 un decreto di Napoleone ormai primo console ordinerà la pubblicazione dei risultati a spese delle stato, ma a beneficio degli autori: è l'inizio della grandiosa Description de l'Egypte, che coinvolgerà 160 savants, 2000 artisti tra cui 400 incisori, si protrarrà per oltre vent'anni e comporterà nella prima edizione 19 volumi, 37 nella seconda. Ma abbiamo anticipato gli eventi. Come è noto, Bonaparte parte per Parigi nell'agosto del 1799 (insieme a lui, viaggia l'ormai inseparabile Monge); il 18 brumaio (ovvero il 9 novembre) con un colpo di stato rovescia il Direttorio e si impadronisce del potere. Per legittimare il quale, ha cura di circondarsi di scienziati e di chiamarli alle più alte responsabilità: diversi di loro, tra cui Lagrange, sono nominati senatori; Laplace diviene addirittura ministro dell'interno: grande matematico e fisico, ma amministratore incapace, sarà allontanato dopo appena sei settimane; Fourier è prefetto dell'Isère; Monge senatore, presidente dell'Institut d'Egypte e direttore dell'école polytechnique. Come si vede, tra questi notabili non c'è nessun botanico; cultore della matematica e delle "scienze dure", Napoleone non ha una gran considerazione della scienza della piante; in famiglia, la botanica era sua moglie Joséphine, come ci ricorda un aneddoto spesso ripetuto. Nel 1804, quando Humboldt ritornò dal suo grande viaggio in America latina, il neoimperatore lo ricevette e gli domandò, in tono quasi di disprezzo: "Dunque vi interessate di botanica? Anche mia moglie si occupa di piante". Forse nuoce ai botanici del Jardin des plantes (ora Muséum national d'histoire naturelle) anche il loro passato giacobino. E' vero che Antoine-Laurent de Jussieu ne mantiene la direzione che esercita fin dai tempi della Convenzione e nel 1804 è nominato professore di botanica alla facoltà di medicina e presidente della I sezione dell'Institut national, ma non riceverà mai gli onori che toccano ai colleghi fisici, chimici e matematici. Tra i naturalisti, l'uomo di Napoleone è Cuvier, segretario perpetuo dell'Institut e presidente della commissione che deve riformare l'università. Un merito di Bonaparte agli occhi dei botanici sarà stato se non altro aver finanziato la spedizione Baudin (1800-1803), quando era ancora primo console. Diretta verso le "coste della Nuova Olanda", ovvero l'Australia, aveva obiettivi geografici e cartografici, ma anche naturalistici, come ci ricordano i nomi delle due navi della spedizione, Géographe e Naturaliste. A bordo ci sono 24 tra artisti e scienziati, compresi molti membri dell'Institut de France, e cinque giardinieri, incaricati di occuparsi delle piante vive; tra i botanici, l'ormai anziano André Michaux, che però abbandona l'impresa per dissensi con il comandante Baudin, e Jean-Baptiste Leschenault de la Tour. Nonostante tante vicissitudini, compresa la morte del comandante, il successo scientifico della spedizione è straordinario: 200.000 esemplari di animali e piante vanno ad arricchire le collezioni del Muséum national e del Jardin des plantes. Piante e animali vivi raggiungono invece i giardini della Malmaison; e nelle sue serre fioriscono per la prima volta molte piante ora a tutti familiari, come Acacia dealbata, ovvero quella che siamo abituati a chiamare "mimosa". Per quanto tiepidamente interessato alla botanica, che delegava volentieri alla botanofila Joséphine, questi risultati avranno fatto piacere anche al quasi imperatore, cui non sfuggiva l'importanza dell'introduzione di nuove specie per il progresso dell'agricoltura, che considerava invece "l'anima, la base prima dell'Impero". Questo interesse pratico gli poteva derivare dall'esempio del padre, Carlo Bonaparte, che, convinto esponente della scuola fisiocratica, aveva iniziato a bonificare la tenuta delle Saline, dove aveva creato un vivaio con alberi da frutto e piante esotiche. Nel 1800, ancora all'epoca del consolato, Napoleone fece creare ad Ajaccio il primo orto botanico della Corsica, il Jardin d'Expériences. Inaugurato il 12 giugno 1801, si trovava nel recinto dell'ex convento di San Francesco, trasformato in ospedale militare, aveva una superficie di circa 6.000 metri quadri e godeva di un clima favorevole che permise l'acclimazione di piante esotiche, tra cui il tabacco. Nel 1807 con un decreto imperiale passò direttamente sotto l'amministrazione del Muséum di Parigi, ma solo nel 1812 fu dotato di finanziamenti e fu costruita una serra. Anche in seguito ebbe vita grama, con la morte per febbre perniciosa di almeno due giardinieri. Durante gli anni napoleonici, le società agricole, abolite ai tempi del Terrore, rifiorirono e si moltiplicarono. Prima la perdita delle colonie, poi le difficoltà dei commerci a lunga distanza causati dall'interminabile ciclo di guerre, infine il blocco continentale resero ancora più urgente l'acclimazione di piante esotiche anche nel territorio metropolitano o la ricerca di loro succedanei. L'esempio più noto è quello della coltivazione della barbabietola da zucchero; il metodo di estrazione fu messo a punto da un altro botanico, Benjamin Delassert. Nominato barone da un grato Napoleone, andò aggiungersi alla piccola schiera di scienziati di primo piano entrati a far parte della nobiltà dell'Impero (che, però, non dimentichiamolo, era formata per quasi il settanta per cento da militari). Per un alto numero di scienziati, però, c'erano incarichi pubblici ben rimunerati, posti di insegnamento nelle scuole secondarie (dove le scienze divennero materia obbligatoria) e all'università, premi in denaro, donazioni e vitalizi come quelli assegnati a Volta, la possibilità di pubblicare a spese dello stato, le sovvenzioni per le ricerche e le innovazioni tecniche, prime fra tutte quelle che potevano essere utili all'esercito, come il telegrafo ottico inventato da Claude Chappe. Le dediche botaniche a Napoleone Palisot de Beauvois era stato anticipato di due anni dagli spagnoli Ruiz e Pavón che nel 1802 dedicarono al primo Console Bonapartea sulla base di una specie da loro raccolta in Perù. Erano abituati a offrire con disinvoltura le loro piante all'uomo politico di turno, e la dedica a Napoleone, intesa a ingraziarsi forse ancor più di lui il filofrancese Godoy, da poco ritornato al potere, è un capolavoro di servilismo e adulazione: "Genere dedicato a Napoleone Bonaparte, rifondatore della ricostituita repubblica francese, primo console, comandante sempre invitto, patrono della botanica, di tutte le scienze fruttuose e delle arti, difensore della religione, ripristinatore della pace in tutto il globo, uomo immortale, che rimarrà nella memoria degli uomini famosissimo per le sue gesta". E' quasi una consolazione sapere che il genere non è valido (è un sinonimo diTillandsia), mentre lo è il bel Lapageria, che i due botanici iberici dedicarono contestualmente "all'eccellente Joséphine de La Pagerie, degnissima sposa di Napoleone Bonaparte, egregia fautrice della botanica e delle scienze naturali". Senza esprimersi in termini così smaccati, Palisot de Beauvois è non meno celebrativo. Per omaggiare il neoimperatore sceglie una pianta i cui vistosi fiori a coccarda ostentano un triplice giro di petali (più probabilmente staminoidi), che li fanno assomigliare a una corona. Non meno importante è il convincimento - confermato da Antoine-Laurent de Jussieu, amico di una vita - che la Napoleonaea non appartenga ad alcuna famiglia nota, anzi inauguri una famiglia propria. In effetti, la famiglia Napoleonaeaceae è stata a lungo accettata dai botanici, per essere poi assorbita nelle Lecythidaceae. Oggi al genere sono assegnate diciassette specie, tutte originarie dell'Africa tropicale occidentale e centrale intorno al golfo di Guinea; quelle più note sono N. imperialis e N. vogelii. Il primo è un alberello alto circa 6 metri, il secondo un albero di dimensioni maggiori; entrambi sono sempreverdi, con grandi foglie alternate obovate, e curiosi fiori che nascono sui rami maturi o direttamente sul tronco. Hanno una struttura molto complessa, che ha fatto parecchio discutere i botanici. Oltre che a una corona, possono essere paragonati a una coccarda, con due giri esterni di elementi simili a petali disposti orizzontalmente e un giro interno di venti stami e staminoidi eretti. Per alcuni botanici, anche recenti, si tratta di una vera corolla e gli elementi esterni sono petali; per altri è un fiore apetalo e si tratta di staminoidi, una tesi confortata dai dati molecolari e dal confronto con le strutture fiorali delle Lecythidaceae. In ogni, caso una struttura peculiare ed affascinante, nonché discussa e discutibile, come lo stesso Napoleone. Che lo stesso anno ricevette una seconda dedica vegetale dal botanico Etienne Pierre Ventanat, che in quel momento, per incarico di Joséphine, stava redigendo il catalogo delle collezioni del giardino della Mailmaison, una splendida opera in due volumi, con le illustrazioni di Pierre-Joseph Redouté. E fu proprio su richiesta della sua patrona che creò un terzo genere in onore dell'ormai imperatore, come racconta egli stesso: "Sua Maestà l'Imperatrice dei francesi, essendosi resa conto che la pianta di cui ho appena presentato la descrizione appartiene a un genere nuovo, ha voluto indicarmi il nome che dovevo dargli. I signori Ruiz e Pavón hanno già consacrato quello di Bonapartea nella Flora del Perù, e il signor Palissot-Beauvois quello di Napoleonaea in Flora d'Oware e del Benin; ho fatto così ricorso alla lingua greca, che ha fornito ai botanici un gran numero di denominazioni tanto espressive quanto armoniose, per obbedire al desiderio di Sua Maestà l'Imperatrice e dare a Sua Maestà l'Imperatore una modesta prova della riconoscenza che gli devono tutti coloro che coltivano le arti e le scienze". Come tutti i francesi, anche Ventenat è appena passato da cittadino a suddito, e si comporta di conseguenza. La pianta in questione è Calomeria amaranthoides, coltivata nei giardini della Malmaison dai semi giunti dall'Australia grazie alla spedizione Baudin. Il nome generico, come spiega lo stesso Ventenat, è formato da due parole greche, καλός (kalòs) "bello, buono" e μερίς (meris) "parte": dunque, Bonaparte. E' forse l'unica specie del piccolo genere Calomeria (Asteraceae), a cui vari repertori ne attribuiscono quattro, con una sorprendente distribuzione disgiunta: mentre C. amaranthoides è endemica degli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud nell'Australia sud orientale, le altre tre vivono nell'Africa meridionale e orientale. Appaiono alquanto diverse dalla sorella australiana, e altri botanici le assegnano decisamente al genere Helichrysum. Parliamo dunque della sola specie certa. quella descritta e denominata da Ventenat. E' una perenne di breve vita solitamente coltivata come biennale, di grandi dimensioni (può superare i tre metri) e foglie intensamente profumate d'incenso. In estate produce grandi infiorescenze color amaranto simili a pennacchi. Ricordano tanto da vicino quelli inalberati sull'elmo dell'alta uniforme della Guardia Imperiale da far pensare che non si tratti di una semplice coincidenza. Prima di concludere, vale la pena di ricordare la damnatio memoriae che toccò a Napoleonaea imperialis. Nel 1814, appena caduto per la prima volta Napoleone, un altro botanico francese, Nicaise Augustin Desvaux, ritenne che quella ignominiosa dedica dovesse essere cancellata, e si affrettò a rinominare la pianta Belvisia caerulea, in onore dello stesso scopritore Palisot de Beauvois. Ma, grazie al repubblicano e antinapoleonico Augustin Pyramus de Candolle, in botanica vale la regola della priorità: Napoleonaea vive, Belvisia è un nome illegittimo. A scusante dei quattro botanici che si affrettarono a prostrarsi ai piedi di Napoleone, ricordiamo che non furono i soli a subirne la fascinazione. Come è noto, lo stesso Beethoven voleva dedicargli la sua terza sinfonia, finché proprio l'incoronazione gli aprì gli occhi. E le tre dediche vegetali sono tutte comprese tra il 1802 e il 1804, quando davvero Napoleone poteva ancora presentarsi nelle vesti di pacificatore, restauratore dell'ordine e al tempo stesso fautore del progresso e del rinnovamento sociale. Non è raro che generi molto noti e popolari portino il nome di personaggi altrimenti destinati all'oblio. E' senz'altro il caso del genere Deutzia (Hydrangeaceae) che annovera alcuni degli arbusti più coltivati in parchi e giardini, dedicato da Carl Peter Thunberg a Jean (o Joan) Deutz, un maggiorente di Amsterdam che aveva finanziato i suoi viaggi in Sud Africa e in Giappone. Riconoscente, il grande botanico svedese lo ricordò dando il suo nome a una delle piante da lui scoperte in Giappone, Deutzia scabra; e non dimenticò neppure gli altri due sponsor dei suoi viaggi, Jan van de Poll Pietersz. e David ten Hoven, premiati rispettivamente con i generi Pollia (Commelinaceae) e Hovenia (Rhamnaceae). Come Thunberg ad Amsterdam trovò una cordata di finanziatori Nell'ottobre 1770, trentacinque anni dopo Linneo, un altro giovane svedese bussò alla porta di Johannes Burman; la situazione però era alquanto diversa da entrambe le parti. Burman dirigeva ancora l'orto botanico di Amsterdam, ma era ormai un professore avanti negli anni, con alle spalle una sequela di importanti pubblicazioni che ne facevano il più autorevole botanico d'Olanda. Lo svedese era Carl Peter Thunberg (1743-1828), il migliore allievo di Linneo: era già laureato a Uppsala e stava andando a Parigi per perfezionarsi in chirurgia e medicina; ma soprattutto, non arrivava a mani vuote: a garantire per lui c'era una lettera di raccomandazione del maestro, del cui verbo ora Burman era uno dei più convinti seguaci. Dunque accolse il giovane Thunberg a braccia aperte; e lo stesso fece suo figlio Nicolaas Laurens Burman (1734-1793) che, avendo studiato a Uppsala con Linneo, poteva scambiare con lui anche qualche parola in svedese. Forse anche grazie a questa calorosa accoglienza, Thunberg fu entusiasta della città sull'Amstel: dei suoi canali e delle sue eleganti case patrizie, della pulizia e dell'ordine che regnavano ovunque, dell'atmosfera di libertà e fervore intellettuale. Johannes Burman - qualcuno lo ha definito l'eminenza grigia della botanica olandese - conosceva tutti e non mancò di presentarlo agli appassionati e agli eruditi che facevano parte delle numerose società scientifiche dei Paesi Bassi. Approfittò anche della sua presenza per coinvolgerlo nella classificazione degli esemplari del suo gabinetto di curiosità: Thunberg indentificò diversi minerali, insetti e piante, in particolare Graminaceae e muschi. A Burman fu chiaro che il suo ospite era un naturalista assai preparato e mentre lo aiutava a riordinare grandi generi sudafricani come Ixia, Erica e Aspalathus, gli chiese se gli avrebbe fatto piacere che organizzasse per lui una spedizione in una delle colonie olandesi più ricche di piante: il Suriname o la colonia del Capo. Ovviamente Thunberg - e il suo maestro Linneo con lui - non sognava altro. Mentre Thunberg si trovava a Parigi, dove studiò per un anno accademico, Burman incominciò a muovere tutte le sue pedine per organizzare il viaggio promesso. In primo luogo bisognava coinvolgere la VOC, la potente Compagnia olandese delle Indie. Burman contattò i direttori della Camera di Amsterdam Egbert de Vrij Temminck e Jan van der Poll Pietersz., ottenendo un ingaggio per Thunberg come medico di bordo di una delle navi della Compagnia. Si precisò in tal modo anche la meta: il Sudafrica e, se possibile, il Giappone, la meta più entusiasmante per tutti visto che a causa della politica delle "porte chiuse" la flora giapponese era pressoché sconosciuta e dopo Kaempfer nessun naturalista preparato aveva più visitato il paese. Il viaggio fu approvato dalla VOC e Burman cercò altri sponsor disposti a finanziare le esplorazioni di Thunberg in Sudafrica e in Giappone in cambio di esemplari, semi e piante vive. Del numero facevano parte lui stesso e suo figlio Nicolaas Laurens: di condizione economica molto agiata e imparentati con famiglie ricche e influenti, erano interessati alle raccolte di Thunberg sia come studiosi sia come collezionisti. Un altro cliente era l'orto botanico di Amsterdam, di cui Burman era il praefectus e Temminck uno dei Commissari. Ma a contribuire alle spese furono anche alcuni privati che possedevano grandi giardini ed erano disposti ad allargare i cordoni della borsa in cambio di piante rare: i maggiorenti Jan van der Poll, Jean Deutz e David ten Hoven. I cinque personaggi sono citati nella dedica che apre Flora japonica: "Agli uomini generosissimi e nobilissimi, il signor Vrij Temminck, autorevolissimo console della Repubblica di Amsterdam, commissario dell'Orto botanico; al signor I. van der Poll, autorevolissimo console della Repubblica di Amsterdam; al signor Johan. Deutz, consigliere della Repubblica di Amsterdam e meritevolissimo membro di diverse accademie; al sig. David ten Hoven, consigliere e commissario della Repubblica di Amsterdam; al sig. Nicolaas Laurens Burman, dottore in medicina e professore di botanica, mecenati, sostenitori e patroni sommi!" Come si vede, il Burman ricordato come mecenate è il figlio, non il padre: nel 1784, quando uscì Flora japonica, era già morto, e il figlio gli era succeduto sia come direttore dell'orto botanico sia come professore dell'Ataeneum illustre. Come vedremo tra poco, di Thunberg non era solo un mecenate, ma anche un caro amico. Qualche contributo venne anche dalla Svezia: Thunberg era titolare di una borsa di studio, e inviò duplicati delle sue raccolte, oltre che a Linneo, a suoi amici o allievi Abraham Baeck, il presidente del reale collegio di medicina, Peter Joonas Bergius, medico di successo e fondatore di un orto botanico privato, Lars Montin, medico e membro dell'Accademia reale di Svezia. Ma i finanziamenti più costanti e cospicui vennero dagli sponsor olandesi. Dagli archivi municipali di Amsterdam risulta che l'Hortus botanicus nel novembre 1771 versò a Thunberg una prima somma per le necessità del viaggio; altri versamenti sono registrati per il 1773, il 1774 e il 1776 (quando Thunberg era già a Batavia). Sia dal Sudafrica sia da Batavia Thunberg fece regolari invii in Olanda; i pacchi erano recapitati all'orto botanico di Amsterdam, dove erano aperti alla presenza dei diversi sponsor cui poi veniva distribuito il contenuto. Come Commissario dell'orto botanico, Temminck raccomandava a Thunberg di inviare "solo piante, semi e bulbi di piante veramente rare, e nient'altro". Il resto era per i mecenati privati: "gli invii di uccelli impagliati, insetti ecc. saranno consegnati ai signori Van de Poll, ten Hoven, e ai due professor Burman". Questi ultimi scrissero a Thunberg - che al momento era in Sudafrica - per raccomandare di inviare all'orto botanico piante vive difficili da riprodurre da seme e richiesero espressamente bulbi e Pelargonium (ai quali Burman figlio stava dedicando una monografia). Neppure gli exsiccata interessavano all'Hortus, tanto che il suo erbario giapponese gli fu restituito. Invece i Commissari erano gelosissimi di semi, bulbi e piante vive, tanto che nel 1780 Nicolaas Laurens scrisse a Thunberg: "Il pacchetto con le piante giapponesi è stato consegnato quest'autunno all'Hortus; se ti rimangono dei duplicati delle piante di Ceylon, te ne sarò molto grato, perché dall'Hortus non ho avuto nulla, il che molto mi spiace". Ovviamente gli invii, soprattutto di piante vive, erano difficili, e molti esemplari non sopravvissero al viaggio. Tra quelle che furono sicuramente introdotte da Thunberg attraverso l'Hortus di Amsterdam Hydrangea macrophylla, mentre le prime gardenie fiorirono nel giardino di Deutz. Thunberg inviò piante vive anche ad André Thouin del Jardin des plantes, ma morirono tutte per il gelo nell'inverno 1789-1790. Gli sponsor olandesi di Thunberg Dopo sette anni di viaggi, Thunberg ritornò in Olanda nell'ottobre 1778. Al suo arrivo a Texel ricevette una affettuosa lettera di benvenuto da Nicolaas Laurens Burman che lo invitò a casa sua "dove vivremo come fratelli e trascorreremo l'inverno nel modo più piacevole possibile". Tra quelle piacevoli occupazioni ci furono anche le visite agli amici e agli sponsor, nei cui giardini Thunberg fu compiaciuto di vedere in buona salute le piante da lui stesso introdotte. E' ora anche per noi di conoscerli meglio. Iniziamo da Temminck, che però tenne i rapporti con Thunberg non a titolo personale, ma come Commissario dell'Hortus botanicus. E infatti, anche se compare in prima posizione nella dedica di Flora japonica, è il solo del gruppo a non essere stato ricordato da un genere botanico. Del resto, era molto esigente e i suoi rapporti con Thunberg non furono idilliaci, come farebbe pensare una lettera in cui lamenta le note insufficienti dei suoi esemplari. Appartenente come gli altri a una famiglia magnatizia, era un uomo politico che rivestì molti incarichi importanti; era curatore dell'Athaeneum illustre e dal 1766 fu uno dei due Commissari dell'Hortus botanicus, che era gestito dalla città di Amsterdam. Morì senza figli; appartiene alla sua famiglia ma non fu un suo discendente l'importante zoologo Conraad Jacob Temminck, dedicatario del genere Temminckia de Vriese, oggi sinonimo di Scaevola L. Passiamo ora ai tre sponsor privati. Jan van de Poll Pietersz. (1726-1781) era un ricco mercante, appartenente a una famiglia attivamente impegnata nella amministrazione della città di Amsterdam. Anch'egli rivestì vari incarichi pubblici e nel 1779 divenne borgomastro. Come abbiamo visto, era uno dei direttori della Camera di Amsterdam della VOC e dal 1779 fu direttore della società del Suriname. A Velsen possedeva una tenuta di campagna chiamata Velseroog e, come Deutz, era membro della Società per l'avanzamento dell'agricoltura (De Maatschappij ter Bevordering van de Landbouw). Allo stesso ambiente sociale apparteneva David ten Hoven (1724-1787), che del resto era genero di Temminck e cugino della seconda moglie di Poll, Jacoba Margaretha van Hoven. Anch'egli era un mercante e un membro del senato di Amsterdam. Mentre Poll desiderava da Thunberg soprattutto arbusti da fiore per il parco della sua tenuta, gli intenti di Hoven erano più pratici: gli servivano alberi per proteggere la sua tenuta di Woestduin dall'avanzata delle dune di Heemstede-Volenzang. Qui grazie ai semi ottenuti da Thunberg piantò molti Pinus, Abies, Cupressus, Cedrus e Juniperus. Al rientro di Thunberg in Olanda, gli versò come compenso 128 ducati d'oro. Certamente i soldi non gli mancavano: qualche anno prima aveva pagato 3050 fiorini al progettista di giardini Adriaan Snoek per il progetto di una "ciotola" nella duna, quella appunto dove sarebbero stati piantati gli alberi di Thunberg. Versò inoltre 3500 fiorini a un certo Hendrik Horsman per la fornitura di materiale vegetale e la costruzione di un viale. Dato che il tracciato di quest'ultimo sostituiva vecchi percorsi attraverso le dune, versò anche consistenti somme come compenso ai poveri dei villaggi di Vogelenzang e Overveen. Il più interessante e noto del gruppo è però Jean (anche Joan o Johannes) Deutz (1743-1784); molto più giovane dei compagni di cordata, anch'egli apparteneva a una famiglia molto influente che si era arricchita con il commercio delle spezie, del tabacco e del vino e aveva raggiunto l'apice verso la metà del XVII secolo quando si era imparentata con il Grande pensionario de Witt e aveva ottenuto il monopolio della vendita del mercurio austriaco in Europa. Il nostro Jean era un avvocato e anche lui sedeva nel consiglio di Amsterdam e fu direttore della Società del Suriname; aveva rapporti di affari e vicinato con gli altri (come quella di Poll, la sua tenuta di campagna Roos-en-Beek, si trovava a Velsen), ma i suoi interessi per la botanica erano più ampi, tanto che chiese a Thunberg di procurargli "tutti i semi e le piante essiccate possibili". Si considerava un botanico dilettante, corrispondeva con il governatore della Colonia del Capo Hendrik Swellengrebel e con Joseph Banks ed era membro di varie società scientifiche. A questo proposito va sottolineato che nel Settecento in Olanda ne esistevano molte, e i loro membri, più che professionisti, erano colti dilettanti come appunto Deutz. Come i due Burman e il botanico Maarten Houttuyn, che avrebbe pubblicato alcune delle piante inviate da Thunberg, faceva parte della Società olandese delle scienze (De Hollandsche Maatschappij der Wetenschappen), all'epoca un ristretto club di gentiluomini che si riuniva nell'aula municipale di Harleem per discutere di argomenti scientifici e promuovere lo studio delle scienze e delle arti. Deutz ne divenne direttore nel 1778 e nel 1781, su sua richiesta, vi venne ammesso anche Thunberg. Subito dopo nel bollettino della società venne pubblicato un suo articolo con i dati metereologici raccolti in Giappone e nel 1782, sempre su istanza di Deutz, un suo articolo sulle palme (nella traduzione olandese di Houttuyn) che contiene la prima descrizione valida di Cycas revoluta. Houttuyn si lamentò della fatica che gli era costata decifrare la minutissima grafia di Thunberg, ma ne fu ricompensato con la dedica del genere Houttuynia, di cui parleremo un'altra volta. Come abbiamo già visto parlando di Poll, Deutz era anche membro della Società per l'avanzamento dell'agricoltura, anch'essa all'epoca un club esclusivo con meno di trenta membri; sempre nel 1781 e ancora su sua proposta vi fu ammesso anche Thunberg come membro onorario. Due dediche doverose: Pollia e Hovenia Nel suo Flora japonica, pubblicato nel 1784, oltre a porre l'opera sotto l'egida di tutti i suoi sponsor olandesi, Thunberg riservò a tre di loro anche la dedica di un genere. Abbiamo già visto per quali ragioni Temminck fu escluso; quanto ai Burman, ci aveva già pensato Linneo con il genere Burmannia. Per van der Poll, ten Hoven e Deutz il botanico svedese scelse tre piante giapponesi, all'epoca le uniche specie note dei rispettivi generi Pollia, Hovenia e Deutzia. La dedica a Poll è la più laconica, praticamente l'assolvimento di un dovere: "Ho dato il nome in onore del sommo patrono J. van der Poll, meritevolissimo console di Amsterdam". Per lui, che come sappiano era soprattutto interessato ad arbusti e piante da fiore per il suo giardino, Thunberg scelse una bella erbacea perenne nativa del Giappone (ma anche della Cina e del Sud-est asiatico), Pollia japonica. Oggi a questo genere della famiglia Commelinaceae sono attribuite una ventina di specie distribuite principalmente nelle zone tropicali del vecchio mondo, con un solo rappresentante nelle Americhe e qualche propaggine nell'Australia settentrionale. Di particolare interesse l'africana Pollia condensata, i cui frutti sono unici nel mondo vegetale: simili a biglie metallizzate blu profondo dai riflessi cangianti, nello strato esterno della buccia presentano nanocellule disposte ad elica in grado di catturare e riflettere la luce; nel buio delle foreste in cui vivono, è un richiamo irresistibile per gli animali che se ne ciberanno e ne disperderanno i semi. Appena più ampia, ma sulla stessa falsariga di quella di van der Poll, la dedica a ten Hoven: "Ho dato il nome in eterna memoria dell'ottimo mecenate David ten Hoven, Consigliere e commissario della città di Amsterdam". Coerentemente ai suoi interessi, Thunberg gli dedicò un albero Hovenia dulcis: una scelta azzeccatissima se consideriamo non solo la bellezza di questa specie, ma anche la sua grande rusticità, che forse l'avrebbe resa adatta anche al consolidamento delle dune del Mare del Nord. In Giappone egli probabilmente aveva potuto apprezzarne anche i frutti, in realtà i piccioli fiorali ingrossati, che con la loro dolcezza vengono usati nelle insalate di frutta per attenuarne l'acidità. Oggi è la più nota e diffusa delle quattro specie del genere Hovenia (famiglia Rhamnaceae), esclusivamente presente nell'Asia orientale. Una Deutzia per un patrono speciale Per Thunberg, ricordare con un genere botanico i suoi sponsor van der Poll e ten Hoven era un debito d'onore che in fondo sbrigò con una frase di circostanza; ma la riconoscenza che doveva a Deutz, che dopo il suo ritorno in Olanda si era dato da fare per lanciare la sua carriera scientifica, era assai maggiore. Per notarlo, basta leggere la dedica: "Questo albero vogliamo, dobbiamo consacrare al cultore di scienze naturali e massimo e benevolentissimo patrono dei suoi cultori J. Deutz, consigliere della città di Amsterdam, che a lungo è stato assai meritevole membro e degnissimo presidente di diverse società scientifiche". Vogliamo, dobbiamo: è un dovere che corrisponde al più profondo e spontaneo moto del cuore. Dunque per Deutz scelse una pianta di cui non gli sfuggiva la bellezza: Deutzia scabra, coltivata da secoli nei giardini giapponesi per le abbondanti fioriture candide e profumate. Non poteva sapere che in tal modo avrebbe eternato il nome di Deutz come patrono di un genere cui appartengono alcuni dei più diffusi arbusti da giardino. All'unica specie a lui nota, se ne sono via via aggiunte altre e oggi Deutzia (famiglia Hydrangeacae) è un grande genere con oltre settanta specie; ha distribuzione disgiunta: da una parte il Giappone e l'Asia orientale, dall'altra l'America centrale. Il loro successo come piante da giardino è relativamente recente: è stato notato che due terzi delle specie sono state scoperte solo nel Novecento. La prima ad essere nota in Europa fu proprio D. scabra; era già stata segnalata da Kaempfer e fu decritta appunto da Thunberg; nel 1812 l'ispettore della Compagnia delle India John Reeves - lo stesso che portò la prima Wisteria chinensis in Europa - inviò in Inghilterra questa specie (o più probabilmente la cinese D. crenata), che però fu coltivata in serra e non prosperò. Per la vera introduzione bisogna attendere gli anni '30 e Siebold che riportò dal Giappone D. scabra, D. crenata e D. gracilis. Verso il 1860, Robert Fortune raccolse in Cina una forma doppia di D. crenata (solitamente confusa con D. scabra, che però è endemica del Giappone). Intorno al 1880, molte nuove introduzioni dalla Cina si devono ai missionari francesi che, per integrare le magre entrate delle missioni, inviavano i loro semi alla ditta Vilmorin; il raccoglitore più prolifico fu padre Delavay che introdusse tra le altre D. purpurascens. Questi nuovi arrivi incoraggiarono gli esperimenti del grande ibridatore Lemoine, che intorno al 1891 iniziò un serrato programma di ibridazioni destinato a cambiare la storia della Deutzia: ancora oggi buona parte degli ibridi orticoli che fioriscono nei nostri giardini continuano ad essere quelli creati da lui tra il 1891 e il 1911 oppure dai suoi discendenti tra le due guerre. La moda però stava cambiando, e dopo la seconda guerra mondiale le deuzie incominciarono ad essere sentite come sorpassate e demodé; le si accusava in particolare di presentare pochi motivi di interesse terminata la fioritura. La situazione è di nuovo cambiata nel tardo Novecento, con l'introduzione di nuove specie e la selezione di cultivar più compatte e più adatte ai nostri piccoli giardini. Ne fa senz'altro parte la varietà oggi più coltivata, la nana Deutzia gracilis 'Nikko'. Per una storia più dettagliata degli ibridi e una selezione di specie si rinvia alla scheda. Tra gli amici olandesi di Linneo, Johannes Burman merita un posto speciale: quasi suo coetaneo, fu il primo a fare la sua conoscenza e il primo a garantirgli un lavoro e ad ospitarlo a casa sua. Ma la loro amicizia non fu senza ombre: nacque con il piede sbagliato e poi si interruppe a lungo, per un motivo che oggi a noi pare futile. Poi ricominciò e non mancarono i riconoscimenti reciproci: Burman fu tra i primi ad adottare le denominazioni linneane e a utilizzare il suo sistema nelle aiuole didattiche dell'orto botanico di Amsterdam; si spinse fino a mandare suo figlio a studiare in Svezia (dopo che per generazioni gli aspiranti medici e botanici svedesi avevano fatto il contrario). Linneo gli riconobbe giustamente il merito di aver dato alle stampe ricerche e opere che senza di lui rischiavano l'oblio. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica (che senza la biblioteca di Burman non sarebbe mai stata scritta) lo ricordò con il curioso genere Burmannia. Antefatti: successi e disavventure del giovane Linneo Nel 1733, il ventiseienne Linneo trascorse le vacanze di Natale a Falun, ospite della famiglia di uno dei suoi amici e allievi, Claes Sohlberg. Il padre era ispettore minerario e gli fece conoscere un giovane teologo appassionato di scienze naturali, Johannes Browallius, che a sua volta lo introdusse presso il governatore della Dalarna, Niels Reuterholm, dei cui figli era precettore. Reuterholm fu così colpito dal racconto della spedizione di Linneo in Lapponia da commissionargliene una analoga nella Dalarna settentrionale. Il viaggio sarebbe avvenuto nell’estate successiva, quando Linneo percorse oltre ottocento km in compagnia di sette dei suoi migliori studenti. A Falun egli incontrò anche l'amore, nelle vesti di Sara Lisa Moraea, la figlia diciassettenne del medico cittadino Johan Moraeus; quando la chiese in sposa, il dottore fu chiaro: prima di poter parlare di matrimonio, il giovanotto doveva essere nelle condizioni di mantenere la famiglia, quindi doveva laurearsi, e per farlo (all’epoca nessuna università svedese conferiva la laurea in medicina) doveva andare all’estero. D’altra parte, la situazione a Uppsala per Linneo si era fatta difficile. Egli era privo sia di mezzi sia di titoli accademici e doveva la sua posizione di simil-assistente al favore del suo maestro, Olaus Rudebeck il Giovane. Quando era ancora uno studente del secondo anno, quest'ultimo lo aveva accolto a casa sua e lo aveva nominato dimostratore di botanica. Linneo era un insegnante nato e le sue lezioni suscitarono l'entusiasmo degli studenti e l'invidia dei suoi detrattori. Il più accanito era Nils Rosén (1706-1773), che prima dell'arrivo di Linneo era stato l'assistente di Rudbeck che l'aveva spedito in Olanda a laurearsi. Dopo aver studiato per quattro anni a Leida con grandissimi maestri, questo giovane medico brillante (che più tardi sarebbe stato salutato come padre della medicina pediatrica), al suo rientro in patria nel novembre 1731 scoprì che il "cuculo Linneo" aveva occupato il suo nido; inizialmente, fece buon viso a cattivo gioco: come assistente dell'altro professore di medicina, Lars Roberg, tenne le letture di anatomia e medicina pratica e seguì anche le lezioni di botanica del suo rivale. Ma contemporaneamente, cercò di scalzarlo dal suo incarico. Infine, nel 1734 riuscì a convincere il senato accademico a vietargli di fare lezione, in quanto privo di laurea. Colmo di rabbia, Linneo l'assalì spada alla mano; fu trattenuto dagli amici e la cosa finì lì, ma le autorità accademiche furono costrette a espellerlo dalla città. Insomma, era ora di cambiare aria. Così, quando Sohlberg padre gli propose di accompagnare il figlio in un viaggio di studio in Olanda, non esitò ad accettare. Nei bagagli, mise i manoscritti delle sue opere, il tamburo e il costume lappone, e nell’aprile 1735 partì insieme a Claes. In programma, aveva non solo di laurearsi, ma di far conoscere il suo sistema in Europa. Un'amicizia nata con il piede sbagliato Via Amburgo - dove Linneo aveva trovato modo di suscitare le ire del borgomastro, come ho raccontato in questo post - i due amici arrivarono ad Amsterdam il 2 giugno. Immediatamente Linneo, cui non mancava la faccia tosta, andò a presentarsi a Johannes Burman (1706-1779) che, sebbene avesse solo un anno più di lui, da quattro anni era già professore di botanica e direttore dell'orto botanico. Intendeva mostrargli le sue opere, in particolare quella che diventerà Systema naturae, convinto che l'avrebbe conquistato all'istante. Arrogante e pieno di sé, lasciò invece a Burman una pessima impressione. La seconda tappa olandese di Linneo fu Harderwijk, un diplomificio che concedeva la laurea con notevole facilità. Per sbrigare le formalità e presentare la tesi (ce l’aveva già pronta in valigia) gli bastarono due settimane. Il 23 giugno fu proclamato dottore. Subito dopo, andò a Leida dove visitò l’orto botanico e seguì qualche lezione; i soldi stavano rapidamente finendo e stava per rassegnarsi a tornare in Svezia quando incontrò Jan Frederik Gronovius. Anche a lui mostrò Systema naturae e Gronovius ne fu così entusiasta da finanziarne la pubblicazione. Inoltre lo presentò all'illustre professor Boerhaave; ormai anziano e malato, dopo aver diretto per più di vent'anni l'orto botanico di Leida e aver formato generazioni di medici (incluso Burman) si era ormai ritirato, ma continuava ad esercitare un'autorità indiscussa e a riunire intorno a sé un circolo di studiosi più giovani. Linneo gli fece visita più volte nella sua bella casa di campagna Oud Poelgeest, affascinò anche lui con il racconto delle sue imprese lapponi e ne ottenne una lettera di presentazione per Johannes Burman. Munito di credenziali tanto indiscutibili, circa un mese dopo la prima sfortunata visita, Linneo si presentò di nuovo alla porta di Burman che pensò che forse era stato precipitoso a giudicarlo male; lo mise alla prova chiedendogli di identificare una pianta difficile. Sì, lo svedese di piante si intendeva davvero. Era l’assistente di cui aveva bisogno per completare il suo libro sulla flora di Ceylon: Burman, l'astro nascente della botanica olandese, era infatti impegnato nella prima delle sue imprese editoriali: la pubblicazione dell'erbario singalese di Hermann. Per sei settimane, i due nuovi amici lavorarono fianco a fianco nella fornitissima biblioteca del colto e facoltoso Burman, che abitava in una bella casa affacciata sul prestigioso Keizersgracht. Linneo vi poté attingere liberamente per Biblioteca botanica e Fundamenta botanica e in cambio diede un valido aiuto per identificare, catalogare e descrivere le piante singalesi. Il 13 agosto i due si concessero una gita fuori porta: Burman portò Linneo a visitare De Hartekamp, forse il più bel giardino d'Olanda, di proprietà del ricchissimo George Clifford. Come ho raccontato in questo post, fu così che Linneo trovò un nuovo protettore e Burman accettò di separarsi da lui in cambio di una copia di History of Jamaica di Hans Sloane. Alla fine di settembre Linneo si trasferì a Hartekamp e Burman dovette continuare il lavoro da solo (ma le sue visite a Hartekamp erano frequenti e la corrispondenza fitta) e a settembre terminò la redazione di Thesaurus zeylanicus (pubblicato all’inizio del 1737) in cui descrisse alcune centinaia di piante, elencate in ordine alfabetico e illustrate con 110 calcografie. In un'appendice pubblicò anche i cataloghi delle specie raccolte in Sud Africa da Hermann e da Oldenland e Hartog, raccoglitori dell'orto botanico della VOC a Table Bay. A questo punto, come scrisse a Linneo, lo attendeva un compito che considerava un dovere morale: dare finalmente alle stampe l’Herbarium amboinense di Eberhard Rumphius. Un’impresa enorme, considerando che il grande cieco di Ambon aveva descritto e in gran parte disegnato non meno di 1200 specie. Il primo ostacolo fu convincere la VOC a consegnargli il manoscritto e permettergli di pubblicarlo: l'ubicazione delle piantagioni era un segreto di stato. Più difficile ancora trovare un editore e tanto meno incisori non troppo esosi. Nel 1736 Linneo si sdebitò dedicando Bibliotheca botanica al "celeberrimo e espertissimo dr. Johannes Burman, professore di botanica dell'organizzatissimo orto botanico di Amsterdam"; fu ancora suo ospite prima di lasciare definitivamente l'Olanda nel 1737. Spiace dire che poco dopo i contatti tra i due si interruppero. Sembra che Burman fosse arrabbiato con Linneo (che aveva ospitato, mantenuto e introdotto negli ambienti scientifici) perché non gli aveva mai inviato le piante lapponi che gli aveva promesso. Per circa quindici anni, i due permalosi botanici non si scrissero più, finché riallacciarono i contatti intorno al 1753 (il fatidico anno di uscita di Species Plantarum). Anche per Burman erano stati anni pieni. Nell'attesa di poter mettere mano a Herbarium amboinense, scrisse un libro sulle piante sudafricane, Rariorum Africanarum Plantarum, basato soprattutto sulla collezione di Nicolaes Witsen, un altro collezionista e magnate della VOC. Nel 1739, trovato finalmente un editore disposto a correre il rischio, si accinse all'edizione di Herbarium amboinense, un lavoro che lo avrebbe impegnato per sedici anni: il primo volume uscì nel 1741, seguito da altri cinque a intervalli variabili fino al 1750, con un’appendice (Auctarium) nel 1755. Ricordo che, passato attraverso vicende incredibili, il grande libro di Rumphius, a causa della cecità di quest'ultimo, era stato un gran parte dettato in olandese a diversi collaboratori che non conoscevano il latino; quindi Burman dovette tradurlo e dargli una veste linguistica omogenea. Tra il 1755 e il 1760 fu la volta di Plantarum Americanarum, basato sul manoscritto inedito e sui disegni di Charles Plumier. La sua ultima fatica fu un rifacimento dell’indice di Hortus malabaricus con i nomi linneani (1768). Nel 1755 Burman aveva aggiunto ai suoi doveri l'insegnamento della botanica all'Atenaeum illustre e aveva ormai ripreso a corrispondere regolarmente con Linneo, con reciproco giovamento anche per le collezioni degli orti botanici di Uppsala e Amsterdam. Nel 1760 - una scelta che ha il valore di un passaggio di testimone - decise di mandare a studiare a Uppsala suo figlio Nicolaas Laurens (1734-1793), l’unico allievo olandese di Linneo. Egli avrebbe seguito le orme del padre, pubblicando un’opera generale sulla flora tropicale, Flora Indica, e la monografia Specimen botanicum de geraniis. I due Burman divennero in un certo modo i custodi e diffusori dell'opera di Linneo nei Paesi Bassi: furono tra i primi ad aderire alla nomenclatura e al sistema linneano, Johannes a partire dall’appendice di Herbarium amboinense, Nicolaas Laurens per tutte le sue opere; per loro impulso, le aiuole didattiche dell’orto botanico di Amsterdam furono risistemate seguendo il sistema del grande svedese. E come Johannes aveva lanciato la carriera di Linneo, trentacinque anni dopo padre e figlio furono i protettori e i mecenati di Carl Peter Thunberg, cui procurarono l'ingaggio come medico della VOC che gli avrebbe permesso di diventare il padre della botanica sudafricana e giapponese. Un genere tropicale per uno specialista di tropicali Johannes Burman è dunque un tipico "botanico da scrivania" il cui grande merito non sta né nelle ricerche sul campo né nell'originalità del pensiero, ma nell'aver messo in circolazioni ricerche e opere altrui che rischiavano di andare sepolte nell'infinito cimitero dei capolavori della botanica mai stampati. Botanico rigoroso con un'ottima preparazione filologica e un'eccellente conoscenza del mondo editoriale, era uno specialista di piante esotiche, quelle stesse che l'orto botanico di Amsterdam, da lui egregiamente diretto per quasi quarant'anni, contribuì più di ogni altro ad acclimatare e diffondere in giardini e piantagioni. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica, già in Hortus Cliffortianus Linneo aveva istituito in suo onore il genere Burmannia, proprio in riconoscimento (e in auspicio) dei suoi meriti editoriali: aver dato alle stampe «con sommo studio e dottrina non mediocre» la prima flora di Ceylon e accingersi a fare lo stesso con l’immenso Herbarium amboinicum, un’impresa che, se gli fosse riuscita, gli avrebbe guadagnato la riconoscenza di tutti i botanici. Linneo avrebbe poi confermato il genere in Species Plantarum; Burmannia dà il nome a una famiglia propria (Burmanniaceae), di cui è il genere più cospicuo; comprende una sessantina di piante erbacee, diffuse nelle aree tropicali e subtropicali tutti i continenti, con massima area di diversità tra Asia sud-orientale e Australia. Di collocazione tassonomica incerta (un tempo era avvicinato alle orchidee, ora si pensa sia più prossimo alle Dioscoreales), sono monocotiledoni con foglie a rosetta e curiosi fiori con i tepali disposti su due giri, quelli esterni più grandi e vistosi, quelli esterni spesso ridotti e minuscoli. Alcune specie sono fotosintetiche, altre sono saprofite che traggono nutrimento delle micorrize di alcuni funghi; queste ultime sono dunque prive di clorofilla e hanno foglie ridotte a scaglie: è un adattamento ai terreni molto poveri e umidi in cui vivono. Qualche approfondimento nella scheda. Negli anni '70 del Settecento, il dottor Fothergill era il medico più quotato e più pagato d'Inghilterra. Quacchero, usava i suoi ingenti guadagni per opere di bene, ma anche per togliersi qualche capriccio: primo fra tutti un giardino che, a sentire Banks, era superato per ricchezza di piante esotiche solo dai giardini reali di Kew. Indaffaratissimo, il dottore non aveva tempo per occuparsene di persona, ma aveva al suo servizio uno stuolo di giardinieri, senza parlare dei cacciatori di piante che sguinzagliava ai quattro angoli del mondo. Così, secondo il suo biografo, nel giardino di Upton il circolo polare artico si incontrava con l'equatore. A ricordarlo, il genere nordamericano Fothergilla, dedicatogli da Linneo in riconoscimento dei suoi molti meriti come patrono del giardinaggio britannico. Strade nuove per la medicina Meno noto di altri parchi londinesi, il West Ham Park è un vasto parco situato nel borgo di Newham, uno dei quartieri nordorientali della "Grande Londra". Oltre a un roseto, ospita un importante arboreto con la collezione nazionale di Liquidambar. Un esemplare storico di Gingko biloba, piantato nel 1763, sta a testimoniare che nel XVIII secolo qui c'era un giardino che fu definito il "secondo per importanza dopo Kew". Era il parco di Upton House, una elegante casa di campagna che, dopo essere passata attraverso varie mani ed essere stata ribattezzata Ham House, fu demolita nel 1872. Poco dopo il parco passò alla città di Londra che ancora lo gestisce. A far piantare quell'albero a lato della casa (lo mostra chiaramente la deformazione della chioma) era stato il celebre John Fothergill (1712-1780) che l'anno prima aveva acquistato la proprietà con i proventi della sua fortunata carriera di luminare della medicina. Fothergill, uno dei numerosi figli di un fattore e predicatore quacchero, nacque nel 1712 nella fattoria di famiglia, chiamata Carr End, presso Bainbridge nello Yorkshire. Forse furono i racconti del padre, che in gioventù aveva visitato più volte le colonie americane per conto dei fratelli quaccheri, a fargli sognare ed amare la natura esotica. A sedici anni fu collocato come apprendista presso un altro fratello quacchero, un farmacista di Bradford che era anche libraio e incoraggiò il suo amore per lo studio. Fothergill avrebbe voluto iscriversi all'università, ma i dissidenti religiosi non erano ammessi negli atenei inglesi. Così si immatricolò ad Edimburgo per seguire i corsi di farmacia; ma fu notato dal celebre professore di anatomia Monro I che lo convinse a passare a medicina. Tra i suoi condiscepoli Alexander Russell, che sarebbe rimasto suo intimo amico per tutta la vita. Durante gli anni di Edimburgo Fothergill approfondì la conoscenza del latino e perfezionò un metodo basato sull'analisi e il confronto tra le "autorità" e i casi reali. Nel 1736 si laureò con una tesi sugli emetici e si trasferì a Londra per il praticantato presso l'ospedale St Thomas, dove studiò per due anni con un altro professore eminente, sir Edward Wilmot. Nell'estate del 1740, in compagnia di alcuni amici facoltosi, visitò l'Olanda, il Belgio, la Germania e la Francia, quindi si stabilì a Londra. Come laureato a Edimburgo, non aveva la licenza per praticare in Inghilterra e dovette dedicarsi all'assistenza dei più poveri: un'esperienza che gli permise di crearsi una reputazione di medico abile, gentile e caritatevole. Egli stesso più tardi avrebbe commentato: "Mi sono arrampicato sulle spalle dei poveri fino alle tasche dei ricchi". Nell'ottobre del 1744 fu il primo laureato di Edimburgo ad essere ammesso al Royal College of Physicians di Londra; poté così esercitare legalmente e aprire uno proprio studio. Quello stesso anno tenne la sua prima conferenza alla Royal Society, dedicata a un argomento allora inedito: la respirazione bocca a bocca. Da quel momento la sua reputazione non fece che crescere, come dimostrano le varie istituzioni mediche e scientifiche che lo accolsero tra i propri membri: il Collegio di medicina di Edimburgo (1754), la Royal Society (1763), l'American Philosophical Society (1770), la Reale società di medicina di Parigi (1776). Tra il 1746 e il 1748 Londra fu colpita da un'epidemia di scarlattina. Fothergill riuscì a salvare molti pazienti abbandonando le inutili cure tradizionali, basate su salassi e purganti, e trattandoli con vino, minerali acidi attenuati e blandi emetici. Frutto di questa esperienza fu Account of the Sore Throat Attended with Ulcers, che contiene anche una delle prime descrizioni della difterite. Nel 1748-49, allo scoppio di un'epidemia di peste bovina, raccomandò di isolare gli animali infetti e di sospendere mercati e fiere fino all'eradicazione del contagio. Era anche un deciso sostenitore dell'inoculazione del vaiolo, per la quale fu consultato persino dalla zarina Caterina II. Nel 1773, in Affection of the Face, fu il primo a identificare e battezzare la nevralgia del trigemino. Ormai era un medico alla moda, il più conteso da nobili pazienti e il meglio pagato di Londra. Si dice che negli anni '70 lavorasse anche venti ore al giorno, guadagnando la somma allora enorme di 5000 sterline l'anno (equivalente a 700.000 sterline di oggi). Durante l'epidemia di influenza del 1774-75 giunse a visitare sessanta pazienti al giorno. Era anche un filantropo, impegnato in molte battaglie civili. Si batté per la riforma delle carceri, presentò una proposta per l'istituzione di bagni pubblici, finanziò la pubblicazione della cosiddetta "Bibbia quacchera" e la fondazione della Ackworth School nello Yorkshire, destinata ai bambini della comunità quacchera. Amico di Benjamin Franklin, finanziò la pubblicazione dei suoi scritti sull'elettricità, di cui scrisse la prefazione; come membro della comunità quacchera, oltre che con Franklin era in contatto con altri correligionari delle colonie, della cui situazione era ben informato e che visitò a più riprese. Un altro dei suoi amici era l'abolizionista e educatore di Filadelfia Anthony Benezet. Nel 1775, dopo il Boston Tea Party, insieme a Franklin e David Barclay elaborò una proposta conciliatrice che però cadde nel vuoto. A questo punto, fu uno dei firmatari della petizione presentata al re dai quaccheri per caldeggiare un accordo pacifico. Il giardino dove il circolo polare incontra l'Equatore Tra tanti impegni professionali e sociali, Fothergill trovava ancora incredibilmente tempo per coltivare gli studi naturalistici, una passione diffusa tra i fratelli quaccheri, cui erano vietati divertimenti più mondani come il gioco, il teatro o i balli. Collezionava minerali, insetti e conchiglie, finché grazie a un confratello scoprì le piante. Come scrive egli stesso in una lettera a Linneo del 1774, si trattava del mercante Peter Collinson che lo convinse a investire una parte dei suoi guadagni nella creazione di un giardino botanico. Deciso a fare le cose in grande, nel 1762, Fothergill acquistò una proprietà di una trentina di acri nei pressi di Stratford, che all'epoca faceva parte della contea dell'Essex. Fece ampliare la casa, ribattezzata Upton House, e negli anni successivi estese la superficie della proprietà fino a 60 acri (24 ettari). Immediatamente mise mano alle sue vaste risorse finanziarie e alla rete di amici e corrispondenti per creare un giardino raffinatissimo, sul quale Banks si espresse in questi termini: "Secondo me, nessun altro giardino europeo, appartenga a un reale o un privato, è così ricco di piante rare e preziose. E' secondo solo a Kew per attrarre visitatori dall'estero". Per riuscire in tanta impresa, Fothergill affrontò "spese raramente sostenute da un singolo individuo. [...] si è procurato da ogni parte del mondo un gran numero delle piante più rare, e le ha protette negli edifici più grandi che il paese abbia mai visto". Nella mappa dell'Essex, disegnata nel 1777 da Chapman e André, Upton compare come un giardino recintato di 5 acri (2 ettari) circondato da un parco alberato. Più tardi (Fry, History of the Parishes of East and West Ham, 1888) fu descritto così: "Un canale tortuoso, a forma di mezzaluna, divideva il giardino in due parti, aprendosi occasionalmente su arbusti esotici rari. Dalla casa una porta a vetri dava accesso a una successione di serre fredde e calde, che si estendevano per quasi 260 piedi [circa 80 metri] e contenevano oltre 3400 diverse specie esotiche. All'esterno, in piena terra c'erano quasi 3000 specie diverse di erbacee e arbusti". Tra le piante coltivate all'aperto, c'erano moltissime specie di perenni da fiore, gruppi di arbusti e molti sempreverdi che rendevano il giardino interessante anche d'inverno, alberi rari provenienti per lo più dall'America settentrionale ma anche dalle Antille, dal Levante, dall'India e dalla Cina. Fothergill fece anche allestire uno dei primissimi giardini rocciosi, che forse precede quello di Chelsea (1773). Il fiore all'occhiello erano però le grandiose serre, dove aranci e mirti fiorivano liberamente e c'era addirittura un esemplare di tè (Camellia sinensis) che gli fu spedito dalla Cina nel 1769; trapiantato all'esterno, ma protetto d'inverno con una serra mobile e stuoie, fiorì per la prima volta nel 1774 (una novità assoluta in Europa) e raggiunse la ragguardevole altezza di 20 metri. Con una vita professionale tanto intensa, Fothergill riusciva a godersi il giardino solo occasionalmente, rubando qualche ora ai suoi pazienti. Lo affidò alle abili cure di un esercito di 15 giardinieri; tra i suoi protetti, c'erano anche quattro pittori, incaricati di immortalare le piante più rare in acquerelli su pergamena. Uno di loro era Sidney Parkinson, l'artista del primo viaggio di Cook. Ma per lui lavorarono anche artisti rinomati come Ehret e Miller. Alla sua morte, una collezione di 2000 dipinti su pergamena fu acquistata da Caterina II ed è stata solo recentemente ritrovata in un museo di San Pietroburgo. Egli aveva anche un'ampia biblioteca e un erbario di circa 600 esemplari, diversi dei quali testimoniano la prima introduzione in Europa di specie esotiche; dopo la sua morte fu acquistato da Joseph Jekyll, il nonno di Gertrude Jekyll, ed ora è custodito nel Garden Museum di Londra. Ovviamente, il primo fornitore di Fothergill fu l'amico Collinson, che lo coinvolse nelle sottoscrizioni delle "scatole di Bartram". Anche John Bartram era quacchero e presto instaurò una corrispondenza diretta con Fothergill che dopo la morte di Collinson nel 1768 finanziò per diversi anni le spedizioni di suo figlio William. Cospicue furono anche le raccolte di Humphrey Marshall, pure lui quacchero e cugino dei Bartram, che in cambio ricevette denaro e strumenti scientifici, tra cui un telescopio, un barometro e un microscopio. Diverse piante del Levante gli arrivarono dall'amico Alexander Russell che, come ho raccontato qui, gli inviò tra l'altro i semi del primo Arbutus andrachne a fiorire in Inghilterra. Stabilì contatti con viaggiatori e capitani di marina e fu direttamente coinvolto dall'amico Joseph Banks nel primo viaggio di Cook (1768-1771); come ho anticipato, il pittore ufficiale era il suo protetto Sidney Parkinson, che purtroppo vi trovò la morte. Stessa sorte toccò al suo servitore Thomas Richmond, che accompagnava Banks come aiutante di campo, e morì di ipotermia nella Terra del fuoco. Nel 1771, insieme a Banks appena rientrato dai mari del sud ed una cordata di altri collezionisti, inviò in Sierra Leone Henry Smethman e Andreas Berlin alla ricerca di insetti e piante; dall'Africa, gli inviò piante anche William Brass, uno dei raccoglitori di Banks. Nel 1775 si associò con il collega Robert Pitcairn, presidente del Royal College of Physician, per inviare Archibald Menzies a esplorare le montagne dell'Europa centrale. Per i suoi raccoglitori (i primi ad essere finanziati da un privato e non da un sovrano o da un orto botanico) Fothergill redasse anche sintetiche istruzioni (Directions for Taking Up Plants and Shrubs and Conveying them by Sea); raccomanda loro di preferire piante alte circa un piede, raccolte con un buon pane di terra; per i lunghi viaggi, devono essere sistemate in scatole lunghe quattro piedi, profonde e alte due; quando la scatola è piena a metà, deve essere trasportata a bordo della nave e racchiusa in una fitta rete sostenuta da archetti, in modo da tenere lontani topi di bordo e altri animali; devono essere assicurate la massima pulizia e una eccellente ventilazione. Il capitano va però avvertito dei pericoli della salsedine e in caso di cattivo tempo, bisogna provvedere a una copertura con un canovaccio. Ovviamente Fothergill era assiduo cliente dei più riforniti vivai britannici e scambiava piante con altri appassionati, come John Ellis. Fu tra i finanziatori del Gardener's Dictionary di Miller, alle cui abili mani talvolta affidava la moltiplicazione dei semi ricevuti dai suoi corrispondenti in giro per il mondo; lo stesso faceva con il non meno abile James Gordon. Dopo la morte di Fothergill nel 1780, gran parte delle piante vennero vendute all'asta (tranne ovviamente i grandi alberi del parco, qualcuno dei quali, come il Gingko biloba posto a fianco della casa, è arrivato fino a noi); buona parte delle tropicali furono acquistate da un altro medico collezionista, John Coakley Lettsom, un protetto di Fothergill che lo aveva aiutato a laurearsi e ad avviare la carriera. Lettsom gli dedicò una reverente biografia (Memoirs of John Fothergill, 1786) e elencò le piante tropicali del giardino nel catalogo Hortus uptonensis (ca. 1783). Nel ricordare commosso il giardino ormai scomparso del suo patrono, scrisse: "In quell'angolo fu creata una perpetua primavera, dove l'elegante proprietario talvolta si ritirava per qualche ora a contemplare i prodotti vegetali dei quattro quarti del mondo riuniti nella sua proprietà. Qui sembrava che il globo fosse stato alterato e che il Circolo polare artico si congiungesse con l'Equatore". Come Anamelis divenne Fothergilla Al dottor Fothergill è accreditata l'introduzione in Inghilterra di non meno di cento specie di piante, per lo più erbacee, anche se non manca qualche albero o arbusto. Tra questi ultimi, forse anche la specie che immortala il suo nome, Fothergilla gardenii. Sembra che il primo a raccoglierla sia stato un altro amico e corrispondente di John Bartram, il medico scozzese Alexander Garden, che ne parla in una serie di lettere a Linneo, a partire dal 1765. Il grande botanico svedese riteneva si trattasse di una nuova specie di Hamamelis, ma Garden, che aveva potuto confrontarla dal vivo con H. virginiana, pensava andasse attribuita a un genere a sé, che al momento egli battezzò provocatoriamente Anamelis (con alfa privativa: una non-Hamamelis). Per convincere Linneo, lo bombardò di lettere e gli inviò anche esemplari conservati sott'alcool. Linneo cedette solo nel 1773, con grande soddisfazione del medico scozzese che in una lettera del maggio di quell'anno commentò: "Sono veramente felice che questo elegantissimo arbusto, che io chiamavo Anamelis, abbia finalmente ottenuto il posto appropriato, perché mi addolorava molto che fosse costretto a schierarsi sotto bandiere altrui". Nella tredicesima edizione di Systema vegetabilium (1774) Linneo lo fece definitivamente felice immortalando insieme Fothergill, suo corrispondente al quale era grato per quanto aveva fatto a favore della scoperta di nuove piante, e il tenace scopritore. Fothergilla gardenii è una delle tre-quattro specie del piccolo genere Fothergilla (famiglia Hamamelidaceae) endemico degli Stati Uniti sud-orientali, dal Nord Carolina alla Florida; è un arbusto nano, meno diffuso nei nostri giardini di F. latifolia (per alcuni F. major), una specie montana originaria degli Allegheny. Spesso coltivati sono anche gli ibridi tra le due specie, noti come F. x intermedia, che in alcune cultivar hanno foglie blu polvere. Decidue, le Fothergillae in primavera prima di emettere le nuove foglie producono copiose fioriture di fiori bianchi crema privi di petali e con sepali ridotti, ma resi vistosi dai numerosissimi stami lunghi anche due o tre centimetri che si raggruppano in infiorescenze simili a folti piumini. In autunno tornano a dare spettacolo con le foglie che, prima di cadere, si tingono di rosso o arancio brillante. Altre informazioni nella scheda. Nel 1740, lo scozzese Alexander Russell prende servizio ad Aleppo come medico della stazione commerciale della Compagnia del Levante. Vi rimarrà 14 anni, stabilendo ottime relazioni con la variegata e multietnica comunità della città siriana e tutto osservando con occhio libero da ogni pregiudizio. Al suo ritorno in patria, scrive The Natural History of Aleppo. Il libro, improntato agli ideali illuministi, con la sua miriade di informazioni spesso di prima mano su zoologia, botanica, meteorologia, medicina e quella che oggi chiameremmo antropologia, desta un profondo interesse tra gli intellettuali europei e già nel 1760 gli guadagna la dedica del genere Russelia. Ma qui è impossibile non parlare anche del fratello minore Patrick. Di dodici anni più giovane, fin dal 1750 raggiunge Alexander ad Aleppo, quindi ne prende il posto e rimane in Siria per più di vent'anni, guadagnandosi l'unanime stima di locali ed europei. Come medico, studia l'inoculazione del vaiolo e le ricorrenti pestilenze che affliggono la città e diviene un grande esperto di malattie epidemiche e dei metodi per prevenirle. Tornato in patria nel 1771, nel 1781, rispondendo all'appello di un terzo fratello, Claud, lo raggiunge in India. Nel 1785, succede a Johann Gerhard König come naturalista della Compagnia delle Indie; importantissimi saranno i suoi contributi alla conoscenza della flora e della fauna indiane. Il principale frutto delle sue ricerche è An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel. Nel 1794 pubblica anche un'edizione rivista di Natural History of Aleppo. Un medico scozzese ad Aleppo Nel 1740, per prendere servizio come medico della stazione commerciale (factory) della Compagnia del Levante, giunse ad Aleppo lo scozzese Alexander Russell (ca. 1715-1768). Arrivava da Edimburgo, una città tutt'altro che provinciale, e conosceva Londra, ma non poté che innamorarsi di quella bellissima, ordinata, vivace e prospera città multietnica: "Le moschee, i minareti e numerose cupole formano uno splendido spettacolo, e i tetti piatti delle case situate sulle colline, sorgendo una dietro l'altra, presentano una successione di terrazze sospese, intervallate da cipressi e pioppi". Situata al crocevia tra la via della seta, che collegava l'Impero ottomano con la Cina attraverso l'Asia centrale e la Persia, e la via della spezie, che lo congiungeva con l'India attraverso lo Yemen e la penisola arabica, era la terza città più popolosa dell'Impero, dopo Istanbul e il Cairo. Nelle botteghe del suo suq, uno dei più vasti del mondo, accanto ai prodotti agricoli e ai manufatti locali, come il pregiato sapone d'Aleppo, era possibile acquistare prodotti d'ogni genere e di ogni provenienza: ceramiche e sete cinesi, tappeti e stoffe dell'Asia centrale, metalli persiani, pepe indiano, avorio africano, vetri veneziani. Luogo nevralgico delle strade commerciali che collegavano l'Oriente con i porti del Mediterraneo, fin dal Medioevo Aleppo era frequentata dai mercanti europei, che vi avevano creato empori o stazioni commerciali. Gli inglesi della Compagnia del Levante vi si erano stabiliti verso la fine del Cinquecento e ne avevano fatto la loro principale piazza commerciale. Commerciavano soprattutto tessuti: acquistavano sete persiane e vendevano panni di lana inglesi. Il momento d'oro era durato circa un secolo, ma quando Russell giunse ad Aleppo era già finito: il Mediterraneo e le vie di terra avevano perso la loro centralità rispetto alle rotte oceaniche che ora collegavano in modo diretto la Gran Bretagna con l'India o la Cina; le guerre tra la Russia e la Persia avevano interrotto il flusso delle merci persiane; la Russia stessa aveva aperto nuove vie commerciali che facevano concorrenza alla Compagnia. Mal gestita, sull'orlo della bancarotta, quest'ultima era ormai una realtà residuale, tanto che nel 1754 (per coincidenza, lo stesso anno in cui Russell lasciò la città) la corona le tolse il monopolio del commercio con l'impero ottomano, aprendolo al commercio libero. Ma nel 1740 si godevano ancora gli ultimi barlumi di prosperità. La Compagnia coordinava l'attività di una quarantina di mercanti, disponeva di magazzinieri, facchini, interpreti o dragomanni e di un piccolo staff costituito da un console (che all'occasione agiva anche come diplomatico), un viceconsole, un tesoriere, un cappellano e, appunto, un medico, alloggiati nel caravanserraglio Khan al-Gumruk. Quando arrivò ad Aleppo, Alexander aveva venticinque anni. Era il terzo figlio di un noto avvocato di Edimburgo, aveva ricevuto un'ottima educazione classica e tra il 1734 e il 1735, anche se non aveva conseguito la laurea, aveva seguito i corsi del prestigioso professore Alexander Monro primus, allievo di Boerhaave e esponente della "nuova medicina". Edimburgo era una città intellettualmente vivace, aperta al nuovo non solo nel campo medico, la culla dell'illuminismo scozzese i cui ideali sono ben riconoscibili anche in Alexander Russell: umanitarismo, convivialità sociale, tolleranza religiosa, apertura al diverso, fiducia nella ragione; i suoi maestri gli avevano trasmesso un metodo rigoroso basato sull'osservazione attenta, l'oggettività, la verifica empirica. Nel 1734 Alexander fu uno dei primi membri della Medical Society di Edimburgo; poi forse lavorò come praticante con uno zio chirurgo o come chirurgo navale; certo al suo arrivo ad Aleppo era un medico competente che seppe farsi apprezzare non solo dai dipendenti della Compagnia ma da clienti di ogni provenienza sociale e di ogni etnia e religione: franchi, ovvero europei, greci, turchi ottomani, armeni, ebrei, cristiani siriaci. Presto imparò l'arabo, che parlava fluentemente, e si fece una vasta clientela; era ben accolto in ogni ambiente e si guadagnò la stima di Mehmet Raghib Pasha, il governatore di Aleppo, che gli concesse di praticare la dissezione dei cadaveri e lo nominò medico capo. Nel 1742 in città scoppiò una delle ricorrenti epidemie di peste; Russell ne studiò i sintomi, ne ricercò le cure e le cause e prese a registrarne l'andamento in un diario. Era il primo nucleo di quella che sarebbe diventata Natural history of Aleppo: dagli argomenti propriamente medici, la sua attenzione si allargò al clima, agli animali selvatici e domestici, alle piante non solo medicinali, ai giardini, ai monumenti, agli abitanti, ai loro costumi, ai luoghi di ritrovo, ai commerci. In campo medico, il suo contributo più importante è lo studio della leishmaniosi, di cui diede la prima descrizione in Occidente. Tra gli animali descritti per la prima volta da Alexander, il criceto dorato Mesocricetus auratus, antenato di molti criceti di allevamento. Nel 1750 Alexander fu raggiunto dal fratellastro Patrick (1727-1805), fresco di laurea in medicina appena conseguita ad Aberdeen. Figlio della terza moglie del padre, gli era minore di dodici anni. Anche lui era allievo di Monro I, ma aveva potuto anche seguire i corsi di Francis Home, il primo professore di Materia medica a Edimburgo. Era un naturalista più completo di Alexander e, come quest'ultimo riconosceva apertamente, la sua competenza botanica era ben maggiore della sua. Grazie alla sua assistenza, che ne aveva anche alleggerito i compiti quotidiani, Alexander incominciò ad esplorare in modo più sistematico la flora dei dintorni di Aleppo, deciso a redigerne una lista completa. Delle raccolte botaniche dei due fratelli (Patrick ne ricavò un erbario) si giovarono anche gli amici londinesi, cui essi inviavano semi ed esemplari essiccati. Nel 1754 sulle montagne tra Aleppo e Lataika Alexander raccolse semi di Convolvolus scammonia, di cui inviò i semi a John Fothergill, suo condiscepolo ad Edimburgo e il più stretto dei suoi amici, insieme a una lettera in cui descriveva la pianta e i metodi di raccolta, più tardi pubblicata nella rivista della Medical Society di Londra. Si trattava infatti di una specie di notevole interesse medico, perché dalle sue radici si ricava una resina purgativa, nota come scammonea, che veniva esportata dalla Siria sotto forma di pani ed era soggetta a frequenti adulterazioni. Dopo il rientro a Londra, ne diede alcuni semi anche a John Ellis, che ne informò Linneo. Lo stesso anno raccolse semi del bellissimo corbezzolo greco Arbutus andrachne e ne inviò i semi sia a Fothergill sia all'amico comune Peter Collinson, che li seminarono nei loro giardini; Collinson li passò anche all'abile vivaista James Gordon, notoriamente infallibile nelle semine di arbusti. Il primo a fiorire fu l'esemplare coltivato nei giardini di Fothergill, dove nel 1766 Ehret lo immortalò. All'epoca Alexander si trovava già a Londra. Nel 1754 lasciò Aleppo e rientrò in Inghilterra, passando dall'Italia dove visitò i lazzeretti di Napoli e Livorno. Nel febbraio 1755 era a Londra dove, sollecitato da Fothergill, si dedicò alla preparazione per la stampa di The natural history of Aleppo, and parts adjacent; uscita nel 1756, l'opera era un bel volume in quarto arricchito dalle incisioni di vari artisti, tra cui Ehret e John Miller; in uno stile vivace e spontaneo, offriva una miriade di informazioni di prima mano che spaziavano dalla flora e la fauna al clima, dai monumenti cittadini ai caffè, dalla musica alla vita sociale delle diverse comunità aleppine, senza dimenticare ovviamente lo studio delle malattie epidemiche. Il libro ottenne un notevole successo e lo stesso anno Alexander fu ammesso alla Royal Society. Egli stesso ne era però insoddisfatto e pensava già a una seconda edizione; ma i crescenti impegni professionali e familiari glielo impedirono. Si sposò, ottenne la laurea formale all'università di Glasgow (sempre che non l'avesse conseguita in absentia mentre si trovava ad Aleppo), divenne consulente del governo per la prevenzione delle epidemie, nel 1760 fu ammesso al Royal College of Physicians e assunto come medico del St Thomas Hospital, un incarico che comportava anche l'insegnamento ai praticanti. Grande esperto di malattie epidemiche, che aveva affrontato senza paura durante gli anni di Aleppo, mettendo sempre il bene dei suoi pazienti al primo posto, fu egli stesso vittima di un'epidemia, quella di febbri putride che imperversò a Londra nel 1768. Medico e naturalista in Siria e in India Patrick era rimasto ad Aleppo e aveva preso il posto del fratello come medico della Compagnia del Levante. Abbiamo già visto che era un naturalista più completo del fratello maggiore; come lui era un gentiluomo amabile e un conversatore piacevole. Era dotatissimo per le lingue e si inserì presto nella società aleppina. Anche la sua competenza di medico non fece rimpiangere quella del fratello, anzi la superò. Il Pasha lo stimava tanto da permettergli di indossare il turbante, un simbolo di prestigio raramente concesso agli europei. Tra il 1760 e il 1762 la peste tornò a più riprese ad Aleppo; Patrick ne studiò attentamente le manifestazioni e introdusse metodi di prevenzione, come proteggere bocca e naso con un fazzoletto imbevuto d'aceto. Raccolse le sue osservazioni in un trattato sulla peste, che avrebbe pubblicato molti anni dopo. Ma i suoi interessi erano ancora più vasti di quello del fratello: la conoscenza approfondita dell'arabo gli permise di studiare i testi medici medievali, di raccogliere manoscritti, di interessarsi di letteratura e di musicologia. Sia per interesse personale, sia per contribuire alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, proseguì l'opera del fratello, continuando a raccogliere informazioni che inviava nelle sue lettere ad Alexander; due di queste lettere, rispettivamente sui terremoti in Siria e sull'inoculazione del vaiolo furono poi stampate nelle Transactions della Royal Society. Ad Alexander e ai corrispondenti londinesi inviava anche semi e esemplari di piante. I due fratelli non si sarebbero mai rivisti. Patrick infatti lasciò Aleppo solo nel 1771, rientrando in patria nel 1772, quattro anni dopo la morte di Alexander. Inizialmente pensava di stabilirsi ad Edimburgo, ma fu convinto da Fothergill a trasferirsi a Londra. Incominciò subito a lavorare alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, doveroso tributo alla memoria del fratello. Grazie a Fothergill, conobbe Banks e Solander che gli furono di grande aiuto per identificare le piante siriane e adeguarne la nomenclatura agli standard linneani. Nel 1777 anch'egli fu ammesso alla Royal Society. Ma prima che potesse terminare quel compito, lo attendeva un nuovo viaggio. Nel 1781 il fratello minore Claude, funzionario della Compagnia delle Indie, fu nominato amministratore capo della Compagnia a Visakhapatnam nella provincia di Madras. Non godendo di buona salute, gli chiese di accompagnarlo in India come suo medico. Anche se aveva già superato la cinquantina, Patrick accettò; durante il lungo viaggio in nave, portò a termine la revisione di Natural history of Aleppo e fu pronto per una nuova avventura. Nell'India meridionale, scoprì una flora e una fauna in gran parte inesplorate; strinse amicizia con Johann Gerhard König e incominciò a raccogliere animali e piante che inviava ai suoi corrispondenti londinesi; alla morte di König nel 1785, ne prese il posto come botanico e naturalista della Compagnia delle Indie. Imparò le lingue locali, incominciò a fare la spola tra le diverse sedi della Compagnia per raccogliere dai medici residenti "ogni genere di informazione sulle piante utili", mettendo insieme un erbario di 900 esemplari. Molte delle specie da lui raccolte sarebbero state pubblicate da Roxburgh (suo successore come botanico della Compagnia) in Plants of the Coast of Coromandel, di cui Russell scrisse la prefazione. Raccolse anche molti animali marini, ma come medico dovette soprattutto confrontarsi con il problema del morso dei serpenti. Incominciò a studiarli, alla ricerca di un metodo che permettesse di distinguere quelli letali da quelli innocui; ne esaminò le scaglie, la dentatura, sperimentò gli effetti dei loro morsi su cani, conigli e galline, verificò l'efficacia di possibili antiveleni. Fu così che conobbe e descrisse per la prima volta molti serpenti precedentemente ignoti alla scienza, tra cui quello che oggi porta il suo nome, la vipera di Russell Daboia russelii, una specie dal morso letale che ancora oggi in India causa ogni anno migliaia di vittime. Nel 1791, insieme a Claude e alla sua famiglia, Patrick ritornò definitamente a Londra per occuparsi della pubblicazione di varie opere, a cominciare dal trattato sulla peste A treatise of plague, uscito quello stresso anno. Nel 1794 fu la volta della seconda edizione di Natural history of Aleppo; anche se per rispetto della memoria del fratello apparve solo sotto il nome di Alexander e fu presentato come una semplice riedizione, in realtà si tratta di un libro in gran parte diverso. La prima parte del volume di Alexander, piuttosto caotica e frammentaria, si trasformò in un volume a sé, suddiviso in capitoli ben articolati; l'apparato di note e la bibliografia si arricchirono di fonti orientali e occidentali; molto argomenti furono trattati in modo molto più approfondito e il tono si fece decisamente più accademico. I vecchi nomi-descrizione prelinneani di Alexander, spesso ripresi dal Dictionary di Philip Miller, con la collaborazione di Banks e Solander vennero sostituiti con le denominazioni binomiali. Oltre ad essere trattato un numero maggiore di piante, crebbero anche le informazioni fornite, soprattutto sugli usi officinali. A questo punto, assolto il debito con Alexander, Patrick, oltre a pubblicare un certo numero di articoli sulle Transaction della Royal Society, poté dedicarsi a una serie di pubblicazioni riccamente illustrate, finanziate dalla Compagnia delle Indie. Nel 1795, come ho anticipato, scrisse la prefazione a Plants of the Coast of Coromandel di Roxburgh. Nel 1796 seguì il primo volume di An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel; il secondo volume, in quattro fascicoli, uscì tra il 1801 e il 1809, concludendosi dopo la morte dell'autore. Nel 1803 fu la volta di una corposa opera sui pesci, Descriptions and Figures of Two Hundred Fishes. Patrick Russell morì settantottenne nella sua casa londinese nel 1805. Russellia, un fuoco d'artificio di fiori Come ho anticipato, la prima edizione di Natural history of Aleppo fu ben accolta dalla critica e assicurò fama europea ad Alexander Russell. Nel 1760 von Jacquin volle onorarlo con la dedica del genere americano Russelia, di cui aveva raccolto la specie tipo, R. sarmentosa, durante il suo viaggio a Cuba. Qualche anno dopo, sia König sia il figlio di Linneo si ricordarono anche di Patrick con due generi omonimi, ovviamente non validi per la regola delle priorità. Dunque anche Patrick Russell sarebbe a rigori un "botanico senza Nobel", ma la sua vita si intreccia talmente con quella del fratello, i suoi studi sono tanto importanti che era impossibile non dargli il giusto spazio, erigendo anche lui a "dedicatario onorario" del bel genere Russelia Jacq., famiglia Plantaginaceae (un tempo Scrophulariaceae). Diffuso dal Messico alla Colombia passando per le Antille, raccoglie una quarantina di specie di arbusti molto ramificati, eretti o decombenti, con foglie in genere piccole, coriacee o membranacee, piccoli fiori dalla corolla tubolare raccolti molto numerosi in cospicue infiorescenze. Nell'Ottocento diverse specie vennero introdotte dal Messico in Europa e divennero popolari piante da serra: nelle riviste degli anni 30-50 sono citate R. sarmentosa, R. multiflora, R. floribunda, R. rotundifolia e addirittura ibridi orticoli come R. lemoinei (R. juncea x R. sarmentosa) e R. elegantissima. Poi, come spesso succede, la moda cambiò e ora è sostanzialmente coltivata una sola specie, R. equisetiformis. Originaria dell'America settentrionale e centrale dal Messico al Guatemala, è oggi diffusissima nei giardini di tutti i paesi a clima mite, dove si fa apprezzare per la facilità di coltivazione e l'esplosiva fioritura di fiori tubolari color corallo che le ha guadagnato il nome comune inglese firecracker plant, "pianta fuoco d'artificio". Qualche approfondimento nella scheda. Nel 1768, come medico della missione luterana e direttore dell'ospedale, arriva a Tranquebar, minuscola colonia danese sulla costa del Coromandel, l'allievo di Linneo Johann Gerhard König. Non lascerà l'India fino alla morte. Il suo arrivo agisce come un lievito che segna l'inizio dello studio scientifico della flora indiana; è un grande raccoglitore, ma soprattutto trasmette il suo entusiasmo ad amici e colleghi, creando forse la prima società scientifica del paese e incoraggiando le ricerche di altri naturalisti, tra cui il "padre della botanica indiana" William Roxburgh. Prima di tutto questo, il maestro Linneo lo aveva già premiato con il genere Koenigia, creato sulla base di una pianta che il suo pupillo aveva raccolto in Islanda. Un forte danese in India, là dove cantano le onde Meno noti di quelli di potenze maggiori come il Portogallo, la Francia o la Gran Bretagna, per circa duecento anni (1620-1848) in India ci furono anche alcuni insediamenti o empori danesi. Erano territori minuscoli, e dal punto di vista economico, con l'eccezione di qualche momento felice, non furono un successo. Ma sul piano culturale ebbero un ruolo sorprendente: in una di queste colonie operò la prima missione protestante della storia, nacque la prima tipografia e vennero stampati i primi libri stampati in una lingua indiana, furono create la prima scuola aperta anche alle bambine, e (forse) la prima società scientifica dell'Asia. Il luogo dove fiorirono quelle primizie è Tranquebar (oggi Tharangambadi, un nome poetico che significa "il luogo delle onde che cantano") a circa 300 km a sud di Madras sulla costa del Coromandel, nell'attuale stato indiano di Tamil Nadu, il primo e più importante avamposto danese in India. Nel 1616, l'ambizioso re di Danimarca Cristiano IV, sull'esempio della Compagnia olandese delle Indie orientali, sponsorizzò la nascita della Ostindisk Kompagni (Compagnia danese delle Indie orientali). Nella speranza di allearsi con il sovrano singalese contro i portoghesi, ottenendo in cambio una base a Ceylon, nel 1618 inviò in India una piccola flotta; tuttavia la trattativa diplomatica fallì e i danesi ripiegarono su Tranquebar, dove una delle loro navi aveva casualmente fatto naufragio. In cambio di un tributo annuo, il re di Thanjavur Raghunatha Nayak concesse loro una fascia costiera lunga otto km e profonda quattro; a partire dal 1620, i danesi vi crearono piantagioni e un emporio, protetti da un forte, Fort Daneborg, che divenne anche la sede ufficiale del governatore dell'India danese. Intanto in Europa era scoppiata la guerra dei Trent'anni, il cui esito disastroso cancellò i sogni di gloria di Cristiano IV e travolse anche la Ostindisk Kompagni. I viaggi tra India e Danimarca si interruppero, la compagnia fu sciolta e la piccola colonia rimase abbandonata a se stessa per circa trent'anni. Solo nel 1669 una fregata danese gettò di nuovo l'ancora a Tranquebar. Tornò in patria con un carico di pepe e altre spezie così promettente che venne deciso di rifondare la Compagnia, risorta dalle proprie ceneri nel 1670. Nonostante la concorrenza olandese che le impedì di allargare i suoi traffici più a est, la rinata compagnia riuscì a ritagliarsi uno spazio nel commercio dei tessuti e delle spezie indiane; la neutralità della Danimarca le permise di approfittare delle rivalità tra le potenze maggiori, traendo forti guadagni soprattutto dal nolo delle proprie navi "neutrali" ai mercanti delle potenze belligeranti. A questo effimero momento di prosperità mise fine la Grande guerra del Nord (1700-1721) che portò al fallimento anche la seconda Ostindisk Kompagni, sciolta nel 1729. Dal punto di vista religioso ed etnico, la colonia danese era un mosaico di fedi ed etnie. A inizio Settecento, quando il territorio danese si era allargato ad altri villaggi, vi vivevano circa 15.000 mila persone, musulmani, indù e cattolici indiani, convertiti dalla vigorosa attività missionaria dei gesuiti. Gli europei (soldati, funzionari, mercanti) erano una minoranza, e i danesi, circa 200 persone, una minoranza nella minoranza. La situazione preoccupava il re di Danimarca Federico IV, che decise di inviarvi missionari evangelici; non trovando nessuno disponibile in Danimarca, si rivolse all'università di Halle, uno dei centri propulsori del pietismo. Il pietismo di Halle era caratterizzato da un accentuato riformismo, che per certi aspetti lo avvicinava all'illuminismo e si traduceva in un forte impegno in campo pedagogico, sociale e culturale; l'energico caposcuola August Hermann Francke vi aveva fondato diverse scuole, un orfanatrofio, il più antico istituto biblico, una tipografia, una legatoria, una biblioteca, una farmacia e un piccolo museo di scienze naturali. La missione indiana, la prima in assoluto di una chiesa protestante, offriva ai pietisti di Halle un nuovo, inedito campo d'azione. Francke la affidò a due dei suoi migliori allievi, Bartholomäus Ziegenbalg e Heinrich Plütschau, che portarono in India la fede fervente, l'attivismo sociale, l'impegno pedagogico della scuola di Halle, destando l'ostilità non solo dei gesuiti, ma anche delle autorità locali e della Compagnia inglese delle Indie, che fece addirittura arrestare Ziegenbalg con l'accusa di tubare l'ordine pubblico. Egli approfittò della detenzione per studiare il tamil e incominciare a tradurre la Bibbia. Dopo la liberazione, oltre a due chiese e altre strutture funzionali alla missione, creò una cartiera, una tipografia (la prima dell'intero subcontinente a stampare testi in una lingua locale), una scuola aperta anche alle ragazze (anche questa una assoluta novità), un seminario per il futuro clero indiano. I missionari di Halle erano in costante contatto con la madrepatria, cui inviavano lettere, diari, contributi scientifici su vari aspetti della cultura indiana. A partire dal 1720, la tipografia della Fondazione Francke incominciò a pubblicarli in una rivista nota come Hallesche Berichte, che presto ebbe diffusione europea, influenzando a lungo l'immagine dell'India in Europa. Tra gli argomenti che più interessavano il pubblico colto c'era anche la medicina tradizionale indiana, il cui valore era stato riconosciuto dagli europei fin dai tempi di Garcia de Orta; d'altra parte, si riteneva che quell'antico patrimonio dei conoscenze fosse ormai degenerato e ridotto a un insieme di pratiche superstiziose. Urgeva inviare in India un medico con una buona preparazione in chimica e in botanica farmaceutica per studiare dal vivo le piante medicinali, tanto più che l'assistenza sanitaria a Tranquebar era inadeguata e non riusciva a far fronte alle epidemie che decimavano gli europei. Mentre gli indigeni disponevano di un certo numero di medici ayurvedici, a occuparsi della loro salute c'erano solo il chirurgo e l'aiuto chirurgo della guarnigione militare, che gestivano anche l'ospedale con l'aiuto di assistenti indiani. Nel 1732 la Fondazione Francke inviò dunque a Tranquebar Samuel Benjamin Cnoll (1705–67), un medico laureato ad Halle, che dagli anni '40 diresse anche l'ospedale; sappiamo che creò un piccolo orto botanico e scrisse un articolo sulla preparazione indiana della borace pubblicato sulla rivista danese Acta Medica Hafniensis. Alla sua morte, ne prese il posto il protagonista di questa storia, Johann Gerhard König (1728–85). Ma prima di concentrarci su di lui, due parole sulle ulteriori vicende dell'India danese. Dopo le pesanti perdite subite nella Grande guerra del Nord, la Danimarca tornò alla politica di neutralità che non avrebbe più abbandonato fino alle guerre napoleoniche. Nel 1730 venne fondata una terza compagnia, la Compagnia asiatica (Asiatisk Kompagni) che, ottenuto dal re il monopolio dei traffici asiatici per quarant'anni, aprì una nuova via commerciale con la Cina e rilanciò il commercio indiano. Anche se i maggiori profitti vennero dalla rotta cinese, ci fu una certa espansione anche nell'area indiana, con la fondazione di altri empori, il più importante dei quali fu Serampore in Bengala, fondato nel 1755. Tra il 1754 e il 1756, la compagnia cercò anche di creare un avamposto nelle isole Nicobare, che presto dovette essere abbandonato a causa della malaria e di altre malattie che decimarono i coloni. Per evangelizzare le Nicobare, la corona danese decise l'invio di una seconda missione evangelica, affidata all'Unione dei fratelli boemi, anche noti come Fratelli moravi. Il re di Danimarca assicurò la più ampia libertà religiosa e l'agguerrita congregazione lanciò immediatamente una sottoscrizione tra i propri membri per autofinanziarsi. Un primo gruppo di quattordici missionari, tutti giovani e scapoli, fu inviato Tranquebar nel 1760; ne facevano parte un pastore, due studenti di teologia e undici tra artigiani e mercanti. L'anno successivo furono raggiunti da alcune famiglie, con donne e bambini. Anche se l'evangelizzazione delle Nicobare fallì prima di cominciare, a Tranquebar i Fratelli moravi riuscirono ad affermarsi rapidamente, suscitando non poche gelosie tra i confratelli luterani. In missione per conto di Linneo A gettare un ponte tra i due gruppi missionari rivali fu proprio il nostro Johann Gerhard König. E' ora che si prenda la scena. König era un tedesco del Baltico, nato a Kreutzburg nella Livonia polacca. Incominciò la sua formazione come apprendista farmacista a Riga. Dopo aver lavorato come farmacista in diverse località danesi e svedesi, nel 1757 andò a Uppsala a studiare scienze naturali con Linneo, con il quale poi rimase in contatto. Nel 1759 si trasferì in Danimarca, dove lavorò al Frederikshospital e studiò medicina all'Università di Copenhagen con un altro discepolo di Linneo, Christen Friis Rottbøll. Come abile raccoglitore, fu ingaggiato da Oeder per Flora Danica; nel 1764 fece raccolte nell'isola di Bornholm e tra il 1766 e il 1767 in Islanda. Fu proprio la sua fedeltà a Linneo, al quale aveva inviato un certo numero di esemplari, a metterlo in urto con Oeder. Su consiglio di Rottbøll, accettò il posto di medico della missione luterana di Tranquebar, vacante per la morte di Cnoll. Non era ancora laureato, ma avrebbe potuto continuare gli studi e scrivere la sua tesi anche in India. Fu così che nel 1768 egli arrivò a Tranquebar; anche lui si sentiva un missionario, ma del verbo linneano, che fu il primo a far conoscere in India. Era un avido raccoglitore, un ottimo sistematico, e soprattutto una personalità carismatica che seppe contagiare con il suo entusiasmo amici e colleghi. Insieme ad alcuni pastori della missione luterana e qualche membro della comunità morava creò un gruppo informale il cui scopo principale era promuovere lo studio scientifico della botanica. Alcuni studiosi lo considerano la prima società scientifica indiana e gli attribuiscono anche un nome, United Brethren, "Fratelli uniti" o "Unione dei fratelli"; altri fanno notare che era la denominazione usuale della chiesa morava ed è dubbio che i "fratelli botanici" l'abbiamo mai applicata a se stessi. Ma certo il gruppo esisteva; dapprima limitato a Tranquebar, via via ne superò i confini e si allargò a medici, funzionari, naturalisti che operavano nell'India meridionale, per lo più al servizio della Compagnia inglese delle Indie. I membri del gruppo raccoglievano e scambiavano piante, le identificavano, ne discutevano "fraternamente" la classificazione; quindi cominciarono a inviare gli esemplari, identificati o meno, a botanici europei. Come allievo di Linneo che aveva studiato e lavorato in Danimarca, König era in contatto in Svezia con Retzius e in Danimarca con il maestro Rottbøll, Fabricius e Martin Vahl. Attraverso il condiscepolo Solander, incominciò a corrispondere con Banks, che a sua volta lo mise in contatto con i naturalisti al servizio della Compagnia delle Indie, il più noto dei quali, William Roxburgh, divenne un membro attivo del gruppo e suo amico personale. A loro volta, i missionari luterani coinvolti da König fecero conoscere le loro ricerche a Halle; attraverso Johann Reinhold Forster, che insegnava storia naturale in quella università, le relazioni si allargarono ad altri atenei tedeschi, con il risultato che il lavoro dei "botanici di Tranquebar" divenne ben noto in Europa e numerose piante indiane da loro segnalate per la prima volta furono pubblicate da personaggi come Retzius, Vahl, Willdenow o James Edward Smith. König lavorò a Tranquebar fino al 1773, quando ottenne la laurea in medicina in absentia all'Università di Copenhagen, sottoponendo una tesi in cui discuteva l'efficacia dei rimedi indigeni per curare le malattie endemiche della regione (De remediorum indigenorum ad morbes cuius regioni endemicos expugnandos efficacia). Insoddisfatto del magro salario che limitava di molto le sue possibilità di viaggiare, "più desideroso di fama che di fortuna", come confidò all'amico Patrick Russell, passò al servizio del nababbo di Arcot come medico personale. Poté così esplorare le colline a nord di Madras e anche visitare l'isola di Ceylon. Frequenti divennero anche i soggiorni a Madras, dove condivise le sue conoscenze con i medici inglesi, primo fra tutti William Roxburgh che all'epoca lavorava come assistente chirurgo al Madras Medical Service. Grazie agli amici inglesi nel 1778 fu assunto dalla Compagnia inglese delle Indie, di cui fu il primo naturalista ufficiale. Nel 1779 la compagnia lo inviò in Siam e negli stretti di Malacca alla ricerca di piante di interesse economico da introdurre nell'India meridionale. L'anno successivo rientrò a Madras; erborizzava spesso con Roxburgh, che all'epoca era più noto come disegnatore che come botanico, trasmettendogli i suoi metodi e rafforzando la sua vocazione botanica. Nel 1785, mentre stava recandosi a Vizagaptam per incontrare il fratello di Patrick Russell Claud, si ammalò di gastroenterite e, nonostante le cure dell'amico Roxburgh, ne morì, lasciando i suoi erbari e le sue carte in eredità a Joseph Banks. König pubblicò poco: il primo articolo scientifico sulle termiti, uscito nel 1779 su una rivista tedesca, quindi due contributi sulle piante dell'India sudorientale pubblicati da Retzius in Observationes botanicae rispettivamente nel 1783 e nel 1791. Fu invece un grande raccoglitore; suoi esemplari furono pubblicati da Linneo in Mantissa plantarum altera (1771) e dal figlio di Linneo in Supplementum plantarum (1781), fornirono le basi per la descrizione delle Cyperaceae pubblicate da Rottbøll in Descriptiones plantarum rariorum e Descriptiones et iconum rariores (1772-73) e in parte per Plants of the Coast of Coromandel di Roxburgh. Un genere artico e montano Quando König arrivò in India, aveva già ottenuto da Linneo il "massimo riconoscimento per un botanico", ovvero la dedica di un genere. In Mantissa Plantarum Prima (1767) il suo maestro aveva creato in suo onore Koenigia (famiglia Polygonaceae), sulla base di una delle piante da lui raccolte in Islanda, K. islandica; è una minuscola erbacea, tipica delle tundre artiche e delle praterie alpine. Non solo è una delle piante da fiore più piccole del mondo (non supera i 4 cm d'altezza), ma anche una delle pochissime annuali di quelle flore in cui la bella stagione è troppo breve per garantire la maturazione dei semi. A lungo rimase l'unica specie riconosciuta, finché, rispettivamente nel 1825 e nel 1881 si aggiunsero due specie himalayane, K. nepalensis e K. pilosa. Emendato da Hedberg sulla base delle caratteristiche del polline, verso la fine del '900 il genere giunse a comprendere cinque o sei specie, tutte alpine o artiche. Finché, nel 2015, è arrivata una rivoluzione tassonomica. Sulla base dei dati molecolari, il genere è stato ridefinito, includendovi Aconogonon. Oggi dunque comprende una trentina di specie dell'emisfero boreale, con centro di diversità nell'Himalaya. Sono erbacee perenni o annuali, molto varie per dimensioni ed aspetto, con radici a fittone e piccoli fiori dai colori chiari (bianchi, crema, rosa) raccolti in cime ascellari o terminali che in alcune specie formano vistose pannocchie piramidali. Tra di esse c'è anche una bella specie abbastanza comune nei pascoli montani delle Alpi occidentali e centrali e degli Appennini settentrionali. La conosco da sempre, ma con il nome che le aveva dato Allioni, Polygonum alpinum, cui corrisponde anche il nome comune poligono alpino. Come molte piante di questa famiglia dalle vicende tassonomiche travagliate, ha cambiato nome molte volte, e adesso si chiama ufficialmente Koenigia alpina (All.) T.M.Schust. & Reveal. Anche se varie specie sono aggressive infestanti, alcune sono apprezzate per il loro valore ornamentale. La più coltivata è forse K. x fennica, un ibrido naturale tra K. alpina e K. weyrichii, un'imponente perenne con fioriture spettacolare. Qualche informazione in più su questa e altre specie nella scheda. Morto a 29 anni negli anni più turbolenti della rivoluzione francese, il medico alsaziano Benjamin Pierre Gloxin avrebbe lasciato ben poche tracce di sé se non fosse per la sua tesi di laurea, in cui aveva discusso alcune piante nuove e rare coltivate nell'orto botanico della sua università. Capitata nelle mani del botanico L'Héritier de Brutelle, gli guadagnò la dedica del genere Gloxinia, un nome abbastanza noto anche se la gloxinia o glossinia dei fiorai ora si chiama Sinningia. Dalle piante alla rivoluzione Discendente di una famiglia di medici, farmacisti e intellettuali di origine tedesca stabilitasi a Colmar da più di un secolo e figlio del medico cittadino, Benjamin Pierre Gloxin (1765-1794) nel 1785, ad appena vent'anni, si laureò in medicina all'università di Strasburgo discutendo una tesi di botanica. A incoraggiarlo in questa scelta fu il suo relatore, il professore Jean Hermann (1738-1800) che era anche il direttore dell'orto botanico universitario. Nella sua dissertazione Gloxin esamina alcune specie "nuove e rare" coltivate nel giardino: Salvia leonuroides (oggi Salvia formosa), Cyperus aegyptiacus (oggi Cyperus capitatus), Mesembryanthemum cordifolium e soprattutto, a partire dalle due specie di Martynia presenti nell'orto, presenta una disanima complessiva dei generi Martynia L., Craniolaria L., Proboscidea Schmidel, analizzando scrupolosamente la letteratura precedente. Giunge alla conclusione che nessun carattere distintivo saliente giustifica la separazione di questi generi e propone una nuova classificazione del genere Martynia in sei specie: Martynia perennis (oggi Gloxinia perennis), M. capensis (oggi Rogeria longiflora), M. diandra (oggi M. annua), M. craniolaria (oggi Craniolaria annua), M. proboscidea (oggi Proboscidea luisianica), M. fruticosa (oggi Gesneria fruticosa). Stampato in accuratissima veste grafica dal tipografo-editore Dannbach, il fascicolo (un in quarto di una ventina di pagine) comprende anche tre tavole calcografiche di Balz incise da Jean Martin Weis e godette di una discreta circolazione, come attestano le recensioni, le citazioni nella letteratura botanica, la presenza in collezioni pubbliche e private. A favorire la notorietà dell'operina e del suo autore fu sicuramente la quasi immediata dedica a Gloxin del genere Gloxinia da parte di L'Héritier de Brutelle nel primo fascicolo di Species novae (1785). Il genere fu istituito sulla base di una delle specie studiate dal neomedico alsaziano, M. perennis. L'Héritier rileva che essa non può essere assegnata a Martynia (l'assegnazione risale a Linneo) avendo l'ovario infero anziché supero; inoltre si differenzia da Gesneria per la corolla campanulata anziché tubolare; va dunque attribuita a un nuovo genere che egli chiama Gloxinia "in memoria del celebre amico Benjamin Petrus Gloxin, medico di Colmar, di ottimi meriti per la botanica". Certo, può sembrare curioso un simile omaggio a un ventenne esordiente, ma come si deduce dalle parole di L'Héritier si sarà trattato in parte di un attestato di stima, in parte di un gesto di amicizia. Di lì a poco, l'esistenza tanto del dedicante quanto del dedicatario - e di milioni di francesi - sarebbe stata sconvolta dalla rivoluzione. Sappiamo che il giovane medico, oltre ad essere molto impegnato nella professione (come il padre, fu medico cittadino e più tardi diresse l'ospedale), coltivava anche interessi culturali e letterari. Era membro della Tabagie litterarie, un club di lettura di impronta illuminista fondato nel 1785, possedeva una ricca biblioteca per incrementare la quale nel 1786 si recò ad Amsterdam, dal 1791 fu ammesso alla American Philosophical Society. Ma con lo scoppio della rivoluzione, si gettò animo e corpo nella lotta politica. Gloxin era un esponente della borghesia luterana che, almeno tra il 1789 e il 1793, aderì in gran parte alla causa rivoluzionaria. L'Alsazia, dopo aver fatto parte per secoli dell'impero, era stata annessa al regno di Francia da poco più di cent'anni, all'epoca del re Sole, e in virtù di una serie di trattati conservava in parte le proprie libertà e le proprie particolarità. Dal punto di vista religioso, era un caleidoscopio di fedi: cattolica, luterana, calvinista, anabattista, ebraica, senza parlare di un numero non irrilevante di intellettuali liberi pensatori. I luterani alsaziani godevano della libertà di culto, ma erano esclusi da tutti gli incarichi pubblici. Attivi nelle professioni liberali, nell'industria e nel commercio, erano una minoranza ricca e influente che si sentiva oppressa dai tentativi di imporre il cattolicesimo e dallo strapotere della chiesa cattolica e aspirava a una piena parità giuridica, come evidenziano i cahiers de doléances redatti dalla comunità per gli Stati generali. Colmar, in precedenza città libera dell'impero, era divenuta francese nel 1679, con il trattato di Nimega. Di lingua tedesca, era per due terzi luterana. Con i suoi 13.000 abitanti, era la principale città dell'Alto Reno, la regione alsaziana che abbracciò con maggior favore la rivoluzione, al contrario del cattolico e "austriaco" Basso Reno. I decreti dell'agosto 1789 e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che finalmente mettevano fine alle discriminazioni, guadagnarono infatti l'adesione di buona parte dei protestanti alsaziani. Più tardi, la ricca borghesia luterana si giovò largamente dell'acquisto delle proprietà ecclesiastiche requisite come beni nazionali. Gloxin, un medico e un intellettuale molto noto in città, si schierò in prima fila, divenendo un esponente di punta del giacobinismo alsaziano. Nel 1791 fu tra i fondatori della Société des Amis de la Constitution di Colmar, di cui fu nominato presidente. La situazione, in Francia come in Alsazia, evolveva rapidamente, e in quella regione di confine si faceva sempre più tesa. Gli attriti tra le diverse confessioni religiose furono inaspriti dalla chiusura dei conventi, dalla spaccatura tra clero girato e refrattario (che non risparmiò i pastori protestanti), dalla vendita dei beni ecclesiastici; ne seguirono i primi arresti e i primi processi. Nel 1792, lo scoppio della guerra, inizialmente disastrosa per i francesi, con la concreta minaccia di un'imminente invasione della regione, esacerbò gli animi, alimentò sospetti e innescò una radicalizzazione che spinse buona parte della comunità luterana a schierarsi con i girondini e la loro "guerra ad oltranza". Tuttavia anche in Alsazia il processo e l'esecuzione del re (21 gennaio 1793) scavò un solco nell'opinione pubblica, allontanando anche molti protestanti dalla rivoluzione o spostandoli su posizioni più moderate. Tra loro non c'era il dottor Gloxin: quando la Società degli amici della Costituzione si trasformò nella più radicale Société populaire des Amis de la Liberté et de l’Égalité, egli ne divenne vicepresidente; era anche ufficiale della Guardia nazionale. Convinto che fosse possibile conciliare gli ideali cristiani e le parole d'ordine della rivoluzione, nel dicembre del 1793, quando la collegiata Saint Martin venne trasformato in tempio della Ragione, partecipò senza esitare alle cerimonie di inaugurazione. Ma ormai le sue preoccupazioni erano altre. Come direttore dell'ospedale cittadino si trovò a fronteggiare un accentuato incremento di ricoveri e decessi; tra le cause, la carestia provocata dal susseguirsi di annate di maltempo e cattivi raccolti, ma soprattutto la concentrazione in città dei soldati e dei volontari accorsi per unirsi all'armata del Reno. Fosse vaiolo, fosse tifo, fossero "febbri tifoidi", si determinò una crisi sanitaria di cui fu vittima lo stesso Gloxin che morì nei primi giorni nel 1794, ad appena ventinove anni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. Credevo fosse una Gloxinia, invece era... Gloxinia perennis fu la prima specie del genere a giungere in Europa; il primo a descriverla, in Hortus cliffortianus (1738), fu Linneo, che la denominò Martynia foliis serratis; mettendola a confronto con due specie di Martynia raccolte da Houstoun in Colombia e coltivate al Chelsea Physic garden (da identificarsi con M. annua e Proboscidea louisianica), insiste che si tratta di una terza specie longe alia, "totalmente diversa". Non ne conosciamo esattamente la provenienza perché egli si accontentò di indicare genericamente "cresce in America". Nel 1753 in Species plantarum le assegnò il binomiale Martynia perennis, che come abbiamo visto fu conservato da Gloxin. L'Héritier invece la rinominò Gloxinia maculata (l'eponimo linneano fu recuperato a fine Ottocento per la legge della priorità). A lungo fu anche l'unica specie coltivata nel nostro continente. Nel 1815 Joachim Conrad Loddiges, proprietario di un grande vivaio nei pressi di Londra, ricevette probabilmente da uno dei cacciatori di orchidee che aveva sguinzagliato in Brasile una magnifica specie tuberosa con grandi fiori a campana. Egli coltivava anche Gloxinia maculata (allora si chiamava ancora così) e, notando la somiglianza, la pubblicò come Gloxinia speciosa (1817). La nuova introduzione ottenne un successo strepitoso, divenne una pianta amatissima, nota a tutti semplicemente come gloxinia (in italiano, anche glossinia). Intanto, con le sempre più numerose spedizioni in Sud America, soprattutto in Brasile, stavano arrivando molte altre specie che vennero via via inserite in Gloxinia. Una fu raccolta nel 1824 dal famoso cacciatore di piante David Douglas, di passaggio a Rio de Janeiro. Inviò i semi in Europa, dove il botanico boemo Mikan la classificò come Gloxinia schottii. Ma nel frattempo qualche seme, tramite Heller, il direttore dell'orto botanico di Würzburg, era pervenuto al suo collega di Bonn, il botanico Nees von Esenbeck, un grande tassonomista che capì che questa Gesneriacea non apparteneva a nessun genere conosciuto e denominò la nuova pianta Sinningia helleri, in onore del suo capo giardiniere (1825). Ma Gloxinia speciosa continuò a chiamarsi così per un altro mezzo secolo; solo nel 1877 il botanico britannico William Philip Hiern aggiustò il tiro e mise la pretesa glossinia al suo posto, rinominandola Sinningia speciosa. Ma, ovviamente, le abitudini sono dure a morire e continua ad essere la glossinia per antonomasia, o "Gloxinia dei giardinieri". Dopo altre vicende complicate che lo hanno visto allargarsi e contrarsi, oggi al genere Gloxinia L'Hérit., famiglia Gesneriaceae, sono assegnate solo quattro specie: G. alternifolia, G. erinoides, G. perennis, G. xantophylla. Il genere è distribuito soprattutto nelle Ande dell'America centrale (dall'Honduras a Panama) e in Sud America (dal Venezuela all'Argentina); solo una specie, appunto G. perennis, raggiunge i Caraibi, una presenza che però potrebbe essere il frutto di un'antica introduzione. G. alternifolia, scoperta solo di recente, è un endemismo del Mato Grosso. L'ambiente prevalente delle Gloxiniae è la foresta a galleria, in particolare su affioramenti rocciosi. Sono erbacee di piccole dimensioni che si distinguono dai generi della stessa tribù per i rizomi squamosi, fiori bratteati riuniti in infiorescenze simili a racemi con corolla bianca, lilla, rosata o parzialmente marrone, frutti secchi privi di tricomi uncinati. La specie più comunemente coltivata è G. perennis, ma talvolta si coltiva anche G. ericoides, caratterizzata da foglie molto attraenti. Nel corso delle vicissitudini che hanno segnato la storia tassonomica di Gloxinia, ne sono stati separati anche due piccoli generi che rendono indirettamente omaggio al nostro medico rivoluzionario. Entrambi sono stati creati nel 2005. Gloxinella (H. E. Moore) Roalson & Boggan comprende una sola specie, G. lindeniana, in precedenza nota solo in coltivazione, ma recentemente riscoperta nelle Ande colombiane. E' un erbacea eretta, molto ramificata, con foglie villose con nervature chiare su fondo scuro e vistosi fiori ascellari singoli. Anche Gloxiniopsis è un genere monospecifico, limitato a G. racemosa, un endemismo colombiano. Apparentemente è piuttosto simile a Gloxinia perennis, con fiori campanulati bianchi raccolti in racemi, ma i dati molecolari ne dimostrano l'appartenenza a un genere proprio. L'inglese William Sherard è una figura chiave della botanica a cavallo tra Seicento e Settecento. Eppure, a parte un modesto catalogo degli orti botanici di Parigi e Leida, non ha pubblicato nulla di proprio. Per tutta la vita ha cercato di scrivere una grande opera che però non è mai riuscito a completare: a distoglierlo dal compito, oltre alle necessità concrete della vita, fu soprattutto la sua generosità senza limiti, che lo spinse ad affiancare il lavoro di tanti amici più famosi come raccoglitore, donatore di semi, exsiccata e somme di denaro, curatore di opere altrui. Fu generoso anche nelle sue ultime volontà, con le quali non solo legò all'università di Oxford il suo importante erbario, le sue note e una notevole collezione di disegni e manoscritti, ma anche un lascito per istituire la prima cattedra di botanica in terra d'Inghilterra, che ancora porta il suo nome: Sherardian professorship. A ricordarlo è anche il genere monospecifico Sherardia, omaggio di un amico che godette della sua generosità in vita e in morte. Una vita al servizio degli amici Quando il diciottenne William Sherard (1659-1728) giunse a Oxford per studiare diritto non sapeva ancora che il suo destino, più che a codici e leggi, sarebbe stato legato alle piante. La conversione sulla via di Flora avvenne tra le aiuole dell'orto botanico di Oxford, il solo esistente in Inghilterra all'epoca. A fargliene conoscere le meraviglie fu il curatore, Johann Bobart il Giovane, che fu anche il primo di una lunga lista di amici a beneficiare della sua passione e del suo altruismo: egli stava curando la pubblicazione postuma di Historia Plantarum Universalis Oxoniensis di Morison e Sherard lo aiutò raccogliendo per lui piante nelle campagne dei dintorni. Nel 1683 si laureò in legge e divenne membro del suo college, ma ormai il suo interesse andava tutto alla botanica; studiarla in Inghilterra non era possibile, perché non era insegnata in nessuna università; Sherard attraversò la Manica - il primo di tanti viaggi europei - e si trasferì a Parigi per seguire le lezioni di Pitton de Tournefort al Jardin du roy; anche a lui, per il quale nutriva un'ammirazione che rasentava la venerazione, non lesinò il suo aiuto, raccogliendo piante nei dintorni di Parigi. Nel 1686, quando Paul Hermann venne a visitare il Jardin du roy, strinse amicizia con lui, e decise di seguirlo in Olanda. In attesa che i suoi ammirati maestri potessero mettere mano ai cataloghi degli orti di Parigi e Leida, nel 1688 pubblicò una lista delle loro collezioni; sotto il titolo Schola botanica, è la sua unica opera edita e per modestia è firmata con le sole iniziali S.W.A. Nel 1689 tornò in Inghilterra e mise le sue nuove competenze al servizio di un altro amico: fece importanti raccolte nell'Inghilterra meridionale e nelle Channel Island, ma invece di pubblicarle a suo nome, cedette le sue note a John Ray, che le pubblicò in appendice a Synopsis methodica stirpium britannicarum (1690). In teoria era membro del St John College e avrebbe dovuto tornare a insegnare a Oxford, ma evidentemente l'impiego non soddisfaceva né le sue tasche né il suo cuore; preferì diventare tutor o insegnante privato di una serie di gentiluomini. Il primo fu il baronetto irlandese Arthur Rawdon che possedeva una vasta tenuta a Moira nella Contea di Down; era un grande appassionato di orticoltura e giardinaggio, tanto da essersi guadagnato il soprannome di "padre del giardinaggio irlandese". Possedeva un notevole giardino con una delle prime serre riscaldate d'Europa, un labirinto, uno stagno e molte piante esotiche, incluse 400 piante fatte arrivare dalla Giamaica e uno dei primi esemplari noti di Robinia pseudoacacia, famoso per le sue eccezionali dimensioni. Per Sherard il soggiorno in Irlanda, che si prolungò per tre anni, fu una gioia e gli permise anche di esplorare la flora dell'Ulster. Nel 1694 era di ritorno a Oxford dove divenne dottore in diritto civile, ma ben presto ne ripartì per accompagnare il visconte Charles Townshend nel suo gran tour in Europa. Nel febbraio del 1795 si fermò a Leida, dove si assunse il difficile compito di preparare per la pubblicazione il manoscritto di Paradisus batavus di Paul Hermann. Tornò poi in Inghilterra giusto il tempo necessario per trovare un altro ingaggio, questa volta come chaperon del giovane marchese di Tavistock, il futuro secondo lord Bedford, con il quale visitò la Francia e l'Italia. Fu l'occasione per visitare giardini e incontrare altri botanici; in Italia conobbe Francesco Cupani e Paolo Boccone, dal quale appreso il metodo della stampa naturale (che consiste nell'utilizzare come matrici le piante stesse, inchiostrate e pressate sulla carta; ne ho parlato qui). A Parigi strinse amicizia con Sébastien Vaillant. Questi incontri e queste amicizie lo spinsero a concepire l'idea di aggiornare il Pinax di Bauhin, aggiungendo le piante scoperte e pubblicate dopo il 1623. Un'impresa che, come vedremo, lo accompagnò tutta la vita, ma non giunse mai a termine. Tornato in Inghilterra verso la fine del 1698, si lasciò ancora una volta convincere a diventare tutor di un altro giovane gentiluomo, un nipote della duchessa vedova di Beaufort. La nobildonna era una grande appassionata di piante e giardini e contava sui contatti internazionali di Sherard, il cui nome incominciava ad essere piuttosto noto tra i botanici europei, per incrementare le sue collezioni. Purtroppo il giovane morì dopo meno di un anno, e Sherard si trovò disoccupato. Per breve tempo si rassegnò a insegnare a Oxford come borsista, quindi fece parte di una commissione governativa che si occupava dei prigionieri di guerra, finché nel 1703 la Compagnia del Levante gli offrì un posto come console a Smirne. Egli accettò: una decisione pessima per i suoi studi botanici e ottima per le sue tasche. Nei dieci anni che visse in Turchia infatti, privo di libri e troppo occupato con i suoi compiti quotidiani, dovette mettere da parte la botanica, ma in compenso accumulò una notevole fortuna. Cercò anche altri interessi, ricopiando antiche iscrizioni e collezionando monete. Nel 1711 acquistò una casa a sette miglia da Smirne. Nell'impero ottomano era impossibile viaggiare da soli, e non trovando altri accompagnatori nelle sue escursioni botaniche, dovette limitarsi a un solo viaggio, che sempre nel 1711 lo portò a Alicarnasso. Alla fine del 1716 o all'inizio del 1717 lasciò Smirne e tornò in Inghilterra. Nel frattempo anche suo fratello minore James (1666-1738) aveva fatto fortuna; farmacista, gestiva una bottega di successo a Londra, nella centralissima Mark Lane. Negli anni giovanili, era stato un notevole musicista dilettante e un virtuoso del violino, ma ora la gotta gli impediva di suonare. Dopo il ritorno di William dal Levante, decise di andare in pensione e di fare della botanica la sua nuova passione. Acquistò una splendida proprietà a Eltham, un sobborgo di Londra, dove, con l'aiuto del fratello maggiore, creò un giardino presto famoso in tutta Europa per le sue piante rare. William riprese a lavorare alla revisione del Pinax, ma nel 1721 viaggiò di nuovo nel continente insieme al fratello, per cercare piante per Eltham. Visitò anche l'orto botanico di Giessen, dove conobbe il giovane botanico Jacob Dillenius. Dopo essere stato per tutta la vita generoso di semi, esemplari e tempo con i suoi amici, ora poteva esprimere la sua generosità anche come mecenate: propose a Dillenius di trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo con l'interminabile revisione del Pinax e con la catalogazione del giardino di Eltham. Dillenius accettò: avrebbe portato a termine il secondo compito, scrivendo il magnifico Hortus Elthamensis, ma non il primo. Nel 1723 e nel 1727 Sherard tornò nuovamente a Leida, per aiutare Boerhaave a pubblicare l'opera postuma dell'amico Vaillant, Botanicon parisiense. Assisté anche Catesby, aiutandolo con le identificazioni della prima parte di Natural History of Carolina. Solo con un "collega" ci fu uno screzio: non sappiamo esattamente perché, si scontrò con Hans Sloane - un amico di lunga data anche di suo fratello - che rifiutò di mettergli a disposizione gli erbari di Plukenet e Petiver. Verso il 1727 ci fu una riconciliazione, ma ormai la salute di Sherard stava declinando, con crisi di quella che è stata definita "demenza senile". Consapevole che in Inghilterra, proprio come ai tempi della sua giovinezza, ancora mancava una cattedra universitaria di botanica, volle rimediare con le sue ultime volontà: non solo lasciò all'università di Oxford il suo erbario di oltre 12,000 pezzi, le sue carte, le sue collezioni di disegni e manoscritti, ma stabilì un lascito per istituire una cattedra di botanica. Impose però una condizione: il primo titolare doveva essere Dillenius. Morto William Sherard nel 1728 (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), ne seguì una lunga trattativa tra l'Università e il suo esecutore testamentario, ovvero suo fratello James. Di conseguenza, Dillenius assunse l'incarico solo nel 1735, avendo nel frattempo anche completato Hortus elthamensis. Ma non la revisione del Pinax. La grande opera della vita di Sherard rimase un torso inedito. Secondo H.M. Clokie, studioso del suo erbario, la causa prima stava nella eccessiva generosità di questo botanico dal carattere troppo amabile: "Sembra che la sua difficoltà fosse concentrarsi sul proprio lavoro invece di aiutare gli amici. La sua generosità sembra non aver conosciuto limiti". Sherardia, dal Mediterraneo alla conquista del mondo Nonostante non abbia pubblicato quasi nulla di suo, curando la pubblicazione di due opere centrali come Paradisus batavus di Hermann e Botanicon parisiense di Vaillant e sponsorizzando il lavoro di Dillenius, senza parlare delle raccolte botaniche messe generosamente a disposizione di tanti illustri colleghi, Sherard ha avuto un ruolo di rilievo nella botanica negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento; è riuscito a far dialogare e a integrare tra loro le diverse scuole botaniche europee, da quella francese a quella olandese, da quella italiana a quella tedesca, contribuendo come nessuno allo sviluppo della scuola britannica, come sottolinea la creazione della cattedra di Oxford. Sia Vaillant sia Dillenius si sono ricordati del loro benefattore con la dedica di un genere Sherardia. Particolarmente toccanti le parole di Sébastien Vaillant: "Dato che i botanici, quando creano un nuovo genere hanno il diritto di dargli il nome dei loro autori, o dei loro benefattori o dei loro amici, per resuscitare i primi e immortalare i secondi nella botanica, io ho imposto a questo [genere] il nome dell'illustre Mr. Sheridan che è allo stesso tempo un vero amico, un benefattore per le piante essiccate; per diventare illustre più di tutti gli autori messi insieme non gli rimane che terminare il suo Pinax e offrirlo al pubblico che attende questo capolavoro con estrema impazienza". Linneo, tuttavia, nell'ufficializzare il genere Sherardia in Species plantarum (1753) scelse quello di Dillenius (famiglia Rubiaceae) e non quello di Vaillant (famiglia Valerianaceae); quest'ultimo fu ripreso da Miller, ma troppo tardi (1754); la denominazione valida è dunque quella di Dillenius - Linneo. Sherardia L. è un genere monotipico rappresentato dalla sola S. arvensis, una piccola pianta erbacea diffusa in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo e in Vicino oriente; si è inoltre largamente naturalizzata in altri continenti, tanto da essere ormai considerata cosmopolita. E' un'annuale comune in campi, prati, incolti, aree disturbate; piuttosto simile a Galium, da cui si distingue per la lunghezza del tubo corollino, ha piccole foglie lineari riunite in verticilli di 4-6 e minuscoli fiori da rosa pallido a lilla con un lungo tubo e quattro petali liberi raccolti in gruppi di 6-10 e circondati da un anello di sei brattee simili alle foglie. Come la robbia (Rubia tinctoria) dalle sue radici si estraeva un colorante rosso. E' una pianta modesta, ma graziosa, e come il suo dedicatario è una grande viaggiatrice. In fondo, un accettabile ritratto vegetale. Una sintetica presentazione nella scheda. Tra le piante più venerabili del Jardin des plantes di Parigi, c'è un albero di pistacchio famoso non solo per la sua età (un po' più tre secoli) ma per aver permesso a Sébastien Vaillant di comprendere i meccanismi della riproduzione sessuale delle piante. Quando egli presentò i risultati in pubblico, le sue parole destarono scandalo, forse anche perché non risparmiò le metafore antropomorfe. Linneo ne aveva invece grande stima e considerava il suo Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna. Riprendendo una denominazione di Tournefort, lo celebrò con Valantia, un piccolo genere che annovera anche due rari endemismi siciliani. Scandalose nozze delle piante Il 10 giugno 1717, tra gli studenti che affollavano l'anfiteatro del Jardin royal c'era una certa attesa per la prolusione con la quale Sébastien Vaillant (1669-1722) avrebbe inaugurato il corso di botanica. Vaillant, che lavorava nel giardino già da una quindicina di anni e da una decina era sotto dimostratore (l'insegnante "pratico" che mostrava come riconoscere le piante) non era certo una faccia nuova. Ma quell'anno avrebbe tenuto anche il corso teorico, come supplente del professore titolare, il dimostratore Antoine de Jussieu, in missione botanica nella penisola iberica. Forse in quel che successe quel giorno c'entrò anche un pizzico di spirito di rivalsa. Al contrario di Jussieu, medico e accademico di Francia, Vaillant aveva fatto la gavetta e non aveva titoli accademici. Nato in una famiglia contadina, inizialmente aveva ricevuto una formazione come musicista; poi era divenuto chirurgo (ricordo che all'epoca i chirurghi non erano laureati, ma artigiani che imparavano il mestiere con l'apprendistato), lavorando prima nell'esercito poi all'Hôtel-Dieu di Parigi. Incominciò così a seguire i corsi di botanica, chimica, anatomia del Jardin royal. Appassionato raccoglitore, fu d'aiuto a Tournefort per la sua flora dei dintorni di Parigi Histoire des plantes qui naissent aux environs de Paris. Fu notato da Fagon che ne fece il suo segretario. Nel 1702 gli fece ottenere il brevetto di «inserviente del laboratorio del Giardino reale», un titolo modesto che ne faceva il responsabile delle coltivazioni. Nel 1708, gli cedette il suo posto di sotto dimostratore di botanica, mentre a Tournefort, morto quell’anno, succedeva come professore il medico Antoine-Tristan Danty d’Isnard. Dopo appena un anno, quest’ultimo diede le dimissioni; Vaillant, che dal 1709 era stato nominato anche direttore del Gabinetto reale delle droghe, sarebbe stato il più qualificato ad assumere la cattedra, ma non era né medico né laureato. Così il posto andò a un outsider, il medico lionese Antoine de Jussieu che aveva solo ventiquattro anni, diciassette meno di lui. Tra i due c'era anche una certa rivalità scientifica: Jussieu era uno stretto seguace di Tournefort, mentre Vaillant aveva espresso da tempo riserve su Institutiones rei herbriae e conduceva ricerche sperimentali che lo stavano portando su strade nuove. E qui entra in scena il famoso pistacchio (Pistacia vera). Era nato nei primi anni del secolo dai semi portati dal Levante da Tournefort, prosperava, fioriva, ma non portava frutti. Vaillant venne a sapere che anche nel Giardino dei farmacisti ce n'era uno, con fiori diversi, che ugualmente fioriva senza fruttificare. Nel 1716 tagliò una fronda fiorita del pistacchio del Jardin e la scosse presso l’altro albero e viceversa. Poco tempo dopo l'albero del Giardino dei farmacisti (un esemplare femminile), così fecondato, diede i primi frutti, cosa che non fece quello del Jardin des plantes, maschio. Era la prova che serviva a Vaillant per spiegare la funzione del polline. Così decise di inaugurare il corso di botanica del 1717 con una prolusione dedicata alla funzione sessuale dei fiori. Che le piante avessero organi sessuali e che una pianta potesse portare solo fiori maschili, solo fiori femminili, oppure fiori sia femminili sia maschili non era un’idea nuova. All'inizio del Seicento, era stata suggerita da Prospero Alpini; nel 1681 Nehemiah Grew ipotizzò che gli stami fossero gli organi maschili e in Historia plantarum (1686) Ray portò numerosi esempi di piante dioiche; nel 1694 il tedesco Rudolph Camerarius in De sexu plantarum epistola diede la dimostrazione sperimentale della funzione del polline. Tuttavia, oltre ad essere ancora inaccettabile per l’opinione pubblica, la sessualità delle piante era stata respinta proprio dal maestro di Vaillant, Joseph Pitton de Tournefort, che riteneva il polline un «escremento» delle piante. Vaillant, oltre tutto, entrò in campo a gamba tesa, usando metafore antropomorfe e sessualmente esplicite, con espressioni come «letto nuziale», «consumare il matrimonio», «questi focosi non sembrano che cercare altro che soddisfare i loro violenti trasporti». Gli studenti furono elettrizzati, i professori dell’Accademia delle scienze un po’ meno. A indignare era anche il fatto che Vaillant avesse osato criticare un mostro sacro come Tournefort, mostrando quella che veniva considerata vera e propria ingratitudine. L'Accademia, alla quale Vaillant era stata ammesso nel 1716 (prima del fattaccio) arrivò addirittura ad ammonirlo ufficialmente di non attaccare più il suo maestro. Nei salotti non si parlava d'altro e quando Jussieu tornò dalla Spagna, le acque erano ancora agitate. Fino a quel momento, egli aveva seguito le idee di Tournefort ma, non essendo un dogmatico, volle capire meglio. Scrisse al farmacista Joan Salvador i Riera, che lo aveva accompagnato in Spagna, di raccogliere esemplari di fiori di piante fruttifere e non fruttifere di palme da dattero, e capì che Vaillant aveva ragione. L'anno successivo, nella prolusione del 1718, abbracciò le sue tesi, anche se le espresse con un prudente linguaggio neutro e distaccato. Vaillant applicò le sue scoperte alla sua opera maggiore Botanicon parisiense, frutto di trent’anni di ricerche, in cui descrisse sistematicamente la flora di Parigi e dintorni delineando un nuovo sistema di classificazione basato sugli organi sessuali, criticò anche con asprezza il sistema di Tournefort e usò per la prima volta nel significato moderno i termini stame, ovario, ovolo. In vista della pubblicazione, fece eseguire accuratissimi disegni a Claude Aubriet, ma si trovò impossibilitato a pagarlo; tanto meno aveva i soldi per la stampa, che certo l'Accademia non avrebbe finanziato. Nel maggio 1721, si risolse a scrivere a Boerhaave, il direttore dell'orto botanico di Leida, che liquidò il debito con Aubriet e insieme a William Sherard, amico comune, curò la pubblicazione. Una prima edizione senza figure uscì nel 1723 e Vaillant, morto nel 1722, non fece in tempo a vederla. Nel 1727, sempre a Leida, seguì una seconda edizione, con trecento tavole di Aubret incise da Jan Wandelaar, che qualche anno dopo avrebbe collaborato con Linneo per Hortus Cliffortianus. Per l'Académie, Vaillant rimase un paria: contrariamente all'uso, alla sua morte non venne commissionato il consueto elogio a Fontenelle. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Endemismi siciliani Non molto tempo prima di morire, Tournefort in una Memoria letta all'Accademia delle scienze aveva dedicato all'allievo il genere Valantia: uno di quelli che lo stesso Vaillant contestava, visto che lo considerava identico a Cruciata; del resto esprimeva le sue riserve anche sull'abitudine di denominazioni ricavate dai nomi dei botanici. Linneo lo recuperò in Species plantarum. Non solo aveva grande stima di Vaillant, in cui vedeva un proprio precursore considerando Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna, ma riteneva il genere particolarmente adatto. Non certo per la sua bellezza: si tratta di pianticelle minime, che passano inosservate, ma per le singolari caratteristiche dei fiori perfette per celebrare lo studioso della differenziazione sessuale. Questo piccolo genere della famiglia Rubiaceae raggruppa sette specie di minute erbe rupicole diffuse attorno al bacino del Mediterraneo, dalla Macaronesia al Vicino oriente. Hanno minuscole foglie carnose verticillate in gruppi di quattro, da cui il nome comune di «erba croce»; i fiori sono raggruppati in verticilli di tre: quello centrale è bisessuale, i due laterali maschili. Quattro specie (V. calva, V. deltoidea, V. hispida, V. muralis) fanno parte della flora italiana; V. calva è endemica dell’isola di Linosa dove cresce sulle pendici laviche del Monte Vulcano e di Montagna rossa. V. deltoidea è invece un endemismo della Rocca Busambra, il rilievo maggiore dei monti Sicani, dove vive nei pascoli aridi intorno a 1600 metri. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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