A partire dalla seconda metà del Settecento, l'Università di Vienna acquisì grande rinomanza per la sua scuola di medicina. Il merito spetta all'olandese Gerard van Swieten, che, nominato archiatra dell'imperatrice Maria Teresa, trapiantò nella capitale austriaca gli insegnamenti del suo maestro Boerhaave, riformando profondamente il fino ad allora arretrato insegnamento della medicina. Tra i suoi meriti, anche l'introduzione della chimica e della botanica nel curriculum dei futuri medici e la fondazione dell'orto botanico universitario di Vienna. Il suo allievo Nikolaus von Jacquin, che tanto gli doveva anche a livello personale, volle ricordarlo dedicandogli Swietenia, il genere cui appartengono gli alberi da cui si ricava il bellissimo mogano. ![]() Un medico riformatore A Vienna, al centro della piazza omonima, campeggia il gigantesco monumento all'imperatrice Maria Teresa d'Austria, voluto da Francesco Giuseppe per celebrare la sua antenata e insieme le glorie dell'impero austriaco. La sovrana è assisa sul trono, al sommo di un alto pilastro in granito, ciascuno dei cui lati è ornato da un timpano con un gruppo ad alto rilievo ed una statua indipendente, che rievocano i quattro settori in cui eccelse l'Austria dei lumi: la politica, l'amministrazione, le armi, le scienze e le arti. A rappresentare queste ultime nel rilievo il numismatico Joseph Hilarius Eckhel, lo storico György Pray e i musicisti Christoph Willibald Gluck, Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart bambino; davanti a loro la statua dell'archiatra Gerard van Swieten (1700-1772), fondatore della scuola di medicina di Vienna, che dell'imperatrice non fu solo il medico personale, ma ascoltatissimo consigliere e anima di molte riforme non solo in campo medico. Eppure egli non era né austriaco né suddito imperale, ed aveva accettato il prestigioso incarico con estrema riluttanza. Olandese, era nato a Leida in una famiglia cattolica di origini nobili. Iniziò gli studi nella città natale in modo brillante, ma a 12 anni perse il padre, un affermato notaio che lavorava soprattutto per una clientela cattolica. Inviato dai suoi tutori a studiare filosofia a Lovanio, si appassionò di scienze naturali. Avrebbe voluto studiare medicina a Leida, ma al momento non ne aveva la possibilità economica. Così a 15 anni fu messo a bottega ad Amsterdam presso il farmacista Laurens Tatum; tuttavia nel 1717 contrasse il vaiolo e, una volta guarito ritornò a Leida; ne approfittò immatricolarsi nella facoltà di medicina, in quegli anni dominata dal grande Boerhaave, un medico famoso in tutta Europa, che insegnava medicina, chimica, botanica e dirigeva l'orto botanico universitario. Fu così folgorato dalla sua versatile sapienza e dal suo metodo innovativo (Boerhaave fu il primo a portare i suoi studenti al capezzale dei malati, creando di fatto la medicina clinica) che per anni, anche quando era già lui stesso medico, continuò a seguire le sue lezioni (si dice ne abbia persa solo una). Tra il 1718 e il 1720 completò la formazione come farmacista presso Nicolaas Stam, decano della corporazione dei farmacisti e ottimo chimico (suo padre David era stato il maestro di chimica di Boerhaave), ottenendo la licenza nel 1720. Senza interrompere gli studi di medicina, aprì una propria bottega a Leida e nel 1725 si laureò con una tesi sulle arterie e le loro funzioni. Per qualche tempo affiancò le due attività di farmacista e medico, ma del 1727 si concentrò sulla medica e prese anche ad impartire lezioni private di chimica e medicina, finché nel 1734 gli venne vietato dall'Università. Come medico aveva un'ampia clientela ed era molto stimato, tanto che nel 1738, quando morì Boerhaave, sarebbe stato il più indicato a succedergli: ma ciò era impossibile, in quanto cattolico. Ne aveva seguito le lezioni fino alla morte, e nel 1742 iniziò a pubblicare i suoi aforismi con i propri commenti (Commentaria in Hermani Boerhaave aphorismos de cognoscendis et curandis morbis, "Commenti sugli aforismi di Boerhaave su come diagnosticare e curare le malattie"); l'opera, arricchita con la sua personale pratica clinica, l'avrebbe accompagnato per tutta la vita, fino all'ultimo volume, uscito nel 1772. La sua fama intanto aveva travalicato i confini dell'Olanda; nel 1742 morì l'archiatra imperiale e, su raccomandazione del futuro cancelliere von Kaunitz, che all'epoca amministrava i Paesi Bassi austriaci e aveva sentito parlare della sua competenza professionale e della sua indipendenza di pensiero, il posto fu offerto a van Swieten che inizialmente rifiutò, scrivendo a un amico che preferiva rimanere "un piccolo repubblicano piuttosto che portare un titolo pomposo che nasconde un'esistenza da schiavo". La diplomazia imperiale però continuò a lavorarlo ai fianchi, finché, dopo un anno e mezzo, nell'ottobre 1744, forse soprattutto considerando che, come cattolico, aveva poche prospettive di carriera in patria, cedette, e da repubblicano si fece monarchico. Subito dopo l'accettazione, fu chiamato a Bruxelles, per assistere la sorella minore di Maria Teresa, governatrice dei Paesi Bassi, mai ripresasi dopo aver dato alla luce un bimbo nato morto. Purtroppo van Swieten non poté salvarla, ma non perse perciò la fiducia dell'imperatrice. Nel maggio 1745, dopo aver venduto i propri beni olandesi, si trasferì a Vienna con la famiglia; infatti, nel frattempo si era sposato con Maria ter Beeck van Coesfelt, anch'essa figlia di un notaio e sorella di un antico compagno di scuola di Lovanio, e ne aveva avuto cinque figli; la sesta, chiamata Maria Teresa, in onore della sovrana, sua madrina, sarebbe nata a Vienna. Van Swieten, le cui idee innovative (nonché i modi borghesi) erano tutt'altro che graditi a cortigiani e maggiorenti austriaci, godette della stima e dell'assoluta fiducia della sovrana; oltre che archiatra, fu nominato prefetto della biblioteca imperiale e nel 1749 gli fu affidata la riforma della facoltà di medicina dell'Università di Vienna, all'epoca molto arretrata e dominata dai gesuiti e dalla corporazione dei medici. Come preside della facoltà, Van Swieten, oltre a tenere egli stesso conferenze di fisiologia e medicina generale nella biblioteca di corte, rinnovò il corpo insegnante; dotò l'università di aule e strutture adeguate; istituì le cattedre di medicina teorica, medicina pratica, anatomia, chirurgia, chimica e botanica; rinnovò totalmente la conduzione degli ospedali di Vienna, trasformati in veri e propri centri di ricerca in cui furono create classi di medicina strutturate, dove gli studenti completavano la loro formazione al capezzale dei malati, imparavano a redigere una diagnosi motivata e assistevano alle autopsie. Tra i suoi maggiori collaboratori in campo medico, un altro olandese, Anton de Haen (1704-1776), da lui chiamato a reggere la cattedra di medicina pratica, che fu, tra l'altro, il primo a introdurre il controllo regolare della temperatura corporea e l'uso del termometro. Nel 1751, come bibliotecario imperiale, van Swieten fu nominato presidente della commissione di censura, dalla quale esautorò i gesuiti, cercando, anche se non sempre con successo, di analizzare i libri sulla base di criteri razionali, come l'utilità e la rilevanza scientifica. Nel 1752 l'Università divenne un'istituzione statale e riforme furono introdotte anche nelle facoltà di teologia, filosofia e giurisprudenza. L'imperatrice, che lo ascoltava anche in altri campi, nel 1755 gli affidò un'inchiesta su un preteso caso di vampirismo avvenuto in Moravia; van Swieten dimostrò che si trattava di una superstizione e in Abhandlung des Daseyns der Gespenster ("Discorso sull'esistenza dei fantasmi") diede una spiegazione scientifica dei vari fenomeni all'origine del mito; il risultato fu un decreto imperiale che vietava antiche pratiche macabre come esumare e trafiggere o bruciare i cadaveri dei supposti vampiri. Si dice che Bram Stoker si sia ispirato a lui per il personaggio del cacciatore di vampiri van Helsing del suo romanzo Dracula. La creazione dell'orto botanico di Vienna si inquadra nella generale azione riformatrice di van Swieten. Prima di lui all'università di Vienna non si insegnavano né la botanica né la chimica; inoltre, l'università non disponeva di edifici adeguati. Gradualmente, durante la sua gestione furono creati un anfiteatro anatomico, un laboratorio chimico, una clinica di facoltà e appunto un orto botanico, istituito nel 1754 in un'area di un ettaro sul Rennweg, adiacente al palazzo di Belvedere. Concepito come Hortus medicus, era destinato all'insegnamento della botanica applicata a medici e farmacisti e vi era annesso il laboratorio di chimica. Il progetto e la sistemazione delle piante vennero affidati al francese Robert Laugier (1722-1793), primo titolare della cattedra di chimica e botanica fin dal 1749, e poi primo direttore dell'orto botanico, che fece sistemare le aiuole didattiche secondo il sistema di classificazione di Boissier de Sauvages basato sulla forma delle foglie. Laugier diresse il giardino per una quindicina di anni, finché van Swieten, che ne aveva scarsa stima (gli rimproverava l'insufficiente conoscenza del latino e, come amico e corrispondente di Linneo, certo poco apprezzava il sistema di Sauvages), riuscì a costringerlo alle dimissioni, convincendo l'imperatrice a tagliargli lo stipendio: aveva infatti pronto per rimpiazzarlo un botanico di ben altro valore: il suo conterraneo, allievo e protetto Nikolaus Joseph von Jacquin, secondo prefetto dell'orto botanico e titolare delle cattedre di chimica e botanica dal 1768. Gli ultimi anni di van Swieten furono funestati, oltre che da un serie di malattie (nel 1772, in seguito a un tumore, subì anche l'amputazione di una gamba), dallo scontro con il figlio maggiore di Maria Teresa, divenuto imperatore come Giuseppe II nel 1765 in seguito alla morte del padre Francesco Stefano di Lorena. Egli infatti imputava al medico olandese la morte delle due mogli e delle due uniche figlie: nel 1763 la prima moglie era morta di vaiolo insieme alla secondogenita neonata, nel 1767 sempre di vaiolo era morta anche la seconda, mentre nel 1770, l'adorata figlia maggiore Maria Teresa era morta di pleurite ad appena otto anni. Quale fosse la responsabilità del vecchio medico in queste tragedie non saprei, ma certo egli inizialmente si era opposto all'inoculazione del vaiolo, una pratica ancora molto rischiosa. Il vaiolo lo era anche di più: tra le vittime di questa malattia implacabile ben cinque dei sedici figli dell'imperatrice; solo dopo la morte della sedicenne arciduchessa Maria Giuseppina, van Swieten si convinse e scrisse a William Pringle, il medico di Giorgio III, chiedendo di inviare a Vienna un medico esperto per inoculare il vaiolo all'intera famiglia imperiale. La scelta cadde su un altro olandese, Jan Ingenhousz, che aveva già inoculato con successo i famigliari di Giorgio III. Dopo aver brillantemente espletato il suo compito, rimase a Vienna come medico imperiale e qui completò i suoi studi in cui gettò le basi della comprensione del meccanismo della fotosintesi. Va dunque ascritto a merito di van Swieten aver portato a Vienna, oltre a de Haen e von Jacquin, anche questo dotatissimo connazionale. Il figlio maggiore Gottfried si illustrò in altri campi. Dapprima diplomatico, poi prefetto della biblioteca imperiale e presidente della commissione di censura dopo il padre, è celebre soprattutto per i suoi interessi musicali. Ambasciatore a Berlino negli anni '70, commissionò sei sinfonie a Carl Philipp Emanuel Bach, che gli dedicò una delle sue opere più famose, la terza raccolta delle Sonate per intenditori ed appassionati; a Berlino inoltre raccolse molti manoscritti di Bach e Händel, che poi fece regolarmente eseguire nei concerti domenicali che si tenevano nella biblioteca di corte, influenzando profondamente tanto Mozart quanto Haydn. Nel 1780, proprio nell'intento di far conoscere e diffondere la musica degli antichi maestri, fondò la Società dei cavalieri associati, per la quale tra il 1789 e il 1790 Mozart arrangiò diversi opere di Händel, tra cui il Messiah, che il salisburghese diresse più volte al clavicembalo. Alla sua morte, fu van Swieten a pagarne il funerale, quindi organizzò la prima esecuzione del Requiem, tenuta come concerto di beneficenza a favore della vedova e dei figli. Van Swieten figlio ebbe stretti rapporti anche con Haydn, per il quale scrisse i libretti della Creazione e delle Stagioni, e con il giovane Beethoven, che gli dedicò la prima sinfonia. ![]() Il mogano, un legname troppo sfruttato Nikolaus von Jacquin non mancava mai di ricordare coloro che in un modo o in un altro lo avevano aiutato nelle sue ricerche; non poteva certo dimenticare il suo maestro, colui che gli aveva aperto la strada di Vienna e aveva gettato lo basi della sua carriera scientifica. Per onorarlo degnamente, scelse una pianta speciale: quella da cui si ricava il più ricercato e bello dei legnami, il mogano. Linneo, come i botanici dell'epoca, pensava che avesse qualche affinità con i cedri e lo collocò nel genere Cedrela come C. mahagoni. Von Jacquin lo assegnò al nuovo genere Swietenia, come S. mahagoni (1760). Questo grande albero delle Antille all'epoca era l'unica specie nota, o almeno fino all'inizio dell'Ottocento si pensava che le variazioni che si riscontravano nel legname proveniente da altre zone fossero dovute al suolo o alle condizioni di crescita, finché nel 1837, studiando esemplari raccolti durante una spedizione nella costa pacifica del Messico, Zuccarini ne identificò una seconda specie di dimensioni minori che chiamò S. humilis. Infine nel 1886, George King, il sovrintendente dell'orto botanico di Calcutta, ne identificò una terza specie, proveniente dall'Honduras e appunto coltivata in quel giardino, e la denominò S. macrophylla. Sono queste le tre specie del genere (famiglia Meliaceae), abbastanza simili tra loro, ma presenti in areali diversi e solo in parte contigui: S. mahagoni è esclusivo della Florida meridionale e delle Antille (Bahamas, Cuba, Giamaica, Hispaniola); S. humilis occorre lunga la costa pacifica dal Messico all'America centrale; S. macrophylla, infine, la specie di maggiore diffusione, vive invece lungo la costa atlantica di Messico e America centrale e si spinge in Sud America fino all'Honduras, alla Bolivia e al Brasile. Sono alberi da medi a grandi (il maggiore, S. mahagoni, può superare i quaranta metri, con un tronco dal diametro di due metri), piuttosto ramificati, con foglie pinnate, da decidue a semi sempreverdi, a seconda dell'area di crescita; i fiori, raccolti in infiorescenze lasse, sono piccoli, con cinque petali ovati da bianchi a verde giallastro; i frutti invece sono grandi capsule legnose più o meno ovoidali che si aprono in cinque valve e contengono numerosissimi semi alati. Gli europei probabilmente conobbero il mogano, o almeno il suo legname, fin dal loro arrivo nelle Antille. Si dice che sia fatta di mogano una croce, datata 1512, conservata nella cattedrale di Santo Domingo, così come alcuni arredi dell'Escorial del tempo di Filippo II. Gli spagnoli però lo utilizzarono soprattutto per le costruzioni navali, e anche nei possedimenti francesi delle Antille fu scarsamente sfruttato. A lanciarne la voga furono dunque gli inglesi, soprattutto dopo il 1721, quando un decreto del Parlamento britannico eliminò i dazi per il legname importato dalle Indie britanniche. Nel corso del secolo, divenne uno dei legnami più apprezzati per ebanisteria, mobili e finiture di prestigio, tanto in Gran Bretagna quanto nelle Tredici colonie; il 90% arrivava dalla Giamaica, il resto dalle Bahamas, con piccoli contributi da altre isole, cui, dopo la temporanea occupazione di Cuba durante la guerra dei Sette anni, si aggiunse anche quest'isola. Attraverso le colonie britanniche, ci è giunto anche il nome mogano. Mentre in spagnolo l'albero - ma anche il suo legname - veniva (e viene) chiamato caoba, un nome derivato da una lingua dei Caraibi, e in francese acajou, dalla lingua tupi, nelle Antille britanniche incominciò ad essere noto come mahogany, una parola dall'etimologia discussa. La spiegazione più diffusa, ma non certo accettata da tutti, la fa risalire a m’oganwo, un nome che gli sarebbe stato dato dagli schiavi neri giamaicani per la sua somigliano con un albero africano (Khaya ivoriensis), chiamato in yoruba oganwo, ovvero "re del legno". Come che sia, il commercio del mogano americano, che nell'Ottocento si estese anche alle altre due specie, divenne così imponente da mettere a rischio la sopravvivenza di questi alberi; il mogano delle Antille era già raro all'inizio del Novecento, e un secolo dopo anche quello centro e sudamericano era avviato sulla stessa strada. Oggi tutte e tre le specie sono incluse nella lista rossa delle piante minacciate; nel 1975 Swietenia humilis è stato inclusa nell'Appendice II CITES (la lista delle piante a rischio di estinzione senza una stretta regolamentazione), seguita nel 1992 da S. mahagoni e nel 2003 da S. macrophylla. Questa è di fatto l'unica specie oggi di una qualche importanza commerciale; dopo che nel 2001 il Brasile ne ha vietato l'esportazione, il maggior produttore è divenuto il Perù, da cui proviene circa il 74% della produzione mondiale, purtroppo in gran parte tagliata illegalmente nella foresta amazzonica. La coltivazione di S. macrophylla, in seguito alle crescenti restrizioni del commercio del mogano americano, alla fine del Novecento è stato introdotta in vari paesi asiatici (India, Bangladesh, Indonesia) e nelle Fiji, ma queste piantagioni sono ancora recenti, con alberi giovani: ecco perché il commercio illegale continua. La soluzione più sostenibile è dunque non acquistare prodotti ricavati dal legname di questi alberi minacciati. D'altro canto nelle Filippine, dove sia S. mahagoni sia S. macrophylla sono state introdotte all'inizio del Novecento, sono considerate specie invasive, con un impatto negativo sul suolo e la biodiversità naturale. Dunque anche l'introduzione al di fuori della loro area d'origine non è senza rischi.
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Nel 1787, Ramond de Carbonnères, che all'epoca è il segretario del cardinale di Rohan, capita un po' per caso nei Pirenei. Da quel momento lo scopo della sua vita sarà scoprire i segreti della formazione geologica della catena, che all'epoca costituiva un enigma; per svelarli, ne esplora per decenni la sezione centrale, con un'ossessione: riuscire a scalare quella che al tempo se ne riteneva la massima cima, il Monte Perdido o Mont Perdu. Vero padre della scoperta scientifica dei Pirenei, Ramond era anche un appassionato botanico e uno specialista della flora di alta montagna. La dedica del bel genere Ramonda, che annovera un endemismo dei Pirenei e due specie balcaniche, è assolutamente perfetta. ![]() Da poeta a scienziato: un percorso di vita Nella primavera del 1787, quando per la prima volta arriva nei Pirenei, Louis Ramond (1755–1827) non sa ancora che quelle montagne diventeranno la sua passione, anzi la sua ossessione. Ha poco più di trent'anni, ma è come se avesse già vissuto almeno due vite. Nato a Strasburgo, una città-frontiera, è diviso tra due culture anche nell'identità personale, figlio com'è di un padre francese della Linguadoca e di una madre alsaziana di origine tedesca. Dunque, nulla di strano che sia tra i primi a scoprire il preromanticismo tedesco dello Sturm und Drang. Ha appena diciannove anni quando esce I dolori del giovane Werther di Goethe; la lettura di quel romanzo generazionale è una tale folgorazione che decide di diventare a sua volta scrittore e nel 1777 (ora ha ventidue anni) pubblica a sua volta Les Dernières aventures du jeune d'Olban, che, come il suo modello goethiano, si conclude con un colpo di pistola. Come Werther, anche Louis (che quell'anno si è anche laureato in legge) ha vissuto un amore impossibile, ma lascia che a suicidarsi per lui sia il suo eroe, e per consolarsi parte per la Svizzera; è alla ricerca di paesaggi che nutrano la sua ispirazione poetica e, come scrive in una lettera al padre, si mette in viaggio per "osservare e non per arrivare"; ci sono incontri con personalità importanti, come il patriarca dei naturalisti Albrecht von Haller, il biologo Charles Bonnet e il fondatore della fisiognomica Lavater, ma c'è soprattutto la scoperta delle alte montagne: scala diverse cime del Bernese, poi si sposta al San Gottardo e va all'esplorazione delle Alpi ticinesi. Poi, per tre anni, è soprattutto uno scrittore. Pubblica una raccolta di poesie, poi si trasferisce nella capitale dove dà alle stampe un dramma romantico e la traduzione di Sketches of Swisserland di William Coxe (Lettres de M. William Coxe à M. W. Melmoth sur l'état politique, civil et naturel de la Suisse), che infarcisce di note e osservazioni tratte dal suo viaggio svizzero al punto da irritare l'autore. Il successo letterario a cui aspira non arriva: ci vorranno anni perché il gusto romantico conquisti Parigi; per i milieu letterari, Ramond è uno scrittore appena mediocre, più tedesco che francese. Ma la contestata traduzione ha un merito: attira l'attenzione del vescovo di Strasburgo, il cardinale di Rohan, che nel 1781 lo assume come segretario; per sette anni ne sarà il più ascoltato consigliere e gli sarà fedelissimo; sbriga i suoi affari, organizza le sue feste, lo accompagna in tutti i viaggi, viaggia per suo conto quando il cardinale preferisce rimanere nella prediletta residenza di campagna di Saverne, ai piedi dei Vosgi. Alla colorita corte del cardinale, conosce Cagliostro, che lo inizia alla massoneria e ne fa il suo discepolo nelle sedute di magia e ipnosi. Per adeguarsi al nuovo ambiente, cambia anche nome: ora si fa chiamare Louis Ramond de Carbonnières, pretendendo che si tratti di un vecchio nome che da tre secoli distingue un ramo della sua famiglia . Quando il cardinale viene arrestato in seguito all'affare della collana, Ramond- uno dei pochi del suo entourage rimasto a piede libero - si incarica di far sparire le lettere compromettenti; poi va in Inghilterra a cercare le prove che la collana è stata venduta dai truffatori e il cardinale è stato ingannato; anche grazie ad esse, Rohan viene assolto, ma il re lo manda in esilio all'abbazia di Chaise-Dieu in Alvernia. Ramond è con lui e approfitta di quella che per il suo padrone è una orribile seccatura per immergersi nella natura e dedicarsi alle passeggiate botaniche. Quando arriva l'inverno, il cardinale e il suo seguito sono autorizzati a trasferirsi a Marmoutier, in Touraine. Poi, gli viene permesso di viaggiare per "passare le acque"; così nella primavera del 1787, sua Eminenza lo manda in avanscoperta nei Pirenei. La scelta cade su Barèges, un villaggio a circa 1200 metri d'altitudine, annidato nelle montagne, lungo la strada che conduce al Col Tourmalet, ai piedi del Pic du Midi; all'epoca reputata per le sue acque solforose, è la stazione termale più elevata dei Pirenei. La comitiva del cardinale vi arriva alla fine di luglio, e già il 2 agosto Ramond scala per la prima volta il Pic de Midi: ai suoi occhi si mostra una gran parte dei Pirenei centrali, fino alla vetta culminante, il Monte Perdido/ Mont Perdu. Diverse escursioni seguiranno nei giorni successivi; la maggiore, dal 16 al 24 agosto, lo porta a percorrere ben 250 km e un dislivello di 13 km, da Barèges al ghiacciaio della Maladeta e ritorno. Non sono solo la passione alpinistica e il gusto romantico a spingerlo a percorrere il massiccio, solo o accompagnato da pastori locali; in gioco c'è anche una disputa scientifica. L'idea dominante all'epoca, confermata dall'ascensione al Monte Bianco di Saussure, era che le montagne più alte ed antiche fossero granitiche, mentre quelle più recenti e basse calcaree; secondo Dolomieu (un uomo che destava i sistemi) la catena centrale dei Pirenei faceva eccezione, essendo calcarea. Per verificare se abbia ragione, Ramond si propone di raggiungere il centro della catena, ovvero quel Mont Perdu che ha visto come un miraggio fin dalla sua prima ascensione. Ma come arrivarci nessuno lo sa. Così, quando, venuto l'autunno, tocca ripartire, egli si rassegna a rimandare il problema alla prossima occasione, Nel dicembre 1788, lascia il servizio del cardinale e si trasferisce a Parigi, deciso a fare della scienza la sua nuova professione. Pubblica Observations faites dans les Pyrénées, pour servir de suite à des observations sur les Alpes e segue le lezioni di Antoine Laurent de Jussieu e René Desfontaines al Jardin des Plantes. Ma a imporre una momentanea battuta d'arresto è la politica: nel settembre 1791 è eletto deputato all'Assemblea legislativa; esponente di spicco dei Foglianti, è strettamente legato a La Fayette e avverso ai giacobini. Nell'estate del 1792, mentre la situazione politica precipita, Ramond si allontana prudentemente dalla capitale e torna a Barèges. L'8 agosto è di nuovo sul Pic du Midi. Durante la Convenzione, rimane nei Pirenei, fissando la sua residenza prima a Barèges poi a Gèdre; continua ad esplorare la catena, anche se le tensioni tra Francia e Spagna ostacolano i suoi movimenti. Finché nel gennaio 1794 viene arrestato come "elemento controrivoluzionario" e condotto nel carcere di Tarbes; rimarrà agli arresti per più di sette mesi, fino a novembre, rischiando anche la condanna capitale. Se ne salva grazie ad alcuni amici, tra cui l'illustre botanico Desfontaines. ![]() La difficile conquista del Mont Perdu Ora per Ramond de Carbonnières inizia una nuova vita, l'ennesima. Lasciatosi alle spalle l'ambizione politica, vuole essere solo scienziato. Così scrive a Philippe Picot de Lapeyrouse, colui che considera il suo maestro e la sua guida per la storia naturale dei Pirenei: "Non sono posseduto da alcuna ambizione [...]. Sono amico della natura e nient'altro. Non posso essere utile ai miei concittadini che sotto questa forma". Si stabilisce a Bagnères-de-Bigorre, ma Barèges, dove ora abita sua sorella che ha sposato il capo chirurgo del locale ospedale, continua ad essere il punto di partenza delle sue escursioni; arricchisce l'erbario, raccoglie campioni di rocce e fossili, disegna schizzi (è infatti anche un ottimo disegnatore), corrisponde con altri studiosi, tra cui Dominique Villars, grande esperto di flora alpina. Nel 1795, alla creazione della scuola centrale degli Alti-Pirenei a Tarbes, viene nominato professore di storia naturale, e si dedica al nuovo compito con grande serietà. Le sue lezioni entusiasmanti lo rendono presto popolare tra gli studenti, ai quali vuole trasmettere “non la scienza, ma il desiderio e il modo di apprendere”. Momento chiave di questo insegnamento sono le erborizzazioni e le escursioni in natura, anche di più giorni e anche in montagna. Non ha rinunciato al progetto di scalare il Mont Perdu; è convinto che l'unica via per raggiungere quella montagna proibita ("mai, da quando si dà un nome alle montagne, ce n'è stata una con un nome così appropriato") sia la valle d'Estaubé. Nell'estate del 1797 è pronto ad affrontare la sfida con due guide fidate e pochi allievi già esperti alpinisti, quando vede arrivare Picot de Lapeyrouse, che è venuto a Barèges a curarsi i reumatismi. Tra lui e Ramond c'è una disputa: entrambi concordano sulla natura calcarea della catena centrale dei Pirenei, ma mentre il primo pensa che non presenti tracce di fossili e dunque sia di orogenesi primitiva, il secondo ne dubita, convinto che l'ipotesi vada per lo meno verificata sul campo, e che la risposta la darà il Mont Perdu. Così l'11 agosto quello che parte da Barèges è un folto gruppo: Picot de Lapeyrouse, suo figlio Isidore, due allievi e il giardiniere della scuola centrale di Tolosa, due pastori che hanno già accompagnato Ramond in molte gite, Ramond stesso e quattro allievi della scuola centrale di Tarbes; uno di loro è Charles-François Brisseau de Mirbel, futuro padre della citologia vegetale. Da Gèdre il gruppo sale a Coumélie lungo un sentiero tortuoso; Ramond nota qui e là un fiore simile al colchico che annuncia già l'autunno. Lo ritiene un genere nuovo e lo battezza Merendera (oggi l'unico genere da lui creato non è accettato, ed è sinonimo di Colchicum); passano la notte in una grangia e Ramond ingaggia altre tre guide, due pastori di Coumélie e un cacciatore, che aveva fama di conoscere il Mont Perdu ("il fatto è che non ne sapeva niente più di noi"). All'alba del giorno successivo, procedendo lungo i pascoli, si dirigono verso la valle di Estaubé. In quel paesaggio imponente e severo, fioriscono in abbondanza i lunghi pennacchi di Saxifraga longifolia, di cui Lapeyrouse è stato il primo scopritore. Mano a mano che avanzano nella valle, il Mont Perdu sembra giocare a rimpiattino, sempre più nascosto da imponenti bastioni di roccia, fino a scomparire del tutto. Non si scoraggiano e continuano a salire, fino a giungere ai piedi del ghiacciaio mediano di Tuquerouye, dove incontrano un contrabbandiere che, finalmente, sembra saperne qualcosa, e consiglia loro di tornare indietro, ridiscendere e risalire da un'altra via; sono ore di marcia perdute, e Ramond propone ai suoi compagni una strada più diretta e audace: salire fino al ghiacciaio e attraversarlo. Il contrabbandiere approva, e presto si dilegua. Eccoli dunque risalire lungo la morena del ghiacciaio, fino a toccare la neve. La traversata è impegnativa, Lapeyrouse è sempre più in difficoltà, finché Ramond lo convince a fermarsi; lo lascia ad attenderli in compagnia della più fidata delle sue guide, mentre gli altri proseguono. Dopo un'ora di difficile marcia, ritrovano il contrabbandiere, caduto in un precipizio. Lo recuperano e lo uniscono a loro, anche se la disavventura nella quale ha perso, insieme alla piccozza, gran parte della sua sicurezza, semina la sconforto. Finché, superato il punto di massima inclinazione del ghiacciaio, la pendenza si addolcisce visibilmente e riprendono fiducia e slancio. Un grido di gioia annuncia il cambiamento di scena: la montagna, cinta da nubi, avvolta di ghiacci, separata da loro da abissi, si è degnata di mostrarsi, come "un Dio la cui presenza è sentita più che vista e che si manifesta in tutto ciò che lo circonda prima di rivelarsi". La cima è davanti a loro, ma è anche chiaramente irraggiungibile. Ramond e i suoi compagni decidono di esplorare il lago ghiacciato che si occupa una valletta ai piedi della montagna. Lo attraversano e sondano le rocce che lo circondano; dappertutto, trovano "vestigia di abitanti del mare. Sostanzialmente ostriche e una moltitudine di madrepore costituiscono la parte più appariscente di questi venerabili resti". Ormai è mezzogiorno, ed è tempo di ritornare. Pensare di trascorrere lì la notte, al freddo e senza viveri, per tentare la scalata il giorno dopo, sarebbe follia. Ramond, preoccupato per i suoi compagni, provati dalla salita, decide di scendere per la strada inizialmente indicata dal contrabbandiere, che nel frattempo si è ecclissato di nuovo. E' poco meno difficile e pericolosa. Ore dopo, più in basso, al Port de Pinède, ritrovano Lapeyrouse, che Ramond ha fatto avvertire del cambio di programma da una delle guide; gli mostra le sue scoperte che provano l'indubbia natura secondaria dell'asse dei Pirenei. Il vecchio scienziato è amareggiato e deluso e, anche se non cesseranno di corrispondere, continuerà a nutrire rancore verso il più giovane collega, cercando di sminuirne le scoperte. L'8 settembre, ancora con i suoi allievi e le due guide più fidate, Ramond ritorna al lago glaciale per tentare la scalata alla cima; devono di nuovo rinunciare, ma raccolgono altri fossili. Negli anni successivi, è impegnato in molte ascensioni lungo il massiccio, talvolta da solo, talvolta con Mirbel e altri allievi, o amici come Jean-Florimond Boudon de Saint-Amans, professore di storia naturale alla scuola centrale di Agen. Nel 1801, racconta le sue ascensioni ed espone la sua teoria generale sulla formazione dei Pirenei in Voyages au Mont-Perdu et dans la partie adjacente des Hautes-Pyrénées, un libro di grande precisione scientifica ma anche di lettura appassionante, in cui dietro lo scienziato si avverte la mano del poeta romantico. Il Mont Perdu è ancora inviolato. Lo rimane fino al 6 agosto 1802, quando le due fidate guide di Barèges, Rondo e Laurens, inviati in avanscoperta da Ramond, riescono a raggiungere la cima. Tre giorni più tardi vi guidano Ramond, che poi racconterà l'impresa in Voyage au sommet du Mont-Perdu in uno stile che Henri Beraldi ha definito "molto veni, vidi, vici". Lo stesso anno la sua fama di scienziato è consacrata dall'ammissione all'Institut de France (la vecchia Accademia delle scienze) nella classe di scienze fisiche e matematiche. ![]() Piante d'alta quota Dopo il colpo di stato di Napoleone, Ramond, molto stimato dal primo console, ha anche ripreso a fare politica. Dal 1800 al 1806 è deputato del corpo legislativo. Nei cinque mesi in cui avvengono le sedute, vive a Parigi; il resto dell'anno è ospite della sorella e del cognato a Barèges. Alle ricerche geologiche e botaniche, si sono aggiunti anche i rilievi barometrici, cui è stato iniziato dall'amico Bon-Joseph Dacier, conservatore della biblioteca imperiale. Nel 1806 Bonaparte lo nomina prefetto del Puy-de-Dome. Come funzionario, è serio ed efficiente come lo è stato come professore. Ma è ancora soprattutto uno scienziato, che fa rilievi barometrici dal balcone della prefettura, esplora i monti Dores, i monts Dômes e il massiccio del Sancy. Frutto di queste ricerche è Nivellement des Monts Dores et des Monts Dômes disposé par ordre de terrains (1815). Nel 1809 l'imperatore premia la sua fedeltà facendolo barone dell'Impero. Nel 1810, torna ancora una volta nei Pirenei e il 28 settembre scala per la 33 e ultima volta il Pic du Mid. La morte della sorella nel 1812, poi del cognato nel 1815, chiude definitivamente il capitolo Pirenei. Nel 1813 lascia la funzione di prefetto, e si stabilisce definitivamente a Parigi, con la giovane moglie, figlia dell'amico Dacier. Anche se durante i Cento giorni è nuovamente deputato, questo volta per il dipartimento di Puy-de-Dome, la Restaurazione lo lascia indenne, tanto che nel 1818 è nominato al Consiglio di Stato. Nell'estate nel 1821, torna in Alvernia e inizia alla geologia e alla botanica del massiccio centrale due giovani naturalisti parigini, Victor Jacquemont e Hippolte Jaubert. Ma è ancora dedicata ai Pirenei l'ultima memoria, Sur l’état de la végétation au sommet du Pic du Midi (1825). Muore a Parigi nel 1827. Anche se i suoi contributi più decisivi sono nel campo della geologia, Ramond è stato un appassionato botanico, fin dai tempi in cui ancora al servizio del cardinale di Rohan erborizzava a Saverne. Le narrazioni delle sue escursioni sono costellate di puntuali riferimenti alla flora; persino nei momenti più difficili, quando ciascuno di noi baderebbe più che altro a dove mette i piedi, non manca di osservare ed elencare le piante che si offrono al suo sguardo attento e innamorato. Il suo contributo principale alla botanica è ovviamente nello studio della flora di alta quota, là dove pochi erano andati ad erborizzare prima di lui. Gli si deve la scoperta di nove specie, sette delle quali endemiche dei Pirenei: Arenaria purpurascens, Asperula hirta (oggi Hexaphylla hirta), Festuca eskia, Leucanthemum maximum, Medicago suffruticosa, Scorzonera aristata, Pinguicola longifolia, scoperta durante una delle sue ascensioni al Mont Perdu. Le altre due sono Potentilla micrantha e Viola pirenaica, presenti rispettivamente nell'Europa centrale e meridionale e nelle montagne europee. Ad eccezione di Asperula hirta, pubblicata dallo stesso Ramond, furono tutte pubblicate da de Candolle, a cui egli aveva affidato le sue osservazioni e i fogli d'erbario. Ramond considerava il suo erbario l'oggetto più prezioso, il custode della memoria della sua vita: "Ora sono vecchio e mi riposo [...]. Diminuisco la mia biblioteca, e conservo solo ciò che è necessario per me e mio figlio, soprattutto il mio erbario, perché è la storia di mezzo secolo della mia vita. Adesso vivo con il mio erbario e i ricordi che lo accompagnano; al di fuori di questo, tutto mi è superfluo". Conservato in 68 sacchi di tela e donato dagli eredi alla Societé Ramond (creata nel 1866 per promuovere la scoperta naturalistica, storica, etnologica e sportiva dei Pirenei), dal 2003 è stato affidato al Conservatoire botanique nationale des Pyrénées et de Midi-Pyrénées, che ne ha curato la pubblicazione on line a questo indirizzo. ![]() Gioielli vegetali dai Pirenei e dai Balcani A celebrare il padre degli studi pirenaici non poteva che essere una pianta di quelle montagne. Nel 1805 Louis Claude Richard, nell'assegnare a un nuovo genere una pianta che Linneo aveva descritto come Verbascum myconi, la rinominò Ramonda pyrenaica, "così chiamata in memoria del celebre Ramond per i suoi meriti nell'osservazione delle piante pirenaiche". Qualche anno dopo Lapeyrouse nel suo Histoire Abrégée des Plantes des Pyrénées, forse memore dello sgarbo di Ramond, la ribattezzò Myconia borraginea. Troppo tardi. Il nome valido è quello di Richard, anche se ovviamente la specie ha recuperato il più antico eponimo linneano e oggi si chiama Ramonda myconi. E' una delle tre (o quattro) specie di questo genere della famiglia Gesneriaceae, diffusa soprattutto ai tropici, di cui, insieme a Haberlea e eventualmente Jancaea, è l'unico rappresentante europeo. Vestigio dell'epoca terziaria, quando il nostro continente godeva di un clima subtropicale, più caldo e umido, queste piante all'arrivo delle glaciazioni si sono rifugiate in enclave montane. R. myconi è stata a lungo l'unica specie conosciuta; è ristretta ai Prepirenei, ai Pirenei e alla catena costiera catalana, dove vive nelle gole calcaree e nelle valli umide di montagna. La sua scoperta risale addirittura al Cinquecento, quando venne raccolta nella montagna di Montserrat dal farmacista e botanico catalano Francisco Micó, che la comunicò a Jacques Dalechamps che a sua volta la pubblicò in Historia generalis plantarum sotto il nome Auricula ursi myconi. E' una piccola è graziosissima semoreverde rupicola, con foglie a rosetta e fiori viola che ricordano da vicino quelli della Saintpaulia. Verso la fine dell'Ottocento si aggiunsero altre due specie, scoperte in Serbia da Joseph Pančić, R. serbica e R. nathaliae. Entrambe vivono in habitat calcarei, ma hanno distribuzione diversa. R. serbica, scoperta da Pančić nel 1874 sul monte Rtanj, appartiene al bacino idrografico adriatico ed ha areale più ampio (Serbia, Albania; Montenegro, Macedonia, Grecia settentrionale, tra 200 e 1950 metri sul livello del mare); R. nathaliae, scoperta nel 1884 nella gola di Jelašnica presso Niš dallo stesso Pančić e dal medico di corte Sava Petrović, che la dedicarono alla regina di Serbia Natalija Obrenović, è ristretta alla Macedonia e ad aree adiacenti di Grecia, Serbia e Kosovo ed appartiene al bacino idrografico egeo. Le due specie sono molto simili, ma R. serbica ha foglie più romboidali con margini vistiosamente dentati o incisi, fiori più piccoli e meno numerosi portati su lunghi scapi, R. nathaliae foglie più arrotondate, fiori più grandi e scapi più brevi. Nel 1928 il botanico russo Pavel Černjavskij stava riordinando il suo erbario quando casualmente vi rovesciò sopra un bicchiere d'acqua; per rimediare al disastro, lasciò asciugare le carte e le piante per tutta la notte; al mattino dopo, scoprì che un esemplare di R. nataliae, che faceva parte della sua collezione da un anno e mezzo ed era totalmente disseccato, si era reidratato ed appariva vivo e vegeto. Pubblicò subito la scoperta sulla rivista della società botanica russa, con una conseguenza politica; da allora R. nataliae è stata scelta come simbolo della "resurrezione" della Serbia e del suo esercito dopo la Prima guerra mondiale. La rara particolarità di potersi disseccare completamente e di riprendersi alla prima pioggia, diffusa tra licheni, epatiche e muschi, ma rarissima tra le Angiosperme, è condivisa da tutte le specie del genere, anzi da tutte le Gesneriaceae europee; hanno sviluppato questa capacità per poter sopravvivere, nonostante la loro origine tropicale, in aree montane con estati secche e temperature invernali che scendono di molto sotto zero. Nel 1851, Theodor von Heldreich, all'epoca direttore dell'orto botanico di Atene, scoprì sulle pendici del monte Olimpo un'altra gesneriacea, di cui però non vide i fiori. Inizialmente Boissier la classificò come Haberlea heldreichii, poi, dopo la raccolta di esemplari fioriti, la trasferì a un genere proprio, Jancaea, in onore di Viktor Janka, curatore dell'erbario di Budapest ed esploratore della flora dei Balcani. Non tutti erano d'accordo: Alphonse e Casimir de Candolle la collocarono nel genere Ramonda, come R. heldreichii. Recentemente, l'appartenenza a Ramonda è stata supportata da dati molecolari; Plant of the World on line ne prende atto, riducendo Jancaea a sinonimo. Ma poiché la maggioranza dei repertori, inclusi il sito della Gesneriad Society e Flora of Greece on line, lo trattano ancora come genere a sé, così farò anch'io, soprattutto per poter dedicare un post a Janka. Per Robert Brown, Anton Pantaleon Howe (lui però lo scriveva Hove) era un "ben noto viaggiatore botanico". Per noi invece questo polacco capitato non sappiamo come né perché in Inghilterra è un illustre sconosciuto. Ha lasciato qualche traccia di sé quasi unicamente nella corrispondenza di Joseph Banks, grazie alla quale ne seguiamo le avventure in mezzo mondo, dalla Namibia all'India e poi dalla Polonia alla Crimea, scoprendo che forse dietro la facciata di botanico si nascondeva un'attività meno alla luce del sole. Gli mancava l'Australia, ma ci ha pensato appunto Brown, dedicandogli il genere australiano Hovea (Fabaceae). ![]() Un misterioso giramondo Tra i tanti cacciatori di piante inviati in giro per il mondo da sir Joseph Banks per arricchire il giardino reale di Kew, uno dei più oscuri e misteriosi è Anton Pantaleon Howe. Tanto misterioso che non ne conosciamo con precisione neppure il cognome, scritto anche Hove o Hoveau, che è la trascrizione inglese di un cognome ignoto che a orecchie britanniche suonava più o meno come Au. Il personaggio salta fuori dal nulla nel settembre 1785. Dopo la perdita delle colonie americane, la corona britannica cercava nuove colonie penali dove deportare i condannati. Oltre a Botany Bay in Australia, fu presa in considerazione anche la baia di Lüderitz, all'epoca nota con il nome portoghese Angra das Voltas, lungo la costa dell'attuale Namibia; se si fosse rivelata adatta, avrebbe offerto alle navi inglesi dirette in India e in Cina uno scalo alternativo all'isola di Sant'Elena e al Capo di Buona speranza, all'epoca ancora saldamente sotto il controllo della Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC). Del progetto venne ovviamente informato Banks, il più ascoltato consulente dell'ammiragliato, che ottenne che alla missione partecipasse uno dei suoi raccoglitori; il candidato ideale doveva essere un esperto giardiniere con qualche conoscenza di botanica, dotato di buone capacità di osservazione. Probabilmente su suggerimento di William Aiton la scelta cadde appunto su Howe, di cui, in una lettera a Banks del 10 settembre 1785, il segretario della Royal Society Charles Blagden esalta anche il carattere allegro e le conoscenze mediche. Da una lettera di parecchi anni dopo dello stesso Banks, scopriamo che era polacco, forse di Varsavia, ma non sappiamo nulla dei suoi studi e della sua vita prima dell'arrivo in Inghilterra, di cui ignoriamo la data. Poiché in Namibia assunse anche il ruolo di chirurgo di bordo, possiamo supporre che avesse studiato medicina, pur senza laurearsi, in Polonia o altrove. Risulta invece che fosse stato assunto a Kew come giardiniere dietro raccomandazione di John Graeffer, il grande giardiniere che più tardi avrebbe realizzato il giardino inglese della Reggia di Caserta. Dato che Graeffer era tedesco, potrebbe aver conosciuto Howe all'estero; oppure il polacco potrebbe aver lavorato in precedenza per il vivaio di Gordon, di cui Graeffer era uno dei soci. Poiché l'area di Angra das Voltas si trovava a cavallo tra la zone d'influenza portoghese in Angola e olandese in Sudafrica, l'ammiragliato si mosse con la massima cautela e segretezza, sollevando anche qualche perplessità sull'ingaggio di uno straniero. Alla fine si convinse; così, a bordo della Grampus, la nave ammiraglia della piccola flotta guidata dal commodoro Edward Thompson, c'era anche Anton Howe come botanico, accanto al cartografo, il luogotenente Home Riggs Popham, e al nipote e figlio adottivo del comandante, il luogotenente Thomas Bolden Thompson. Della ricognizione vera e propria si sarebbe occupato l'agile sloop Nautilus, comandato dal capitano George Tripp. Per mascherare la vera meta, le provviste aggiuntive furono caricate sul Grampus, e la piccola flotta, salpata a settembre, si diresse nell'attuale Ghana, con l'obiettivo apparente di ispezionare le stazioni commerciali britanniche della costa occidentale dell'Africa. Tuttavia ad Apollonia il commodoro morì di febbri nel gennaio 1786: come ufficiale più anziano, Tripp assunse il comando del Grampus e ad aprile lo riportò in Inghilterra; nel frattempo le provviste erano state trasbordate sul Nautilus, che salpò in direzione sud al comando di Thomas Bolden Thompson, alla ricerca di Angra das Vueltas sulla base di imprecise carte portoghesi e di vaghe informazioni raccolte da navigatori inglesi e esploratori olandesi, che presentavano quell'area come fertilissima e ricca di potenzialità. A bordo c'erano anche Popham e Howe, nelle vesti di botanico e chirurgo di bordo. Non c'è da stupirsi se la missione fu un totale fallimento. Invece della terra fertile dal clima mite che si attendevano, gli inglesi si trovarono in un deserto "inospitale e nudo, che non ha eguali tranne nell'Arabia deserta", secondo le parole di Bolden Thompson. Non gli riuscì di trovare né Angra das Vueltas, né la foce del grande fiume indicato nelle carte, né fonti d'acqua. Al suo rientro in Inghilterra a luglio, la sua relazione non poteva che essere negativa. L'unico contento del viaggio probabilmente fu proprio Howe, che in quelle plaghe desertiche poté trovare piante ignote, raccogliendo semi, molte bulbose e 17 specie di Pelargonium, tra cui P. crassicaule, P. cortusifolium e P. ceratophyllum. Avendo dato ottima prova di sé, dimostrando "buon senso e carattere audace", come scrisse Banks, poco dopo il rientro in Inghilterra gli fu affidata una missione più delicata, a metà tra la botanica e lo spionaggio industriale: fu infatti inviato in India a studiare i metodi di coltivazione e a procurarsi semi del migliore cotone in commercio, quello di Surat nel Gujarat. A organizzare il viaggio fu l'Ufficio del commercio, su pressione dei produttori di tessuti di cotone di Manchester, che erano costretti ad importare parte della materia prima dall'estero; incrementare la quantità e la qualità del cotone coltivato nelle Antille britanniche era infatti strategico per l'industria britannica della nascente rivoluzione industriale. Howe partì per l'India nell'aprile del 1787 e, dopo uno scalo a Ceylon, dove fu derubato di raccolte e attrezzature, si trattenne nel subcontinente per circa due anni. Esplorò con molta cura l'area costiera tra Bombay e il Gujarat, raccogliendo piante (tra le altre Crotalaria juncea, una pianta da fibra citata in antichi testi sacri, e il mangostano, cui gli si attribuisce l'introduzione in Inghilterra); era un'ottima copertura per il vero scopo del viaggio, che tuttavia trapelò. Nelle sue lettere a Banks riferisce dei mille ostacoli che i funzionari della Compagnia delle Indie (che non gradiva la concorrenza del cotone delle Antille) cercarono di contrapporgli. Nonostante fosse riuscito a procurarsi semi di buona qualità, le sue richieste di denaro e le spese considerate eccessive finirono per seccare Banks e l'Ufficio del Commercio, che ordinarono a Howe di rientrare anzitempo. Imbarcatosi su una nave danese nel febbraio 1789, rientrò in Inghilterra ad agosto, dopo uno scalo a Città del Capo, nel corso del quale incontrò Francis Masson. Da questo momento le notizie che possediamo su Howe si fanno sporadiche. A un certo punto dovette lasciare la Gran Bretagna per la Germania, dove lavorò come medico, poi passò in Polonia dove fece raccolte di piante e cercò di creare un "istituto botanico". In una lettera a Banks inviata da San Pietroburgo il 20 settembre 1795, egli riferisce che aveva dovuto lasciare la Polonia e rifugiarsi in Russia in seguito all'insurrezione di Kościuszko (marzo-novembre 1794), durante la quale le sue collezioni erano andate distrutte; avendo incontrato lo zar l'anno prima e avendo relazioni con funzionari russi, era infatti considerato filorusso. E' stato ipotizzato, ma senza prove, che in questi anni avesse continuato a lavorato come agente dell'intelligence britannico. Il 15 agosto 1796, da Odessa, Howe scrisse la sua ultima a lettera a Banks: conteneva semi e una lunga descrizione dell'azalea pontica Rhododendron ponticum; da un frammento di diario pubblicato sul Botanical Magazione di Curtis nel 1799 (il resto è purtroppo perduto) possiamo ricavare qualche notizia sui suoi movimenti in questa fase: a giugno trovò esemplari di questa specie sulle rive del Dnestr nella tenuta del conte Potocki a Mohilow (attualmente Mohyliv-Podilskyi in Ucraina); il 4 luglio ne vide migliaia in una palude presso Očakiv; il 15 luglio ne trovò una valle interamente ricoperta a Trebisonda. Poi, per quasi vent'anni, nessuna notizia, fino al 1812, quando in una lettera a Knight, Banks ricorda che Howe portò l'azalea gialla dalla Crimea e sottolinea ancora una volta che era di origine polacca ed era un buon giardiniere che aveva lavorato per molti anni per i Kew Gardens. Forse all'epoca era tornato in Inghilterra, ma certo vi morì, come scopriamo da un annuncio fatto pubblicare dai suoi esecutori testamentari sulla Gazeta Krakowska il 25 novembre 1837: in seguito alla morte di Anton Pantaleon Howe a Bath nel gennaio 1830 e all'incapacità della vedova Joanna Howe per "sonnambulismo", si sollecitano potenziali eredi a comparire davanti a un tribunale londinese pena l'esclusione dall'eredità. Quattro anni dopo, anche Joanna (o Jane), morì a Kensington, all'età di 86 anni, come ci informa la sezione necrologi di The Gentleman's Magazine dell'ottobre 1841. ![]() Australiane dai fiori blu Nel 1812, nel quarto volume della seconda edizione di Hortus Kewensis, Robert Brown dedicò a Howe uno dei suoi generi australiani, Hovea (Fabaceae), senza alcuna motivazione esplicita. Le fornisce invece pubblicando Hovea latifolia nel primo volume di The Botanical Cabinet di Loddiges (1817): "Il genere a cui appartiene questa pianta ha ricevuto il suo nome in onore di Mr. A. P. Hove, il ben noto viaggiatore botanico polacco. Grazie a lui sono state introdotte molte belle piante, e speriamo che egli voglia accrescerne il numero". Probabilmente Brown non lo conosceva di persona, ma gli erano note le piante da lui introdotte a Kew; è forse troppo dedurne che all'epoca Hove non fosse ancora tornato in Inghilterra e magari fosse impegnato in qualcuno dei suoi misteriosi viaggi. Nessun mistero sullo bellezza di Hovea, uno dei numerosi generi di leguminose endemici dell'Australia; comprende circa quaranta specie di suffrutici, arbusti ma anche piccoli alberi, distribute in tutti fli stati del paese, con vistosi fiori papilionacei viola, malva, blu, più raramente bianchi. Tra le specie più coltivate nei giardini australiani, e talvolta anche altrove, vale la pena di segnalare Hovea acutifolia, originaria dei margini delle foreste umide del Queensand e del Nuovo Galles del Sud; di veloce crescita, in primavera si ricopre di una massa di piccoli fiora da blu a viola-malva. Molto attraente anche H. trisperma, che cresce invece nelle boscaglie sabbiose dei dintorni di Perth e nei distretti di Darling e Stirling; è un arbusto dal portamento aperto che dall'inverno all'inizio della primavera produce lunghe cime terminali di fiori in varie sfumature di colore, che vanno dal blu scuro al lilla pallido al bianco. Ugualmente originaria delle aree semi aride dell'Australia occidentale è H. elliptica, un arbusto eretto con foglie ellittiche alternate e brevi cime di fiori viola all'ascella fogliare. Ci riporta invece nell'Australia orientale (e in Tasmania) H. heterophylla, un piccolo arbusto eretto o prostrato, che deve il suo nome alle varie forme delle sue foglie: da arrotondate a ellittiche alla base, da lineari a lanceolate in alto. I fiori malva hanno vessillo striato di giallo e carene viola scuro. Per un finire, anche se il nome del dedicatario è stato scritto indifferentemente Hove o Howe, fate attenzione a non confondere i generi Hovea e Howea, ovvero la cosiddetta kentia o kenzia, una palma! Dopo la tulipomania, che nel Seicento bruciò tanti capitali, nel Settecento infuriò la giacintomania. Tra le sue vittime, sir James Justice, un legale scozzese che dilapidò tutta la sua fortuna per coltivare piante rare, tra cui appunto i preziosi giacinti doppi che acquistava a caro prezzo in Olanda. Grande sperimentatore di tecniche di coltivazione, fu probabilmente il primo a far fruttificare gli ananas in Scozia, creando per loro una serra riscaldata all'avanguardia. Un successo che gli guadagnò la quasi immediata ammissione alla Royal Society. Nell'arco di pochi anni, alle prese con debiti sempre più enormi, fu costretto a vendere la tenuta di Crichton dove aveva creato il più raffinato giardino di Scozia. Seguirono processi, un divorzio, l'ignominia del carcere per debiti, l'espulsione dalla Royal Society per morosità. Alla sua morte, alla vedova e al figlio bambino rimase un capitale di 60 sterline, ovvero il prezzo a cui veniva venduto al momento della sua apparizione il giacinto 'Gloria florum suprema'. A ricordare Justice rimangono il notevole The Scots Gardiners Director, ma soprattutto il genere Justicia, oggi il più vasto della famiglia Acanthaceae. ![]() Giacinti e giacintomania Il 22 ottobre 1730 la Royal Society ammise un nuovo membro, presentato dal presidente in persona sir Hans Sloane, dal capo giardiniere di Chelsea Philip Miller e da John Martyn, che due anni dopo sarebbe stato nominato professore di botanica a Cambridge. Il nuovo socio era un legale scozzese, sir James Justice (1698-1763), alto funzionario della corte di Edimburgo (Principal Clerk to the Court of Sessions), ma soprattutto appassionato giardiniere. Ad attirare l'attenzione di sponsor tanto prestigiosi erano stati i suoi esperimenti orticoli. Sfidando il rigido clima scozzese, nella sua tenuta di Crichton, a circa 20 km a sud di Edimburgo, egli si era fatto costruire una serra riscaldata all'avanguardia (tra l'altro, una delle poche all'epoca ad avere anche il tetto vetrato) dove era riuscito a fare fruttificare gli ananas. Vi coltivava anche banani, guaiave, piante del cacao e del caffè; era riuscito a far fruttificare anche queste ultime, che avevano dato semi fertili da cui erano nate pianticelle. Fu il momento di massima gloria di Justice, che per tutta la vita (anche quando, come vedremo, non ne aveva più diritto) fece sempre orgogliosamente seguire al suo nome la sigla FRS, Fellow of Royal Society. All'epoca aveva poco più di trent'anni e aveva cominciato i suoi esperimenti orticoli forse intorno al 1727. Apparteneva a una facoltosa famiglia di mercanti e legali scozzesi, la cui parabola - tanto per rimanere nei cliché - ricorda quella dei Buddenbrook. All'inizio, ovviamente, c'è un fondatore, in questo caso il mercante James Justice (morto nel 1711) che fu bailie (magistrato municipale) e prevosto di Edimburgo e acquistò la proprietà di Crichton. Il rappresentante della seconda generazione, anche lui James, entrò a fare parte della nobiltà di toga, aggiungendo un titolo baronale alla tenuta e divenendo Principal Clerk to the Court of Sessions, incarico che mantenne fino al 1727, quando vendette la carica e la riacquistò per il figlio; la terza generazione è appunto quella di James il botanico. Infine la dinastia si chiude con il quarto James, l'unico figlio sopravvissuto, militare noto come "Captain Justice", eccentrico quanto il padre (anche se la sua passione andava più alle fanciulle che ai fiori). La passione del padre James III per l'orticultura era nata in Olanda, dove era stato inviato a laurearsi in giurisprudenza, secondo una consuetudine abituale nella Scozia del tempo. Mentre non provava alcun interesse per la carriera legale, si innamorò dell'orticoltura e del vivaismo olandesi. Per impadronirsi delle tecniche di coltivazione più aggiornate, oltre a frequentare assiduamente i vivai di Haarlem, in un lungo grand tour orticolo dovette visitare anche la Francia ( dove si interessò soprattutto della coltivazione a spalliera di peschi e altri alberi da frutto) e l'Italia. Non conosciamo le date di questo viaggio, che probabilmente si protrasse per diversi anni. Al suo rientro in Scozia, Justice era un raffinato gentiluomo per padroneggiava l'inglese senza "scotismi", il latino, l'olandese e il francese, conosceva bene la letteratura botanica del tempo e le nuove tecniche orticole messe a punto nel continente. Era ansioso di sperimentarle per "migliorare" la tenuta di Crichton. Come il padre era infatti membro della Honourable Society of Improvers in the Knowledge of Agriculture in Scotland, che si proponeva di migliorare l'orticoltura scozzese introducendo tecniche che aumentassero le rese. Certamente piantò alberi e introdusse migliorie nella gestione della tenuta, ma soprattutto si concentrò sulla coltivazione delle esotiche, facendo costruire per loro una serra all'epoca quasi avveniristica. Il suo interesse principale dovette però transitare ben presto alle piante da fiore, in particolare le bulbose. Nel 1730 infatti lo troviamo a Bruxelles, per studiare le tecniche di coltivazione di François Beaulinx, specialista nella produzione di tulipani Bizard da seme. Altri contatti nelle Fiandre e in Olanda erano Jan van Leuwen di Rotterdam, famoso per i suoi Iris persica azzurri, e soprattutto i vivai van Zompel e Voorhelm di Haarlem. Questi ultimi furono all'origine della giacintomania che infuriò in Olanda nella prima metà del Settecento. I giacinti Hyacinthus orientalis all'epoca erano abbastanza diversi da quelli che coltiviamo oggi. Quelli a fiore singolo avevano pannocchie piuttosto rade, con fiori piccoli, ancora simili alle forme selvatiche; occasionalmente nascevano piante a fiore doppio, che inizialmente non suscitarono alcun interesse, anzi i vivaisti si affrettavano a scartarle perché sterili. Nel 1684 il vivaista di Haarlem Peter Voorhelm cadde ammalato, lasciando il vivaio per qualche tempo abbandonato a se stesso; quando poté occuparsi della cernita dei giacinti, ne trovò uno doppio particolarmente bello; scoprì anche che ai suoi clienti piaceva ed erano disposti a pagarlo di più degli altri. Continuò a coltivarlo e a sviluppare nuove varietà. La prima ad aver successo e a scatenare la giacintomania fu 'Koning for Groot Brittanien' (così chiamata in onore di Guglielmo d'Orange, re d'Inghilterra come Guglielmo III), con fiori bianchi e cuore rosa intenso, una robusta varietà ancora segnalata da Loudon all'inizio dell'Ottocento. Al suo apparire, nel 1702, un singolo bulbo costava l'equivalente di 100 sterline. I prezzi erano così alti perché i giacinti doppi erano rari, ci volevano cinque anni per portarli a fioritura, e con il loro insieme di colori eccitavano il gusto del bizzarro, proprio come i tulipani variegati all'origine della tulipomania. La giacintomania raggiunse il suo apice negli anni '20-'30 del 1700, ovvero esattamente nel periodo in cui Justice frequentò l'Olanda prima come studente poi come acquirente di bulbi. I Voorhelm continuavano ad essere il vivaio leader di questa produzione, ma ora erano affiancati da molti altri produttori che ogni anno immettevano sul mercato centinaia di varietà. Tuttavia, avevano imparato la lezione dal crollo della bolla dei tulipani, e nei loro cataloghi offrivano un'ampia gamma di giacinti dai prezzi diversificati, riuscendo a mantenere alti quelli delle novità più pregiate. Così due produzioni dei Voorhelm (molto ammirate da Justice) 'Gloria Mundi', azzurro chiaro con cuore blu scuro, e 'Gloria Florum suprema', bianco neve con cuore scarlatto, al loro apparire furono venduti rispettivamente a 500 e 600 fiorini a bulbo, cioè 50 e 60 sterline. I prezzi raggiunsero il picco tra il 1733 e il 1736, per poi crollare quasi all'improvviso: il mercato ormai era saturo, le varietà veramente di valore erano introvabili, e per vendere i vivaisti furono costretti a tagliare i prezzi. Nei cataloghi del 1738 vediamo 'Staaten General' passare da 210 a 20 fiorini e 'Gekroont Salomon’s Jewel' da 80 a 3. ![]() Rovinarsi per le piante In Olanda Justice si era innamorato dei giacinti e non se li fece mancare nel giardino di Crichton, in stile francese, considerato il più bello e raffinato della Scozia. Quanto avesse pagato i suoi giacinti e le innumerevoli altre bulbose che li affiancavano non sappiamo. Ma certo fu vittima, se non della sola giacintomania, della sua irresistibile passione per il giardinaggio. Non badava a spese per far venire bulbi dall'Olanda e per acquistare piante e semi tanto a Londra quanto in Scozia. I guai arrivarono presto; i debiti erano tanti che, per salvare il salvabile, il padre James II predispose un atto di successione a favore del nipote anziché del figlio e si risolse a vendere la tenuta. Nel 1738, poco più di un anno dopo la sua morte, la vendita fu infine conclusa dal nostro James III, con un ricavo di 7000 sterline. Egli tentò anche di impugnare l'atto paterno, ma vi rinunciò, vedendo che era insufficiente a tacitare i creditori. Pagati almeno una parte dei debiti, investì quanto gli rimaneva in una tenuta di minore estensione chiamata Ugston nella parrocchia di Channelkirk (Berwikshire) che da quel momento fu ribattezzata Justicehall. Anche qui piantò alberi e coltivò bulbose, tanto che uno studioso di storia locale ha raccolto la voce che facesse addirittura arrivare la terra dall'Olanda per offrire agli amati bulbi la terra natìa; la notizia è improbabile (come vedremo, tra i più importanti esperimenti di Justice vi era la produzione di terricci su misura per le varie coltivazioni), ma ci dice molto sulla fama di eccentricità del personaggio. A rovinare del tutto la sua reputazione, ai debiti si aggiunse lo scandalo: iniziò una relazione con una giovane domestica e la moglie chiese il divorzio. Ne seguì un'intricata vicenda processuale in cui Justice arrivò ad accusare un ex amico di aver tentato di assassinarlo. Erano condotte che la puritana società scozzese non era disposta a tollerare; così, nell'ottobre 1744 Justice se ne andò in volontario esilio nell'Inghilterra settentrionale, con il risultato di contrarre altri debiti. Tornato in Scozia nel novembre 1746, prese in affitto una casa con giardino ad Edimburgo; era sempre più perseguitato dai creditori (in una lettera li chiama "diavoli") e nel 1748 subì anche una breve incarcerazione per debiti, da cui fu liberato grazie alla malleveria di lord Milton, alto magistrato e suo lontano cugino; con il suo aiuto, cercò inutilmente di liberarsi dell'odiato lavoro in tribunale. Nel 1750 si sposò con la ragazza dello scandalo, che però presto si ammalò e dopo appena due anni lo lasciò vedovo. Seguì un terzo matrimonio, e nel 1755, ormai quasi sessantenne, gli nacque l'unico figlio superstite (il maggiore era morto nel 1750). Nel 1757, non avendo pagato da anni la quota associativa, subì lo smacco di essere espulso dalla Royal Society. Nel 1758 si trasferì nella sua ultima casa, nel distretto di Leigh, dove sarebbe morto nel 1763. Anche qui c'era un giardino, che riempì di fiori, tra cui una spettacolare collezione di auricola; erano piante di grande valore, su cui contava per garantire un gruzzoletto alla moglie e al figlioletto dopo la sua morte. Invece quando la vedova le mise in vendita, ne ricavò solo 20 sterline, un terzo dell'eredità che le rimaneva. ![]() Una guida per i giardinieri scozzesi Nel 1754, a suo dire cedendo alle pressioni di amici ed estimatori, Justice si risolse a mettere per iscritto quanto aveva appreso dalle sue esperienze trentennali in ogni campo dell'orticoltura, trasfondendole in una guida all'orto famigliare e al giardino, The Scots Gardiners Director. Anche se l'identità dell'autore era un segreto di Pulcinella, inizialmente la pubblicò anonima (era pur sempre un rispettabile funzionario); il nome compare nell'edizione del 1759, intitolata The British Gardener's New Director; nell'edizione riveduta del 1764 (uscita postuma) tutte le remore sono cadute: sir James arriva a reclamizzare e porre in vendita alcune delle sue produzioni. Il libro è interessante da diversi punti di vista. Era una delle prime pubblicazioni del genere in Scozia (grazie ad essa, Justice è stato definito il padre dell'orticultura scozzese) ed ebbe un notevole successo, venendo ristampato anche in Irlanda. Era anzi la prima ad essere concepito appositamente per il clima e i terreni della Scozia, tanto diversi da quelli della più temperata e fertile Inghilterra. Soprattutto, non aveva nulla di libresco e si basava su esperienze di prima mano, esposte dall'autore in modo dettagliato e potremmo dire generoso. Così, le pagine di The Scots Gardiners Director sono per noi una specie di macchina del tempo per conoscere le pratiche orticole del Settecento, i successi e i fallimenti di sir James e il mondo del vivaismo olandese (egli vi riportò interi cataloghi delle loro produzioni, in particolare quelle dell'amico Joris Voorhelm, autore a sua volta di uno dei primi trattati sui giacinti). Il volume è diviso i due parti. La prima è dedicata all'orto famigliare; è un orto-frutteto, un walled garden recintato da muri che lo proteggono dal rigido clima settentrionale. Justice fornisce dettagliate istruzioni sull'esposizione ideale, sulla scelta dei fruttiferi più adatti, sulla coltivazione a spalliera e la potatura; spiega come allestire lettorini caldi (incluso uno per i funghi) e muri riscaldati dotati di intercapedini dove far passare aria calda per far maturare l'uva e altri frutti che non riuscirebbero a farlo nel clima scozzese. Non dimentico del suo primo successo, non trascura la coltivazione degli ananas e offre ai lettori due progetti di serre calde. La prima parte si conclude con la rassegna delle orticole e delle erbe aromatiche. La seconda parte (è una novità non trascurabile) è interamente dedicata alla coltivazione dei fiori; si intitola etimologicamente Anthologia, selezione di fiori, e occupa un po' di più della metà del volume. Mentre le piante da aiuola, ad eccezione di poche specie, sono trattate spesso sommariamente, a fare la parte del leone sono le bulbose, che Justice espone seguendo il ritmo delle stagioni, iniziando con l'aconito d'inverno, ovvero Eranthis hyemalis, e i bucaneve, per terminare con i colchici autunnali. E così, con dovizia di indicazioni sulle varietà, la coltivazione, la semina, la preparazione dei terreni, ecco sfilare le epatiche, a proposito delle quali Justice confessa un insuccesso: ripetendo le semine per molti anni, è riuscito a ottenere diversi colori e forme semidoppie, ma mai le varietà doppie disponibili in Olanda; gli economici crochi che l'amico Voorhelm (ne propone 12 varietà) vende a 1 fiorino per 100 bulbi; gli aristocratici iris persiani, che si acquistano a Rotterdam ed è impossibile riprodurre da seme, ma possono essere forzati in vaso per ornarne la casa all'inizio della primavera; i narcisi, di cui ci sono innumerevoli varietà e tipi, da piantare in massa 100 alla volta; i ciclamini rustici; il colchico di Spagna, ovvero Bulbocodium vernum; il dente di cane Erythronium dens-canis. Su Fritillaria meleagris si dilunga per illustrare le tecniche di semina che gli hanno permesso di ottenere sette varietà del tutto nuove entrate a far parte del catalogo Voorhelm; segue la corona imperiale F. imperialis, gloria dei vivai olandesi che la chiamano William Rex e ne offrono almeno quindici varietà. Tra le rarità dei loro cataloghi c'è anche quello che chiamano Lilium persicum, in cui riconosciamo F. persica. A questo punto entrano in scena i giacinti "una delle principali bellezze della primavera". Justice - dichiara subito che sono la sua pianta preferita - dedica loro moltissime pagine, con dettagliate istruzioni su come trattare i bulbi giunti dall'Olanda, su come allestire una root-room per conservarli e moltiplicare i bulbi, sulle semine e sul terriccio ideale, che egli prepara secondo una ricetta di sua elaborazione che comprende sabbia, letame maturo e compost di foglie. Ne aveva già parlato nel suo primo scritto noto, Directions for propagating Hyacinths, pubblicato nel 1743 nelle Transactions della Hourable Society of Improvers. Per i giacinti Justice ha speso capitali, ma anche ottenuto grandi successi; mentre i suoi conterranei, sono costretti a sostituire continuamente i bulbi, lui grazie al suo terriccio e alle perfette tecniche di coltivazione riesce a mantenere i fiori grandi come il primo anno; non parliamo poi delle semine, che gli hanno permesso di ottenere novità di pregio. Nel 1764 Voorhelm gliene dedicherà una commemorativa, 'Mijnherr Justice', un bianco singolo con tocchi di rosa. Justice spiega anche come forzare i bulbi in caraffe di vetro, una tecnica messa a punto pochi anni prima in Svezia e introdotta nel Regno unito dal corrispondente Philip Miller. Per pagine e pagine, egli si profonde quindi nella descrizione di dozzine di varietà; quelle a fiore singolo (10 bianchi, 10 rosa, 16 blu scuro e 20 azzurro chiaro) ammette di averle coltivate tutte; ovviamente va pazzo (e sappiamo fino a che punto) per quelle a fiore doppio, ma forse neppure lui avrà sperimentato tutte le 86 varietà offerte nel 1752 da Voorhlem e van Zompel, che però descrive puntigliosamente, certo in più di un caso per conoscenza diretta. Tra di esse le costosissime 'Gloria mundi' e 'Gloria florum suprema. Ma a suo parere "i più belli dei doppi per il loro colore ammirevole" sono i rossi, di cui menziona 9 varietà. Dopo i giacinti, tocca ai tulipani. Forse sono stati una passione giovanile, e non li trascura, ma è chiaro che il suo cuore va ai giacinti, tanto che non hai mai provato a riprodurli per seme. A paragone, dedica più spazio ai ranuncoli, di cui invece ha praticato la semina su larga scala, ottenendo parecchie pregevoli varietà. Lasciate le bulbose, come si è detto la trattazione si fa più scarna, con qualche eccezione, come le primule orecchie d'orso (Primula auricola); negli ultimi anni della sua vita, quando non disponeva più dei larghi spazi delle tenute di campagna, ma solo di un piccolo giardino urbano, hanno sostituito nel suo cuore i giacinti e per ospitarle degnamente ha persino inventato un apposito scaffale con ripiani doppi. Un'altra eccezione è l'astro della Cina Callistephus chinensis; si trattava in effetti di una new entry nei giardini europei. I primi semi erano approdati dalla Cina al Jardin des plantes di Parigi intorno al 1730 (se ne attribuisce erroneamente l'invio a padre Incarville, che però all'epoca viveva in Canada); qui se li era procurati Philip Miller che aveva incominciato subito a seminarli e a sperimentare la creazione di diverse varietà, ottenendo dopo molti anni le prime doppie. Probabilmente Justice ottenne i semi da lui e ne sperimentò la semina ripetuta, separando i semi delle piante più promettenti, fino a riuscire a produrre addirittura una forma doppia bicolore, che secondo la sua biografa Priscilla Minay rivaleggia con le migliori varietà moderne. ![]() Un grande genere pantropicale Anche se ci è rimasta solo una delle lettere di Justice a Miller, scritta poco dopo l'amissione alla Royal Society, è probabile che i due abbiano corrisposto per molti anni; erano uniti dalle origini scozzesi e da un approccio molto simile all'orticoltura, fatto di prove ed esperimenti ripetuti con tenacia e caparbietà. Forse un conoscente comune era un terzo scozzese, il chirurgo William Houstoun; in un passo di The Scots Gardiners Director Justice mostra di conoscere le sue ricerche su Mirabilis jalapa, mentre Houstoun lo stimava abbastanza da dedicargli uno dei suoi generi di piante americane. Fatto proprio e validato da Linneo, Justicia è oggi il più vasto genere della famiglia Acanthaceae. Distribuito nelle regioni tropicali e subtropicali di tutto il mondo, comprende al momento attuale oltre 900 specie di erbacee perenni, arbusti e suffrutici di morfologia piuttosto variabile; tra i tratti comuni, foglie con nervature molto evidenti e fiori tubolari caratterizzati da una corolla bilabiata con labbro superiore bilobato e labbro inferiore trilobato. Nella sua storia tassonomica, i confini di questo genere si sono più volte modificati. Nella prima metà del Novecento, prevaleva la linea di riconoscere come separati una serie di generi più piccoli, i più noti dei quali per giardinieri e appassionati sono Jacobinia e Beloperone. Nel 1988, uno studio di W. A. Graham ha inaugurato la linea opposta, con un vastissimo genere Justicia diviso in 16 sezioni e 7 sottosezioni, in cui sono confluiti molti generi minori. La soluzione continua a prevalere ed è stata confermata da studi recenti, ma è anche contestata sulla base di evidenze molecolari che dimostrano che Justicia nel senso di Graham è largamente parafiletico, ovvero artificiale. In attesa di cambiamenti che non mancheranno, godiamoci la bellezza di queste piante, apprezzate in natura da farfalle, api e colibrì e da tutti noi nei giardini o nelle serre (purtroppo, con l'eccezione parziale di J. americana, non sono rustiche). E' probabile che molti giardinieri e appassionati conoscano le due specie più note e coltivate sotto i vecchi nomi. La prima è Justicia carnea, in precedenza Jacobinia carnea, un arbusto di origine brasiliana (uno dei centri di diversità del genere) apprezzato per le spettacolari spighe di fiori tubolari rosa. La seconda è Justicia brandegeeana, in passato Beloperone guttata, nota nei paesi anglofoni con il curioso nomignolo shrimp plant, ovvero pianta gamberetto. A suggerirlo sono la forma e il colore delle brattee che sottendono i fiori sovrapposti come i segmenti della corazza di questo crostaceo. Comunque la si voglia chiamare, è un arbusto piacevole e dalle fioriture singolari, che dove il clima lo consente si protraggono per mesi. Tra le altre specie di questo numerosissimo genere, vale la pena di ricordare J. aurea, simile a J. carnea, ma con infiorescenze gialle; J. floribunda, un piccolo arbusto con fiori tubolari penduli bicolori gialli e scarlatti che qualcuno chiama molto impropriamente "fuchsia brasiliana"; la messicana J. spicigera, propria delle foreste aride, con brillanti infiorescenze aranciate, nota anche per le sue proprietà medicinali come depurativo e stimolante. Approfondimenti su queste e altre specie nella scheda. Esponente di spicco della scienza, della teologia e della politica svedese e finlandese della prima metà del Settecento, Johannes Browallius è poco noto al di fuori della Svezia e della Finlandia, tranne forse per l'abile difesa del sistema linneano contro gli attacchi di Siegesbeck. Più che per i suoi contributi originali (che scopriamo tutt'altro che secondari) all'estero è soprattutto un amico di Linneo o, magari, un ex-amico. Se sia vero o falso, scopriamolo insieme, anche seguendo le vicende delle denominazioni linneane delle specie del genere Browallia (Solanaceae) che si vuole riflettano gli alti e bassi di quella amicizia. ![]() Linneo innamorato Nel dicembre del 1733, Linneo (all'epoca ventiseienne) fu invitato da uno dei suoi allievi ed amici, Claes Sohlberg, a trascorrere le vacanze di Natale con la sua famiglia, a Falun, in Dalarna, dove il padre era ispettore minerario. Era una buona occasione per visitare la miniera di rame, per approfondire gli studi di mineralogia cui si era già accostato durante il viaggio in Lapponia, e magari per fare qualche conoscenza utile alla sua carriera scientifica. Non si sbagliava: strinse amicizia con il giovane teologo Johannes Browallius (1707-1755) con il quale aveva molto in comune: erano coetanei, avevano studiato ad Uppsala e soprattutto erano entrambi assetati di conoscenza. Il nuovo amico lo introdusse presso il governatore del Dalarna Niels Reuterholm, per il quale lavorava come cappellano, informatore scientifico e precettore dei figli. Entusiasta del racconto del viaggio in Lapponia, il governatore commissionò a Linneo una spedizione analoga nella regione, che in effetti avrebbe avuto luogo nell'estate successiva (3 luglio-17 agosto 1734). Fu un’ancora di salvezza per Linneo, che nel frattempo era stato allontanato dall’università di Uppsala in seguito al brutto affare con Niels Rosén. Al rientro dal viaggio, al quale avevano partecipato tra l’altro Sohlberg e i due figli di Reuterholm, si stabilì a Falun, dove il governatore gli concesse di utilizzare il laboratorio della miniera e di aprire una piccola accademia privata, dove insegnava mineralogia; era una soluzione di ripiego e senza grandi prospettive. Secondo Browallius, la vera soluzione era un’altra: doveva andare all’estero, laurearsi in medicina (le università svedesi non erano abilitate a farlo) e, una volta laureato, tornare in Svezia ad esercitare la professione. Non aveva i soldi per il viaggio? Allora era il caso di trovare una fidanzata ricca. Sembra che gli abbia anche proposto vari partiti, ma senza successo. La freccia di Cupido, infatti, aveva già trafitto il cuore di Linneo. Tra coloro che seguivano le sue conferenze, che in quella piccola località di montagna di meno di 7000 abitanti destarono una certa sensazione, c’era anche il medico cittadino Johan Moraeus; Linneo cominciò a frequentarne la casa e si innamorò di una delle sue figlie, la diciassettenne Sara Elizabeth detta Sara Lisa. Squattrinato com’era, è strano che pensasse a sposarsi (anche se il dottor Moraeus era agiato, aveva sette figli, e Sara Lisa non era certo l’ereditiera favoleggiata da Browallius), ma sembra che a deciderlo a quel passo sia stata la morte della madre, deceduta ad appena 44 anni. In ogni caso, intraprese un serrato corteggiamento che conosciamo a grandi linee grazie al suo diario privato (laconico ma esplicito). Il giorno di Natale 1734 Linneo fu invitato a pranzo a casa Moreus. Il 2 gennaio 1735, per fare colpo, vi andò in visita vestito con il famoso costume lappone. Il giorno dopo, ripeté la visita approfittando dell'assenza dei genitori. Seguirono altre visite e incontri in casa di amici comuni, finché il 16 gennaio ("un giorno di immortale commemorazione", scrisse nel suo diario) Linneo fece la sua proposta a Sara Lisa e fu accettato. Il 20 gennaio chiese la mano al padre, che era molto perplesso: lui stesso medico, sperava per la figlia un matrimonio finanziariamente più promettente; ancora più contraria era la madre. Alla fine il dottore cedette, ma pose due condizioni: il matrimonio sarebbe avvenuto entro tre anni e nel frattempo Linneo doveva andare all'estero a laurearsi in medicina, in modo da poter mantenere la futura famiglia (i pareri di Perpetua… ovvero di Browallius). Il 22 gennaio i fidanzati si scambiarono gli anelli e i voti di fedeltà. Fu deciso che Linneo sarebbe andato a laurearsi a Hardwijk, la più economica delle università olandesi; insieme a lui sarebbe partito Claes Sohlberg, il cui padre avrebbe pagato il viaggio del figlio e di Linneo; Sara Lisa gli passò sotto banco i suoi risparmi, un centinaio di corone, e, dopo baci e abbracci il 20 febbraio il neofidanzato lasciò Falun per la Svezia meridionale dove avrebbe salutato la famiglia, per poi partire per l’Olanda. ![]() Una leggenda botanica L'amicizia con Linneo fu determinante anche per Browallius, che da quel momento intensificò i suoi interessi scientifici. Ispirato dalla spedizione lappone dell'amico, nel 1735 e nel 1736 intraprese due viaggi scientifici che dalla Dalarna lo portarono in Norvegia. Si mantenne in corrispondenza con Linneo (che, ad esempio, informò anche lui che si sarebbe trattenuto in Olanda essendo stato assunto come medico personale e curatore del giardino di Clifford) e nel 1737 gli spedì uno suo testo in svedese sulla necessità di introdurre l'insegnamento scientifico nelle scuole superiori, che Linneo tradusse in latino e pubblicò in appendice a Critica botanica, l'opera in cui dettò le regole per la formulazione dei nomi delle piante. Ma a un certo punto, secondo la vulgata, sarebbe successo un fattaccio che avrebbe messo fine alla loro amicizia. La versione più nota è quella del Curtis's Botanical Magazine (1838) che riprende e amplia una notizia del Codex botanicus linnaeanus di Hermann Richter (1837). Ecco dunque i fatti: mentre si trovava all’estero, qualcuno informò Linneo che Browaliius aveva approfittato della sua assenza per corteggiare Sara Lisa ed era quasi riuscito a convincerla a lasciare il fidanzato che, a quando le diceva, non aveva alcuna intenzione di tornare in Svezia. Fu una delusione cocente per Linneo che troverebbe riflesso nelle denominazioni delle tre specie del genere Browallia che egli aveva incautamente dedicato all’ex-amico: B. elata ("alto, elevato, nobile") rappresenterebbe il momento più alto della loro amicizia; B. demissa ("basso, debole, pendente" ma in questo caso "scoraggiato") la rottura, mentre B. alienata, oltre all'incerta natura di questa specie, la successiva separazione tra i due. Un’altra versione meno popolare (la troviamo ad esempio nella Revue scientifique, 1865) sostiene che Linneo chiamò la prima specie di Browalllia a lui nota B. demissa; aveva bei fiori, ma il suo portamento ricadente ben rifletteva l’atteggiamento umile, dimesso, di Browallius nei suoi confronti; egli si mantenne umile e rispettoso anche quando divenne vescovo, così Linneo chiamò B. elata una seconda specie più alta; con il tempo, però, il vecchio amico insuperbì e incominciò a trattare Linneo in modo ingiusto; così, quando venne scoperta una terza specie piena di spine fu la volta di B. alienata, a suggellare la fine di un’amicizia. Quanto c’è di vero in queste storie? Nulla, secondo la biografia di Linneo di Theodor Magnus Fries e Banjamin Daydin Jackson, che ritengono che alla base di questa vera e propria leggenda metropolitana ci sia un equivoco. Effettivamente tra Browallius e Linneo ci fu se non uno scontro, una differenza di vedute, ma non riguardava la mano di Sara Lisa, bensì il livello del mare. In un importante articolo supplicato dall’Accademia svedese delle scienze nel 1743, l’amico di Linneo Anders Celsius (colui che inventò la scala centimetrica delle temperature) spiegò l'innalzamento delle terre emerse con la lenta diminuzione del volume delle acque oceaniche; Linneo appoggiò questa tesi; vi si opposero invece altri studiosi, tra cui appunto Browallius in saggio pubblicato postumo nel 1756 in cui vi contrappose una grande massa di misurazioni che dimostravano il contrario. Ma torniamo a Browallia e proviamo a verificare se il piccolo affaire de coeur regge alla prova dei fatti. Nel 1735 Philip Miller ricevette da Panama i semi di una pianta che coltivò a Chelsea e chiamò Dalea; presumibilmente in occasione del suo viaggio in Inghilterra dell’estate del 1736, ne fece parte a Linneo che decise di dedicare la pianta, appartenente a un nuovo genere, all’amico Browallius; il genere Browallia compare per la prima volta proprio in Critica botanica (maggio 1737) tra le denominazioni dedicate a “celebri botanici” senza altre indicazioni che “a Browallius svedese, 1737”; nessuna indicazione neppure nella prima edizione di Genera plantarum, uscita a Leida lo stesso anno. Contemporaneamente Linneo stava scrivendo Hortus cliffortianus (sul frontespizio compare la data di stampa 1737, ma in realtà uscì nel 1738) dove invece troviamo una lunga e sperticata dedica in cui il “chiarissimo teologo e maestro Johannes Browallius” viene dipinto come un erudito universale, versato in ogni ramo delle scienze naturali dalla litografia alla botanica alla zoologia. Al genere è attribuita una sola specie, di cui viene dato il nome descrizione; il binomiale compare per la prima volta quasi vent’anni dopo, nella prima edizione di Species plantarum (1753) e non è nessuno di quelli citati, ma banalmente Browallia americana. I famosi nomi Browallia demissa, B. elata, B. alienata compaiono in quest’ordine (dunque demissa precede elata) solo nella decima edizione di Systema naturae (1758-59); Linneo si è convinto che ci siano almeno due specie di Browallia, una che reca un solo fiore per peduncolo, che chiama B. demissa; un’altra con fiori riuniti in mazzi, che chiama B. elata; ce n’è poi una terza alquanto differente, B. alienata, che in precedenza aveva classificato come Ruellia paniculata. Non c’è bisogno di evocare né love story né la superbia di Browallius per spiegare questi nomi: B. americana (è tornata a chiamarsi così per la regola della priorità) è una specie molto variabile che può avere portamento ricadente (demissus) o eretto (elatus); quanto a B. alienata, aveva ragione il Linneo del 1753: il nome corretto è Ruellia paniculata (ed appartiene a tutt'altra famiglia). Aggiungiamo ancora un dato: il 12 febbraio 1737 Browallius sposò Elisabet Ehrenholm. Come abbiamo visto, dopo la partenza di Linneo, anche lui si mise in viaggio e ritornò a Falum solo nell'autunno o nella tarda estate del 1736. Quando sarebbe avvento il fattaccio? Possiamo ipotizzare che nell’arco di pochi mesi Browallius abbia corteggiato Sara Lisa, sia stato respinto, per poi fidanzarsi e sposarsi con un’altra, e Linneo sia venuto a saperlo solo nella seconda metà del 1737 o addirittura nel 1738? La biografia di Browallius pubblicata dall'archivio di stato svedese ammette una breve rottura, subito ricomposta, ma le lodi sperticate di Linneo all'amico rendono poco credibile anche questa ipotesi. Tanto meno è credibile che abbia covato il suo astio per vent’anni, dandogli libero sfogo quando ormai Browallius era morto e sepolto. Tanto più che, come vedremo tra poco, aveva un debito di riconoscenza non da poco nei suoi confronti; testimonianze dirette e corrispondenza stanno lì a dimostrare che l'amicizia, magari affievolita dalla distanza e dagli impegni di entrambi, non venne mai meno. ![]() Uno scienziato, insegnante, pastore e politico molto impegnato Dissipata la nebbia delle leggende, veniamo al vero Browallius, una personalità di primo piano dell’Illuminismo svedese. Il 1737 per lui fu un anno di svolta; oltre a sposarsi, scrisse due importanti testi teorici che gli aprirono le porte dell'insegnamento universitario: il trattato De scientia naturali eiusque metodo, dedicato allo statuto e ai metodi delle scienze naturali, e un saggio in svedese di politica educativa in cui sosteneva l’utilità dell’introduzione dell’insegnamento della scienza nelle scuole, in particolare nei ginnasi (quello tradotto in latino da Linneo). Grazie ad essi, il cancelliere dell'Università di Abo/ Turku Ernst Johan Creutz ne caldeggiò la nomina a professore di fisica (un’etichetta che copriva un po’ tutte le scienze naturali): Browallius, versato in molte scienze, con un solido impianto teorico e aperto alla ricerca sperimentale, gli pareva la persona giusta per modernizzare l’insegnamento universitario aprendolo alle scienze esatte e naturali. La nomina di Browallius segnò per la Finlandia l'inizio di quella che è stata chiamata "età dell'utile", ovvero di un illuminismo che vedeva nella scienza lo strumento centrale per rinnovare l'economia e la società. Nominato professore nel novembre 1739, egli inaugurò il suo corso nel 1738 e mantenne la cattedra fino al 1746; le sue lezioni toccarono tutti i rami delle scienze naturali, nonché il loro intreccio con la teologia; seguì (o meglio scrisse, secondo l'uso del tempo) 49 tesi che toccano argomenti che spaziano dalla fisica sperimentale alla mineralogia, dalla chimica alla zoologia e alla botanica. Nelle sue lezioni insistette sull'utilità delle scienze applicate alla tecnica e all'economia; rifacendosi a Bacone, Newton e Linneo, il suo insegnamento aveva un carattere spiccatamente sperimentale. Lo sperimentalismo è particolarmente evidente nel campo della chimica, in cui il suo maggiore contributo furono le ricerche sull'arsenico, il suo ossido e il solfuro, che ne fanno il precursore del nipote Johann Gadolin (figlio di sua figlia Elisabet), considerato il fondatore della chimica finlandese. Riservò molta attenzione anche alla botanica. Come Linneo, accompagnava gli studenti in escursioni botaniche e lasciò manoscritta una flora finlandese; scrisse non meno di dodici trattati di argomento botanico, molti dei quali dedicati alla botanica economica. Ottenne che l'Università finanziasse ogni anno una borsa di studio per esperimenti botanici e coltivazioni sperimentali. Tra i suoi allievi il più noto è Pehr Kalm, che fu in un certo senso anche l'erede di questa impostazione scientifica fortemente ancorata all'economia. Sostenitore della prima ora del sistema linneano, di cui si può dire abbia visto la nascita discutendone con il creatore negli anni di Falun, Browallius esordì come scrittore scientifico nel 1739 con un trattato in sua difesa che gli diede anche una certa rinomanza all'estero, oltre a rendere all'amico un servizio incommensurabile. Linneo era tornato in Svezia alla fine del giugno 1738; andò subito a Falun, ma anziché rimanervi come assistente del suocero, come questi aveva progettato, decise di esercitare la professione a Stoccolma, dove avrebbe avuto più possibilità di lanciare la sua carriera scientifica, forte dei tanti scritti epocali pubblicati in Olanda e della crescente fama europea. Scoprì amaramente che i due pamphlet di Siegesbeck che presentavano il suo sistema come "pornografia botanica" gli avevano fatto intorno terra bruciata; come scrisse a Albrecht von Haller, forse con un po' di esagerazione, era diventato la favola della città, tanto che gli era difficile persino trovare un servitore disposto a lavorare per lui e nessuno gli avrebbe fatto curare neppure un cane. A suo tempo aveva promesso a Boerhaave di non farsi trascinare in una nessun disputa scientifica e non intendeva rispondere di persona; a farlo per lui fu dunque Browallius. In Examen epicriseos in Systema plantarum sexuale Cl. Linnaei, Anno 1737 Petropoli evulgatae, auctore Jo. Georgio Siegesbeck, pubblicato nel 1739, egli smontò punto per punto le critiche di Siegesbeck, dimostrandone l'infondatezza tanto scientifica quanto morale e teologica; un solo rilievo poteva essere mosso al sistema linneano: una medesima classe poteva riunire piante molto diverse; era però un difetto comune a tutti i sistemi artificiali, che sarebbe stato superato solo quando fosse stato possibile stabilire un sistema naturale, verso il quale il sistema di Linneo era un passo avanti, visto che conteneva più gruppi naturali di ogni sistema precedente. La serrata e lucida argomentazione (che certo fu discussa e preparata con lo stesso Linneo) ristabilì l'onore scientifico e personale del "principe dei botanici", tanto più che l'aveva scritta un teologo e un rispettato ecclesiastico. Browallius, infatti, affiancava all'attività scientifica e didattica un forte impegno pastorale: fin dal 1738 fu nominato vicario della parrocchia di Pikis, che forniva le prebende da cui dipendeva la sopravvivenza dell'Università; come predicatore, dovette imparare il finlandese e lo fece così bene e in fretta che presto fu coinvolto nella revisione della nuova Bibbia della chiesa finlandese. Nel 1740 presentò la tesi De coercitione hereticorum e fu dichiarato dottore in teologia; lo stesso anno fu promosso diacono e vicario della parrocchia di Turku. Nel 1746 lascò la facoltà di filosofia per assumere la cattedra di teologia; nel 1749 divenne vescovo della diocesi di Abo/ Turku. L'ascesa nella gerarchia ecclesiastica promosse la sua carriera politica. Benché il suo primo sponsor fosse stato Ernst Johan Creutz, noto esponente del partito dei berretti, Browallius si schierò con i "cappelli", la cui politica culturale includeva la promozione delle scienze ritenute utili e l'estensione dell'uso dello svedese a discapito del latino. Scelto come esponente del clero nel parlamento del 1746-47, sostenne vigorosamente le posizioni del partito dei cappelli, entrando a far parte di varie commissioni. Ancora più rilevante fu il suo ruolo nel parlamento del 1751-52 come membro del comitato segreto; nell'ambito della discussione sui principi dello stato nel memoriale Sui concetti fondamentali della forma del governo sostenne la sovranità popolare espressa in forma repubblicana, rifacendosi ai costituzionalisti inglesi e al pensiero di Locke. Nello stesso spirito, chiese che l'educazione del principe ereditario includesse fin dall'inizio l'avversione per l'autocrazia, "contraria alla legge di natura e all'economicità". Ovviamente, anche se ottenere qualche ascolto, queste posizioni non furono divulgate all'esterno del Consiglio segreto. In ogni caso, Browallius era probabilmente sulla strada di diventare arcivescovo, quando morì improvvisamente nel 1755, a soli 48 anni. ![]() Fiori di zaffiro Browallia L. è un piccolo genere di erbacee annuali o perenni della famiglia Solanaceae, diffuse dall'Arizona alle Ande tropicali, passando per il Messico, l'America centrale e le Antille. Assai discusso il numero di specie attribuite, che a seconda degli autori varia da 6-7 a 19; è affine al genere monotipico Streptosolen, la cui unica specie S. jamesonii era un tempo classificata come B. jamesonii. Il diverso numero delle specie riconosciute è legato alla variabilità morfologica delle specie stesse (che, come abbiamo visto, trasse in inganno già Linneo) ma soprattutto a scoperte recenti in particolare nell'area peruviana, dove a partire dal 1995 alla lista della specie note è venuta ad aggiungersi una dozzina di specie scoperte dal team coordinato da S. Leiva Gonzales, il quale è il primo a riconoscere che "il genere richiede maggiori osservazioni sul campo, studi cito-genetici e molecolari per poter delimitare le specie". Le nuove arrivate non sono solo peruviane, tanto più che qualche specie sembra fatta apposta per eludere le ricerche dei botanici, come è il caso di B. eludens: fu descritta per la prima volta nel 1993 ed oggi ne sono conosciute popolazioni disgiunte in una singola località dell'Arizona sud-orientale e in poche località negli stati messicani di Chihahua e Sonora, dove sembra confinata ad habitat con estati temperate e umide lungo i confini delle boscaglie sempreverdi della Sierra madre occidentale. E' un'annuale strettamente legata al regime delle piogge, con un breve ciclo vitale; il che significa che negli anni di scarsa pioggia può scomparire ed essere più abbondante dove trova l'habitat giusto. Si distingue dalle altre specie per i fusti non ramificati e per i fiori bianchi. Per variabilità la campionessa sembra essere la specie tipo B. americana, che infatti ha collezionato una ventina di sinonimi: variano il portamento, eretto oppure decombente, le dimensioni, la presenza o l'assenza di peli ghiandolari, la forma e la dimensione delle foglie, il colore dei fiori (bianchi, azzurri, azzurri con una macchia bianca, malva, viola) solitari o riuniti in piccoli gruppi. Anche se non sono molto grandi, sono molto numerosi, rendendo questa specie decisamente decorativa; è dunque una pianta da giardino molto apprezzata, soprattutto in una delle sue varietà con fiori più grandi, spesso commercializzata sotto il sinonimo B. grandiflora. Come annuale da giardino, è coltivata anche B. viscosa, caratterizzata da fiori blu con centro bianco La specie più diffusa in case e giardini è però B. speciosa, originaria di Costa Rica, Panama, Colombia, Ecuador e Perù; è perenne, ma da noi è spesso trattata come annuale. Di portamento piuttosto cespuglioso e ramificato, adatta anche alla coltivazione in vaso e in cestini appesi, sta conoscendo una crescente popolarità per il colore insolito dei fiori blu-viola, cui deve il nome comune fior di zaffiro, l'abbondanza dei fiori, che può essere favorita da opportune cimature, e il lungo periodo di fioritura, che si protrae da giugno a settembre. Tra le varietà più note 'Blue Troll', di portamento compatto con fiori blu e centro bianco, e 'White Troll' con fiori bianchi. Viene anche commercializzata come pianta d'appartamento, spesso trattata con nanizzanti per mantenere il portamento compatto. L'ultima novità sono gli ibridi, caratterizzati da fioriture prolungate e da fiori particolarmente grandi e numerosi, come 'Illumination' (blu scuro) e 'Flirtation' (bianca) della serie Endless, indicati anche per aree in mezz'ombra. Nella primavera del 1788, il botanico francese André Michaux e suo figlio François André visitano la Florida occidentale dove sono accolti con squisita cortesia dal governatore Vicente Manuel de Céspedes. Memore di quell'accoglienza, qualche anno dopo Michaux gli dedica uno dei suoi nuovi generi americani, ma un errore di lettura o una svista del tipografo trasformano il buon governatore in Lespedez e il genere in Lespedeza. ![]() Un memorabile viaggio in Florida Inviato negli Stati Uniti come botanico reale alla ricerca di piante utili per ripopolare le foreste francesi, André Michaux era invece intenzionato ad andare oltre questo mandato: voleva scrivere una flora del Nord America, e per questo desiderava visitare tutte le zone accessibili, incluse la Florida spagnola e le Bahamas, nonostante la loro flora tropicale o subtropicale poco si adattasse all'introduzione in terra francese. Già nel 1787 aveva comunicato al Conte d'Angevilliers, direttore generale dei Bâtiments du Roi (da cui dipendeva la sua missione) la sua intenzione di visitare la Georgia e la Florida. Tensioni di frontiera bloccarono per qualche mese il progetto, finché alla fine del febbraio 1788, accompagnato dal figlio François André e da un servitore, egli salpò da Charleston alla volta di St. Augustine, la capitale della Florida occidentale. Agli ufficiali di porto dichiarò di essere stato autorizzato a studiare la storia naturale della provincia dal governatore, Vicente Manuel de Céspedes (o Zéspedes), al quale evidentemente aveva scritto, anche se il carteggio non ci è pervenuto. Condotto alla presenza del governatore, fu ricevuto con grande calore e cortesia. Solo qualche giorno dopo scrisse nuovamente a d'Angevilliers per ottenere il permesso ufficiale di fare raccolte botaniche in Florida. Di fatto, si era già messo al lavoro. Oltre a esplorare i dintorni della città, dove scoprì una nuova specie di Ericacea, Lyonia ferruginea, si era procurato un terreno dove creare un vivaio temporaneo e aveva affittato una canoa e due rematori. Il 12 marzo partì alla volta dell'Anastasia Island, dove fu ospite del mercante Jesse Fish che nella sua residenza, chiamata El Verge, aveva creato un giardino ricco di olivi, palme da dattero, limoni e aranci; Michaux nelle sue memorie lo definisce un paradiso. Era la prima tappa di un viaggio, parte in canoa, parte a piedi, parte a cavallo, che li portò in direzione sud, sempre erborizzando, ad esplorare la costa orientale della Florida lungo il Northwest River e l'Indian River fino all'altezza dell'attuale Bonaventure, dove giunsero all'inizio di aprile; oltre non era possibile andare, essendo ormai penetrati in territorio indiano. Durante il viaggio di ritorno affittarono dei cavalli per riportare le raccolte a St. Augustine e osservarono un incendio: sia gli indiani sia gli europei usavano applicare incendi per facilitare la caccia o per liberare terreni per il bestiame, una pratica altamente disapprovata da Michaux. Rientrato a St. Augustine il 17 aprile, Michaux fece subito visita al governatore, che nei giorni successivi volle visitare di persona le collezioni e invitò il botanico a pranzo. Quest'ultimo era impegnato a riordinare le raccolte (stando al suo diario, fino a quel momento ammontavano a 105 specie), a scrivere lettere in Francia e ai rappresentanti diplomatici francesi, anche per battere cassa, e a preparare la prossima escursione. Il 29 aprile era infatti di nuovo in partenza con gli stessi compagni, questa volta a cavallo, alla volta della residenza di Job Wiggins, che aveva accompagnato William Barton nella spedizione del 1774. Situata sulla riva orientale del St. Johns River, era un buon punto di partenza per esplorare il bacino del fiume, il maggiore della colonia; nei dintorni, Michaux trovò una nuova specie di graminacea, Stenopholis obtusata. Da quel momento il viaggio proseguì in canoa, toccando Mount Royal, una collina sabbiosa visitata e così denominata da John Bartram nel 1765, e Drayton Island sul lago George; quindi continuò lungo il St Johns River e nella strettoia oggi chiamata Salt Springs Run fino alla sorgente dove Michaux raccolse Illicium parviflorum, già osservato nei lori viaggi dai due Bartram ma ancora non descritto. Quindi il gruppo esplorò Silver Gleb Spring e proseguì fino alla confluenza tra il lago George e il St. Johns River, quindi lungo il fiume dove dopo qualche giorno si imbatté in correnti contrarie e grandi masse di alligatori; giunto all'altezza dell'attuale High Bank, avendo trovato poche specie nuove, Michaux decise di rientrare a St. Augustine. Il viaggio volgeva al termine. Dopo un'ulteriore visita al governatore e ad alcune famiglie influenti, i Michaux si imbarcarono con loro raccolte alla volta di Charleston; qui le talee prese in Florida furono trapiantate nel vivaio, mentre i semi di molte piante venivano spediti in Francia; tra le altre, Guilandina bonduc, Sophora tomentosa, Chiococca alba, Ceanothus microphyllus, Conocarpus erectus, Psychoria nervosa, Amyris eleifera, Zamia integrifolia, Tillandsia utriculata, Modiola caroliniana. ![]() Ripopolare la Florida E' ora di sapere qualcosa di più dell'ospitale governatore Vicente Manuel de Céspedes (1721?-1794); appartenente a una famiglia di militari e militare egli stesso, prima di arrivare in Florida per circa un anno era stato governatore facente funzione a Santiago de Cuba; nel 1783 fu nominato primo governatore della Florida orientale che, dopo vent'anni di occupazione britannica, tornava sotto sovranità spagnola in forza del trattato di Parigi. Céspedes si trovò così a gestire una difficile transizione. Il problema principale era quello del popolamento. La popolazione era molto mista: c'erano spagnoli provenienti dalla madre patria, cubani, minorchini (Minorca nel Settecento era passata più volte dalla sovranità spagnola a quella britannica e viceversa, e molti erano di lingua inglese), francesi, italiani, greci, britannici che durante l'occupazione inglese erano subentrati agli spagnoli che avevano preferito lasciare la colonia. Il timore era che con il tempo gli anglofoni potessero prendere il sopravvento o che gli Stati Uniti decidessero di invadere il paese; venne così fissato l'obiettivo di aumentare la popolazione, fino a eguagliare nell'arco di 25 anni quella della Georgia. La corona fissò regole molto stringenti per i nuovi immigrati, la principale delle quali era che dovevano essere di religione cattolica; anche gli stranieri erano ben accetti, purché fossero appunto cattolici e imparassero la lingua spagnola. Céspedes, da parte sua, cercò di favorire i nuovi arrivi, garantendo dieci anni di esenzione dalle tasse, terre, aiuti come bestiame, sementi, attrezzi. Buona parte del territorio era disabitato, e le terre non mancavano, ma la questione del ripopolamento si incrociava con quella delle proprietà. Alcune, i cui proprietari ispanici avevano preferito lasciare la Florida, erano rimaste vacanti al momento dell'occupazione inglese, altre erano state abbandonate dagli inglesi al ritorno degli spagnoli. Céspedes propose che tutte le proprietà vacanti e non rivendicate entro una certa data fossero confiscate dalla corona, per essere ridistribuite ai nuovi immigrati, in particolare i cosiddetti floridanos, ovvero quelle persone che si erano stabilite a Cuba dopo l'occupazione inglese della Florida, di cui voleva incoraggiare il ritorno nella penisola. Un'ultima questione riguardava gli schiavi neri. Poiché nella Florida spagnola non c'erano né piantagioni né miniere, erano pochi; inoltre, nel 1693, il re Carlo II aveva emanato un decreto che concedeva la libertà agli schiavi fuggiti dall'America britannica, purché accettassero la religione cattolica. Così si era formato un notevole insediamento di neri liberi a nord di S. Augustine; godevano della libertà personale, non erano discriminati e formarono persino un reggimento di milizia. Altri schiavi fuggiti si erano rifugiati presso gli indigeni Creek e Seminole. Durante il ventennio di occupazione, i coloni britannici avevano introdotto l'economia di piantagione (si coltivavano cotone, indaco, canna da zucchero) e con essa schiavi neri portati dall'Africa. Al ritorno degli Spagnoli, essi chiesero di essere liberati in osservanza alla legge di Carlo II, mentre i loro proprietari, che ora si era stabiliti in Georgia o nelle Caroline, ne chiedevano la restituzione; Céspedes, anche se temeva che molte conversioni fossero di comodo, li trattenne in Florida. Buona parte del territorio era inesplorato; gli abitati si concentravano lungo la costa, con centro principale a St. Augustine (Jacsksonville e Miami non esistevano ancora) e non si spingevano oltre il Río de Mosquitos, forse a sud dell'attuale Cape Canaveral. Gli inglesi avevano poi creato una serie di piantagioni lungo il St Johns River, il più lungo e importante della regione anche per i commerci, anche se, per le sue acque basse e paludose, era navigabile solo in canoa. Si capisce dunque perché il governatore si sia mostrato così amichevole verso Michaux e abbia incoraggiato la sua esplorazione. Nel 1784, ordinò un censimento, seguito nel 1786 da un secondo più dettagliato. La conoscenza del territorio, delle sue caratteristiche geografiche e umane, delle sue risorse, erano per lui un dovere d'ufficio, come dimostra il suo unico scritto noto, Descripción de la Florida Oriental: su clima, terreno, productos, ríos, barras, bahías, puertos, números y calidades de la gente que la habitan, un manoscritto inedito oggi conservato nell'Audiencia de Santo Domingo dell'Archivio General de Indias, da lui inteso come una vera e propria guida per indirizzare la politica immigratoria. Il documento inizia con una una descrizione geografica della Florida orientale, soffermandosi sull'estensione, il clima, le forme del territorio; si trattano poi i fiumi principali, i laghi, le lagune costiere, sempre indicando gli eventuali popolamenti e la loro consistenza, i pochi nuclei urbani. Dopo aver trattato in modo abbastanza generico le risorse naturali (che sono comunque abbondanti e promettenti), Céspedes conclude con la parte più politica: le sue indicazioni per incrementare il commercio (che a suo parere deve avvenire soprattutto da e verso Cuba) e per favorire l'immigrazione, terminando con le Reglas y condiciones para pobladores tanto extranjeros como naturales di cui abbiamo già parlato. L'incarico di Céspedes terminò nel 1790; dovette quindi ritornare a Cuba, dove sappiamo che morì nel 1794 e fu sepolto nella cattedrale dell'Avana. ![]() Un errore... di sbaglio Michaux non dimenticò mai la cortesia con la quale era stato accolto dal governatore Céspedes, che la sua lotta con l'avara e poco sollecita amministrazione francese prima e dopo la rivoluzione gli facevano apprezzare anche più. Così nella sua Flora boreali-americana non poteva mancare di rendergli omaggio, dedicandogli uno dei suoi nuovi generi. Il libro fu pubblicato postumo nel 1803 a cura del figlio François André e questo forse spiega il fattaccio: tanto il nome del genere quanto quello del dedicatario sono infatti sbagliati. Il genere si chiama Lespedeza, non Cespdeza o Zespedeza (le due forme sotto le quali conosciamo il nome del governatore) e del dedicatario si dice "Per il sig. Lespedez, governatore della Florida, cortesissimo nei confronti dei miei viaggi". Eppure anche François André era della partita... ma, come si dice in questi casi, la colpa è del proto che avrà scambiato la lettera iniziale C con L. Lespedeza Mich. è un genere di una quarantina di specie della famiglia Fabaceae, con una distribuzione nettamente disgiunta: una trentina vivono nelle zone temperate e subtropicali dell'Asia orientale e in Australia, mentre le altre sono originarie del Nord America orientale. Il numero delle specie e la loro corretta individuazione hanno dato filo da torcere ai botanici a causa sia dell'estrema variabilità delle specie, sia della tendenza a produrre con facilità ibridi naturali. Il genere, caratterizzato dai fiori papilionacei (ma molte specie hanno anche fiori cleistogami, cioè autofecondanti, privi di petali) e da baccelli tipici di questa famiglia, è piuttosto vario: comprende infatti erbacee perenni, arbusti e rampicanti. La specie più nota e coltivata nei giardini è senza dubbio L. thunbergii, uno splendido arbusto originario della Cina e del Giappone con eleganti rami arcuati che alla fine dell'estate si trasformano in una cascata di fiori rosa-porpora. L'americana L. capitata è invece famosa per altre ragioni: già gli indiani ne usavano le foglie per preparare tisane medicamentose; oggi è usata in fitoterapia per le sue proprietà drenanti, diuretiche e antiossidanti, che la rendono particolarmente indicata per migliorare le funzioni renali. Come molte leguminose, anche le piante di questo genere hanno radici dotate di noduli che ospitano batteri in grado di fissare l'azoto, arricchendo così il terreno. In Asia diverse specie sono usate come foraggere e appunto per il sovescio. Le loro forti radici sono utili anche per arginare il terreno, contenendo gli smottamenti. Ma queste belle qualità possono anche presentare un rovescio della medaglia, come dimostra la storia dell'asiatica L. cuneata. Questa pianta è stata introdotta in diversi paesi, a cominciare dagli Stati Uniti dove venne piantata per la prima volta nel 1896 nel Nord Carolina per bonificare i terreni di miniere abbandonate, e anche come foraggiera; grazie alle radici molto profonde, non solo trattiene il terreno, ma riesce a sopravvivere a lunghi periodi di siccità. Ne sono anche state sviluppate diverse varietà. Eppure tanto vigore ha un rovescio della medaglia: una singola pianta può produrre 1000 semi all'anno, dove si insedia invade gli spazi delle piante native, inibisce la crescita dei semenzali degli alberi, produce sostanze chimiche che inibiscono la crescita di altre piante. Negli Stati Uniti è già un problema, in Europa non ancora, ma l'Unione europea l'ha inserita nella lista delle piante invasive e ne ha vietato la commercializzazione. La dedica del piccolo genere Amsonia (famiglia Apocynaceae) è un vero rebus. Chi era il misterioso Mr. Amson al quale fu dedicato da uno dei primi raccoglitori e studiosi della flora della Virginia, John Clayton? Qual era il suo nome completo? Già se lo chiedeva Solander e da allora, anziché chiarirsi, da un botanico all'altro, da un'enciclopedia a un dizionario etimologico, il mistero non ha fatto che aggrovigliarsi sempre più, come nel gioco del telefono senza fili. ![]() Viaggiatore, ammiraglio, medico? Amsonia tabernaemontana è una graziosa perenne dai fiori azzurri a stella piuttosto diffusa nel sottobosco delle foreste degli Stati Uniti sud-orientali, dove è nota come Eastern bluestar, "stella azzurra orientale". Il primo botanico a raccoglierla e descriverla fu probabilmente John Clayton che nel 1739 la incluse nella sua Flora virginica; all'epoca riteneva si trattasse di una specie di oleandro (in effetti appartengono alla stessa famiglia, le Apocynaceae) e la descrisse come "Anonymus suffrutex foliis Salicis alternis [...] Nerii species" (un suffrutice anonimo con foglie di salice alternate, una specie di oleandro). Più tardi capì che apparteneva a un genere a sé e nel manoscritto (purtroppo perduto) di un'ampliata Flora che aveva inviò a Peter Collinson nel 1757 lo chiamò Amsonia. Inviò in Inghilterra anche semi e la pianta divenne subito popolare tra i suoi amici: oltre a Collinson, la coltivavano Philip Miller al Chelsea Physic Garden e James Gordon nel suo vivaio di Mile End. In quei giardini la notò Solander, che ne scrisse a Linneo nel 1761, aggiungendo che Clayton l'aveva chiamata Amsonia, ma lui non sapeva a chi si riferisse, né lo sapeva nessun dei botanici che aveva interpellato; supponeva dunque che "Clayton l'avesse nominata per qualcuno in Nord America". L'anno dopo il pittore Dyonisius Ehret, che era stato incaricato di preparare le illustrazioni per l'opera di Clayton (purtroppo non si trovò mai un editore e rimase inedita) ne inviò uno schizzo a Linneo, che pubblicò la nuova specie nella seconda edizione di Species plantarum, assegnandola al genere Tabernaemontana con il nome T. amsonia. Infine, nel 1788 il botanico americano Thomas Walter in Flora Caroliniana istituì il genere Amsonia e ribattezzò questa specie A. tabernaemontana invertendo il binomio linneano, senza fornire indicazioni sull'origine dell'eponimo. A questo punto, come direbbe Snoopy, il mistero incomincia ad infittirsi. Nel 1782 in Supplementum plantarum il figlio di Linneo creò un genere dal nome molto simile, Amasonia (è tuttora valido e raggruppa sette specie di Lamiaceae neotropicali) "in memoria di Amason, un viaggiatore americano". Al quale nel 1810 Alexandre de Théis in Glossaire de botanique, regalò un nome di battesimo: "Thomas Amason, viaggiatore in America". La somiglianza tra le due denominazioni intrigò James Edward Smith che nell'articolo "Tabernaemontana" della Cyclopaedia di Rees (1819) ipotizzò che il dedicatario di entrambi fosse la stessa persona: forse il figlio di Linneo aveva aggiunto quella a suggestionato dal nome svedese del Rio delle Amazzoni, Amasona. Pur scrivendo prudentemente che era impossibile risalire all'origine del nome, tranne che si doveva a Clayton, avanzò comunque un'ipotesi: probabilmente il nome era stato scritto scorrettamente e il dedicatario era l'ammiraglio inglese George Anson, primo barone Anson. Ipotesi fatta propria da Rafinesque che in New flora of North America (1838) corresse senz'altro il nome in Ansonia. Nel frattempo il misterioso Amson aveva già assunto una terza identità, grazie al celebre architetto paesaggista Loudon che in Hortus britannicus (1830) scrisse che il genere prendeva il nome da "Charles Amason, un viaggiatore americano". Nel Pocket Botanical Dictionary Paxton (1840) recuperò il cognome originario Amson, fissando la vulgata che resisterà per un secolo e mezzo, arricchendosi via via di particolari. Nel 1856 nella seconda edizione del suo manuale, Asa Grey, scettico e prudente, scriveva: "si dice sia stato denominato per un certo Mr. Charles Amson". Nel 1861 in A class book of botany Wood aggiunse con tanto di punto interrogativo: "Dedicato a Charles Amson, del S. Carolina?", ipotesi forse suggerita dal fatto che le attività botaniche di Walter, l'autore del nome, si svolsero in questo stato. I dubbi scompaiono per Britton e Brown (An illustrated flora of United States [...], 1896): "per Charles Amson del South Carolina". Su questa strada li seguirono praticamente tutte le successive pubblicazioni statunitensi, I primi dubbi furono espressi nel 1928 da Woodson in una monografia sul genere Amsonia. Consultando enciclopedie, testi di riferimento e le società storiche delle Caroline e della Virginia, egli non trovò nessuna evidenza che un qualche Charles Amson fosse vissuto o avesse viaggiato in queste regioni nel periodo coloniale o avesse contribuito in qualche modo alla scienza botanica. In una lettera di Clayton a Bartram datata 1 settembre 1760 trovò invece un riferimento diretto all'eponimo; Clayton ricordava infatti di aver proposto il nome Amsonia "per un dottore di qui". Woodson ne inferì che il genere doveva essere stato dedicato a "un medico della Gloucester County, Virginia"; quanto al nome di battesimo, o anche all'esatta grafia del cognome, i dubbi rimanevano. I dubbi non vennero considerati, mentre i nuovi dati raccolti da Woodson andarono a combinarsi con i pezzi precedenti della storia. La biografia di Mr. Amson era ormai completa, così come la troviamo in innumerevoli pubblicazioni. Tanto per fare qualche esempio di testi autorevoli e recenti: Gledhill, The names of plants (2008): "per Charles Amson, medico della Virginia del XVIII secolo e viaggiatore in America"; Genaust, Etymologisches Wörterbuch der botanischen Planzennamen (2014): "Nome di Walter (1788) per Charles Amson, botanico americano, sul quale l'autore non dice nulla"; e ancora la seconda edizione dell'Indice dei nomi eponimici delle piante di Lotte Burkhardt (2018) : "Charles Amson (XVIII sec.) medico e botanico americano, visse nella contea di Gloucester in Virginia, viaggiò e potrebbe essere l'autore di una Flora del South Carolina, amico di John Clayton". ![]() Mistero risolto? A dimostrare che questa biografia è fittizia e che l'identità del dottor Charles Amson è stato creata pezzo per pezzo come nel gioco del telefono senza fili combinando Linneo figlio, Alexandre de Théis, Loudon, Paxton, Wood e Woodson, è stato nel 2004 il botanico canadese James S. Pringle, nell'articolo History and eponimy of the genus name Amsonia (Apocynaceae), SIDA, n. 21. Potendo sfruttare gli strumenti della rete, ha confermato ciò che già aveva intuito Woodson: non si trova alcuna traccia né di un viaggiatore di nome Amson (o magari Amason) né del dottor Charles Amason della Contea di Gloucester. Invece, come avevano già scoperto i biografi di Clayton e John Bartram Edmund e Dorothy Berkeley, c'era un dottor John Amson che viveva sì in Virginia, ma a Williamsburg; già i Berkeley lo ritenevano il vero dedicatario di Amsonia: scrivendo a Bartram, che abitava nella lontana Pennsylania, con l'espressione "di qui" Clayton non intendeva strettamente la contea dove lui stesso viveva e lavorava, ma più in generale la regione, tanto più che Williamsburg ne distava poche miglia, vi era vissuto da giovane e aveva una parte della famiglia. Scavando nei documenti, Pringle è anche riuscito a ricostruire la biografia di John Amson; potrebbe essere nato a Londra nel 1698 (non c'è però certezza che non si tratti di un omonimo) e essersi laureato a Reims in Francia nel 1722. Non si sa quando sia giunto in America: certamente era in Virginia nel 1738, quando prese in prestito e restituì un volume della biblioteca di un certo Dr. Brown di Williamsburg. Nel 1746 acquistò da un parente del naturalista Mark Catesby (amico di Clayton) due lotti che includevano certamente un'abitazione dove stabilì la sua residenza. Intorno al 1751 acquistò un terreno fuori città dove presumibilmente aveva una fattoria o una piantagione, visto che da un altro documento sappiamo che possedeva degli schiavi. Almeno dal 1746 fu assessore e tra il 1750 e 1751 sindaco della città. Come medico era molto stimato. Nel 1758 George Washington, all'epoca colonnello della milizia, si ammalò; temeva di aver contratto la tisi e dalla sua casa di Mount Vernon si spostò a Williamsburg per consultare i migliori medici; tra di loro Amson che lo rassicurò: si trattava solo di un'infreddatura. Tra i pazienti di Amson c'era anche Daniel Parker Custis, il primo marito di Martha Washington. Sappiamo che il dottore possedeva un giardino, che fu visitato nel 1751 dal giurista John Blair. Non si conosce con esattezza la data della morte, che dovette intercorrere tra 1761 (data in cui risulta tra i creditori dell'erede di Custis) e il 1765 (data in cui una certa Anne Anderson, che potrebbe essere sua figlia o la sua vedova, risulta aver ereditato sei lotti a Williamsburg e una proprietà fuori città di 180 acri appartenuta al fu dr. Amson). Ci è rimasto anche uno scritto di sei pagine, pubblicato postumo (1766), che consiste nella prescrizione per la cura della pertosse e include una serie di ingredienti di origine vegetale. Come medico, ma anche come proprietario di un giardino e di una fattoria o una piantagione, avrà avuto conoscenza e interesse per le piante, ma non sappiamo di più; come non conosciamo quale fosse la sua relazione con Clayton e tanto meno le ragioni della dedica di Amsonia. ![]() Azzurri fiori stellati Il piccolo genere Amsonia (Apocynaceae) raggruppa sedici specie di erbacee perenni o annuali con una distribuzione fortemente disgiunta; vivono tra gli Stati Uniti centrali e il Messico, ad eccezione di due specie: una europea, A. orientalis, presente in un'area ridotta della Turchia europea e della Grecia settentrionale; una dell'Asia orientale, A. elliptica. Caratteri distintivi del genere sono radici rizomatose legnose, fusti eretti che contengono un latice irritante e tossico, foglie alternate decidue da lanceolate a lineari, fiori azzurri o bianchi tinti d'azzurro raccolti in cime terminali tirsoidi o corimbose, con lungo tubo corollino e cinque lobi più o meno stretti, simili a petali disposti a stella, da cui il nome comune inglese bluestar. Come molti membri di questa famiglia, contengono alcaloidi e altri composti con proprietà soprattutto antimicrobiche. Sono però principalmente piante ornamentali molto apprezzate in giardino sia per il colore insolito dei fiori sia per la tendenza a formare ampi gruppi. La specie più coltivata è probabilmente proprio A. tabernaemontana; in natura vive nelle boscaglie aperte e nelle praterie dal Missouri al Texas e dal New Jersey alla Florida su suolo preferibilmente umido ma ben drenato. Il latice amaro e tossico la rende non appetibile agli erbivori, mentre i fiori attraggono molti tipi di insetti e anche colibrì. Di portamento compatto e cespuglioso, forma gruppi molto attraenti al momento della fioritura che avviene tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate; un secondo momento di interesse è l'autunno, quando le foglie prima di cadere si tingono di giallo. Simile è A. hubrichtii, che però ha fiori azzurro acciaio e foglie sottili e piumose con colori autunnali più vivi. A. tomentosa, originaria degli Stati Uniti sudoccidentali e del Messico settentrionale, si distingue per i fusti legnosi che possono raggiungere anche un metro d'altezza; se ne conoscono due forme: A. tomentosa var, stenophylla, con foglie glabre, e A. tomentosa var. tomentosa, con foglie ricoperte di un tomento lanoso; i fiori sono bianchi soffusi di verde, di blu o rosa. Presso il popolo Zuni le radici erano utilizzate contro il morso dei serpenti. L'unica specie europea, A. orientalis, molto rara e minacciata, vive in natura solo in un'area ristretta della Grecia nord-orientale e della Turchia europea; la comunità europea l'ha inclusa nelle lista delle specie da proteggere (dove compare con il sinonimo Rhazya orientalis ed è segnalata come "minacciata in modo critico"). E' anch'essa simile alle altre specie, ma ha foglie più grandi e fiorisce in piena estate; i fiori azzurri hanno tubo corollino più scuro e sepali più brevi e dal colore più vivido. L'unica specie asiatica, A. elliptica, meno rustica delle altre, è molto simile a A. tabernaemontana, ma ha portamento più aperto. Le foglie verde chiaro in autunno assumono tonalità dorate e rosate. E' una pianta medicinale con effetti antibatterici ed emolitici. Un carteggio di quattro lettere, tre sue e una di Linneo, un articolo di due pagine, quattro menzioni nell'ultima importante opera linneana: è quasi tutto quello che ci resta del medico svizzero Frédéric-Louis Allamand. Ma a preservare il suo ricordo provvede lo spettacolare genere Allamanda, che ebbe anche la ventura di essere scelto dal dedicatario stesso su una rosa di tre proposti da Linneo in persona. ![]() Un carteggio e una dedica Nel novembre 1770 Linneo ricevette dall'Olanda dal medico Frédéric Louis Allamand (1736-1809), svizzero ma vissuto fin da ragazzo nei Paesi Bassi dove era diventato medico navale, una lettera e un manoscritto di una dozzina di pagine; intitolato Genera plantarum Americanarum, conteneva la descrizione di 37 specie presumibilmente nuove. Nella missiva di accompagnamento, Allamand informava Linneo che durante un viaggio di qualche anno prima nell'America tropicale aveva avuto modo di osservare un certo numero di nuove piante; aveva raccolto esemplari e li aveva conservati accuratamente, ma i materiali erano andati perduti durante un attacco di pirati. Era poi tornato in America, soggiornando soprattutto in Suriname, una zona finora trascurata dai botanici; ora sottoponeva a Linneo il manoscritto, frutto di due anni di lavoro, rimettendosi alla sua autorità. L'invio deliziò l'ormai anziano scienziato, anche perché veniva a colmare una lacuna e a sanare una vecchia ferita: quella che gli aveva inferto l'infedele allievo Rolander rifiutandogli l'accesso ai suoi manoscritti e all'erbario raccolto proprio in Suriname. Il lavoro di Allamand era eccellente: come scrive Linneo nella sua risposta, l'aveva letto e riletto, e mai aveva incontrato descrizioni più accurate, tanto che gli pareva quasi di vedere quelle piante con i propri occhi; non era l'opera di un soldato semplice, ma di un comandante dell'esercito di Flora (quello di cui Linneo si considerava il generale in capo). Dopo aver commentato minutamente le singole descrizioni, informava Allamand di aver l'intenzione di pubblicare le specie nuove nella seconda parte della sua Mantissa e gli chiedeva quale tra tre nuovi generi ugualmente notevoli (Galarips, Caryocar, Clibadium) preferiva gli fosse dedicata con il nome Allamanda. Erano elogi insoliti che ovviamente colmarono di gioia Allamand: nella lettera di risposta, inviata in occasione del Capodanno 1771, oltre a fare gli auguri a Linneo, scrive che gli sarebbe bastato un cenno, la soddisfazione di essere stato ascoltato, e invece ha ottenuto molto di più. Ha iniziato a formulare i caratteri e altre informazioni sulle piante nuove o meno conosciute che Linneo gli ha chiesto per includerli nella sua opera; spera che il testo sarà pronto tra breve. Quanto alla specie che Linneo così cortesemente vorrà dedicargli, sceglie quella che aveva chiamato Galarpis; conta di poter ricambiare tanto onore mandandogli qualche esemplare di piante rare. Le promesse descrizioni saranno inviate qualche mese dopo e Linneo includerà in Mantissa plantarum altera, oltre a Allamanda, tre dei generi di Allamand, Caryocar, Clibadium e Guarea. Altri cinque generi (nessuno dei quali oggi riconosciuto) erano stati in precedenza pubblicati da Allamand negli atti dell'Accademia Cesarea Leopoldina. Dopo l'estate 1771 il carteggio si interruppe. Al suo ritorno in Europa Allamand aveva lasciato la marina olandese, per poi trasferirsi in Russia come medico di corte; si fece vivo da San Pietroburgo nel giugno 1776 mandando a Linneo un'ultima lettera in cui si scusa di non avergli scritto per cinque anni e di essersi preso la libertà di farlo nuovamente; gliene dà l'occasione il prossimo viaggio in Svezia di un amico di cui intende approfittare per far giungere a Linneo alcuni esemplari di piante del Suriname. Linneo era ormai malato e sarebbe morto poco più di un anno dopo. Probabilmente non rispose mai. Quanto ad Allamand, non sappiamo molto sulla sua vita successiva, tranne che nel 1793 ritornò in Olanda e divenne professore all'Università di Leida, nei cui archivi il suo nome non compare più dopo il 1803. ![]() Fioriture tropicali Allamand certo aveva scelto per sé il genere più bello, o almeno quello con fioriture più vistose. La specie dedicatagli da Linneo è infatti Allamanda cathartica, uno spettacolare rampicante con grandi fiori a tromba giallo vivo che nei climi tropicali si susseguono per tutto l'anno. Anche oggi è la più nota e coltivata delle quindici specie del genere Allamanda, della famiglia Apocynaceae: sono arbusti eretti o rampicanti, con foglie sempreverdi riunite in verticilli e grandi fiori con corolla ad imbuto lievemente asimmetrica, solitamente gialla, ad eccezione di A. blanchetii che ha fiori da rosa a viola; i frutti sono per lo più capsule globose armate di spine. I fusti contengono un latice bianco che può causare vari disturbi; tutte le parti di queste pianete sono per altro tossiche, anche se trovano impiego nella medicina tradizionale con usi in parti confermati dalle ricerche di laboratorio. Ad eccezione di qualche specie nativa di Venezuela, Colombia e Perù, il genere è ristretto al Brasile, dove cresce nelle radure delle foreste più o meno umide, spesso lungo corsi d'acqua. Per la loro bellezza, diverse specie sono state introdotte in coltivazione nei paesi tropicali, dove alcune sono diventate invasive. Nei climi temperati sono invece coltivate come piante da serra, dal momento che in genere richiedono temperature non inferiori a 15°. Le specie coltivate sono essenzialmente tre: A. cathartica, A. blanchetii e A. schottii. La prima secondo William Curtis fu introdotta in Inghilterra nel 1785 dal barone Christian Ludwig von Hake, curatore dei giardini di corte di Herrenhausen. Originaria di Brasile, Guyana e Perù, è un rampicante vigoroso (può però essere coltivata anche a siepe) che può superare i 6 metri d'altezza; ha foglie lanceolate raggruppate in verticilli di 4 a intervalli lungo il fusto e fiori giallo brillante portati in gruppi di 12 all'apice dei fusti o all'ascella del fogliame. Ne sono state selezionate diverse varietà: 'Handersonii', quella più frequentemente coltivata in Europa, ha fiori più grandi, mentre quelli di 'Williamsii' sono fragranti e semidoppi. A. blanchetii è originaria del Brasile nordorientale dove cresce nella foresta arida nota come caatinga; si distingue dalle altre specie per il colore dei fiori. Di dimensioni più contenute rispetto alla specie precedente, può essere coltivata a cespuglio o fatta arrampicare su un supporto, raggiungendo un altezza di 3 metri; produce grandi fiori campanulati con 5 lobi arrotondati lievemente sovrapposti da rosa a viola, più scuri alla gola. Più rustica di A. cathartica, può sopportare per brevi periodi temperature vicine allo 0, si adatta meglio alla siccità, ma non sopporta i ristagni d'acqua; per questo viene spesso innestata su A. cathartica. Anche di questa specie esistono diverse varietà, tra cui 'Cherry Jubilee' con fiori rosso ciliegia. A differenza della altre due specie, A. schottii non è una liana, ma un arbusto eretto, che forma cespugli alti fino a tre metri e larghi 2; ha foglie sempreverdi da obovate ad ellittiche raggruppate in verticilli di 3-5, lucide e verde chiaro, che contrastano piacevolmente con la massa di fiori gialli con tubo corollino lievemente gibboso, lobi arrotondati giallo chiaro e gola striata di arancio. Piuttosto variabile, è spesso commercializzata sotto sinonimi come A. neriifolia e A. cathartica var. schottii. In effetti, insieme a A. martii e A. polyantha, fa parte di un complex di specie strettamente imparentate originarie delle foreste umide del Brasile orientale; affine, è anche l'ultima arrivata, A. calcicola, in precedenza confusa con queste specie e riconosciuta come specie autonoma appena nel 2009. Anche se il lavoro degli ibridatori per questo genere sembra ancora all'inizio, sul mercato sono disponibili anche alcuni ibridi, per lo più tra A. cathartica e A. blanchetii, che hanno permesso di allargare la gamma dei colori al bianco e all'albicocca, Quando José Celestino Mutis arriva in Colombia (anzi, nel Nuovo Regno di Granada, come si chiamava all'epoca) è un giovane medico di ventotto anni. In America pensa di fermarsi solo qualche anno, invece vi rimarrà per tutta la vita. E per tutti diventerà "el sabio Mutis", il sapiente Mutis, il primo scienziato del paese, anzi dell'intera America latina. Come matematico e fisico farà conoscere la meccanica newtoniana e si scontrerà con l'inquisizione, ancora rimasta al modello tolemaico; come medico riformerà l'insegnamento di medicina e chirurgia e sosterrà l'inoculazione del vaiolo; come astronomo, fonderà il primo osservatorio d'America; come mineralogista riattiverà miniere che si credevano esaurite; come zoologo, studierà le formiche su suggerimento dell'amico Linneo; come botanico scoprirà che anche in Colombia cresce la Cinchona, e di qualità non inferiore a quella peruviana. Ha trent'anni quando chiede per la prima volta alla corona spagnola di finanziare una spedizione scientifica; ne ha cinquantuno quando finalmente viene posto a capo della Expedición Botánica del Nuevo Reino de Granada. La dirige con abilità e competenza, attorniandosi di una intera generazione di giovani naturalisti, raccoglitori, artisti (questi ultimi sotto la sua supervisione elaborano un peculiare stile di illustrazione botanica, passato alla storia come "stile Mutis"). Nonostante viva nella lontana Colombia, il suo nome è ben noto in Europa; corrisponde con diversi colleghi europei, primo fra tutti Linneo; e quando Humboldt e Bompland arrivano in America, non mancano di fargli visita, rimanendo stupefatto da quanto ha già fatto e quanto si propone di fare nonostante l'età avanzata. Mutis era davvero uno studioso senza uguali; e quale genere più adatto a celebrarlo della bellissima Mutisia di cui Linneo diceva "Non ho mai visto una pianta che la superi in singolarità"? ![]() Una lunghissima attesa Nel 1760, al giovane medico originario di Cadice José Celestino Mutis (1732-1808) potrebbe aprirsi una carriera di successo nella capitale, dove si è trasferito nel 1757. Ha brillantemente superato l'esame presso il Protomedicato che abilita alla professione, tanto da essere nominato professore supplente di chirurgia presso l'ospedale maggiore, ed ha un'ottima clientela. Ora il suo protettore, il ministro della Guerra Ricardo Wall, che è anche riuscito a farlo nominare medico da camera del re Ferdinando VI, gli offre una borsa di studio per perfezionarsi a Parigi, Londra o Bologna. Ma a Mutis, grande appassionato di botanica (è allievo di Barnades e frequenta assiduamente l'orto botanico di Migas Calientes) contemporaneamente giunge una proposta molto più allettante: Pedro Messia de la Cerda, appena nominato Viceré della Nuova Granada, gli chiede di accompagnarlo in America, promettendogli di lasciargli tempo e agio per le ricerche naturalistiche. Mutis accetta: riprenderà il percorso interrotto dalla morte di Löfling e, chissà, di lì a qualche anno, tornerà in Spagna come direttore di un Gabinetto di scienze naturali e di un orto botanico indipendente e più scientifico di quello di Migas Calientes, che ancora vede la botanica come ancella della medicina e della farmacia. Dopo una passata a Cadice per salutare parenti e amici (tra cui l'allievo di Linneo Claes Alströmer) il 7 settembre Mutis si imbarca con il viceré e il suo seguito sul vascello La Castilla diretto a Cartagena de Indias, dove giungono il 29 ottobre. Qui e lungo il tragitto che li porterà a Santa Fe de Bogotà, la sede vicereale, affascinato dalla ricchezza e dalla varietà della natura tropicale, incomincia a raccogliere esemplari e ad annotare osservazioni su piante, animali, ambienti e paesaggi, costumi dei nativi, in vista di una Storia naturale dell'America settentrionale spagnola. Purtroppo a Bogotà (dove arriva il 24 febbraio 1761) la realtà si rivela diversa dalle aspettative: come uno dei pochi medici laureati della colonia è indaffaratissimo; inoltre, su sollecitazione di alcuni giovani del seguito vicereale, a partire dal maggio 1762 inaugura la cattedra di matematica superiore al Colegio Mayor del Rosario (cui dal 1764 si aggiungerà l'insegnamento di fisica o filosofia naturale) che introduce in America la meccanica newtoniana e il metodo sperimentale. Per le ricerche sul campo rimane poco, pochissimo tempo. Nel 1763 Mutis si risolve ad inviare al re Carlo III una petizione, in cui sollecita il finanziamento di una spedizione naturalistica «molto utile per la scienza, la corona e i suoi vassalli»; le raccolte dovrebbero andare a costituire un Gabinetto di scienze naturali con orto botanico annesso. L'anno successivo reitera la richiesta, ma senza ottenere risposta. Seguono alcuni anni di incertezza: nel 1766 abbandona la corte vicereale, la carriera di medico e l'insegnamento per trasferirsi a San Antonio del Real de Montuosa Baja dove forma una società per lo sfruttamento di una miniera, sperando di ottenere l'indipendenza economica che gli permetterà di continuare i suoi studi; nel 1770 rientra a Bogotà e riprende a insegnare; nel 1772 prende gli ordini sacerdotali; lo stesso anno scopre che anche in Colombia crescono piante di china; nel 1773 sostiene pubblicamente il sistema copernicano al Collegio del Rosario e l'anno dopo deve difendersi davanti all'Inquisizione; nel 1777 lascia di nuovo Bogotà per una seconda avventura mineraria, alla miniera El Sapo di Inagué, dove fino al 1782 vivrà in solitudine "gli anni più felici della sua vita". Nel frattempo non ha mai smesso di studiare, di raccogliere, di scrivere, di corrispondere con altri studiosi, primo fra tutti Linneo cui invia molti esemplari, ricevendone in cambio un'insolita attestazione di stima e di amicizia. Su suo invito, inizia a studiare le formiche del nuovo mondo, tanto quelle guerriere del genere Eciton quanto le tagliafoglie del genere Atta. ![]() Una spedizione senza uguali A questo fecondo isolamento lo sottrae il nuovo viceré, l'arcivescovo Antonio Caballero y Góngora, che lo conosce in occasione di una visita pastorale. Lo convince a tornare con lui a Bogotà e gli affida la direzione della "Spedizione botanica del Nuovo Regno di Granada", di cui sollecita l'approvazione reale. Che arriverà con decreto del 1 novembre 1783, vent'anni dopo la petizione di Mutis. Quest'ultimo è nominato "Primo Botanico e Astronomo" della Real Expedición Botánica de la América Septentrional, più nota come Real Expedición Botánica del Nuevo Reino de Granada. Mutis si mette immediatamente al lavoro e crea una spedizione che si distingue da tutte le altre promosse in quegli anni dalla corona spagnola. Lo scopo è niente meno che redigere un inventario completo delle risorse naturali del Vicereame, non solo per scopi utilitari, ma più largamente scientifici; per farlo si circonda di un'ampia squadra di giovani, in gran parte creoli, molti dei quali sono stati suoi allievi: tra di essi, i botanici Juan Eloy Valenzuela, Sinforoso Mutis (suo nipote), Francisco Antonio Zea, il chimico e zoologo Jorge Tadeo Lozano, il botanico, astronomo e ingegnere militare Francisco José de Caldas. Mutis fissa la sede della spedizione a Mariquita, una località ai piedi delle Ande nel bacino del fiume Magdalena, che aveva visitato durante gli anni "minerari". Raramente raccoglie di persona (ha superato i cinquant'anni), ma coinvolge nelle raccolte decine di raccoglitori provenienti dalle più diverse categorie sociali. Gli esemplari confluiscono alla Casa della Botanica di Mariquita, dove viene creata un orto botanico e un laboratorio di pittura; qui una squadra di giovani di talento viene istruita direttamente da Mutis sulla disposizione degli esemplari e i particolari da ritrarre. Grazie ad allievi e collaboratori, l'area coperta dalla spedizione si allarga ad altre zone: ad esempio, il suo discepolo preferito Francisco José de Caldas tra il 1802 ed il 1805 esplora parte dell'attuale Ecuador, raccogliendo oltre 6000 esemplari e disegnando interessanti mappe con l'indicazione delle fasce di altitudine delle piante. Mentre i pittori creano migliaia di disegni, el sabio Mutis, il "sapiente Mutis", come ormai tutti lo chiamano, è impegnato a scrivere i testi della Flora de Bogotá o del Nuevo Reino de Granada. Dato che ha contratto la malaria, nel 1791 è costretto a trasferire la sede della spedizione a Bogotà; ormai si tratta di una vera e propria istituzione scientifica, con una sede propria (la seconda Casa della botanica), un orto botanico, una biblioteca e attrezzature scientifiche. Qui Mutis e i suoi collaboratori riordinano le collezioni, studiano, scrivono, dipingono. Humboldt e Bompland, che gli fanno visita nel 1801, rimangono stupefatti dall’eccellente organizzazione, dalla quantità di lavoro svolto e progettato da quest'uomo orami in età avanzata, da una biblioteca di forse ottomila volumi, seconda solo a quella di Banks a Londra. E' un centro scientifico polivalente, tanto che tra il 1802 e il 1803 nel suo giardino viene eretto l’Osservatorio, il primo del continente americano; Mutis ne affida la direzione all'allievo Francisco José de Caldas che da parte sua avrebbe preferito occuparsi di botanica. Quando Mutis muore, nel 1808, la sua Flora (un'opera immensa, tanto che l'edizione moderna prevede 55 tomi) non è finita e la stampa non è neppure iniziata. Nel corso degli anni, con la scusa che l'opera non è terminata, egli ha inviato a Madrid solo pochi esemplari a mo' di campione; in realtà è convinto che debbano rimanere in Colombia a disposizione degli studiosi colombiani. Dopo la sua morte la spedizione continuò per qualche tempo sotto la direzione di suo nipote Sinforoso Mutis, finché nel 1810, in seguito alle convulsioni della guerra d'Indipendenza (di cui molti allievi di Mutis furono dirigenti e protagonisti) si interruppe. Nel 1815 le truppe di Bolivar invasero la Casa della Botanica e l’osservatorio, ma i materiali si salvarono fortunosamente; nel 1816, per ordine del generale spagnolo Morillo, che aveva ripreso il controllo della colonia, furono imballati e inviati a Madrid, dove furono divisi tra il Gabinetto di storia naturale (gli animali e i minerali) e il Real Jardín Botánico (i vegetali e i manoscritti), dove rimasero a prendere polvere nei magazzini. Nel suo complesso, in trentacinque anni la Real Expedición Botánica del Nuevo Reino de Granada, tra raccoglitori, scienziati, pittori, aveva coinvolto 55 persone, coperto un’estensione di 8000 km² e raccolto 20.000 esemplari botanici e 7000 zoologici. Un lascito importante è costituito dalle illustrazioni botaniche, più di 6600 tavole create da oltre 30 artisti, sotto la supervisione diretta di Mutis, tanto che gli studiosi parlano di «stile Mutis», caratterizzato da uso della tempera anziché dell’acquarello, attenta disposizione del soggetto, combinazione di più esemplari per rappresentare in un’unica tavola tutti gli stadi della vita della pianta, dalla fioritura alla fruttificazione. La spedizione ebbe anche conseguenze politiche: molti degli allievi di Mutis, compreso suo nipote Sinforoso, grazie ad essa presero coscienza della loro identità di americani e si fecero paladini dell’indipendenza; pagarono queste idee con il carcere, l’esilio, Caldas e Lozano, fatti fucilare da Morillo, con la vita. ![]() Una pianta singolare Ancora incerto se cambiare mestiere e dedicarsi a tempo pieno all'attività mineraria, nel 1773 José Celestino Mutis inviò in Svezia l'allievo Clemente Ruiz a perfezionarsi nei metodi di estrazione e purificazione dei minerali; ne approfittò per trasmettere a Linneo un ricco erbario e altri oggetti. Conteneva molte meraviglie che entusiasmarono il vecchio botanico, come egli scrive all'amico Mutis in una lettera datata 20 maggio 1774 : "Non ho mai avuto tanto piacere in tutta la mia vita, per tanta ricchezza di piante rare, uccelli e altri oggetti che mi hanno lasciato attonito. Giorno e notte negli ultimi otto giorni l'ho sfogliato e risfogliato e sempre si rinnovava la felicità di incontrare piante mai viste. Chiamerò Mutisia [oggi M. clematis] la numero 21: non ho mai visto una pianta tanto singolare: ha fiori di Singenesia [ovvero di Asteracea], presenta viticci, le foglie sono composte e tomentose, l'aspetto è di clematide; chi ha mai visto una pianta simile in questo ordine naturale? Ti felicito per il tuo nome immortale che il tempo non potrà mai offuscare." Sappiamo che Linneo, nel dedicare un genere a una persona, amava che ne fosse il ritratto vegetale. Qui molto probabilmente nel immortalare il sapiente amico pensava alla sua singolarità, che lo rendeva altrettanto senza pari tra gli studiosi quanto lo era Mutisia tra le piante della sua famiglia. Egli non fece però in tempo a pubblicare il nuovo genere; la sua volontà fu tuttavia rispettata da suo figlio Carl il giovane che lo fece per lui in Supplementum Plantarum, 1781. Mutisia L.f. è oggi un grande genere della famiglia Asteraceae cui sono assegnate oltre 60 specie, con una interessante distribuzione disgiunta: la maggior parte si distribuiscono lunga la catena delle Ande dalla Colombia settentrionale alla Patagonia, mentre un secondo gruppo di quattro specie si trova nella foresta pluviale del Brasile sudorientale (Mata Atlantica) e nelle aree adiacenti di Paraguay, Uruguay e Argentina; vivono in una grande varietà di habitat dal livello del mare a 4000 metri di altitudine. Sono per lo più grandi arbusti, ma anche liane rampicanti, con foglie lineari, oblunghe o pinnate, talvolta con margini dentati, che spesso presentano un viticcio terminale che permette loro di arrampicarsi su arbusti ed alberi. I vistosi capolini solitari sono situati all'apice dei rami, hanno lunghi involucri usualmente verdi, e sono simili a margherite, con fiori del raggio (i "petali" della margherita) molto lunghi e vistosamente colorati: il colore prevalente è l'arancio vivo, ma possono essere anche bianchi, rosa, rossi. In effetti, si nota una differenza di forme e di colori dei fiori in base all'habitat e agli impollinatori: diverse specie delle savane aperte del Cile meridionale o di alta montagna sono arbusti nani con ricettacolo più breve e capolini più corti e piatti bianchi, crema o rosa pallido, impollinati da vari tipi di insetti; le specie con grandi capolini dai colori brillanti della foresta pluviale tanto andina quanto brasiliana sono invece impollinate da colibrì. Ne è un esempio proprio la specie tipo M. clematis, un endemismo delle foreste andine della Colombia tra 2000 e 4000 metri; è una liana provvista di viticci che può raggiungere anche i 10 metri d'altezza; i fiori terminali, larghi anche 10 cm, penduli, sono provvisti di un lungo involucro con quattro-cinque serie di brattee e hanno nove o dieci fiori del raggio arancio o scarlatto brillante, disposti orizzontalmente o con apici lievemente ricurvi. Tipica del cono sur è invece M. decurrens, distribuita in una fascia tra i 500 e i 2000 metri in Cile lungo la cordigliera centro-meridionale e in Argentina nei boschi patagonici; anch'essa è una liana, ha foglie semplici dal bordo dentato e spinoso, e grazie ai viticci si arrampica fino a 4-5 metri, ricoprendo densamente arbusti e piccoli alberi; i fiori terminali e solitari hanno diametro fino a 5 cm con 7-14 flosculi del raggio arancio intenso. Ha distribuzione simile M. spinosa, che si distingue per le foglie con bordi spinosi e i fiori rosa o lilla chiaro. Un esempio delle Mutisiae arbustive è M. acerosa, un arbustino nativo delle steppe alpine aride della sezione centrale della cordigliera, in Cile e in Argentina. Come adattamento all'aridità presenta foglie lineari, rigide, simili a aghi di pino; i fiori simili a margherite rade sono relativamente piccoli, con "petali" (i flosculi ligulati) bianchi e appena toccati di rosa all'esterno. Concludiamo con un raro endemismo della provincia di Loja in Ecuador scoperto da pochi anni: la spettacolare Mutisia magnifica, il cui ambiente naturale è la foresta montana tropicale o subtropicale. Anch'essa può arrampicarsi su altri alberi e si distingue per gli enormi capolini con involucro cilindrico lungo quasi 10 cm, corolla di 12 cm di diametro, fiori del raggio arancio brillante lunghi fino a 6 cm e larghi fino 3, fiori del disco cilindrici con lunghissimi stimmi. Qualche informazione in più e altre specie nella scheda. L'orto botanico di Madrid rimase a lungo una roccaforte del sistema di Tournefort. Bisognò attendere la morte del primo cattedratico José Quer nel 1764 perché finalmente si aprisse alla nomenclatura e alla classificazione linneane, grazie al suo successore Miguel Barnades. Anche lui catalano, ma formato a Montpellier, era molto più aperto del suo predecessore ed educò ai nuovi principi una generazione di validi botanici, il più famoso dei quali è José Celestino Mutis. Per i suoi studenti scrisse Principios de botánica, in cui si dimostra buon conoscitore degli apporti dei botanici europei e adotta una posizione ecclettica che accanto a Linneo valorizza anche i tentativi di classificazione naturale della scuola francese, in particolare di Michel Adanson. Era la prima opera di botanica scritta in castigliano; ciò comportò la creazione di un intero vocabolario, per il quale Barnades, al semplice adattamento dal latino, spesso preferì attingere alla lingua parlata. Lo ricorda il genere sudamericano Barnadesia, omaggio dell'allievo José Celestino Mutis. Il primo manuale di botanica in lingua castigliana Come si è visto in questo post, il Reale orto botanico di Madrid, sito inizialmente a Migas Calientes, nacque nel 1755; già nel 1757 furono attivi corsi di botanica per i futuri medici e farmacisti, tenuti dal primo professore e direttore del giardino José Quer e dal secondo professore Joan Minuart. Entrambi catalani e allievi di Jaume Salvador, si erano formati nel credo tournefortiano cui improntarono anche il loro insegnamento. Tutto cambiò nel 1764 quando Quer morì e fu sostituito da un altro medico catalano, Miguel Barnades (1708-1771) che, avendo studiato a Montpellier dove era stato allievo di Boissier de Sauvages, aveva una formazione più aggiornata. Anche se non era un linneano di stretta osservanza, apprezzava sia la nomenclatura binomiale sia il sistema artificiale di Linneo, di cui riconosceva la praticità e l'efficacia didattica. Convinto assertore dell'utilità della botanica non solo per la salute pubblica, ma anche per l'economia, attraverso l'agricoltura, l'allevamento, le applicazioni industriali, per permettere al maggior numero possibile di studenti di appropriarsi dei principi della botanica decise di divulgarli in un'opera in lingua volgare, Principios de botanica: sacados de los mejores escritores y puestos en lengua castellana (Madrid 1767), come egli dichiara esplicitamente: "Il desiderio di rendere più facile alla gioventù spagnola lo studio metodico della botanica mi spinge, o lettore, a presentarti la spiegazione dei principi di questa scienza naturale in lingua castigliana". L'opera si apre con un profilo storico della botanica che dimostra quanto Barnades si tenesse aggiornato e quanto fosse privo di pregiudizi e aperto all'innovazione. Dopo un excursus sull'antichità e gli arabi, egli si sofferma sul Cinquecento, l'epoca dei restauratori, sul Seicento, l'epoca degli ordinatori, e sul proprio secolo, l'epoca dei riformatori. Tra i moderni, elogia in primo luogo Linneo, raccomandando in particolare Filosofia botanica e Genera plantarum; cita positivamente anche il suo maestro Sauvages, Ludwig, Duhamel de Monceau, Haller, Adanson e Oeder. Si noti che Familles de plantes di Adanson era stato pubblicato nel 1763-64; di Elementa botanicae di Oeder era uscito l'anno prima il primo volume, mentre del secondo si attendeva la pubblicazione, come Barnades aveva saputo dell'autore stesso, evidentemente uno dei suoi corrispondenti. L'approccio del botanico catalano era dunque eclettico e poteva conciliare la classificazione artificiale di Linneo con quella naturale di Adanson, a proposito della quale faceva notare che individuare gruppi di piante affini era particolarmente utile per la botanica farmaceutica perché "le piante della stessa famiglia naturale e anche più dello stesso genere naturale" hanno spesso proprietà simili. Dopo un capitolo dedicato all'utilità della botanica, il libro prosegue con capitoli sulla botanica in generale, le piante e le loro divisioni, le parti delle piante, distinte in durevoli, secondarie e temporanee (quelle attinenti alla fruttificazione, dal fiore al frutto al seme), la fruttificazione (definita "clandestina") di felci, muschi ed alghe. Il breve capitolo conclusivo, sulla traza ovvero l'habitus o aspetto generale, era inteso come preludio a una seconda parte che avrebbe dovuto insegnare a riconoscere in modo chiaro e distinto le piante e a nominarle in modo corretto; questo secondo volume tuttavia non fu mai scritto. Il maggiore contributo del libro di Barnades consiste indubbiamente nel tentativo di creare un'intera terminologia; nel descrivere in modo analitico le varie parti delle piante, egli introduce centinaia di neologismi. Al semplice adattamento della parola latina, in genere egli preferisce un equivalente nella lingua comune; ad esempio, per le infiorescenze troviamo le seguenti equivalenze: corymbus = maceta; umbella = copa; cyma = cimero; panicula diffusa = panoja; panicula coartata = mazorca; thyrsus = toba; racemus = racimo; spadix = tamarra; spatha = garrancha; spica = espiga; verticillus = rodajuela. E' una scelta estrema, che corrisponde al desiderio di avvicinare alla botanica anche chi non aveva alcuna familiarità con il latino, ma che ebbe poco seguito. Rimanendo al nostro esempio, gli unici termini ancora usati nella terminologia botanica spagnola sono espiga e racimo, non a caso i più vicini alla forma latina. Solitamente si considera il manuale di Barnades troppo teorico per avere lasciato una traccia permanente, ma certamente contribuì al vero merito del medico e botanico catalano: aver gettato le basi della moderna botanica iberica aprendo la strada alla metodologia linneana, che sarà poi assai approfondita dai suoi successori Casimiro Gomez Ortega e Antoni Palau y Verdera. Tra i suoi allievi, il più noto è José Celestino Mutis, con il quale strinse amicizia durante il suo soggiorno a Cadice e che poi lo seguì a Madrid, dove la sua attività didattica dovette iniziare in modo ufficioso prima della nomina a professore all'Orto botanico, visto che Mutis lasciò la Spagna nel 1760. ![]() Una dedica americana Si deve proprio a lui (con la complicità del figlio di Linneo) l'omaggio al botanico catalano del genere Barnadesia, descritto dal primo ma pubblicato dal secondo in Supplementum Plantarum (1781) con questa breve annotazione: "In memoriam Botanici Hispanici Barnadez dixit Mutis". Questo genere della famiglia Asteraceae, esclusivamente sudamericano, comprende 22 specie di arbusti e piccoli alberi, distribuite dalla Colombia all'Argentina, per lo più andine, tranne una singola specie che dal sudest del Perù si spinge fino al Brasile. Tra le caratteristiche distintive, la presenza di spine lungo i fusti e all'ascella delle foglie, i lunghi peli unicellulari presenti in tutte le parti del capolino e le corolle bilabiate dei fiori del raggio e talvolta anche di quelli del disco. I colori prevalenti delle corolle sono il rosa e il viola; alcune specie producono grandi quantità di nettare, il che ha fatto pensare siano impollinate da colibrì. L'analisi del DNA di Bernadesia e altri generi affini ha segnato un'importante tappa negli studi filogenetici sull'evoluzione delle piante. Nel 1987 un team guidato da Jansen e Palmer scoprì che in questi generi è assente una particolare mutazione (inversione) del DNA, presente invece in tutte le altre Asteraceae (oltre 20,000 specie) e assente nelle altre angiosperme. Ciò significa che questo gruppo (che proprio in base a questa scoperta è andato a costituire la sottofamiglia Barnadesieae - 10 generi e 85 specie) è il più antico delle Asteraceae, precedente la mutazione che si ipotizza sia avvenuta tra 38 e 42 milioni di anni fa. Le Barnadesiae sono piante molto attraenti soprattutto al momento della fioritura, ma sono raramente coltivate al di fiori dei paesi d'origine: piante d'altura delle Ande tropicali di cui si è detto che ogni giorno si sperimenta l'estate e ogni notte l'inverno, vivono in condizioni estreme difficili da riprodurre ad altre latitudini o in serra. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2025
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