Curioso destino, quello del dottor John Boswell, ultimo allievo scozzese di Boerhaave, stimato medico di Edimburgo, collezionista e studioso di cose naturali: per tutti è solo lo zio di suo nipote, lo scrittore James Boswell (che a sua volta vive di gloria riflessa come biografo del dottor Johnson). Eppure, grazie a un atto di generosità, è anche il dedicatario di un genere botanico di enorme importanza culturale: Boswellia, ovvero le piante da cui si ricava l'incenso. Sacri granelli misteriosi Il sacro profuma d'incenso. Un aroma che aleggia non solo nelle chiese cattoliche, ma nei templi buddisti o indù, nelle moschee e nelle sinagoghe, e che arriva da lontano. La più antica attestazione del suo uso cerimoniale ci porta addirittura nelle tombe dell'antico Egitto 3500 anni fa. Nel suo significato generale, il termine incenso, dal latino incendere "bruciare", può indicare una varietà di sostanze vegetali (resine, foglie, radici, legno, bacche) che quando vengono bruciate emanano un fumo aromatico. Molte sostanze possono rientrare in questa categoria, ma nel significato più specifico il termine designa un gruppo di oleoresine ricavate da diverse specie del genere Boswellia, note come franchincenso, ovvero "incenso vero". Nell'antichità, come è esistita una via della seta, c'era anche una via dell'incenso. Fin dal II millennio a.C., le carovane cariche dei preziosi grani di resina profumata, partite dallo Yemen meridionale, il mitico regno di Saba, la percorrevano per raggiungere l'Egitto, le coste mediterranee, la Mezzaluna fertile, la Persia, mentre le navi, cariche di questa e altre merci preziose, salpavano per l'India. I migliori clienti divennero però i Romani, che importavano da quella che chiamavano Arabia Felice enormi quantità di thus o olibanum (adattamento del gr. libanon, a sua volta da una parola semitica che significa "bianco", il colore dei granelli di resina essiccati). Tuttavia, in seguito a una serie di circostanze politiche, il flusso incominciò ad inaridirsi a partire dal III secolo d.C. e nella tarda antichità la via dell'incenso cessò d'esistere. Solo dopo il Mille, e ancor più con le crociate, le chiese europee tornarono a profumare d'incenso. Ma, visto che la preziosa sostanza arrivava in Europa sotto forma di granuli, nessuno sapeva con precisione da quale pianta si ricavasse. Nei libri degli antichi gli studiosi del Rinascimento trovavano informazioni contraddittorie: secondo Teofrasto era un arbusto di modeste dimensioni, molto ramificato, con foglie simili a quelle del pero, con corteccia sottile come quella del lauro; ma ne conosceva anche un'altra varietà, simile al lentisco. Una veniva dall'Arabia, l'altra dall'India. Secondo Diodoro Siculo, si trattava di un'acacia con foglie allungate come quelle del salice. Anche della terra d'origine si discuteva; era opinione comune che arrivasse dall'Arabia, ma qual era la "libanophora regio"? Secondo Plinio, Augusto per scoprirne l'esatta ubicazione aveva inviato in Arabia una spedizione che aveva dovuto tornare indietro sconfitta dal deserto; e concludeva sconsolato che nessun autore latino aveva la minima idea di quale e come fosse la pianta da cui era ricavato. In tanta confusione, gli studiosi più prudenti, come Clusius e Ray, evitavano di avanzare ipotesi; Thevet sosteneva fosse la resina di un pino, ma l'opinione prevalente era che derivasse dalla resina di un ginepro, Juniperus thurifera (ipotesi inconsistente, trattandosi di una specie del Mediterraneo occidentale). Linneo notò la contraddizione e propose Juniperus lycia, oggi Juniperus phoenicea, che se non altro è presente in tutto il bacino del Mediterraneo, compreso il Libano e la Palestina, ma anche lungo le coste del Mar Rosso e nella penisola arabica. Uno degli obiettivi principali dalla spedizione del suo allievo Pehr Forsskål nell'Arabia Felice era proprio scoprire qualcosa di più sulla misterioso pianta; egli identificò quella da cui si ricava un'altra resina, opobalsamum o balsamo di Gilead, ovvero Commiphora gileadensis, ma sull'incenso non riuscì a sapere nulla. La risposta sarebbe arrivata non dalla penisola arabica, ma dall'India, e non da un linneano, ma da un medico scozzese al servizio della compagnia delle Indie. Il mistero è stato svelato? Si tratta di William Roxburgh (1751-1815), il "padre della botanica indiana": anche lui un "botanico senza Nobel", visto che purtroppo il genere Roxburghia che gli fu dedicato da W. Jones non è valido. Come sappiamo oggi, il genere Boswellia è relativamente vasto, e comprende una ventina di specie, diffuse in un'ampia area che va dall'Africa tropicale all'India passando per la penisola arabica e il Madagascar. Le specie presenti nel subcontinente indiano sono due, B. ovalifoliata e B. serrata. Quest'ultima, oggi nota come incenso indiano o franchincenso indiano, è una pianta medicinale, un grande albero chiamato salai, ben noto alla medicina ayrvedica, così come la sua resina odorifera che nei trattati medici indiani è nota con il nome sanscrito kunduru. Da tempi immemorabili, anche in India (che tra l'altro oggi detiene il primato mondiale della produzione di bastoncini di incenso) il fumo (e l'aroma) dell'incenso accompagna le cerimonie sacre, le preghiere e molte occasioni della vita quotidiana; è bruciato in varie forme, ma la più tipica sono dei bastoncini di bambù intinti in miscele infiammabili e profumate, a base di vari ingredienti; uno dei più apprezzati sono proprio i granuli di resina di B. serrata, che in lingua bengali si chiama luban, un nome che richiama immediatamente il misterioso olibanum. A segnalare a Roxburgh la resina e a suggerire la sua identificazione con l'olibanum sembra sia stato il chirurgo della residenza di Naipur, D. Turnbull. Il botanico scozzese esaminò la pianta e ne scrisse la descrizione, anche se non la pubblicò direttamente; come faceva spesso, affidò i suoi appunti a un amico, l'orientalista H.T. Colebrooke, che la inserì in un articolo comparso nel 1807 su Asiatic Researches in cui sosteneva che la pianta dell'incenso andava identificata con questo albero indiano; Roxburgh l'aveva denominata Boswellia serrata, ovvero B. con foglie seghettate; da parte sua Colebrooke era così sicuro dell'identificazione che suggeriva di chiamarla Lebanus thuriferus, ovvero Lebanus produttore di incenso. In realtà non era proprio così, ma prima di raccontare questa parte della storia, è ora di fare conoscenza con l'uomo che ha dato il nome al genere Boswellia, il dottor John Boswell di Edimburgo. Come si è guadagnato la dedica è presto detto: negli anni in cui studiava all'Università di Edimburgo, il giovane Roxburgh, uno studente brillante ma privo di mezzi, era stato ospitato nella casa del dottor Boswell; la famiglia Boswell, piuttosto nota e influente, doveva anche aver messo una buona parola per farlo assumere come chirurgo di bordo dalla Compagnia delle Indie. Insomma, il botanico aveva un debito di riconoscenza con il suo vecchio benefattore, con cui strinse anche legami familiari, visto che la sua terza moglie, Mary Boswell, non era altri che la nipote del nostro dottore. Un medico colto, affabile ed eccentrico Per me, e forse per tutti, John Boswell è soprattutto lo zio di Boswell, ovvero del celebre scrittore James Boswell (1740-1795), il biografo del dottor Johnson. Conosciamo il suo volto da un ritratto a olio, dipinto da C. R. Parker e conservato nelle collezioni del Royal College of Physician of Edinburgh, e il suo carattere da alcune righe di chi lo conobbe all'inizio e alla fine del suo percorso esistenziale. Nelle collezioni del Royal College è conservata anche la sua cassa da dottore, donata da un bisnipote di Roxburgh. A farci conoscere il giovane John Boswell, all'epoca venticinquenne, è un altro medico scozzese, Isaac Lawson, amico e corrispondente di Linneo; nella sua lettera del 2 novembre 1736, egli lo descrive come un giovanotto molto colto e dotato, ben noto negli ambienti colti di Edinburgo. Ha molto gradito la copia di Musa Cliffortiana datagli da Lawson e in cambio sarebbe felice di donare a Linneo una copia della sua tesi di laurea, De ambra, che ha discusso il giorno prima ed è stata appena stampata. Fratello minore di Alexander Boswell, il padre del biografo, John Boswell, come tanti studenti di medicina scozzesi, era dunque venuto a Leida per seguire le lezioni di Boerhaave, anzi è considerato l'ultimo degli "uomini di Boerhave". Tornato a Edimburgo, divenne un ottimo professionista e uno stimato membro dell'establishment medico cittadino; nel 1748 fu ammesso al Collegio dei medici, di cui fu tesoriere dal dicembre 1748 al 1756 e di nuovo dall'agosto 1758 al dicembre 1763; ne fu poi presidente dal dicembre 1770 al 1772. Abitava in una confortevole casa a sud della collina del castello, nota come Boswell's Court, proprio quella dove ospitò Roxburgh, che doveva essere amico di uno dei suoi otto figli, Bruce. Sappiamo che era massone (una tradizione di famiglia) e che tra il 1753 e il 1754 fu Primo grande guardiano della Grande loggia di Scozia; secondo F.A. Pottle, curatore dei carteggi del nipote, era un "medico abile, ma decisamente eccentrico". Un'eccentricità che si manifestava soprattutto nelle sue scelte religiose: abbandonò la chiesa ufficiale per aderire alla setta dei Galassiti, ma ne fu cacciato e scomunicato per la sua abitudine di frequentare le case chiuse. Era anche un uomo generoso: oltre ad ospitare Roxburgh e ad aiutare la sua carriera, protesse il poeta Allan Ramsay che gli dedicò alcuni versi. Il nostro migliore informatore su John Boswell è però il famoso nipote. L'eccentrico zio era indubbiamente il più caro dei suoi parenti, e anche se non si frequentavano spesso ogni incontro era una festa per entrambi. Una di queste visite, quella del 26 ottobre 1726, suggerì a James questo sintetico ritratto: "E' un uomo degnamente affettuoso, un buon medico, un compagno gradevole e un grande virtuoso" (espressione che all'epoca indicava uno studioso dilettante e un collezionista). Il sogno di James era sicuramente far incontrare i suoi due idoli: il caro zio e il dottor Johnson. E l'incontro avvenne nel novembre 1773, come ricorda lo scrittore nel suo Diario delle Ebridi: il dottor Johnson "ha trascorso una mattinata con mio zio il dottor Boswell che gli ha mostrato il suo museo di curiosità; e, dato che è uno studioso elegante e un medico allevato alla scuola di Boerhaave, il dottor Johnson ha gradito la sua compagnia". Settantenne, il simpatico dottore morì il 15 maggio 1780 dopo una lunga malattia che lo aveva lasciato mezzo morto per un anno, come ci informa ancora il nipote James. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Boswelliae d'India, d'Arabia e d'Africa Adesso che sappiamo tutto del dottor Boswell, torniamo a Boswellia. L'identificazione di Roxburgh e Colebrooke fu accettata dagli ambienti colti britannici, tanto più che la Compagnia delle Indie ne approfittò per importare in Inghilterra l'incenso indiano pubblicizzato come il "vero" incenso. Tuttavia non è lo è; è sicuramente di ottima qualità, ma è più balsamico, con maggiori sentori legnosi. Per risolvere davvero il mistero, fu necessario attendere quasi un altro quarantennio. Nel 1846 il dottor H.J. Carter, chirurgo della nave H.M.S. Palynurus, in ricognizione lungo le coste dell'Arabia meridionale, in Oman e nello Yemen meridionale vide e studiò alcuni esemplari che dapprima attribuì alla stessa specie di Roxburgh, ma che più tardi venne identificata come il vero franchincenso, B. sacra. In suo onore una specie somala è stata denominata B. carteri. Come ho anticipato, il genere Boswellia, della famiglia Burseraceae, comprende una ventina di specie; il centro di diversità è lo Yemen, compresa l'isola di Socotra particolarmente ricca di specie endemiche. Da tutte si ricava incenso, ma per la maggior parte delle specie si tratta di piccole produzioni, destinate al consumo locale. Le specie importanti per l'esportazione sono quattro: B. sacra, B. frereana, B. papyrifera e la già citata B. serrata. B. sacra è presente in Yemen, Oman e Somalia settentrionale; è dunque la specie che alimentava la via dell'incenso, il mitico olibanum dell'Arabia felice che già Augusto aveva tentato inutilmente di ritrovare. E' un alberello alto fino a 8 metri, solitamente molto ramificato, con corteccia che si sfoglia, resinoso in tutte le sue parti. Per produrre l'incenso, i raccoglitori praticano delle incisioni nei rami più bassi e robusti; la resina ne fuoriesce in forma di gocce che cristallizzano in superficie, ma continuano ad ingrossarsi finché dopo una decina di giorni sono sufficientemente grandi per essere raccolte. Anche se i granuli potrebbero essere pronti per la vendita dopo una ventina di giorni, in Oman, dove si produce l'incenso di migliore qualità, si usa immagazzinarli in grotte per qualche mese, una pratica che ne migliora la conservazione. B. frereana è originaria della Somalia. E' nota come incenso copto poiché la sua resina è tradizionalmente usata dalla chiesa copta in Egitto; l'80% della produzione è però esportato in Arabia saudita dove viene utilizzato nelle cerimonie legate all'annuale pellegrinaggio alla Mecca. Anche l'incenso copto è di ottima qualità, tanto che è detto anche "incenso dei re". B. papyrfera è la più importante e diffusa specie africana, presente in una vasta area dell'Africa centrale e nord-orientale ( Etiopia, Nigeria, Camerun, Repubblica centro africana, Chad, Sudan, Uganda e Eritrea); è un albero di medie dimensioni alto fino a 10 metri; estremamente resistente alla siccità, è considerato una delle piante più utili e polivalenti di questa regione: oltre alla resina, di eccellente qualità, se ne usa il legname, le foglie come foraggio, diverse parti come medicinali; i fiori sono una importante fonte di nettare e polline per le api. Oggi è minacciata per l'eccessivo sfruttamento e la restrizione del suo habitat, le foreste tropicali aride. Meritano almeno un cenno le specie di Socotra, un'isola che si trova proprio al centro dell'area di diffusione di Boswellia, essendo quasi equidistante dalle coste dello Yemen e della Somalia. In un territorio di appena 3800 km quadrati ne vivono ben sette specie: B. ameero, B. bullata, B. dioscoridis, B. elongata, B. nana, B. popoviana, B. socotrana. B. bullata e B. dioscoridis sono state scoperte e pubblicate solo nel 2001 dal botanico svedese Mats Thulin. Altri approfondimenti nella scheda. Per finire, un'ultima curiosità. Come ho detto all'inizio, in senso generale il termine incenso può essere utilizzato per qualsiasi sostanza vegetale che produce fumo aromatico. E infatti in rete sono presenti moltissimi produttori di "incenso", "incenso religioso", "incenso liturgico", con nomi evocativi come "incenso dei re Magi", "incenso cattedrale", "Bethlem", "Caspar", ecc. Quasi mai è possibile scoprirne la composizione, ma è evidente che sotto l'etichetta incenso può esserci di tutto: franchincenso etiope, yemenita o africano, benzoino, mirra, legno di sandalo, ma anche lavanda, Syderitis, Artemisia, vetiver, e così via. Del resto, diverse piante che nulla hanno a che fare con l'incenso (a bruciare le loro foglie si otterrebbe soltanto fumo... senza arrosto, ovvero senza profumo) vengono chiamate impropriamente "incenso". La più nota probabilmente è Plechtrantus glabratus (sin. P. coleoides).
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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