Torniamo a solcare i mari delle Indie orientali per incontrare, dopo Garcia de Orta, l'altro dedicatario del genere linneano Garcinia. E' il chirurgo e poi medico franco-svizzero Laurent Garcin che per otto anni lavorò per la VOC visitando molti dei paesi che si affacciano sull'Oceano indiano, dalla Persia all'Indonesia. Oltre alla dedica da parte di Linneo, vari aspetti della sua biografia lo accomunano a Orta: entrambi sono figli di rifugiati per motivi religiosi, entrambi studiano da pionieri flore quasi sconosciute in Europa, entrambi tengono in grande considerazione le tradizioni mediche locali. E, ovviamente, entrambi hanno scritto del mangostano, ovvero Garcinia mangostana. Un chirurgo navale fuori dal comune Nel 1733, il medico franco-svizzero Laurent Garcin pubblica nelle Transactions della Royal Society, di cui è membro corrispondente, una memoria in cui propone l'istituzione di un nuovo genere di piante "detto secondo i malesi Mangostano". Qualche anno dopo (1737), Linneo, che probabilmente lo conosce di persona (all'epoca entrambi vivono nei Paesi Bassi e frequentano gli stessi ambienti), in Hortus Cliffortianus gli intesta il nuovo genere, con la seguente motivazione: "Ho chiamato questo nuovo genere di albero Garcinia, da Garcin, che primo ne ha dato i caratteri nelle Transactions, e da Garcia de Horta che l'ha descritto per primo". E' perciò nel segno del mangostano che due pionieri dello studio della flora delle Indie orientali si trovano congiunti nella nomenclatura botanica. Torniamo dunque anche noi nelle Indie, quasi un secolo e mezzo dopo il rogo di Goa che ridusse in cenere le spoglie di Garcia de Orta e le pagine dei suoi Colóquios dos simples (l'ho raccontato in questo post), per seguire i passi del co-dedicatario Laurent Garcin. Nel loro destino c'è una strana coincidenza: come il medico portoghese era figlio di ebrei spagnoli, espulsi dalla loro patria nel 1492, Garcin era figlio di calvinisti francesi che dovettero abbandonare la Francia in seguito alla revoca dell'editto di Nantes del 1685. Il padre era un medico e decise di stabilirsi con la famiglia non lontano dal confine, a Neuchâtel, all'epoca un principato retto in unione personale dal re di Prussia, ma di fatto largamente autonomo. All'epoca in cui lasciò la Francia, Laurent, di cui non conosciamo con esattezza la data di nascita, doveva avere circa 4 anni. Intorno ai 14 anni fu mandato a studiare nei Paesi Bassi (un paese calvinista e assai all'avanguardia nella scienza medica); secondo alcune fonti, studiò medicina sotto il celebre Boerhaave, ma poiché non risulta immatricolato in nessuna università olandese, è più probabile che sia stato affidato come apprendista a un maestro chirurgo. Intorno al 1704 (di nuovo, poco sappiamo della sua giovinezza) si arruolò come chirurgo militare in un reggimento fiammingo nel quale servì per sedici anni, nelle Fiandre, in Spagna e in Portogallo. Nel 1720 lasciò l'esercito e fu assunto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali (d'ora in avanti VOC) come chirurgo di bordo di una nave in partenza per Batavia, il quartier generale dell'impero olandese delle spezie. Aveva dunque circa 40 anni, un'età in cui - lo sottolinea egli stesso - i suoi colleghi, se erano stati abbastanza fortunati da sopravvivere, intraprendevano il viaggio di ritorno. La VOC lo assegnò come capo chirurgo (oppermeester) alla Oudenaarde, in partenza il 20 maggio dal porto di Middelburg. Circa sette mesi dopo, il 19 gennaio 1721, Laurent Garcin sbarcava a Batavia. A questo punto, avrebbe potuto essere assegnato all'ospedale della VOC a Batavia oppure alle navi della compagnia che facevano la spola tra i porti e gli empori asiatici. Probabilmente prestò servizio in entrambi i ruoli, ma soprattutto come chirurgo di bordo, visto che risulta abbia visitato la Persia, Surat, la costa del Coromandel, il Bengala, Ceylon e varie isole indonesiane, nel corso di almeno tre viaggi. In tutti questi paesi, osservò fenomeni naturali poco noti, si dedicò a osservazioni barometriche, raccolse semi e esemplari di piante, e si informò sistematicamente sulle pratiche mediche locali. A impressionarlo, furono soprattutto la competenza medica dei bramini indù e dei medici cinesi che incontrò in Malacca. Oltre a corrispondere ai suoi interessi, imparare a riconoscere le erbe locali e le loro proprietà officinali era anche una necessità per un chirurgo impegnato nelle Indie, sia per rifornire la farmacia della nave con rimedi freschi, sia per far fronte alle malattie tropicali che i medici europei non conoscevano e non sapevano come affrontare; invece i medici locali possedevano un tesoro di pratiche e saperi tradizionali che, forse, erano più disponibili a spartire con un chirurgo che con uno spocchioso medico formato in un'università europea. Fu dunque con un bagaglio materiale di semi e piante essiccate e immateriale di conoscenze mediche (ma non solo) che il 1 novembre 1728 Garcin si imbarcò sulla Valkenisse per il viaggio di ritorno. Il 26 giugno sbarcò nei Paesi Bassi. Deciso a esercitare la medicina anche in Europa, a quasi cinquant'anni dovette rimettersi a studiare: si fermò ancora un anno a Leida per completare gli studi medici con Boerhaave e si laureò a Reims. Le competenze acquisite nelle Indie in medicina, botanica, meteorologia gli aprirono le porte della società scientifica europea, come attesta la corrispondenza con personaggi come Daniel Bernoulli, Pieter van Musschenbroek (l'inventore della bottiglia di Leida), Hans Sloane, Réamur, Bernard de Jussieu. Nel 1731 fu ammesso alla Royal Society come membro onorario. Nei Paesi Bassi, oltre a Boerhaave, il suo principale referente era Johannes Burman, cui cedette gran parte dell'erbario raccolto nelle Indie, che fu poi utilizzato dal figlio Nicolaas Laurens Burman per la sua Flora indica (1768). E' probabile che a casa di Burman abbia conosciuto Linneo, anche se non sono rimaste lettere tra i due. E' certo però che fu il primo a far conoscere il sistema linneano in Svizzera, preferendolo a quello di una gloria locale come Haller. Dopo la laurea, ritornò per qualche tempo in Svizzera per sposarsi e rivedere la famiglia. Quindi lavorò come medico a Hulst, in Zelanda e dal 1739 si stabilì definitivamente a Neuchâtel, divenendo un membro eminente della piccola comunità scientifica del principato. Ammesso come membro corrispondente anche all'Accademia delle scienze francese, pubblicò articoli su diversi argomenti, oltre che sulle Transactions della Royal Society, sul Journal helvétique/Mercure Suisse, per il quale teneva anche una rubrica meteorologica, e collaborò alla revisione del Dictionnaire universel de commerce (1742). Morì a Neuchâtel nel 1752. Una sintesi della vita nella sezione biografie. Anche suo figlio Jean-Laurent Garcin (1733–1781), poeta e letterato, si occupò di botanica e rivide per l'Encyclopédie d’Yverdon le voci botaniche scritte da Jean-Jacques Rousseau. Frutti tropicali e pigmenti trasparenti Il mangostano, nome botanico Garcinia manogostana, è la specie più nota di un genere molto vasto delle Clusiaceae (il secondo per dimensioni della famiglia), che comprende da 260 a 400 specie di alberi e arbusti diffusi nella fascia tropicale e subtropicale di tutti i continenti. Sempreverdi, sono in genere dioici e in qualche caso possono riprodursi per apomissia (ovvero senza fecondazione). Per l'estrema varietà delle strutture fiorali, Garcinia è considerato un genere dalla tassonomia discussa, come dimostra anche l'incerto numero di specie. Molte di esse, come altre Clusiaceae (che proprio per questa ragione un tempo si chiamavano Guttiferae), producono resine bruno-giallastre per la presenza di xantonoidi come la mangostina, talvolta usate come purganti o lassativi piuttosto drastici, ma più spesso come coloranti. Molte specie producono frutti eduli, talvolta dolci e da consumare crudi, talvolta acidi e da consumare essiccati. Il frutto più noto è ovviamente proprio il mangostano: è originario del Sud Est asiatico (il nome deriva dalla lingua malese) dove è talmente amato da essere chiamato "regina dei frutti"; già prima dell'arrivo degli europei, fu diffuso in altri paesi asiatici: sicuramente era già noto in India nel Cinquecento, come attestano proprio i Colóquios dos simples di Garcia de Orta. Furono gli inglesi a introdurlo nel resto del mondo: arrivato a Kew intorno 1850, fu importato nelle Antille britanniche, specialmente in Giamaica, che divenne il centro di diffusione in paesi come Guatemala, Honduras, Panama e Ecuador. Tuttavia richiede condizioni ambientali difficili da riprodurre; il sudest asiatico conserva il primato nella produzione mondiale (il paese leader è la Thailandia), e le coltivazioni in altre aree giocano un ruolo marginale. Poco noto da noi fino a pochi anni fa, oggi non è difficile vederlo in vendita tra i frutti tropicali anche sui banchi dei supermercati. I frutti di altre specie sono consumati per lo più a livello locale. Ma non sono solo i frutti a rendere interessanti le Garciniae. Da qualche anno sono stati lanciati sul mercato capsule o estratti di Garcinia gummi-gutta (in genere commercializzati sotto il sinonimo G. cambogia); ricavati dalla scorza dei frutti, dovrebbero facilitare la perdita di peso. Studi scientifici in doppio cieco hanno in realtà dimostrato che la loro efficacia è pari a quello del placebo, mentre sono stati evidenziati effetti collaterali a carico del fegato e dell'apparto gastro-intestinale. Nel sudest asiatico, i frutti essiccati di G. gummi-gutta, ma anche di molte altre specie, dal gusto acido, sono un ingrediente di diversi piatti della cucina tradizionale, come il kaeng-som della Tailandia meridionale. In Vietnam, per dare colore e sapore al bún riêu, si usa G. multiflora. La resina estratta da varie specie di Garcinia, in particolare G. hanburyi, G. morella, G. elliptica e G. heteranda, è nota con il nome gommagutta; in inglese è conosciuta come gamboge, derivato dal Gambogia, il nome latino della Cambogia, paese di origine di G. hanburyi. Trasparente e di colore giallo vivo, arrivò in Europa nel Seicento (la prima attestazione come nome di colore in Inghilterra è del 1634) e fu assai apprezzata come pigmento nella pittura a olio e ad acquarello: la utilizzarono, tra gli altri, Rembrandt, Turner e Reynolds. All'inizio dell'Ottocento l'illustratore botanico William Hooker (omonimo del celebre botanico), avendo bisogno di un verde trasparente per le sue illustrazioni di frutti, mescolò la gommagutta con il blu di Prussia, ottenendo il pigmento ancora oggi noto come verde di Hooker. Un tempo la gommagutta era anche utilizzata come velatura per le stampe, ma all'inizio del Novecento, essendo molto costosa, è stata sostituita da un colorante sintetico, l'aureolina, che è anche più resistente alla luce. Altri approfondimenti su questo interessante genere nella scheda.
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