Nelle riviste inglesi a cavallo tra Settecento e Ottocento, ci si imbatte continuamente nel nome del ricchissimo mercante George Hibbert che nel suo giardino di Clapham possedeva una collezione di piante rare seconda solo a quella dei Kew Gardens; anzi la prima al mondo per le Proteaceae, le sue piante preferite. Nulla di strano che l'editore di una di quelle riviste, che era anche un pittore ed approfittò largamente di quelle raccolte per i suoi libri, lo abbia ringraziato con la dedica di una delle piante che fioriva nel suo giardino. Il problema è che il grazioso genere Hibbertia onora una persona che, dal punto di vista attuale, non merita di essere onorata: come collezionista e promotore dell'introduzione di nuove piante Hibbert fece molto per la botanica, è innegabile; tuttavia egli non solo doveva la sua ingentissima ricchezza allo schiavismo (in questo sarebbe in larga compagnia, a cominciare dai presidenti americani Washington e Jefferson) ma fu probabilmente il nome più in vista della lobby di mercanti, trafficanti e piantatori che cercò di bloccare l'approvazione della legge che mise fine alla tratta degli schiavi in Inghilterra; e alla fine fu anche profumatamente pagato per averlo fatto. Secondo alcuni botanici, la botanica non può lavarsene le mani; secondo altri, mettere in discussione un nome per ragioni che prescindono le regole botaniche apre un vaso di Pandora che fa crollare i principi cardini del Codice internazionale di nomenclatura. Il dibattito è aperto. Il volto oscuro: lo schiavista Uno dei nomi che ricorrono con maggiore frequenza nelle pagine di The botanist's repository e del Curtis's botanical magazine nel ventebnnio tra il 1795 e il 1815 è quello di George Hibbert (1757-1837), nel cui giardino di Clapham fiorirono per la prima volta e furono disegnate molte delle novità presentate in quelle riviste. La sua collezione di piante rare provenienti da tutto il mondo rivaleggiava con quella dei Kew Gardens, ed era particolarmente ricca di specie del Capo, dove, come vedremo più avanti, operò per vari anni come cacciatore di piante uno dei suoi giardinieri, James Niven. Hibbert non era un mero collezionista di piante: era considerato un botanico più che dilettante, parlava fluentemente cinque lingue e ne capiva altre due, era un bibliofilo compulsivo e un po' megalomane che non badava a spese per acquisire libri rari, inclusa una copia della Bibbia di Gutenberg. Era membro di molti club e di società scientifiche, inclusa la Royal Society. Nel necrologio pubblicato sulla rivista della Linnean Society, James Main l'ha descritto come una persona che "ispirava fiducia e rispetto per il buon senso, la capacità di giudizio e la sagacia". Eppure questo stimato collezionista e botanofilo non solo doveva tutta la sua ricchezza al lavoro degli schiavi, ma fu anche il leader e il portavoce della lobby di mercanti e piantatori delle Antille britanniche che si oppose con tutte le forze all'abolizione della schiavitù. La famiglia Hibbert era coinvolta da lunga data nel commercio triangolare: il cotonificio del nonno e del padre, due agiati drappieri di Manchester, forniva cotonine e altre forniture ai trafficanti di schiavi; ma il vero salto di qualità si ebbe con lo zio Thomas, che si trasferì in Giamaica per recuperare le obbligazioni di alcuni trafficanti e in vent'anni divenne uno dei più ricchi piantatori dell'isola (possedeva tre estese piantagioni con oltre 900 schiavi); si fece costruire la più bella casa di Kingston, Hibbert House, oggi sede del National Trust della Giamaica. Grazie al successo e ai contatti di Thomas, gli Hibbert rimasti in Inghilterra, da drappieri e fornitori, si trasformarono in mercanti e armatori, specializzati nel commercio con la Giamaica. Nel 1770, un altro Thomas Hibbert, il fratello maggiore di George, si trasferì a Londra e insieme a due altri mercanti, John Purrier e Thomas Horton, fondò la ditta di import-export e trasporti navali Hibbert, Purrier & Horton che importava prodotti coloniali e forniva merci (e prestiti) a piantatori e trafficanti. George si unì alla ditta di famiglia come socio giovane nel 1780 (all'epoca aveva ventitré anni) con un capitale di 1500 £, cui se ne aggiunsero altre 1000 alla morte del padre nel 1784. Meno di dieci anni dopo, era diventato il capo della ditta (ora, con l'ingresso di altri soci si chiamava Hibbert, Fuhr & Hibbert) e un membro eminente della lobby che difendeva gli interessi dei piantatori e dei mercanti delle Indie occidentali, la London Society of West India Planters and Merchants. Nel 1790, nella sua testimonianza davanti alla commissione d'inchiesta sulla tratta degli schiavi, dichiarò di aver importato annualmente merci per un valore compreso tra 200.000 e 250.000 £ e di aver investito molti capitali in Giamaica sotto forma di prestiti ai piantatori. Almeno dal 1793, George Hibbert fu coinvolto in un progetto che stava molto a cuore ai lui e agli altri West Indiamen: la costruzione di una darsena riservata alle loro navi; infine autorizzata nel 1799 dal West India Dock Act, la darsena, collocata sull'Isola dei cani, fu inaugurata nel 1802; l'ingresso principale, posto all'estremità occidentale, presto noto come Hibbert Gate, era largo abbastanza da consentire l'ingresso di carri e vagoni, chiuso da una duplice cancellata di ferro e sormontato da una scultura che riproduceva una delle navi di George e soci, chiamata Hibberts. George Hibbert fu il primo presidente della West India Docks Company e negli anni successivi rivesti ripetutamente questo ruolo. Purtroppo, egli non doveva il suo largo seguito tra i West Indiamen solo alle abilità commerciali (la Hibbert, Fuhr & Hibbert era la prima per giro d'affari con la Giamaica) e alla grinta con cui difendeva i loro interessi: era anche il portavoce degli antiabolizionisti, e seppe muoversi con grande abilità manipolatoria e notevoli capacità dialettiche. Già nel 1790, quando era stato ascoltato dalla commissione parlamentare, aveva evidenziato che l'intera economia delle Antille britanniche - ma anche gran parte dell'industria manifatturiera della stessa Inghilterra - dipendeva dalla schiavitù; se questa fosse stata abolita, si andava incontro alla rovina, e migliaia di famiglie sarebbero state ridotte sul lastrico. Nel maggio 1789, una settimana dopo che Wilberforce ebbe pronunciato in Parlamento il suo celebre discorso abolizionista, i mercanti convocarono una riunione alla London City Tavern; Hibbert vi intervenne con un discorso di 40 minuti intitolato "L'indispensabilità della tratta degli schiavi" in cui cercò di demolire tutti gli argomenti di Wilberforce. L'anno dopo fu di nuovo ascoltato in Parlamento: per lui non era una questione morale, ma economica; la posizione degli abolizionisti era astratta (oggi si direbbe buonista o radical chic), andava contro i diritti e i privilegi acquisiti fin dai tempi di Elisabetta I, quindi la Common Law e il diritto consuetudinario; la schiavitù per altro non era neppure condannata dalla Bibbia, dove gli uomini erano considerati merci come tutte le altre. Proprio per difendere gli interessi dei West Indiamen (ovvero i suoi e dei suoi compari) si gettò anche in politica; già consigliere (alderman) della città di Londra dal 1798, nel 1802 si presentò come deputato per la City, ma non fu eletto; ebbe successo invece nel 1806, quando fu eletto senza opposizione nel collegio di Seaford (uno dei "borghi putridi" controllato dalla lobby dei mercanti delle Indie occidentali); nel suo primo discorso, nel febbraio 1807, dichiarò la sua assoluta ostilità all'abolizione della tratta e durante la discussione che avrebbe portato all'approvazione dello Slave Trade Act, intervenne in ogni passaggio cercando di bloccare la legge. Non ci riuscì, ma ottenne probabilmente ciò a cui mirava fin dall'inizio: l'approvazione di una mozione che garantiva il risarcimento ai piantatori e ai mercanti che traevano le loro ricchezze dalla schiavitù. La compensazione costò alla stato 20 milioni di sterline; Nick Hibbert Steel nel suo saggio sulla famiglia Hibbert l'ha chiamato il "prezzo dello zucchero". E' stato calcolato che agli Hibbert ne andarono 103.000 e allo stesso George Hibbert 16.000. Nel 1812 Hibbert fu nominato agente generale per la Giamaica, una posizione che mantenne fino al 1831, anche se già nel 1829 si ritirò a vita privata; nel 1824, aveva anche avuto modo di illustrarsi e come filantropo, in quanto membro fondatore e finanziatore di una società di soccorso navale, National Institution for the Preservation of Life from Shipwreck, precorritrice della Royal National Lifeboat Institution che ancora oggi nel proprio sito lo ricorda come benemerito fondatore. Il volto luminoso: il collezionista Negli stessi anni in cui si metteva in luce in questo modo ai nostri occhi abominevole (ma non a quello di molti suoi contemporanei: nel 1812, quando si ritirò dal Parlamento, il leader dei whigs George Tierney lo nominò tra coloro "i cui servizi sarebbero stati rimpianti dalla nazione"), George Hibbert acquisiva grande rinomanza come collezionista di libri e proprietario di uno dei giardini più raffinati del paese. Come sostiene Katie Donington nel suo importante saggio dedicato alla famiglia Hibbert, The Bonds of Family, tra le due cose non c'è alcuna contraddizione: nel momento in cui una parte crescente dell'opinione pubblica incominciava a prendere le distanze dallo schiavismo, su cui si basava la sua ricchezza, il collezionismo era un modo per rendersi socialmente accettabile. Infatti Hibbert divenne un membro riconosciuto della comunità scientifica: nel 1805 lo troviamo tra i fondatori della London Institution, che anticipò l'Università di Londra nel rendere disponibile l'educazione scientifica ai dissidenti religiosi, esclusi dai college di Oxford e Cambridge; già membro della Linnean Society e della Antiquarian Society, nel 1811 fu ammesso alla Royal Society; nel 1816 entrò a far parte del Roxburghe Club, la più antica società di bibliofili del mondo. Non conosciamo con esattezza quando Hibbert abbia cominciato a collezionare libri e piante; nel 1829, quando si ritirò a vita privata e si trasferì a Munden House, una proprietà che la moglie aveva ereditato da uno zio, fu costretto a vendere la biblioteca; secondo il catalogo d'asta, di ben 8711 pezzi, non pochi dei quali rarissimi, la collezione era stata riunita dal proprietario in più di quarant'anni (dunque a partire dalla fine degli anni '80). Per quanto riguarda le piante, la prima data certa è il 1794: quell'anno Hibbert, che già possedeva una residenza a Portland Place, nel distretto di Marylebone, acquistò una casa e una proprietà chiamata The Hollies sul lato nord di Clapham (curiosamente, il distretto noto per essere stato la sede del movimento abolizionista noto come Clapham Sect o Clapham Saints). Allo stesso anno ci riporta il suo primo acquisto datato: alla fine del 1792 un altro ricco mercante e armatore, Gilbert Slater, legato alla Compagnia delle Indie, proprietario di un notevole giardino in Essex, inviò in Cina a caccia di piante il giardiniere scozzese James Main che fece buona caccia, riportando tra l'altro la famosa rosa Slaters' Crimson China; al suo ritorno nel 1794 però Slaters era deceduto da quasi un anno; le raccolte cinesi furono vendute e acquistate in parte dai Kew Gardens, in parte da Hibbert, che assunse Main come giardiniere (è dunque inesatta la notizia che si legge in Wikipedia inglese che già lavorasse per Hibbert in precedenza e che avesse viaggiato in Cina per conto sia di Hibbert sia di Slaters). Hibbert acquistò piante e semi, ma anche disegni cinesi: è dunque possibile che la passione per le piante sia nata indirettamente da quella per i libri e le opere d'arte. In ogni caso la vera passione di Hibbert divennero le Protee, forse perché erano rare, difficili da coltivare, dunque molto prestigiose. I semi delle prime erano state portate in Inghilterra da Masson tra il 1774 e il 1787; nel 1789 d verse specie furono descritte da Aiton in Hortus kewensis, il catalogo dei giardini reali di Kew che ne possedevano un'esclusiva collezione di 24 specie, diverse delle quali oggi assegnate ad altri generi della famiglia. Hibbert non voleva essere da meno e alla fine del 1798 o all'inizio del 1799 inviò in Sudafrica il giardiniere James Niven a fare raccolte di semi ed esemplari d'erbario; Niven rimase al Capo fino al 1803, quindi vi ritornò nel 1805, questa volta per un consorzio che oltre a Hibbert comprendeva il vivaio Lee e Kennedy (di cui secondo N. H. Steel Hibbert era "socio silente") e l'imperatrice Giuseppina, e vi rimase fino al 1812. Grazie alle sue raccolte, cui sia aggiunsero anche molte australiane, la collezione di Proteaceae di Hibbert divenne la più importante del mondo. Secondo le testimonianze del tempo, ne comprendeva circa 200 diverse specie che erano coltivate in vaso in una grande serra, dove trascorrevano i mesi invernali, per essere portate all'esterno nei mesi più caldi. Hibbert le affidò a un abilissimo giardiniere, Joseph Knight (1778-1855), che in precedenza aveva lavorato per il duca di Bedford; egli fu il primo in Europa a moltiplicarle tanto da talea quanto da seme. Hibbert (al contrario generoso con altre piante) era gelosissimo delle sue protee che scambiava solo con re Giorgio III e l'imperatrice Giuseppina. Nel 1809 Knight svelò i segreti della coltivazione delle preziose piante in On the cultivation of the plants belonging to the natural order of Proteeae che, a dispetto del titolo, riserva solo una dozzina di pagine all'argomento, mentre più di 100 sono dedicate a una revisione tassonomica della famiglia; benché non firmata, fu subito noto che l'autore di quest'ultima era Richard Salisbury. Ne seguì una polemica con Robert Brown e l'accusa di plagio rivolta a Salisbury, come ha raccontato in questo post. Qui ci interessa la prima parte, che documenta le tecniche di coltivazione applicate nel giardino e nella serra di Hibbert; inoltre ci rivela un altro aspetto del contraddittorio personaggio: la generosità. Dopo aver accennato alle raccolte di Thunberg e Masson, Knight infatti scrive "Un numero ancora più grande di specie sia note sia ignote sono poi state raccolte da Mr. James Niven, molte delle quali hanno fiorito a lungo in questo paese, ma da nessuna parte in modo così lussureggiante come nella collezione del mio precedente padrone, l'egregio George Hibbert di Clapham, grazie alla cui liberalità molte di esse sono ora in mio possesso". Dunque Hibbert cedette almeno alcune delle sue esclusivissime Proteaceae al suo capo giardiniere e probabilmente lo aiutò a mettersi in proprio; infatti nel 1808 Knight acquistò un terreno a Chelsea e lo trasformò in vivaio; poiché era affacciato sulla trafficata King Road, presto vi aggiunse un negozio (un antenato di un fornito garden center); inoltre nel 1829, quando si ritirò per andare a vivere in campagna, Hibbert passò a Knight tutte le sue piante vive. Con questa formidabile iniezione di rarità, il vivaio di Knight (più tardi Knight & Perry, quando venne gestito dal marito di una nipote del fondatore) divenne uno dei più importanti del paese, nonché il primo a commercializzare le Proteaceae. Ma nel giardino e nella serra di Clapham si coltivava anche molto altro; per scoprirlo basta sfogliare i fascioli di The Gardener's Repository o del Curtis's Botanical Magazine, dove il nome di Hibbert ricorre con grande frequenza; molte delle novità presentate in queste riviste fiorirono e furono ritratte per la prima volta a Clapham. A dominare sono ovviamente le sudafricane, grazie alle raccolte di Niven; ci sono molte bulbose e una ricca selezione di eriche, diverse delle quali sono presentate in Coloured Engravings of Heaths, l'opera più significativa di Henry Cranke Andrews, il genero di John Kennedy, nonché illustratore e editore di The Botanist's Repository; significativamente "G. Hibbert, Esq., Clapham Common, Surrey" è citato per primo nella lista delle sette persone ringraziate per aver permesso all'artista di ritrarre dal vivo le loro collezioni. Questa pianta profumerebbe di più con un altro nome? Se le sudafricane dominavano, a Clapham c'erano però anche molte australiane; in effetti, anche se commerciava soprattutto con la Giamaica, Hibbert aveva qualche interesse anche nelle nuove rotte del Pacifico aperte dai viaggi di Cook; come armatore fu sicuramente coinvolto in alcuni dei trasporti interoceanici di piante organizzati da Banks (incluso quello degli alberi del pane, fortemente voluto dei piantatori delle Antille) e nel trasporto dei forzati a Botany Bay. Australiano è anche il genere Hibbertia, che gli fu dedicato da Andrews nel secondo numero di The botanist's repository. La motivazione ci dà un quadro illuminante (e magari un po' adulatorio) della reputazione botanica di Hibbert: "In precedenza è stato erroneamente assegnato al genere Dillenia, ma poiché differisce da ogni genere descritto in precedenza, gli ho dato il nome dell'egregio sig. G. Hibbert di Clapham, Surrey, la cui conoscenza e fervore per le ricerche botaniche, così come la sua liberalità nell'arricchire le nostre collezioni da tutti gli angoli del mondo, ma soprattutto dal Capo di Buona Speranza, non sono superate da nessuno; ne sono certo, nessun nome merita un posto nella memoria della botanica più di quello di Hibbert". E lo stesso Andrews (la cosa non stupisce) dedicò a Hibbert anche un'Erica, appunta E. hibbertia. Hibbertia è un grande genere della famiglia Dilleniaceae, anche se il numero di specie è altamente dibattutoi: si va dalle 150 generalmente assegnatogli nei data base australiani alle 350 riconosciute da Plants of the World on line; il centro di diversità è proprio l'Australia, con oltre 100 specie; altre vivono in Nuova Guinea e nelle isole del Pacifico, una in Madagascar. In inglese sono note sotto il nome comune guinea flower, non per la provenienza ma perché il colore e la forma dei loro fiori ricorderebbero quelli di una ghinea d'oro. La cifra del genere è la varietà. Sono per lo più arbusti eretti, ma c'è anche qualche rampicante, come la specie più nota, H. scandens, o arbusti prostrati che formano tappeti, come H. procumbens. Molto variabili le dimensioni: se molti sono piccoli arbusti non più alti di una decina di centimetri, la già citata H. scandens può superare i 5 metri. Le foglie sono intere, alternate, spesso raggruppate lungo brevi rami laterali, e nelle specie che vivono in zone aride sono ridotte; molto variabili le forme. Ancora più variabile la morfologia dei fiori; possono essere o meno protetti da brattee, hanno cinque sepali, quelli esterni leggermente sovrapposti a quelli interni, e cinque petali che possono essere disposti a simmetria radiale o a simmetria bilaterale; variabile pure il numero degli stami, da sei a oltre trenta, in genere raggruppati in gruppi di due o tre, in modo simmetrico o anche da un solo lato dei carpelli. La grande maggioranza delle specie ha fiori giallo vivo, ma in alcune specie i petali come H. stellaris o H. minita sono arancione. Sono indubbiamente piante graziosissime, di grande valore ornamentali, spesso anche profumate. E' giusto che portino il nome di un personaggio le cui idee "erano considerate abominevoli da molti critici già al suo tempo"? Il botanico australiano Kevin Thiele - che per inciso è un esperto di questo genere, una componente importante di molte comunità vegetali del suo paese - pensa di no, tanto più che questo grande genere continua ad essere arricchito da nuove scoperte e nuove denominazioni; e continua: "Proprio come si eliminano statue, nomi di edifici, strade e sobborghi, pensiamo che sia necessario fare i conti con i nomi di specie scientifiche che onorano persone che professavano idee o hanno agito in modi profondamente disonorevoli, altamente problematici o ripugnanti per gli standard moderni". La sua denuncia è stata ripresa da altri autori ed è sfociata nella proposta di modificare l'articolo 51 del Codice internazionale di nomenclatura, in modo che divenga possibile rigettare i nomi formalmente validi che riflettono "il potere coloniale e imperialista" o sono da ritenersi "culturalmente offensivi o inappropriati", compresi quelli che onorano "una persona che la comunità tassonomica ritiene concordemente non debba essere onorata". La proposta è sconvolgente perché mette in discussione i principi stessi su cui si fonda il Codice internazionale di nomenclatura: la stabilità della nomenclatura, la libertà scientifica e la neutralità politica della scienza. Più ancora dell'articolo 51, che recita "un nome legittimo non può essere rigettato solo perché esso, o il suo epiteto, è inappropriato o sgradevole", a traballare è lo stesso primo preambolo, dove si legge: "Lo scopo di questo Codice è fornire un metodo stabile per nominare i gruppi tassonomici, evitando o respingendo l'uso di nomi che possono causare errore o ambiguità o mettere la scienza in confusione. Ogni altra considerazione, come la correttezza grammaticale, la regolarità e l'eufonia dei nomi, le consuetudini più o meno prevalenti, il riguardo per le persone, nonostante la loro innegabile importanza, è relativamente accessoria". Alle considerazioni di Thiele e altri (potete leggere una delle più recenti versioni qui) ha risposto il botanico ucraino Sergei L. Mosyakin (il suo punto di vista qui), che le ha respinte con un'articolata argomentazione. Il dibattito è aperto, e forse avrà nuovi sviluppi in occasione del XX congresso botanico internazionale, che si terrà a Madrid tra il 21 e il 29 luglio 2024. Da parte mia considero queste piante deliziose non dedicate al discutibile Mr. Hibbert, ma a tutte le persone le cui sofferenze furono prolungate per causa sua.
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Se nella generazione dei fondatori del vivaio the Vineyard di Lee e Kennedy la figura di maggior spicco fu James Lee, nella seconda generazione a mettersi in luce fu John Kennedy. Mentre il suo socio si occupava abilmente della conduzione del vivaio, Kennedy badava a far conoscere le ultime novità con i testi di The botanist repository, illustrati da suo genero Henry C. Andrews. A partire dal 1803, il vivaio incominciò a rifornire di piante esotiche il giardino della Malmaison e Kennedy divenne consulente dell'imperatrice Giuseppina, che stava ridisegnando il parco secondo i canoni del giardino all'inglese. Tra le tante esotiche che, a dispetto della guerra e del blocco continentale, the Vineyard continuò a spedire all'imperatrice dei francesi c'erano indubbiamente anche rose, sebbene forse meno di quanto comunemente si crede. Alla collaborazione con Mme Bonaparte Kennedy deve anche la dedica del genere Kennedia, istituito da Ventenat nel bellissimo Le jardin de la Malmaison, illustrato da Redouté. Piante nuove e rare da tutto il mondo Il momento di massimo fulgore di the Vineyard coincise con la gestione del secondo dei Kennedy, John (1759–1842), figlio del fondatore Lewis. Dovette iniziare a lavorare nel vivaio fin da ragazzino, e nel 1782, alla morte del padre, gli succedette alla testa dell'azienda a fianco di James Lee e poi, alla morte di questi nel 1795, del figlio James junior. Certo, anche quest'ultimo dovette essere un validissimo uomo d'affari, come lo era stato il padre, se lasciò ai figli un notevole patrimonio che permise loro di rilevare l'intero vivaio, quando John Kennedy si ritirò; ma certamente dopo la morte di James Lee senior il volto ufficiale della ditta, il nome più riconosciuto anche a livello internazionale, fu quello di Kennedy. La seconda generazione di the Vineyard rimase fedele alla strategia già adottata dai fondatori: cercare, moltiplicare e commercializzare piante "nuove e interessanti" e "novità di valore", come si legge in una lettera di James Lee junior a William Aiton. Un documento di grande interesse per conoscere le introduzioni del vivaio a cavallo dei due secoli sono i primi cinque fascicoli di The botanist repository, i cui testi furono redatti in gran parte dallo stesso John Kennedy. La rivista, che uscì tra il 1797 e il 1814, come ben specifica il sottotitolo for new and rare plants, era specificamente dedicata alle piante di recentissima introduzione e fu il più serio concorrente del Curtis's Botanical Magazine, rispetto al quale aveva meno pretese di scientificità: le illustrazioni, disegnate da Henry Cranke Andrews, che era anche l'editore, erano di grande impatto visivo, ma spesso imprecise e mancanti di particolari utili all'identificazione, così come i testi erano diseguali e privi di sinonimi e rimandi bibliografici. La rivista infatti non si rivolgeva tanto ai botanici quanto agli amatori e ai proprietari di giardini. Le illustrazioni di Andrews sono accompagnate da una breve descrizione bilingue (in latino e in inglese) e da un testo inglese con informazioni sulle peculiarità più desiderabili della pianta, la sua provenienza, le date di introduzione e di prima fioritura, le esigenze di coltivazione. Come ho anticipato, i testi dei primi cinque fascicoli, anche se non sono firmati, furono con grande probabilità scritti da John Kennedy; quelli del vol. 6 si devono a Adrian Haworth e quelli dei voll. 7-10 a George Jackson (voll. 7-10). Andrews forse fu incoraggiato a intraprendere l'impresa proprio da John Kennedy, che nel 1801 divenne suo suocero. Nei volumi curati da Kennedy, usciti tra il 1797 e il 1811, 40 specie risultano direttamente introdotte o almeno coltivate nel vivaio di Hammersmith (citato invece una sola volta nei volumi successivi). Ci sono parecchie bulbose, piante da fiore, arbusti, qualche succulenta, alcune orchidee, ma non sembra prevalere un indirizzo preciso nella scelta delle specie. La data di introduzione più bassa è il 1772, la più alta il 1800 (l'unica specie citata nei volumi successivi risale invece al 1813). Diciassette specie (42.5%) provengono dal Capo di Buona speranza; dodici (30%) dall'Australia o dalla Nuova Zelanda, il resto dal Nord America, dalle Barbados, dalla Giamaica, dal Brasile, dalla Crimea e da Madera. Spesso il testo si limita a indicare che la pianta è stata introdotta da Lee e Kennedy o che è fiorita per la prima volta nel loro vivaio, ma talvolta ci sono indicazioni più specifiche, illuminanti per ricostruire le vie di introduzione. I due vivaisti potevano all'occorrenza rifornirsi da altri vivai: è il caso di Gladiolus praecox (oggi G. watsonius), acquistato nel 1791 presso Voorhelm & Co. di Haarlem, un vivaio olandese specializzato in bulbi da fiore; o di Rhododendron punctatum (oggi R. minus var. minus), reperito presso il vivaio dell'introduttore, il celebre vivaista e cacciatore di piante James Fraser. Più spesso però ricorrevano agli invii di viaggiatori o residenti all'estero a vario titolo: l'orchidea Prosthechea cochleata fu inviata dalla Giamaica dal botanico dell'isola Thomas Dancer, tramite una certa Mrs. Barrington; un'altra orchidea, Orchis ciliaris (oggi Platanthera ciliaris) fu spedita da Filadelfia da John Lyon, che all'epoca lavorava ancora come giardiniere; diverse piante sudafricane furono procurate da John Pringle, funzionario della Compagnia delle Indie al Capo; la brasiliana Amaryllis reticulata (oggi Hippeastrum reticulatum) fu spedita dal Portogallo da Edward Whitaker Gray. futuro curatore delle collezioni naturali del British museum, all'epoca residente ad Oporto dove aveva sposato l'erede di un importante esportatore di vini. Lee e Kennedy però avevano anche relazioni con orti botanici e studiosi: Pallas inviò i semi di due specie dalla Crimea e i semi di due piante del Capo furono forniti dal curatore dei giardini imperiali di Vienna, ovvero da von Jacquin. Non mancavano gli apporti di collezionisti, probabilmente al tempo stesso fornitori e clienti: è il caso di lady Sophia de Clifford, celebre per la sua collezione di piante esotiche, che condivise con Lee e Kennedy i bulbi di Ixia crispifolia flore coeruleo (oggi Codonorhiza corymbosa) appena ricevuti dal Capo e procurò altre piante sudafricane; oppure di Thomas Jones, creatore del giardino di Hafod in Galles che procurò Geranium punctatum (oggi Pelargonium punctatum). Tra questi contributori illustri, spicca il colonnello William Paterson, dal 1791 al 1793 governatore dell'isola di Norfolk, da cui inviò semi sia a Kew sia ai vivai Lee e Kennedy e Colvill; è citato per più piante tra cui Bignonia pandorana (oggi Pandorea pandorana). Quello di Paterson è l'unico nome menzionato per l'Australia (all'epoca Nuova Olanda); gli altri invii potrebbero essere dovuti a cacciatori di piante, quelli antecedenti il 1792 (l'anno della sua morte) forse a David Burton, che sappiamo lavorò sia per Kew sia per Lee e Kennedy. Potrebbe essere un cacciatore di piante l'altrimenti ignoto Mr. J. Elcock cui si deve l'invio di due specie dalle Barbados tra il 1789 e il 1791. Alcuni degli invii dal Sudafrica e forse anche uno da Madera potrebbero risalire a Francis Masson, che però è citato esplicitamente solo per Protea formosa (oggi Leucospermum formosum). Anche se non è citato in The botanist repository, diverse piante sudafricane furono presumibilmente procurate da James Niven, che nel 1798 o 1799 fu inviato al Capo dal ricco appassionato George Hibbert,per poi tornarvi nel 1805 finanziato da un consorzio di appassionati, giardinieri e vivaisti che, oltre a Hibbert, includeva Lee e Kennedy e l'imperatrice Giuseppina. Fornitore della Malmaison Siamo così arrivati alla più celebre dei clienti di the Vineyard: Joséphine de Beauharnais, la prima moglie di Napoleone. Nel 1799, mentre il marito si trovava in Egitto, ricorrendo a un prestito, essa acquistò il castello e il parco della Malmaison, a una quindicina di km da Parigi. Durante il consolato, divenne la residenza dei Bonaparte e tra il 1800 e il 1802, insieme alle Tuileries, fu sede del governo francese, prima di essere sostituita dal più istituzionale Saint Cloud. Per Joséphine era il luogo del cuore, e dopo il divorzio nel 1809 divenne la sua casa. I grandi lavori di trasformazione erano iniziati fin da subito. A partire dal 1800, venne costruita un'aranciera in stile neoclassico, così grande da poter ospitare 500 vasi di ananas; il parco venne ridisegnato secondo lo stile paesaggistico inglese; l'imperatrice si affidò dunque a specialisti britannici come il capo giardiniere Alexander Howatson eil giardiniere paesaggista scozzese Thomas Blaikie, che viveva in Francia da tempo e prima della rivoluzione aveva creato il giardino di Bagatelle per il conte di Artois e il parco Monceau per il duca d' Orlèans. Fu forse proprio Blakie a mettere in contatto Joséphine con Lee e Kennedy. La Malmaison era un giardino sperimentale ricco di piante provenienti da tutto il mondo. Molte piante australiane (ma anche animali) giunsero in seguito alla spedizione Baudin: l'allora prima console aveva ordinato che gli esemplari più belli, anziché al Museo di storia naturale, fossero portati alla Malmaison, il cui parco cominciò a popolarsi di eucalipti e mimose, tra cui scorrazzavano emù e canguri mentre sul laghetto si dondolavano cigni neri. Per avere un angolo da riservare alla sua passione per la botanica, tra il 1803 e il 1805 l'imperatrice fece costruire la Petite Malmaison, che comprendeva una grande serra calda per le esotiche, il primo edificio in Francia a fare ampio uso di vetrate. Contemporaneamente assunse come intendente il botanico Étienne Pierre Ventenat, il curatore del giardino-vivaio di Jacques Cels a Montrouge. Proprio come Lee e Kennedy in Inghilterra (con i quali corrispondeva) Cels era specializzato nella coltivazione e nella propagazione delle piante esotiche riportate dai naturalisti viaggiatori come Michaux o dai grandi viaggi di esplorazione. Egli si riforniva anche dai vivai inglesi ed era in ottime relazioni, nonostante lo stato quasi permanente di guerra, con Joseph Banks. Di questi contatti inglesi poterono approfittare anche il giardino della Malmaison e la sua proprietaria quando la pace di Amiens portò un breve periodo di tregua (marzo 1802-maggio 1804). Attraverso Ventenat, Joséphine si mise in contatto con Banks, che promise il suo aiuto nonché piante di Kew. In una lettera dell'aprile 1803, che accompagna il primo volume dello splendido catalogo Le Jardin de la Malmaison, con i suoi testi e le illustrazioni di Redouté, il botanico ringrazia Banks per le piante finora fornite e esprime l'augurio che la collaborazione posso continuare. Lo stesso anno, Lee e Kennedy ricevettero il primo ordine di piante per il giardino, per l'ammontare di 2600 sterline. Nel 1804, l'imperatrice lamentò accorata che un invio di semi era stato catturato e trattenuto, ma è uno dei rari incidenti di percorso: anche più tardi, quando il blocco continentale in teoria chiuse i porti di Francia ai vascelli inglesi, si continuò a fare eccezione per le navi che trasportavano le piante per i giardini dell'imperatrice. Un altro contatto inglese era George Hibbert, che, consultato per la progettazione del giardino all'inglese, dovette consigliare all'imperatrice di rivolgersi a Kennedy non solo come fornitore, ma anche come giardiniere paesaggista. Da quel momento, come consulente di Joséphine James Kennedy iniziò a fare la spola tra i due paesi, magari per accompagnare di persona qualche pianta particolarmente delicata, e suo figlio Lewis Kennedy (1789-1877) lavorò addirittura per qualche tempo sia alla Malmaison sia a Navarre, la tenuta normanna donata all'ex imperatrice dopo il divorzio (un po' come compensazione, un po' per tenerla lontana da Parigi in occasione delle seconde nozze dell'imperatore). Tra i più importanti risultati della collaborazione tra Mme Bonaparte e il vivaio inglese ci fu l'invio in Sudafrica del raccoglitore James Niven, che probabilmente ritornò al Capo nel 1805 e vi rimase fino al 1812, arricchendo il vivaio di Hammersmith e il giardino parigino soprattutto di eriche (il suo viaggio sudafricano però merita un post a parte). Tutti sanno che la piante preferite di Joséphine erano le rose; lo sanno tutti, ma non è detto che sia vero. Mentre conosciamo bene le piante esotiche coltivate alla Malmaison grazie al già citato catalogo curato di Ventenat e Redouté, proprio la collezione di rose è mal documentata, tanto da essere ritenuta da alcuni più un mito che una realtà. Coloro che visitarono il giardino subito dopo la morte non ne parlano; il celebre Les roses di Redouté, che di solito è ritenuto una sorta di catalogo del roseto dell'imperatrice, in realtà fu creato dal pittore dopo la sua morte (i tre volumi uscirono tra il 1817 e il 1824), ritraendo le rose coltivate in vari giardini e vivai parigini; in precedenza ne aveva dipinte alla Malmaison solo due - R. berberifolia e R. gallica purpurea veluntina. Anche se in molti testi si parla di una collezione di 250 diverse varietà di rose (e alcuni si spingono a specificare quali), le accurate ricerche del collezionista di rose antiche François Jouyaux hanno potuto identificarne solo una minima parte. Lee & Kennedy, insieme a molte esotiche, procurarono certamente all'imperatrice anche rose, in particolare le cinesi rifiorenti che in Francia erano ancora una novità, mentre avevano già incominciato a raggiungere l'Inghilterra da qualche anno - la prima fu introdotta proprio da loro nel 1787; dagli archivi nazionali risultano come introdotte tramite il vivaio di Hammersmith Rosa chinensis, R. multiflora ‘Cornea’, R. semperflorens (generalmente nota come Slaters Crimson China) e la rosa muschiata R. centifolia ‘muscosa alba’ (nota come Shailers White Moss). Dai documenti d'archivio, risulta inoltre che Joséphine importò tramite fornitori non identificati R. pendulina, R. virginiana, tre rose muschiate, una centifolia nota come ‘Unique’. Un altro esperto, Auguste de Pronville, ha aggiunto alla lista R. damascena carnea, una varietà della scozzese R. spinosissima e R. berberifolia. Presumibilmente, l'imperatrice si rifornì anche da vivai parigini, come Cels, Boursault e Vilmorin, ma negli archivi sono testimoniati acquisti solo dal coltivatore di rose amatoriale André du Pont che tra il 1808 e il 1809 procurò molte rose; purtroppo le fatture non ne riportano il nome. Un genere australiano per un grande introduttore di australiane
Anche se l'idea che la malinconica ex-imperatrice abbia acceso la scintilla della coltivazione delle rose in Francia è probabilmente sopravvalutata (a diffonderla, dopo la sua morte, sarebbero stati gli ibridatori di rose come Vibert, alla ricerca di un precedente romantico e nobilitante), resta il fatto che Lee & Kennedy lasciarono il segno nella storia della coltivazione delle rose diffondendo anche nel continente le cinesi: gli ibridatori francesi, incrociandole tra loro e con altre rose, avrebbero prodotto il primo ceppo di rose rifiorenti, le ibride perpetue. Non è alle rose, ma forse più giustamente a un'esotica australiana che John Kennedy deve il suo ingresso nel pantheon dei dedicatari di generi di piante. Il genere Kennedia è un tributo di Ventenat che in Le jardin de la Malmaison così scrive: "Devo i frutti di questa pianta e delle due successive allo zelo e alla benevolenza di M. Kennedy", definito in un altro passo "abile botanico e celebre vivaista inglese" e ripetutamente citato nel libro come fornitore di piante e semi. Kennedia (Fabaceae) è un genere endemico dell'Australia che comprende circa 14 specie di arbusti prostrati, ricadenti o rampicanti con sottili fusti legnosi, foglie composte per lo più tomentoso, solitamente trifoliate, e vistosi fiori papilionacei in technicolor: K. lateritia li ha rosso vivo, K. coccinea rosso aranciato con ali rosa e centro giallo, K. procurrens da viola a blu, K. prorepens da viola ad azzurro chiaro, K. nigricans quasi neri con macchie gialle e arancio; a diminare è comunque il rosso in infinite sfumature. Molte Kennedia sono vigorosi rampicanti che in Australia vengono anche utilizzati in interventi di rivegetazione: K. rubicunda può raggiungere un'altezza di cinque metri in una sola stagione. Relativamente rustica, è talvolta proposta anche dai nostri viavai, così come K. coccinea, di portamento prostrato e utilizzabile come tappezzante. Una selezione di specie e qualche informazione in più nella scheda. Verso la metà del Settecento, due intraprendenti giardinieri scozzesi, Lewis Kennedy e James Lee, fondano ad Hammersmith, un villaggio non lontano da Londra, il vivaio the Vineyard, destinato a scrivere una pagina importante nella storia dell'importazione delle piante esotiche in Europa. In questo settore non ha rivali, ed è ben noto anche all'estero, grazie soprattutto a Lee, che ha una tale conoscenza enciclopedica delle piante da poter tradurre in inglese (è il primo a farlo) un'opera teorica di Linneo, contribuendo largamente alla diffusione del sistema linneano in Gran Bretagna. Meritava come minimo la dedica di un genere: e infatti la dedica linneana arrivò, anche se attraverso la mediazione di un altro botanico. Per questo specialista di piante esotiche, ecco dunque l'esotica Leea (Vitaceae). Pollice verde, abilità negli affari e competenza botanica Per circa settant'anni, dalla seconda metà del Settecento al 1820, il vivaio the Vineyard di Hammersmith fu il più reputato d'Inghilterra, anzi, a sentire Loudon, "il primo del mondo". Anche se sopravvisse fino al 1904, con una diversa ragione sociale e in terreni ridotti dall'espansione di Londra, fu quello il suo momento di gloria. A crearlo furono due giardinieri scozzesi, James Lee (1715-1795) e Lewis Kennedy (1721-1782), che in precedenza avevano lavorato per la grande nobiltà: Lee per il duca di Somerset a Syon House e per il duca di Argyll a Whitton Park, Kennedy per lord Wilmington a Chiswick. Sulle circostanze e l'esatta data di fondazione c'è però qualche incertezza. Secondo diverse fonti, il vivaio sarebbe nato nel 1745 per iniziativa di Lewis Kennedy, cui più tardi, per consiglio di lord Argyll, si sarebbe associato Lee. Tuttavia, E. J. Wilson ha osservato che all'epoca Lewis aveva solo 24 anni e ha suggerito che il fondatore sia piuttosto un suo parente, ovvero lo zio omonimo Lewis Kennedy, giardiniere di lord Wilminghton, cui il nipote potrebbe essere subentrato dopo la sua morte nel 1754. D'altra parte, il primo documento sicuro dell'esistenza del vivaio (un ordine di fruttiferi, orticole e altre piante per Croxadale) risale al 1750; quindi è possibile che la data di fondazione vada spostata in avanti di qualche anno, tanto più che è noto che Lewis Kennedy nipote si trasferì a Londra solo nel 1748. Alcune fonti parlando addirittura del 1760. I due soci erano giardinieri sperimentati e di talento, con un notevole fiuto per gli affari. Kennedy apparteneva a una famiglia di giardinieri, attiva a Muthill nel Pertshire da almeno tre generazioni; il padre Thomas era il capo giardiniere di Drummond Castle, mentre il fratello maggiore John lavorava a Croxdale Hall. Il nostro Lewis Kennedy avrà imparato il mestiere in famiglia, lavorando a fianco di entrambi fin da bambino. James Lee invece era nato a Selkirk e giovanissimo aveva attirato l'attenzione dell'earl of Islay, più tardi duca di Argyll, un grande appassionato di giardini, che gli aveva messo a disposizione la sua ricca biblioteca e l'aveva fatto venire a Londra, dove il ragazzo era diventato apprendista di Philip Miller al Chelsea Physic Garden. Il vivaio sorgeva a Hammersmith, un villaggio situato lungo il Tamigi a ovest di Londra, di cui è ora un distretto, in un fertile terreno di circa sei acri che fino dal 16 secolo ospitava una vigna, che ancora all'inizio del Settecento produceva una buona quantità di vino rosso. Comprendeva infatti un edificio a due piani, con una cantina per conservare le botti e una rivendita del vino a piano terra. Lee e Kennedy trasformarono la vigna in un vivaio specializzato nella coltivazione di piante esotiche, anche se nel catalogo pubblicato nel 1774 (Catalogue of plants and seeds sold by Kennedy and Lee, nursery and seedmen, at the Vineyard, Hammersmith) non mancano piante da frutto, orticole e persino foraggere. La creazione del vivaio coincise con la nascita del nuovo giardino paesaggistico, e i due scozzesi seppero cavalcare l'onda fornendo tanto alberi e arbusti per i parchi ridisegnati da Capability Brown quanto esotiche da serra calda e fredda per gli appassionati alla ricerca di novità. I due partner condividevano gusti, abilità professionale e talento per gli affari, ma, anche se il "senior partner" era Kennedy (la ragione sociale era "Kennedy and Lee"), la figura più in vista era certo James Lee. Mentre Kennedy si occupava delle questioni legali ed amministrative e viaggiava parecchio nel paese per visitare e assistere la clientela (come giardiniere paesaggista sono noti suoi interventi a Croxdale Hall, Durham e Callaly Castle), Lee curava i contatti con importatori, mercanti, cacciatori di piante, altri giardinieri e corrispondeva con molti botanici in patria e all'estero. Come il suo maestro Philip Miller, oltre ad essere un pollice verde, possedeva una notevole cultura botanica, che gli permise di affrontare l'impresa di essere il primo a tradurre un'opera di Linneo in inglese: nel 1760, a quanto pare su suggerimento di Ann Monson, che forse lo aiutò a tradurre i termini tecnici, pubblicò una libera traduzione di Philosophia botanica sotto il titolo An Introduction to the Science of Botany. Il libro, oltre a segnare una tappa importante della diffusione delle idee di Linneo in Inghilterra (fu il primo a presentare al grande pubblico il suo sistema sessuale), diede fama internazionale a Lee, che incominciò a corrispondere con diversi botanici, tra cui lo stesso Linneo, cui inviava informazioni sulle nuove introduzioni, esemplari, semi e disegni eseguiti da sua figlia Ann, un'eccellente illustratrice botanica. E' significativo il fatto che nel ritratto che, come d'uso, fu anteposto al frontespizio dell'eediione postuma del 1810, è ritratto mentre, imparruccato e vestito con un sobrio abito scuro, osserva con una lente una pianta: dunque come gentiluomo dedito allo studio della botanica, non come giardiniere e vivaista. Grazie all'ampia offerta di piante esotiche e alla profonda conoscenza delle piante di Lee, già a metà degli anni '60 il vivaio era diventato una meta obbligata tanto per gli appassionati quanto per gli studiosi; tra i frequentatori più assidui, anche il giovane Joseph Banks, che attraverso Lee conobbe il pittore Sidney Parkinson, che sarebbe poi stato uno dei suoi compagni del primo viaggio di Cook; ma a the Vineyard o a casa di Lee conobbe anche Harriet Blosset, una pupilla del vivaista, che promise di sposare al suo ritorno; al vivaista promise invece di raccogliere semi di nuove piante per lui. Tre anni dopo, quando tornò dall'Australia nelle vesti di eroe del giorno, aveva cambiato idea e ruppe il fidanzamento; ma non l'amicizia con Lee, che ottenne i sospirati semi e rimase in ottimi rapporti con il direttore ufficioso di Kew, tanto da essere coinvolto nella preparazione della sfortunata spedizione del Bounty. Soprattutto, poté giovarsi della rete di raccoglitori dei giardini reali per incrementare le collezioni del vivaio. Lui stesso uno dei fornitori di Kew e amico del capo giardiniere William Aiton (come lui, un allievo di Miller), probabilmente su invito di Banks, attorno al 1773 pubblicò un opuscolo di quattro pagine intitolato Rules for Collection and Preserving Seed from Botany Bay; era particolarmente interessato alle piante australiane, che fu uno dei primi a coltivare, e fu uno dei finanziatori dello sfortunato David Burton, che si trasferì in Australia come sorvegliante dei forzati, raccolse sia per Kew sia per The Vineyard e si ferì a morte ricaricando un fucile. Anche Masson gli spedì piante sia dal Sudafrica (tra cui i primissimi Mesembryanthemum) sia dalla Macaronesia. Inoltre Lee e Kennedy finanziarono cacciatori di piante in proprio, come James Niven che operò al Capo a fine Settecento. La seconda edizione del catalogo di Kew Hortus kewensis (pubblicata nel 1810 dal figlio omonimo di William Aiton) elenca come introdotte dai "sig. Lee e Kennedy" ben 135 tra specie e varietà. Tra quelle più famose, troviamo Buddleja globosa, introdotta dal Cile nel 1774, la prima rosa cinese, giunta nel 1784, e Fuchsia magellanica, messa in vendita l'anno successivo per una ghinea al pezzo. Attorno a quest'ultima, è fiorita una storia, di cui esistono varie versioni (una fu raccolta anche da Dickens); grosso modo la trama è la seguente: un cliente in visita a Hammersmith parlò a James Lee di una bellissima pianta che aveva visto su un davanzale di Wapping; il vivaista si precipitò a vederla e se ne innamorò all'istante. La pianta apparteneva alla moglie (alla vedova o alla madre, le versioni divergono) di un marinaio che gliel'aveva portata dall'America ed ora era nuovamente in mare; insomma, un caro ricordo che la donna rifiutò a lungo di vendere, finché Lee le offrì tutto ciò che conteneva il suo borsellino, ovvero otto ghinee, e le promise di portarle una delle prime talee che ne avrebbe ricavato. Portò poi il suo bottino a Hammersmith, tolse fiori e boccioli, ne trasse tutte le talee possibili, e da queste altre ancora, e così via; un anno dopo, nel vivaio fiorivano trecento fucsie. Lee ne scelse due e le portò nella sala dove esponeva le piante più belle e rare. Presto gli fece visita una nobildonna; credette che quelle fossero le uniche disponibili, e ne acquistò senza battere ciglio un esemplare per una ghinea. Ovviamente la mise in bella mostra nella sua serra e se ne vantò con un'amica, che si precipitò a sua volta ad Hammersmith, dove a fare bella mostra c'erano di nuovo due fucsie. Anche lei ne acquistò una, e così tanti altri clienti, ripagando l'astuto Lee che nell'arco di quella sola stagione moltiplicò per venti il suo investimento. La storia, pubblicata per la prima volta sul Lincoln Herald del 4 novembre 1831, circa quarant'anni dopo la morte del suo protagonista, è certamente apocrifa; c'è anzi il sospetto che sia stata divulgata a bella posta per nascondere il fatto che Lee avesse ricevuto le prime talee da Aiton (il quale ottenne la pianta nel 1788 e la pubblicò nel 1789 come Fuchsia coccinea); inoltre non è chiaro se la specie originariamente commercializzata a the Vineyard fosse Fuchsia coccinea o la più rustica F. magellanica (all'epoca c'era molta confusione tra le due specie). In ogni caso, l'aneddoto testimonia la fama di Lee come abile giardiniere e ancor più abile ed astuto imprenditore. Un genere esotico per uno specialista di esotiche All'epoca dell'affare della fucsia, c'era già stato un cambio della guardia ai vertici del vivaio. Lewis Kennedy era morto nel 1782, ed era stato sostituito come socio dal figlio maggiore John (1759-1842), che fin da ragazzino lavorava a the Vineyard. In lui James Lee trovò un socio molto brillante, sui cui successi sarà bene tornare in un altro post. Per ora, riassumiamo le vicende successive. James Lee morì a sua volta nel 1795, e gli subentrò il figlio omonimo (1754-1824), che nel 1818 rilevò l'intera proprietà da John Kennedy. I suoi figli John e Charles continuarono a gestire il vivaio fino al 1885, quando il terreno venne acquistato dalla National Agricultural Hall Company per costruirvi il centro espositivo noto come Olympia. Quanto rimaneva passò poi a un figlio di Charles, che gestì la ditta di famiglia fino all'inizio del '900. Ma ormai il momento di gloria era finito da un pezzo. Esso era infatti coinciso con le gestioni dei Kennedy e dei due James Lee, e si era di fatto concluso intorno al 1820, quando The Vineyard si era trovata ad affrontare la concorrenza di altre firme, prima fra tutte Loddiges. Rimaneva alla famiglia la soddisfazione di aver scritto una pagina importante del vivaismo britannico, sancita anche dalla dedica a James Lee di un genere botanico. A dimostrazione della sua reputazione europea, è per così dire a quattro mani: il genere Leea fu infatti pubblicato da Linneo nel 1767 sia in Mantissa plantarum sia nella 12 ed. di Systema naturae, ma fu determinato dal botanico olandese David van Royen, nipote del suo amico Adrieen van Royen, cui succedette come curatore dell'orto botanico di Leida. Purtroppo nessuno dei due ha spiegato la motivazione del tributo, ma possiamo ragionevolmente supporre che sia un riconoscimento del duplice ruolo di James Lee come divulgatore del sistema linneano e come introduttore di tante piante esotiche. Esotico è anche ovviamente il genere Leea (un tempo attribuito a una famiglia propria Leeaceae, oggi alle Vitaceae). Con una trentina di specie riconosciute, è infatti distribuito tra le aree tropicali e subtropicali del Vecchio mondo (Africa, subcontinente indiano, Indocina, Indonesia) e il Pacifico occidentale (Nuova Guinea, Australia, Polinesia), con centro di diversità in Malesia. Sono arbusti, talvolta piccoli alberi o erbacee erette o striscianti, diffusi soprattutto lungo i corsi d'acqua e le foreste secondarie, spinosi o meno, con foglie semplici o composte e piccoli fiori raccolti in cime piatte, seguiti da bacche a volte dai colori vistosi. Molte specie hanno proprietà medicinali e sono utilizzate nelle medicine tradizionali; ad esempio, L. indica è frequentemente coltivata in India e in Cina come pianta officinale (le foglie hanno proprietà digestive e lenitive, le radici sono antipiretiche e diaforetiche). Da altre specie, come L. macrophylla, si estraggono coloranti. Non mancano gli usi ornamentali: L. guineensis nella forma giovanile ha foglie rosso bordeaux, e ne sono state selezionate alcune cultivar; originaria dell'Africa e dell'Asia tropicale, può essere coltivata all'aperto solo in zone miti, dove viene utilizzata per formare siepi, o come pianta da vaso; l'attrattiva maggiore è data dal fogliame, ma sono interessanti anche le bacche che a maturazione diventano scarlatte. Ancora negli anni '80 del Novecento, quando ormai era in pensione, era ben noto ai botanici che affluivano da ogni parte del mondo in Sudafrica per studiare la sua flora, che una visita da non perdere era quella alla piccola casa di Elsie Elisabeth Estrerhuyzen a Città del Capo. La sua competenza era tale da farla considerare un'enciclopedia vivente, mentre il suo contributo alla raccolta di nuove specie, soprattutto di alta montagna, l'aveva resa leggendaria: le è infatti accreditata la raccolta di ben 36.000 esemplari d'erbario. Eppure Elsie, come la chiamavano tutti, non era affatto una Indiana Jones della botanica in gonnella: era una piccola esile donna amante dei gatti e della montagna, che non guidava e si muoveva dappertutto in bicicletta; così modesta, che, una volta studiato a fondo un genere e, "colmati i vuoti" dell'erbario Bolus, dove lavorò per decenni, preferiva lasciare ad altri la pubblicazione. La ricordano due generi endemici delle montagne delle Provincie del Capo, che esplorò metodicamente per decenni: Esterhuysenia (Aizoaceae) e Trieenea (Scrophulariaceae). Raccogliere piante per "colmare i vuoti" Nel giugno 2006, nella sala conferenze dell'orto botanico di Kirstenbosch si riunì una piccola folla per dare l'ultimo saluto a Elsie Elizabeth Esterhuysen (1912-2006) che si era spenta all'inizio di quell'anno a 93 anni. John Rourke, curatore del Compton Herbarium e presidente della Botanical Society of South Africa, aprì il suo ricordo con queste parole: "Oggi siamo qui per celebrare la vita di una leggenda, perché Elsie era una leggenda, certamente lo era per la comunità botanica locale". A renderla tale non era solo la sua età venerabile, né una personalità indubbiamente fuori del comune, ma le sue incredibili raccolte botaniche: con 36.000 esemplari d'erbario, è stata uno dei più prolifici raccoglitori di sempre. Eppure non c'era nulla di eroico in questa piccola ed esile donna. Elsie era nata a Cape Town in una famiglia di avvocati; dopo aver studiato alla Wynberg Girls’ High School, si iscrisse all'Università di Cape Town dove nel 1933 conseguì la laurea di primo livello (Master of Arts) in botanica con una tesi sull'anatomia di Myrothamnus flabellifolius, una pianta xerofila nota come "resurrection plant" per la sua capacità di rinverdire alla prima pioggia anche quando sembra totalmente disseccata. Ma alle ricerche di laboratorio già allora preferiva di gran lunga quelle sul campo. Dopo aver lavorato per poco tempo nel Dipartimento educativo, nel 1935 grazie a una borsa di studio poté studiare la rigenerazione del fynbos a Kirstenbosch dopo l'eliminazione di piante aliene. La sua aspirazione era entrare a far parte del gruppo di ricerca che, guidato da Pole Evans, stava mappando la flora del Sudafrica, ma la sua domanda fu respinta per la semplice ragione che era una donna. Così nel 1936 accettò un posto di assistente al McGregor Museum di Kimberley, diretto dalla geologa e botanica Maria Wilman, che in quegli anni stava dirigendo un progetto di ricerca sulla flora del Griqualand occidentale. Dato che l'area da esplorare era vasta, per raggiungere i luoghi più remoti la direttrice insistette che imparasse a guidare. Ma un giorno Elsie Esterhuysen rimase bloccata a un passaggio a livello: si spaventò talmente che da quel giorno non guidò più. In compenso, si procurò una bicicletta e divenne una provetta ciclista. Nel 1938 tornò a Cape Town e cominciò a lavorare per il Bolus Herbarium, dove avrebbe trascorso tutta la sua vita professionale. Per ben 18 anni, però, non fece parte ufficialmente dello staff, venendo pagata di volta in volta con la cassa per le piccole spese; solo nel 1956, su insistenza del nuovo curatore, Ted Schelpe. fu creato per lei un posto di ricercatrice, con uno stipendio fisso. Grande appassionata di montagna, fin dal 1935 si era iscritta al club alpinistico del Sudafrica (MCSA). Conoscendo questa passione, le fu affidata la ricognizione della flora di alta quota delle montagne del Capo, che all'erbario era documentata in modo irregolare. Insomma, come lei stessa si espresse, il suo compito era "colmare i vuoti". Quasi ogni week end, approfittando del passaggio di qualche membro del MCSA, esplorava un angolo di quelle montagne, e tornava a valle con un sacco nero pieno di piante. Durante le vacanze, approfittava delle escursioni organizzate dal club per erborizzare in altre aree, come il Drakensberg. Non bisogna però pensare che raccogliesse a caso. Per "colmare i vuoti" concentrava la sua attenzione su un genere rappresentato in modo inadeguato e quando individuava una specie che poteva essere nuova, ritornava più volte nell'area per studiarne i tempi di fioritura e l'ecologia, raccogliere semi e frutti; esplorava i dintorni per mapparne la distribuzione e studiare specie affini, a volte per anni. Metteva a confronto le proprie raccolte con il materiale d'erbario e con le pubblicazioni, e, quando aveva finito, il genere era perfettamente documentato nelle sue schede, con gli esemplari ben montati nell'erbario e la loro tassonomia pronta per la pubblicazione. Un compito che però lasciava volentieri agli "accademici". Così, anche se scoprì almeno 150 taxa, pubblicò pochissimo. La maggiore eccezione è costituita dalle Restionaceae, di cui pubblicò una cinquantina di specie, soprattutto grazie alle insistenze del botanico svizzero Hans Peter Linder, uno dei tanti giovani studenti e perfezionandi che impararono ad amare e conoscere la flora sudafricana grazie alla sua generosità e disponibilità. Insieme a T. M. Salter, pubblicò inoltre alcune specie di Erica. Tra le sue scoperte più sensazionali, quella di Protea nubigena, una specie molto rara che vive solo nei pascoli ad alta quota dell'uKhahlamba-Drakenberg nel Natal. Nel 1989 l'Università di Città del Capo le conferì la laurea honoris causa (Master of Science). La lettera di accettazione al rettore la dice lunga sulla sua modestia: "Grazie per la sua cortese lettera del 9 gennaio. Accetto la laurea onoraria e apprezzo l'onore. Tuttavia mi chiedo se lo staff dell'erbario Bolus è stato consultato. Se la questione non fosse riservata, vorrei farlo io stessa, perché non mi sembra che il mio lavoro meriti questo grado. Spero che il Consiglio [di facoltà] non sia caduto in errore pensando che la scoperta di nuove specie sia chissà che risultato, perché non lo era. A parte questo, ho lavorato come tecnico mantenendo l'erbario in ordine e aggiornato". Altri tratti della sua singolare personalità - che dovette colpire profondamente chiunque la conobbe -emergono dai ricordi pubblicati in occasione della sua commemorazione. Ogni giorno, sulla sua fida bicicletta faceva la spola tra l'erbario e la sua modestissima casa, doveva viveva con alcuni adorati gatti; guidava studenti e perfezionandi in gite in bicicletta, distaccando anche i più giovani; detestava le ingiustizie ed era socialmente impegnata; ma il suo vero ambiente era la montagna, con la quale aveva un contatto così intimo che preferiva dormire all'aperto, su un giaciglio improvvisato di paglia ed erbe, piuttosto che in una tenda. Per celebrare i suoi ottant'anni, insieme agli amici del Club alpino, scalò lo Sneeuberg, la cima maggiore del Cederberg (2027 metri). Tante specie e due generi A questa formidabile raccoglitrice, i tanti botanici con cui collaborò hanno dedicato una trentina di specie e due generi validi. Ad esempio, il suo "capo" Louisa Bolus le dedicò non meno di sette Aizoaceae, tra cui Delosperma esterhuyseniae e Gibbaeum esterhuyseniae; Compton Erica esterhuyseniae; Hilliard Selago elsiae (una specie oggi estinta) e Selago esterhuyseniae; Pillans Restio esterhuyseniae. Ci sono anche dediche più nascoste: alludendo alla sua passione per le montagne, dove si muoveva con l'agilità delle antilopi saltarupi Oreotragus oreotragus, E G. H. Oliver le dedicò Erica oreotragus. Con lo stesso gioco di parole, Karis pensava a lei nominando Monticapra ("capra di montagna") una sezione del genere Disparago. I generi dedicati a Elsie Esterhuyen sono tre, due in modo diretto, uno anch'esso in modo indiretto ed allusivo. Ad aprire le danze fu una delle sue colleghe al Bolus Herbarium, Frances Margaret Leighton, specialista dei generi Ornithogalum e Agapanthus, che nel 1944 le dedicò Elsiea con una motivazione semplice ed eloquente: "Il nome del genere onora Miss Elsie Esterhuysen del Bolus Herbarium, le cui raccolte hanno dato un valido contributo alla conoscenza della flora delle montagne più alte del Capo sudoccidentale". Il genere, stabilito sulla base di una specie raccolta quell'anno dalla stessa Esterhuysen, Elsiea corymbosa, è considerato sinonimo di Ornithogalum, e la specie è stata rinominata Ornithogalum esterhuyseniae. Nel 1967 Louisa Bolus, che, come abbiamo già visto, aveva già dedicato molte specie alla più prolifica dei suoi raccoglitori, le dedicò anche un genere, Esterhuysenia (Aizoaceae). Laconica (e tecnica) la dedica: per Elsie Elizabeth Esterhuysen, raccoglitrice del tipo, Provincia del Capo, nel distretto di Worcester; Hex River Mountains, Milner Peak, versante est, sulle sporgenze, 5,500-6,000 piedi, dicembre 1948. La specie in questione è Esterhuysenia alpina, una delle sei di questo piccole genere endemico di un'area relativamente ristretta della Provincia del Capo occidentale (distretti di Caledon, Ceres, Robertson, Worcester); sono piccoli arbusti nani, spesso a cuscinetto, che crescono tra le rocce intorno ai 2000 metri di altitudine. Hanno foglie carnose, tra quadrangolari a cilindriche, caratterizzate da un apice mucronato, fiori per lo più solitari con numerosissimi petali (in realtà staminoidi) bianchi, rosa o viola; i frutti sono capsule con cinque loculi, come quelli degli affini Ruschia e Lampranthus, di cui si distinguono perché mancano sia degli opercoli del primo, sia delle ampie ali del secondo. Tutte le specie sono rare, spesso limitate a aree molte ristrette, ma le loro popolazioni sono stabili. Anche il terzo genere dedicato a Esterhysen si deve a una botanica sudafricana, Olive Mary Hillard, nota soprattutto per aver fatto risorgere l'allora quasi moribondo orto botanico di Edimburgo, a sua volta una notevolissima raccoglitrice. Trovandosi già impiegati i possibili e più ovvii nomi ricavati da nome personale e cognome, Hillard dovette ricorrere a un vero e proprio gioco enigmistico: il suo Trieenea allude infatti alle tre E che formano le iniziali di Elsie Elisabeth Esterhuysen. Anch'esso endemico della Provincie del Capo occidentale e meridionale, questo genere della famiglia Scrophulariaceae comprende erbacee perenni o piccoli arbusti, più raramente annuali, che vivono in habitat montani; sette specie su dieci sono endemiche del Cedarberg, alcune note solo dagli esemplari d'erbario, altre ristrette ad aree molto limitate. Ha invece un areale relativamente più esteso T. glutinosa, in precedenza Phyllopodium glutinosum, che si spinge anche nella Provincia del Capo orientale. E' un piccolo arbusto che vive nelle spaccature delle rocce, con fusti eretti, foglie lievemente carnose con lamina quasi triangolare e margini dentati, piccoli fiori bianchi raccolti in brevi infiorescenze. Tra le specie del Cederberg, T. elsiae ricorda anche nell'eponimo Elsie Esterhuysen che la scoprì sul Sandfontein Peak, nel Cedarberg meridionale, il 5 aprile 1947. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, anche in Sud Africa alle donne si apre la carriera accademica. La prima ad insegnare botanica in istituto universitario sudafricano fu la statunitense Bertha Stoneman, che era stata una delle primissime laureate in scienze naturali del suo paese. La sua allieva Augusta Vera Duthie fu la prima persona formata in Sudafrica ad ottenere un lettorato di botanica, nel 1902, all'università di Stellenbosch. All'epoca aveva solo 21 anni. Come lettrice, poi come lettrice senior, vi avrebbe lavorato per quasi quarant'anni, dedicando le sue ricerche principalmente alle piante e all'ecologia degli Stellenbosch Flats, la pianura alluvionale dove sorge la città. A preservare almeno in parte questa flora ricca di endemismi, provvede la piccola riserva naturale che le è stata dedicata. Suo merito anche aver gettato le basi dello Stellenbosch Botanical Garden, il più antico orto botanico universitario del Sudafrica. A ricordarla la rara iridacea Duthiastrum linifolium. Esplorare la flora... del campus universitario Il primo orto botanico universitario sudafricano, quello dell'Università di Stellenbosch, nacque nel 1902, e a fondarlo fu la botanica Augusta Vera Duthie (1881-1963), che fu anche la prima persona educata in Sudafrica ad ottenere un lettorato di botanica in un'università del paese. Augusta (ma in famiglia la chiamavano Avie) aveva trascorso l'infanzia nella tenuta di Belvidere, posta in splendida posizione panoramica sulla laguna di Knysna (Provincia occidentale del Capo) che apparteneva alla sua famiglia da oltre un secolo. Come i suoi fratelli, fu inizialmente educata in casa, finché a 17 anni si iscrisse all'Huguenot College di Wellington per studiare matematica e fisica. A indirizzarla verso la botanica fu una straordinaria insegnante, Bertha Stoneman (1866-1943), la prima donna in assoluto ad insegnare in un istituto universitario sudafricano. Nata negli Stati Uniti, nel 1894 Stoneman si era laureata in scienze naturali alla Cornell University di New York, specializzandosi in micologia (era una delle primissime donne a farlo). Dopo alcune esperienze di insegnamento in patria, nel 1897 accettò un incarico di un anno come lettrice di botanica all'Huguenot College, che era stato fondato appena due anni prima e fu il primo istituto sudafricano di istruzione superiore riservato alle ragazze. A convincerla a trasformare quell'incarico temporaneo nella sua occupazione per la vita furono, da una parte, la straordinaria ricchezza della flora sudafricana; dall'altra il suo impegno a favore dell'educazione scientifica femminile. Stoneman creò praticamente dal nulla il dipartimento di botanica del College, dotandolo di un erbario con le piante che raccoglieva nelle escursioni cui dedicava il tempo libero. Per le sue allieve nel 1906 pubblicò Plants and their Ways in South Africa che per molti decenni fu uno dei manuali scolastici più diffusi nel paese. Eccellente insegnante, formò generazioni di allieve preparate, tra le quali oltre a Avie Duthie, vale la pena di citare l'illustratrice Olive Coates Palgrave, autrice insieme al figlio Keith Coates Palgrave di Trees of Southern Africa; la micologa Averil Maud Bottomley, che lavorò presso il dipartimento delle crittogame dell'erbario nazionale di Pretoria, cui contribuì con importanti raccolte di funghi; e soprattutto la micologa e batteriologa Ethel Doidge, la prima donna ad ottenere un dottorato in Sudafrica, autrice del monumentale The South African fungi and lichens e di ricerche fondamentali sui patogeni di diverse colture agricole. All'inizio del Novecento, l'Hugenot College non assegnava ancora diplomi; così Augusta Duthie completò gli studi all'Università di Città del Capo e nel 1901 fu una delle prime allieve di Stoneman ad ottenere il diploma di Bachelor of Arts; l'anno dopo (aveva appena 21 anni) fu nominata lettrice di botanica presso il Victoria College (oggi Università di Stellenbosch). Come la sua maestra all'Huguent College, dovette creare dal nulla il dipartimento di botanica: aveva una stanza per le lezioni, ma non c'era né un laboratorio, né un erbario, né un orto botanico dove mostrare le piante agli allievi; per non parlare di microscopi e tanto meno di assistenti. Fortunatamente, però, benché sorgessero in una delle zone del Sudafrica più battute fino dal Seicento (Stellenbosch si trova a una cinquantina di km ad est di Cape Town), proprio attorno agli edifici universitari c'era molto da scoprire. Posta ai piedi dei rilievi della Stellenbosch Mountain, la città si trova in una pianura alluvionale (Stellenbosch Flats) con suolo argilloso e una vegetazione diversa da quella delle dune sabbiose dei Cape Flats di cui costituisce la continuazione. E' una zona di confine tra il fynbos granitco di Boland e il renosterveld dello Swartland, dove non mancano le piante rare o endemiche. Anche se era oberata dal lavoro (era costretta a supplire i magri proventi dello stipendio di lettrice con lezioni di inglese, storia e botanica in una scuola media), Duthie incominciò ad esplorare questo ricco terreno di caccia per creare un erbario e accanto all'edificio principale del Campus allestì alcune aiuole didattiche, il primo nucleo del futuro orto botanico. Per tre anni di seguito, il suo dipartimento riuscì a vincere il premo assegnato dal Dipartimento per l'educazione del Capo al miglior erbario montato e classificato, grazie al quale poterono essere acquistati libri, dieci microscopi e un microtomo. Nel 1904, l'erbario aveva raggiunto i 500 esemplari. Nel 1909, venne finalmente assunto un assistente part time, anche se in compartecipazione con il dipartimento di zoologia. Intanto Augusta aveva continuato a studiare e nel 1910 conseguì la laurea magistrale (Master of Arts) all'Università del Capo. Nel 1912 fu affiancata da un secondo lettore di botanica, l'inglese Sidney Garside, che si era laureato all'università di Manchester ed era specializzato in fisiologia vegetale. Duthie ne approfittò per ottenere un anno di congedo di studio, che trascorse in Inghilterra all'Università di Cambridge. Al suo ritorno in Sudafrica, nel 1913, riprese immediatamente ad occuparsi dell'espansione del dipartimento: entro il 1920, fu creato un laboratorio sperimentale e un museo botanico che presto divenne il più ampio del paese. Nel 1920, ottenne un secondo congedo per ragioni di salute, che trascorse in Australia ad erborizzare. All'inizio degli anni '20, al dipartimento di botanica ci furono molti cambiamenti: nel 1920 Garside tornò in Inghilterra; nel 1921 l'università decise di creare una cattedra di botanica, che però non fu assegnata ad Augusta Duthie, ma a uno dei suoi ex allievi, Gert Cornelius Nel, che dopo aver ottenuto la laurea di primo livello a Stellenbosch si era perfezionato a Berlino dove aveva studiato tra l'altro con Engler. Da quel momento, a Duthie, che era stata promossa lettrice senior, fu assegnato soprattutto l'insegnamento delle Crittogame e dei funghi; ma essendo venute meno molte incombenze amministrative, poté dedicare più tempo alle ricerche sul campo. Anche se fece raccolte pure nella zona di Knysna, si concentrò sulla flora degli Stellenbosch Flats che, grazie a una serie di articoli pubblicati da Duthie tra il 1924 e il 1940 sulla rivista dell'Università, Annale van die Universiteit van Stellenbosch, divenne la più studiata del paese. Il più ampio di questi lavori, Vegetation and Flora of the Stellenbosch Flats, pubblicato nel 1929 e presentato come tesi di laurea di dottorato all'Università del Capo, è un approfondito studio sull'intera ecologia dell'area e ancora oggi, dopo quasi un secolo, è un testo di riferimento. L'area è particolarmente ricca di bulbose e le sei specie di Angiosperme la cui scoperta e pubblicazione si deve a Duthie appartengono tutte alla famiglia Asparagaceae (generi Eriospermum, Ornithogalum e Drimia). Le sue ricerche toccarono però anche le crittogame dei generi Selaginella e Isoetes e i funghi Myxomyceti. Nel 1933 un evento tragico mutò la sua vita: in seguito alla morte dell'ultimo dei suoi fratelli, si trovò ad essere l'unica in grado di occuparsi della gestione della tenuta di famiglia. Alla fine del 1939, diede le dimissioni dal dipartimento di botanica e nell'agosto 1940 tornò a Knysna. Da quel momento non avrebbe più pubblicato e si sarebbe dedicata interamente all'azienda, dove morì ultraottantenne nel 1963. Omaggi floreali e non solo Augusta Duthie era un'insegnante preparata e trascinante, e diversi dei suoi allievi diedero un importante contributo allo studio della flora sudafricana. Era anche una persona colta e affabile, in rapporti di scambio scientifico e amicizia con colleghi botanici in patria e all'estero. Particolarmente stretta fu la sua relazione con un'altra grande botanica sudafricana, Louisa Kensit Bolus, la curatrice dell'erbario Bolus, che le dedicò un Impatiens, un'Erica e tre specie di Aizoaceae da lei scoperte: Membryanthemum duthieae (oggi Ruschia duthieae), Psilocaulon duthieae (oggi Mesembryantemum articulatum), Stomatium duthieae. Anche il genere che la ricorda le è stato dedicato da una botanica, Miriam Phoebe de Vos, a sua volta grande specialista di bulbose, che fu sua allieva a Stellenbosch. Nel 1975 le dedicò con il nome Duthiella linifolia una nuova specie di Iridaceae; il nome però era illegittimo, perché esisteva già un genere Duthiella (famiglia Leskeaceae, muschi dell'Asia orientale e dell'Australia settentrionale); così ripubblicò il genere come Duthiastrum, commettendo però un errore ortografico (a rigori, il nome dovrebbe essere Duthieastrum, grafia adottata da diversi repertori, compreso il sito del SANBI, South African National Biodiversity Institute). L'unica specie di questo genere monotipico è Duthiastrum linifolium, una geofita endemica del Karoo settentrionale (Provincia settentrionale del Capo). Affine al genere Sparaxis, è una piccola bulbosa dotata di cormo con lunghi fiori tubolari aranciati con sei lobi lunghi e stretti disposti a stella, da cui il nome, letteralmente "stella di Duthie". Di lunga durata, per diversi giorni successivi si aprono all'inizio del pomeriggio e si chiudono subito dopo il tramonto. Come alcune specie di crochi, una volta che il fiore è stato fecondato, lo stelo si piega in modo che l'ovario rimanga interrato e maturi i frutti sottoterra (geocarpia). A ricordare Augusta Duthie e le sue ricerche, ci sono però anche l'orto botanico di cui gettò le basi e una riserva naturale. Lo Stellenbosch University Botanical Garden era originariamente ubicato di fronte all'edificio principale (Main Building) al lato occidentale del campus. Nel 1922, il neonominato Nel riuscì a convincere l'università ad assegnare al giardino un terreno apposito non lontano dal centro cittadino; la pianta del nuovo guardino, ispirato all'orto botanico di Padova, previde quattro aiuole principali a cerchi concentrici, separate da quattro viali a croce, più aiuole didattiche con le piante disposte per famiglie. Vennero anche costruite alcune serre, per proteggere le piante delicate dalle piogge invernali e dall'eccessivo calore estivo. Il giardino fu inaugurato ufficialmente nel 1925 ed ebbe come primo curatore il tedesco Hans Herre, che si era formato a Dalhem con Engler. Viste le limitate dimensioni del giardino, egli decise di concentrare le collezioni sulle piante succulente e per popolarlo fece molte spedizioni soprattutto nel Namaqualand. Oggi il compito principale del giardino, oltre agli scopi didattici, è la conservazione della flora nativa della regione del Capo, anche se non mancano rarità esotiche e collezioni speciali. Quando l'università si trasferì della vecchia sede, fu deciso di trasformare una parte dei terreni in una riserva naturale, battezzata Duthie Nature Reserve in onore della botanica che aveva dedicato tanta parte della sua vita allo studio della sua rara flora. Ricchissima di specie rare ed endemiche (per farvene un'idea potete sfogliare questa gallery), è oggi uno dei pochissimi luoghi dove cresce ancora in natura il rarissimo Haemanthus pumilio, oggetto di un progetto di riproduzione e salvataggio dell'Università di Stellenbosch. Rispetto alla conterranea, e quasi coetanea, Mary Barber, la figura di Caroline Hutton nata Atherstone è molto più convenzionale, anche se non mancano i tratti comuni: entrambe erano figlie di coloni del 1820, vissero nella Provincia orientale del Capo e divennero addirittura parenti; entrambe raccolsero esemplari per Harvey e Hooker, venendo ricordate dal primo con la dedica di un genere. Diversi furono invece i loro ambienti sociali e soprattutto la dedizione alla scienza. Caroline Atherstone era figlia e sorella di medici dai notevoli interessi scientifici e si trovò fin da bambina immersa in un ambiente colto e aperto; molto giovane sposò Henry Hutton, un funzionario dell'amministrazione civile, da cui ebbe moltissimi figli. Insieme a lui è ricordata da Harvey per le sue raccolte botaniche che non dovettero essere il centro della sua vita come per Barber, ma un hobby o una passione secondaria, sebbene abbastanza forte da persistere e forse intensificarsi anche quando era un'anziana vedova. Harvey le dedicò il genere di orchidee Huttonaea, la cui prima specie fu da lei scoperta sul Katberg. Raccolte in famiglia Come la famiglia Bowker, anche il dottor John Atherstone arrivò in Sudafrica con i coloni del 1820, ma, anziché diventare un fattore e un allevatore di bestiame, per qualche anno lavorò come chirurgo a Città del Capo, quindi nel 1828 venne nominato chirurgo del distretto di Albany sulla frontiera orientale, stabilendosi a Grahamstown. Quasi immediatamente fondò un gabinetto di lettura; fu qui, o dalla sua fornita biblioteca privata, che miss Bowker, ovvero la futura Mary Elizabeth Barber, prese in prestito la copia di Genera of South African Plants grazie alla quale scoprì la botanica. Del resto, era destinata a intrecciare strettamente la sua vita con quella della famiglia del medico: alla fine del 1839, il figlio maggiore di John Atherstone William Guybon tornò dall'Europa, dove era andato a laurearsi in medicina, accompagnato da uno dei suoi cugini inglesi: Frederick William Barber, ovvero il futuro marito di Mary. Oltre a diventare il più eminente medico della regione (tra l'altro, fu il primo a utilizzare l'anestesia durante un intervento chirurgico), William Atherstone aveva forti interessi scientifici. In Europa aveva studiato successivamente a Dublino, Londra e Parigi, ed era in contatto con molti scienziati tra cui Harvey e Hooker. Fu uno dei pionieri delle ricerche geologiche e paleontologiche in Sudafrica e nel 1855 fu tra i soci fondatori della Literary, Scientific and Medical Society di Grahamstown, le cui collezioni presto si trasformarono nell'Albany Museum, di cui per molti anni fu presidente e il maggior donatore, con esemplari che spaziavano in tutti i campi delle scienze naturali. Ma protagonista di questa storia non è il versatile dottore (cui pure il botanico della colonia Pappe dedicò il genere Athestonea, oggi ridotto a sinonimo), ma la più giovane delle sue sorelle, Caroline (1826-1908). Di lei non sapremmo nulla se non avesse lasciato traccia delle sue raccolte nei libri di Harvey e nei cataloghi dell'Albany Museum. Ignoriamo se abbia ricevuto una formazione formale, ma certo, nata in una famiglia colta, avrà condiviso l'interesse per le scienze naturali del brillante fratello maggiore, così come una delle sue sorelle, Bliss Ann (nota con il cognome da sposata White) che dopo il matrimonio fece importanti raccolte di rettili, insetti e altri animali nei dintorni di Brak Kloof, la fattoria che gestiva con il marito, donandole al museo di Albany. Nel 1848, la ventunenne Caroline sposò Henry Hutton che era arrivato in Sudafrica quattro anni prima; figlio di un pastore protestante, diciassettenne al momento del suo arrivo, forse per qualche tempo aveva lavorato per il futuro suocero, facendosi notare per l'intelligenza e gli interessi scientifici. Poi, forse con un spintarella di suocero e cognato, cui dovette essere legato da una forte amicizia, fece carriera; anche se durante le diverse guerre contro gli Xhosa egli ebbe anche qualche ruolo militare, servì soprattutto come impiegato pubblico, con compiti come sovrintendente dei forzati, giudice di pace, ispettore del dipartimento dei forzati, nonché tesoriere e segretario del Consiglio di divisione di Bedford, che lo portarono in varie località del distretto di Albany. Di tanto in tanto gestì anche una fattoria, anche per mantenere una famiglia sempre più numerosa (gli Hutton ebbero cinque figli e sette figlie, anche se solo sei raggiunsero l'età adulta). Probabilmente incoraggiati dal fratello e cognato, che era già in contatto con Harvey, forse già intorno al 1850 Caroline e Henry iniziarono a raccogliere esemplari e a inviarli a Dublino, come risulta dalla prefazione del primo volume di Flora capensis (1859), in cui il botanico ringrazia "l'egregio sig. Henry Hutton per le considerevoli raccolte fatte ad Albany". La collaborazione continuò per molti anni, anche oltre la morte di Harvey, quando il compito di completare l'opera fu assunto da Sonder e Tylseton-Dyer; i coniugi Hutter contribuirono con non meno di 120 diverse specie; come raccoglitore è in genere citato Henry, ma in una trentina di casi Caroline. Probabilmente spesso raccoglievano insieme e le raccolte dell'uno e dell'altra sono indistinguibili, ma a mantenere i contatti con Dublino e Londra provvedeva soprattutto il marito. Oltre che con Harvey, la coppia collaborò anche con il botanico coloniale Pieter MacOwan che nel 1867 cita Henry come uno dei cinque raccoglitori che avevano esplorato a fondo il distretto di Grahamstown. I coniugi Hutton spedirono esemplari anche a Hooker e ai Kew Gardens, ma il grosso delle loro raccolte fu donato al Museo di Albany, soprattutto dopo il 1891, quando si trasferirono nella fattoria Beaumont sul Fish River. Dopo la morte del marito nel 1896, Caroline, che ormai aveva settant'anni, continuò a raccogliere da sola. Nel 1900 viveva a Howick nel KwaZulu-Natal, da dove spedì 186 specie all'Albany Museum; altre spedizioni seguirono negli anni successivi, fino alla sua morte nel 1908. Orchidee belle e rare Oltre che nel museo di Albany e nell'erbario del Natural History Museum, i coniugi Hutton hanno lasciato una traccia visibile nella nomenclatura botanica. Henry è ricordato da Lysimachia huttonii, che gli fu dedicata da Harvey già nel 1859; Moraea huttonii; Cyrtanthus huttonii, da lui raccolto nella distretto di Albany prima del 1864, data in cui fiorì per la prima volta a Kew; Ceropegia huttonii raccolta sul Botha Hill presso Grahamstown; Eulophia huttonii, Harveya huttonii, Printzia huttonii, Hesperantha huttonii e Wahlenbergia huttonii, tutte raccolte sul Katberg. Mancò invece la dedica di un genere, anche se forse ci contava. Sempre sul Katberg, una montagna a nord di Fort Beaufort, evidentemente il suo luogo di raccolta preferito, scoprì una pianta appartenente a un nuovo genere; ma Harvey la chiamò Bowiea volubilis, dedicandola, anziché a lui, al raccoglitore di Kew James Bowie. Caroline è ricordata da un numero molto minore di specie: Euphorbia huttoniae, Nerine huttoniae (oggi N. laticoma subsp. huttoniae), Sisyranthus huttoniae, Lachnagrostis huttoniae, le ultime tre risalenti agli anni della vedovanza, quando poteva "firmare" le sue raccolte senza lo schermo del marito. Se Harvey non le dedicò neppure una specie, al contrario di quanto fece con Henry, la compensò con un genere oltre tutto di notevole bellezza. Il secondo volume di Taesaurus capensis ( dedicato a suo fratello William che, ci informa Harvey, insieme a Henry Hutton, fu anche suo agente per la diffusione in Sudafrica di quest'opera e di Flora capensis), si apre con Huttonaea pulchra, una splendida e curiosa orchidea scoperta "nel marzo 1862 in angoli umidi, sotto gli alberi, sul Katberg, a 4000 piedi d'altezza, da Mrs. Henry Hutton". Ovvero dalla nostra Caroline. Il genere Huttonaea comprende cinque specie di orchidee terrestri endemiche di un'area ristretta alle montagne di Capo Orientale, KwaZulu-Natal, Stato Libero e Mpumulanga, con piogge estive. Tre specie (Huttonaea grandiflora, H. oreophila e H. woodii) vivono in spazi aperti erbosi, mentre le altre due (H. fimbriata e H. pulchra) nell'ombra delle foreste. La specie più diffusa, nonché quella che si spinge più in alto, è H. grandiflora (tra 2190 e 2800 m, dal Capo Orientale allo Stato Libero meridionale attraverso le montagne del KwaZulu-Natal), mentre la più rara è H. woodii che è stata raccolta solo tre volte in località diverse del KwaZulu-Natal. A seconda della specie, i fiori, raccolti in tozzi racemi, possono essere più piccoli e numerosi (fino a 25), oppure più grandi e pochi (2-4), ma tutti sono caratterizzati da una morfologia singolare: i sepali sono piatti, spesso verdastri, quelli superiori più o meno divergenti; i petali e il labello, da bianchi a crema, con macchie porpora, hanno margini fortemente sfrangiati; i petali hanno un'unghia più o meno lunga e sono più o meno fortemente saccati; formano così due sacchi gemelli (merianthium), una caratteristica rara tra le angiosperme e unica tra le orchidee, provvisti alla base di verruche ghiandolari che secernono olio: un "premio" ambitissimo dagli insetti impollinatori, le api del genere Rediviva. Mentre nelle altre specie l'angolo tra i petali permette a un insetto posato al centro del fiore di visitare contemporaneamente i due sacchi, in Huttonea pulchra essi formano un'angolo di 90 gradi, facendo divergere i sacchi e costringendo l'ape a visitarli separatamente. Anche se non è del tutto chiaro quali vantaggi comporti in termini di successo dell'impollinazione, è una caratteristica singolare che rende ancora più affascinante questa piccola orchidea scoperta nei boschi del Katberg da Caroline Hutton nel lontano 1862. Nella storia della botanica sudafricana, le donne hanno avuto un ruolo particolarmente incisivo. Un recente saggio ne ha recensite più di duecento, attive tra il 1699 e il 1950 come raccoglitrici, illustratrici, studiose. La più nota è sicuramente Louisa Bolus che per mezzo secolo diresse il Bolus Herbarium e fu un'autorità per Mesembryanthemum e altre Aizoaceaee; ma molto prima di lei c'è stata Mary Elizabeth Bowker Barber. Nata in Inghilterra, ma giunta in Sudafrica all'età di due anni, e sempre vissuta nella colonia, ad eccezione di un viaggio di pochi mesi in Europa, può essere considerata a tutti gli effetti la prima naturalista sudafricana. La prima in molte cose: la prima donna residente in Sudafrica a pubblicare un articolo scientifico su una rivista straniera, la prima a pubblicare un nome botanico, la prima donna in assoluto ad essere ammessa alla sudafricana South African Philosophical Society e alla viennese Ornithologischer Verein, la prima persona (indipendentemente dal sesso) a riconoscere la vera natura degli attrezzi litici preistorici rinvenuti in Sudafrica. Eppure era autodidatta, figlia e moglie di un allevatore di pecore di frontiera in tempi difficili. Corrispondente di Harvey, Joseph Dalton Hooker e Charles Darwin, è dedicataria dei generi Barberetta e Bowkeria, quest'ultimo insieme al fratello James Henri, militare ed entomologo. Una vita da pioniera Tra i circa 4000 coloni britannici che nel 1820 (li chiamano proprio così, 1820 Settlers) emigrarono in Sudafrica nella speranza di una vita migliore, attirati dalla promessa della concessione di 100 acri di terra per ogni maschio di almeno 18 anni, c'era anche la famiglia Bowker: l'allevatore di pecore Miles Bowker, la moglie Anna Maria Mitford, gli otto figli maschi e l'unica femmina, Mary Elizabeth, che all'epoca aveva due anni. I Bowker arrivarono nel maggio 1820 e si stabilirono dapprima in una fattoria chiamata Oliveburn a una decina di km dal mare, poi nella più ampia Tharfield nel distretto di Albany, alla frontiera orientale della Colonia del Capo. Fu così che Mary Elizabeth Barber nata Bowker (1818-1899) crebbe in una delle zone più ricche di biodiversità del Sudafrica; la fattoria di famiglia si trovava nel bush, poco lontano dalla frontiera. Non c'erano scuole, e il padre, un uomo di classe media con una discreta cultura che aveva guidato in Sudafrica un gruppo di 23 coloni, tra famiglia, servitori e braccianti, ne aprì una per i figli suoi (in Sudafrica ne erano nati altri due, un bimbo e una bimba) e dei suoi dipendenti; egli dava grande importanza alle scienze naturali e il bush offriva infinite possibilità di osservare piante e animali in natura. Le due bambine ricevettero la stessa educazione dei maschi, come loro esploravano liberamente la campagna e Mary presto rivelò la sua grande capacità di osservazione. Precocissima, aveva imparato da sola a leggere e scrivere a soli quattro anni. La vita in quell'avamposto non era facile; nel 1834 la zona fu invasa dagli Xhosa, che erano stati respinti al di là della frontiera proprio per fare posto ai coloni, e anche i Bowker dovettero momentaneamente lasciare la fattoria. Negli anni successivi, i nove fratelli di Mary parteciparono anche con ruoli di comando al ciclo di guerre che seguirono (sesta, settima, ottava di guerra di confine). Ma nel frattempo Mary aveva trovato un rifugio e una somma gioia nella botanica, un hobby (la definizione è sua) che aveva scoperto per puro caso. Nel 1838 prese in prestito The Genera of South African Plants di Harvey, che contiene anche un'introduzione alla botanica e le istruzioni per raccogliere piante e tenere un erbario. Il botanico, che all'epoca lavorava a Città del Capo come tesoriere coloniale, chiedeva ai lettori di inviargli piante della loro zona, in vista di una più complessiva flora della Colonia del Capo. Mary gli scrisse, gli mandò semi ed esemplari, ma inizialmente nascose il suo sesso. Fu l'inizio di una collaborazione trentennale, nel corso della quale Mary avrebbe inviato a Harvey, che nel frattempo si era trasferito a Dublino come curatore dell'erbario del Trinity College, esemplari di circa mille specie di piante, accompagnate da note accurate, contribuendo più di ogni altro raccoglitore a Flora capensis; pittrice autodidatta, gli inviò anche molti schizzi, che però Harvey non pubblicò mai come tali, anche se ne trasse alcune delle illustrazioni di Thesaurus Capensis. Mary coinvolse nelle sue raccolte, il fratello minore James Henry Bowker, a sua volta corrispondente di Harvey e più tardi un notevole entomologo. Nel 1842 Mary sposò Frederick William Barber, anche lui allevatore di bestiame nonché chimico. Attraverso questo matrimonio, probabilmente basato soprattutto sulla convenienza, da cui nacquero due figli e una figlia, Mary Elizabeth Barber poté allargare i suoi contatti con altri naturalisti della Colonia. Barber era infatti cugino del medico William Guybon Atherstone, curatore del Museo di Albany e pioniere degli studi geologici in Sudafrica. Nel 1858 i Barber si stabilirono a Highlands, una fattoria situata in un crinale a 24 km da Grahamstown (Makhanda), un'area particolarmente adatta all'allevamento delle pecore, ma anche molto isolata. Inoltre il marito era spesso lontano da casa per spedizioni di caccia o per combattere gli Xhosa, e Mary trovava conforto negli studi naturalistici; oltre che di piante, incominciò ad interessarsi di uccelli ed insetti, che amava disegnare; incoraggiata dal fratello minore, appassionato collezionista di farfalle, nel 1863 scrisse all'entomologo Roland Trimen, che nel 1862 aveva pubblicato un primo piccolo volume sui lepidotteri sudafricani, offrendosi di illustrare il suo prossimo libro. Incominciò così a inviargli esemplari, schizzi e le sue osservazioni sugli insetti. Come vedremo più avanti, la collaborazione con Trimen, che presto si trasformò in amicizia, fu determinante per il futuro scientifico di Barber. Le cose andarono diversamente con l'ornitologo Edgar Leopold Layard, curatore dell'African Museum, che pure era un amico di famiglia; Mary gli fornì esemplari e disegni per il suo Birds of South Africa e nel 1868, quando Layard si accingeva a partire per l'Inghilterra, gli affidò un suo articolo chiedendogli di farlo pubblicare; Layard lo fece, ma sotto il nome Mr Layland, probabilmente un refuso per Layard. Il fattaccio lasciò sconcertata Barber, tanto più che l'entomologo, di fronte alle sue proteste, fece orecchie di mercante. Il riconoscimento come scienziata, e non solo come raccoglitrice o illustratrice, le arrivò poco dopo, grazie a illustri contatti inglesi, in parte propiziati da Trimen. Da tempo Mary Barber inviava semi ed exsiccata ai Kew Gardens, ma intorno al 1865, preoccupata per la salute declinante di Harvey (sarebbe infatti morto l'anno successivo) incominciò a corrispondere con James Dalton Hooker, sperando di trovare in lui un referente scientifico che lo sostituisse; il primo frutto della loro collaborazione, che si sarebbe protratta anch'essa per un trentennio, fu la pubblicazione sul Curtis's Botanical Magazine di un'illustrazione botanica di Mary Barber, quella della curiosa Brachystelma barberae, da lei scoperta e dedicatale da Harvey poco prima di morire. Più o meno nello stesso periodo attraverso Trimen Barber entrò in contatto anche con Charles Darwin. Nel 1862 quest'ultimo aveva pubblicato Fertilisation of Orchids, in cui per la prima volta espose le complesse relazioni ecologiche tra orchidee e insetti come risultato della selezione naturale e della coevoluzione; Trimen, che ammirava Darwin ma fino ad allora non aveva avuto il coraggio di contattarlo, stava studiando lo stesso argomento e nel 1863 gli spedì un suo articolo sulla morfologia dell'orchidea Disa grandiflora (ora D. uniflora), che molto doveva alle informazioni raccolte da Barber. In una lettera dello stesso anno, lo informò delle osservazioni di Mary sulle devastazioni delle pesche nell'area di Albany: secondo lei, la "colpevole" era una farfalla notturna, identificata da Trimen in Achaea chamaeleon, che perforava i frutti estraendone tutti i succhi fino a ridurle a buccia e nocciolo; Trimen dubitava che una farfalla fosse in grado di perforare una buccia così spessa, invece Darwin inclinava a dare ragione a Mary Barber. La connessione tra morfologia delle orchidee e impollinazione entomofila è anche l'argomento di due dei primi articoli di Barber, pubblicati grazie a Hooker e Darwin, Come ha dimostrato Tanja Hammel nella sua importante monografia sulla naturalista sudafricana, la loro pubblicazione era funzionale alla volontà dei due scienziati di supportare e far circolare la teoria della selezione naturale. Non a caso, il primissimo articolo di Mary Barber "On fascination", dedicato al supposto effetto ipnotico dello sguardo dei serpenti, le cui conclusioni non erano invece da loro condivise, fece la sua comparsa su una rivista divulgativa, Scientific Opinion. Fu invece il prestigioso Journal of Linnean Society ad ospitare gli articoli di Barber sull'impollinazione dell'orchidea Liparis bowkeri (1869), sul genere Aloe (1870) e sull'impollinazione e la disseminazione di Duvernoia adhatodoides (1871). Hooker pubblicò le sue osservazioni sulle piante carnivore e insettivore su Gardener's Chronicle (1870) e Darwin il suo articolo sul mutamento di colore delle larve e delle pupe di Papilio Nireus nelle Transactions of the Royal Entomological Society of London (1874). Inoltre nel suo saggio The expression of the emotions in man and animals la ringraziò pubblicamente per i suoi suggerimenti e contributi. Intanto, la scoperta dei diamanti nelle valli alluvionali dei fiumi Orange e Vaal nel 1867 stava mutando profondamente il volto del Sudafrica ma anche la sua vita personale. Anche Fred Barber fu contagiato dalla febbre e nel 1870 si spostò nei campi diamantiferi del Griqualand occidentale; moglie e figli lo raggiunsero l'anno dopo; dopo aver vissuto per mesi in tenda, acquistarono una piccola casa a Dutoitspan (Dorstfontein). Le condizioni di vita erano difficili, la ricchezza sperata non arrivò, ma Mary continuò le ricerche naturalistiche, scrisse diversi articoli sulla vita nei campi minerari, illustrati da suoi schizzi, e aggiunse ai suoi interessi un nuovo campo di ricerche, quello dei manufatti preistorici, divenendo anche una pioniera dell'archeologia sudafricana, la primissima a capire che quelle pietre erano arnesi lavorati da uomini vissuti in tempi preistorici. Nel 1872, sempre grazie a Trimen, fu la prima donna ad essere ammessa alla South African Philosophical Society; nelle Transactions di questa società nel 1878 pubblicò un importante lavoro in cui, attraverso molti esempi di animali maschi con livree vistose, appoggiò l'idea darwiniana della selezione sessuale. Intanto la sua vita personale era di nuovo mutata drammaticamente. Abbandonata la speranza di fare fortuna con i diamanti, nel 1874 i Barber acquistarono una fabbrica di soda e ginger ale, che all'inizio prosperò, ma poi si volse in perdita. Nel 1878, quando un incendio distrusse tutti i loro averi, Frederick decise di tornare in Inghilterra, dove un fratello aveva un ben avviato studio di fotografo. Mary per circa due anni visse ancora a Kimberley poi, venduta la proprietà, iniziò una vita errabonda. Solitamente trascorreva l'inverno a Durban con il fratello James Henry e le estati con i due figli, Frederick e Henry Barber. I due, insieme ai cugini Barber, erano molto attivi nella ricerca di giacimenti auriferi e intorno al 1884 trovarono un filone particolarmente ricco che chiamarono Barber's Reef: oggi vi sorge la città di Barberton. Mary orami aveva sessant'anni, ma continuava a osservare, studiare, scrivere e dipingere. Quando lesse in un giornale che il botanico dilettante Harry Bolus, il suo amico Trimen e l'esploratore ceco Emil Holub stavano per intraprendere una grande spedizione in cui avrebbero attraversato il continente nero da un capo all'altro, scrisse a Trimen per proporsi come "artista scientifica", una posizione più accettabile di quella di scienziata agli occhi dei maschi. Non se ne fece niente, ma al suo ritorno in Europa, Holub che era rimasto entusiasta dei suoi disegni di uccelli che gli erano stati mostrati dal figlio Frederick, li lodò in una conferenza tenuta alla Società ornitologica di Vienna e propose l'ammissione di Mary Barber alla Società come membro corrispondente, cosa che avvenne all'inizio del 1882. Nel 1883 la naturalista incontrò Marianne North, in visita nella Colonia. Nel 1886, mentre si trovava a Grahamstown, tenne una conferenza presso la Eastern Province Literary and Scientific Society in cui sottolineò l'importanza di preservare l'avifauna per controllare gli insetti dannosi all'agricoltura. L'intervento fu così incisivo che venne stampato come opuscolo. Nel 1889, insieme ai due figli, che ormai avevano fatto una discreta fortuna, giunse il momento di visitare l'Inghilterra e l'Europa. A Kew incontrò Marianne North e Thilseton-Dyer, il nuovo direttore dopo il pensionamento di Hooker. Alla fine dell'anno, anche Frederick Barber rientrò con loro in Sudafrica, ma non si ricongiunse alla moglie; visse a Grahamstown fino alla morte, avvenuta due anni dopo, mentre Mary divideva il suo tempo tra la casa del fratello a Durban e quella di sua figlia, che si era sposata e viveva a Pitermaritzburg; qui morì all'età di 81 anni. Un anno prima. il figlio Frederick era riuscito a fare pubblicare a Londra un volume delle poesie della madre, The Erythrina tree and other verses, la cui introduzione contiene un omaggio dell'amico di sempre Roland Trimen: "Ovunque la sorte l'abbia portata, la signora Barber si è sempre distinta per la sua equanimità, l'allegra fiducia in sé stessa, il fine senso dell'umorismo e il freddo coraggio, ma soprattutto per la costante perseveranza con cui ha continuato le sue ricerche di storia naturale". Endemismi sudafricani Come ha dimostrato Tanja Hammel nella sua brillante monografia su Mary Barber, questa grande naturalista è stata anche una convinta sostenitrice della parità di genere. Contro la mentalità vittoriana, che assegnava alle donne il ruolo di angeli del focolare, pienamente realizzate solo come mogli e madri, rivendicava il diritto delle donne di scegliere il proprio destino e sognava una società in cui la cura della prole fosse equamente diviso tra entrambi i genitori, come aveva potuto osservare tra gli uccelli che studiava e dipingeva. Come aveva sperimentato nella sua infanzia, quando lei e sua sorella condividevano le stesse esperienze dei fratelli, la differenziazione di ruoli tra maschi e femmine non era innata, ma frutto di condizionamenti sociali. Così, la delusione più grande le venne dalla figlia Mary Ellen Barber e dalla nipote prediletta Mary Layard Bowker. La figlia era una ragazza intelligente, senza paura, capace di "fare di tutto" incluso "cavalcare qualsiasi animale, non importa quanto selvaggio", era la sua assistente e fin da bambina la aiutava nelle raccolte; eppure con il matrimonio lasciò da parte ogni velleità di indipendenza per trasformarsi nella madre di una nidiata di nove figli. Allora Barber ripose le sue speranze in Mary Layard; la incoraggiò a studiare e a diplomarsi. Nel 1888, alla morte della curatrice del Museo di Albany, le scrisse per convincerla a presentare la sua candidatura; non sappiamo se la giovane donna lo fece, ma nel 1889 rese orgogliosa la zia ottenendo l'abilitazione all'insegnamento, una professione che nella Colonia del Capo era ancora quasi esclusivamente maschile. Come sappiamo dalla prefazione di South African Butterflies, fornì diversi esemplari di farfalle a Trimen e altri li donò al Museo di Albany. Eppure a trentun anni si sposò (il marito era il figlio minore di Barber, Henry detto Hal), abbandonò l'insegnamento, mise fine a ogni interesse scientifico e si trasformò in moglie, madre e padrona di casa. Il contributo di Mary Barber alla conoscenza della flora sudafricana è testimoniato, oltre che dalle parole di riconoscenza scritte da Harvey nell'introduzione al I e al III volume di Flora Capensis, dalla dedica di diverse piante. Abbiamo già incontrato la straordinaria Brachystelma barberae (oggi Ceropegia barberae); altri omaggi di Harvey sono Dimorphoteca barberae e Polygala bowkerae, mentre si deve a Hooker Diascia barberae. Non dimentichiamo poi l'imponente Aloe barberae (oggi Aloidendron barberae), omaggio di Thilseton-Dyer. Harvey dedicò alla sua più prolifica raccoglitrice in Sudafrica anche due generi: uno solo per lei, l'altro in compartecipazione con il fratello minore James Henry Bowker. Il primo è Barberetta, un genere monotipico della famiglia Haemodoraceae rappresentato unicamente da Barberetta aurea, scoperta lungo il fiume Isomo da Mary Barber e suo fratello e "dedicata alla prima per gratitudine per le sue scoperte di numerose piante nei distretti della frontiera". Endemica della Provincia del Capo Orientale e del Natal e affine a Wachendorfia, è un'erbacea rizomatosa con foglie disposte a ventaglio e fitti racemi di fiori a stella giallo oro. Il genere in compartecipazione è Bowkeria: "Il nome generico vuole ricordare l'egregio Henry Bowker e sua sorella, la signora F. W. Barber, in precedenza Miss Bowker; entrambi hanno largamente contribuito alla nostra conoscenza delle piante della frontiera orientale, e io sono in debito con loro per molti esemplari interessanti, diversi dei quali sono stati presentati in questo volume". Tra cui l'unica specie del genere pubblicata da Harvey, B. triphylla, oggi B. verticillata, raccolta da Mrs F. W. Barber (la sigla sta per Fredrick William, a dimostrare qual era il ruolo delle donne nella società vittoriana). Oggi a questo genere della famiglia Stilbaceae sono assegnate tre specie, tutte endemiche del Sudafrica orientale: B. citrina, B. cymosa e B. verticillata; sono folti arbusti con foglie profondamente venate e intensamente profumate e curiosi fiori saccati bilobati con una stretta apertura, tanto da ricordare una conchiglia. Non risulta che Mary Barber le abbia studiate, ma certo sarebbe stata affascinata dalla loro morfologia e dalla relazione con gli impollinatori, le api del genere Rediviva; per attirarle, i fiori di Bowkeria nella sacca interna secernono un olio, per raccogliere il quale queste api si servono di setole specializzate poste sulle zampe anteriori; quindi lo trasferiscono sulle zampe posteriori e lo portano al nido dove viene trasformato in cibo per le larve e forse in rivestimento del nido stesso. Per concludere, due parole su James Henry Bowker (1825-1900), l'ultimo degli undici fratelli Bowker. Molto giovane, fu coinvolto nelle guerre di frontiera e fece carriera nell'esercito, fino a raggiungere il grado di colonnello. Convinto sostenitore dell'espansione della colonia, negli anni '70 divenne comandante della polizia di frontiera a cavallo e comandò la spedizione che portò all'annessione dei campi diamantiferi del Griqualand occidentale. Accanto a questo volto di militare imperialista, c'era però anche quello di scienziato. La sorella Mary, che gli era maggiore di sette anni, gli trasmise l'interesse per le piante; fui lui invece a trasmetterle quello per l'archeologia, scoprendo i primi manufatti preistorici negli scavi minerari abbandonati. Tuttavia la sua passione principale erano le farfalle. Scoprì non meno di 40 nuove specie e un nuovo genere; collaboratore da tempo di Trimen, dopo il pensionamento nel 1878 lo aiutò a scrivere i tre volumi di South African Butterflies (1887-1889). Assisté la sorella nelle sue raccolte botaniche, ma fece anche raccolte in proprio nei vari luoghi dove lo portò la carriera militare; nel 1853, in occasione di una visita a Londra, vendette una collezione di 350 esemplari a William Jackson Hooker, all'epoca direttore dei Kew Gardens (nonché padre di James Dalton Hooker). Dopo il pensionamento, si stabilì a Durban dove divenne giudice di pace; fu tra i fondatori del museo locali e donò collezioni a questo e altri musei; continuò ad inviare esemplari a Kew e negli ultimi anni sviluppò un grande interesse per i funghi. Oltre che dal genere Bowkeria, è ricordato dall'eponimo di diverse piante, come Bauhinia bowkeri e Ceropegia bowkeri. Come la sorella era membro corrispondente della South African Philosophical Society, ma, come maschio, ottenne molti più riconoscimenti di lei, inclusa all'ammissione alla Linnean Society, all'epoca chiusa alle donne, I due più antichi orti botanici della Lombardia nascono quasi contemporaneamente, nell'ultimo quarto del Settecento, nell'ambito delle grandi riforme teresiane che ebbero tra gli obiettivi anche lo svecchiamento dell'istruzione con una maggiore attenzione alla scienza. Erano infatti strettamente legati a due istituzioni didattiche: l'Università di Pavia e le scuole palatine di Brera. Anche se il personaggio è enigmatico e le decisioni in definitiva venivano prese a Vienna, nella loro nascita e primo sviluppo ebbe un qualche ruolo il conte Firmian, plenipotenziario per la Lombardia austriaca. Un merito che gli venne riconosciuto da Marsili con la dedica del notevole genere Firmiana (Malvaceae). Mecenate delle arti e della scienza Intorno al 1760, all'abate Filippo Antonio Farsetti, proprietario del celebre giardino di Sala nel Padovano, giunsero "mandate non so da chi né da qual paese" sementi contrassegnate con la vaghissima etichetta Arbor excelsa ex China ("albero di grande altezza della Cina"). Seminate dall'abile giardiniere Francesco Pomai, produssero molte pianticelle che furono poi trapiantate tanto in serra quanto all'aperto; una, che "aveva perduto la cima e si era lateralmente divaricata in tre rami" fu donata da Sala a Giovanni Marsili, prefetto dell'Orto dei semplici di Padova. Allevata "diligentemente" e protetta d'inverno nella serra fredda, trapiantata in vasi via via più grandi, prosperò e "fu sì grata e cortese che in pochi anni volle a me dare il geniale e desiderato spettacolo de' primi suoi fiori coi primi suoi frutti condotti a perfetta maturità". Così Marsili racconta la prima fioritura in Europa della spettacolare Firmiana simplex, avvenuta nell'orto botanico padovano nel 1775. Diversi degli altri esemplari di Sala giunsero anch'essi a fioritura, ma solo qualche tempo dopo. La pianta, seppure sotto altri nomi, non era una novità assoluta. Sloane l'aveva vista in fioritura, ma in Giamaica (la pubblicò come Malva arborea), mentre Linneo, che ne possedeva un esemplare dal fusto non ramificato (per questo lo chiamò Hibiscus simplex) non lo aveva mai visto fiorire. Dunque Marsili fu il primo a poterne studiare fiori e frutti, capendo che andava assegnata a un genere proprio. Era un albero senz'altro di grande bellezza, dunque perfetto da dedicare a un potente. Marsili scelse il conte Carlo Firmian, ministro plenipotenziario della Lombardia austriaca, morto pochi anni prima, che poteva vantare qualche merito come mecenate della botanica: "E' a lui dovuto dai Botanici tributo di particolare riconoscenza per la recente fondazione del Regio Giardino di Pavia, portato in breve spazio d' anni, mercé le provide di Lui cure, la Sovrana munificenza, e la perizia, vigilanza e dottrina de' valenti suoi Presidi e Direttori, a tal grado di floridezza e di celebrità , che già gareggia co' più rinomati d'Europa". Come altre piante portano i nomi di Begon, Bignon, Eugenio di Savoia, Carlo di Braunschweig (dedicatario di Brunsvingia) o il patrizio veneto Morosini (dedicatario di Maurocenia), "la cui memoria anima l'industria, risveglia all' azione gl' ingegni e rincuora l' umanità - concludeva - passi a' posteri al pari d'esse nobilitato e fastoso con quello di FIRMIANA". Il conte Carlo Giuseppe Gottardo (Karl Joseph Gotthard) von Firmian (1716-1782) fu ministro plenipotenziario della Lombardia per 23 anni, dal 1758 alla morte. Gli storici sono divisi sul suo ruolo nella grande stagione delle riforme austriache in Lombardia: si va da chi vede in lui "il can da guardia dell'assolutismo" o almeno un mero esecutore, per altro indolente, delle direttive di Vienna, a chi al contrario ne sottolinea il ruolo propulsivo, soprattutto per quanto riguarda le riforme ecclesiastiche e l'applicazione delle dottrine giurisdizionaliste. Cadetto di una famiglia della nobiltà trentina che da secoli forniva funzionari tanto al principe vescovo di Trento quanto agli Asburgo e che nel Settecento ebbe un momento di gloria grazie all'arcivescovo di Salisburgo Leopold Anton Eleutherius von Firmian, zio del nostro, ebbe una formazione cosmopolita prima in Baviera e in Austria, poi nei Paesi Bassi dove studiò giurisprudenza, quindi a Parigi, dove frequentò gli ambienti giansenisti; un lungo viaggio di formazione lo portò in Italia, prima a Firenze poi a Roma, dove entrò in contatto con vari circoli intellettuali e iniziò a coltivare interessi filologici e antiquari. Tornato a Vienna, fu ammesso al Consiglio aulico; piuttosto attivo e impegnato nel suo ruolo, riunì attorno a sé una piccola accademia privata, in cui si discutevano e diffondevano le idee di Muratori, Genovesi, Montesquieu. Dal 1752 al 1758 fu ministro plenipotenziario, ovvero ambasciatore, a Napoli, quindi fu trasferito a Milano. In Lombardia la sua stella brillò soprattutto nel decennio 1760-1771: il suo stesso carattere indolente corrispondeva al prudente riformismo teresiano; spiacque invece a Giuseppe II, fin da quando visitò Milano nel 1769: lo giudicava titubante e inadeguato, così come riteneva datate e superate le sue idee. Per rispetto alla madre, che invece aveva grande stima del vecchio funzionario, lo mantenne al suo posto, ma lo affiancò con uno dei suoi fratelli, l'arciduca Ferdinando, nominato governatore di Milano nel 1771; dal 1778, fu costretto a coabitare con il suo successore designato, il conte Wilczek. Per altro, i suoi ultimi anni furono di estremo decadimento anche fisico. Al di là della difficoltà di separare quanto nelle sue azioni politiche si deve a lui e quanto alle direttive di Vienna, anche gli estimatori di Firmian ammettono che la sua presenza fu più incisiva come mecenate che come politico. Amava circondarsi di artisti e intellettuali; alla sua morte (oltre a una montagna di debiti) lasciò una collezione di quadri e di stampe e una biblioteca di oltre 40.000 volumi. Cesare Beccaria gli dedicò Dei delitti e delle pene, e sempre ne ebbe stima, al contrario di Pietro Verri che ne lasciò un giudizio impietoso sul piano tanto fisico (oggi si parlerebbe di body shaming) quanto morale. Talvolta suggerite da lui, talaltra da Vienna, troviamo lo zampino di Firmian in diverse iniziative collegate alla riforma scolastica, già iniziata in Austria intorno al 1757 e estesa alla Lombardia a partire dal 1765; sia pure con molte lentezze e contraddizioni, si ebbe un deciso avanzamento dell'accesso all'istruzione dei ceti popolari e uno svecchiamento dei metodi e dei contenuti didattici, con una forte valorizzazione delle materie scientifiche. In un suo memoriale del 1765, Firmian la collocò al primo posti tra le riforme più urgenti a necessarie. A giovarsi del vento di riforma fu in primo luogo l'Università di Pavia. Nel 1769, per interessamento di Firmian, ad insegnare scienze naturali venne chiamato Lazzaro Spallanzani; nel 1771, con l'arrivo da Vienna di sette casse di minerali e altri materiali naturalistici, che avrebbero permesso al professore "di dimostrare colla loro spiegazione le varie vie che tiene la Natura nel suo operare", prendeva avvio il Museo di Scienze naturali. Erano i primi atti del rilancio dell'ateneo patavino, a insegnare nel quale nel giro di pochi anni sarebbero stati chiamati altri scienziati di risonanza europea: il botanico Giovanni Antonio Scopoli, l'anatomista Antonio Scarpa, il fisico Alessandro Volta, che sarebbe diventato anche rettore. Nel 1772 fu aperta al pubblico la Biblioteca universitaria, dal 1779 ospitata dallo splendido Salone teresiano, e nel 1773 fu fondato l'orto botanico, la cui sede fu individuata dallo stesso Firmian nell'area della chiesa di S. Epifanio e del convento dei Canonici Lateranensi. La creazione di strutture scientifiche riguardò anche Milano. Nel 1773, il barnabita Ermenegildo Pini fu incaricato di creare un Museo di storia naturale presso le scuole Arcimboldi. Forse l'iniziativa fu presa a Vienna, ma certo fu Firmian a suggerire la trasformazione del complesso di Brera in una vera e propria cittadella della cultura. Il Palazzo di Brera era stato costruito nella seconda metà del Cinquecento per ospitare il Collegio della Compagnia di Gesù; intorno al 1760 vi venne realizzato un osservatorio astronomico, diretto da padri gesuiti che erano anche rinomati astronomi. Nel 1773, con la soppressione della Compagnia, il palazzo e le aree adiacenti divennero di proprietà dello stato, che veniva così a disporre in pieno centro di un luogo ideale per riunirvi tutte le istituzioni culturali che la città aspettava da tempo. Firmian ne fu entusiasta e così scrisse a Kaunitz: "Brera dovrebbe servire per il Ginnasio ed Istituto di scienze di questa città di Milano[…] Si dovrebbero riunire in Brera le scuole Palatine, l’Aula per le dimostrazioni di Fisica sperimentale, la Camera ottica, il Laboratorio per la fusione dei metalli, il Museo delle antichità sacre e civili ed il Museo di storia naturale […] Al detto Istituto di Scienze si potrà trasportare la Biblioteca Pertusati, e formare una sala con quella di Brera […] Resterà in Brera la Specola e l’abate Lagrange […] In Brera vi sono poi le scuole inferiori […] Finalmente si potrebbe formare in Brera l’Accademia delle Arti e delle Scienze combinandola con tutti”. Il progetto trovò quasi completa attuazione negli anni successivi: già a partire dal 1774 vennero trasferite a Brera le scuole palatine, destinate all'istruzione superiore; nel 1776 venne aperta l'Accademia di Belle Arti; nel 1786, la Biblioteca Braidense, che oltre ad accogliere le biblioteche degli stessi gesuiti e quella del conte Pertusati, acquistata nel 1763 dalla Congregazione dello Stato di Milano, ricca di oltre 24.000 volumi, si divise con Pavia quella del celebre scienziato elvetico Albrecht von Haller, acquisita nel 1778 da Giuseppe II insieme al suo importantissimo erbario. Dei lavori di riallestimento del palazzo fu incaricato l'architetto Piermarini, che, oltre a predisporre le aule e ridisegnare la biblioteca, elevò nuove torri per l'osservatorio astronomico e fu coinvolto nella progettazione dell'orto botanico. Quest'ultimo fu sistemato in un terreno adiacente al lato meridionale del palazzo, che già al tempo dei Gesuiti ospitava un boschetto e un giardino, allo stesso tempo luogo di passeggio e meditazione e orto per le necessità di cucina. Al contrario di quello di Pavia, concepito come un grande orto botanico chiamato, oltre che a servire le esigenze didattiche della cattedra di chimica e botanica, a dare lustro all'Università con collezioni ricche di piante esotiche, Firmian pensava a un piccolo orto dei semplici didattico, dove coltivare le piante da utilizzare durante le lezioni pratiche (dimostrazioni) impartite agli studenti di botanica delle scuole palatine; sempre su sua proposta, nel 1774 la cattedra fu assegnata all'abate villambrosiano Fulgenzio Vitman (o Withman), che era stato il primo prefetto del giardino di Pavia. Secondo le intenzioni iniziali di Firmian, egli avrebbe dovuto provvedere anche al riadattamento del vecchio giardino dei gesuiti che, si illudeva, sarebbe avvenuto "senza spese alcuna"; per rifornirlo delle piante necessarie alle lezioni da avviare nella primavera successiva egli riteneva sufficienti due viaggi che Vitman compì tra l'estate e l'autunno del 1774, uno negli Appennini fino a Villombrosa, l'altro all'orto botanico di Torino. La realizzazione di un vero orto botanico e la coltivazione di piante esotiche dovevano aspettare tempi futuri. Vitman giunse a Milano all'inizio del 1775 e si recò ad ispezionare il giardino insieme a Piermarini, tecnici ed amministratori, scoprendo che erano necessarie opere ben più impegnative e costose; venne predisposto un progetto, che includeva anche una serra disegnata da Piermarini. Il governo approvò, ma lesinò il denaro, con la conseguenza che la serra non fu mai costruita. Vitman, tra mille difficoltà, riuscì comunque ad accrescere le collezioni, grazie a contatti con altri orti botanici, tanto in Italia quando all'estero: in primo luogo quello di Torino, ma anche Firenze e Parma, Vienna, Zurigo, Parigi e Madrid, tanto che nel 1778 il poligrafo Carlo Amoretti poté scrivere che il professore di botanica "ha un giardino sufficientemente ben fornito per le sue dimostrazioni". Un pochino lo aiutò anche Firmian che nel 1782 scrisse a Londra e a Zurigo per ordinare semi di alberi esotici per il boschetto. Le grandi foglie dell'albero parasole Insomma, sono ben due gli orti botanici che, più o meno direttamente, devono la loro nascita e il primo sviluppo a Firmian. Dunque, d'accordo con Marsili, possiamo concludere che si sia meritata la fastosa dedica di Firmiana. Il genere, appartenente alla famiglia Malvaceae (in precedenza Sterculiaceae), comprende circa 18 specie di alberi o più raramente arbusti diffusi tra l'Asia tropicale e subtropicale e il Pacifico, con centro di diversità in Cina. Decidui, sono caratterizzati da grandi foglie palmate e da fiori unisessuali riuniti in grandi infiorescenze panicolate o più raramente racemose; la stessa pianta porta sia fiori staminati sia fiori pistillati; uno dei tipo prevale, con pochi fiori dell'altro tipo. Per favorire l'impollinazione incrociata, i fiori maschili tendono ad aprirsi prima di quelli femminili. I frutti sono follicoli con endocarpo membranoso che rimangono a lungo sulla pianta prima di aprirsi. La specie più nota e coltivata è senza dubbio F. simplex, anche nota come parasole cinese. Di medie dimensioni (10-15 metri), si fa notare soprattutto per le grandissime foglie lobate dal diametro fino a 30 cm; a maturità ha una chioma arrotondata che offre una densa ombra. Di crescita rapida, è relativamente rustica, ma per fiorire ha bisogno di sole e di un'estate calda; i fiori giallo-verdastri, raccolti in appariscenti pannocchie pendule, sono seguiti da frutti piuttosto decorativi, a volte usati in composizioni di fiori e frutti secchi. Non invasiva alle nostre latitudini, lo è invece negli Stati Uniti meridionali, dove è stata introdotta come albero da legname a crescita rapida. In Cina era tradizionalmente piantata nei giardini di letterati e poeti, di cui è dunque diventata emblema. In Cina e Corea corteccia, foglie e semi hanno diversi usi medicinali. Ad attirare gli sguardi su F. colorata sono invece i fiori, campanelle pendule ricoperte di una soffice peluria rosso-aranciata, tanto più che la fioritura si produce quando l'albero è ancora spoglio. Piuttosto comune nelle foreste umide dei Ghati occidentali e del Deccan, è presente anche nello Yunnan meridionale e in Indocina. Ha anch'essa belle foglie palmate e, poiché il fusto tende ad ingrossarsi alla base, è talvolta commercializzata come caudiciforme da vaso. Studiare la natura per sollievo dell'animo, ovvero le vicissitudini di Giovanni Antonio Scopoli23/2/2023 Autore di cinquantasette pubblicazioni che spaziano dalla medicina alla zoologia, alla botanica, alla chimica, alla mineralogia, Giovanni Antonio Scopoli fu salutato dai contemporanei come "Linneo dell'impero austriaco". Il suo biografo Otto Guglia lo ha definito "il primo europeo anazionale", visto che nacque in Trentino, ma fu suddito austriaco, studiò in Italia e in Austria, lavorò e fece le sue ricerche in Slovenia, Slovacchia, Lombardia. Come botanico, è soprattutto l'iniziatore dello studio della flora slovena, grazie alla sua Flora carniolica. Come la sua gemella Entomologia carniolica, non sarebbe mai nata se il destino fosse stato più generoso con lui e non lo avesse relegato nel "carcere" di Idria, una cittadina mineraria della Slovenia, e soprattutto non l'avesse privato di tutti gli affetti più cari. Egli cominciò a battere campagne e montagne alla ricerca di insetti e piante proprio per trovare sollievo a tante disgrazie. Sebbene meno tragiche, anche le sue vicende successive furono segnate da continue contrarietà personali e professionali, tanto che egli intitolò la sua autobiografia Vitae meae vices, "Le vicissitudini della mia vita". L'ultima, beffarda e allo stesso tempo patetica, lo attendeva a Pavia, dove pensava di aver finalmente trovato il meritato riconoscimento. Grazie all'illustre von Jacquin che prima gli fu amico e poi (a sentir lui) ostile, lo ricorda la tossica Scopolia, da cui fu inizialmente estratta la scopolamina, a lungo uno dei principali anestetici. Né lo dimentica il Museo di scienze di Lubiana che ha ugualmente intitolato "Scopolia" la sua rivista ufficiale. Insetti e piante della Carniola Nella prefazione della sua Entomologia Carniolica, Giovanni Antonio Scopoli (1723-1788) ebbe a scrivere: «ricordatevi sempre che non coltivo il teatro della Natura per amore dello studio, ma per sollievo dell’animo, in verità per alleviare i tristissimi dolori della mia esistenza». Pensava certo alla tragica moglie della moglie e dei figlioletti, periti in un incendio, ma anche alle difficoltà della sua carriera, che per sedici anni lo relegò nella periferica Idria, che nella sua autobiografia definirà senza mezzi termini "carcere". Quando vi era arrivato poco più che trentenne, aveva ben altre aspirazioni, e alla sola vista di quel villaggio montano costituito solo dalle "miserrime casette inedificate dei minatori" avvertì un presago di sventura. Scopoli era nato a Cavalese in Val di Fiemme, figlio del commissario militare del principe vescovo di Trento e di una nobildonna trentina che era anche pittrice. Dopo aver iniziato gli studi a Trento, si laureò in medicina a Innsbruck, quindi esercitò la professione per qualche tempo in Val di Fiemme e a Trento. Importante fu il soggiorno a Venezia del 1745, che gli permise di approfondire le conoscenze mediche con Lotario Giuseppe Lotti, di frequentare i giardini veneziani, in particolare quello di Lionardo Sesler, e di conoscere il sistema linneano, di cui sarebbe diventato un convinto sostenitore. Tornato a Trento, si sposò e, grazie alla protezione del protomedico Borsieri, fu assunto come segretario privato del principe vescovo Leopoldo Ernesto Firmian, che accompagnò a Graz e a Passau. Approfittò dei due anni trascorsi in Stiria per preparare l'esame di abilitazione che gli avrebbe consentito di esercitare in tutto il territorio soggetto agli Asburgo; lo superò in modo brillante nel 1753, alla presenza dello stesso van Swieten; impressionato dalla sua tesi su un nuovo metodo di classificazione botanica (Methodus plantarum enumerandis stirpibus ab eo hucusque repertis destinata), questi gli promise il primo posto vacante in una condotta medica. Scopoli sperava in Linz, invece fu Idria. A fare la fortuna - o anche la sfortuna, vista la pericolosità di questo materiale - di questa cittadina annidata nelle Prealpi della Carniola fu il mercurio, scoperto negli ultimi anni del 1400; pochi anni dopo vi fu aperta una miniera e Idria si trasformò nel centro più importante della Slovenia dopo Lubiana. La vita dei minatori era precaria; vivevano stipati nelle "casone", e la loro speranza di vita non andava oltre i 40 anni. Quando vi giunse Scopoli, con le loro famiglie costituivano una comunità di 2000 persone. Già il viaggio non aveva fatti presagire nulla di buono; dopo la nomina, Scopoli era tornato in patria a prendere la moglie Albina de’ Miorini, figlia del presidente della Magnifica Comunità di Fiemme, e la figlioletta; quindi a Hall nel Tirolo la famigliola si era imbarcata per un viaggio fluviale sull'Inn, gonfio di pioggia; il giorno dopo, l'imbarcazione fu colpita da un tronco e fece naufragio; Scopoli e i suoi furono tratti in salvo, ma tutti i bagagli, compresi i libri e gli strumenti medici, andarono perduti. Ospitato a Salisburgo e poi tornato a Vienna, Scopoli sperava che l'infortunio suscitasse la benevolenza reale, e che gli fosse assegnata la condotta di Linz, che sapeva ancora vacante. Ottenne invece un dono personale di 500 fiorini da parte dell''imperatrice, informata dell'incidente, poi dovette rassegnarsi a raggiungere Idria. Anche prima della tragica morte di moglie e figli, vi si trovò malissimo. Veniva pagato attraverso i proventi del monopolio sul vino, una beffa se si pensa che l'alcolismo era uno dei problemi sanitari che affliggevano i minatori e le loro famiglie, aggiungendosi agli effetti deleteri dei vapori del mercurio. Non conoscendo la lingua del paese, poco capiva i suoi pazienti; pessimi poi erano i suoi rapporti con il direttore della miniera, interessato solo al guadagno e per nulla sollecito della salute dei lavoratori. Il lavoro era pesante, e per nulla remunerativo; dopo nove anni di tormenti, Scopoli si rassegnò a chiedere il trasferimento con una supplica. Non lo ottenne, ma nel 1763 gli fu assegnata la cattedra di metallurgia chimica alla neoistituita scuola superiore di Idria con uno stipendio annuo di 400 fiorini. A consolarlo dalle vicissitudini personali e professionali c'era solo l'ambiente naturale, con una flora e una fauna ancora del tutto inesplorate. Secondo quanto egli stesso scrive nella prefazione alla seconda edizione di Flora carniolica, le sue escursioni iniziarono intorno al 1755 con l'esplorazione dei monti e dei boschi del distretto di Idria; nel 1756 percorse le paludi e le campagne di Lubiana; nel 1757 il monte Nanos; nel 1758 i territori di Škofja Loka e di Kranj, il monte Storžič e la catena montuosa che si estende fino al fiume Kokra; nel 1759 l'area tra Lubiana e Kočevje e i monti Grintovec, Kočna e Kalški Greben; nel 1760 i pascoli alpini e i dintorni del lago di Cerknica; nel 1761 nuovamente il monte Nanos e il Senožeče, il Carso e Trieste; nel 1762 gran parte della Carniola superiore e i monti di Bohinjska Bistrica; nel 1764 i circondari di Gorizia e Duino e la costa adriatica. Il primo risultato di queste ricerche fu la prima edizione di Flora carniolica (1760), della cui pubblicazione Scopoli informò il suo idolo Linneo con una lettera datata 1 settembre 1760. Fu l'inizio di una corrispondenza che sarebbe stata interrotta solo dalla malattia e poi dalla morte dello scienziato svedese. Nel 1763 seguì l'ancor più importante Entolomologia carniolica in cui vengono descritte 1153 specie di insetti (o meglio di artropodi), più della metà delle quali nuove per la scienza, classificati in sette classi sulla base di un sistema proprio; più olistico rispetto a quello di Linneo (basato sulle ali) o di Fabricius (basato sull'apparato boccale), tenta di tenere conto di più caratteristiche possibili per giungere a una classificazione naturale. Come medico, Scopoli fu anche il primo a rendersi conto dei nefasti effetti del mercurio, illustrati in De Hydroargyro Idriensi Tentamina (1761), che fa parte della più complessivo Tentamina physicochymico-medica, un'opera che, con i suoi suggerimenti sulla sicurezza dei lavoratori, fa di Scopoli uno di padri della medicina del lavoro. Tradotta (e piratata) in Germania, insieme alla successiva Introductio ad diagnosim et usum fossilium (1763), legata all'insegnamento di metallurgia chimica, incominciò a farlo conoscere a livello internazionale. Dalla Slovacchia all'Insubria Fu certamente questa fama crescente a liberarlo finalmente dalla "prigione" di Idria. Nel 1766 gli fu proposta la cattedra di mineralogia all'Accademia di San Pietroburgo, ma egli la rifiutò, così come l'incarico di medico personale del vescovo di Passau, preferendo rimanere al servizio degli Asburgo, tanto più che contava che l'arrivo di un altro medico, Balthasar Hacquet, lo sollevasse dai compiti più ingrati. Nel 1769, accettò invece di succedere a von Jacquin alla cattedra di mineralogia e metallurgia all’Accademia mineraria di Schemnitz (oggi Banská Štiavnica in Slovacchia). Il periodo slovacco fu molto fruttuoso sul piano professionale, con la pubblicazione di molte opere che spaziano sui tre regni della natura: Anni historico-naturales (1769-1772), scritti vari di mineralogia, cristallografia, micologia e zoologia, che contengono tra l'altro la descrizione di diverse specie di uccelli provenienti da varie collezioni; Dissertationes ad scientiam naturalem pertinentes (1772), di argomento prevalentemente mineralogico; Principia mineralogiae systematice et praticae (1772), scritto come manuale per i suoi studenti; la seconda edizione di Flora carniolica (1772); Crystallographia hungarica (1776); Introductio ad historiam naturalem (1777), un tentativo di sintetizzare i "caratteri essenziali" dei generi dei tre regni della natura. Anche se continuava a interessarsi di zoologia e botanica, in questi anni, a occupare il centro dei suoi studi erano soprattutto la chimica e la mineralogia, un altro campo in cui diede contributi originali. La seconda edizione di Flora carniolica non è un semplice ampliamento della prima, ma un'opera di impostazione del tutto diversa. Nella Flora del 1760, Scopoli aveva descritto 756 specie di fanerogame e 256 di crittogame, in gran parte autoctone, dedicando anche una notevole attenzione ai funghi. Fu in effetti uno dei primi a studiare la flora e la fauna della grotte (incluso il famoso proteo Proteus anguinus); anche se apprezzava già Linneo, definito nella prefazione Princeps botanicorum, utilizzò le tradizionali denominazioni polinomiali, costituite da brevi diagnosi, e una propria classificazione "naturale" in 33 classi, una rielaborazione di quella di Tournefort. E' ancora l'opera di un medico-farmacista, e come tale Scopoli si preoccupò di integrare le descrizioni con note più o meno ampie sulle proprietà medicinali e gli eventuali altri usi. Non ci sono illustrazioni. La Flora del 1672 è quella di un linneano ortodosso, ed è esclusivamente botanica; le note farmacologiche scompaiono; di Linneo vengono adottati tanto le denominazioni binomiali quanto il sistema. Le specie lievitano a 384 crittogame, 1251 fanerogame, 141 tra funghi, licheni, alghe. Molte quelle descritte per la prima volta, e molte anche quelle che conservano ancora oggi il nome dato loro da Scopoli: tra i generi Ostrya, Rorippa, Sesleria, tra le specie Cotinus coggygria, Centaurea kartschiana, Cirsium carniolicum, Tragopogon dubius, Ostrya carpinifolia, Cakile maritima, Campanula cespitosa, Euonymus verrucosus, Genista sylvestris, Onobrychis viciifolia, Vicia grandiflora, Gentiana pannonica, Tilia platyphyllos, Sanguisorba minor, Salix alpina. Tra i funghi, ricordiamo almeno che si deve a Scopoli l'eponimo dell'ovolo reale Amanita caesarea (per lui, Agaricus caesareus), calco del nome volgare tedesco della Carniola Kaiserling. In due volumi, l'opera è illustrata da 66 tavole incise da F. Rein a partire da disegni dello stesso Scopoli. Anche negli anni slovacchi, così ricchi di pubblicazioni, non mancarono pene e contrarietà. Scopoli subì la perdita della seconda moglie Caterina de' Franchenfeldt; fu costretto a lavorare in un laboratorio umido e angusto che, oltre a mettere a dura prova la sua salute, era del tutto inadatto alle lezioni; la commissione di corte per i minerali gli proibì di pubblicare senza uno specifico permesso. Ma soprattutto la sua carriera era di nuovo bloccata; in una lettera a Linneo del 1773, lamenta che von Jacquin, che in precedenza gli era tanto amico, ora non vuole più avere nulla a che fare con lui e lo ostacola in tutto. Quando all'Università di Vienna venne istituita una seconda cattedra di storia naturale, accanto a quella di chimica e botanica tenuta appunto da von Jacquin, fece domanda per ottenerla, ma gli fu preferito l'oscuro farmacista viennese Jacob Well. Nel 1776 si risolse così ad accettare la cattedra di botanica e chimica all'Università di Pavia, dove incominciò ad insegnare nel 1777. Tra i suoi compiti la direzione dell'orto botanico, che era stato istituito nel 1773 nell'ambito delle riforme dell'insegnamento universitario promosse in Lombardia dal plenipotenziario degli Asburgo conte Firmian. Scopoli ne fece regolarizzare la superficie, creò due arboreti, rispettivamente ad est dell'edificio che ospitava il laboratorio di chimica e a nord delle serre in legno fatte costruire dal suo predecessore Valentino Brusati. Lo spazio centrale fu diviso in aiuole regolari separate da viali. La tradizione vuole che nel 1778, per commemorare l'amato Linneo, abbia fatto piantare l'esemplare di platano (Platanus x hispanica) che oggi costituisce l'albero più venerabile del giardino. Grazie ai suoi molti corrispondenti (all'epoca era membro di innumerevoli società scientifiche) inserì il nuovo giardino nel circuito internazionale degli orti botanici, accrescendone notevolmente le collezioni attraverso scambi. La sistemazione dell'orto botanico e del laboratorio di chimica lo distolsero per qualche tempo da nuove pubblicazioni, tanto più che era impegnato nella traduzione del Dizionario di chimica di Macquer. Ambiva però a pubblicare una grande opera illustrata, con la descrizione di specie rare e inedite; il progetto si tradusse nella raffinata e costosa ultima opera di Scopoli, Deliciae florae et faunae insubricae, in tre parti (1786-1788), una rassegna illustrata di animali, piante e minerali, in parte raccolti da lui stesso durante le sue escursioni naturalistiche in Lombardia o da allievi e corrispondenti, in parte coltivati nell'orto botanico o conservati nelle collezioni museali; vi pubblicò anche mammiferi e uccelli esotici raccolti da Pierre Sonnerat durante i suoi viaggi. Nel terzo e ultimo volume incluse un'autobiografia (Vitae meae vices, ovvero "Le vicissitudini della mia vita"). Deliciae florae et faunae insubricae, per altri aspetti pregevole, segnò la fine di Scopoli, che, nella smania di pubblicare, di tenere alta la propria fama internazionale, magari con uno scoop naturalistico, incappò in un madornale errore; nel 1785, mentre era alla ricerca di materiali curiosi e soprattutto inediti per la prima serie, fu avvicinato da un sedicente medico di campagna che gli offrì uno " singolarissimo verme" conservato sott'alcool; a suo dire, lo aveva vomitato una donna piemontese poco prima del parto. Con la bocca aperta e due tubi divergenti, era davvero mai visto e entusiasmò Scopoli che si affrettò a farlo disegnare e lo pubblicò nel primo fascicolo come Physis intestinalis, con tanto di dedica a Joseph Banks. Il povero Scopoli era stato vittima di un truffatore (o forse di una beffa): non si trattava di un verme, ma di un artefatto, la trachea e l'esofago di una gallina con la parte inferiore cucita. La verità sarebbe venuta a galla tre anni dopo, in seguito a uno squallido episodio in cui, purtroppo, il nostro protagonista fece una pessima figura. Fin dal suo arrivo a Pavia, si era delineata una forte tensione con un altro scienziato universale, Lazzaro Spallanzani, titolare della cattedra di scienze naturali e creatore del Museo di scienza naturale dell'Università, al quale lo stesso Scopoli vendette una parte delle sue collezioni; Spallanzani ne aveva controllato il catalogo, rilevando diverse mancanze, con grande disappunto del nostro, che in tal modo passava per ladro o imbroglione. C'era poi una rivalità scientifica: Scopoli era un sistematico, un catalogatore linneano, per il quale il compito principale della scienza era catalogare la natura, e la massima aspirazione era aggiungere un nuovo tassello alla lista; Spallanzani era un fisiologo, attento soprattutto alle funzioni e ai meccanismi fisiologici. Si aggiunga l'antipatia personale, alimentata dal dileggio dell'emiliano Spallanzani per il "dialetto germanico-italico" del trentino Scopoli. Fu certamente quest'astio a spingere quest'ultimo a divenire parte attiva di una vera e propria congiura ordita dal custode del Museo naturale, Giovanni Serafino Volta (omonimo e non parente di Alessandro, all'epoca rettore dell'Università), il quale, approfittando dell'assenza di Spallanzani, che era andato a Costantinopoli in viaggio di studio, lo accusò di essersi impadronito di diversi esemplari del Museo per arricchire la propria collezione privata. Rivelò la sua presunta scoperta, oltre che a Scopoli, al medico e anatomista Antonio Scarpa, titolare della cattedra di anatomia, e al matematico Gregorio Fontana, direttore della biblioteca universitaria; nell'estate del 1786 i quattro inviarono una denuncia sia al governo imperiale della Lombardia sia alla Commissione ecclesiastica degli studi (Spallanzani era infatti abate). Scopoli si incaricò di informare del fattaccio urbi et orbi, scrivendo una lettera circolare che fu inviata ai membri delle università italiane e a personalità della scienza e della cultura europea: certamente in buona fede, ma accecato dal rancore vide nella vicenda la "mano di Dio", che aveva ritorto la stessa accusa infamante contro colui che l'aveva ingiustamente accusato di furto. All'epoca Pavia era la più quotata università italiana; l'accusato era illustre, e lo erano altrettanto almeno due degli accusatori, Scarpa e Scopoli. Lo scandalo era dunque clamoroso. Le autorità austriache si affrettarono ad ordinare un'inchiesta, diretta del plenipotenziario Wilczeck; Spallanzani fu del tutto scagionato con tanto di editto imperiale, che allontanò Volta e ammonì i tre professori per "per il danno arrecato alla reputazione di Spallanzani, accusandolo senza prove sufficienti", per essersi fidati ciecamente delle false affermazioni di Volta. Ma, purtroppo per Scopoli, anche se conservò la cattedra, la storia non finì lì. Nel 1788, vennero pubblicate due lettere al "signor Dottore Scopoli", datate da Zoopoli, a firma di una certo dottor Francesco Lombardini bolognese. Anche se egli lo negò sempre, l'autore era Spallanzani che, nel tono più beffardo, coprì Scopoli di ridicolo per aver scambiato le viscere di un pollo per un inedito verme intestinale. Il vaso con il "verme singolarissimo" sparì prontamente dal Museo, ma ormai il danno era fatto. Travolto dal discredito, l'8 maggio 1788, mentre si celebrava la festa di san Pio, in onore di papa Pio V, fondatore del Collegio Ghislieri, il povero Scopoli si accasciò per un ictus sotto il portico dell'Istituto. Dediche botaniche Insomma, il destino giocò con Scopoli fino alla fine, preparandogli una morte al tempo stesso tragica e grottesca, di cui si spiacque ormai troppo tardi anche lo stesso Spallanzani. La sgradevole vicenda non intaccò per altro la stima per una luminosa carriera scientifica, costellata di più di cinquanta pubblicazioni con contributi originali in tutti i campi che aveva toccato. Per limitarci alla botanica, Flora carniolica è ancora oggi una pietra miliare, per aver avviato lo studio della flora della Slovenia e più in generale delle Alpi orientali. Nella tassonomia botanica, celebrano Scopoli l'eponimo di due specie soprattutto balcaniche, Arabis scopoliana e Senecio scopolii, una centro europea ma presente anche in Italia, Scrophularia scopolii; recentissima è la dedica di Hieracium scopolii, endemismo del monte Lesima tra Piacenza e Pavia. A dedicare al naturalista trentino un genere Scopolia furono in parecchi; ad aprire le danze fu Adanson (che tra l'altro Scopoli ammirava moltissimo: entrambi aspiravano a un sistema naturale); seguirono von Jacquin, i Forster, il figlio di Linneo, James Edward Smith. Tutti nomi di peso che attestano la sua fama europea. Poiché la denominazione di von Jacquin era più nota di quella di Adanson, tanto da essere fatta propria da Linneo, è quella conservata (nomen conservandum); e non si tratta di una dedica da poco. Nella prima edizione di Flora carniolica Scopoli descrisse una pianta che "vive in tutti i boschi ombrosi nei pressi di Idria" con la seguente diagnosi: "Atropa caule herbaceo, foliis ovatis interis, calycibus erectis, fructu capsulari" (belladonna con fusto erbaceo, foglie ovate intere, calici eretti, frutto a capsula). La mise poi a confronto con Atropa belladonna, chiarendone con grande precisione caratteristiche comuni e differenti. Tre anni dopo von Jacquin, che da poco si era trasferito a Banská Štiavnica ad occupare la cattedra che poi sarebbe stata di Scopoli, individuò in questa specie un nuovo genere, che dedicò opportunamente allo scopritore: "Scopola carniolica. Questa pianta che nasce spontaneamente nei boschi ombrosi di Idria, se non erro, fu scoperta e descritta per primo da Giovanni Antonio Scopoli, medico di Idria e indefesso cultore della storia naturale; poiché mi pare richieda assolutamente un nuovo genere, l'ho chiamata Scopola dal suo scopritore". Come si vede, von Jacquin chiamò il nuovo genere, scorrettamente, Scopola, senza i. Sembra che il nome spiacesse a Scopoli, visto che in veneziano una scopola è uno schiaffone. Nel 1767 Linneo aggiustò le cose, modificando la denominazione in Scopolia, anche se come eponimo, visto che attribuì la specie al genere Hyoscyamus come H. scopolia. Velenosissima, è una delle tre specie di questo genere delle Solanaceae, che sembra in effetti collocarsi a metà tra i generi Atropa, che ricorda per il rizoma, le foglie e i fiori, e Hyoscyamus, che ricorda per i frutti. E' probabile che ben prima che Scopoli la "scoprisse", fosse ben nota a guaritrici e fattucchiere; secondo alcune fonti, fin dal tardo Medioevo era utilizzato come narcotico, anestetico e ingrediente di filtri amorosi, oltre che per scopi criminali; contiene infatti diversi alcaloidi (iosciamina, atropina, scopolamina), con proprietà simili a quelle della belladonna. Del resto, nel 1554 era già stata descritta da Mattioli che l'aveva raccolta sul monte Sabotino quando viveva a Gorizia e la pubblicò come Solanum somnificum alterum. Nel 1824, Ernst A. Schmidt dell'università di Marburg estrasse dal rizoma di Scopolia carniolica il principio attivo chiamato scopolamina, un alcaloide con effetti narcotici ed allucinogeni, estremamente tossico anche in piccole dosi. Nell'Ottocento, ebbe un certo uso come anestetico, tanto che la società slovena di anestesiologia ha scelto Scopolia carniolica come proprio simbolo, anche se il suo uso è stato abbandonato da tempo. Nella seconda metà del Novecento la scopolamina venne usata come componente del siero della verità dalla CIA e da altre agenzie, finché si capì che altera talmente la percezione della realtà da dare risultati inaffidabili. Scopolia carniolica è diffusa in modo discontinuo nell'Europa centro-meridionale e sud-orientale, in particolare nei Carpazi e nella penisola balcanica; è presente anche altrove (Germania, Danimarca, Ucraina, Russia), ma potrebbe essere stata introdotta come pianta medicinale, importante nell'Ottocento per l'estrazione di atropina e scopolamina. Anche la sua distribuzione in Italia è disgiunta: la si trova infatti nel Biellese e in poste stazione delle Prealpi Giulie lungo il confine con la Slovenia. Endemica di quest'ultima è la rara S. carniolica var, hladnikiana. Le altre specie sono S. caucasica, nativa del Caucaso settentrionale, e S. japonica, presente in Corea e Giappone. Per finire, un ultimo omaggio... cartaceo. Per celebrare colui che è indubbiamente il fondatore dello studio della flora slovena, l'organo del Museo di scienze naturali di Lubiana è stato battezzata "Scopolia". Due belle piante alpine, Favratia zoysii (sin. Campanula zoysii) e Viola calcarata subsp. zoysii (sin. Viola zoysii), entrambe endemiche delle Alpi Giulie, e il genere orientale di graminacee Zoysia, molto popolare per creare tappeti erbosi resistenti al calpestio e alla siccità, celebrano il barone sloveno Karel Zois, che si fece conoscere nell'ambiente botanico austriaco e tedesco con i suoi invii di piante alpine. Vissuto all'ombra del molto più celebre fratello maggiore Žiga Zois, figura chiave dell'illuminismo sloveno, insieme a lui creò un parco ricco di piante esotiche che comprendeva anche un giardino alpino, il più antico della Slovenia (nonché uno dei primissimi al mondo). Un fratello famoso e brillante Nei primi anni del Settecento, i fratelli Francesco e Michelangelo Zois, nati a Berbenno in Valle Imagna (Bergamo), andarono a cercare fortuna a Venezia. Mentre il primo rimaneva nella città lagunare, il secondo intorno al 1720 si trasferì a Lubiana per lavorare nella bottega di un conterraneo che aveva fatto fortuna, Peter Anton Codelli, un mercante che commerciava in telerie e materiali ferrosi. Nel 1727, ottenne la cittadinanza e insieme a un socio rilevò la ditta. Era l'inizio di una straordinaria ascesa economica e sociale: già nel 1730 era membro del consiglio municipale, nel 1735 acquistò l'intera ditta e ne espanse gli affari; vedeva in Italia il ferro e l'acciaio della Carniola, importava attraverso Venezia prodotti orientali (uvetta, mandorle, fichi, allume, mastice, candele, incenso) che esportava in Germania e in Austria. Negli anni '40 e '50, grazie all'acquisto di diverse miniere e fonderie, controllava quasi l'intero settore siderurgico della Carniola ed era ormai una delle persone più ricche del paese. Nel 1737 fu insignito della nobiltà ereditaria, nel 1747 sposò in seconde nozze una nobildonna slovena e dal 1760 si fregiò del titolo di barone (Freyherr zu Edelstein). Era anche un grosso proprietario terriero; tra le sue tante proprietà, spicca il castello rinascimentale di Brdo, acquistato intorno a 1755. Situato nei pressi Kranj, al centro di una tenuta di 500 ettari, oggi è la principale sede di rappresentanza della Repubblica di Slovenia; qui visse per gran parte della sua non lunga vita il botanico Karel Zois (Karel Filip Evgen, in tedesco Carl Filipp Eugen Zois Freiherr von Edelstein, 1756-1799). Era uno dei più giovani dei numerosi figli (almeno otto) nati dal secondo matrimonio di Michelangelo Zois; sulla sua vita personale non sappiamo molto, forse perché è stato oscurato dal ben più famoso fratello maggiore Žiga (Sigismondo o Sigmund, 1747-1819), il principale esponente dell'illuminismo sloveno. Oltre a far prosperare gli affari di famiglia con l'aiuto del cugino Bernardin (figlio di un fratello di Michelangelo), Žiga Zois fece del suo palazzo di Lubiana il punto d'incontro degli artisti e degli intellettuali della Carniola; incoraggiò la codificazione dello sloveno, fino ad allora considerato un semplice dialetto, promuovendo anche la pubblicazione del primo giornale in lingua slovena, Lublanske novice. Mecenate di artisti e scienziati, si interessò egli stesso di geologia, mineralogia, zoologia (inviando tra l'altro alcuni esemplari di proteo Proteus anguinus a Schreiber perché ne studiasse l'anatomia), nonché botanica, probabilmente per influsso del fratello. Da buon proprietario di miniere e ferriere, era soprattutto un geologo e come tale è ricordato dal minerale zoisite, che gli fu dedicato nel 1805 da Abraham Gottlob Werner cui ne aveva inviato un campione raccolto sulla Svinška planina. Tra i maggiori esponenti del suo circolo, per il suo ruolo pionieristico nello studio della geologia e della flora delle Alpi Giulie, va citato il chirurgo di origini francesi Belsazar Hacquet (1739-1815); dopo una vita avventurosa, egli lavorò dapprima a Idria come chirurgo minerario e ostetrico. Qui conobbe il lavoro di Scopoli, che attirò la sua attenzione sulla flora della Carniola; ne continuò le ricerche esplorando le Alpi Retiche, Noriche, Carniche e Giulie. Nel 1773 si trasferì a Lubiana come docente del Liceo medico e chirurgico e della scuola di ostetricia e divenne segretario dell'Associazione agricola della Carniola, di cui Žiga Zois era membro eminente; divenuto suo stretto amico e collaboratore, lo aiutò a creare un gabinetto di scienze naturali e una notevole biblioteca e lo assistette nelle sue ricerche mineralogiche e geologiche. Una passione condivisa (anche da Karel, come vedremo più avanti) era quella per le montagne: già nel 1777 Hacquet aveva tentato di raggiungere la vetta del Triglav, la maggiore della Slovenia (2864 m.), ma aveva dovuto accontentarsi del Mali Triglav (2725 m). Certamente su suo suggerimento, nel 1778 il barone Zois finanziò la prima scalata coronata da successo, cui parteciparono il chirurgo Lovrenc Willomitzer (che era stato allievo di Hacquet a Idria), un cacciatore di camosci e due minatori che lavoravano per Zois. Uno di loro, Matevž Kos, è anche il più noto dei raccoglitori di Karel. Proprio la natura del Triglav trascinò Zois nella grande disputa che nel Settecento divideva i geologi; secondo i nettunisti e il loro caposcuola Werner, tutte le rocce avevano un'origine marina; sulla scia dello scozzese James Hatton, i plutonisti sottolineavano invece il ruolo del magma e delle eruzioni vulcaniche nei processi di formazione delle rocce. Un convinto seguace di questa posizione era Johann Ehrenreich von Fichtel di Sibiu in Transilvania, cui Zois aveva inviato campioni di rocce raccolte ai piedi di monti Vršac e Triglav. Nel suo Mineralogische Aufsätze (1794) Fichtel sostenne che questi fossili provavano che le parti basse del massiccio erano costituite da sedimenti di origine marina (calcari secondari), mentre le parti più alte erano costituite da rocce calcaree primarie di origine magmatica. Zois, che tra l'altro corrispondeva con Dolomieu, che fu suo ospite nel 1784, non era d'accordo: era convito che anche le rocce calcaree della sommità fossero di origine marina; se i suoi campioni di fossili venivano dalle parti basse, era perché non aveva chiesto ai suoi uomini di raccoglierne ad altezze maggiori. Urgeva una spedizione geologica in piena regola. Zois la affidò a due sacerdoti, Valentin Vodnik e Jožef Pinhak, accompagnati dal conte Franz Hohenwart e da alcune guide, tra cui Matevž Kos e un altro dei raccoglitori di Karel Zois, Andrej Legat. Nell'agosto il gruppo esplorò il Vršac, a settembre il Triglav, raccogliendo abbastanza fossili da dimostrare le origini marine anche delle parti alte del massiccio. Valentin Vodnik era anche un poeta, e quella scalata ispirò uno dei suoi poemi più celebri, intitolato appunto Vršac. Fu poi uno dei principali redattori di Lublanske novice, riunendo nella sua persona i diversi aspetti del mecenatismo di Žiga Zois: gli interessi letterari, la promozione della lingua e della cultura slovena, la ricerca scientifica e l'amore per la montagna. Della generosità di Zois si giovarono anche i cittadini di Lubiana, cui aprì il giardino che fece costruire su un tratto delle antiche mura; la sua collezione di oltre 5000 minerali andò a costituire il primo nucleo del Museo di scienze naturali di Lubiana. Un botanico rispettato, ma oscuro Rispetto a questa brillante e poliedrica figura, il fratello minore Karel appare decisamente in ombra. Non faceva parte del "circolo di Zois", e neppure viveva a Lubiana, ma per lo più a Brdo o anche a Javornik nell'Alta Carniola, dove gli Zois, oltre alla loro maggiore fonderia, possedevano una casa padronale. Questa scelta contro corrente e la relativa carenza di informazioni su di lui hanno dato origine a qualche malignità. Uno dei suoi primi biografi, Karel Dežman, ipotizzò che fosse "un po' eccentrico"; Voss raccolse la voce che non fosse in buoni rapporti con il fratello maggiore e che, dopo la sua morte, questi avesse fatto sparire tutti i documenti più o meno compromettenti. Nada Praprotnik, che ha dedicato molti studi a questi precursore della botanica slovena, ritrovando anche documenti inediti, contesta almeno la seconda affermazione; fino al 1795, quando la gravissima gotta di cui soffriva relegò Žiga nella casa di Lubiana e lo costrinse su una sedia a rotelle da lui stesso progettata, il barone trascorreva lunghi periodi a Brdo e Javornik e visitava spesso le ferriere. Condivideva la passione per la botanica del fratello, era orgogliosissimo delle piante che gli furono dedicate, e incoraggiò in ogni modo le sue ricerche. Illuminante a tale proposito è una sua lettera a Hacquet: "La sua passione botanica mi sta già influenzando. Ho avuto la fortuna di potergli inviare il tuo Leontodon terglouense con altri materiali che ho riconosciuto dai tuoi disegni. Sulle nostre montagne ci sono molte piante che tu e il signor Scopoli avete ignorato; i miei numerosi lavoratori delle miniere e delle foreste più alte mi permettono di cercarle. Ho fatto ristrutturare una piccola casa colonica a due terzi dell'altezza di Belščica in modo che l'anno prossimo io vi possa trascorrere il mese di luglio per dedicarmi alla botanica sulle cime e lungo la valle. Successivamente partiremo per Bohinj. Ho trovato modo di far portare mio fratello a cavallo a Vele Polje sul Triglav a basso costo, e spero di arrivarci io stesso". Forse, semplicemente Karel era di salute cagionevole (morì a poco più di quarant'anni), oppure non amava la città e la vita di società. Secondo Wulfen, a iniziarlo alla botanica fu un suo ex allievo del collegio gesuitico di Lubiana, un certo Weber; sicuramente determinante fu l'esempio di Hacquet, autore fra l'altro di una Flora carniolica, che lo stimava al punto che, quando partì da Lubiana alla volta di Leopoli, gli lasciò il suo erbario. Il vero mentore di Karel Zois fu però Franz Xaver Wulfen, al quale il barone sloveno inviò diverse piante che il gesuita pubblicò a partire dal 1788. Nada Praprotnik ne ha individuate una dozzina, a cominciare dalle due che portano il suo nome: Campanula zoysii (oggi Favratia zoysii), raccolta da Zois nelle montagne di Bohinj e sullo Storžič; Viola zoysii (oggi Viola calcarata subsp. zoysii) che gli spedì a Klagenfurt intorno al 1785 "dalle Alpi della Carniola al confine con la Carinzia, viva, ancora con la terra". Altri endemismi delle Alpi Giulie e Carniche segnalate da Zois e pubblicate da Wulfen sono Saxifraga tenella e Moehringia villosa. Zois era anche in contatto con altri botanici: a Willdenow inviò Senecio carniolicus (oggi Jacobaea carniolica), a Sternberg piante vive di Saxifraga atropurpurea (oggi Saxifraga exarata subsp. ampullacea) raccolte a Konjska Planina. Invece Thomas Host lo cita per Stemmacantha rhapontica (oggi Leuzea rhapontica subsp. rhapontica) raccolta sulle montagne di Bohinj. Sappiamo da diverse testimonianze che i fratelli Zois possedevano almeno due capanne o rifugi montani, da cui Karel partiva per le sue escursioni. Abbiamo già incontrato quella che sorgeva sotto Belščica sulle Caravanche; non esiste più ma è rimasto il nome Gospodova koča ("capanna del signore") perche la usava "un signore che era solito raccogliere piante". L'altra si trovava sul Dvojno jezero nella valle dei laghi del Triglav, o forse più in alto presso il lago Ledvice (a meno che le capanne fossero tre). Nel 1795 vi fecero sosta i membri della spedizione al Triglav; secondo la testimonianza di Franz Hohenwart, era costruita in legno di larice, comprendeva un'ampia cucina, dove dormivano anche i servitori, un magazzino per le provviste e le raccolte, camere per gli ospiti, una stanza da letto e un salotto per il barone. Arrivato poco prima del tramonto, il gruppo fu accolto molto ospitalmente e poté ammirare l'opera di Karel Zois che, sebbene si trovasse nel rifugio da solo una settimana, aveva raccolto già più di mille piante, molte delle quali destinate ai suoi corrispondenti; prima che potessero disimpegnarsi, ci vollero due ore! Chiaramente le piante venivano raccolte in più esemplari; alcune venivano essiccate per l'erbario (alla sua morte, Karel Zois lasciò un erbario di 2100 esemplari, per lo più costituito da piante alpine) o per essere spedite ad amici e corrispondenti; altre venivano portate vive a valle. Oltre a quelle raccolte di persona, Zois si serviva di una serie di raccoglitori professionisti; erano fittavoli o dipendenti della famiglia in qualità di boscaioli, cacciatori o minatori; tra i primi scalatori del Triglav, abbiamo già incontrato Matevž Kos e Andrej Legat. Secondo Wulfen, fu Kos a raccogliere Malaxis monophyllos sulle pendici del Vršac. Le piante vive, insieme a ceste di terra di montagna, andavano ad arricchire il giardino alpino che, con molta spesa e grande impegno, Karel Zois volle sul lato sud-est del parco di Brdo. Il castello era circondato da una vasta tenuta, con foreste, stagni, frutteti. Molto probabilmente già all'inizio del Settecento a sud dell'edificio c'era un parterre in stile barocco, con un asse principale lungo 600 metri, percorso da un ampio viale, con aiuole a ramages delimitate da siepi di bosso su entrambi i lati. Questa parte venne mantenute, ma già all'epoca di Michelangelo venne creato un giardino recintato che combinava il giardino di piacere con la tenuta agricola; progettato su due livelli, con un dislivello di 60 cm, era diviso in 24 parcelle rettangolari uniformi e simmetriche, piantate in vario modo e delimitate da alberi da frutto e siepi di agrifoglio. A partire dal 1784 o 1785, i fratelli Zois, pur rispettando la sostanzialmente l'impianto preesistente, intervennero aggiungendo diversi elementi: un nuovo viale con tigli posti su sei file e prati e campi su entrambi i lati; due stagni, ciascuno dei quali dotato di un padiglione estivo a pagoda e collegato al castello da un viale di carpini; diversi edifici, tra cui cottage rustici con il tetto di paglia, una gloriette, una ghiacciaia, una rimessa per barche e una pista da bowling; per le piante esotiche c'erano sia una serra sia un'orangerie, dove venivano ricoverate le piante in vaso che nella bella stagione era esposte all'esterno. Poiché utilizzavano il medesimo impianto di riscaldamento, forse erano due settori dello stesso edificio. Tra il 1785 e il 1796, a Brdo vennero piantati 6.398 alberi e 1.063 arbusti autoctoni ed esotici; le ornamentali esotiche furono fatte venire per lo più dall'Olanda ma anche dall'Inghilterra (tra i fornitori, il celebre vivaio Loddiges); per moltiplicarli, sul lato est venne creato un vivaio (Novina). A Karel le specie esotiche interessavano soprattutto come oggetto di studio; era lui a occuparsi della loro scelta e a tenere i contatti con i fornitori. Alcuni li ottenne anche dai suoi corrispondenti, in particolare da Thomas Host che, in cambio delle piante alpine, gli procurò diverse piante esotiche, probabilmente coltivate a Schönbrunn. La pupilla degli occhi di Karel Zois era però il giardino botanico alpino, che venne creato sul lato più assolato del giardino. Qui egli fece trapiantare le piante alpine che raccoglieva durante le sue escursioni o gli venivano portate dai suoi raccoglitori. Fare crescere e sopravvivere a Brdo, a circa 420 m sul livello del mare, piante che crescono molto più in alto e hanno esigenze particolari e diversificate non dovette essere un'impresa facile. Il giardino fu certamente preparato con grande accuratezza, provvedendo a fornire ad ogni pianta l'esposizione e il terreno giusto. Lo fa pensare il fatto che vi fossero coltivate con successo piante notoriamente difficili come l'orchidea Cypripedium calceolus, le emiparassite Pedicularis o la calcifila Tozzia alpina. Tra i manoscritti di Žiga Zois, ci è giunto un "Elenco principale dei semi delle piante alpine" che però fu certamente scritto da Karel Zois, come si deduce dal fatto che Campanula zoysii è chiamata "campanula mea"; è citata più volte, mentre non sembra che egli coltivasse la "sua" viola: forse era troppo difficile farla prosperare in pianura, o si accontentava di goderla nel suo cottage sulle Caravanche, dove ancora oggi cresce in abbondanza. Molte delle piante alpine coltivate a Brdo erano piuttosto comuni, ma non mancavano le specie più rare come un'altra campanula, Campanula cespitosa, un endemismo delle Alpi orientali scoperto da Scopoli; Lilium carniolicum, di distribuzione strettamente carsica; Primula carniolica, un raro endemismo sloveno che cresce solo nel settore settentrionale della Selva di Trnovo nelle Alpi Giulie; Drypis spinosa, una specie tipica dei ghiaioni calcarei, un endemismo illirico con stazioni disgiunte nelle Alpi di Kamnik; Geranium argenteum, che in Slovenia cresce solo in poche stazioni e probabilmente fu raccolto sul Črna prst, che già Wulfen considerava un vero e proprio giardino naturale per la sua ricchezza di specie. Oltre alle piante dei monti della Slovenia, Karel Zois coltivava anche specie montane ottenute dai suoi corrispondenti: ad esempio, non crescono in Slovenia Lomatogonium carinthiacum e Wulfenia carinthiaca, i cui semi gli vennero inviati dal direttore dell'orto botanico di Vienna von Jacquin. Alcune specie venivano da molto più lontano: nell'elenco e nei quaderni di Zois sono citate piante asiatiche provenienti dalla Siberia, dalla Kamčatka o dal lago Baikal. Probabilmente a procurargliele fu un altro illustre corrispondente, Peter Simon Pallas. Il giardino botanico alpino di Karel Zois è di grande importanza storica: non solo fu il primo orto botanico della Slovenia, ma è in assoluto uno dei primissimi giardini alpini. Basti pensare che l'Alpengarten del Belvedere a Vienna, che vanta la primogenitura, fu fondato successivamente, nel 1803. Tuttavia fu di brevissima durata: Karel Zois morì a soli 43 anni nella casa di famiglia a Trieste. Il fratello, ormai prigioniero della gotta, non visitava da tempo la proprietà, e alla sua morte, nel 1819, la lasciò a un nipote (anch'egli si chiamava Karel Zois) che trascurò del tutto sia il giardino alpino sia il vivaio. Nel catasto del 1826, mentre compare ancora il giardino barocco, non esistono più né l'uno né l'altro. Erbe per prati indistruttibili Oltre che dall'eponimo delle due specie che gli furono dedicate da Wulfen, Karel Zois è ricordato dal genere Zoysia, omaggio di Willdenow con questa motivazione: "In memoria del barone Karl Zois di Lubiana, che ha studiato con grande zelo la flora del suo paese e attraverso un'attenta ricerca ha scoperto diverse nuove specie". Questo genere della famiglia Poaceae comprende otto specie di erbe originarie di una vasta area che va dall'Oceano indiano al Pacifico, con centro di diversità nell'Asia sud-orientale; sono erbacee perenni rizomatose tappezzanti con lamina fogliare breve, stretta e piatta che formano tappeti erbosi bassi e densi. Originarie di paesi caldi, fanno parte delle cosiddette "essenze macroterme", ovvero di quelle specie di graminacee per prati erbosi che prediligano climi caldi, hanno una notevole resistenza alla siccità, posseggono apparati radicali profondi e aggressivi che consentono loro di riprendersi rapidamente dopo la pausa invernale, durante la quale tendono a ingiallire o a perdere la parte aerea. Sono anche fortemente resistenti al calpestio, per cui trovano largo impiego, oltre che nei prati ornamentali, negli impianti sportivi come campi da golf, da calcio o da rugby, Le Zoysia formano un tappeto erboso molto fitto e compatto, che tende naturalmente a non permettere la crescita delle infestanti (tranne che nel periodo di dormienza, che è uno dei loro talloni d'Achille); la crescita è poi molto lenta, richiedendo quindi tagli meno frequenti delle classiche erbe da prato all'inglese. Ma soprattutto sono estremamente resistenti sia alle alte temperature sia alla siccità. In commercio si trovano essenzialmente due specie, Z. japonica e Z. matrella. Z. japonica, più settentrionale, è presente in Cina, Manciuria, Corea, Giappone; negli Stati Uniti fu introdotta dalla Cina nel 1895 e presto divenne la specie più utilizzata nei due terzi meridionali del paese. Rispetto alle altre specie, ha una tessitura più grossolana, cresce più rapidamente e necessita di almeno quattro ore di sole al giorno. Soprattutto negli Stati Uniti, ne sono state sviluppate numerose cultivar tra le quali 'Zenith' si segnala per la maggiore resistenza alle basse temperature (fino a -10). Z. matrella è diffusa in un'area vastissima che va dal Madagascar e dalle Mascarene a occidente fino alle isole Salomone a oriente; se ne distinguono due varietà: la più occidentale Z. matrella var. matrella, spesso commercializzata con il vecchio nome Z. tenuifolia, anche nota come "erba delle Mascarene" (dal Madagascar all'Australia settentrionale) e la più orientale, Z, matrella var. pacifica (dall'Indocina al Pacifico nord-occidentale), nota come "erba di Manila". Si distingue da Z. japonica per la lamina fogliare più fine (strettissima in Z. matrella var. matrella), i ciuffi più fitti, la predilezione per i terreni sabbiosi anche poveri e la resistenza alla salinità, essendo una specie prevalentemente costiera. La varietà occidentale con il nome Z. tenuifolia è stata fatta conoscere in Europa da Elie Bonaut, floricoltore di Antibes, che ne ha diffuso la coltivazione nella riviera francese. La sua principale caratteristica è la versatilità; inoltre ha un periodo di dormienza più breve (1-2 mesi). Anche di questa specie esistono molte cultivar, come 'BRF Zoysia' (la sigla sta per Blade Runner Farm), una delle più utilizzate per i campi da golf. Esistono anche ibridi tra le due specie, il cui nome botanico è Zoysia x forbesiana, dall'agronomo statunitense che per primo tentò questo incrocio. In epoca di riscaldamento globale e di precipitazioni ridotte, un prato di Zoysia può essere una soluzione particolarmente sostenibile, adatta anche a giardinieri pigri, anche se non sarà davvero "indistruttibile" come vanta la pubblicità. Ma così come c'è uno Zois famoso e uno più defilato, oltre a questa regina del green, abbiamo anche un'altra, più oscura Zoysia, anzi... falsa Zoysia. Nel 1924 in Somalia venne raccolta un'erba che a prima vista assomigliava a una Zoysia, ma non lo era. Nel 1928 il botanico italiano Chiovenda la pubblicò, denominandola Pseudozoysia sessilis. Unica specie di questo genere, è una piccola erbacea perenne, alta meno di 15 cm; anch'essa forma densi ciuffi di foglie con lamina stretta e lineare e ha infiorescenze a falsa spiga con spighette su assi contratti; è un'alofita che cresce sulle dune costiere. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2024
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