Le avventure del grande botanico-esploratore Odoardo Beccari, celebre soprattutto per aver scoperto la pianta con l'infiorescenza più grande del mondo, Amorphophallus titanum, iniziano sotto il segno di lord Brooke, l'arcinemico di Sandokan, grazie alla cui protezione poté espolorare il Borneo sdettentrionale. I suoi viaggi lo portarono, nell'arco di un ventennio, anche in Malaysia, Indonesia e Corno d'Africa, dove fu coinvolto negli esordi del colonialismo italiano. Fu ancora un membro della famiglia Brooke, la rani Margareth, a convincerlo a scrivere il brillante Nelle foreste di Borneo, che, tradotto in inglese, gli assicurò fama europea. Tra i suoi più avidi lettori, anche Emilio Salgari, che ne trasse lo sfondo e molti particolari per il ciclo di Sandokan. Entusiasta e coraggioso viaggiatore in gioventù, nell'età matura Beccari si specializzò nello studio delle palme, di cui divenne uno dei massimi esperti mondiali. Lo ricordano decine di nomi specifici di piante e animali, e ben quattro nomi di generi botanici: Beccarianthus, Beccariella, Beccarinda, Beccariophoenix. Primo viaggio: nel regno di Sarawak La vocazione di esploratore e viaggiatore senza paura per Odoardo Beccari, giovane botanico fiorentino fresco di laurea, nasce dall'incontro con il marchese Giacomo Doria, presidente della Società geografica italiana, appena rientrato da un viaggio in Persia. Entrambi condividevano la passione per la natura (Doria era stato allievo del padre David, quando questi insegnava a Savona) e progettarono immediatamente una spedizione in qualche luogo inesplorato. Su consiglio di John Ball, celebre naturalista e alpinista, scelsero il regno di Sarawak, in Borneo. Per conoscere meglio la fauna e la flora del sud est asiatico, nel febbraio 1865 il ventiduenne Beccari si spostò a Londra, a studiare le collezioni indiane del British Museum e del giardino botanico di Kew. Qui, oltre a naturalisti come Hooker o Darwin, conobbe sir James Brooke, il leggendario rajah bianco di Sarawak. che, ormai anziano e malato (sarebbe morto tre anni dopo, nel 1868) era in patria per curarsi. Brooke prontamente scrisse lettere commendatizie in cui raccomandava i naturalisti italiani al suo reggente e futuro successore. All'inizio di aprile Beccari partì da Southampton alla volta di Alessandria d'Egitto, dove incontrò Doria e suo fratello Giovanni Battista, a sua volta diretto in Giappone. A giugno giunsero a Kuching, la capitale di Sarawak. All'inizio furono ospiti di Charles Brooke, il Tuan-muda (il"giovane principe"); poi si sistemarono in una piccola casa, con alcuni servitori, acquistando anche un sampan. Ben presto Doria e Beccari cominciarono a esplorare la foresta profonda che all'epoca circondava Kuching; intenzionato a conoscere da vicino quel nuovo mondo, Beccari si fece costruire una grande capanna nella foresta del Gunon Mattang, a circa 300 m sul livello del mare. Ma presto la salute di Doria cominciò a deteriorarsi, così che il geografo nel marzo 1866 fu costretto a rientare in Italia. Dopo aver accompagnato l'amico a Singapore, Beccari tornò a Sarawak e si stabilì nella capanna, ribattezzata "Vallombrosa", deciso a completare da solo il programma di esplorazione. Fino alla fine dell'anno fu il quartier generale da cui mosse per escursioni sulle montagne circostanti mettendo insieme una collezione straordinaria. Sul monte Poe scoprì una nuova specie di Rafflesia, che in onore del suo protettore battezzò R. tuan-mudae. Dedicò poi il 1867 all'esplorazione dell'interno, toccando anche aree mai visitate dai bianchi; si mosse in genere lungo i fiumi, ma anche a piedi, quando doveva superare rapide o penetrare nella foresta densa; corse più volte rischi mortali, come quando, persa la bussola, vagò per due giorni senza cibo in una foresta disabitata. Fino ad allora la sua salute era stata eccellente, ma verso la metà dell'anno contrasse la malaria e più tardi l'elefantiasi; perciò, benché avesse pianificato una nuova spedizione nell'interno, nel gennaio 1868 lasciò Kuching per rientrare in Italia. Qui aveva comunque il suo daffare a riordinare le enormi collezioni di esemplari naturalistici (oltre 4000 esemplari botanici, spesso costituiti da singole specie, molte delle quali ignote alla scienza) e etnografici, che in parte affidò al Civico museo di storia naturale di Genova, fondato e diretto da Doria. Nuova Guinea e dintorni Ma la vita del botanico da scrivania non si addiceva all'avventuroso Beccari. Nel 1870 fu contattato dalla Società geografica italiana e dalla compagnia di navigazione Rubattino, intenzionata ad acquistare la baia di Assab; venne così coinvolto negli esordi del colonialismo italiano, visitando insieme a Orazio Antinori e Arturo Issel la baia di Assab e il paese di Bogos, dove raccolse una notevole collezione di piante. Rientrato in Italia, incominciò a progettare una seconda spedizione malese, che prese avvio alla fine di novembre 1871. Il suo nuovo compagno era un altro ex allievo di David, il conte Luigi Maria d'Albertis. La prima tappa fu Giava, dove i due viaggiatori visitarono l'orto botanico di Bogor e il monte Gedeh. Ripartitono quindi alla volta della Nuova Guinea, che raggiunsero nel marzo 1872, dopo brevi soste a Flores, Timor, Banda e Ambon. Qui si ripeté in qualche modo quello che era avvenuto a Sarawak: dopo un inizio promettente, che li portò nell'isola di Sorong, quindi a Dorei e Andai, nella Guinea Occidentale, d'Albertis si ammalò gravemente e Beccari, in mezzo a mille difficoltà si ingegnò di riportarlo ad Ambon. Mentre il marchese rientrava in Italia a bordo della corvetta italiana Vettor Pisani, Beccari continuò il lavoro sul campo, visitando oltre ad Ambon le isole Aru (durante il viaggio contrasse il vaiolo) e Kei (qui il sampan su cui era imbarcato fece naufragio, ma per fortuna sia le attrezzature sia le collezioni si salvarono). La tappa successiva fu Celebes (oggi Sulawesi), di cui Beccari esplorò l'area sudoccidentale per tre mesi fino al febbraio 1874, spostandosi poi nell'area di Kendari nella costa sudorientale dove rimase circa sei mesi, dedicandosi soprattutto a rilievi topografici. Infatti la regione non solo era relativamente povera di piante, ma soprattutto infestata dai pirati sul mare e dai cacciatori di teste via terra. Ad agosto una nave olandese, che era stata inviata appositamente a cercarlo, essendosi sparsa la voce che la sua vita era in pericolo a causa dei pirati, lo portò a Makassar, dove ricevette una graditissima lettera dal marchese Doria, in cui lo informava che la città di Genova aveva accettato di contribuire a una seconda spedizione in Nuova Guinea con una sovvenzione di 15.000 lire. Dopo un breve soggiorno a Giava, a ottobre Beccari dava inizio al suo secondo viaggio in Nuova Guinea. Dapprima si fermò per circa tre settimane nell'isola di Ternate, nelle Molucche, dove raccolse ricche collezioni botaniche e zoologiche, nell'intenzione di farne la sua base per l'esplorazione della Nuova Guinea. Capito ben presto che era impossibile, tornò ad Ambon dove affittò un piccolo veliero, la Deli, con un equipaggio di 10 uomini, ingaggiando anche 8 portatori e un ragazzo come aiutante per la raccolta di piante e animali. La seconda spedizione in Nuova Guinea si protrasse da gennaio a agosto 1875. Usando come base la nave, l'esploratore visitò Sorong (dove scoprì anche un fiume non indicato nelle carte), l'isola di Wagei, quindi si mosse in direzione di Dorei lungo la costa occidentale della Baya di Geelvink; il resto della primavera fu dedicato all'esplorazione di altre isole della baia. All'inizio di giugno giunse a Dorei, dove incontrò la corvetta Vettor Pisani, cui affidò le sue collezioni, per partire verso i monti Arfak, stabilendo la sua base a Hatai, a 1500 m sul livello del male al centro della catena montuosa. Aveva progettato di dedicare almeno due mesi alla sua esplorazione, ma lo scoppio di un'epidemia di beri beri tra l'equipaggio (c'erano già stati due morti) lo costrinse a rinunciare. Quando ad agosto la Deli rientrò a Ternate, la malattia aveva ucciso buona parte dell'equipaggio. I risultati scientifici di questa seconda spedizione furono eccezionali soprattutto per le raccolte zoologiche (le sole specie di uccelli erano più di 2000) e le collezioni etnologiche, che includevano ogni tipo di oggetto usato dai nativi. Importanti furono anche i rilievi topografici che più tardi permisero al geografo Guido Cora di disegnare mappe di varie regioni. Il suo amore per la natura spicca nelle pagine che nelle lettere inviate dalla Nuova Guinea dedicò alla vita degli uccelli, in particolare al giardiniere bruno Amblyornis inornata, di cui descrisse con ammirazione e poesia le "capanne e giardini". Relativamente meno ricche le raccolte botaniche (al contrario di Borneo e Sumatra, dove Beccari opererà successivamente, in Nuova Guinea gli endemismi sono meno numerosi). Prima di lasciare la Nuova Guinea, Beccari ricevette il permesso di unirsi alla nave olandese Soerabaja che avrebbe effettuato ricerche barometriche e dal novembre 1875 alla fine di gennaio 1876 percorse la costa settentrionale della Nuova Guinea, esplorandone le baie e gli arcipelaghi, per poi raggiungere Ambon. Rientrato quindi a Ternate, a marzo si spostò a Giava, per imbarcarsi per l'Italia, dove rientrò dopo quattro anni e mezzo d'assenza, ricevendo molti onori. L'infiorescenza gigante di Sumatra Non bastarono certo a trattenerlo a casa. Dopo nemmeno un anno partì di nuovo, questa volta insieme a Enrico d'Albertis, cugino del suo precedente compagno. Concepita più come un viaggio di piacere che come spedizione scientifica, questa crociera iniziata nell'ottobre 1877 li portò in India, a Singapore, ancora a Kuching, quindi in Australia, Tasmania e Nuova Zelanda. Nel viaggio di ritorno, Beccari si separò da d'Albertis a Singapore per raggiungere Giacarta e Bogor, dove avrebbe preparato una spedizione a Sumatra. Lasciata Giava a maggio, all'inizio di giugno era a Padang, da dove, proprio come aveva fatto in Borneo e Nuova Guinea, si spostò nel cuore della foresta primaria del monte Singalong, un vulcano estinto alto quasi 2900 metri. Qui, al limite tra le coltivazioni e la foresta, all'altezza di 1700 m si fece costruire una capanna, che chiamò "Bellavista", dove visse tre mesi esplorando le pendici della montagna; esplorò poi la regione tra Padang e Bangok, dove giunse a novembre. Il bottino botanico raccolto soprattutto sul Singalang fu eccezionale (oltre 1000 esemplari); la scoperta più nota è quella di Amorphopallus titanum. Come egli stesso raccontò, ad agosto scoprì quello che inizialmente scambiò per il tronco di un albero ricoperto di licheni; avendo poi capito che si trattava del gambo di una foglia gigantesca di una Aracea, macchiettato di chiaro, promise un premio a chi gliene avrebbe portato un fiore. Dopo una mese la sua attesa fu premiata: per portarglielo, il mostruoso fiore fu legato a un palo e trasportato a spalle da due uomini. Come Rafflesia arnoldii è il fiore individuale più grande del mondo, Amorphophallus titanum è l'infiorescenza più grande, può raggiungere i 3 m e ricorda un gigantesco fallo (il nome significa "fallo privo di forma dei titani"); la foglia può raggiungere i 6 m e una superficie di 15 m di diametro. Beccari ne spedì fiori e tuberi al marchese Bardo Corsi Salviati che coltivava piante esotiche nelle serre della sua villa di Sesto Fiorentino; i bulbi però furono trattenuti alla dogana di Marsiglia e perirono; i semi invece raggiunsero il destinatario e germinarono. L'anno successivo il marchese spedì i piccoli tuberi a vari orti botanici europei, tra cui i Kew Botanical Gardens. Mentre le piante "fiorentine" morirono tutte, la pianta di Kew, coltivata in una serra e costantemente immersa in una vasca di acqua tiepida, riuscì a prosperare e dopo dieci anni giunse a fioritura (un evento ancora oggi eccezionale: A. titanum fiorisce ogni 7-10 anni, anche se alcuni esemplari fioriscono ogni 2-3 anni). Ma torniamo a Beccari che rientrò in Italia alla fine di dicembre 1878. La sua avventura malese era finita, ma lo attendeva ancora un viaggio in Africa; questa volta fu lo stesso ministro degli esteri a convocarlo e a inviarlo nuovamente nella baia di Assab (novembre 1879-gennaio 1880). Fu l'ultima tappa della sua ventennale carriera di naturalista-esploratore. Da allora fino alla morte, dopo una breve e burrascosa parentesi come direttore del giardino dei semplici di Firenze, dedicò le sue attività al riordino delle collezioni, agli affari di famiglia (fu tra i pionieri della produzione del Chianti) e allo studio delle piante tropicali, diventando un esperto di palme di fama mondiale. Su suggerimento dell'amica Margareth Brooke (la moglie del Tuan-muda Charles) che soggiornava spesso in Italia, a Bogliasco, e fu più volte ospite di Beccari in Toscana, raccontò le sue avventure malesi in un bellissimo libro di viaggio, Nelle foreste del Borneo (1902) che grazie alla traduzione inglese divenne poi un bestseller anche fuori d'Italia; molte delle fotografie che lo accompagnano erano state scattate dalla stessa rani Margareth. Tra i più avidi lettori dei resoconti di Beccari e di questo libro, anche Emilio Salgari, che ne trasse l'ispirazione e gli scenari per il ciclo di Sandokan (dove James Brooke, primo protettore di Beccari, diventa il cattivo per eccellenza). Altri particolari sulla avventurosa e intensa vita di Beccari nella sezione biografie. Dalle foreste asiatiche agli altipiani del Madagascar A quello che è considerato (insieme a Parlatore) il più grande botanico italiano del secondo Ottocento (e certo il più noto all'estero) furono dedicate numerose specie di piante e animali, a cominciare da quella Tulipa beccariana Bicchi (oggi T. saxatilis Siebold ex Spreng.) che il professor Bicchi, direttore dell'orto botanico di Lucca, gli dedicò quando era ancora adolescente. A ricordarlo sono i nomi di ben quattro generi botanici tuttora validi (altri tre sono invece ritenuti sinonimi): Beccarianthus, Beccariella, Beccarinda, Beccariophoenix. Il genere Baccarianthus, della famiglia Melastomataceae, fu creato nel 1890 dal botanico belga C.A. Cogniaux, in Handleiding tot de Kennis der Flora van Nederlandsch Indië, sulla base di B. pulchra, raccolta da Beccari a Sarawak. E' un genere di piccoli alberi poco noti distribuiti nelle foreste pluviali di Filippine e Papua-Nuova Guinea (oltre all'unica specie del Borneo). Hanno foglie coriacee, con venature molto evidenti, e fiori bisessuali relativamente vistosi raccolti in racemi apicali. Ben poche notizie sono riuscita a reperire, sintetizzate nella scheda. Il genere Beccariella, della famiglia Sapotaceae, fu creato sempre nel 1890 dal botanico francese J.B.L. Pierre, specialista di flora asiatica. Comprende una trentina di specie di alberi sempreverdi delle aree tropicali e subtropicali del Pacifico occidentale, soprattutto dall'Indonesia e la Malaysia all'Australia settentrionale. Hanno foglie coriacee, lucide, a volte cospicuamente tomentose; sia le foglie sia i fusti contengono un lattice che può risultare irritante; alcune hanno frutti relativamente grandi, come la curiosa Beccariella sebertii, originaria della Nuova Caledonia, i cui frutti dalla dimensione di grosse olive sono totalmente ricoperti da un fitto tomento vellutato color ruggine che ricorda la pelliccia di un animale. Qualche approfondimento nella scheda. Il genere Beccarinda, della famiglia Gesneriaceae, creato dal botanico tedesco C.E.O. Kuntze nella sua Revisio Generum plantarum (1891), comprende sette specie di erbacee perenni o suffrutici, litofite o terrestri, diffuse tra Cina, Myanmar e Vietnam. La specie più nota è la graziosa B. tonkinensis, con foglie ovate e irsute che ricordano quelle delle violette africane e fiori tubiformi e lobati lilla chiaro. Qualche notizia in più nella scheda. Se questi tre generi, tutti appartenenti alla flora del sudest asiatico, sono un omaggio all'attività di esploratore e ricercatore sul campo di Beccari che tanto contribuì a farla conoscere, l'ultimo genere è legato al suo contributo allo studio delle palme, in particolare con Palme del Madagascar (1912). E' infatti endemico proprio del Madagascar Beccariophoenix, creato dai francese Jumelle e Perrier de la Bathie nel 1915, che comprende due-tre specie, ormai rare in natura ma apprezzatissime in coltivazione; sono alte palme spettacolari, piuttosto simili nell'aspetto alla palma da cocco, che possono egregiamente sostituire per la maggiore rusticità. B. alfredii è stata scoperta solo di recente, nel 2002, quando Alfred Razafindratsira, osservando una fotografia di Beccariophoenix scattata sull'altopiano attorno a Andrembesoa, fu colpito dal fatto che esso crescesse in un'area così distante e così diversa sul piano ecologico dalla costa e dalle foreste litoranee in cui abitualmente crescono le altre specie; due anni dopo, una spedizione ritrovò questa e un'altra stazione, confermando che si trattava di una nuova specie, subito battezzata alfredii in onore dell'acume del suo "scopritore". Qualche approfondimento nella scheda.
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In mezzo a tanti zoologi e a qualche geologo, Pieter Willem Korthals fu l'unico botanico di formazione tra i membri della Natuurkundige Commissie. Con all'attivo sei anni di esplorazioni a Giava, Sumatra e Borneo e una collezione di oltre 1000 specie, diede un contributo importantissimo alla conoscenza della flora dell'Indonesia che meriterebbe di essere più noto. Ma, egli stesso primo critico dei risultati raggiunti, a 35 anni preferì ritirasi a vita privata per dedicarsi alla "filosofia speculativa". A ricordarlo nelle denominazioni botaniche, i generi Korthalsia e Korthalsella. Il prototipo delle guerre coloniali Tra il 1825 e il 1830, a Giava gli olandesi dovettero affrontare una vera e propria guerra che, oltre a mettere a dura prova il loro controllo dell'isola, li spinse a mutare profondamente la loro politica nell'intera Indonesia, con conseguenze anche per le attività dei naturalisti della Natuurkundige Commissie. Il sistema di tassazione, introdotto dagli inglesi e mantenuto dal governo olandese, che aveva imposto il pagamento di tasse ai contadini (prima, la Compagnia delle Indie olandesi si limitava ad acquistare i prodotti dai signorotti locali, che li ottenevano dai contadini in cambio dell'uso delle terre, con un sistema analogo alla mezzadria), aveva infatti destato il malcontento tanto dei proprietari quanto dei contadini. Saldandosi con motivazioni dinastiche e religiose, sotto la guida del principe Diponegoro di Yogyakarta, nel 1825 nelle regioni centrali dell'isola scoppiò una rivolta generale che tenne a lungo in scacco l'esercito olandese e fu domata solo con tecniche di antiguerriglia e una politica della terra bruciata che costò ai giavanesi almeno 200.000 vittime (e tra 8000 e 15000 agli olandesi). Terminata la rivolta con la cattura di Diponegoro, il governo olandese cercò di consolidare il proprio potere eliminando le cause del malcontento; il sistema di tassazione fu soppresso, e ai contadini giavanesi fu imposto il sistema delle coltivazioni forzate (cultuurstelsel) che li obbligava a scegliere fra riservare un quarto delle proprie terre a coltivazioni destinate all'esportazione, versando i ricavi al governo olandese, oppure prestare lavoro gratuito per un quarto del loro tempo in piantagioni governative. Contemporaneamente, il sostegno delle aristocrazie locali venne recuperato, cooptandone i membri nell'amministrazione delle piantagioni. La generalizzazione del sistema delle coltivazioni forzate implicava un più capillare controllo del territorio (prima, gli olandesi si erano stabiliti essenzialmente nelle località costiere) e una migliore conoscenza delle risorse agricole locali. Inoltre, le enormi spese sostenute per sconfiggere i ribelli (il debito della colonia era raddoppiato, passando da 20 a 40 milioni di fiorini) inducevano il governo a completare la conquista delle aree della regione indonesiana (in particolare Sumatra e Borneo), la cui sovranità olandese era stata riconosciuta dal trattato anglo-olandese del 1824. Queste nuove circostanze spiegano perché, dopo un decennio in cui i membri della Natuurkundige Commissie, la commissione di scienziati inviata ad esplorare i territori delle Indie orientali olandesi, erano stati soprattutto zoologi (riflettendo gli interessi scientifici del direttore della Commissie, l'ornitologo C.J. Temminck), si decise di puntare nuovamente su un botanico, coinvolgendo nella scelta il neonato erbario nazionale di Leida. Il prescelto fu il giovane botanico Pieter Willem Korthals, che da qualche tempo lavorava proprio all'erbario. Il suo compito sarebbe stato triplice: esplorare la flora di Giava (e delle altre isole), inviando in Olanda le specie più rare; conoscere meglio il territorio e le sue risorse naturali e umane; ispezionare le piantagioni governative e individuare le strategie migliori per accrescerne la produttività. Dall'esplorazione dell'arcipelago alla filosofia Entrato a far parte della Commissie nel 1830, Korthals fu immediatamente inviato a Parigi, a visitare l'erbario nazionale, in che si facesse un'idea delle specie già note (per ragioni sia di prestigio sia di eventuale sfruttamento commerciale, si puntava soprattutto sulle novità). Si imbarcò poi per Giava, insieme ai preparatori D.H.T. van Gelder e B. N. Overdijk, chiamati a sostituire l'ottimo van Raalten morto in Borneo. Giunto a Giava nell'aprile 1831, a Buitenzorg incontrò i superstiti della Natuurkundige Commissie: Macklot, S. Müller e van Oort. Con loro, già a maggio prese parte a un giro lungo la costa nord, per poi rientrare dalla costa sud. Korthals sarebbe rimasto nelle Indie orientali olandesi per quasi sette anni, partecipando a numerose spedizioni, prima a Giava, poi a Sumatra e infine in Borneo. Grazie ai suoi puntigliosissimi diari di campagna (in cui annotava con scrupolo non solo le caratteristiche delle piante e del loro habitat, ma anche una massa di informazioni geografiche e etnografiche) conosciamo bene i suoi movimenti, anche se per noi non è facile seguirli visto che molti toponimi hanno cambiato nome. Tra la seconda metà del 1831 e la prima metà del 1833, accompagnato ora da questo ora da quel membro della Commissione, visitò estesamente Giava, alternando alle escursioni naturalistiche l'ispezione delle piantagioni; scalò molte montagne, che con le loro pendici ricoperte di foresta pluviale erano una fonte inesauribile di scoperte botaniche, esplorò crateri vulcanici, risalì fiumi e visitò fonti termali. Nel giugno 1833, con S. Müller, van Oort e van Gelder, si imbarcò per Sumatra. Se, dopo la fine della rivolta, Giava era relativamente pacificata e ormai sotto il controllo olandese, la situazione a Sumatra era ben diversa. Nel nord del paese c'era un potente stato indipendente, il sultanato di Aceh e la presenza olandese, limitata all'area centro-occidentale, era recentissima. Fin dal 1803 tra i Minangkabau, il principale gruppo etnico di Sumatra occidentale, era scoppiata una guerra civile tra la nobiltà Adat, la quale difendeva una concezione sincretica dell'Islam e il diritto consuetudinario che conservava elementi preislamici, e i Padri, musulmani integralisti che avrebbero voluto imporre la legge coranica; gli olandesi intervennero nel 1821, su richiesta degli Adat, iniziando una dura guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1837 con la sottomissione dei Padri. Era dunque un paese in guerra quello che fu visitato dai nostri naturalisti tra la fine di giugno 1833 e il gennaio 1836; per forza di cose, si mossero principalmente tra i dintorni di Padang (il più importante centro della costa occidentale) e la catena di fortilizi che gli olandesi avevano costruito a partire dal 1825 per tenere sotto controllo i territori faticosamente strappati ai nemici- che spesso preferivano incendiare i propri villaggi piuttosto che arrendersi. Con l'eccezione delle escursioni di Jack nell'area di Bencoolen, erano i primi naturalisti ad esplorare la natura di Sumatra. Il bottino per il nostro Korthals fu particolarmente ricco di specie ignote alla scienza. La sua scoperta forse più importante fu probabilmente il kratom, una pianta largamente usata nella medicina tradizionale, con effetti calmanti in grado di sostituire l'oppio senza provocare dipendenza, da lui ribattezzato Mitragyna speciosa. Nel 1835, il gruppo dei naturalisti si arricchì di un nuovo arrivo, il geologo svizzero Ludwig Horner, che spesso accompagnò Korthals collaborando anche alla raccolta di esemplari botanici. Ma pochi mesi prima c'era stata anche una perdita dolorosa: quella del pittore Pieter van Oort che, quando già pensava di ritornare a casa, nel maledetto mese di settembre era morto anche lui di malaria, come tanti altri membri della Commissie. A gennaio 1836, dopo aver brevemente visitato l'Isola Rat (Pulau Tikus) e Bencoolen, il gruppo rientrò a Giava, dove si trattenne però pochi mesi. A luglio si reimbarcarono per il Borneo, di cui tra agosto e dicembre esplorarono le regioni sudoccidentali. Per Korthals e Müller, a parte una breve escursione, di nuovo a Giava, nei primi mesi del 1837, fu l'ultima avventura: ad aprile lasciarono definitivamente l'Indonesia, per rientrare in Olanda ad agosto. Korthals tornava a casa dopo quasi sette anni. Per Müller gli anni di lontananza erano stati dodici, ed era l'unico sopravvissuto del suo gruppo. Il loro destino successivo fu alquanto diverso: Müller, che aveva iniziato la sua carriera come tecnico tassidermista, sul campo era diventato un grande zoologo; ottenuta la cittadinanza olandese, lavorò assiduamente al Museo di storia naturale di Leida per classificare e pubblicare le imponenti collezioni zoologiche accumulate durante i suoi viaggi; nel 1850, quando la Commissione fu sciolta, si trasferì a Friburgo in Bresgovia, continuando a pubblicare libri sull'arcipelago indonesiano, di cui era riconosciuto come uno dei massimi esperti. Korthals avrebbe potuto fare lo stesso all'erbario nazionale, ma a soli 35 anni lasciò la botanica militante e rinunciò a pubblicare le sue scoperte per dedicarsi a quella che un contemporaneo definì "filosofia contemplativa". Ci ha lasciato solo alcuni articoli di taglio prevalentemente geografico su Giava e Sumatra e la monografia Over het geslacht Nepenthes (1839), di grande importanza storica per essere la prima dedicata alle Nepenthes tropicali; è un opuscolo di una quarantina di pagine, splendidamente illustrato, in cui si passano in rassegna nove specie, tre delle quali descritte per la prima volta. Una sintesi della sua vita, lunga ma molto oscura dopo il ritiro, nella sezione biografie. Palme rampicanti e formiche Anche se non pubblicato da lui (saranno altri studiosi, e in particolare Miquel, a cogliere i frutti delle sue fatiche sul campo) il contributo di Korthals alla conoscenza delle flora dell'Indonesia, in particolare di Sumatra, è immenso (oltre 1000 specie) e di grande qualità scientifica. Così, nonostante il suo gran rifiuto, non mancarono i riconoscimenti. Oltre a varie specie contrassegnate dallo specifico korthalsii, gli furono dedicati due generi tuttora validi, Korthalsia e Korthalsella. Korthalsia è un tardivo omaggio (siamo nel 1884 e da molti anni Korthals contempla filosoficamente il mondo) del suo ex principale, Carl Ludwig Blume, che lo determinò sulla base di esemplari raccolti da Korthals stesso in Indonesia. Questo genere della famiglia Arecaceae (un tempo Palmae) fa parte di un gruppo di palme rampicanti dal fusto molto sottile e flessibile, noto come rattan (sì, proprio quello con cui si fanno i mobili). Comprende una trentina di specie diffuse esclusivamente nelle foreste pluviali tropicali dei paesi che si affacciano sullo stretto della Sonda, con qualche propaggine in Indocina e nelle isole Andamane. Per le particolari esigenze climatiche è raramente coltivato; del resto presenta fusti molto spinosi e con nodi irregolari, poco adatti quindi alla fabbricazione di oggetti. La particolarità più curiosa delle Korthalsiae è l'associazione in simbiosi mutualistica con le formiche del genere Camponotus; queste ultime nidificano nelle guaine fibrose e rigonfie che si trovano lungo il tronco, soprattutto nella parte basale, e vi allevano delle cocciniglie che si nutrono della linfa delle palme, producendo a loro volta un fluido dolce di cui si cibano le formiche. Gli studi hanno dimostrato che anche le palme ne hanno un vantaggio, perché la presenza delle formiche le protegge dagli erbivori; questi insetti, molto aggressivi, hanno infatti sviluppato un sistema di allarme, una specie di vibrazione che producono battendo gli addomi contro la base delle foglie secche, che avverte che stanno per scatenare un doloroso attacco in massa, sufficiente a scoraggiare chi ne abbia già fatto l'esperienza. Non stupirà scoprire che tra le piante epifite associate alle Korthalsiae ci sono anche alcune Nepenthes, che a loro volta offrono alle formiche ottimi luoghi di nidificazione. Qualche informazione in più nella scheda. Piante parassite e uccelli oceanici Non meno curioso, sebbene per altri motivi, è il genere Korthalsella; a crearlo poco dopo la morte di Korthals (avvenuta in tarda età nel 1892) fu il botanico francese P.E.L. van Tieghem, che lo separò da Viscus. Come il vischio (entrambi i generi, un tempo classificati nella famiglia Viscaceae, sono oggi assegnati alle Santalaceae) le Korthalsellae sono piante parassite che germinano sui rami della pianta ospite e vi vivono a sue spese; in tutte le specie (da 7 a 30, secondo diversi autori) le foglie sono ridotte a scaglie e i fusti, definiti cladodi, sono rigonfi e appiattiti; in genere sono molto piccole (non più di una decina di centimetri) e possono essere scambiate per escrescenze dell'ospite. Singolare è anche la distribuzione geografica; da questo punto di vista, vengono divise in due grandi gruppi: il primo è distribuito in un'area continua che va dal Corno d'Africa alla Nuova Zelanda, passando per il subcontinente Indiano, la Cina, l'Indocina, l'Indonesia e l'Australia; il secondo comprende quasi esclusivamente isole separate tra loro da centinaia e migliaia di chilometri, dal Madascar a occidente fino alle isole del Pacifico comprese le Hawaii a oriente. Secondo gli studiosi, la dispersione dei semi di Korthalsella in entrambi i casi è effettuata da uccelli; i loro frutti sono infatti piccole bacche che si aprono in modo esplosivo, espellendo con violenza minutissimi semi appiccicosi che aderiscono alle piume e ai piedi dei pennuti. Gli agenti della dispersione però variano da un gruppo all'altro: per le specie a distribuzione continentale, uccelli delle comunità locali; per quelle a distribuzione oceanica, uccelli marini, che percorrono grandi distanze e nidificano prevalentemente sulle coste di piccole isole, visitando raramente le regioni interne. Altri approfondimenti nella scheda. Nell'Ottocento, più che mai, l'esplorazione geografica e la ricerca scientifica si intrecciano con le vicende coloniali. Così, nel 1828, la spedizione della corvetta Triton e della goletta Isis ha l'obiettivo fondamentale di rivendicare il possesso olandese dei territori della Nuova Guinea ad occidente del 141 meridiano est (prima che lo faccia l'Inghilterra), ma a bordo ci sono anche cartografi e un gruppetto di naturalisti della Natuurkundige Commissie. La loro missione otterrà rilevanti risultati scientifici, ma porterà al sacrificio di quasi tutte le loro vite. Il primo a morire sarà il giardiniere e botanico Alexander Zippelius, dedicatario del genere Zippelia. 1826-1827: Giava L'esito tragico della prima spedizione della Natuurkundige Commissie olandese, con la morte di tre su quattro membri (ne ho parlato in questo post), non scoraggiò il professor Temminck, direttore del Museo di Scienze naturali di Leida, che cominciò immediatamente a pensare ai rimpiazzi. La sua scelta cadde su due brillanti giovani collaboratori, entrambi tedeschi: Heinrich Boie, zoologo e curatore del settore dei vertebrati del Museo, e Heinrich Christian Macklot, chirurgo e curatore della collezione osteologica. Proprio come Kuhl e van Hasselt, i due erano stati compagni di studi (entrambi avevano studiato all'Università di Heidelberg) ed erano legati da una profonda amicizia. Il 5 dicembre 1823 entrarono a far parte della Natuurkundige Commissie, il primo come capo della futura spedizione, il secondo come assistente. Prima di partire per Giava, la meta scelta anche questa volta, ci furono diversi viaggi preparatori; una tappa li portò a Heidelberg, dove alloggiarono in una locanda. Mentre parlavano tra loro, con presumibile entusiasmo, della spedizione che li aspettava, i loro discorsi furono captati dal figlio del locandiere, Salomon Müller, che si mostrò assai interessato: aveva seguito come uditore qualche corso di zoologia all'Università, era un cacciatore di uccelli e un capace tassidermista. Boie e Macklot senza esitare gli proposero di unirsi a loro; convinsero Temminck a ingaggiarlo e in tal modo Müller divenne il terzo membro della compagnia, completata poi dal pittore Pieter van Oort. I quattro si imbarcarono per Giava alla fine di novembre 1825, raggiungendo la loro destinazione a giugno dell'anno seguente. Proprio come i predecessori Kuhl e van Hasselt, i naturalisti fecero base all'orto botanico di Buitenzorg/Bogor, dove conobbero l'unico membro sopravvissuto della spedizione precedente, van Raalten, al momento ancora impegnato a preparare le collezioni di van Hasselt per l'invio in Olanda. Inizialmente esplorarono l'area attorno a Bogor, deve Boie studiò soprattutto gli uccelli. Quindi si spostarono a Karawang, dove intendevano prepararsi per passare a Sumatra. Ma Boie contrasse la malaria e morì nel settembre 1827; anch'egli come Kuhl e van Hasselt venne sepolto nel cimitero olandese dell'orto botanico di Bogor. Fu un durissimo colpo per Macklot, che così scrisse al professor Temminck: " Oh, non inviate più qui degli uomini, a meno che siano dei bruti. Altrimenti saranno perduti senza alcuna speranza di riscatto". Oltre ad aver perso un amico carissimo, egli non si riteneva in grado di assumerne il ruolo; suggerì così di invitare lo zoologo francese Pierre-Médard Driard a unirsi alla Commissione, prendendone la guida. Driard, allievo di Cuvier, aveva un'esperienza più che decennale di lavoro sul campo in Oriente e aveva lavorato anche per Raffles; sarebbe poi rimasto per un ventennio a Giava, inviando molti esemplari al Museo di Leida, ma svolgendo compiti fondamentalmente amministrativi. Altri viaggi e altri pericoli attendevano invece Macklot, Müller e van Oort. 1828-32: Nuova Guinea, Timor e ritorno Fin dal XVII secolo, gli olandesi erano presenti nell'arcipelago delle Molucche e rivendicavano la sovranità sulla parte occidentale della Nuova Guinea, con la quale commerciavano senza tuttavia disporre di basi permanenti. Nel 1825, il luogotenente D.H. Kolff aveva esplorato e mappato la costa meridionale dell'isola, individuando un luogo adatto a un insediamento presso la foce di quello che credeva un fiume, da lui battezzato Dourga dal nome della sua nave. Temendo di essere preceduto dai britannici - molto attivi nel Sud est asiatico, come dimostra la fondazione di Singapore - nel 1828, il governatore delle Molucche, Pieter Merkus, sollecitò il governo olandese a inviare una spedizione che creasse un avamposto e prendesse possesso formale della parte occidentale della grande isola (fino al 141 meridiano est, secondo l'accordo spartitorio con la Gran Bretagna). L'ultimo giorno del 1827 il re diede la sua autorizzazione all'invio di un piccolo corpo di spedizione, al comando dal Luogotenente C.J. Boers, nominato Commissario generale delle Indie olandesi. Anche ai nostri naturalisti venne ordinato di unirsi alla missione. A Macklot, Müller e van Oort si aggiunsero van Raalten (che avrebbe coadiuvato Müller come tassidermista e van Oort come disegnatore) e Alexander Zippelius. Quest'ultimo era uno dei giardinieri di Bogor e aveva una certa esperienza di lavoro sul campo, avendo erborizzato con i suoi colleghi e avendo accompagnato più volte Blume. Divenne così il botanico della spedizione. Alla fine di febbraio 1828, insieme a Boers, il gruppo si imbarcò sul mercantile Minerva. Partiti da Batavia, raggiunsero Makassar, nell'isola di Celebes, dove si imbarcarono sulla corvetta Triton, che li portò Ambon, nelle Molucche, tappa di partenza della spedizione vera e propria. Con la scorta della goletta Isis, la Triton partì da Ambon il 21 aprile 1828; a bordo, poche decine di soldati, tra europei e indonesiani (questi ultimi erano accompagnati da mogli e figli) e dieci lavoratori forzati giavanesi. Facendo rotta per le isole Banda e Aru, puntarono direttamente alla supposta "foce del Dourga", dove secondo gli ordini del governatore intendevano creare una base militare. La raggiunsero dopo circa un mese, scoprendo che il luogo non era adatto: era basso, paludoso, soggetto ad allagamenti; l'interno era una foresta impenetrabile; l'acqua scarseggiava; l'atmosfera era così nebbiosa e densa di umidità che qualcuno la paragonò una tazza di zuppa di piselli; subirono anche un attacco di nativi. Decisero così di lasciare il fiume Dourga (in realtà, lo stretto di Muli che separa l'isola di Yos Sudarso dalla Nuova Guinea) per cercare un luogo più adatto risalendo la costa verso nord ovest. Dopo aver scartato per una ragione o l'altra altri siti, solo all'inizio di giugno fu individuata una piccola baia protetta (che venne immediatamente ribattezzata Triton Bay), nella regione del Lobo a est dell'attuale città di Kaimana. Qui gli olandesi costruirono un forte (Fort du Bus) e il 14 agosto 1828, compleanno del re, piantarono la bandiera nazionale, prendendo formalmente possesso della costa sud occidentale della Nuova Guinea a nome del sovrano. Intanto, però, le malattie tropicali dilagavano; già erano morti 20 membri dell'equipaggio e molti altri erano ammalati. Il 29 agosto la Triton lasciò il piccolo avamposto (che sarebbe vissuto stentatamente fino al 1835, per poi essere abbandonato), trasferendo all'ospedale di Ambon i numerosi malati, tra i quali i nostri naturalisti. Quando, circa un mese dopo, la Triton ripartì per Giava, si erano ripresi abbastanza da imbarcarsi, ma chiesero di essere sbarcati a Kupang, nell'isola di Timor, dove intendevano proseguire le ricerche. Fallita sul piano politico, la spedizione del Triton fu importante per i risultati scientifici: le rilevazioni dei cartografi fornirono la prima mappatura della costa sud occidentale della Nuova Guinea; nei tre mesi trascorsi nel Lobo, i naturalisti misero insieme una imponente collezione di oggetti etnografici, minerali, animali, piante, disegni. Particolarmente rilevanti i risultati zoologici; tra l'altro, Macklot e Müller furono i primi scienziati a vedere dal vivo e a descrivere i canguri arboricoli, descrivendo il nuovo genere Dendrolagus. Ma anche Zippelius non perse tempo: le sue raccolte ammontarono a 4000 esemplari di 500 specie diverse, tra cui 600 crittogame. Anche Timor era praticamente sconosciuta agli scienziati occidentali. Qui i membri della Natuurkundige Commissie si trattennero per circa un anno, spostandosi inizialmente verso est fino a Manikie e soggiornando a Babao e Pariti. Ma a dicembre, in seguito alla malaria contratta in Nuova Guinea, Zippelius morì. Sfortunato in vita (tuttavia la morte in giovane età fu sorte comune anche dei suoi compagni, ad eccezione del solo Müller), lo fu ancora di più dopo la morte. Quest'uomo taciturno e solerte, forse mai davvero integrato nel gruppo dei giovani naturalisti, legati tra loro da rapporti di amicizia cameratesca, era un grande lavoratore e un botanico dotato; non solo mise insieme una raccolta imponente, ma le sue note manoscritte brillano per l'esattezza delle descrizioni e la capacità di collocare le piante nel loro ambiente naturale. Eppure non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato come pioniere dello studio della flora della Nuova Guinea; i manoscritti inizialmente andarono perduti, e solo una ventina di anni dopo finirono in possesso del medico P. Bleeker, che li presentò alla Società di Storia naturale di Batavia, la quale ne curò l'invio all'Erbario nazionale di Leida, dove, secondo gli accordi, Blume avrebbe dovuto assicurarne la pubblicazione; questo non avvenne mai, mentre i materiali di Zippelius vennero utilizzati da altri studiosi, incluso lo stesso Blume. Una sintesi delle poche notizie su di lui nella sezione biografie. Ma torniamo ai nostri naturalisti. Essi continuarono ad esplorare l'area di Pariti, facendo diverse escursioni sulle montagne circostanti. Ad aprile, durante uno spostamento in barca, si spense anche van Raalten; Macklot lo seppellì amorevolmente sulla spiaggia di Oecusse, a Timor Est. Membro e unico superstite della prima Natuurkundige Commissie, inizialmente come tassidermista, era diventato un bravissimo pittore, i cui disegni sono ora conservati al Naturalis Biodiversity Center di Leida. Dopo la sua morte, Macklot, Müller e van Oort si spinsero nell'interno di Timor, visitando larga parte delle regioni sudoccidentali e settentrionali. Non avevano più con loro un botanico, e le loro ricerche si rivolsero soprattutto alla fauna, con importanti scoperte zoologiche, tra cui il pitone acquatico di Timor, detto anche pitone di Macklot (Liasis macklotii). Alla fine del 1830 gli amici tornarono quindi a Giava; nel 1831 esplorarono ancora insieme la costa nord e a luglio scalarono il monte Salak. Nel maggio 1832 Macklot si trovava nel distretto di Krawang, a Purwakarta, quando scoppiò una rivolta dei cinesi che diedero fuoco a tutte le case degli europei; nell'incendio andarono perduti i manoscritti di Macklot stesso e di Boie, che egli aveva religiosamente conservato per cinque anni. Furioso, il naturalista si unì alle forze che cercavano di ristabilire l'ordine, e pochi giorni dopo venne ucciso. Quanto a van Oort e Müller (l'unico a sopravvivere e a rivedere l'Europa), li ritroveremo in una prossima avventura. La poco nota Zippelia Macklot, l'ho già anticipato, pur essendo originariamente un farmacista poi diventato chirurgo, era soprattutto uno zoologo; lo ricordano i nomi specifici di diversi animali; tra gli altri, oltre il già citato Liasis macklotii, diversi uccelli (Pitta macklotii, Erythropitta macklotii), il pipistrello Acerodon macklotii. Nel 1847 Korthals (lo conosceremo molto presto) gli dedicò il genere Macklottia (oggi confluito in Leptospermum, famiglia Myrtaceae). A onorare Alexander Zippelius con il genere Zippelia fu invece Blume, nel 1830 (tuttavia, non pubblicandone i manoscritti lo condannò al quasi oblio); a ricordare lo sfortunato giardiniere-botanico sono anche i nomi specifici zippelianus, zippelii (che designano almeno una ventina di specie, a riprova dell'importanza del suo contributo). Zippelia, della famiglia Piperaceae, è un genere monotipico, rappresentato dall'unica specie Z. begoniifolia. E' molto affine al genere Piper (sotto il quale a volte è stata trattata), ma ne differisce per il numero di cromosomi e per il frutto con peli barbati, unico nella famiglia. E' un'erbacea perenne o un suffrutice eretto, che cresce nel sottobosco delle foreste tropicali, in una vasta area che comprende la Cina (Guangxi, Hainan, Yunnan), il Vietnam, il Laos, la Malaysia, diverse isole indonesiane (Giava, Sumatra e Borneo), le Filippine. Genere poco noto, anche se le foglie sono ricche di oli essenziali, non se ne conoscono usi particolari. Qualche informazione in più nella scheda. A Waterloo quel fatidico 18 giugno 1815 c'erano due ragazzi con la testa piena di sogni di gloria: nella finzione romanzesca, Fabrizio del Dongo, che sognava di emulare Napoleone sui campi di battaglia; nella realtà, Carl Ludwig Blume, che sognava di diventare un secondo Humboldt nelle foreste tropicali. E se Fabrizio dovette adeguarsi alla grigia realtà della Restaurazione, Carl Ludwig poté partire all'esplorazione di Giava, descrivendone la flora nel pionieristico Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Ma dopo gli anni eroici, anche a lui toccarono il grigiore accademico e le battaglie tragicomiche per imporre il discusso monopolio dell'Erbario nazionale olandese. Tassonomista instancabile, che ha stabilito centinaia di nuove specie e almeno 160 generi ancora validi, Blume è ricordato da ben tre generi attualmente accettati. Con una nota sul "vecchio sundanese" Bapa Santir e il genere Santiria. Un giovane ricercatore ambizioso La storia di Carl Ludwig Blume, grande botanico tedesco naturalizzato olandese, pioniere della descrizione della flora di Giava e primo direttore dell'Erbario nazionale olandese, incomincia sul campo di battaglia di Waterloo. Aveva appena diciotto anni e usciva da un'adolescenza nutrita dalla lettura di racconti di viaggio e dal sogno di emulare le gesta di Humbold nelle foreste tropicali; dopo aver studiato farmacia, a sedici anni si era arruolato come volontario nei mitici "cacciatori neri" del Lützowsche Jägercorps, dove divenne farmacista militare. Era a Waterloo con la sua unità mobile di ambulanze, nelle file dell'esercito prussiano; fu così che venne coinvolto nella grande operazione di soccorso ai feriti coordinata dal professor Brugmans dell'Università di Leida. Fu probabilmente quest'esperienza a spingerlo ad arruolarsi nell'esercito olandese, sempre come farmacista militare, e a trasferirsi a Leida; quando Brugmans (che potrebbe averlo conosciuto già a Waterloo) fu inviato a Parigi a recuperare le collezioni di storia naturale sottratte dai francesi, lo volle come assistente; lo spinse poi a coltivare il suo talento, iscrivendosi alla facoltà di medicina. Blume si laureò a tempo di record e divenne medico militare all'ospedale di Leida, dove già da due anni lavorava come farmacista. Fece subito domanda per essere inviato nelle Indie orientali olandesi e già nel 1818 (aveva appena compiuto 21 anni) fu inviato a Giava per assistere Reinwardt nei suoi compiti sanitari e nelle ricerche naturalistiche. Vi arrivò alla fine dell'anno e dal gennaio 1819 si stabilì a Buitenzorg (oggi Bogor), ospite dello stesso Reinwardt. Gli fu affidato l'incarico ufficiale di "Ispettore dei vaccini", ma al contrario del suo superiore che, oberato dai troppi compiti amministrativi, poteva dedicarsi al lavoro sul campo solo nei ritagli di tempo, sfruttò la sua posizione per prendere contatto con la popolazione locale, studiare le piante officinali indigene, visitare ampie porzioni del territorio e raccogliere una grande quantità di esemplari botanici (ma anche animali e minerali); i semi e le piante vive diedero un grande impulso agli esperimenti di acclimatazione all'Orto botanico di Bogor, alimentati anche dagli scambi con altri orti botanici, in particolare Calcutta, Mauritius e Rio de Janeiro. Nei sette anni che trascorse a Giava (1819-1826), Blume compì un gigantesco lavoro sul campo, visitando ampiamente le regioni occidentali e centrali dell'isola, spesso accompagnato da assistenti (in particolare, il giardiniere Kent) e da pittori, nonché da portatori indigeni. Tra il 1821 e il 1822 visitò la provincia da Bantam; sempre nel 1822 esplorò largamente il monte Salak e nel 1823 il monte Gedeh; nel 1824, come ispettore dei vaccini, effettuò una grande ricognizione delle regioni occidentali, che lo portò nel Kuripan, a Kravang e nell'isola di Nusa Kambangan, allora ricoperta di foresta vergine, dove poté studiare la Rafflesia; nel 1825 fu la volta delle provincie centrali (Rembang, di nuovo Bantam e monte Parang). Energico e ambizioso, nel suo desiderio di pubblicare le proprie scoperte senza passare attraverso il suo superiore, Blume finì per scavalcare Reinwardt e entrare in conflitto con lui. Incominciò a creare un proprio erbario, a inviare piante in Olanda a proprio nome e a preparare una pubblicazione sulla flora di Giava. Quando Reinwardt se ne accorse, deciso a imporre il proprio monopolio, invocò l'intervento del governo coloniale che requisì l'erbario di Blume, unendolo al suo, e vietò al giovane tedesco di pubblicare nel territorio olandese. Per documentare almeno in parte le sue scoperte, Blume allora ricorse a un escamotage: inviò lunghe relazioni ai fratelli Nees von Esenbeck, che le pubblicarono sotto forma di lettere nella rivista di Regensburg Flora. Nel 1822, con la partenza di Reinwardt per l'Olanda, Blume si liberò della sua ingombrante presenza e gli succedette nella direzione dell'Orto di Bogor (di cui di fatto era già il curatore). Con l'acquisita posizione ufficiale, cadeva anche il divieto di pubblicare sulle riviste olandesi, e Blume si affrettò a dare alle stampe le sue scoperte, prima che la priorità gli venisse sottratta da qualche altro botanico (temeva soprattutto Horsfield e Jack) o glielo impedisse la morte, sempre in agguato nel clima tropicale. Nel 1823 scrisse il primo catalogo dell'Orto botanico di Bogor (che include anche alcune specie descritte dal suo predecessore). Nel 1825 pubblicò un primo pionieristico lavoro sulle orchidee di Giava, Tabellen en platen voor de Javaansche orchideeën, "Tabelle e tavole sulle orchidee di Giava", cui tra il 1825 e il 1827 seguirono Bijdragen tot de Flora van Nederlandsch Indië, "Contributi sulla flora delle Indie olandesi". Pubblicati a Batavia, sono lavori estremamente sintetici, con poche illustrazioni, ma di capitale importanza nella storia della botanica della regione malese, in cui vengono descritti centinaia di generi e specie nuovi per la scienza. Nonostante lavorasse in fretta e con l'aiuto di poche opere di consultazione, Blume vi dimostra il suo grande valore di tassonomista, creando 18 nuove famiglie e circa 300 generi (160 tuttora validi); tuttavia le descrizioni (in latino, mentre il testo è in olandese) sono sommarie e, in assenza di illustrazioni, non sempre garantiscono una corretta identificazione. In effetti, nelle intenzioni di Blume i Bijdragen erano solo un abbozzo della sua vera flora di Giava, un'opera molto ambiziosa che avrebbe potuto scrivere solo in Europa, avendo a disposizione la letteratura più recente e gli esemplari conservati nei principali erbari, da confrontare con i propri. Iniziò così un'estenuante trattativa con il Ministero perché gli fosse concesso un congedo: chiese un permesso di quattro anni; alla fine, gliene furono concessi due, a patto che si pagasse le spese di viaggio e cedesse metà dello stipendio ai giardinieri di Buitenzorg, che lo avrebbero sostituito nella gestione del giardino durante la sua assenza. E così, nel giugno 1826 lasciò Giava (non vi avrebbe mai fatto ritorno) con 29 casse di materiali, compresi il proprio erbario, quello di Reinwardt e i materiali raccolti nei dintorni di Bogor dai giardinieri dell'orto botanico. Rimasero a Giava i doppioni (importanti per lo studio in loco) e l'erbario di Kuhl e van Hasselt (inviato al Museo di Leida nel 1828 da van Raalten). Come materiale d'imballaggio, Blume usò muschi ed epatiche; dopo il rientro in Europa, li inviò a C.J. Nees von Esenbeck, che ne ricavò uno studio sulle epatiche di Giava, pubblicato anche sotto il nome di Blume, per gentilezza accademica. Pubblicazioni scientifiche e un discusso monopolio Giunto a Bruxelles, allora capitale del regno, Blume riprese le trattative con il governo perché finanziasse Flora Javae: avrebbe dovuto essere una grande opera illustrata, in cento fascicoli in folio. Dopo discussioni senza fine, gli furono concessi 7000 fiorini, con 50 copie da cedersi allo Stato; le ulteriori somme necessarie sarebbero giunte attraverso sottoscrizioni. Le illustrazioni furono affidate al pittore J.C. Arckenhausen, con un contratto di quattro anni; per le descrizioni, inoltre, Blume fu affiancato da J.B. Fischer. Mentre lavorava alla pubblicazione maggiore, tra il 1827 e il 1828 Blume pubblicò Enumeratio plantarum Javeae et insularum adiacentium, minus cognitarum vel novarum, una selezione delle più interessanti specie raccolte a Giava da lui stesso, Reinwardt, Kuhl e van Hasselt; ancora senza illustrazioni e nello stesso stile sintetico dei Bijdragen, ma in latino (e quindi più accessibile agli studiosi di altri paesi), il primo volume è significativo per la pubblicazione di alcune specie inedite di angiosperme, mentre il secondo costituisce il primo tentativo di una presentazione complessiva delle felci della regione malese. I primi 35 fascicoli della Flora Javae, con circa 200 tavole, parte in banco e nero, parte colorate a mano, uscirono infine tra il 1828 e il 1830; poi i soldi finirono, e la pubblicazione venne sospesa, mentre anche la situazione politica si faceva difficile. Nel frattempo, Blume era stato coinvolto in una nuova avventura, e aveva abbandonato l'idea di tornare in Indonesia. Il suo vasto erbario aveva destato grande interesse ed era nata l'idea di creare un erbario nazionale per ospitarlo, insieme alle importantissime collezioni che Siebold stava inviando dal Giappone. Fu così che nel 1829 nacque il Rijksherbarium ("Erbario di Stato"), con sede a Bruxelles, di cui Blume fu nominato direttore, con il titolo di professore e uno stipendio pari a tre volte quello percepito come direttore dell'Orto di Buitenzorg. Tuttavia, il 25 agosto 1830 iniziò l'insurrezione che un anno dopo avrebbe portato all'indipendenza del Belgio. In quei giorni Blume era a Ginevra, in viaggio di nozze; a salvare le collezioni e a portarle fortunosamente a Leida fu Siebold, che era tornato dal Giappone proprio in quei giorni. Rientrato in Olanda, Blume gettò tutta l'energia e tutta la caparbietà del suo carattere nell'ampliamento delle collezioni del nuovo erbario. Si rivolse a rappresentanze consolari, ufficiali sanitari e missionari che operavano nelle colonie, affinché raccogliessero esemplari, giungendo anche a scrivere per loro un libretto di istruzioni. Altre collezioni furono procurate tramite acquisti (benché la situazione finanziaria dell'istituzione fosse così precaria che Blume non riuscì a fare assumere in modo permanente neppure i suoi principali collaboratori, Arckenhausen e Fischer). Interpretando in modo restrittivo una circolare ministeriale del 1830, inoltre, egli cercò di imporre la consegna all'erbario di Leida di tutte le raccolte fatte da persone alle dipendenze dallo stato, vietando inoltre l'invio di piante inedite agli erbari stranieri. Questo diktat colpiva sia Siebold (che in Giappone aveva lavorato come dipendente del Ministero della guerra) sia i membri della Natuurkundige Commissie, gli intrepidi ricercatori che proprio in quegli anni mettevano a rischio la propria vita esplorando la natura dell'Indonesia olandese. Questa pretesa poteva avere qualche giustificazione, ma era illegittima sul piano legale; inoltre offendeva profondamente i botanici impegnati sul campo, che si vedevano trasformati in puri raccoglitori al servizio della gloria accademica di Blume. Il quale, tuttavia, rincarò la dose: nel 1844, si oppose alla richiesta di Teijsmann di creare un erbario indipendente a Bogor; nel 1850, pubblicò nuove istruzioni per le collezioni dell'erbario, in cui ribadì il suo monopolio. Queste pretese suscitarono l'ostilità unanime dell'ambiente botanico olandese: gli erano ostili Reinwardt (non dimentico dei passati sgarbi) e i suoi allievi, tra cui l'influente de Vriese che, quando insegnava ad Amsterdam, vi creò un erbario indipendente; lo stesso Siebold (che inviò il suo erbario a Monaco); F.A.W. Miquel, che andava affermandosi come nuova stella della botanica olandese e succedette poi a Blume nella gestione dell'Erbario di stato; ma soprattutto i membri della Natuurkundige Commissie. Tanto più che Blume si mosse con la leggerezza di un rinoceronte di Giava alla carica: nelle sue riviste con penna avvelenata faceva le pulci ai suoi avversari, alla ricerca di errori e svarioni. Offese talmente il brillante Franz Junghuhn con critiche velenose su certe sue identificazioni che questi cedette le proprie collezioni all'Università di Leida, con la condizione esplicita che mai sarebbero confluite nell'Erbario di stato. Le male lingue incominciarono a moltiplicare le accuse contro di lui: gli si imputò di aver portato in Olanda l'intero erbario di Bogor, senza lasciare i duplicati per lo studio in loco, e di essersi impadronito delle collezioni di Kuhl e van Hasselt (entrambe le accuse sono false); di chiedere esemplari agli orti botanici stranieri senza dare nulla in cambio, perché voleva essere solo lui a pubblicare le specie inedite (l'accusa è vera, ma forse fu dovuta essenzialmente alla carenza di personale); di allontanare tutti i collaboratori con la sua personalità dominante, impedendo di fatto o procrastinando per decenni la pubblicazione delle nuove specie. In effetti, l'attività scientifica di Blume non si arrestò mai, ma continuò ad essere ostacolata dalla carenza di denaro; fu anche sfortunato con i suoi collaboratori, alcuni dei quali morirono giovani, altri cambiarono lavoro o non si dimostrarono all'altezza del compito. Negli anni '40, egli cercò di riprendere l'attività editoriale lanciando una rivista, De Indische Bij, dedicata alla natura, alla storia e all'etnografia dell'arcipelago indonesiano, di cui però uscì un solo numero nel 1843. Tra il 1836 e il 1849 con il titolo Rumphia (omaggio a Georg Eberhardt Rumphius, primo studioso della flora delle Molucche) pubblicò una seconda grande opera dedicata alla flora indonesiana, in quattro volumi ancora magnificamente illustrati da Arckenhausen. Alla fine degli anni '40, non sappiamo con quali finanziamenti, riprese la pubblicazione di Flora Javae; nel 1847 uscirono i fascicoli 36-39, nel 1851 il fascicolo 40, nel 1851 i fascicoli 41 e 42. Anche in risposta alle critiche ricevute per la sua gestione monopolistica dell'Erbario di stato, nei primi anni '50 iniziò la pubblicazione del catalogo dell'erbario, un lavoro che evidentemente non lo appassionava, visto che venne abbandonato dopo i primi due volumi. Negli ultimi anni della sua vita, Blume ritornò a un vecchio amore, quello per le orchidee. Nei suoi primi anni a Giava, aveva progettato di dedicare loro un libro, scritto in collaborazione con van Hasselt (l'unico rapporto documentato tra Blume e i primi membri della Natuurkundige Commissie: vivevano insieme, erano coetanei, eppure ciascuno condusse spedizioni indipendenti, non di rado visitando le stesse località; forse Blume li considerava degli estranei catapultati dall'Olanda a usurpare il suo ruolo di scopritore della flora di Giava); dopo la morte di van Hasselt, vi rinunciò, accontentandosi della breve sintesi delle Tabellen. Vi tornò ora con la seconda serie di Flora Javae (1858-59), pubblicata a proprie spese e interamente dedicata alle Orchidaceae. E' un'opera splendida e decisiva perché vi sono illustrati molti generi importanti, molti dei quali stabiliti da Blume già nei Beijdragen; tra i più noti, Phalaenopsis, Arachnis, Spathoglottis e Dendrochilum. Fu anche tra i primi a descrivere orchidee della Nuova Guinea, tra cui Cypripedium glanduliferum, oggi Paphiopedilum glanduliferum, e Latouria spectabilis, oggi Dendrobium spectabile. Morì a Leida nel 1862. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Da Blumea a Blumeodendron Al di là dei limiti caratteriali, Blume fu senza dubbio uno dei maggiori botanici della sua generazione e il suo contributo alla conoscenza della flora del sudest asiatico è incalcolabile. Dunque non mancarono gli omaggi, a partire dal nome della rivista ufficiale dell'Erbario di stato di Leida, Blumea (oggi pubblicata in formato elettronico, è l'organo del Naturalis Biodiversity Center, che riunisce le principali collezioni nazionali di zoologia e botanica dei Paesi Bassi, in un'unità di intenti che forse non gli sarebbe dispiaciuta). Lo ricordano i nomi specifici blumei e blumeanus (la specie più nota è sicuramente Coleus blumei, oggi ribattezzata Plectranthus scutellarioides) e ben tre generi riconosciuti: Blumea DC, Blumeopsis Gagnep., Blumeodendron (Müll. Arg.) Kurz. Ostracizzato dai botanici di casa, Blume era invece apprezzato nell'ambiente internazionale, in particolare a Parigi, che visitò più volte, intrattenendo anche cordiali rapporti personali con diverse personalità della scienza francese. Tra di essi anche Augustin Pyramus de Candolle che nel 1833 gli dedicò Blumea (famiglia Asteraceae), separandolo da Conyza. E' un vasto genere di piante erbacee cui appartengono una cinquantina di specie distribuite soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia orientale, con qualche presenza in Africa e in Oceania. Ricche di oli essenziali, diverse specie sono usate nella medicina tradizionale in India, in Cina e nel Sudest asiatico. La dedica di de Candolle non è casuale, poiché Blume, nella sua veste di ispettore sanitario, fu molto attento alle piante medicinali locali, da preferirsi alle droghe europee che in seguito al lungo viaggio perdevano grande parte della propria efficacia. Qualche informazione in più nella scheda. Nel 1920, il botanico francese François Gagnepain, sulla base di alcune particolarità delle antere e della distribuzione dei fiori femminili e bisessuali nei capolini, separò da Blumea DC Blumeopsis ("simile a Blumea"), un genere monotipico rappresentato da un'unica specie, B. flava, un'erbacea nana presente nella Cina meridionale, nel subcontinente indiano e nel sudest asiatico. Recenti studi filogenetici, tuttavia, porteranno probabilmente alla cancellazione di questo genere, che in realtà non è distinguibile da Blumea. Per ora è ancora considerato valido da repertori come Plant List; rimando alla scheda per altre notizie. La denominazione Blumeodendron ("albero di Blume") fu invece creata da J. Müller nel 1866 per distinguere una sezione del genere Mallotus, sulla base di M. tokbrai, una pianta delle foreste montane a sostrato acido raccolta da Blume (tokbrai è il nome sundanese) e coltivata nell'orto botanico di Bogor. Blume l'aveva descritta nei Bijdragen sotto il nome di Elateriospermum tokbrai. Infine, nel 1873 W.S. Kurz ne riconobbe l'appartenenza a un nuovo genere, che denominò appunto Blumeodendron, riprendendo la denominazione di Müller. Questo piccolo genere della famiglia Euphorbiaceae comprende cinque specie di alberi decidui endemici del sudest asiatico (Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea), delle isole del Pacifico occidentale e della Papuasia. Un approfondimento nella scheda. Santiria, omaggio alla sapienza botanica indigena Prima di congedarmi dal discusso Carl Ludwig Blume, vorrei ricordare una piccola vicenda che gli rende onore, rendendolo molto più umano e simpatico ai nostri occhi. Blume, l'abbiamo visto, era stato prima di tutto un ufficiale sanitario, una persona a cui stava a cuore la salute delle persone. Nelle sue attività di ispettore dei vaccini a Giava dimostrò di non fare distinzione tra funzionari bianchi e popolazione locale; si preoccupò del benessere di entrambi i gruppi e non ebbe mai alcuna prevenzione etnocentrica nei confronti della medicina tradizionale, considerando gli esperti di erbe locali una fonte di grande valore. Gli immensi risultati delle sue ricerche non avrebbero potuto essere raggiunti senza l'aiuto delle guide indigene e senza la loro conoscenza degli ecosistemi dell'isola e delle proprietà delle piante. Uomo senza pregiudizi, volle riconoscere questo contributo dedicando il genere Santiria al più abile e devoto di questi collaboratori, il "vecchio sundanese" Bapa Santir che lo aveva accompagnato nella scalata del monte Salak nel 1822 (i sundanesi sono un gruppo etnico della parte occidentale dell'isola di Giava). Questa dedica (Blume la pubblicò nel 1850, nel primo volume del Catalogo dell'Erbario di Stato) suscitò l'indignazione dell'arcinemico Junghuhn; come si era permesso Blume di attribuire a una "persona indegna", un semplice pakke drager (un portatore di bagagli, un coolie) un onore che spettava solo ai migliori botanici? al contrario, Bapa Santir (spiace di non sapere nient'altro di lui; l'appellativo bapa, che significa padre, indica una persona anziana e autorevole) secondo la testimonianza di Blume era il più grande conoscitore della flora di Giava che egli avesse incontrato, un'autorità locale che sapeva tutto sulle piante (molto meglio di qualsiasi botanico europeo) e gli fu guida fedele e espertissima. Il bello è che, mentre Blume era considerato un conservatore, in Olanda Junghuhn si atteggiava a progressista e illuminato. Non nei confronti dei colonizzati, evidentemente. Il genere Santiria, della famiglia Burseraceae, comprende circa 15 specie, una (o tre, secondo altri) originaria dell'Africa occidentale tropicale, le restanti endemiche della regione malese, con massima biodiversità nel Borneo. Sono alberi da piccoli a grandi della foresta umida a bassa altitudine, spesso su substrato acido, che crescono relativamente in fretta e costituiscono la specie dominante in talune aree; il legname di alcune specie, noto come kedondong (nome che hanno in comune con altre Burseriaceae) è ricercato a livello locale perché duro e duraturo. Alcune specie, ad esempio l'africana Santiria trimera, producono frutti eduli. Qualche notizia in più nella scheda. All'ombra di altissimi bambù, nell'Orto botanico di Bogor nell'isola di Giava c'è un angolo singolare: è un antico cimitero (la prima tomba fu eretta nel 1784, 33 anni prima che Reiwardt fondasse il giardino) con 41 tombe. In una delle più modeste - un semplice cippo parallelepipedo sormontato da una colonna - riposano insieme due amici che condivisero gli studi, la passione per la scienza, gli entusiasmi e le fatiche della prima missione scientifica ufficiale nelle Indie orientali olandesi, la morte precoce. Sono il tedesco Heinrich Kuhl (morto a 24 anni) e l'olandese Johan Coenraad van Hasselt (morto a 26). Erano soprattutto zoologi, il cui contributo, in particolare all'ornitologia e all'erpetologia, fu di enorme valore; ma non disdegnarono la botanica, raccogliendo molte nuove specie di orchidee. Con una scelta toccante e felice, sono ricordati insieme dal genere Kuhlhasseltia, che comprende piccole ma graziose orchidee terrestri endemiche dell'Asia orientale. Una Commissione dagli esiti tragici A cavallo degli anni '20, il nuovo regno unito dei Paesi Bassi (era stato creato nel 1815 dal Congresso di Vienna, unendo i Paesi Bassi e il Belgio, come stato cuscinetto in funzione antifrancese) sembra percorso da un nuovo entusiasmo per le antiche colonie dell'Asia orientale. In effetti, dopo la sconfitta di Napoleone, il paese si trovava in un grave stato di decadenza economica, culturale e scientifica; i territori delle Indie orientali olandesi, che adesso, dopo lo scioglimento della Compagnia olandese delle Indie Orientali, erano passati sotto amministrazione statale, potevano offrire un contributo decisivo per risollevarne le sorti. Fu così che, senza neppure attendere gli esiti della missione di Reinwardt, il neo re Guglielmo I decise di fondare due nuove istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione delle loro risorse naturali. Nel maggio 1820 nacque la Natuurkundige Commissie voor Nederlandsch-Indië (Commissione di Scienze Naturali per le Indie Olandesi) cui sarebbe stata affidata l'esplorazione di quei territori, con compiti tanto economici quanto scientifici: da una parte il rilevamento delle risorse minerarie, dall'altra la schedatura della flora e della fauna dell'arcipelago. Ad agosto, seguì la creazione del Rijks Museum voor Natuurlijke Historie (Museo di Stato di Storia naturale), destinato a studiare e ospitare le collezioni raccolte in Indonesia. A presiedere entrambe, un eminente zoologo e collezionista, Coenraad Jacob Temminck. La Commissione era costituita da quattro membri (scelti tra naturalisti, geografi, geologi, pittori e tassidermisti) che venivano inviati nelle isole per un periodo di quattro anni. Nei suoi trent'anni di vita (1820-1850) coinvolse complessivamente diciotto persone, dodici delle quali perirono nel corso delle missioni, finché quest'alto tasso di perdite convinse il governo a sciogliere l'istituto. Nel frattempo, erano state organizzate spedizioni a Giava, Sumatra, Nuova Guinea, Borneo e Timor, con risultati impressionanti per quantità e qualità, che tra il 1839 e il 1847 vennero pubblicati in Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche Overzeesche bezittingen ("Rendiconti di storia naturale dei possedimenti olandesi d'oltremare"). In questo post racconterò la storia, tragicissima, dei primi quattro membri della Commissione, nessuno dei quali rivide mai la patria. All'atto dell'istituzione della Commissione, Temminck, su raccomandazione del Professor van Swinderen dell'Università di Groninga, propose la candidatura di un brillantissimo giovane scienziato tedesco, che si era perfezionato a Groninga dove era diventato assistente di Swinderen: Heirich Kuhl. Ma era impossibile ingaggiare Kuhl senza coinvolgere il suo migliore amico, l'olandese Johan Coenraad van Hasselt. I due si erano conosciuti all'Università di Groninga nel 1816 - coetanei, all'epoca avevano diciannove anni - ed erano diventati inseparabili. Entrambi appassionati di scienze naturali (anche se, di formazione, Hasselt era un fisiologo), nell'estate del 1818 avevano fatto insieme un viaggio di studio in Germania dove avevano visitato le principali istituzioni scientifiche; nell'aprile del 1819, già pensando a una possibile missione in Oriente, il solo Kuhl era andato a Londra, dove era stato amabilmente accolto da James Edward Smith, presidente della Linnean Society, e dallo stesso Banks; a novembre, di nuovo con van Hasselt, aveva visitato Parigi, incontrando Geoffroy de Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck. Ma l'incontro più appassionante era stato quello con Humboldt, che aveva loro aperto le porte dell'Accademia delle scienze e di molte collezioni private. I due amici, evidentemente, sognavano di emulare il loro idolo von Humboldt e non vedevano l'ora di partire, ma insieme. Grazie a un'efficace azione di lobbing di Swinderen e Temminck, il ministro dell'Istruzione accolse anche van Hasselt nella Commissione, che fu poi completata dal tassidermista Gerrit van Raalten e dal pittore Gerrit Laurens Keultjes. Come meta per la prima missione fu scelta Giava, di cui le esplorazioni di Reinwardt stavano dimostrando la grande potenzialità. Le collezioni raccolte sarebbero state inviate al Museo di storia naturale di Leida (anche se, come si è visto sopra, sarebbe stato fondato ufficialmente solo qualche mese dopo), di cui Kuhl venne nominato curatore. Due amici divisi e riuniti dalla morte Il 10 luglio 1820 i quattro lasciarono l'Olanda a bordo della Nordloh, che dopo un viaggio di sei mesi, nel corso del quale toccarono Madeira, Città del Capo e le Isole Cocos, li portò a Batavia, dove sbarcarono a dicembre. Il governatore generale Van der Capellen assegnò loro un alloggio a Buitenzorg (oggi Bogor), che sarebbe diventato il loro quartier generale. Entusiasti e instancabili, i ragazzi (è il caso di dirlo: il pittore, con i suoi 34 anni, era quasi un papà per i suoi tre compagni, tutti coetanei, che di anni ne avevano solo 23) si misero immediatamente al lavoro, abusando sicuramente delle proprie forze. I primi quattro mesi vennero trascorsi nei dintorni di Buiterzorg che offrivano ad ogni passo una messe di specie nuove per la scienza; oltre a decine di animali, raccolsero 185 specie di felci, 70 di muschi, 100 di funghi; non passava giorno che non trovassero qualche nuova specie di orchidea. All'attività sul campo seguiva l'esame dei materiali raccolti, accompagnato dall'attento studio dei disegni e degli erbari di Reinwardt. L'esplorazione a tappeto dell'area di Buitenzorg permise, secondo Kuhl, di raggiungere "una conoscenza tanto completa quanto quella che si possiede per qualsiasi parte d'Europa". I due amici progettarono quindi una spedizione a Bantam, una provincia allora poco nota, ma un'epidemia di colera li convinse a spostarsi sulle montagne; nell'estate, scalarono il Gunung Salak, il Gunung Gede e il Gunung Pangrango, dove raccolsero molti rettili e anfibi. Alla base del Pangrango, visitarono anche le fonti termali situate tra Rompin e Waroe, dove trovarono una flora interessante e ancora poco nota. Sorpresi da violenti temporali, entrambi contrassero la polmonite; complicazioni epatiche aggravarono le condizioni di Kuhl che, dopo quattro settimane di sofferenze, morì il 14 settembre 1821; van Hasselt, che era medico, lo curò amorevolmente, sconvolto dalla serenità e dalla calma con la quale l'amico accettava la propria sorte. Fu così grande il dolore di perdere colui con il quale per cinque anni aveva diviso gli studi e la vita che cadde in un profondo stato di prostrazione, tanto che van Capellen lo fece trasportare nella propria residenza. Due giorni dopo, moriva anche il pittore Keultjes. L'avventura indonesiana di Kuhl e Keultjes era durata appena nove mesi. Una sintesi della breve ma intensa vita di Kuhl nella sezione biografie. Dopo un lento recupero, van Hasselt e van Raalten (che aveva assunto anche il compito di pittore) dedicarono il 1822 all'esplorazione della zona costiera nei pressi di Batavia, quindi alla costa occidentale, nei dintorni di Anyer. Nel 1823 ripresero il progetto di visitare la provincia di Bantam e scalarono il monte Karang; tuttavia van Raalten si ammalò e fu sostituito dai pittori Janus Theodor Bik (che già aveva accompagnato Reiwardt) e Antoine Maurevert; conosciamo i particolari di questa spedizione grazie al diario di viaggio di Bik, che venne pubblicato qualche anno più tardi. I tre esplorarono la provincia vistandone tanto le zone costiere quanto le catene montuose; verso la metà di agosto, van Hasselt fu colpito da una violenta infezione addominale (presumibilmente amebiasi); tra riprese e ricadute, venne riportato in portantina a Buitenzorg, dove però si spense due giorni dopo l'arrivo, l'8 settembre 1823. Anche per la vita di van Hasselt, rimando alla sezione biografie. Per volontà di van der Capellen, egli fu sepolto nella tomba dove già da quasi due anni esatti riposava Kuhl. Su una faccia del cippo, il governatore fece incidere queste parole: "Come divisero ogni cosa in vita, rimangono insieme dopo la morte, come esempio di devozione, amicizia e amore per la scienza". Sulla faccia opposta, l'epitaffio recita: "In memoria di H. Kuhl, di Hanau, e di J.C. van Hasselt, di Groninga, dottori in medicina, che, sotto gli auspici del re, furono inviati qui a studiare la natura, entrambi dotati di mente eccellente e industriosi nei loro studi, ma soprattutto congiunti da una speciale amicizia fin dalla giovinezza, mentre assolvevano ai loro compiti con grande dedizione soccombettero a una morte precoce, dovuta all'esaurimento per un lavoro strenuo e una fatica eccessiva". Strenuo davvero era stato il loro lavoro: in soli nove mesi Kuhl e in meno di tre anni van Hasselt inviarono al Museo di Leida 200 scheletri, 200 pelli di mammiferi di 65 specie, 2000 uccelli, 1400 pesci, 300 rettili e anfibi, oltre a insetti, crostacei e altri animali marini. Quelli raccolti nell'ultimo viaggio di van Hasselt, per ordine del governatore furono affidati a van Raalten, che li catalogò e li preparò per l'invio in Olanda. Gigantesco fu anche il contributo di Keultjes che lasciò circa 1200 disegni. Anche il materiale botanico fu inviato in in Olanda, dove confluì in gran parte nelle collezioni dell'Erbario nazionale. L'unico sopravvissuto, van Raalten, sarebbe andato incontro al suo destino qualche anno più tardi. Rimasto a Giava, nel 1827 accompagnò Heinrich Christian Macklot in un viaggio attraverso il Preanger (Giava occidentale), dove fu ferito da un rinoceronte. Nel 1828 partecipò alla spedizione della Commissione in Nuova Guinea (insieme a Macklot, Müller, Zippelius e van Oort) nel corso della quale morì a Timor. Congiunti nella tomba, congiunti nella denominazione L'importanza del contributo di Kuhl e van Hasselt alla conoscenza della fauna di Giava è testimoniato dalle dozzine di specie di animali che portano il loro nome: tra gli altri, i pipistrelli Pipistrellus kuhlii e Myotis hasseltii, i batraci Limnonectes kuhlii e Leptobrachium hasseltii, moltissimi pesci tra cui il genere Kuhlia, Pangio kuhli e Callogobius hasseltii; e ancora uccelli, insetti, molluschi. Numerose sono anche le piante che li ricordano nel nome specifico, ad esempio Hoya kuhlii e Dyospiros hasseltii. Nel 1825, appena seppe della morte dei due giovani, Kunth (il collaboratore di Humboldt che li aveva conosciuti in occasione del loro viaggio a Parigi) volle celebrarli con una dedica gemella, intitolando a ciascuno di loro due alberelli sudamericani piuttosto affini, Kuhlia glauca e Hasseltia floribunda. Entrambi i generi, un tempo assegnati alla eterogenea famiglia della Flacourtiaceae, sono ora confluiti nelle Salicacae; il primo tuttavia non è più riconosciuto (è sinonimo di Banara). Hasseltia Kuhn comprende quattro specie di arbusti e piccoli alberi delle foreste tropicali del Centro e del Sud America. La specie più diffusa è proprio Hasseltia floribunda, presente nelle foreste tropicali umide di Panama e Costa Rica; è caratterizzata da infiorescenze bianche a ombrella molto ramificata. Nel Novecento da Hasseltia sono dati distaccati inoltre due generi monotipici molto affini: Hasseltiopsis (creato da H.O. Sleumer nel 1938) il cui unico rappresentante è H. dioica, un albero piuttosto raro delle foreste nebulose del Messico e della Costa Rica; Macrohasseltia (creato da L.O. Williams nel 1961), rappresentato da M. macroterantha, relativamente diffuso nelle foreste umide dal Messico a Panama. Qualche approfondimento su Hasseltia, Hasseltopsis, Macrohasseltia nelle rispettive schede. Ma la dedica più bella e più poetica è giunta nel 1910 grazie al grande esperto di orchidee Johannes Jacobus Smith, che come i due amici esplorò la flora di Giava e dal 1913 al 1924 fu direttore dell'orto botanico di Bogor. Ricordando la loro amicizia e il loro amore per le orchidee, volle congiungere i loro nomi in Kuhlhasseltia. Si tratta di un piccolo genere (5-8 specie) di minute orchidee terrestri che crescono nel sottobosco delle fitte foreste dell'Asia orientale su muschi e detriti di foglie; di piccole dimensioni e per nulla vistose, sono rarissimamente coltivate e assai rare anche in natura. Per la loro bellezza delicata, fanno parte delle cosiddette "orchidee gioiello". Così discrete e gentili, mi sembrano molto adatte a ricordare i due amici, pionieri degli studi sulle orchidee del Sud est asiatico. Qualche notizia in più nella scheda. Quella dell'americano Thomas Horsfield è la storia prima di un innamoramento, poi di un'amicizia: l'innamoramento per l'isola di Giava da cui nasce una vocazione di naturalista, così prorompente da farne il primo studioso della natura di quell'isola, che esplorò quasi palmo palmo per diciotto anni, dapprima senza il sostegno di alcuna istituzione, se non un gruppo di appassionati; l'amicizia con T. S. Raffles, che gli permetterà di continuare le sue ricerche in più grande stile e lo introdurrà negli ambienti scientifici londinesi. Botanico, zoologo, entomologo, vulcanologo, ha lasciato il suo nome a molte specie di animali e al genere Horsfieldia. Un naturalista poliedrico e instancabile Nell'anno 1800, un giovane medico della Pennsylvania, Thomas Horsfield, si imbarcò come chirurgo di bordo sul mercantile "China"; il breve scalo a Batavia (la capitale delle Indie Olandesi, nell'isola di Giava) cambiò per sempre la sua vita: "Fui così deliziato - sono parole sue - dalla bellezza di quello scenario, dalla magnificenza e dall'abbondanza della vegetazione, dalla ricchezza delle sue risorse in tutti i campi delle scienze naturali, che nella mia mente sorse il desiderio di conoscerla meglio". Tornato a casa, si procurò tutti i libri possibili sull'argomento, gli strumenti indispensabili, i materiali necessari per la raccolta e la conservazione degli esemplari e di lì a un anno era di nuovo a Giava. Vi avrebbe trascorso 18 anni, esplorando ogni angolo dell'isola e divenendo il primo occidentale (se si eccettua Louis Auguste Deschamps, che però aveva potuto accedere solo alla regione limitrofa a Batavia) a studiarne estesamente la flora, la fauna, la geologia. La Compagnia olandese delle Indie Orientali era estremamente gelosa delle sue prerogative e sospettosa di ogni straniero, tanto più in quegli anni di guerra. Per rimanere a Giava e iniziare le sue ricerche, proprio come Deschamps qualche anno prima, Horsfield entrò al suo servizio come chirurgo. Gli era vietato esplorare l'interno, ma gli fu permesso di visitare i distretti di Buitenzorg (oggi Bogor) e Tijanjur, a sud di Batavia, per studiare le piante medicinali usate dai nativi. Frutto di circa un anno di lavoro fu una relazione presentata al Comitato della Società di Arti e Scienze di Batavia, che attrasse l'attenzione del Governo e guadagnò a Horsfield il permesso di estendere le sue ricerche, oltre che alle piante medicinali, ad altri campi della botanica, alla zoologia e alla geologia. La Società (un'associazione privata creata da alcuni appassionati) decise anche di finanziare, sia pure non copiosamente, le sue ricerche e di pubblicarne i risultati sul proprio bollettino. Dopo aver visitato i dintorni di Batavia e il Priangan, all'inizio del 1804 fu autorizzato ad esplorare le regioni orientali dell'isola. Poté così visitarne le principali catene vulcaniche, dove raccolse molti esemplari della peculiare vegetazione di alta quota. Visitò la capitale del principato di Yogyakarta e le rovine del tempio di Prambanan. In un'altra escursione, percorse la costa meridionale in tutta la sua lunghezza. La spedizione più impegnativa si estese dal 1805 al 1807, portandolo a Surakata, la capitale dell'altro principato indipendente, di cui esplorò a fondo i dintorni nel corso di diverse escursioni, quindi a Surabaya, da cui si mosse per un giro generale della provincia più orientale, che percorse in lungo e in largo in tutte le direzioni: visitò estese foreste di teak, vide un vulcano eruzione, scalò montagne, osservò la preparazione dell'upas, ovvero un potente veleno il cui ingrediente principale era il succo di Antiaris toxicaria. In quest'area ricca anche di fauna individuò un viverride ancora sconosciuto, che assegnò al genere Prionodon. Visitò anche brevemente l'isola di Bali. Impossibilitato a tornare a Batavia per lo stato delle strade, si stabilì a Surakata, dove gli fu concesso dal governatore di lasciare in deposito le sue collezioni (sempre più ricche di animali, piante, minerali, disegni e mappe) per continuare le sue ricerche nei distretti meridionali e occidentali; iniziò anche a studiare le metamorfosi dei lepidotteri. Mentre era impegnato in queste attività, nel 1811 l'isola di Giava fu occupata dagli inglesi. Dapprima Horsfield guardò con preoccupazione questi rivolgimenti, temendo di perdere il frutto di nove anni di lavoro, come dipendente dal governo olandese. Il maggiore Robinson, Commissario della Compagnia, gli concesse di continuare le sue ricerche anche se senza alcun sostegno finanziario, in attesa di ordini superiori. Tuttavia nel novembre 1811 il nuovo governatore inglese, Thomas Stamford Raffles, giunse a Surakata in visita ufficiale al sultano; esaminò le collezioni di Horsfield e, comprendendone l'eccezionale valore, gli propose di entrare al servizio della Compagnia delle Indie britannica, che da quel momento avrebbe finanziato le ricerche del naturalista statunitense molto più generosamente degli olandesi. L'anno successivo lo inviò a Bangka (un'isola lungo la costa orientale di Sumatra) come membro della commissione che doveva studiare l'opportunità di un insediamento commerciale britannico; nel corso di due soggiorni, il naturalista statunitense esplorò anche quest'isola (che, a paragone con Giava, gli pareva misera e incivile; corse anche il rischio di rimanere ucciso, in seguito a un banale incidente in cui il suo disegnatore perse la vita e lui buona parte delle sue raccolte). Tornato a Giava, dedicò l'estate del 1814 all'esplorazione delle regioni occidentali appartenenti ai principati indipendenti, visitando tra l'altro le grotte delle rondini salangane (Collocalia esculenta). Per impulso di Raffles, che lo mise anche in contatto con Banks e Robert Brown, gli interessi di Horsfield si stavano sempre più spostando verso la zoologia: mentre gli esemplari botanici di maggiore interesse venivano inviati a Kew, gli animali andavano ad arricchire il Museo della Compagnia delle Indie, fondato nel 1801. La Gran Bretagna restituì ufficialmente Giava agli Olandesi nel 1815; dopo la definitiva partenza di Raffles (trasferito a Bencoolen nell'isola di Sumatra, che Horsfield visitò brevemente), avendo ottime relazioni anche con le vecchie autorità, poté trattenersi a Giava ancora un anno. All'inizio del 1819, costretto anche da ragioni di salute, lasciò definitivamente l'amatissima isola, giungendo a Londra a luglio. Una faticosa impresa editoriale a sei mani I molti anni che gli rimasero ancora da vivere (morì nel 1859, a 86 anni; una sintesi della sua vita nella sezione biografie) furono dedicati non più alla ricerca sul campo, ma alla sistemazione e alla pubblicazione delle raccolte proprie e altrui, con un interesse sempre più preponderante per la zoologia. Sicuramente grazie all'appoggio di Raffles, venne assunto come conservatore del Museo della Compagnia delle Indie, agli ordini del primo curatore, Charles Wilkins, cui più tardi succedette. Tra il 1821 e il 1824, pubblicò la sua opera più nota, Zoological Researches in Java and the neighbouring islands, che presenta una sintesi della fauna della grande isola indonesiana, con note sulla tassonomia, le caratteristiche morfologiche e il comportamento di primati, pipistrelli e uccelli, basandosi anche sulle osservazioni di altri studiosi, incluso Raffles. Quando quest'ultimo creò la Società zoologica di Londra (1826), lo volle accanto a sé come segretario; nel 1828 fu ammesso alla Royal Society. Come conservatore e poi curatore dell'India Museum, dove affluiva una crescente massa di esemplari di animali dal subcontinenti indiano, Horsfield fu impegnato a esaminarli, identificarli e catalogarli; ne risultò la descrizione di sei nuove specie di mammiferi dell'India e delle regioni limitrofe: i pipistrelli Rhinolophus affinis, Hipposideros larvatus, Kerivoula hardwickii, Scotophilus heathii, il gatto dorato Pardofelis temminckii e lo scoiattolo striato dell'Himalaya Tamiops mcclellandii. Culmine di questa attività fu nel 1851 la pubblicazione del Catalogue of the Mammalia in the Museum of the East India Company, in cui descrisse molto dettagliatamente gli animali del subcontinente, aggiungendo altre cinque specie nuove per la scienza. Collaborò anche con N.A. Vigors alla classificazione degli uccelli australiani e fu tra i promotori della Enthomological Society of London. La sua importanza come zoologo è anche testimoniata dai numerosi nomi specifici del regno animale che gli rendono omaggio (almeno una quindicina). Ma torniamo alla botanica. Quando giunse in Inghilterra, Horsfield portava con sé un voluminoso erbario di 2000 esemplari, cui si aggiungevano disegni e calchi in carta di riso (un ingegnoso metodo da lui elaborato per conservare almeno l'impronta delle piante, che nel clima tropicale era spesso molto difficile preservare); per organizzare questa massa di materiale secondo precisi criteri tassonomici, egli si rivolse a Robert Brown, che era allora il segretario di Banks (che sarebbe morto l'anno dopo, lasciandolo erede delle sua biblioteca e delle sue collezioni). L'esame degli esemplari e dei numerosi duplicati, l'identificazione delle specie e dei generi, il raggruppamento per famiglie richiesero un tempo molto lungo, rendendo impensabile una pubblicazione integrale; d'accordo con Horsfield, Brown selezionò le specie più interessanti o di per sé o per la loro novità. Ciascuna sarebbe stata corredata della descrizione in latino, delle osservazioni in inglese e illustrata da una tavola (le illustrazioni, giudicando Brown inadatte quelle eseguite a Giava da artisti locali, furono rifatte sulla base degli esemplari essiccati). Nonostante questa scelta drastica, a causa dei suoi mille impegni Brown non poté scrivere egli stesso le descrizioni, che alla fine dovette affidare a uno dei suoi collaboratori, John Joseph Bennett, assistente del dipartimento di botanica del British Museum. Dopo una lunghissima gestazione, con il titolo Plantae Javanicae Rariores, l'opera uscì infine tra il 1838 e il 1852 in quattro parti (ciascuna delle quali comprende 25 specie con altrettante tavole). Opera importante per la conoscenza della flora giavanese e magnifica per il corredo iconografico (i disegni sono di C. e J. Curtis, le incisioni di J. Curtis e E. Weddell), è tuttavia molto tardiva e certo non rende totalmente giustizia all'indefesso lavoro di Horsfield, che nel frontespizio risulta solo come raccoglitore, anche se il suo nome precede quelli di Bennett e Brown, scritti in corpo lievemente più piccolo. D'altra parte, corrispondeva a una scelta dello stesso Horsfield, che durante il soggiorno londinese aveva di fatto abbandonato la botanica per la zoologia. Horsfieldia, dalle foreste del sudest asiatico Gli omaggi non sono mancati anche nella nomenclatura botanica. Oltre ad essere ricordato da alcuni nomi specifici (tra gli altri, Sauromatum horsfieldii, Miliusa horsfieldii, Edychium horsfieldii), tre diversi botanici in tempi successivi gli dedicarono un genere Horsfieldia: Willdenow già nel 1806, Blume nel 1830 e Chifflot nel 1909. Per la regola della priorità, l'unico valido è Horsfieldia Willd. (famiglia Myristicaceae). Questa dedica precoce dimostra che anche in tempi di guerra e nonostante le lunghe distanze, nell'ambiente dei naturalisti le notizie continuavano a circolare, magari con qualche imprecisione. Creando il nuovo genere sulla base di una specie segnalata da Horsfield a Giava (H. odorata, oggi H. iryaghedhi), nella quarta edizione di Species plantarum Willdenow infatti scrive: "Ho denominato questa pianta in memoria del dottore statunitense Thomas Horsfield che per amore delle piante esplorò le Indie orientali". Il termine "memoria" e il tempo verbale danno l'impressione che il botanico tedesco avesse ricevuto la falsa notizia della morte di Horsfield in Oriente. Molto appropriatamente per questo appassionato del Sudest asiatico, Horsfieldia è un genere di circa cento specie di alberi sempreverdi delle foreste umide tropicali di bassa quota, diffuso in un'area che va dall'India e alle isole Salomone, passando per la Cina meridionale, l'Indocina e l'Indonesia. Il maggiore centro di diversità è la Nuova Guinea (con una trentina di specie), seguita dal Borneo; a parte poche eccezioni, quasi tutte le specie sono diffuse in una piccola parte di questa vasta zona e molte sono endemiche o subendemiche. Proprio per questo, parecchie sono minacciate, soprattutto per la restrizione del loro habitat naturale. Appartenenti alla stessa famiglia della noce moscata (Myristica fragrans), sono in genere piccoli alberi molto decorativi sia per il bel fogliame sempreverde, sia per le grandi infiorescenze molto ramificate, seguite da piccole bacche tondeggianti; dioiche, portano i fiori femminili e quelli maschili su piante separate. Alcune specie, già note alla medicina tradizionale, contengono l'alcaloide horsfilina con effetti analgesici. Altre sono invece coltivate per i frutti, da cui si ricava una cera. Tra di esse proprio H. iryaghedhi, originaria di Sri Lanka (e si teme ormai estinta in natura), ma introdotta forse dagli olandesi in Malesia e a Giava, dove veniva coltivata appunto per la cera. Qualche approfondimento nella scheda. Hans Sloane fu una delle figure più influenti della scienza britannica della prima metà del Settecento. Non tanto per le sue opere scientifiche (che in sostanza si riducono a una sola, per quanto importante) quanto per la sua passione di raccogliere cose e per la capacità di coltivare relazioni. Di lui è stato detto che non c'era personalità scientifica, soprattutto nel campo della botanica, che non conoscesse o con cui non corrispondesse. Inoltre la sua lunghissima vita - nato nel 1660, morì a 93 anni, nel 1753 - gli permise di attraversare profonde trasformazioni, politiche, economiche e ovviamente scientifiche. Che il figlio di un modesto funzionario irlandese sia diventato il medico di nobili e sovrani, baronetto, presidente prima del Collegio reale dei medici poi della Royal Society, ricchissimo grazie alla sua professione ma anche ai proventi di piantagioni lavorate da schiavi neri, principe dei collezionisti e padre del British Museum, sta lì a dimostrarlo. Tra suoi ammiratori, anche Plumier e Linneo, che cooperarono alla creazione del genere Sloanea. Sloane il raccoglitore Nel 1684, al suo rientro dalla Francia, dove si era laureato in medicina dopo aver seguito i corsi di Tournefort e Magnol, il giovane Hans Sloane si presentò al celebre medico Thomas Sydenham (che, va sottolineato, non era un tradizionalista). Quando mostrò orgoglioso il suo curriculum, si sentì dire: "Ottimo, ma non serve a niente. Anatomia! Botanica! Non ha senso! Caro signore, conosco una vecchietta al Covent Garden che di botanica ne sa molto di più. Quanto poi all'anatomia, il mio macellaio può dissezionare un'articolazione in modo perfetto. No, giovanotto; è tutta robaccia. Deve andare al capezzale dei malati; è solo lì che si impara qualcosa sulle malattie". La congiunzione tra la pratica empirica e gli studi scientifici non era ancora avvenuta. Eppure Sydenham stimava abbastanza il "giovanotto" da farne il suo protetto, aiutandolo a inserirsi nell'ambiente medico londinese. Sloane da parte sua fin da studente aveva saputo stringere legami anche d'amicizia con personaggi del calibro di John Ray e Robert Boyle; nel 1685, fu ammesso alla Royal Society (nata proprio l'anno della sua nascita) e nel 1687 nel Collegio reale dei medici. Lo stesso anno, accettò di accompagnare in Giamaica il nuovo governatore, il secondo duca di Abermale, come medico personale e chirurgo della flotta. Con il fiuto per gli affari che l'avrebbe sempre contraddistinto, contrattò un ottimo trattamento economico, che una volta arrivato a destinazione investì nell'acquisto di zucchero e corteccia di china. Per un giovane medico appassionato di botanica un viaggio in Giamaica era l'occasione della vita. Oltre all'eccellente salario e all'appoggio di una nobile famiglia, ad attrarlo fu un ambiente naturale ricchissimo, ancora in gran parte inesplorato; a spingerlo ad accettare l'incarico fu in particolare John Ray, che contava sulle sue scoperte per risolvere i problemi posti dalla classificazione delle piante. Da questo punto di vista, era una scelta felice: la Giamaica è, tra le isole delle Antille, quella più ricca di biodiversità vegetale; il suo patrimonio di angiosperme è stimato a circa 2800 specie, 500 sono le felci, con più del 20% di specie endemiche (per fare un confronto, nelle piccole Antille sono il 13%). La piccola flotta del duca salpò da Portsmouth il 12 settembre 1687, toccando Madeira, Barbados, diverse isole delle piccole Antille, Haiti e raggiungendo la Giamaica il 19 dicembre. Durante il viaggio (come faranno dopo di lui tanti altri scienziati viaggiatori) Sloane fece osservazioni sulla fosforescenza e gli uccelli marini, approfittando delle poche soste per erborizzare. Ad esempio, a Madeira, dove si fermarono solo tre giorni, riuscì a raccogliere esemplari di ben 38 diverse specie e sottospecie. Quando vi giunsero Sloane e il suo datore di lavoro, la Giamaica era all'inizio di una profonda trasformazione economica, sociale e demografica. Strappato agli spagnoli nel 1655 con un colpo di mano, per qualche decennio questo avamposto della guerra coloniale tra monarchia britannica e spagnola aveva prosperato grazie alla guerra da corsa (famosa è rimasto il corsaro Henry Morgan che, per qualche anno, ne fu anche il governatore). Nel 1670, tuttavia, erano giunti la pace e il riconoscimento della sovranità inglese; i proventi delle spedizioni corsare incominciavano a passare in secondo piano rispetto all'economia di piantagione, basata sul lavoro degli schiavi neri importati dall'Africa. Al momento il processo era solo agli inizi (nel 1672 le piantagioni erano 70, nel 1770 sarebbero divenute 680; gli schiavi neri, circa 9500 negli anni '70 del Seicento, erano già 45.000 nel 1700, per toccare 300.000 nel 1800). Inoltre, gli inglesi controllavano di fatto solo i territori costieri; l'interno era il rifugio dei maroons, ex schiavi neri che erano stati liberati dagli spagnoli al momento dell'invasione inglese e avevano formato delle comunità indipendenti, fondendosi in parte con la popolazione indigena degli Arawak. Il governatore si stabilì nella vecchia capitale spagnola, Santiago de la Vega (oggi Spanishtown). Sloane, che prestava i suoi servizi anche ai ricchi piantatori bianchi, poté però visitare anche altre comunità dell'isola, passando da una piantagione all'altra. Durante il suo soggiorno di circa quindici mesi, tenne un diario di campo in cui annotò scrupolosamente osservazioni sulla fauna, la flora, i costumi della popolazione locali e fenomeni naturali, come un terremoto. Raccolse un'importante collezione di piante (circa 800 specie), insetti, molluschi, conchiglie, pesci, nonché oggetti di interesse etnografico. Poiché nel clima tropicale era spesso difficile o anche impossibile conservare gli esemplari (una parte della sua collezione fu divorata dalle formiche), si assicurò la collaborazione di un pittore locale, il reverendo Garrett Moore, che disegnò piante e animali dal vivo. Dopo poco più di un anno, il governatore (un pessimo paziente, che indulgeva al bere nonostante le rimostranze del suo medico) morì. La vedova, ottenuto il permesso da Londra - dove nel frattempo Giacomo II era stato rovesciato dalla Gloriosa rivoluzione - rientrò in patria nel maggio 1689, accompagnata dal cadavere imbalsamato del marito, dal dottor Sloane e dalla sua vasta collezione, inclusi alcuni animali vivi tra cui un'iguana, un alligatore e un serpente lungo sette piedi, che movimentarono il viaggio di ritorno. L'iguana cadde dal ponte, l'alligatore morì di morte naturale, il serpente fu ucciso da un terrorizzato servitore della duchessa. Sloane il medico e lo scienziato Sul quel viaggio Sloane seppe edificare la sua fortuna, professionale, economica, scientifica. Dopo essere rimasto per qualche anno al servizio della vedova di Abermale, divenne un medico alla moda con una clientela altolocata (inclusi i sovrani britannici, Anna, Giorgio I e Giorgio II). Nel 1716 fu fatto baronetto; nel 1719 divenne presidente del Collegio dei medici (incarico che resse per sedici anni); nel 1727 protomedico di Giorgio II. Altra fonte di proventi furono anche le sue ricette mediche, tra cui una pomata per gli occhi e una bevanda che sarebbe rimasta legata al suo nome (almeno nei paesi anglosassoni): la cioccolata calda. Durante il soggiorno in Giamaica, Sloane aveva osservato i vari modi in cui le diverse comunità dell'isola consumavano il cioccolato: i neri se ne servivano per svezzare i neonati; i nativi lo bevevano amaro e reso piccante dal pepe; gli spagnoli vi aggiungevano il peperoncino e ne consumavano anche 5 o 6 tazze al giorno. Quanto lui, lo trovava stomachevole, amaro e difficile da digerire. Ma diventava leggero e benefico se zuccherato e diluito con latte. Ecco la famosa formula della cioccolata di Sloane, un tonico venduto in farmacia che talvolta prescriveva ai suoi pazienti. Ma egli non fu affatto l'inventore di questa bevanda; non era l'unica formula del genere in commercio; a sfruttarla commercialmente e a legarla al nome di Sloane (un personaggio molto noto e universalmente stimato) fu, dopo la sua morte, un droghiere di nome Nicholas Sanders che creò probabilmente il primo marchio commerciale di cioccolata, sostenendo di rifarsi alla ricetta originale di Sloane; l'idea venne ripresa in più grande stile all'inizio dell'Ottocento dai fratelli Cadbury che finirono per imporre il mito di Sloane inventore della cioccolata in tutto il mondo anglosassone. Al di là della fortunata professione di medico, la ricchezza di Sloane aveva però anche altre basi. In Giamaica aveva incontrato Elizabeth Langley Rose, figlia di un facoltoso mercante londinese e moglie di uno dei più ricchi piantatori dell'isola. Quando Elisabeth rimase vedova, sposò in secondo nozze Sloane, portandogli in dote le piantagioni ereditate dal marito. E' dunque allo zucchero, e agli schiavi neri che lo coltivavano, che egli dovette la sua fortuna più volte milionaria. Membro attivo e influente della Royal Society, nel 1695 ne divenne segretario. In quel periodo, la società era in difficoltà economiche e amministrative; Sloane vi applicò il suo talento organizzativo, promuovendo la società attraverso la ripresa della pubblicazione delle Philiosophical Transactions (di cui fu curatore per circa vent'anni), l'assidua corrispondenza con studiosi di tutto il mondo, il risanamento finanziario ottenuto incoraggiando le donazioni e espellendo i soci morosi. Dopo la morte del Newton, nel 1727 divenne Presidente della Società, carica che resse fino al 1741, quando si ritirò ottantunenne per problemi di salute. I rapporti epistolari intessuti con gli scienziati di tutto il mondo (che continuò a coltivare anche dopo il ritiro) furono essenziali per ridare prestigio all'istituzione. Proprio nelle Philosphical Transactions comparve nel 1696 il catalogo delle piante giamaicane (Catalogus Plantarum quae in Insula Jamaica sponte proveniunt). Scritto in latino, e quindi destinato agli studiosi, è un'opera scarna, priva di illustrazioni, che elenca e descrive succintamente le circa 800 specie raccolte principalmente in Giamaica, ma anche durante le altre tappe del viaggio; segue l'indicazione del luogo di raccolta e, per le piante già note, i riferimenti bibliografici e i sinonimi. Ben accolta negli ambienti scientifici, era solo un'anticipazione della sua opera maggiore, Voyage to the Islands Madera, Barbados, Nieves, S. Christophers, and Jamaica, with the natural history . . . of the last of those islands, in due splendidi volumi illustrati, usciti rispettivamente nel 1707 e nel 1725. Scritti in inglese, in uno stile spesso brillante, si rivolgevano a un pubblico più largo anche di appassionati, ma divennero anche un'opera di riferimento, utilizzata anche da Linneo. Il primo volume si apre con una storia della Giamaica a partire da Cristoforo Colombo, seguita da una dettagliata descrizione dell'isola e delle varie comunità che vi vivevano: spagnoli e inglesi, nativi, africani. Uomo del suo tempo, Sloane descrive la schiavitù senza né giustificarla né condannarla, registrandola semplicemente come un dato di fatto, anche quando si sofferma sulle atroci punizioni inferte agli schiavi "ribelli". D'altra parte, ha un atteggiamento di rispetto verso le altre culture. Riconosce che le abitudini di vita degli amerindi e degli africani sono più sane di quelle degli europei (molti, come il duca di Abermale, morivano precocemente per gli eccessi nel bere) e più adatte al clima tropicale. Trascrive canzoni e ricette (compreso il Jerk chicken, un pollo speziato che è ancora uno dei piatti più celebri della cucina giamaicana), analizza le malattie più frequenti e i modi per curarli. La seconda e più ampia parte del volume è dedicata alle piante erbacee e i mammiferi, descritti in modo molto dettagliato e accurato. Il secondo volume (uscito, come si è visto, 18 anni dopo il primo), dopo un'introduzione in cui Sloane risponde ai suoi critici, passa in rassegna gli alberi, i pesci e altri animali marini, gli insetti, gli uccelli, la geologia dell'isola con sezioni sulle pietre, le terre e i minerali. Le bellissime illustrazioni a grandezza naturale contribuirono grandemente al successo dei volumi. In parte furono tratte dai disegni eseguiti in loco da Moore, in parte furono eseguite dall'artista scozzese di origini olandesi Everjardius Kickius sulla base degli esemplari essiccati. Le incisioni sono di Michiel van der Guscht. Il primo volume comprende 256 tavole, prevalentemente botaniche, il secondo 80 tavole di piante e 42 di animali. Sloane il collezionista Gli animali, le piante e gli altri oggetti raccolti in Giamaica furono il primo nucleo di una vastissima collezione, dedicata soprattutto agli oggetti naturali, che Sloane andò ampliando per tutta la vita, investendovi le sue cospicue fortune nell'acquisto delle raccolte di altri collezionisti. Così, nel 1701 ereditò - in cambio del pagamento dei suoi debiti - quella di William Corten, che si stima comprendesse 50.000 pezzi; acquisì la collezione d'arte del cardinale Gualterio, ma soprattutto le collezioni di storia naturale e gli erbari di botanici britannici e stranieri, che includono James Petiver, Nehemiah Grew, Leonard Plukenet, Adam Buddle, Paul Hermann e Herman Boerhaave. Il suo erbario, che inizialmente era formato dagli otto volumi con le piante raccolte durante il viaggio in Giamaica, giunse a comprenderne 265. Inizialmente la collezione era ospitata nella casa di Sloane al n. 3 di Bloomsbury Place; quando divenne troppo grande, Sloane risolse il problema acquistando il palazzo accanto, al n. 4. Ma neppure questo bastò. Così nel 1712 acquistò una proprietà a Chelsea, Chelsea Manor, dove si trasferì quando, superati gli ottant'anni, si ritirò dalla professione. Grazie a questo acquisto, la sua vita si intrecciò ancora in un altro modo con la storia della botanica. Fin dal 1673, sul quel terreno sorgeva il giardino dell'ordine dei farmacisti, ovvero il Chelsea Physic Garden (negli anni '80, prima di andare a studiare in Francia, il giovane Hans Sloane vi si era formato come apprendista) che al momento versava in grandi difficoltà economiche. Sloane risolse il problema affittando in perpetuo il terreno alla Società dei farmacisti per la cifra simbolica di 5 sterline l'anno. Inoltre, il giardino era tenuto a cedere alla Royal Society un certo numero di piante. Si interessò anche alla gestione, scegliendo personalmente come Capo giardiniere Philip Miller, che a partire dal 1722 avrebbe diretto il giardino per quasi mezzo secolo. Sloane desiderava che la sua collezione non fosse dispersa e potesse essere usufruita da tutti. Decise di lasciarla in eredità alla nazione, a condizione che venisse pagato un lascito di 20.000 £ ai suoi eredi (il valore reale superava il milione di sterline). Alla sua morte nel gennaio 1753, il parlamento con una legge apposita accettò la donazione. Nacque così il British Museum, le cui collezioni di storia naturale nell'Ottocento andarono poi a formare il Natural History Museum. Grazie alla passione e alla lungimiranza di Sloane si è così conservato un patrimonio inestimabile per la storia della botanica, costituito in particolare dagli erbari e dai manoscritti di numerosi scienziati. Una sintesi della sua lunga e attiva vita nella sezione biografie. L'imponente Sloanea A un personaggio di tale calibro non mancarono (e non mancano) i riconoscimenti. In primo luogo, a ricordarlo c'è la stessa topografia di Londra, dove abbiamo Sloane Square, Sloane Street, Sloane Gardens, Hans Place, Hans Crescent, Hans Road; gli sono stati dedicati monumenti, come la statua che campeggia al Chelsea Physic Garden; nel suo villaggio natale, Killyleagh, gli è stato intitolato un festival, ovviamente all'insegna della cioccolata (Hans Sloane Chocolate & fine Food Festival); non manca un marchio di cioccolato che si fregia del suo nome. In rete numerosi siti gli sono dedicati; forse il più interessante è The Sloane letters project, il progetto nato attorno alla sua corrispondenza, una fonte straordinaria per ricostruire la scienza e la società del primo Settecento. Nella nomenclatura scientifica, a ricordarlo sono il batrace Crinia sloanei, la splendida farfalla Urania sloanus e il genere botanico Sloanea. Quest'ultimo fu creato da Plumier nei suoi Nova plantarum americanarum genera (1703). E' un omaggio diretto al suo predecessore nell'esplorazione delle Antille; fu probabilmente proprio il fortunato esito del viaggio di Sloane in Giamaica a indurre la corona francese a finanziare le spedizioni di Plumier alla ricerca di piante medicinali, tra cui quella corteccia di china di cui il medico irlandese fu un convinto sostenitore. Il genere venne poi validato da Linneo nel 1753. Sloanea è un genere della famiglia Elaecarpaceae che comprende 130-150 specie di alberi e arbusti tropicali, diffusi soprattutto nelle Americhe tropicali, ma anche in Asia e Australia; assente nell'Africa continentale, è presente in Madagascar. Comprende alcuni degli alberi più belli e imponenti della foresta pluviale dell'America tropicale. Alti anche più di 40 metri, sono sostenuti da radici tabulari che disponendosi a raggiera intorno all'albero formano quasi un contrafforte. Alte fino a 10 metri, possono estendersi tutto attorno anche per una trentina di metri. E' un'ottima scelta per commemorare Sloane, viste che diverse specie vivono anche nelle Antille, compresa la Giamaica, con la specie S. jamaicensis. Qualche approfondimento nella scheda. Ricorre nell'anno che sta per finire il duecentesimo anniversario della morte di Pál Kitaibel, fondatore della botanica ungherese e precursore di un metodo di indagine interdisciplinare, che collegava le piante al loro ambiente e alla composizione chimica del suolo. Se poté pubblicare, in una veste magnifica, almeno parte delle sue scoperte si deve alla generosità del conte Franz Adam von Waldstein, discendente del sinistro generale Wallenstein e fratello del mecenate di Beethoven, a sua volta botanico dilettante. A ricordare i due botanici altrettanti generi che furono i primi a segnalare: Kitaibelia e Waldsteinia. Kitaiabel, viaggiatore instancabile Nella seconda metà del Settecento, la spettacolare Flora danica (il primo volume esce nel 1761) inaugura la stagione delle grandi flore nazionali illustrate. Nell'impero asburgico, il primo a riprendere quel modello è Jacquin, che tra il 1773 e il 1778 pubblica i cinque volumi delle Florae austricae: come nel progetto danese, ogni volume comprende un fascicolo di descrizioni in latino e un tomo di illustrazioni a colori di tutte le piante, ritratte a dimensione naturale. Nonostante la vastità dell'impresa (500 piante e altrettante tavole, volutamente tralasciando quelle già pubblicate in Flora danica), Jacquin si limitò alla flora austriaca, lasciando da parte altre regioni del grande e multietnico impero asburgico. A rimanere fuori, in particolare, fu l'Ungheria, un territorio non solo molto vasto, ma anche geograficamente variegato, quindi ricco di piante, molte delle quali all'epoca erano ancora poco conosciute o ignote. A colmare questa lacuna fu un magiaro. Esplorare la flora della sua patria e portarne alla luce i tesori fu il compito che assegnò a se stesso il botanico ungherese Pàl Kitaibel. Figlio di un ricco contadino, Kitaibel aveva studiato medicina e scienze naturali, divenendo uno scienziato completo, i cui studi spaziano dall'idrologia, alla sismologia, alla chimica (come chimico, fu uno degli scopritori di un nuovo elemento, il tellurio). Al centro dei suoi interessi stava però la botanica, che studiò in modo innovativo proprio grazie alle sue poliedriche competenze; in particolare fu attento alla correlazione tra le caratteristiche chimiche e geologiche del territorio e la flora; insomma, un approccio ecologico ante litteram. Il suo maestro, l'austriaco Joseph Jacob Winterl (1739-1809), fu il precursore della botanica ungherese: in mezzo a mille vicissitudini, nel 1770-71 fondò il primo orto botanico del paese, destinato agli studenti di medicina dell'Università di Nagyszombat (oggi Trnava in Slovacchia), che cambiò più volte sede, seguendo gli spostamenti della facoltà di medicina: prima a Nagyszombat, quindi a Buda, infine a Pest, proprio nel 1784, l'anno in cui Winterl nominò assistente di chimica e botanica il ventiquattrenne Kitaibel. Allo scopo di arricchire le collezioni dell'appena trasferito orto botanico, che, grazie a un finanziamento di Giuseppe II, era stato dotato anche di una serra e di una vasca per le piante acquatiche, Kitaibel iniziò i primi viaggi, brevi escursioni nei dintorni di Pest e Buda, che esplorò a fondo negli anni '80. Fu probabilmente l'incontro con il secondo protagonista della nostra storia, il conte Franz da Paula Adam von Waldstein-Wartenberg, a fargli concepire l'idea di spedizioni più ampie e ambiziose. A quanto parte, i due si conobbero intorno al 1789. Il nobiluomo, figlio cadetto di una delle più nobili e ricche famiglie dell'Impero asburgico, cavaliere di Malta e militare di carriera, fin da giovane era appassionato di botanica. Con i mezzi finanziari messi a disposizione da Waldstein, fu ora possibile a Kitaibel ampliare il suo raggio d'azione, iniziando un'esplorazione sistematica della natura dell'Ungheria storica (che comprendeva anche la Croazia); tra il 1792 e il 1811, farà 16 spedizioni, percorrendo qualcosa come 20.000 km, muovendosi soprattutto con un carro, ma anche a cavallo o a piedi. A cinque di quei viaggi parteciperà anche Waldstein, accompagnato dal pittore Johann Schutz, che per qualche anno fu ospitato nell'orto botanico di Pest. Tra il 1792 e il 1811, Kitaibel, da solo o insieme a Waldstein, fece un viaggio quasi ogni anno. La mappa di quelle spedizioni assomiglia a una ragnatela che partendo da Pest, si irraggia a coprire tutto il paese; ma toccò anche la Transilvania (ora in Romania), la Croazia (dove fu nel 1792 e più estesamente nel 1802), la Slovenia (1794 e 1808), il Triveneto (1794). Nel 1806, mentre esplorava l'area del lago Ferto, il botanico si ammalò gravemente. Recuperò solo in parte, tanto che dal 1809 fece solo brevi viaggi, anche perché impegnato nel trasferimento dell'orto botanico, che nel 1808 venne spostato in una nuova sede. Da parte sua anche Waldstein, sempre più coinvolto in compiti militari e nella gestione dei beni familiari, dovette via via lasciare da parte la passione per la botanica. Qualche approfondimento sulla vita di Kitaibel e Waldstein nella sezione biografie. Nei suoi puntigliosi diari di viaggio, Kitaibel prese nota non solo della flora e, in misura minore, della fauna, ma anche delle caratteristiche pedologiche del terreno, della geologia (raccolse campioni di minerali, per quanto ne poteva trasportare il suo carro), delle acque (visitò molte fonti idrotermali), degli usi e delle pratiche agricole degli abitanti. Oggi, quando le terre della grande pianura ungherese sono ormai state trasformate in gran parte in terreni agricoli, le sue note di campo sono un documento preziosissimo per ricostruire le caratteristiche ecologiche della regione. Una magnifica collezione di piante rare Coprendo una zona così vasta fin ad allora scarsamente conosciuta, i viaggi di Kitaibel e Waldstein fruttarono la scoperta di molte specie prima di allora mai descritte; grazie ai mezzi finanziari del conte, nacque l'idea di pubblicarle in un'opera allo stesso tempo scientificamente accurata e esteticamente raffinata, sul modello delle Florae austriacae di Jacquin. Ma prima di affrontare quel compito, nel 1798 gli amici si recarono a Berlino, a sottoporre il loro progetto, per una validazione scientifica, al celebre botanico Willdenow. Non solo quest'ultimo approvò, ma volle sigillare la sua stima per i due esploratori della flora ungherese battezzando in loro onore due dei nuovi generi da loro scoperti: Waldsteinia e Kitaibelia. L'opera incominciò a uscire nel 1799, secondo la formula dei fascicoli a sottoscrizione: ogni fascicolo comprendeva 10 tavole, accompagnate da un fascioletto con le descrizioni in latino. I testi erano di Kitaibel (oltre che finanziariamente, Waldstein contribuì presumibilmente anche alle identificazioni), i disegni di Johann Schutz (che probabilmente dipinse anche le tavole a colori), le incisioni di suo padre Karl. Dieci fascicoli andavano poi a formare un volume. Il primo, completato nel 1800, illustra con 100 tavole a colori dipinte a mano altrettante piante native della Grande pianura ungherese, delle catene montuoso ungheresi, del Banato e del Máramaros, precedute da un'introduzione sulla storia naturale dell'Ungheria. Il secondo volume, completato nel 1805, con un'introduzione sulla storia naturale della Croazia, comprende anch'esso cento piante e altrettante illustrazioni. Il terzo volume uscì infine nel 1812 e comprende solo 80 tavole; molto materiale rimase fuori dall'opera, per le sopraggiunte difficoltà dovute alle guerre napoleoniche. Era previsto un quarto volume, che non venne mai predisposto. Il grande merito dell'opera di Waldstein e Kitaibel (così vollero firmarla nel frontespizio, anche se come si è visto a scrivere i testi fu solo il secondo), oltre che nell'aver fatto conoscere un'area fino ad allora poco esplorata, sta sia nelle descrizioni, molto più dettagliate di quanto si usasse all'epoca, sia nelle precisissime illustrazioni. Come si è detto, solo una parte delle piante che essi scoprirono furono incluse nel lavoro a stampa; molte furono conosciute e pubblicate da altri botanici grazie all'abitudine di Kitaibel di includere nelle liste di semi che inviava per gli scambi accurate descrizioni delle nuove specie, talvolta accompagnate da una calcografia. A Kitaibel e Waldstein si deve la scoperta di tre generi (oltre a Kitaibelia e Waldsteinia, Sternbergia) e di circa 300 specie. Alcune li ricordano nel nome specifico: sono almeno una dozzina quelle che si fregiano del nome kitaibelii o kitaibelianus (ricordiamo almeno due splendidi endemismi delle montagne croate, Aquilegia kitaibelii e Primula kitaibeliana); Waldstein non è da meno con piante come Silene waldsteinii e Campanula waldesteiniana. A ricordare Kitaibel è anche un raro rettile, il piccolo scinco Ablepharus kitaibelii. Uno sguardo ai generi Kitaibelia e Waldsteinia Come si è visto, i generi Kitaibelia e Waldsteinia vennero creati nel 1799 da Willdenow (nella Quarta edizione della linneana Species Plantarum, da lui curata). Esemplari della futura Kitaibelia furono raccolti da Kitaibel in varie località della Slavonia croata nel suo viaggio del 1795. Oggi denominata K. vitifolia, è una delle due specie di questo piccolo genere della famiglia Malvaceae; è una grande erbacea perenne, con decorative foglie palmate e fiori a coppa bianchi o rosati, originaria della Croazia sud orientale, della Voivodina e della Macedonia settentrionale. L'altra specie, K. balansae, presente in poche stazioni dalla Cilicia turca a Israele, è una pianta rupicola, sempre alta ma di dimensioni più contenute, con foglie tomentose e fiori rosa intenso. Il genere ha dunque una curiosa distribuzione disgiunta. Qualche notizia in più nella scheda. Fu raccolta invece in Ungheria la pianta che sarebbe stata denominata Waldsteinia geoides. Il genere Waldsteinia, della famiglia Rosaceae, comprende 5 specie di tappezzanti diffuse nei boschi dell'emisfero settentrionale, molto simili tra loro: hanno foglie lobate semipersistenti e fiori gialli, simili a quelli dell'affine genere Geum: W. geoides è originaria delle foreste montane dell'Europa centro-orientale; W. fragarioides è nativa degli Stati Uniti orientali, dal Minnesota alla Pennsylvania; W. idahoensis è un endemismo delle foreste umide dell'Idaho; W. lobata è originaria delle foreste pedemontane umide degli Stati Uniti sud orientali (North e South Carolina, Georgia); W. ternata, la specie più nota e coltivata nei giardini, è presente in due aree disgiunte, e separate tra loro da 5000 km: le popolazioni europee vivono nell'Europa centrale, orientale e in Russia; le popolazione asiatiche sono presenti nella Siberia orientale, a Sakhalin, in Giappone e nella regione cinese di Changbai Shan. Tutte sono piante attraenti, poco esigenti, e adatte come tappezzanti per situazioni semi ombrose. Qualche approfondimento nella scheda. Nel corso di quella che è considerata la prima spedizione scientifica dell'età moderna, Joseph Pitton de Tournefort, insieme ai suoi compagni Andreas Guldelsheimer e Claude Aubriet, esplora le isole greche del mare Egeo, visita Costantinopoli, per poi raggiungere Trebisonda navigando lungo la costa meridionale del mar Nero, e di qui l'Armenia ottomana, la Georgia e l'Armenia persiana. Ovunque, raccoglie preziose informazioni geografiche, archeologiche, etnografiche. E, ovviamente piante. Alla fine il bottino ammonterà a oltre 1300 specie, di cui un terzo ignote alla scienza, e 25 nuovi generi. Uno sarà dedicato al compagno di viaggio Gundelsheimer, ribattezzato alla latina Gundelius per fare da padrino a Gundelia. Quanto a Claude Aubriet e al genere che lo celebra, aspettate il prossimo post. In viaggio per la gloria del Re Sole E' con entusiasmo che, sul finire del 1699, Joseph Pitton de Tournefort accoglie l'ordine reale di partire per il Levante. Tuttavia, due preoccupazioni lo convincono che è meglio trovare dei compagni di viaggio: da una parte, la prospettiva di cadere malato lontano da casa, in un paese di cui non conosce la lingua, dove vengono praticate chissà quali barbare cure; dall'altra, la consapevolezza che, tra le sue tante abilità, non c'è quella del disegno. Ad accompagnarlo saranno uno dei suoi allievi, il medico tedesco Andreas Gundelsheimer, e Claude Aubriet, il pittore che aveva illustrato i suoi Elements de botanique. A volere fortemente il viaggio e a convincere il re sono stati il protomedico Fagon, protettore e estimatore di Tournefort, e il segretario di stato, il conte di Pontchartrain; e qualche parte nel progetto l'ha giocata anche l'abate Bignon, nipote del ministro e segretario dell'Accademia delle scienze. Il principale obiettivo scientifico è identificare sul campo le specie descritte da Teofrasto e Dioscoride, ancora così importanti per la medicina del tempo; ma si dovranno anche raccogliere ogni genere di notizie sulla geografia antica e moderna, gli usi e i costumi, la religione, i commerci, a maggior gloria del re e a beneficio degli interessi anche economici della Francia. Le informazioni raccolte, insieme al resoconto del viaggio, raggiungeranno periodicamente la Francia sotto forma di 22 ampie lettere inviate da Tournefort al ministro; è su questa base che al rientro in patria egli stenderà Relation d'un voyage du Levant fait par ordre du roy . Anche nella redazione finale questo bellissimo racconto di viaggio mantiene in molte sue parti la freschezza della forma epistolare, che, al là di un certo sovraccarico di erudizione, trasmette viva al lettore la personalità del suo autore, osservatore attento e lucido, ma anche uomo di spirito sempre pronto a ironizzare in primo luogo su stesso. Alla scoperta delle isole greche Il tre amici il 9 marzo 1700 si mettono in viaggio alla volta di Marsiglia; il 23 aprile si imbarcano sulla nave commerciale L'Esprit, che con una navigazione fortunata e rapidissima, senza scali, in una settimana li porta a La Canea, nell'isola di Creta. All'esplorazione dell'isola (celebrata nei testi antichi per la sua ricchezza di specie officinali) dedicano tre mesi, per poi spostarsi nell'arcipelago delle Cicladi. Seguendo in itinerario condizionato dagli imbarchi (approfitteranno anche di una nave corsara) e dalle condizioni meteorologiche, in circa otto mesi visiteranno ben 34 tra isole e isolotti, quasi tutte quelle all'epoca permanentemente abitate. E' un viaggio naturalistico (raccolgono centinaia di piante, esplorando anche montagne e luoghi impervi, interrogano la popolazione sui nomi locali, nella speranza di ritrovare qualche traccia delle denominazioni antiche), un'esplorazione geografica (non mancano mai di ascendere alla cima più alta di ciascuna isola, per fare il punto e correggere le carte), un viaggio turistico e archeologico (visitano ogni curiosità degna di nota, dai resti della civiltà greca ai monasteri, dal presunto labirinto di Gortyna a Creta alla splendida grotta di Antiparo). Tournefort raccoglie notizie sulle produzioni locali (come la resina di terebinto e il ladanum, una sostanza usata in profumeria estratta dal Cistus ladanifer), sulle risorse economiche, sull'amministrazione turca, sulla religione ortodossa, sulla composizione delle comunità locali e persino sugli abiti delle donne; non mancano mai informazioni sul cibo e sui vini. E' la prima vasta ricognizione delle isole greche di epoca moderna: con il viaggio di Tournefort, all'immagine idealizzata della Grecia sorta dalla lettura dei classici, incomincia a sostituirsi quella della Grecia reale, un mondo spesso miserabile, ignorante, superstizioso; Tournefort osserva con occhio impietoso e giudica lucidamente con un pizzico di sciovinismo l'arroganza e la rapacità dei funzionari turchi, la passività dei greci, la sporcizia, le campagne devastate dalla guerra, la miseria che regna quasi ovunque, in contrasto con la ricchezza della Chiesa che, grazie alla manomorta, possiede quasi sempre le terre migliori. Gli intrepidi viaggiatori sopportano con buon umore le vicissitudini del viaggio: a Thermia, scambiati per banditi, rischiano il linciaggio; a Raclia, poco più di uno scoglio, rimangono bloccati senza né cibo né acqua; a Stenosa sono ridotti a nutrirsi di lumache di mare; a Joura non osano chiudere gli occhi per il terrore che i topi che infestano la cappella dove si sono ritirati per la notte gli mangino le orecchie; a Zia il loro sonno è interrotto da lamenti angosciosi (non sono né fantasmi né pirati, ma una colonia di foche); a Nio sono abbandonati dai marinai, timorosi di una presunta incursione corsara; più volte rischiano il naufragio. Dall'Anatolia all'Armenia e ritorno Nel marzo 1701, dopo aver svernato tre mesi a Mykonos, si rimettono in viaggio verso Istanbul. Qui, grazie all'ambasciatore francese, si aggregano alla carovana di un pasha turco diretto a Erzrum, capitale dell'Armenia ottomana. Navigando lungo la costa meridionale del mar Nero (ma i pernottamenti a terra e le lunghe soste permettono di erborizzare e di fare qualche puntata all'interno) dopo un mese esatto (23 maggio 1701) raggiungono Trebisonda. Mentre la carovana riposa, i tre infaticabili botanici vanno alla ricerca di piante rare al monastero di Sumela: costruito su uno strapiombo che "metterebbe in difficoltà il più abile dei funamboli", nonostante le vertigini li delizia con le sue foreste di conifere che non hanno nulla da invidiare a quelle delle Alpi. Ma non possono trattenersi, perché il visir è già ripartito alla volta di Erzrum; si affrettano a raggiungerlo: viaggiare da soli sarebbe troppo pericoloso, perché le strade sono infestate dai briganti. Superando le montagne della Catena Pontica, penetrano nell'Armenia ottomana. Per la prima volta, Tournefort ha l'impressione di essere davvero in Levante. E' un paesaggio aspro e roccioso dove, nonostante la stagione avanzata, domina ancora la neve. Durante la marcia, suscitando lo stupore e l'ilarità dei mercanti che seguono la carovana, scendono spesso da cavallo per raccogliere ogni erba interessante; capita persino di erborizzare al lume della luna. Il 15 giugno sono a Erzrum, dove si fermeranno tre settimane. Le sorgenti dell'Eufrate, dove si sono spinti in compagnia di un vescovo armeno, nonostante l'area sia infestata da bande curde, fanno da scenario all'avventura più esilarante; mentre bevono quelle freschissime acque, mescolate con il vino per mitigarne il gelo, i temuti curdi si manifestano e sembrano moltiplicarsi. Sarà vero o sono loro che ci vedono doppio, tanto più che la paura spinge a replicare le bevute? I curdi ci sono davvero, ma sono amici del vescovo e tutto finisce bene. Quando sentono che una carovana di mercanti è in partenza per Tiflis, la capitale della Georgia, allora sotto l'impero persiano, afferrano l'occasione al volo e, muniti di un salvacondotto dell'amico pasha, si aggregano. A Kars, la frontiera tra i due imperi, sono trattenuti per due giorni da un funzionario che li scambia per spie russe; superato quest'ultimo ostacolo, entrano in territorio persiano, dove sono deliziati dalla disponibilità degli abitanti, tanto diversi dai sospettosi e rigidi turchi. Le ubertose e ben coltivate campagne georgiane, tanto in contrasto con la rocciosa e spoglia Armenia ottomana, fanno loro pensare di essere nel più bel paese della Terra, anzi in un lembo del Paradiso terrestre. Da Tiflis proseguono per l'Armenia: a Echmiadzin rendono omaggio al patriarca armeno, poi continuano fino a Erevan. A dominare il paesaggio è la cima dell'Ararat: secondo le voci che raccolgono, è negata all'uomo per volere divino perché, sotto cumuli di neve, ancora vi giace l'arca di Noè. Ma la montagna sembra a due passi, e come potrà resistere al suo richiamo quell'alpinista ante litteram che è Tournefort? I tre, concordi, giurano che devono arrivare almeno a toccarne le nevi; e, nonostante una scalata difficilissima, ci riusciranno. Sulla strada del ritorno, diretti di nuovo a Erzrum dove hanno lasciato quasi tutti i bagagli, poco dopo aver superato la frontiera turca, al passaggio di un guado Tournefort rischia di annegare. Dopo un breve soggiorno a Erzrum, dedicato soprattutto alla raccolta di semi, è ora di tornare a casa. Il cammino sarà lungo, ma a Tournefort pare già di vedere i campanili della dolce terra di Francia. Partiti a fine settembre, dopo aver attraversato l'intera Anatolia, passando da Tokat, Ankara e Bursa, arriveranno a Smirne a metà dicembre. L'inverno è dedicato a escursioni archeologiche e alla visita di alcune isole del Dodecanneso. E' soltanto il 23 aprile 1702 che si imbarcano sulla Soleil d'oir: al contrario di quello d'andata, il viaggio di ritorno sarà reso lungo e penoso dal maltempo; costretti prima a uno scalo a Malta, dopo 40 giorni di navigazione devono sbarcare a Livorno, da cui una feluca li porterà a Marsiglia. E' il 3 giugno 1702. Il bottino botanico (per tacere dell'enorme mole di notizie di altro genere) è immenso: 1356 specie, un terzo delle quali non ancora descritte, e 25 nuovi generi. I semi di molte germineranno e prospereranno al Jardin des plantes; vorrei ricordarne almeno tre, oggi molto amate nei giardini: i due rododendri originari delle rive del mar Nero, Rhododendron ponticum e R. luteum, e il popolarissimo Papaver orientale. Gundelsheimer e la Gundelia Tra i generi nuovi c'è anche Gundelia, e questa è la storia del suo "battesimo". Durante la marcia da Trebisonda a Erzrum, i tre botanici sono colpiti da un bellissimo cardo; il primo a segnalarlo è Andreas Gundelsheimer. E' dunque giusto che la nuova pianta porti il suo nome. Ma come trasformare il suo barbarico cognome in un accettabile nome latino? Gli amici discutono un po', finché si convincono che il nome giusto è Gundelia. E proprio mentre i musicisti che accompagnano il pasha intonano una marcia (certo di buon auspicio) si brinda al nuovo genere, ma solo con acqua: cosa opportuna e benvenuta, aggiunge Tournefort, per una pianta che vive nei luoghi più aridi e rocciosi. Prima di congedarci dai tre allegri viaggiatori, due parole su Gundelsheimer. Bavarese, aveva studiato in Olanda e in patria, dove si era laureato in medicina. Aveva vissuto per qualche tempo anche in Italia, per trasferirsi a Parigi proprio per frequentare le lezioni di Tournefort. Dopo il viaggio in Oriente, divenne medico militare e servì dapprima nell'esercito francese (combatté anche in Piemonte durante la guerra di successione spagnola). Tornato in Germania, divenne medico personale dell'elettore di Brandeburgo. Fu tra gli ideatori del Museo di anatomia di Berlino. Morì in ancora giovane età durante l'assedio di Stettino. Qualche informazione in più nella biografia. Ma torniamo a Gundelia (il genere è stato accettato e ufficializzato da Linneo in Species plantaurm 1753). Anche se in epoca recente sono state avanzate altre proposte, la maggior parte degli studiosi lo considera un genere monotipico con una sola specie molto variabile, G. tournefortii. E' un'Asteracea spinosa che assomiglia molto a un cardo, diffusa in una vasta area che dal Medio Oriente arriva all'Asia centrale e all'Afghanistan. In primavera germoglia da una rosetta di foglie; poi, man mano che la stagione avanza, la pianta ingiallisce e diventa sempre più spinosa; quando è quasi secca, basta un soffio di vento per staccarla dalle radici: è una strategia per favorire la diffusione dei semi. Per questa particolarità, in Palestina è soprannominata "cardo che rotola". I germogli giovani e i capolini immaturi sono molto apprezzati nella cucina di diversi paesi; il sapore viene descritto come intermedio tra l'asparago e il carciofo. Nella medicina tradizionale, le sono attribuite anche diverse proprietà officinali. Qualche approfondimento nella scheda. Dopo il primo viaggio di Cook (1763-1771), nelle grandi spedizioni oceaniche la presenza a bordo di almeno un naturalista è un fatto scontato. Ma la convivenza non è sempre facile, soprattutto se il naturalista è un botanico e non si accontenta di esemplari essiccati e semi, ma vorrebbe riportare a casa piante vive, che richiedono spazio, acqua, protezione dal clima mutevole, dalle burrasche, dalle onde, dalla salsedine, dagli animali di bordo. Molto può la benevolenza del capitano che, però di solito, ha ben altro per la testa. Lo scoprì a sue spese Archibald Menzies, alle prese con l'irascibile capitano Vancouver. Prima della partenza: le ingerenze di Banks Nel luglio 1789 - negli stessi giorni in cui la folla parigina mette un moto eventi di ben altra portata - nello stretto di Nootka, un'insenatura di quella che oggi conosciamo come isola Vancouver, va in scena una delle più insignificanti crisi diplomatiche della storia. Alcune navi mercantili britanniche vengono poste sotto sequestro (insieme ai beni dei mercanti e al loro insediamento sull'isola) dagli spagnoli, per aver osato commerciare e installarsi in un'area di cui la Spagna rivendica la sovranità. A Madrid e a Londra gli animi si eccitano, le rispettive flotte vengono mobilitate, sembra si arrivi alla guerra; senonché, proprio a causa degli eventi parigini, la Spagna, priva del sostegno della Francia, è costretta a cedere e ad incassare tutte le richieste britanniche, siglando la convenzione di Nootka (ottobre 1790). Alcuni particolari devono essere definiti sul posto. Invece di una guerra, l'ammiragliato britannico prepara una spedizione che è allo stesso tempo diplomatica, geografica e scientifica. Il comando è affidato al capitano George Vancouver, esperto marinaio e abile cartografo che si è formato alla scuola di Cook; la spedizione infatti ha un obiettivo ufficiale e dichiarato, ovvero verificare l'esecuzione della convenzione; e uno più importante e segreto: cercare il mitico passaggio a nord-ovest oppure dimostrarne l'inesistenza. Come tutte le maggiori spedizioni dell'epoca, ha anche scopi scientifici: vi si aggregano un astronomo, William Gooch, e un botanico, lo scozzese Archibald Menzies. E' stato Banks a volere con forza la presenza di Menzies (da tempo suo corrispondente, con una certa conoscenza dell'America settentrionale), a dettargli gli obiettivi scientifici, addirittura a progettare uno strano cassone-serra destinato a proteggere dei rigori della navigazione le piante vive che egli raccoglierà. L'influenza di Banks sull'ammiragliato impone al capitano Menzies e la sua serra viaggiante, che viene sistemata sul ponte di comando. L'arroganza di Banks si spinge fino a scrivere una lettera di istruzioni al capitano, chiedendogli di mettere alcuni uomini a disposizione di Menzies e di provvedere con sollecitudine all'integrità del cassone. Vancouver, che non è l'uomo più paziente del mondo, non si degna neppure di rispondergli (con grande indignazione di Banks). Per capirne i sentimenti, non dimentichiamo che il ponte di comando non era un luogo qualunque: era il simbolo stesso del potere del capitano, là dove impartiva gli ordini, sventolava la bandiera di bordo e gli uomini venivano convocati per ricevere gli ordini e assistere alle punizioni. La spedizione di Vancouver La nave di Vancouver, ribattezzata Discovery in ricordo del vascello del terzo viaggio di Cook, accompagnata dalla nave d'appoggio Chatam, salpò il 1 aprile 1791, una data altamente simbolica agli occhi del capitano. Agli ordini di Cook, nel corso del suo terzo viaggio, Vancover aveva già esplorato il Pacifico settentrionale ed era convinto che il passaggio a nord-ovest fosse un miraggio: quella missione era uno scherzo, affidatagli da pazzi. La spedizione sarebbe durata quattro anni e mezzo (1 aprile 1791-ottobre 1795), avrebbe circumnavigato il globo e percorso più di 60.000 miglia. Navigando verso est, toccando le Canarie, il Capo di Buona Speranza, la costa dell'Australia meridionale, la Nuova Zelanda, alla fine dell'anno erano a Tahiti dove Vancouver, memore delle vicende del Bounty, proibì ai suoi uomini contatti personali con i nativi. Un guardiamarina sedicenne, che aveva disobbedito, fu vergato pubblicamente. Il capitano dimostrò così la sua severità, ma anche scarso senso politico: quell'adolescente era Thomas Pitt, cugino del primo ministro. A marzo 1792 raggiunsero l'arcipelago delle Hawaii che, da quel momento, sarebbe stato il loro quartier generale invernale. Ad aprile toccarono la costa americana intorno al 39° Nord, incominciandone l'esplorazione sistematica. Iniziò così una routine che si sarebbe ripetuta per tre anni: la bella stagione era dedicata all'esplorazione e alla mappatura della costa americana, seguendo palmo palmo ogni più minima insenatura, risalendo fiordi e fiumi, per verificare se vi si celasse l'imboccatura del mitico passaggio a nord-ovest. Poiché anche la piccola Chatam era troppo grande per questo compito, ci si servì delle scialuppe di bordo, mosse a vela o a remi, spesso in condizioni proibitive di nebbia, pioggia, freddo, oltre a disagi come fame, sete, moscerini, indigeni non sempre amichevoli. Si calcola che siano stati percorse così circa 10.000 miglia, dall'attuale stato di Washington al limite occidentale dell'Alaska. D'inverno, le navi ritornavano alle Hawaii, in genere dopo aver trascorso qualche tempo in California, nel tentativo infruttuoso di arrivare a un accordo diplomatico con la Spagna. In effetti, la missione diplomatica si rivelò impossibile: gli spagnoli erano disponibili a restituire ai britannici i pochi metri quadrati dove si trovava la base mercantile messa sotto sequestro, gli inglesi pretendevano il controllo dell'intero stretto di Nootka. Nonostante gli ottimi rapporti personali con il negoziatore spagnolo, Juan Francisco de la Bodega y Quadra, ogni accordo risultò impossibile. Così Vancouver e Bodega decisero di attendere nuove istruzioni: che non arrivarono mai. In Europa erano iniziate le guerre contro la Francia rivoluzionaria, la Spagna da nemica era diventata alleata, quel lembo di isola era ormai indifferente a Londra come a Madrid. Alla fatica di un'esplorazione condotta in condizioni difficilissime, alla ricerca di un obiettivo inesistente in cui non credeva, si aggiungeva per Vancouver la frustrazione del fallimento della missione diplomatica. Mano a mano che passavano i mesi (e gli anni), il capitano diventava sempre più malato e più irascibile. Era diventato un uomo con cui non si discuteva; a farne le spese non fu il solo Pitt (lo fece vergare altre due volte, infine lo rispedì in Inghilterra), ma anche ufficiali e marinai che pure Vancouver stimava. E, ovviamente, Menzies e le sue piante. Menzies si era imbarcato come soprannumerario naturalista, accompagnato da un servitore. Tuttavia durante il viaggio era stato chiamato a sostituire il medico di bordo, rimasto paralizzato in seguito a un ictus. Benché riluttante, all'arrivo a Nootka il botanico, che era già il medico personale del capitano, assunse ufficialmente l'incarico di chirurgo di bordo, con il vantaggio di avere a disposizione una seconda cabina, benvenuta per sistemare le crescenti collezioni naturalistiche; ma con lo svantaggio di non essere più un civile, ma un ufficiale della Marina militare, soggetto all'autorità del capitano. Durante il viaggio di andata, aveva approfittato di ogni sosta (in Sudafrica, Autralia, Nuova Zelanda, Tahiti) per erborizzare e raccogliere campioni naturalistici, nonché piante vive che sistemava nel famoso cassone di Banks. E lì cominciarono i guai: bisognava proteggere le piante dalla pioggia, dalle onde, dal sole eccessivo e sorvegliare il cassone costantemente per impedire agli uccelli marini e agli animali di bordo di farvi irruzione. Menzies chiese ripetutamente che il cassone fosse protetto da una spessa rete e che qualche marinaio lo sorvegliasse quando lui o il suo servitore non erano a bordo o erano impegnati altrove. La prima richiesta fu soddisfatta (dopo due mesi), la seconda mai. Il primo anno di esplorazione fu fruttuoso per Menzies. Fu affascinato dalle fioriture primaverili delle aree costiere dall'attuale Stato di Washington e esplorò a fondo Nootka, mentre iniziavano le trattative con gli spagnoli. Ma dovette constatare con disappunto che i suoi colleghi iberici - che si trovavano nell'isola al seguito di una delle diverse spedizioni scientifiche finanziate dalla corona spagnola - avevano opportunità di ricerca ben maggiori delle sue: ammirò con una punta d'invidia gli erbari di José Mariano Mociño e soprattutto i disegni di Atanasio Echevarria. Lui, un disegnatore non ce l'aveva; doveva fare tutto da sé. Poi, mano a mano che ci si spingeva a nord e gli uomini si logoravano nell'esplorazione sistematica di quel labirinto d'acqua, le opportunità di scendere a terra o di aggregarsi a qualche gruppo di esploratori, per il chirurgo si facevano più scarse. C'erano infreddature, contusioni, congelamenti da curare, l'eterno incubo dello scorbuto da scongiurare. Non poteva allontanarsi dalla Discovery oltre un tiro di schioppo. Alle Hawaii, i motivi di scontento erano altri: era un paradiso in terra, ricchissimo di specie nuove, ma a Menzies era negato di vederle in fioritura, o in frutto, visto che vi trascorrevano solo i mesi invernali. E, naturalmente, c'era il maledetto cassone: nel trasferimento da sud a nord, le delicate tropicali morivano di freddo, in quello da nord a sud erano spazzate via dalle onde, bruciate dal sole, saccheggiate dagli animali di bordo. Ma il tenace scozzese si dava da fare: raccoglieva piante e semi, muschi e licheni (le sue piante preferite), disegnava e descriveva, seccava le piante per l'erbario, riempiva i vuoti creati dal disastro di turno con nuove piante vive. Nel 1794, l'ultimo inverno trascorso alle Hawaii, si tolse la soddisfazione, insieme ad un ufficiale, un guardiamarina e un marinaio, di scalare il maggiore vulcano dell'arcipelago. Dimostrò anche di essere un medico efficientissimo: in quel lungo viaggio, in condizioni tanto difficili, su 153 uomini uno solo morì di malattia. E nessuno di scorbuto. Un tempestoso viaggio di ritorno L'esplorazione delle coste del Pacifico settentrionale fu completata nell'agosto 1794, quando venne raggiunto quella che il capitalo battezzò significativamente Port Conclusion, sulla punta meridionale dell'Isola Baranof in Alaska. Nel viaggio di ritorno si toccarono la California (dove Vancouver fu informato che le trattative che tanto lo avevano angustiato probabilmente erano state concluse in Europa), diverse isole tra cui le Galapagos e Juan Fernandez, il Cile, dove furono ospiti del governatore; durante un pranzo, furono offerte curiosi frutti: Menzies se ne ficcò qualcuno in tasca. Ne sarebbero germogliate le prime plantule mai viste in Europa di Araucaria araucana. Le difficoltà delle ultime tappe del viaggio, che affrontò il Pacifico meridionale e il terribile Capo Horn nelle proibitive condizioni dell'inizio dell'inverno australe, resero sempre più tese le relazioni tra Menzies e il capitano. Alle sue richieste di aiuto per proteggere le sue preziose piante, Vancouver rispondeva in termini talmente irritati che il botanico decise di comunicare con lui solo per lettera. Nei pressi di SantElena, venne catturata una nave olandese; così il capitano, a corto di braccia dovendo dividere gli uomini su tre vascelli, utilizzò per altri compiti il servitore di Menzies. Quando l'ennesima tempesta allagò completamente il cassone, il botanico irruppe nella cabina del capitano per protestare; volarono parole grosse e Menzies fu messo agli arresti nella sua cabina. Il risultato fu che le piante rimasero abbandonate a se stesse e ben poche si salvarono. Quando furono di ritorno in Inghilterra nell'ottobre del 1795, Vancouver era deciso a deferire Menzies alla corte marziale, tanto più che il botanico si era rifiutato di consegnargli il suo diario. Il capitano dovette tuttavia constatare che mettersi contro uno dei protetti di Banks non era stata un'idea brillante per la sua carriera; in cambio di scuse da parte di Menzies, si risolse a ritirare le accuse, e il botanico poté sbarcare, con i suoi preziosi diari. Meno brillante ancora era stato far vergare ripetutamente e reimbarcare a forza il giovane Pitt; lo spocchioso aristocratico lo sfidò a duello, lo assalì per la strada, lo perseguitò con una campagna di stampa che, con i suoi mezzi, poteva permettersi, al contrario del capitano, che, con la salute logorata, morì pochi anni dopo, nel 1798. Qualche dettaglio nella sezione biografie. Lunga fu invece ancora la vita di Menzies, che morì a 88 anni nel 1842. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tante specie per Menzies, ma solo un ex-genere Il contributo di Menzies alle scienze naturali in generale, e alla botanica in particolare, è notevole. Lungo le tappe del viaggio, raccolse animali e piante in tre continenti (Africa, Oceania e America) e esplorò aree ancora ignote o scarsamente conosciute, come le Hawaii, la California, la Columbia Britannica (soprattutto l'Isola Vancouver). Si calcola che le specie nuove per la scienza da lui raccolte siano circa 400. Benché abbia avuto una vita molto lunga, non pubblicò molto (solo un libro sui muschi), ma i suoi diari e il suo erbario furono una delle fonti principali di Flora-Boreali Americana di William Jackson Hooker, in cui vennero pubblicati anche diversi disegni di Menzies, eccellente disegnatore naturalistico. Molte tra le specie da lui descritte per la prima volta lo ricordano nel nome specifico: il bellissimo Arbutus menziesii, l'abete di Douglas Pseudotsuga menziesii, Banksia menziesii, Erysimum menziesii, Nemophila menziesii, Ribes menziesii, Delphinium menziesii, Silene menziesii, Tolmieia menzesii e altre ancora. Tra le più note piante da lui fatte conoscere in Europa Araucaria araucana, Mahonia aquifolium, Eschscholzia californica, Pinus strobus, Ribes sanguineum, Tuja plicata, Sequoia sempervirens, Chamaecyparis lawsoniana, Cornus nuttali, Rhododendron occidentalis, Tropaeolum speciosum. Per duecento anni, anche un genere ne ha celebrato il ricordo: Menziesia, creato in suo onore dall'amico James Edward Smith nel 1791, che comprendeva una decina di specie di belle Ericaceae, diffuse tra Nord America, Giappone e Siberia. Nel 2011, sulla base di analisi del DNA, il genere è stato incluso in Rhododendron. La specie tipo, una delle piante raccolte da Menzies in America settentrionale, Menziesia ferruginea, è stata ribattezzata in suo onore Rhododendron menziesii. Il cambio di nome non è ancora registrato da Plant list, ma lo è da Taxonomicon. In rete la maggior parte dei siti usa ancora le vecchie denominazioni. Per questo, e per non darla vinta del tutto allo spettro di Vancouver, ho deciso di fare un'eccezione alle regole del blog, dedicando a Menzies un post, sebbene anche lui, come Ghini o Siebold, sia ormai uno dei grandi botanici non ricordati da alcun genere (analogamente ai grandi scrittori che non hanno mai vinto il premio Nobel). Le specie più note dell'ex genere Menziesia sono Menziesia ferruginea (= Rhododendron menziesii), nativa del Nord America nordoccidentale, dall'Alaska al Wyoming, dove vive nel sottobosco di diversi tipi di conifere delle aree montane; M. ciilicalyx (= Rhododendron benhoullii), un grazioso arbusto di piccole dimensioni nativo del Giappone; M. pilosa (= Rhododendron pilosum), un endemismo degli Appalachi centrali e meridionali. Vancouveria, una dedica meritata? Ben saldo è invece il genere che onora l'irascibile capitano Vancouver. Ovviamente nessun botanico inglese - tutti in un modo o nell'altro formatisi all'ombra di Banks - avrebbe mai dedicato un genere a quel fitocida. L'omaggio venne da due botanici francesi, Morren e Decaisne, che nel 1834 crearono il genere Vancouveria nell'ambito di una revisione di Epimedium. Appartenente alla famiglia Berberidaceae, comprende tre specie di erbacee perenni endemiche della costa occidentale degli Stati Uniti. La specie più nota è Vancouveria hexandra, una graziosa pianta del sottobosco delle foreste di conifere (per colmo di ironia, lo stesso ambiente del Rhododendron menziesii) con piccoli fiori bianchi con una forma che ricorda un ombrellino rovesciato e foglie composte con tre foglioline trilobate. E' un eccellente tappezzate per posizioni ombrose e suoli umidi, con caratteristiche simili ai suoi cugini Epimedium. Qualche informazione in più nella scheda. Non c'è neppure bisogno di ricordare che il capitano ha poi lasciato il suo nome, oltre all'isola Vancouver (lui l'aveva battezzata Isola Vancouver e Bodega, per ricordare i suoi eccellenti rapporti con Juan Francisco de la Bodega y Quadra), alla città di Vancouver e a una manciata di altri luoghi, in Canada, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda. E questi, da grandissimo esploratore, se li è guadagnati tutti. Anche Menzies (e fu un omaggio proprio di Vancouver) è ricordato da alcune località della Columbia Britannica, in particolare Mount Menzies e Menzies Bay. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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