Nonostante la sua breve vita, la figura di William Anderson, aiuto chirurgo della Resolution nel secondo viaggio di Cook e primo chirurgo nel terzo, ha destato interesse come prototipo del tipico chirurgo della Royal Navy che univa all'abilità professionale spiccati interessi naturalistici. Benché non avesse avuto un'educazione formale come naturalista, era una sicura promessa della scienza britannica, ma anche un "giovane sensibile" ricco di acume e umanità la cui morte destò grande rimpianto tra i suoi compagni d'avventura. A ricordarlo, grazie a Robert Brown, l'Ericacea australiana Andersonia, che tuttavia presiede in condominio con due omonimi: il giardiniere William Anderson e il botanico Alexander Anderson. Soprattutto quest'ultimo è una figura di notevole interesse. Apprendistato di un giovane uomo sensibile Il 3 o il 4 agosto 1778 sulla Resolution, la nave ammiraglia del terzo viaggio di Cook, ha luogo una mesta cerimonia: di fronte all'isola di San Lorenzo nello stretto di Bering viene sepolto in mare il chirurgo William Anderson. Non aveva ancora ventotto anni. La sua morte, preceduta da una lunga malattia, non è una sorpresa per nessuno, ma lascia tutti sgomenti. Cook, di solito freddo e riservato, scrive: "Era un giovane uomo sensibile, un compagno gradevole, molto preparato nella sua professione e aveva acquisito grande conoscenza in altre scienze; se fosse piaciuto a Dio di risparmiare la sua vita sarebbe stato molto utile nel corso del viaggio". Più toccanti e accorate le parole del comandante della Discovery, Charles Clerke (poco più di un anno dopo condividerà lo stesso destino): "La sua morte è il più sventurato colpo subito dalla nostra spedizione; la sua eminente abilità di chirurgo e la sua illimitata umanità lo rendevano il più rispettabile e il più stimato membro della nostra piccola società; la perdita della sua superiore conoscenza, soprattutto rispetto alla scienza della Storia naturale, ha lasciato un vuoto nel nostro viaggio che si farà molto rimpiangere". La grandezza della perdita è sottolineata da James King, secondo ufficiale della Resolution, che era aveva studiato astronomia ad Oxford: "Le sue conoscenze toccavano tutti gli oggetti naturali; la sua applicazione era costante e regolare, e di gran lunga eccessiva per la sua salute; la dedizione con cui studiava le diverse scienze della Storia naturale e le specie umane era tale da dare un vero piacere a ogni persona per bene e ogni uomo di scienza; era la persona più libera dalle ristrettezze di un spirito limitato che io abbia mai conosciuto". Il rimpianto dei suoi compagni d'avventura è condiviso da coloro che hanno studiato questa giovane promessa della scienza britannica. Molti riconoscono in lui il prototipo di una figura tipica della Royal Navy: il chirurgo di bordo che unisce alle capacità professionali una preparazione scientifica di buon livello e dedica qualcosa di più dei ritagli di tempo alla ricerca naturalistica. Come molti chirurghi della marina britannica, William Anderson era nato in Scozia, nel 1750, e tra i sedici e i diciotto anni aveva seguito i corsi della facoltà di medicina di Edimburgo, che includevano nozioni di botanica e scienze naturali. Forse per ragioni economiche, aveva però preferito diventare chirurgo, andando a studiare alla Surgeon Hall di Londra, dove si diplomò come aiuto chirurgo e chirurgo rispettivamente nel 1768 e nel 1770. Quindi si arruolò in marina e servì successivamente come aiuto chirurgo sulla Thunder e sulla Barfleur. Nel 1771 fu scelto come aiuto chirurgo della Resolution, la nave del secondo viaggio di Cook. Al momento dell'imbarco aveva 22 anni e l'esperienza fu sicuramente importantissima per sviluppare la sua competenza scientifica, anche se, poiché il suo diario è andato perduto, dobbiamo accontentarci di notizie indirette. Forse, almeno inizialmente, poté giovarsi in qualche modo dell'addestramento dei Forster, grazie alla mediazione del primo chirurgo James Patten, uno dei pochi che avesse rapporti accettabili con loro. Ma poi subentrò la rivalità e il sospetto. I termini in cui Georg Forster parla di lui nel suo resoconto (senza nominarlo espressamente) sono velenosi: "Uno degli aiuto chirurghi, che partecipò a questa escursione, raccolse una prodigiosa quantità di nuove e curiose conchiglie nell'isola di Ballabea, e ugualmente molte nuove specie di piante di cui non avevamo visto un singolo esemplare nei distretti che avevamo visitato; ma la più malvagia e più irragionevole invidia gli insegnò a nasconderci queste scoperte sebbene fosse del tutto incapace di usarle a profitto della scienza". L'episodio si colloca verso lo fine del viaggio, in Nuova Caledonia, in un momento in cui entrambi i Forster erano malati. Tutto dimostra che, al contrario, Anderson era invece più che capace di trarre profitto dalle sue scoperte. Compilò liste di vocaboli di diverse delle isole visitate, incluso un dizionario di 28 pagine del tahitiano che fu allegato a una delle edizioni del resoconto ufficiale. Solander, che visitò la Resolution subito dopo il ritorno in Inghilterra (ma non poté incontrare Anderson), parla delle sue collezioni in termini elogiativi. Unendo le competenze mediche con gli interessi scientifici, il giovane chirurgo studiò alcuni casi di avvelenamento causati dall'ingestione di pesci tossici e ne fece oggetto di una memoria che, sotto forma di lettera al Presidente della Royal Society John Pringle, ebbe l'onore di essere pubblicata nelle Philosophical Transactions nel 1776. Il terzo viaggio di Cook Nel 1775 il Parlamento britannico istituì un premio di 20.000 sterline a chi avesse scoperto il mitico passaggio a Nord-ovest. E proprio questo fu l'obiettivo non dichiarato del terzo viaggio di Cook: quello ufficiale era riportare in patria Omai, un polinesiano di Raiatea che era stato condotto in Inghilterra sulla Adventure. Alla spedizione parteciparono di nuovo due vascelli: la vecchia Resolution, ancora comandata da Cook, e la piccola Discovery, al comando di Clerke (che era stato il secondo ufficiale della Resolution nel secondo viaggio). Cook la intendeva come una spedizione esclusivamente geografica, e non volle scienziati a bordo (secondo i maligni, dopo la convivenza con i Forster ne aveva avuto abbastanza) e scelse personalmente gli ufficiali tra i veterani che avevano partecipato ai suoi viaggi precedenti. C'erano però un pittore paesaggista, John Webber, e un astronomo, William Bayly. Come primo chirurgo, Cook volle il nostro William Anderson, che in tal modo divenne il naturalista ufficioso della spedizione: rispetto ai "gentiluomini naturalisti", in quanto chirurgo di bordo, presentava l'indubbio vantaggio di essere soggetto alla disciplina militare. Accanto a lui, Banks riuscì tuttavia a insinuare come aiutante uno dei giardinieri di Kew, David Nelson. Purtroppo, la sorte di Anderson era già segnata. Nel breve intervallo tra i due viaggi aveva servito sulla fregata Milfort, dove aveva contratto la tubercolosi. Anche Clerke si trovava nelle medesime condizioni: essendosi offerto come garante di un fratello insolvente, era finito in carcere per debiti, e qui era stato infettato. Al momento della partenza, tuttavia, entrambi sembravano ancora in buona salute. La Resolution partì per prima nel luglio 1776, mentre la Discovery poté salpare solo all'inizio di agosto. Nell'intervallo tra i due viaggi, la nave di Cook non era stata adeguatamente riparata e presto incominciò a imbarcare acqua soprattutto attraverso il ponte principale; con il mare grosso, le cuccette degli uomini venivano inondate, destando la preoccupazione del coscienzioso Anderson per la salute dei marinai. A Cape Town fu raggiunta dalla Discovery ; mentre entrambe le navi venivano ricalafatate, Anderson si unì a Nelson in alcune escursioni botaniche. Dopo aver lasciato il Sud Africa, navigando in direzione sud-est Cook scoprì le isole del Principe Edoardo, quindi, seguendo gli ordini dell'ammiragliato, prese possesso delle desolate isole Kerguelen con una cerimonia che Anderson (possediamo i suoi diari relativi alla prima parte della spedizione) trovava ridicola; in tutto l'emisfero, era difficile trovare un posto più sterile e meno interessante per un naturalista. Eppure, oltre a studiare i pinguini, proprio qui fece la sua più importante scoperta botanica: il cavolo delle Kerguelen, Pringlea antiscorbutica. La tappa successiva fu la Tasmania, dove l'interesse di Anderson sembra essere stato attratto soprattutto dagli indigeni, miti e accoglienti verso i forestieri; tuttavia egli osservò anche le piante, in particolare gli onnipresenti eucalipti. Il viaggio proseguì per il Queen Charlotte Sound in Nuova Zelanda, quindi toccò le isole Cook (a Atiu gli indigeni sequestrarono le piante che Anderson aveva appena raccolto, ma il chirurgo fu tutto sommato divertito dalla possibilità di osservare dal vivo l'uomo allo stato di natura) e le Tonga. Anderson descrive con ammirazione i pesci che popolano la barriera corallina, osserva con occhio clinico le malattie che affliggono gli indigeni (compresa la sifilide, importata dai viaggiatori europei), esprime qualche critica - ma sempre nel rispetto delle gerarchie - sulle punizioni a suo parere sproporzionate inflitte agli indigeni. Intanto, gli effetti della malattia avevano cominciato a manifestarsi sia per Anderson sia per Clerke. A Anderson era chiaro che proseguire il viaggio e affrontare i gelidi mari del Pacifico settentrionale sarebbe stato fatale ad entrambi. A Tahiti, dove arrivarono il 12 agosto 1777 e si fermarono fino all'inizio di dicembre, i due decisero di dare le dimissioni e di chiedere di essere lasciati a terra, affidati alle cure degli indigeni. Tuttavia, il senso del dovere, la lealtà verso i compagni, l'incertezza della reazione di Cook, li fecero esitare e rimandare la comunicazione, finché fu troppo tardi; lasciata Tahiti, dopo aver toccato le Isole della Società, nella loro rotta verso la costa americana le navi si addentrarono infatti in acque inesplorate. La salute di Anderson incominciò a declinare. Il 21 dicembre accompagnò ancora Cook in una passeggiata di discreta lunghezza a Kauai, la prima isola delle Hawaii toccata dalla spedizione. Tuttavia, il 10 gennaio, giorno in cui le navi raggiunsero l'isola di Hawaii, l'astronomo Bayly annotò sul suo diario che tutto l'equipaggio era in buona salute "eccetto il chirurgo Mr. Anderson che è molto malato in stato di consunzione". Fu solo la forza della volontà a permettergli di continuare le osservazioni linguistiche ed etnografiche e forse anche le raccolte naturalistiche (non possediamo il suo diario dopo Tahiti). Dopo aver lasciato le Hawaii all'inizio di febbraio, le navi si diressero a nord, toccando terra il 6 marzo presso Capo Foulweather nell'attuale Oregon. Proseguendo verso nord, si ancorarono nella baia di Nootka, dove trascorsero circa un mese, dal 29 marzo al 26 aprile 1778. Quindi iniziarono ad esplorare e a mappare la costa, proseguendo fino allo stretto di Bering, nella speranza di individuare il passaggio a Nord-ovest. A maggio gettarono l'ancora nell'attuale Prince William Sound in Alaska e Anderson mise piede a terra forse per l'ultima volta, arrampicandosi con Cook su una collina. Fino alla morte, avvenuta tra le 3 e le 4 del pomeriggio del 3 agosto di fronte all'isola di San Lorenzo, non abbiamo altre notizie su di lui. Se fosse vissuto, oltre ad arricchire il risultati scientifici dello sventurato terzo viaggio di Cook, sarebbe sicuramente diventato qualcosa di più di una promessa della scienza britannica; probabilmente sarebbe stato ammesso alla Royal Society e sarebbe diventato uno degli uomini di Banks, al quale legò le sue collezioni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. Ancora qualche riga per concludere il racconto. Ovviamente, Cook non trovò il passaggio a nord-ovest (sarà conquistato solo nel 1906 dal celebre esploratore polare Roald Amundsen) e divenne sempre più esasperato e intrattabile. Quindi ritornò alle Hawaii dove, come tutti sanno, il 14 febbraio 1779 trovò la morte. Clerke, che si era apparentemente un poco ripreso, assunse il comando della Resolution, mentre sulla Discovery gli subentrava John Gore, e riprese la ricerca del passaggio a nord-ovest. Ridotto a uno scheletro dalla tubercolosi, si spense in mare il 22 agosto 1779 (era il giorno del suo trentottesimo compleanno) e fu sepolto a Petropavlovsk in Kamčatka. Dopo diverse altre vicissitudini, una delle spedizioni più disastrose della storia della Royal Navy si concluse il 4 ottobre 1780 con il rientro in patria delle due navi. La stesura del resoconto ufficiale fu affidato al canonico John Douglas che per integrare il diario di Cook utilizzò ampiamente il diario del nostro William Anderson. Un genere per tre I materiali raccolti da Anderson rimasero inediti nella biblioteca di Banks, finché Robert Brown molti anni dopo li esaminò mentre preparava il suo importante lavoro sulla flora australiana. Oramai avevano perso ogni carattere di novità, ma Brown volle rendere omaggio allo sfortunato chirurgo dedicandogli il genere Andersonia, con una interessante nota biografica: "L'ho denominato in memoria di William Anderson, chirurgo navale, che partecipò a due spedizioni di Cook e morì durante l'ultima; si dedicò quanto più poteva all'osservazione di uomini e animali e non trascurò la botanica. Nella biblioteca di Banks e nel suo catalogo rimangono diverse sue descrizioni di piante, soprattutto dell'isola di Demen [cioè la Tasmania]; tra di essi non ho trovato alcun genere inedito, ovvero Goodenia Sm., Corraea Sm., Bauera (Ms. Ramsay) e Eucalyptum L.Hérit." Brown tuttavia approfittò dell'occasione per ricordare altri due Anderson: "Alexander Anderson, prefetto dell'orto botanico dell'isola di Saint Vincent, e William Anderson, giardiniere abilissimo, solertissimo coltivatore e acuto osservatore di piante esotiche". Al momento della dedica erano entrambi viventi e sicuramente più noti dello sfortunato chirurgo di Cook. Alexander Anderson (1748-1811) era nato ad Aberdeen e aveva studiato all'università di Edimburgo senza completare gli studi, quindi si era trasferito a Londra dove aveva lavorato per qualche tempo al Chelsea Physic Garden sotto il suo conterraneo William Forsyth. Nel 1774 si spostò a New York, dove lavorò come giardiniere e spedì a Forsyth alcuni esemplari di piante raccolte a Long Island e York Island (oggi Manhattan). Fedele all'Inghilterra, durante la guerra di Indipendenza per sottrarsi all'arruolamento si trasferì prima in Suriname poi nelle Antille britanniche. Nel 1783 si trovava all'Ospedale militare di Saint Lucia come aiutante di George Young, che gli chiese di cercare piante medicinali locali, tra cui un antimalarico che si pensava potesse sostituire la china; tuttavia la pianta, conosciuta come Cinchona sanctaeluciae, benché amara, non contiene gli alcaloidi presenti nel genere Cinchona ed è stata trasferita nel genere Exostema quindi in Solenandra, come S. sanctaeluciae. Nel 1784, quando il dottor Young poté tornare a Saint Vincent (per qualche anno occupata dai francesi), lo accompagnò, quindi gli succedette come prefetto del giardino botanico dell'isola, specializzato nella coltivazione di piante tropicali. Era anche un attivo raccoglitore, in corrispondenza con Banks, su sollecitazione del quale nel 1785 redasse un catalogo delle piante coltivate nell'orto, nel quale elenca 348 piante diverse, soprattutto medicinali o di interesse commerciale. Intorno al 1800 ne compilò una seconda edizione, che contiene circa 2000 specie, dandoci la misura del grande lavoro compiuto da Anderson per ampliare le collezioni dell'orto, sia grazie alle raccolte sul campo, sia grazie alla rete di corrispondenti. Anderson fece raccolte non solo a St Vincent, ma anche nelle piccole Antille, nell'entroterra costiero del Messico caraibico, a Trinidad e Tobago e nelle Guiane. Ricevette molte piante da capitani di marina e da numerosi corrispondenti, risiedenti nelle tredici colonie e nelle Antille francesi. Fu così che grazie a lui numerose piante caraibiche furono introdotte in Europa. Ma l'orto botanico di Saint Vincent divenne anche un centro di diffusione delle piante tropicali che, attraverso Kew, giungevano da altre parti del mondo. La più famosa è l'albero del pane Artocarous altilis, che arrivò a Saint Vincent da Tahiti nel 1793; Anderson la moltiplicò e provvide a distribuirla nelle altre isole delle Antille britanniche. Egli fu anche un prolifico autore di contributi che inviava alla Royal Society e alla Linnean Society. Progettò inoltre di scrivere una Flora dei Caraibi, di cui rimangono solo poche pagine manoscritte inviate a Banks. Purtroppo non pubblicò nessuna delle almeno 100 piante caraibiche che aveva raccolto e il suo nome è ricordato appunto solo dalla dedica collettiva di Andersonia R. Br. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Veniamo infine al secondo William Anderson (1766-1846); anche lui era scozzese e dopo aver lavorato come giardiniere in alcuni vivai nei pressi di Edimburgo, negli anni '90 si trasferì a Londra dove divenne il giardiniere capo del facoltoso mercante James Vere, che a Kengsinton Gore possedeva una notevolissima collezione di piante tropicali, in particolare succulente. Gli è stato persino dedicato il genere Veraea / Vereia, oggi sinonimo di Kalanchoe. William Anderson si fece un nome come esperto di succulente e nel 1798 fu ammesso alla Linnean Society. Nel 1814 venne nominato sovrintendente del Chelsea Physical Garden che in quegli anni aveva perso molto del passato smalto. Anderson ne seppe risollevare le sorti; contribuì anche attivamente con numerosi articoli al Gardeners Magazine e alle Transactions della Horticultural Society. Anche su di lui, una nota biografica nella sezione biografie. Andersonia, viva la varietà! Andersonia R.Br. è un piccolo genere endemico dell'Australia sudoccidentale, della famiglia Ericaceae (precedentemente Epacridaceae). Brown lo stabilì sulla base di cinque specie che egli stesso aveva raccolto lungo il King George's Sound e di una specie raccolta a Lucky Bay. Oggi comprende una trentina di specie di arbusti che vivono soprattutto nelle boscaglie di ericacee, con alcune specie tipiche di habitat più sabbiosi o rocciosi. Anche se alcune specie sono di dimensioni maggiori, la maggior parte sono piccoli arbusti che non superano il metro, mentre le specie di ambienti rocciosi sono nane a cuscino. Una differenza legata ai diversi habitat, che vanno dalle zone con precipitazioni abbondanti a quelle semiaride. Sempreverdi, hanno foglie da piccole a minute, spesso aghiformi, alternate o disposte a spirale. I fiori possono essere solitari ma più spesso sono aggregati in infiorescenze terminali, con i fiori sotteso da una serie di brattee o bratteole. Il calice con cinque sepali o polisepalo è persistente e in genere eccede la corolla tubolare; bianco, rosa, viola o azzurro, spesso è più decorativo della corolla. Anche quest'ultima, tubolare o a urna, con lobi ricurvi o retroflessi, è piuttosto varia. Il gigante del genere è A. axillaris, un grande arbusto che può superare i tre metri. Presente solo sulle pendici superiori e sulle sommità delle cime occidentali del Stirling Range National Park, dove vive in suoli rocciosi in associazione a fitte boscaglie di ericacee, è una pianta ormai rara oggetto di progetti di reintroduzione. Tra le più piccole e più comuni, troviamo invece A. macranthera, una specie non più alta di mezzo metro che vive nelle pianure sabbiose dalla costa sud-occidentale, con minuscole foglie aghiformi e deliziosi piccoli fiori con sepali e corolla rosa-porpora. Altre specie sono ancora più decorative. A. grandiflora, una minuscola specie a cuscino presente in poche aree con suolo roccioso e sabbioso dei dintorni di Albany, ostenta sorprendenti fiori con calice bruno e corolla rosso-aranciato. Ma forse la più singolare è A. caerulea, una specie piuttosto diffusa, con portamento tappezzante o decombente; al momento della fioritura, produce fitte infiorescenze a spiga di fiori bicolori, con calice rosa-violaceo e corolla azzurra, da cui emerge un ciuffo di stami candidi. Altre informazioni nella scheda.
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La deliziosa Legousia speculum-veneris, lo specchio di Venere, deve il nome generico alla gratitudine di un botanico nei confronti del suo benefattore (per fortuna, un caso non isolato): il magistrato Bénigne Le Gouz de Gerland che finanziò la fondazione dell'orto botanico di Digione, dove volle che fossero tenuti corsi di botanica aperti e gratuiti. Grato, il primo professore a tenere quella cattedra, il medico e botanico Jean François Durande, nella sua Flore de Bourgogne istituì in suo onore il genere Legousia separandolo dal linneano Campanula. Oggi, dopo una storia tassonomica travagliata, le ricerche molecolari gli danno ragione e confermano l'indipendenza del genere che celebra quel generoso mecenate. Il mecenate che fu sepolto tre volte Il 30 pratile dell'anno VIII (ovvero il 19 giugno 1800), cinque giorni dopo la vittoria napoleonica di Marengo, le vie della città di Digione sono percorse da uno solenne corteo. Precedute da un gruppo di tamburini, da un picchetto di soldati, da tre drappelli della guardia nazionale, accompagnate da tutte le autorità civili e militari, dai bambini e dai ragazzi delle scuole e dai loro insegnanti, su un carro transitano le ceneri del "buon cittadino Legouze"; a chiudere il corteo, i membri della Società delle scienze, dei tribunali, del municipio e della prefettura, e altri tre drappelli di veterani della guardia nazionale. Il protagonista involontario non è un eroe della rivoluzione o della guerra d'Italia, ma un nobile e un magistrato morto nel 1774, ai tempi dell'Ancien Regime, quando il suo nome era Bénigne Le Gouz de Gerlande, signore di Magny-sur-Tulle, Gerland e Jancigny, con tanto di titoli e particella nobiliare. Per circa vent'anni, ha riposato nella sua tomba nella chiesa della Madeleine, finché la Convenzione ha decretato la chiusura delle chiese e poi la vendita dell'edificio come bene nazionale; l'Accademia delle Scienze di Digione, che adesso sia chiama Società delle Scienze, ha ottenuto che i suoi resti fossero preservati e ha chiesto la loro traslazione nell'orto botanico, di cui Le Gouz era stato il fondatore. Le autorità dipartimentali e il sindaco hanno aderito con entusiasmo: sia perché il ricordo di quel generoso benefattore non è sopito, sia perché l'occasione è ottima per prendere le distanze dagli eccessi del Terrore e della scristianizzazione, celebrare la ritrovata concordia nazionale (in uno dei discorsi tenuti durante la cerimonia si ricorda la pacificazione della Vandea) e valori laici come il progresso scientifico e il mecenatismo. Non a caso, un cartiglio posto sul carro funebre ammonisce: "Onorate le ceneri del fondatore dell'orto botanico. Imitiamo le virtù del benefattore delle scienze e delle arti". Bénigne Le Gouz de Gerlande, nato sul finire del Seicento, membro di una famiglia eminente della nobiltà di toga, era stato un importante magistrato (per vari anni fu grand bailli d'epée du Dijonnais, ovvero il magistrato che esercitava il potere signorile e giudiziario a nome del re). Quando studiava al collegio dei gesuiti di Parigi (dove fu condiscepolo di Voltaire) si appassionò di letteratura, scienze, arti, coltivando interessi diversi con notevole eclettismo: la poesia, la musica, la storia e l'antiquaria, il disegno, le scienze naturali. Membro dell'Accademia delle Scienze di Digione, intervenne assiduamente alle sedute con memorie sugli argomenti più vari: i primi re di Borgogna e l'origine dei borgognoni, le cause fisiche del diluvio universale, la vita di Pompeo, l'elettricità, ecc. Era anche un collezionista, sia d'arte sia di naturalia, e sicuramente faceva coltivare piante rare nei giardini del suo castello di Gouville (chiamato così con un gioco di parole basato sul suo nome, Gouz-ville). A distinguerlo da tanti collezionisti e eruditi più o meno dilettanti, furono però il mecenatismo e la generosità con cui dotò la città natale di importanti istituzioni. Non sposato e privo di eredi, nella vecchiaia fu infatti generoso di lasciti e doni. Nel 1764, donò le sue collezioni naturalistiche all'Accademia delle scienze di Digione, in modo che fossero messe a disposizione di tutti a giovamento del progresso scientifico; il nucleo più importante era costituito da pesci e altri reperti marini raccolti nel frequenti soggiorni nelle isole Hyères. L'anno successivo incoraggiò il pittore François Devosge ad aprire una scuola gratuita e pubblica di disegno, che nel 1767 fu ufficialmente riconosciuta dagli Stati generali di Borgogna. Le Gouz finanziò anche un premio destinato ai migliori pittori e assegnato dall'Accademia delle scienze. La scuola divenne rapidamente così importante che gli Stati generali di Borgogna decisero di farsi carico della scuola e dei premi: è il primo nucleo della prestigiosa École nationale supérieure d'art de Dijon, nonché del Museo di belle arti, concepito inizialmente come raccolta di modelli da copiare e imitare. La generosità di Le Gouz dovette cercare un nuovo sbocco; il segretario dell'Accademia lo persuase a finanziare la creazione di un orto botanico. In città non esisteva nulla di simile, se non forse un giardino dei semplici appartenente all'ordine dei farmacisti; inoltre, all'Università, dove l'unica facoltà prevista era quella di diritto, non si insegnava botanica. Fu così che il vecchio magistrato (all'epoca aveva circa settantacinque anni) acquistò un terreno in Allées de la Retraite (attualmente boulevard Voltaire) e vi fece allestire un orto botanico, destinato alla "dimostrazione" delle piante, con annesso un salone dove sarebbero state tenute lezioni aperte e gratuite di botanica; come insegnante, Le Gouz, che era in contatto con il bel mondo parigino, aveva pensato niente meno che a Rousseau, ma al rifiuto del filosofo ripiegò su un medico locale, Jean-François Durande. Il nuovo orto botanico fu ufficialmente inaugurato il 20 giugno 1773, con un discorso del donatore e una prolusione di Durande sui benefici dello studio della botanica. Le Gouz sarebbe morto circa un anno dopo (per una sintesi della sua vita, si rimanda alla sezione biografie). Negli anni rivoluzionari, l'orto botanico, che il fondatore aveva donato all'Accademia delle scienze, passò sotto la giurisdizione del Comune che nel 1833, visto che la sede originaria era ormai troppo angusta e difficile da irrigare per la scarsità di acqua, decise di trasferire le piante in un vasto terreno precedentemente destinato alle esercitazione della compagnia degli archibugieri che già nel secolo precedente era stato trasformato in un parco paesaggistico all'inglese e dall'inizio del secolo era di proprietà municipale. Fu così che il piccolo orto botanico di Le Gouz si trasformò nel Jardin botanique de l'Arquebuse, oggi uno dei più importanti della Francia. I resti del fondatore non seguirono le sue sorti: esumati una seconda volta, furono trasferiti nella tomba di famiglia. A ricordarlo, nel Jardin de l'Arquebuse fu tuttavia posto un busto in bronzo di pregevole fattura. Legousia, uno specchio per la dea Da molti anni, il suo nome era stato perpetrato anche in altro modo. Nel 1782 il dottor Durande pubblica Flore de Bourgogne, in cui descrive 1300 specie, classificate seguendo il sistema naturale di Jussieu (è uno dei primi esempi) e coglie l'occasione per ripagare il suo benefattore ribattezzando Legousia arvensis la linneana Campanula speculum-veneris. E' una pianta che cresce comunemente nei coltivi, e piace pensare che Le Gouz, che scrisse anche una memoria sulla fertilità del suolo, la conoscesse, l'amasse e ne avesse parlato con Durande. Il genere Legousia, della famiglia Campanulaceae, comprende erbacee annuali del Vecchio mondo, diffuse da ovest a est tra la Macaronesia e l'Asia centrale e da sud a nord tra il nord Africa e l'Europa centrale, dove vivono in campi aperti (anche come infestanti dei coltivi), foreste sparse, praterie e terreni ruderali. In passato è stata attribuita al genere Specularia o ad altri generi, ma oggi la sua indipendenza è confermata dagli studi filogenetici. Solitamente gli sono attribuite sei specie che differiscono tra loro per particolati del calice e la disposizione dell'infiorescenza. Uno studio recente (2019) riduce le specie a quattro. La più nota è lo specchio di Venere, Legousia speculum-veneris, con fiori viola profondo dai lobi arrotondati raccolti in pannocchie ramificate, che assomiglierebbero a uno specchietto (da cui il nome comune). Un tempo, come papaveri e fiordalisi, era molto comune come infestante dei campi di grano, mentre oggi è diventata più rara a causa dell'impiego di diserbanti. Nel nostro territorio sono presenti anche L. hybrida, con infiorescenza a corimbo, denti del calice più lunghi che larghi e corolla lunga circa la metà del calice, e L. falcata con infiorescenza a spiga, lungo tubo calicino con denti acuminati lunghi il triplo della corolla. Qualche approfondimento nella scheda. Con otto edizioni durante la vita dell'autore (l'ultima era un mostro di otto chili di peso) The Gardeners Dictionary di Philip Miller fu la più importante opera di orticultura e giardinaggio del XVIII secolo. Ancora oggi, è un testo di riferimento per chi vuole ricostruire non solo le tecniche orticole del tempo, ma anche la storia dell'introduzione delle piante esotiche in Europa. Miller, grazie ai suoi contatti con raccoglitori, studiosi e collezionisti, ne introdusse in coltivazione a centinaia. Non era però solo un giardiniere (anzi, il "principe dei giardinieri" per dirla con Linneo), ma anche un eccellente botanico educato alla scuola di Ray e Tournefort; per decenni rifiutò ostinatamente sia il sistema sia i nomi di Linneo, con il risultato di "salvare" molte denominazioni prelinneane: i generi che portano il nome assegnato da Miller, spesso recuperato in tal modo, sono dozzine e dozzine. La dedica di Milleria, una curiosissima Asteracea dell'America centrale che fiorì per la prima volta nel giardino di Chelsea dai semi inviati a Miller da uno dei suoi corrispondenti, risale a quest'ultimo, William Houstoun, ma fu fatta propria e validata dall'amico-nemico Linneo. Una nuova stagione per il giardino di Chelsea Per il Chelsea Physic Garden, ovvero il giardino della Società dei farmacisti londinesi, il 1722 segna una duplice svolta. Fondato nel 1673 per provvedere le piante medicinali per i suoi membri, il giardino sorgeva in un terreno cintato lungo il Tamigi, all'interno della proprietà di lord Cheyne a Chelsea, all'epoca un villaggio di poche case a due miglia da Londra. Dopo un inizio brillante, durante il quale era stato anche stabilito un proficuo rapporto di scambio con l'orto botanico dell'Università di Leida, da qualche tempo, la Società aveva difficoltà a sostenere le spese di affitto e gestione. Nel 1712 Hans Sloane, il medico e naturalista che aveva fatto fortuna con le piantagioni di zucchero e da lì a qualche anno sarebbe diventato il presidente della Royal Society, acquistò la proprietà e appunto nel 1722 decise di cederla in perpetuo alla Società dei farmacisti in cambio di un affitto simbolico di 5 sterline annue, ma a una condizione: ogni anno la Società doveva fornire alla Royal Society 50 esemplari d'erbario di specie nuove, fino a raggiungere un totale di 2000 specie. Un compito che richiedeva un cambio di gestione, e un capo giardiniere all'altezza. Su raccomandazione dello stesso Sloane, al quale a sua volta era stato segnalato dal chirurgo e membro della Royal Society Patrick Blair, il comitato direttivo decise di assumere un giovane e preparato vivaista, Philip Miller. Egli avrebbe mantenuto l'incarico per 48 anni, e avrebbe trasformato il Chelsea Physic Garden nell'orto botanico più importante del mondo. Philip Miller era figlio d'arte e aveva imparato il mestiere dal padre, un giardiniere scozzese che intorno al 1660 si era trasferito a Londra e aveva creato un fiorente vivaio a Deptford, grazie ai cui proventi aveva potuto garantire al figlio un'eccellente educazione. Miller parlava fluentemente diverse lingue e da ragazzo aveva viaggiato a lungo sia in Gran Bretagna sia nei Paesi Bassi, che all'epoca erano il paese più all'avanguardia per le tecniche orticole e floricole. Al momento dell'assunzione, gestiva un proprio vivaio a St George's Fields a Southwark, specializzato nella coltivazione di fiori. Per rispettare la condizione posta da Sloane, il giardino doveva essere rinnovato, in modo da poter accogliere il maggior numero possibile di specie esotiche, coltivate secondo le tecniche più aggiornate. Poiché molte piante esotiche erano delicate e sarebbe stato impossibile coltivarle all'aperto, nel 1727 Miller tornò in Olanda per studiare le più innovative serre olandesi. Propose i suoi progetti al Comitato di gestione e nel 1732 Hans Sloane posò la prima pietra dei nuovi edifici del giardino, incluse una serra fredda e due "stufe", ovvero serre riscaldate con aria calda immessa nelle intercapedini dei muri. Miller introdusse anche la pratica dei lettorini caldi, che aveva ugualmente appreso in Olanda. Per procurarsi piante esotiche sempre nuove, Miller creò una vastissima rete di corrispondenti e fornitori: i colleghi vivaisti, altri orti botanici con cui scambiare esemplari (oltre a quello di Leida e di Parigi, spiccano quelli di Oxford e Edimburgo), studiosi e botanici come lo stesso Linneo, viaggiatori e raccoglitori occasionali o professionisti ai quattro angoli del globo. Tra i corrispondenti più attivi, ad esempio, il chirurgo William Houstoun che gli inviò dal Messico e dai Caraibi (dove prestava servizio sulle navi negriere) numerose specie neotropicali. La sua rete in qualche modo anticipò quello che Linneo fece con i suoi apostoli e quello che Banks (che disponeva di mezzi infinitamente superiori) fece con i cacciatori di piante di Kew. Non c'è bisogno di dire che Miller fu uno dei principali sottoscrittori degli invii di Bartram a Collinson, le famose "Bartram Boxes", cui si deve l'arrivo in Inghilterra di almeno 2000 specie di piante nordamericane. Durante la sua gestione, il numero di specie coltivate a Chelsea passò da 1000 a 4000. Come Kew a fine secolo (all'epoca era ancora soltanto il giardino privato della Principessa di Galles), Chelsea giocò anche un ruolo nell'introduzione di nuove coltivazioni nelle colonie: fu proprio Miller, nel 1732, a inviare a James Oglethorpe, il fondatore della Georgia, i primi semi di cotone da cui sarebbe nata un'intera economia di piantagione. Un capolavoro dell'orticoltura e del giardinaggio L'abilità professionale di Miller era leggendaria. Linneo, che visitò tre volte il giardino di Chelsea durante il suo viaggio in Inghilterra del 1736, lo proclamò "principe dei giardinieri". Ma Miller, vero figlio di quel secolo della divulgazione che fu il Settecento, non tenne per sé le sue conoscenze: fu anche l'autore della più importante opera di orticoltura e giardinaggio dell'epoca, il celebre (e celebrato) The Gardeners Dictionary. L'attività editoriale di Miller iniziò poco dopo l'assunzione a Chelsea, con The Gardeners and Florists Dictionary or a Complete System of Horticulture, due volumi in quarto di quasi 1000 pagine usciti nel 1724. Con la formula del dizionario con voci in ordine alfabetico, è un'opera essenzialmente compilatoria in cui Miller riassunse nozioni riprese da altri testi. Una soluzione che lasciò insoddisfatto per primo lo stesso autore, che invece nelle sue opere successive preferì sempre riscontrare i pareri autorevoli con l'esperienza diretta. L'anno successivo Miller fu tra i fondatori della Society of Gardeners, un club informale che riuniva una ventina di importanti vivaisti dell'area londinese; una volta al mese, gli aderenti si riunivano in un caffè o forse nel vivaio di uno di loro per mostrarsi le piante di nuova introduzione e individuarne il nome preciso. In una fase in cui il mercato inglese era sommerso da incessanti arrivi di piante esotiche, avidamente ricercate dai collezionisti, capitava spesso che la stessa pianta fosse introdotta con nomi diversi; inoltre, il miglioramento delle strade aveva favorito la nascita di un mercato nazionale delle piante e anche in questo caso era frequente che piante autoctone o da tempo introdotte nelle isole britanniche fossero note, e commercializzate, con nomi diversi nelle varie regioni del paese. A più di un vivaista era capitato di dover affrontare un cliente inferocito che, dopo aver pagato a caro prezzo una "novità", aveva scoperta che la possedeva già, sotto un altro nome. I nomi usati dai botanici di professione (siamo in epoca prelinneana) erano lunghissime e inutilizzabili descrizioni in latino, senza contare che variavano da un botanico all'altro. L'unica soluzione era quella di stilare un catalogo collettivo (una specie di antenato di Plant Finder) con la descrizione delle piante e le varie denominazioni. Miller, che era il segretario della società, collaborò attivamente alla stesura del Catalogus plantarum, di cui purtroppo uscì solo il primo volume, nel 1730, dedicato agli alberi e agli arbusti. Subito dopo la società si sciolse. In ogni caso, l'esperienza gli fu poi molto utile per The gardeners dictionary, la cui prima edizione uscì l'anno successivo. L'opera si propone come una vera e propria enciclopedia pratica del giardinaggio, come sottolinea il sottotitolo Containing the Methods of Cultivating and Improving the Kitchen, Fruit and Flower Garden, and the Wilderness, "con i metodi di coltivazione e miglioramento dell'orto, del frutteto, del giardino dei fiori e le piante selvatiche". Voce dopo voce, Miller spiega quali verdure coltivare nel corso dell'anno, come scegliere gli alberi e gli arbusti per parchi e giardini, come coltivare insieme fiori nativi ed esotici; fornisce istruzioni (e illustrazioni) per costruire strutture per il giardino, come lettorini, serre e stufe; elenca e spiega come coltivare nel modo migliore centinaia di piante. Pubblicata in un poderoso in-folio illustrato con 215 carte (ovvero 430 pagine), The gardeners dictionary era un'opera piuttosto costosa; per venire incontro a lettori meno abbienti, nel 1735 Miller ne pubblicò un'edizione ridotta in due volumi in quarto. Da quel momento, fino alla morte, egli non avrebbe cessato di aggiornare e accrescere il suo dizionario, curandone ben otto edizioni successive; l'ultima è del 1768, tre anni prima della morte dell'autore, ed è un mastodonte alto 48 cm, di quasi settecento pagine e otto chili di peso. In un periodo in cui le tecniche orticole erano in costante progresso, e sempre più numerose piante esotiche giungevano in Europa, le edizioni successive del dizionario di Miller sono dunque anche uno strumento straordinario per ricostruire la storia dell'orticultura e datare l'introduzione di nuove specie nel nostro continente. A lungo Miller, che in gioventù aveva conosciuto personalmente Ray, rimase fedele al suo sistema e rifiutò le denominazioni binomiali di Linneo, nonostante la loro evidente praticità. La cocciutaggine di questo giardiniere scozzese scorbutico e di pessimo carattere ha avuto risvolti positivi per la storia della botanica: grazie a lui, molte denominazioni introdotte dai botanici precedenti, e respinte da Linneo, sono state conservate e sono state poi accolte dai botanici successivi. I generi creati da Miller sono decine e decine, e a elencarli ci vorrebbero molte pagine; mi accontento di citare generi "pesanti" come Larix, Castanea, Acacia, Helianthemum, Petasites, Ananas, Cereus, Opuntia, Muscari, Polygonatum, Helichrysum, Foeniculus, Cotinus, Senna. Dopo un'ostinata battaglia durata più di trent'anni, Miller si arrese e, dopo una parziale apertura nella settima edizione, nell'ottava, e ultima edizione del The Gardeners Dictionary adottò finalmente le denominazioni binomie linneane; in fondo, gli affari sono affari, ed era quello che volevano i suoi clienti. Sfogliamola dunque insieme, questa mastodontica ottava edizione. Potete farlo comodamente da casa cliccando qui. Il volume si apre con un dizionario dei termini botanici, seguito da tavole con le varie parti delle piante e le strutture di fiori e frutti. Segue il dizionario vero e proprio, con le voci in ordine alfabetico. Ci sono le tecniche di coltivazione, propagazione, impianto, potatura; le indicazioni per realizzare sentieri, viali, aiuole, siepi, staccionate, grotte, lettorini, serre; i suggerimenti su come prevenire o rimediare ai danni del gelo, del fuoco, della pioggia, della neve e della siccità, di malattie e parassiti. E tante, tantissime piante, nelle intenzioni di Miller tutte le piante coltivate nelle isole britanniche e tutte quelle che vengono "dalle Alpi, i Pirenei, la Boemia, il Levante, l'Egitto, la Siberia, il nord e il sud America, l'est e l'ovest, l'India, la Cina e il Giappone". Ogni voce si apre con il nome generico in latino, seguito da una descrizione in inglese delle caratteristiche comuni al genere; segue poi l'elenco delle specie con il nome binomio e una breve diagnosi in latino, ricavata da Linneo o altri autori; per le specie coltivate, sono fornite dettagliate informazioni sull'origine, la data di introduzione, le varietà, la coltivazione. Dotata di indici in inglese e in latino e di un calendario dell'operazioni orticole, l'opera è anche riccamente illustrata; le piante di nuova introduzione sono accompagnate da tavole disegnate da artisti di grido, tra cui Georg Ehret, che era anche imparentato con Miller, avendo sposato la sorella di sua moglie. Nel 1729 Miller era stato accolto nella Royal Society e contribuì alle Transactions con molti interventi; la sua bibliografia conta non meno di 120 titoli. Il suo lavoro al Chelsea Physical Garden si protrasse fino al 1770, quando, riluttante, dopo uno sgradevole braccio di ferro con il Comitato di gestione, fu costretto al pensionamento. I testi dell'epoca parlano impietosi di "imbecillità e irascibilità dovuta alla tarda età". Malleabile non lo era stato mai. Ma, soprattutto, era cambiato il clima, e l'ostinata resistenza al sistema linneano era diventata imperdonabile; e se Miller si era rassegnato ad accettare la nomenclatura binomiale nel dizionario, non era disposto a fare altrettanto con il sistema di Linneo nelle sue aiuole, ancora rigorosamente ordinate secondo il sistema di Ray. Infatti, uno dei primi compiti del suo successore, William Forsyth, fu riorganizzare le piante secondo il nuovo sistema. Miller non assistette a tanto scempio; morì infatti un anno dopo il ritiro, a ottant'anni d'età (una sintesi della sua vita nella sezione biografie). Ma non finì la vita del suo capolavoro, un testo di riferimento tradotto nella principali lingue europee. A tenerlo aggiornato e a pubblicarne ulteriori edizioni pensarono altri botanici: la più importante è quella curata da George Don, pubblicata tra il 1832 e il 1838 con il titolo A general system of Gardening and Botany, founded upon Miller's Garden Dictionary. La curiosa Milleria I rapporti tra Miller e Linneo furono quanto meno contraddittori. In occasione delle sue visite a Chelsea nel 1736, lo svedese dovette fare appello a tutta la sua diplomazia per non contrariare lo scorbutico scozzese e farsi donare qualche esemplare per il suo datore di lavoro George Clifford; ovviamente tutti i suoi tentativi di fargli accettare il suo sistema fallirono, anzi Miller sentenziò che "sarebbe stato di corta durata". Nondimeno, tra i due si instaurò una corrispondenza che durò tutta la vita, con scambi di piante e pareri. E Linneo fu prodigo di lodi per The Gardeners Dictionary, anche se era evidente che si poneva in aperta concorrenza con Species plantarum. Di buon grado, accettò anche di far proprio il genere che rendeva omaggio all'amico-nemico, Milleria. Nel 1731, William Houstoun raccolse in Campeche una pianticella piuttosto curiosa di cui inviò i semi a Miller, proponendo di battezzarla in suo onore Milleria. Miller la pubblicò nell'edizione del 1735 del Dictionary, e Linneo accolse la denominazione prima in Hortus cliffortianus, poi nel secondo volume di Species plantarum. Com'è noto, Linneo amava che ci fosse qualche relazione tra la pianta e il dedicatario. In questo caso, i sepali piuttosto corti che si chiudono a coppa potevano suggerire la figura atticciata di Miller, mentre il calice che racchiude totalmente i semi richiamava "l'impegno di Miller per procurarsi rari semi americani e per preservarli", o magari più malignamente la sua riluttanza a dividerli con altri. D'altra parte, Milleria quinqueflora (l'unica specie nota a quel momento e l'unica oggi accettata) è una pianta interessante e curiosa, ma non particolarmente bella, anzi potrebbe rientrare tranquillamente nella categoria delle erbacce. Cioè in quella dove Linneo andava a scegliere le piante da dedicare ai colleghi che ostacolavano il cammino trionfale del suo sistema. Sia come sia, il genere Milleria Houst. ex L. si distingue all'interno della sua famiglia, le Asteraceae, per le caratteristiche singolari del fiori. Monotipico, è rappresento unicamente appunto da M. quinqueflora, abbastanza comune nei terreni disturbati in un'area che va dal Messico al sud America settentrionale. E' un'erbacea annuale piuttosto alta (anche due metri) con esili fusti molto ramificati e foglie cordate in basso e ovate nella parte alta, con nervature evidenti; in estate porta molti minuscoli capolini gialli sottesi da brattee, che da lontano possono richiamare il fiore di una labiata, con il labbro inferiore giallo trilobato; in realtà sono infiorescenze formate da quattro fiori del disco (maschili) che emergono dal ricettacolo a calice e da un unico fiore del raggio (femminile) giallo sgargiante che funziona da richiamo e da pista d'atterraggio per gli impollinatori. Singolare anche il frutto, ovviamente uno solo per capolino, un achenio racchiuso in una specie di borsetta legnosa raggrinzita. Le foglie e gli steli sono usati nella medicina tradizionale per curare le infezioni della pelle. Le radici essiccate sono talvolta vendute come dimagranti. Qualche approfondimento nella scheda. Il Giardino botanico di New York (New York Botanical Garden, NYBG) è uno dei più importanti orti botanici del mondo; situato nel quartiere del Bronx, oggi si estende per oltre 1 km², contiene 48 diversi giardini, ospita serre, laboratori, il maggiore erbario dell'emisfero settentrionale con 7.800.000 esemplari e la biblioteca botanica più importante del paese, ricca anche di manoscritti e testi storici. Eppure tutto è incominciato da un fazzoletto di terra e dal sogno di una coppia di botanici, Nathaniel L. Britton e Elizabeth G. Knight Britton. Lui, oltre ad aver diretto il NYBG per più di trent'anni, è stato un riconosciuto esperto della flora del centro America, ma è famoso soprattutto per il libro sulle Cactaceae che scrisse a quattro mani con J.N. Rose. Lei è stata una pioniera degli studi sui muschi degli Stati Uniti orientali e delle battaglie ecologiste. Entrambi sono ricordati da generi monotipici: Neobrittonia (Malvaceae) per Nathaniel, Bryobrittonia (Encalyptaceae) per Elizabeth. Un giardino nato dal sogno di una coppia di botanici Anche se uno dei primi orti botanici statunitensi, l'Elgin Botanic Garden, sorse proprio qui, alla fine dell'Ottocento New York era priva di un orto botanico. Infatti, nel 1808 David Hosack, il fondatore, era stato costretto a vendere l'Elgin Botanical Garden alla città; trasferito al Columbia College, era stato lasciato all'abbandono fino a scomparire. Sopravvivevano soltanto i resti della biblioteca e dell'erbario. Se oggi la città vanta uno dei prestigiosi giardini botanici del mondo, New York Botanical Garden (NYBG), si deve a una coppia di straordinari botanici, Nathaniel Lord Britton e Elizabeth Gertrude Knight Britton. Nathaniel si era laureato in geologia e aveva partecipato alla ricognizione geologica del New Jersey, ma fin dagli anni universitari era appassionato di botanica ed era un membro attivo del Torrey Botanical Club. Verso la metà degli anni '80 divenne insegnante di geologia e botanica alla Columbia University. I suoi interessi si spostarono sempre più verso la botanica; al Torrey conobbe una giovane briologa, Elizabeth Gertrude Knight, che sposò nel 1885. Nel 1888 la coppia andò a Kew per condurre alcune ricerche e entrambi furono impressionati dai giardini, dall'erbario e dalla biblioteca. Sembra che sia stata Elizabeth ad esclamare: "Dobbiamo avere un'istituzione così a New York!". Di ritorno a casa, Elizabeth presentò una entusiastica relazione al Torrey Club e propose di fondare un Comitato per promuovere la creazione di un orto botanico, concepito allo stesso tempo come un giardino per il piacere della cittadinanza, un'istituzione educativa e un centro di ricerca e irradiazione della conoscenze botaniche sul modello di Kew. Entrambi i Britton erano energici e convincenti e seppero coinvolgere nel progetto le maggiori istituzioni scientifiche cittadine: oltre al Torrey Botanical Club, la Columbia University (dove Nathaniel insegnava e Elizabeth prestava servizio volontario come curatrice dell'erbario dei muschi), l'American Museum of Natural History. La campagna di raccolta fondi, di cui Elizabeth divenne l'anima, coinvolse quotidiani come il Sun e l'Herald Tribune e guadagnò il sostanzioso sostegno dei grandi magnati della città, da Morgan a Carnegie a Vanderbildt, che poi figurarono ai vertici del consiglio di amministrazione. Fondato ufficialmente con un atto del New York State Legislature il 28 aprile 1891, il nuovo orto botanico sorse nel Bronx Park, a nord della città; i lavori cominciarono tuttavia solo nel 1896 e richiesero diversi anni. La biblioteca fu completata nel 1900 e la grande serra nel 1909. Nominato segretario del consiglio di amministrazione fin dall'atto di fondazione, nel 1896 Britton lasciò la Columbia University, dove, oltre a insegnare geologia e botanica, era anche il curatore della biblioteca e dell'erbario, e divenne il primo direttore del NYGB. Con l'assenso della Columbia University, che continuò a collaborare strettamente con la nuova istituzione, le collezioni di cui era curatore si trasferirono con lui. In quegli anni, mentre Elizabeth si batteva anima e corpo per raccogliere i fondi per il nascente giardino, Nathaniel era anche impegnato nelle ricerche per la sua prima opera importante, An Illustrated Flora of the Northern United States and Canada, finanziata da Addison Brown e nota come Britton & Brown Illustrated Flora, la prima flora illustrata dell'America settentrionale. I Britton pensavano che come Kew era la "capitale botanica" dell'impero coloniale britannico, allo stesso modo il NYBG dovesse assumere la guida delle ricerche botaniche non solo nel territorio metropolitano, ma anche nelle aree di influenza statunitense in America centrale, a partire dal protettorato di Porto Rico. Fu così che il NYBG fu in prima linea nelle ricerche botaniche nell'area; nel 1902 la coppia iniziò una serie di viaggi nelle Antille e nei Caraibi. Tutti gli anni, quando l'inverno newyorchese si faceva più duro, i Britton si trasferivano a sud, non in vacanza, ma in spedizioni botaniche sul campo finanziate in parte da loro stessi, in parte da cordate tra diverse istituzioni scientifiche. Nathaniel partecipò di persona a una trentina di spedizioni; la più importante è senza dubbio la ricognizione scientifica di Porto Rico e delle Isole Vergini, condotta dall'Accademia delle Scienze di New York in collaborazione con il governo di Porto Rico e l'American Museum of Natural History che si protrasse per sette anni, dal 1919 al 1926 e coinvolse scienziati di molte discipline. Furono i viaggi in America centrale a destare l'interesse di Britton per le Cactaceae. Ne nacque il progetto che porterà alla stesura di The Cactaceae, il suo capolavoro, scritto a quattro mani con Joseph Nelson Rose. Un'opera così importante che merita un post a parte. Britton diresse il NYBG fino al pensionamento, nel 1929. Oltre ad essere uno scienziato di grande valore, aveva grandi capacità organizzative e sotto la sua direzione il giardino crebbe rapidamente; nel 1915, con l'acquisizione di un settore sottoutilizzato del Brox Park, passò da 250 a 400 acri. Britton curò l'arricchimento delle collezioni, varò programmi di conferenze e fece del giardino (il cui accesso rimase gratuito per mezzo secolo) uno spazio bello e piacevole per i suoi concittadini, un punto di incontro reso vivo da mostre e iniziative divulgative; ma soprattutto lo rese un'istituzione scientifica di primo piano. Si batté per centralizzare le collezioni di libri e erbari disperse tra le varie istituzioni newyorchesi; grazie a affidi, doni e acquisti, al termine del suo mandato la biblioteca contava 43.500 volumi e l'erbario 1.700.000 esemplari. Egli credeva nella collaborazione tra le varie istituzioni scientifiche, e fu tra gli animatori della Scientific Alliance of New York, purtroppo di breve durata. Era anche noto per il carattere imperioso e poco accomodante (scherzosamente, usando il suo secondo nome, lo chiamavano "il Lord"). In campo tassonomico si batté per la stretta osservanza della regola della priorità; ma lo fece in modo talmente rigido e poco diplomatico da provocare una rottura sia con molti colleghi statunitensi sia con i botanici europei. Britton scisse moltissimo; accanto e dopo il grande lavoro sulle Cactaceae, pubblicò numerosi volumi sulla flora delle Antille: Flora of Bermuda (1918), The flora of the American Virgin Islands (1918), Descriptions of Cuban plants new to science (1920), The Bahama flora (1920) in collaborazione con Charles Frederick Millspaugh. Dallo studio dei muschi alla battaglia per le piante native E' ora di conoscere più da vicino sua moglie Elisabeth Gertrude Knigth; proprio come il marito, era una figlia della città di New York, ma aveva trascorso lunghi periodi a Cuba, dove il nonno possedeva una piantagione di canna da zucchero. A soli 17 anni si diplomò e incominciò a insegnare come tutor di Scienze naturali alla Normal School (oggi Hunter College). Nel 1879, a ventun anni, si iscrisse al Torrey Botanical Club e fece il suo esordio nella carriera botanica scoprendo la fruttificazione del muschio Eustichium norvegicum e la presenza in Nuova Scozia della rara felce Schizaea pusilla. Aveva già deciso di specializzarsi nello studio delle piante di cui sarebbe diventata una dei massimi esperti: i muschi. Era un'appassionata escursionista e in questi anni visitò gli Adirondack e gli Appalachi. Fu al Torrey che conobbe Nathaniel Britton, che era il responsabile del bollettino dell'associazione, su cui Elizabeth pubblicò i suoi primi articoli; nel 1884 divenne curatrice dei muschi e nei 1886 redattrice del bollettino. Nel 1893, fu la sola donna tra i 25 membri fondatori della Botanical Society of America. Dopo il matrimonio, lasciò l'insegnamento e prestò servizio come volontaria alla Columbia University, dove era la responsabile non ufficiale dell'erbario dei muschi. Benché non avesse un titolo accademico, era una guida e punto di riferimento per studenti e specializzandi. Abbiamo già parlato del viaggio a Kew (dove era andata a studiare la collezione di muschi di Henry Hurd Rusby) e della battaglia per il NYBG. Quando l'erbario della Columbia fu trasferito nel neonato giardino, continuò nella nuova sede l'attività volontaria come curatrice dei muschi dal 1912 al 1929; grazie a lei, furono acquisite molte collezioni. Molto del suo tempo fu dedicato alla catalogazione dell'erbario di muschi di William Mitten, acquisito dal NYBG nel 1906. Insieme al marito, erborizzò in Porto Rico, Giamaica e Cuba. Durante la sua carriera, scrisse quasi 350 articoli, metà dei quali dedicati ai muschi. Il progetto di un grande Handbook of Mosses of Eastern America, fu abbandonato a favore di una serie di articoli più brevi, in parte confluiti nella North American Flora pubblicata dal NYBG. Dall'inizio del secolo, quando la battaglia per l'orto botanico era già stata vinta, Elizabeth Britton abbracciò con tutta la sua determinazione una seconda causa: quella della salvaguardia dei fiori selvatici. Nel 1902 fu tra i fondatori della Wild Flower Preservation Society che si batteva per proteggere le piante native anche attraverso provvedimenti legislativi; ne divenne segretaria e tesoriera e, oltre a pubblicare numerosi articoli sull'argomento nella rivista del NYBG, per sensibilizzare l'opinione pubblica partecipò letteralmente a migliaia di eventi in scuole e garden club. Nel 1925 come presidentessa del comitato per la conservazione dei Garden Club dello Stato di New York guidò una vittoriosa campagna di boicottaggio contro la pratica di utilizzare rami di agrifoglio selvatico come decorazione natalizia. Nel 1929, quando Nathaniel andò in pensione, la coppia, che abitava in una casa del Brox non lontana dall'orto botanico, alternò ai soggiorni in città quelli nel Cottage di Richmond, un edificio storico che apparteneva alla famiglia Britton fin dal 1695. Nathaniel lavorava a una flora di Porto Rico (Flora Borinquena) che rimase incompiuta. Entrambi morirono nel 1934, a quattro mesi di distanza, prima Elizabeth, poi Nathaniel, che non si era mai ripreso dalla perdita della moglie. Una sintesi delle loro vite nella sezione biografie. Due piccoli generi per due grandi botanici Non sorprende che, come direttore di un'istituzione tanto prestigiosa, come ricercatore con all'attivo la scoperta di numerose specie e come autore di opere decisive come The Cactaceae, Nathaniel Lord Britton abbia collezionato la dedica di quasi settanta nomi di specie e di sei generi. Tuttavia uno solo rimane valido, Neobrittonia, che gli fu dedicato nel 1905 da Hochreutiner dell'Orto botanico di Ginevra, riclassificando una specie messicana precedentemente denominata Abutilon acerifolium Don. Neobrittonia acerifolia, l'unico rappresentante di questo genere della famiglia Malvaceae, è un arbusto diffuso dal Messico centrale a Panama in boschi misti, pinete e boschi mesofili di montagna tra 2100 e 2400 metri. Alto tra due e tre metri, ha rami ricoperti di lunghi peli e foglie che ricordano quelle dell'acero, profondamente lobate, con tre o cinque lobi; ha fiori attraenti, con cinque petali lilla violaceo, seguiti da frutti tondeggianti, formati da 8-12 segmenti ravvicinati e disposti a ruota, abbastanza simili a quelli del nostrano Abutilon theophrasti, ma irsuti e spinosi. Qualche dettaglio in più nella scheda. Anche Elizabeth Knight Britton ha ricevuto la sua parte di onori: a ricordarla i nomi specifici di una quindicina di piante, come la felce Thelypteris brittoniae, e il genere di muschi Bryobrittonia, che gli fu dedicato nel 1901 da R.S. Williams, soprattutto in riconoscimento del suo ruolo educativo quando era curatrice dei muschi alla Columbia University. Scrive infatti Williams: "Il genere è dedicato a Mrs. Elizabeth G. Britton, il cui aiuto ha incoraggiato molti studiosi americani dei nostri muschi". Appartenente alla famiglia Encalyptaceae, è anch'esso un genere monotipico, che comprende solo B. longipes, una specie dei climi rigidi che vive su substrati calcarei in Nord America, Europa e Asia centrale. Altre informazioni nella scheda. Il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG) è una delle più importanti e benemerite istituzioni botaniche della California (anzi, degli interi Stati Uniti). Situato a Claremont, a est di Los Angeles, è il più ricco giardino botanico dello stato integralmente dedicato alla flora locale, con 22.000 piante native appartenenti a 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Svolge anche una rilevante attività di ricerca e formazione, con un dipartimento di ricerca specializzato in tassonomia e botanica evolutiva; offre corsi di laurea di secondo livello e stage post laurea, in collaborazione con l'università Pomona di Claremont. Pubblica una rivista e altre pubblicazioni scientifiche. Custodisce una biblioteca specializzata, un archivio di 23.000 documenti (incluse fotografie e illustrazioni botaniche originali), un erbario di 1.200.000 esemplari che comprende tutte le specie della area floristica californiana; promuove la conservazione della flora della California meridionale attraverso una banca dei semi, la salvaguardia, la riproduzione e la diffusione delle sue specie; in campo orticolo, è attivamente impegnato nel produrre e testare nuove cultivar. Organizza innumerevoli attività per le scuole e le comunità locali. Tutto questo è nato dal sogno di una donna tenace e volitiva, Susanna Bixby Bryant, circa 90 anni fa quando solo pochi pionieri si rendevano conto di quanto fosse importante la conservazione delle flore locali. Grazie a uno dei ricercatori che lavorano nel RSABG, da qualche anno a ricordarla contribuisce anche il genere Bryantiella (Polemoniaceae). Il sogno di una donna di carattere Con circa 6000 specie, un terzo delle quali endemiche, la California è lo stato con la flora più ricca degli Stati Uniti. Ma già all'inizio del '900, dopo che la Febbre dell'oro vi ebbe riversato migliaia di uomini in cerca di fortuna, quel tesoro naturale incominciava ad apparire in preoccupante e veloce declino per la pressione delle coltivazioni e dell'urbanizzazione e l'invasione di piante aliene. Tra i primi a rendersene conto, Theodore Payne (1872-1963), giardiniere e vivaista inglese trapiantato in California, dove si era innamorato della peculiare e variegata flora della patria d'adozione. Cominciò così a raccogliere bulbi e semi in natura e a moltiplicarli nel suo vivaio di Los Angeles, specializzandosi nella coltivazione di piante locali. Nel 1915 la città di Los Angeles gli affidò la sistemazione di un'area di 20.000 metri quadri nell'Exibition Park, nel quartiere centrale della città; Payne usò esclusivamente piante native, piantandone 262 diverse specie. Fu probabilmente questa realizzazione di Payne ad ispirare a Susanna Bixby Bryant, una dama dell'alta società californiana, il progetto che avrebbe portato alla nascita di Rancho Santa Ana Botanical Garden. La giovane donna era nata in una famiglia di ricchissimi latifondisti, proprietari di immensi ranch gestiti con modalità industriale, ed aveva trascorso la prima infanzia in una delle proprietà dei Bixby, Rancho Los Alamitos, dove grazie al padre, un imprenditore dalle idee innovative, aveva sviluppato un forte legame con la natura di quei luoghi così particolari, tra mare, colline e deserto. Rimasta presto orfana, fu inviata in un ottimo collegio di Boston dove ricette un'educazione formale insolita per le ragazze dell'epoca, quindi viaggiò a lungo con la madre in Europa e altrove. Al suo ritorno in California, nel 1904, si sposò con Ernest Albert Bryant, il medico personale del magnate delle ferrovie Henry Hungtington (che proprio in quegli anni stava facendo costruire un giardino botanico ricco di essenze esotiche a San Marino, oggi una delle maggiori attrazione dell'area di Los Angeles). Nel 1906, quando la madre morì, Susanna si trovò comproprietaria, con il fratello, di due vaste proprietà, Rancho Los Alamitos e Rancho Santa Ana; decise che ne aveva abbastanza di dividere le sue giornate tra tè, ricevimenti e riunioni di comitati di beneficenza, e, prima donna a farlo, incominciò a gestire di persona l'azienda, dove piantò aranci, noci, peri, melograni e sperimentò nuove introduzioni come pompelmi e litchi. Da tempo desiderava fare qualcosa per onorare la memoria del padre, che aveva perso quando aveva solo sette anni ma non aveva mai dimenticato. Il giardino californiano creato da Payne all'Exibition Park le diede l'idea che cercava: avrebbe trasformato una parte del Rancho Santa Ana (di cui nel frattempo aveva acquisito l'intera proprietà) in un orto botanico interamente dedicato alla flora californiana e l'avrebbe intitolato alla memoria del padre John William Bixby. Non si sarebbe trattato di un giardino privato di piacere; Susanna lo concepì fin da subito come un'istituzione pubblica, con compiti di conservazione, ricerca ed educazione. Per definire il progetto, si avvalse della consulenza di vari esperti, in particolare lo stesso Payne e il professor Willis Linn Jepson dell'Università di California, autore di una flora californiana di riferimento. Il progetto incominciò a prendere corpo nel 1926. All'interno del Rancho Santa Ana, la signora Bryant scelse un terreno singolarmente adatto per riprodurre, sebbene in miniatura, i diversi habitat della California: esteso su circa 160 acri sulle colline lungo il fiume Santa Ana tra 130 e 340 m. sul livello del mare, presentava una grande varietà di suoli e esposizioni, dal pieno sole all'ombra profonda; al momento, era uno spazio nudo, quasi privo di alberi. Prima di iniziare i lavori, ella volle comunque ancora sentire il parere del patriarca della botanica americana, Charles Sprague Sargent, il direttore dell'Arnold Arboretum di Boston. La risposta del burbero botanico fu deludente: a suo parere, riprodurre i vari ambienti della regione e piantare ogni tipo di pianta era assolutamente sconsigliabile; sarebbe stato meglio limitare lo spazio destinato all'arboreto e accontentarsi di una selezione di specie capaci di vivere senza irrigazione, che una volta cresciute avrebbero potuto fare da sé. La signora Bryant non si lasciò scoraggiare e replicò con un pizzico di ironia: "In maniera squisitamente femminile, ho deciso di correre il rischio e intendo procedere con il mio progetto iniziale". Accettò tuttavia il secondo consiglio di Sargent: affidare la progettazione a Ernest Braunton, architetto del paesaggio dell'Università della California meridionale. I lavori iniziarono nel 1927; i primi sette anni vanno considerati sperimentali: furono occupati nella costruzione di una serra, della direzione e degli altri edifici necessari, nella messa a dimora delle piante, inizialmente procurate da Payne, ma poi raccolte dal piccolo staff del giardino (di cui fin dall'inizio fece parte un botanico) in spedizioni in natura, e soprattutto nella verifica della fattibilità del progetto. Nel 1934 Susanna e i suoi collaboratori decisero che la prova era superata ed era ora di trasformare il giardino in un'istituzione formale. Con la stesura dello statuto, la creazione di una fondazione, la nomina di un consiglio d'amministrazione (Trustee), il conferimento di un capitale sociale (grazie a una donazione della signora Bryant) nacque così ufficialmente il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG). Negli anni successivi l'orto botanico continuò a crescere, con la creazione di alcuni "giardini speciali": quello dei cactus, quello delle succulente (dedicato in particolare ai generi Sedum e Dudleya), la collezione dei Penstemon, il giardino dei bulbi, quello delle piante acquatiche e di palude, il felceto, il prato naturale di fiori selvatici (con piante della prateria come Clarkia, Gilia, Phacelia). Parallelamente si sviluppò l'attività di ricerca e formazione, in collaborazione sempre più stretta con Pomona University di Claremont, grazie all'arrivo a Santa Ana in qualità di botanico di Philip Munz, grande esperto di flora dei deserti, che insegnava botanica in quella Università. Furono creati un erbario e una biblioteca; vennero organizzate mostre, conferenze, visite guidate; nel 1948 incominciò anche la pubblicazione di una rivista semestrale, Aliso (dal nome locale del platano della California o sicomoro, Platanus racemosa), che poi si sarebbe specializzata in tassonomia e botanica evolutiva. In quel momento, già da due anni la signora Bryant non c'era più: era infatti morta all'improvviso nel 1946; una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Una grande istituzione botanica Al momento della scomparsa di Susanna Bixby Bryant, l'istituzione nata dal suo sogno e dalla sua determinazione era ormai in grado di reggersi sulle sue gambe. Da tempo la signora Bryant e i suoi collaboratori pensavano che la collocazione del giardino, pur eccellente sotto molti punti di vista e così colma di significato simbolico e affettivo, fosse però troppo periferica per permettere la frequentazione continuativa degli studenti e dei dottorandi di Claremont. Fu così che, senza tradire la volontà della fondatrice, nel 1950 il giardino venne trasferito nell'attuale sede, ai piedi della collina San Gabriel a Claremont; invariati rimanevano gli obiettivi: in primo luogo, la conservazione della flora della California attraverso lo sviluppo delle collezioni vive del giardino botanico; il suo studio attraverso la ricerca sul campo, i laboratori, la collaborazione con l'Università; la divulgazione della conoscenza delle piante native e la loro diffusione in giardini pubblici e privati. Oggi il RSABG è una grande istituzione scientifica, retta da un nutrito staff professionale ma anche dall'entusiasmo di centinaia di volontari; è aperta alle scuole e al territorio, ospita stages di formazione e i corsi di dottorato in botanica dell'Università di Claremont; ha un dipartimento di ricerca specializzato in sistematica e botanica evolutiva; si è dotato di una banca dei semi e partecipa attivamente ai progetti di reintroduzione con semenzali prodotti e testati nei propri vivai. Per altre informazioni sulle collezioni, i progetti scientifici, i progetti di ricerca, le attività divulgative e didattiche si rimanda al sito del RSABG. Su un'estensione di 86 acri (35 ha), il giardino ospita oltre 20.000 piante native, appartenenti a circa 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Si incontrano le prime già a far ombra al parcheggio; tra di loro due esemplari di Juglans californica, il noce della California. Subito dopo l'ingresso, si trova il negozio del vivaio, dove il visitatore può trovare in vendita le piante native e le cultivar sviluppate nel giardino: sono oltre 75, e tra di esse si annoverano numerosi Arctostaphylos, Ceanothus, Fremontodendron, Heuchera. Subito dopo, si passa in mezzo a un prato naturale, Fay's Wildflower Meadows, un tappeto fiorito ricchissimo di specie sempre mutevole nel corso delle stagioni, con il massimo di fulgore tra metà inverno e inizio dell'estate; tra gli altri, ad attirare visitatori, farfalle e colibrì, Eschscholzia californica, Lupinus albifrons e Calochortus clavitus. La visita può proseguire lungo il sentiero facilitato che conduce alla parte bassa o arrampicarsi immediatamente sulla Indian Hill Mesa. Il giardino è infatti diviso in tre settori principali: in basso, l'East Alluvional Garden e le Plant Communities, in alto, con un dislivello di una dozzina di metri, appunto la Indian Hill Mesa, una tipica formazione rocciosa con fianchi scoscesi e cima pianeggiante. L'East Alluvional Garden ospita le piante di vari habitat: le succulente del non lontano deserto di Mojave nel California Desert Garden, le specie costiere nel Costal Dune Garden, la peculiare flora delle isole nel Grafton Channel Island Garden. Di grande impatto la Palm oasis, che riproduce una oasi del Colorado Desert, dominata dall'unica palma nativa, Washingtonia filifera, di cui si possono ammirare esemplari che superano i 20 metri, con le foglie secche lasciate al loro posto, come in natura, a fare da gonnellino e a proteggere dall'arsura. Al limitare di questo settore, si incontra il patriarca del giardino, il Majestic Oak, un esemplare di Quercus agrifolia la cui età stimata è di 250 anni. Su un'area di circa 55 acri si estende il settore più selvaggio del giardino, le Plant Communities, in cui le piante sono lasciate il più possibile allo stato di natura. Qui il momento migliore è l'inverno, dopo che le piogge autunnali hanno risvegliato le piante assopite dai calori estivi. Tra le varie comunità rappresentate, i chaparral della California meridionale e settentrionale, il bosco pedemontano umido, i boschetti di ginepri della California settentrionale nonché comunità specifiche dominate rispettivamente dai pini di Torrey (Pinus torreyana), dai Joshua Trees (Yucca brevifolia), dai ginepri (Juniperus occidentalis). E' un'area ricca di esemplari notevoli, come un altissimo Boojum tree (Fouquieria columnaris), un enorme Big Berry Manzanita (Arctostaphylos glauca), gli spinosi Crucifixion Thorn (Canotia holacantha), le dorate fioriture di Parkinsonia florida e Fremontodendron californicum, le macchie rosa di Chilopsis linearis. La Indian Hill Mesa è il cuore del giardino, di cui ospita anche la direzione, le strutture didattiche e i vivai; vi si trovano un padiglione delle farfalle, il Giardino delle cultivar, un piccolo stagno ombroso dove nuotano le tartarughe, e naturalmente una distesa di arbusti e alberi, tra cui non possono mancare i giganti della California, Sequoia sempervirens e Sequoiadendron giganteum. Possiamo concludere che il sogno di Susanna Bixby Bryant ha dato buoni frutti. Bryantiella, un fiore per il più arido dei deserti Tra i numerosi botanici che lavorano al RSABG come ricercatori, c'è anche J. Mark Porter, attualmente professore associato di botanica all'Università di Claremont, uno specialista di sistematica e botanica evolutiva. I suoi studi più noti riguardano due famiglie ben rappresentate nella flora californiana, le Cactaceae e le Polemoniaceae. Nel 2000, insieme a L.A. Johnson della Brigham University, ha pubblicato un importante studio su quest'ultima famiglia, in cui ha proposto di staccare cinque piccoli generi da Gilia Ruiz. & Pav., uno dei generi più variegati dei deserti americani. Uno ha voluto dedicarlo alla nostra Susanna, denominandolo Bryantiella. Al momento della sua creazione, gli furono assegnate due specie, con un areale disgiunto: Bryantiella palmeri, un endemismo della Baja California, e B. glutinosa, che vive in diversi ambienti aridi del Cile. Poiché più recentemente (2015) quest'ultima è stata trasferita nel genere Dayia, oggi Bryantiella è un genere monotipico, rappresentata dalla sola B. palmeri. E' un'erbacea che può comportarsi come annuale o perenne, in base al regime delle piogge; ha foglie lineari intere o pennatosette, fusticini sottili, fiori solitari a coppa con cinque lobi bianchi o rosa-violaceo. All'apparenza fragile, si è adattata a uno deserti più aridi del Nord America, il San Felipe Desert in Baja California. Un breve profilo nella scheda. Arrivano dalle foreste pluviali dell'Asia e dalle praterie del Mediterraneo Molineria e Molineriella, i due generi dedicati a Ignazio Molineri, giardiniere dell'orto botanico di Torino, appassionato ricercatore di piante che contribuì forse più di ogni altro alla conoscenza della flora piemontese. Gli resero omaggio botanici del calibro di Allioni - che assistette per decenni, prestandogli i suoi occhi acuti -, Balbis e Parlatore. Una dinasty dell'orto botanico di Torino Tra i dedicatari dei nomi botanici, sono relativamente rari gli esponenti di una categoria senza la quale nessun giardino, tanto meno un orto botanico, potrebbe prosperare e addirittura sopravvivere: quella dei giardinieri. Tra le fortunate eccezioni, Ignazio Molineri che a cavallo tra Settecento e Ottocento lavorò all'orto botanico di Torino per un quarantennio, percorrendo tutte le tappe della carriera da apprendista a giardiniere capo. Approfittiamone per conoscere più da vicino lui e i suoi compagni di lavoro in un giardino di fama europea, ma di dimensioni modeste e soprattutto di scarsi mezzi finanziari (ancora nell'Ottocento, i curatori lamentavano che i finanziamenti non erano neppure sufficienti per un adeguato riscaldamento delle serre, per non parlare dell'acquisto di piante esotiche). Intorno al 1730 (l'orto era stato istituito nel 1729) il personale era costituito da Sante Andreoli o Andreola, "giardiniere di botanica o erbolaio", Pietro Cornaglia, aiuto giardiniere e erbolaio in seconda, e due garzoni, Francesco Peyroleri e un altro di cui non conosciamo il nome, cui potevano aggiungersi all'occasione avventizi e lavoratori a giornata. Accanto alle competenze orticole necessarie per dirigere il lavoro di assistenti e garzoni, all'erbolaio era richiesta una perfetta conoscenza pratica e teorica delle piante, soprattutto officinali; tra i suoi compiti infatti rientrava la raccolta in natura di piante, sia per accrescere le collezioni, sia per fornire i semplici destinati allo studio e alla coltivazione; inoltre doveva assistere il professore di botanica e direttore dell'orto supportandolo durante le lezioni di materia medica. Non a caso, Bartolomeo Caccia (1695-1746, il primo direttore dell'orto di Torino), in assenza di personale già formato nella capitale sabauda, fece venire Andreoli dall'orto botanico di Padova; appartenente a una famiglia di giardinieri dell'istituzione patavina, egli era già in età avanzata e quindi Caccia ritenne opportuno affiancargli Pietro Cornaglia, che poi alla morte di Andreoli, di cui non conosciamo con precisione la data, gli succedette come primo erbolaio. Cornaglia accompagnò Donati in diversi viaggi; in particolare nel 1751 fu con lui ad erborizzare in val di Susa, sul Moncenisio, in Moriana, in Tarantasia, sul Gran San Bernardo e in Val d'Aosta. Quanto a Francesco Peyroleri, che intorno al 1750 fu nominato secondo erbolaio, avendo dimostrato un notevole talento per il disegno, la sua attività principale divenne quella di "disegnatore delle piante botaniche". Autore di centinaia di tavole dell'Iconographia taurinensis, d'altra parte Peyroleri partecipò attivamente all'esplorazione botanica del territorio sabaudo, anche per procurarsi le piante vive da ritrarre; ancora nel 1764 (all'epoca si avvicinava ai sessant'anni) lo troviamo come compagno di viaggio di Bellardi tra Val d'Aosta e Savoia (ne ho parlato in questo post). Ma sulla figura del disegnatore, che andava ormai differenziandosi da quella di giardiniere, avremo occasione di tornare in un'altra occasione. E' ora infatti che entri in scena il nostro protagonista. Cornaglia era originario di Montaldo di Mondovì, un paesino di montagna descritto dai contemporaneo come "selvaggio e alpestre"; com'era uso all'epoca, scelse come collaboratori alcuni parenti. Il primo fu un nipote, Paolo Cornaglia, che nel 1759 fu aggregato come giardiniere alla spedizione di Donati in Oriente; purtroppo, come ho raccontato in questo post, non andò più lontano di Venezia, dove giunse già malato e morì. Ben più fortunate furono le vicende dei fratelli Molineri, che di Cornaglia erano cugini. Il primo ad arrivare a Torino dalla nativa Montaldo fu Pietro (nato nel 1736), che percorse una dopo l'altra le tappe ormai istituzionalizzate della carriera di giardiniere dell'orto torinese: nel 1758 fu assunto come garzone straordinario; nel 1761 divenne allievo; nel 1777 aiutante erbolaio; nel 1781 (e fino alla morte, 1800) giardiniere capo o custode. Qualche anno dopo lo raggiunse il fratello minore Ignazio, che nel 1767 risulta in forza come allievo giardiniere. Le opere di Allioni (direttore dal 1763 al 1781) sono prodighe di elogi per i due fratelli, definiti "giovani assai pazienti alle fatiche, dotati di ingegno e di corpo robusto, abili orticultori". Allioni stesso li istruì nel sistema di Linneo e i due divennero naturalisti compiuti. Il contributo di entrambi all'esplorazione del territorio piemontese fu inestimabile, tanto che in Flora pedemontana e in Auctarium ad floram pedemontanam sono citati come raccoglitori quasi ad ogni pagina. La predilezione di Pietro andava all'entomologia e numerosissimi sono gli insetti che fornì ad Allioni (la cui collezione pare si aggirasse sui 4000 esemplari); egli scoprì anche alcune nuove specie che poi furono pubblicate da Fabricius. La passione di Ignazio era invece la botanica; raccoglitore entusiasta, percorse molte contrade del Piemonte, raccogliendo ben 127 specie diverse. Tra le sue scoperte più notevoli, Saxifraga florulenta, la rara sassifraga dell'Argentera. Tra i suoi compiti, anche l'allestimento e la cura degli esemplari essiccati che andarono a costituire il primo nucleo dell'Erbario dell'orto torinese. Quando l'avanzare dell'età e l'affaticamento causato dal continuo uso del microscopio danneggiarono la vista di Allioni, fu Ignazio - di cui ancora una volta il professore loda la perizia e la diligenza nella raccolta e nello studio delle piante - a prestargli i suoi occhi, consentendogli di completare le sue opere. Non ultimo merito di Ignazio fu aver preservato le raccolte stesse dell'orto negli anni di trascuratezza dovuti alla malattia di Dana e alla guerra. Nel 1801, morto il fratello, gli succedette come giardiniere capo iniziando una fervida collaborazione con il nuovo direttore, Giovanni Battista Balbis. Fu anzi proprio lui, con il suo entusiasmo, il suo aiuto e il suo sostegno a incoraggiare Balbis - desolato di fronte allo spettacolo di tanta rovina - a intraprendere l'impresa di fare rivivere e restituire ai passati fasti l'orto torinese. Benché fosse ormai sulla sessantina, lo accompagnò anche in diverse escursioni tutt'altro che agevoli sulle montagne piemontesi; Balbis volle preservarne la memoria dedicandogli Poa molinerii e Iberis molinerii. Nel suo catalogo dell'orto (1810) ne scrisse una lode che è anche il più ampio ritratto del valente giardiniere. Oltre a riconoscere apertamente che, senza di lui e il suo paziente lavoro di raccoglitore, non ci sarebbero state né le opere di Allioni né le sue, ricorda come questo autodidatta, nato in un villaggio di montagna, oltre ad essere un botanico di eccezionale valore, dominasse il francese e il latino; avesse imparato del greco almeno quanto era necessario per comprendere l'etimologia dei termini botanici; padroneggiasse la geografia, tanto importante per la raccolta delle piante legate a determinati habitat; avesse voluto completare le sue conoscenze con lo studio di geometria e astronomia. In tanta stima lo aveva Balbis che lo propose come membro della Commissione di scienze ed arti incaricata di stendere un progetto generale di istruzione pubblica. Nel 1802, quando venne creata la scuola di veterinaria presso il Valentino, la commissione esecutiva lo nominò dimostratore delle piante, ovvero insegnante di botanica. Morì in tarda età circondato dalla stima generale nel 1818. Una sintesi di questa vita contemporaneamente semplice ed eccezionale nella sezione biografie. Molineria, foglie dal fascino tropicale Qualche anno dopo la sua morte, nel 1826, un nuovo omaggio giunse da Colla. Nel suo giardino di Rivoli egli coltivava Curculigo sumatrana, un'erbacea orientale procuratagli da un corrispondente. Poiché non gli risultava che nessuno l'avesse pubblicata fino a quello momento e le sue caratteristiche differivano a suo parere da quelle delle altre Curculigo, egli ritenne appartenesse a un nuovo genere, che dedicò a Molineri "già custode dell'Orto botanico, i cui grandi meriti per la botanica patria sono attestati dalla celeberrima Flora pedemontana di Allioni e dalle aggiunte dell'insigne Balbis". Anche se Colla si sbagliava (Curculigo sumatrana Roxb. continua a chiamarsi così), il genere fu adottato da botanici successivi ed è tuttora valido. Appartenente alla famiglia Hypoxidaceae, comprende sette specie di monocotiledoni erbacee native del subcontinente indiano, della Cina, del Sud est asiatico e dell'Oceania, con centro di diversità in India dove sono presenti tutte le specie. Sono piante rizomatose con grandi foglie che ricordano quelle dell'Aspidistra e fiori a stella assai decorativi, ma poco visibili perché crescono raso terra e sono nascosti dal fogliame. La specie più diffusa e nota è M. capitulata, detta in inglese palm grass per le grandi foglie lanceolate (lunghe anche un metro), fibrose e con marcate venature parallele, che possono ricordare quelle di una giovane palma; originaria del sottobosco delle foreste umide di gran parte dell'Asia orientale e della Nuova Guinea, è stata introdotta in altri paesi tropicali, dove si è dimostrata fin troppo volenterosa. Nei giardini a clima mite può essere utilizzata come notevole tappezzante per la capacità di colonizzare rapidamente il terreno. Nei paesi d'origine, le foglie vengono utilizzate per creare cesti e altri manufatti. Qualche informazione in più nella scheda. La minuscola Molineriella Nel 1850, anche Parlatore si ricordò di Molineri, creando un secondo genere Molineria per M. minuta, una minuscola Poacaea. La motivazione è davvero interessante: "Ho voluto con questo ricordar nella scienza il nome d'Ignazio Molineri, già custode del R. Giardino botanico di Torino, il quale arricchì di numerose scoperte la flora italiana con i suoi frequenti viaggi nelle Alpi e nella Liguria. Ho prescelto una pianta piccola con l'epiteto minuta per indicare l'acutezza del suo occhio osservatore, a cui nulla sfuggiva per quanto piccolo e minuto". Poiché nel frattempo la denominazione di Colla, benché applicata ad altre specie, si era affermata, quella proposta da Parlatore risultava illegittima. Ma a risolvere la questione a favore del nostro bravissimo giardiniere-botanico dalla vista acuta fu il francese Georges Rouy che nel 1913 ne mutò la denominazione in Molineriella. Questo genere della famiglia Poaceae comprende tre specie di erbe annuali dell'area mediterranea, con centro di diversità in Spagna dove sono presenti tutte. Nel nostro paese cresce la sola M. minuta, nota con il nome volgare di "nebbia di Molineri" per le aeree infiorescenze, un'erba che raramente supera i 20 cm, presente in tutte le regioni del centro e del sud, dove cresce negli incolti e nei prati di annuali. Qualche approfondimento nella scheda. Sono arrivate sui banconi dei fiorai da meno di trent'anni e hanno conosciuto un successo travolgente, tanto da incominciare a minacciare la popolarità delle loro cugine maggiori, le petunie. Sono le Calibrachoae, lanciate sul mercato all'inizio degli anni '90 da una ditta giapponese come minipetunie, e oggi vendute in milioni di esemplari in una gamma di colori e forme sempre più ampia, tanto che il National Garden Bureau statunitense le ha proclamate piante dell'anno 2018. Sul finire del Novecento, dopo essere state assegnate per un secolo e mezzo al genere Petunia, hanno anche ritrovato la loro identità e il loro nome, un omaggio al farmacista ispano-messicano Antonio de la Cal y Bracho, uno dei protagonisti del "trapianto" della botanica moderna nel neonato Messico indipendente e fondatore del secondo orto botanico del paese. Una botanica alla ricerca dell'indipendenza L'opera del botanico e farmacista Antonio de la Cal y Bracho a Puebla de los Angeles è in perfetta continuità e comunanza di intenti con l'operato di Vicente Cervantes a Città del Messico. Come il più illustre collega, de la Cal era un farmacista spagnolo che si era formato al Real Jardin botanico di Madrid alla scuola di Casimiro Gomez Ortega; come lui, aveva una formazione scientifica che integrava la farmacia, la botanica, la chimica. E come lui si era trasferito in Messico, dove avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni, divenendo un membro di rilievo della comunità di intellettuali e studiosi che vi rinnovò lo studio della botanica e lo status delle professioni di cura, trasferendo nel viceregno gli insegnamenti di Linneo e Lavoisier e dando impulso alla nascita di una scuola botanica indigena (e spesso orgogliosamente indigenista). Non sappiamo quando fosse giunto in Messico, forse nel 1789, insieme al nuovo viceré, il filo illuminista Revillagigedo, e al suo futuro protettore, il canonico Ignacio Domeneq. Il primo dato certo ci porta al 1793, anno in cui il suo nome - con la qualifica di farmacista - compare tra i medici, farmacisti e chirurghi che assistettero alle dimostrazioni finali del corso di botanica di Cervantes, dove intervenne con alcuni quesiti; all'epoca prestava servizio come farmacista presso l'Hospital General de San Andrés di cui Cervantes era capo farmacista (Boticario Major). A Puebla arrivò nel 1795, per volontà di Domeneq, canonico prebendario della cattedrale di Puebla e commissario dell'Ospedale di San Pedro, che istituì per lui il posto di Boticario Major di quel nosocomio. Dopo i due ospedali della capitale, l'Hospital General de San Andrés e l'Hospital de San José de los Naturales, era il più importante del paese, anche per la sua posizione geografica che attirava i malati da tutto il Centro America. In stretto contatto con gli orti botanici di Madrid (cui inviava semi, tanto da essere riconosciuto nel 1796 come membro corrispondente) e Città del Messico, con cui scambiava piante e conoscenze scientifiche, de la Cal si impegnò attivamente per trasferire a Puebla le linee di rinnovamento scientifico già imposte da Sessé e Cervantes nella capitale. Come capo farmacista, curò la preparazione botanica del personale della farmacia dell'ospedale e assisté i medici nella sperimentazione clinica degli effetti delle risorse naturali autoctone (analogamente a quanto andava facendo Cervantes nei due ospedali della capitale). La posta in gioco era scientifica, economica e più tardi anche politica, tanto che con l'indipendenza del paese sarebbe stato imposto ufficialmente di sostituire i semplici e i preparati tradizionali, per lo più importati dalla Spagna o da oltremare, con medicamenti messicani. A tal fine, del la Cal elaborò una "Lista di piante e dei loro sostituti per l'uso dell'ospedale", che è considerato il primo nucleo del suo Ensayo para la Materia Medica Mexicana ("Saggio per una Materia medica messicana"). A Puebla de la Cal fu anche tra i protagonisti del movimento che mirava a sganciare la professione di farmacista dal controllo dal Tribunale del Protomedicato, l'organismo che in Spagna come nelle colonie vigilava su tutte le professioni sanitarie. Tra il 1803 e il 1810, i farmacisti di Puebla denunciarono la corruzione dell'ispettore delle farmacie designato dal Tribunale, chiedendo che il controllo sulle farmacie e sui loro prodotti fosse affidato a periti debitamente formati; a tal fine avrebbe dovuto essere istituito un fondo, parte destinato al pagamento dei periti, parte all'istituzione di un giardino botanico, affiancato da una cattedra di botanica dove professionisti e giovani praticanti fossero istruiti nella preparazione dei medicamenti. Di fronte alla sordità del Tribunale, nel 1807, de la Cal e alcuni colleghi passarono all'azione, aprendo una pubblica sottoscrizione per l'acquisto di un terreno adatto; il documento presentato ai patrocinatori è quasi un manifesto in cui si esalta l'importanza della botanica per il progresso, si sottolineano i rischi per la salute pubblica di medicamenti preparati da "indii erboristi" e da farmacisti incapaci di distinguere una specie dall'altra, si insiste sui risvolti anche economici dello studio della botanica (consigliando ad esempio l'introduzione nel paese di piante tessili come la canapa, di cui al tempo vi era grande richiesta per la fabbricazione di corde e vele navali), si propugna infine l'urgenza dello studio della chimica, secondo il metodo di Lavoisier. Come primi sottoscrittori de la Cal e un altro farmacista illuminato della città, Rodriguez de Alconedo, nel 1808 versarono 2500 pesos per l'acquisto di un terreno nei pressi del convento di Santa Rosa; i farmacisti poi nominarono patroni del progetto le due massime autorità religiose e civili: Manuel Ignacio del Campillo, vescovo di Angelopolis, e il conte de la Cadena, intendente di Puebla, che contribuì con mille pesos. La realizzazione del giardino fu diretta dallo stesso de la Cal, sulla base di un progetto disegnato da Luis Martin, un tecnico raccomandato da Cervantes. Tuttavia, proprio quando erano da poco iniziati i lavori, giunse la notizia dell'imprigionamento del re Ferdinando VII da parte di Napoleone; in questa difficile situazione politica, cessarono le sottoscrizioni e dal 1811 la realizzazione del giardino venne sospesa, tanto più che nel paese era scoppiata la guerra di Indipendenza e lo stesso conte de la Cadena era morto in battaglia, combattendo contro i ribelli. Soltanto nel 1824, a tre anni dalla proclamazione dell'Indipendenza del Messico, i lavori ripresero. Quell'anno venne fondata l'Accademia medico-chirurgica dello stato di Puebla de los Angeles, una nuova corporazione che univa i due gruppi di professionisti; tra i suoi intenti la creazione di una farmacopea indigena e la valorizzazione del contributo delle "scienze ausiliarie" alla medicina (botanica, farmacia, chimica, fisica). Il giardino passò sotto la giurisdizione del nuovo organismo, che nominò tra i responsabili della gestione Antonio de la Cal e suo genero, Manuel Garzòn. L'anno successivo l'Accademia, su suggerimento di de la Cal, finanziò la pubblicazione delle Tablas botanicas, un agile strumento di divulgazione della botanica linneana redatto da Julian Cervantes, figlio del cattedratico di Città del Messico. La stampa, finanziata con una pubblica sottoscrizione, si inquadrava nel progetto, ancora una volta suggerito dall'intraprendente farmacista, di istituire presso l'orto botanico una cattedra di botanica, con lezioni tre volte alla settimana, secondo il modello dei corsi di Cervantes nella capitale. Inoltre, nel giardino de la Cal impiantò coltivazioni sperimentali di piante da reddito, in particolare la canapa, alla quale dedicò un opuscolo. Nel 1828 il giardino passò sotto la giurisdizione del governo messicano, che previde anche forme di finanziamento; nel 1831, sempre per opera di de la Cal, fu dotato di un regolamento; ma nel 1838, nella situazione politica sempre più confusa del paese, cessò di esistere. Era sopravvissuto solo cinque anni a colui che l'aveva voluto con tutte le sue forze e aveva fatto di quel giardino la sua ragione di vita. Antonio de la Cal y Bracho era infatti morto nel 1833; ma l'anno prima era riuscito a dare alle stampe la sua opera più importante, Ensayo para la Materia Medica Mexicana. Con quest'opera, il farmacista pueblano si proponeva di integrare l'Ensayo a la Materia medica vegetal di Cervantes (suo costante punto di riferimento, insieme ai contributi dei suoi allievi José Mariano Mociño e Luis Montaña), approfondendo lo studio delle piante medicinali offerte dal fertile suolo messicano che, ne era convinto, avrebbero potuto sostituire del tutto quelle importate, con detrimento dell'economia nazionale e anche della salute pubblica, poiché "quelle che ci portano gli stranieri spesso ci arrivano prive di efficacia per la cattiva conservazione, e molte anche adulterate; mentre sarebbe facile, raccogliendole nel paese, averle più fresche e a prezzi più convenienti". L'opuscolo, di circa cento pagine, è una lista alfabetica di 116 piante, ordinate in base al nome latino (seguito da quello spagnolo e talvolta indigeno), integrata da una brevissima sezione sui semplici ricavati da animali e minerali. Pubblicato dall'Accademia medica di Puebla, ha come primi destinatari proprio i medici dell'Accademia stessa, che sono invitati a testare l'efficacia dei semplici elencati, integrando e perfezionando la lista. In questo modo, de la Cal congiunge la valorizzazione dei saperi tradizionali indigeni (puntando il suo interesse verso le piante cui da secoli le comunità locali riconoscono efficacia terapeutica) e il metodo della ricerca sperimentale di matrice colta e europea. D'altra parte, l'opera semplice e agile si rivolgeva anche ai non specialisti, con il proposito di offrire alle persone che vivevano in zone prive di assistenza medica un prontuario di preparati basati su piante facilmente reperibili, con l'indicazione delle dosi opportune per le più comuni affezioni. Una breve sintesi della vita di Antonio de la Cal y Bracho (sulla cui vita personale ho però trovato ben poco) come sempre nella sezione biografie. Petunia? No, Calibrachoa! La stima tra Cervantes e de la Cal era reciproca. Se il farmacista pueblano non manca mai di citare e rendere omaggio a quello che considera il suo maestro, il direttore dell'Orto botanico della capitale ricambiò sia aiutando concretamente l'amico (tra l'altro nel 1805 finananziò l'apertura della sua farmacia privata) sia dedicandogli uno dei tanti generi scoperti dai ricercatori della Real Expedicion Botanica. Come spesso accade per le denominazioni di Cervantes, utilizzate nei suoi corsi di botanica e preservate dagli appunti dei suoi allievi, ma non pubblicate in testi a stampa, il genere Calibrachoa fu ufficializzato dai due campioni della botanica indigenista, Pablo de la Llave e Juan José Lexarza, che vedevano in Cal y Bracho un precursore della lotta per l'indipendenza (per la sua battaglia contro il Tribunal de Protomedicado) e un padre fondatore della botanica messicana. La denominazione, pubblicata nel 1825 nella seconda parte di Novorum Vegetabilium Descriptiones, non ebbe però fortuna. I maggiori botanici del tempo (a partire da Don) ne assegnarono le specie al genere Petunia, e tale rimase la situazione fin quasi alla fine del Novecento. Tutto iniziò a cambiare negli anni '80 del secolo scorso. Mentre fino ad allora queste Solanaceae dai fiori piuttosto minuti erano passate pressoché inosservate, le loro potenzialità come piante ideali per i nostri balconi furono intuite dalla ditta giapponese Suntory, che in quegli stessi anni stava lavorando agli ibridi di Petunia che di lì a poco avrebbero invaso i mercati con il nome Surfinia. Le Calibrachoae sono originarie delle regioni tropicali del Sud America, in particolare del Brasile, dove vivono soprattutto sulle rocce o sui pendii aridi. Questa capacità di crescere in situazioni in cui il suolo è scarso e asciuga rapidamente, le rendono particolarmente adatte alla coltivazione in vaso, soprattutto in cestini appesi. Inoltre, le specie numerose (circa 28) e la vasta gamma di colori delle corolle le rendono particolarmente interessanti per un programma di ibridazione. Fu così nel 1992 (tre anni dopo il lancio di Surfinia), Suntory lanciò una prima gamma di ibridi di Calibrachoa, per il momento ancora chiamati Millon bells Petunias. Più o meno nello stesso periodo, anche i botanici stavano riconsiderando la posizione della bella addormentata del regno vegetale. Da tempo erano emerse evidenti linee di separazione rispetto al genere Petunia; dava da pensare, in primo luogo, il fatto che questo gruppo di specie non si ibridasse con le altre del genere (che invece tendono a incrociarsi con facilità). La ragione, si scoprì, è molto semplice: il genere Petunia ha 14 cromosomi, il genere Calibrachoa ne ha 18. Si osservarono poi differenze nella corolla (in Petunia durante l'estivazione i lobi sono sovrapposti, imbricati, su entrambi i margini, in Calibrachoa il lobo anteriore copre gli altri quattro), nella struttura cellulare delle foglie, nelle stesse caratteristiche generali (le Calibracoae sono piccole piante arbustive, le Petuniae sono grandi piante erbacee). Insomma, nel 1990, proprio mentre Suntory si preparava a lanciarle sul mercato, il botanico olandese H.J.W. Wijsman ristabilì ufficialmente il genere Calibrachoa, rimasto in soffitta per oltre 160 anni. Oggi, con milioni di piante vendute, e molte gamme che si sono aggiunte alla prima serie Million bells, Calibrachoa è ormai una superstar dei nostri balconi. Nel frattempo si è fatta più grande (le corolle di alcune serie non hanno niente da invidiare quanto a dimensioni a quelle della cara cugina), ha assunto una infinita gamma di sfumature (che copre l'intero arcobaleno, dal bianco al quasi nero passando per il giallo, l'aranciato, il rosso, il rosa, il viola, il blu), si è fatta bicolore, policroma, doppia, arricciata... E per non farci mancare niente, un'altra firma giapponese, la Sakata, ha creato x Petchoa, un ibrido intergenerico (ovviamente sterile) prodotto dell'ingegneria genetica che è riuscita a superare le barriere riproduttive tra i due generi. Prepariamoci all'invasione di SuperCal e Calitunia! Qualche approfondimento, come sempre, nella scheda. Nel 1803, ultima tappa del lungo viaggio sudamericano, Humboldt e Bonpland si trattengono a lungo a Città del Messico. Il barone tedesco è ammirato dalla bellezza, dall'ordine "rinascimentale" della città, dai suoi giardini colmi di alberi da frutto. Ne visita le istituzione scientifiche, tra cui immancabile il neonato orto botanico (Real Jardín Botánico), rimarchevole per organizzazione e ricchezza delle collezioni nonostante lo spazio angusto, non mancando di elogiarne il curatore, il professor Cervantes, che tanto "si distingue per lo zelo per le scienze della natura". Quel giardino botanico, che al momento aveva appena dodici anni di vita, fu il primo del continente americano (escludendo il giardino di John Bartram a Filadelfia, del 1728, più un giardino-vivaio di acclimatazione che un orto botanico, per gli Stati Uniti bisogna attendere il 1821, con la nascita dell'United States Botanic Garden di Washington). Nato come costola e base operativa della Real Expedición Botánica a Nueva España attorno al 1791, organizzato secondo il sistema linneano, ebbe un ruolo importante per far conoscere la flora del paese e rinnovare lo stesso insegnamento della botanica. La sua anima, più che il direttore nominale Martin de Sessé, fu Vicente Cervantes, che lo resse per un quarantennio, anche dopo il distacco dalla Spagna e l'indipendenza del Messico. Grande didatta, che formò più di una generazione di studiosi, nel suo insegnamento unì la botanica alla chimica, campo in cui fu tra i diffusori del pensiero di Lavoisier. A ricordarlo il poco noto genere Cervantesia, che comprende alberi emiparassiti endemici delle foreste andine. Insegnare Linneo e Lavoisier in Messico La creazione di un orto botanico a Città del Messico, con annessa cattedra universitaria, sul modello del Real Jardin Botanico di Madrid, era stata uno degli obiettivi principali della Real Expedición Botánica a Nueva España che, come ho già raccontato in questo post, si proponeva non solo di esplorare e inventariare la flora del viceregno, ma anche di rifondare l'insegnamento della botanica nella colonia, sul modello "illuminista" ormai impostosi nella madrepatria. Per questo compito, il deus ex machina della spedizione, Casimiro Gomez Ortega, direttore dell'orto madrileno e grande organizzatore delle spedizioni scientifiche che segnarono gli anni a cavallo tra i regni di Carlo III e Carlo IV, scelse il più promettente dei suoi allievi, Vicente Cervantes. Anche se Sessé, come capo della spedizione, era nominalmente sia il titolare della cattedra sia il direttore dell'orto, di fatto, essendo egli principalmente impegnato nelle attività di esplorazione e raccolta, queste funzioni furono esercitate da Cervantes. Quest'ultimo, farmacista di formazione, si era perfezionato come botanico all'Orto di Madrid, dove si era segnalato per la profonda conoscenza sia della sistematica vegetale sia della chimica. Meno coinvolto nelle attività di ricerca (che limitò alle aree prossime alla città, mentre i suoi compagni si muovevano in un vastissimo territorio compreso tra il Canada e la Costa Rica), egli rimase a Città del Messico, dove si occupò dei rapporti (tempestosi) con l'ambiente medico-scientifico locale, delle questioni amministrative, dell'insegnamento universitario, dell'organizzazione delle collezioni, della creazione e della cura dell'orto botanico. Fu lui a scontrarsi con l'Università e il Real Tribunal de Protomedicado, ostili all'introduzione dell'insegnamento della botanica nel curriculum dei futuri medici e preoccupati per la loro indipendenza professionale, minacciata ai loro occhi dagli scienziati illuministi catapultati da Madrid; fu lui a ingaggiare una battaglia aperta con l'erudito messicano José Antonio de Alzate, nemico giurato della nomenclatura e del sistema linneano. Fu soprattutto lui a tenere le lezioni di botanica, divenendo ben presto un insegnante rinomato e carismatico. Installata dapprima nel Collegio dei gesuiti, quindi presso la casa privata di Ignacio Castera, primo architetto di Città del Messico, infine trasferita dal 1790 nei giardini del palazzo del viceré, la cattedra di botanica fu solennemente inaugurata il 6 maggio 1788, con una prolusione di Sessé che esaltava il contributo della scienza botanica al progresso; si trattò anche di un evento mondano, seguito da uno spettacolo pirotecnico durante il quale i fuochi disegnarono tre alberi di papaya con fiori femminili e maschili; da questi ultimi, a imitazione del polline, muovevano raggi di luce che andavano a fecondare i fiori femminili. Secondo alcuni testimoni, comparve anche un ritratto di Linneo e il motto linneano Amor urit plantas, "l'amore infiamma le piante". I corsi, la cui frequenza fu resa obbligatoria per i futuri medici, chirurghi e farmacisti, richiamarono anche un pubblico più ampio di curiosi che includeva militari, religiosi, intellettuali, studenti del Seminario Reale di mineralogia e della scuola d'arte San Carlos. Tra i primissimi allievi Mociño e Maldonado, poi cooptati nella spedizione, seguiti da intellettuali impegnati nei campi più vari, come il medico Luis Josė Montaña, il botanico Juan José de Lexarza, il futuro ministro e naturalista dilettante Lucas Alamán, il compositore José María Bustamante. I corsi, che avevano finalità eminentemente pratiche, univano all'insegnamento del sistema linneano esercitazioni di riconoscimento e nozioni di chimica. L'unione tra botanica e chimica fu anzi la principale peculiarità del magisterio di Cervantes, che adottò come libri di testo il Corso elementare di botanica del suo maestro Casimiro Gomez Ortega e la traduzione spagnola del Corso elementare di chimica di Lavoisier. Centrale per Cervantes fu anche l'indagine sulle proprietà mediche delle piante indigene, che avrebbero dovuto sostituire nella pratica farmaceutica le costose e meno efficaci droghe importate dall'Europa o da altri paesi dell'impero spagnolo. D'altronde, per tutta la vita egli affiancò all'insegnamento (che non gli garantiva entrate sufficienti per mantenere sé e la famiglia) anche l'attività di farmacista, prima presso il principale ospedale della città, poi in una rinomatissima bottega privata (che esportava i suoi preparati, come fornitrice ufficiale della corona, fin nelle Filippine). Pubblicò anche diverse opere sulle piante officinali, destinate a medici e farmacisti, tra cui spiccano Discurso sobre las plantas medicinales que crecen en las cercanías de México (1791) e il postumo Ensayo para la materia médica mexicana (1832). Il primo orto botanico scientifico delle Americhe Ma torniamo all'orto botanico, che fu inaugurato nel 1791. Occorse infatti qualche anno per il progetto e per trovare un luogo adatto; dopo qualche ripensamento, grazie all'offerta del Viceré Revillagigedo, sensibile alle istanze illuministe, fu infine ospitato in un angolo dei giardini del palazzo vicereale. Era uno spazio limitato, ma che offriva il vantaggio di trovarsi nel centro di potere del viceregno ; oltre ad essere la base operativa della spedizione, divenne così il punto di ritrovo dei circoli scientifici della capitale, nonché quasi un'attrazione alla moda. Era organizzato secondo il modello dell'orto botanico di Madrid; c'era in primo luogo un'area didattica, dove si coltivavano le piante utilizzate durante il corso accademico, disposte in 24 parcelle secondo il sistema linneano e separate da canaletti di irrigazione. C'era poi uno spazio riservato alle piante officinali e una serra, destinata all'acclimatazione delle piante. Il viceré mise poi a disposizione alcuni locali: un'aula per le lezioni, una stanza per l'erbario, l'abitazione stessa dei cattedratici. Quando Humboldt lo visitò nel 1803, appariva ammirevole per la buona organizzazione e per la ricchezza delle collezioni, che ammontavano a 1500 specie. Il giardino assolse contemporaneamente a più funzioni. La prima era ovviamente quella didattica: ogni corso (che durava da quattro a sei mesi) prevedeva sei ore di insegnamento teorico alla settimana e esercitazioni pratiche, per le quali Cervantes - oltre ad accompagnare gli studenti a erborizzare nei dintorni della capitale - utilizzava le piante raccolte dai suoi compagni di spedizione nei vari angoli del viceregno. Fu così che descrisse per la prima volta e denominò alcune decine di piante prima poco note o sconosciute alla scienza. Il giardino era poi un centro di acclimatazione dove affluivano le piante raccolte nel corso della spedizione, insieme ai disegni, agli esemplari essiccati, agli animali impagliati, ai minerali. Seguendo le direttive molto precise stilate da Casimiro Gomez Ortega nel 1779, i membri della spedizione erano infatti tenuti a inviare piante vive, scelte per le loro potenzialità economiche o il pregio estetico, che dopo essere state coltivate e acclimatate a Città del Messico, sarebbero state avviate al giardino di Madrid, che a sua volta in diversi casi provvide a distribuirle ai principali orti botanici europei. Fu così che il piccolo giardino di Cervantes giocò un ruolo importante nell'introduzione di specie americane in Europa; tra tutte, vorrei ricordare almeno le Dahliae che nel 1789 Cervantes spedì a Cavanilles, direttore dell'orto madrileno, prima tappa di un viaggio che le ha portate in tutti i nostri giardini. Il giardino del palazzo del viceré era poi una vetrina delle ricchezze naturali del viceregno, uno spazio allo stesso tempo naturale e "costruito", pensato anche per il godimento degli abitanti della capitale e per l'ammirazione dei visitatori stranieri, come Humboldt e l'amico Bonpland, cui doveva dimostrare che, quanto a avanzamento della ricerca scientifica, il regno iberico era ormai all'altezza, se non superiore, delle maggiori nazioni europee. Rimasto in Messico quando Sessé e Mociño passarono in Spagna, dal 1803 Cervantes esercitò anche di nome il ruolo di professore di botanica e direttore dell'orto che aveva fino ad allora sostenuto di fatto. Come riconoscimento dei suoi meriti di pioniere della scienza botanica messicana e studioso della flora nazionale, all'atto della proclamazione dell'indipendenza (1821) non solo non fu espluso, come toccò agli spagnoli, ma, mantenne i suoi incarichi fino alla morte avvenuta nel 1829. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tuttavia nei decenni successivi, anche come conseguenza della turbolenta situazione politica del Messico, la cattedra rimase vacante e il giardino fu di fatto abbandonato a se stesso, come testimonia una lettera della signora Calderón de la Barca che lo visitò nell'aprile 1840; benché conservasse alcuni resti del passato splendore nel suo stato d'abbandono era "un malinconico esempio dell'arretramento della scienza in Messico". Dopo un episodico tentativo di rilancio voluto dall'imperatore Massimiliano (1864-1867), bisognò attendere i grandi lavori di ristrutturazione degli spazi aperti del Palazzo nazionale (così fu ribattezzato il Palazzo del Viceré all'atto dell'indipendenza) della fine del secolo scorso per un restauro - anche se su un'estensione alquanto ridotta - di questo giardino tanto importante nella storia del paese. Anzi, dell'intero continente americano, visto che precedette di decenni la fondazione del primo orto botanico scientifico degli Stati Uniti, quello sorto a Washington nel 1821 per decreto del Congresso. Cervantesia, alberi emiparassiti Furono i protagonisti di un'altra delle grandi spedizioni botaniche della Spagna di fine Settecento, Hipolito Ruiz e José Anton Pavón, a dedicare all'allora giovane collega "messicano" una delle innumerevoli piante da loro scoperte nel corso dell'esplorazione del Viceregno di Perù. Il genere Cervantesia, da loro stabilito nel 1794, appartenente alla famiglia Santalaceae, comprende due specie di alberi - C. bicolor e C. tomentosa - native di Colombia, Ecuador e Bolivia. Come tutti i membri di questa famiglia, si tratta di piante semiparassite delle radici o delle parti aree dell'ospite; la specie più nota, C. tomentosa, è un arbusto o albero delle foreste andine, coperto in tutte le sue parti da un denso indumento rossastro, con piccoli fiori verdastri a stella privi di petali e frutti a capsula. Mentre di questa specie sono reperibili alcune fotografie e la descrizione, per C. bicolor non ho trovato nulla al di là del nome e della distribuzione. Rimando comunque alla scheda per una sintesi delle scarse informazioni reperite. Proprio l'anno scorso ha celebrato il suo duecentesimo anniversario l'Orto botanico di Bogor, nei pressi di Giakarta, il più antico del Sud est asiatico e uno dei più importanti per la conservazione, lo studio e la diffusione delle piante tropicali. Nacque infatti ufficialmente il 18 maggio 1817 su suggerimento di Caspar Georg Carl Reinhardt, botanico tedesco naturalizzato olandese. Nel suo breve soggiorno a Giava, Reinhardt proseguì, anche se meno di quanto avrebbe desiderato, le ricerche botaniche iniziate da Horsfield; a celebrarlo i generi Reinwardtia e Reinwardtiodendron. Con un'appendice sull'hortulanus Willem Kent, il genere Kentiopsis, l'(ex) genere Kentia e la viscosità della nomenclatura botanica. Il rilancio dell'impero coloniale olandese Nell'ambito delle complesse trattative diplomatiche che ridisegnano l'Europa postnapoleonica, nell'agosto 1814 l'Olanda e la Gran Bretagna sottoscrivono il Trattato di Londra, con il quale i britannici restituiscono agli olandesi parte del loro impero coloniale: tenuti per sé la Colonia del Capo, Ceylon e gli insediamenti in India e nei Caraibi, ritornano ai Paesi Bassi il Suriname, Giava, Sumatra e le Molucche. Per riprenderne il controllo, con qualche ritardo causato dalle convulsioni dei Cento giorni, nell'ottobre 1815 una piccola flotta parte infine dall'Olanda alla volta dell'Indonesia: agli ordini del governatore van der Capellen, 3000 soldati e un gruppo di funzionari che dovranno costituire il nuovo governo coloniale (durante gli anni rivoluzionari, la Compagnia olandese delle Indie Orientali, che aveva retto le isole per oltre duecento anni, è stata sciolta). A bordo della nave da guerra Admiral Evertsen c'è anche il botanico Caspar Georg Carl Reinhardt, cui con l'altisonante titolo di Direttore dell'Agricoltura, delle Arti e delle Scienze di Giava e delle isole vicine sono affidati tre compiti principali: studiare e valutare le potenzialità economiche delle isole, in vista di uno sfruttamento più razionale; migliorare l'educazione dei funzionari europei e i servizi sanitari offerti da ospedali e farmacie; raccogliere animali, piante e minerali destinati al Cabinetto nazionale di Amsterdam. Ad assisterlo in questo ultimo compito, un piccolo staff formato da due pittori, i fratelli Bik, e da un giardiniere, Willem Kent, che ha già lavorato per Reinwardt quando questi dirigeva l'orto botanico di Harderwijk. Farmacista di formazione, ma anche appassionato di botanica e di coltivazione di piante esotiche, Reinwardt ha infatti insegnato per alcuni anni storia naturale all'Università di Harderwijk e poi ad Amsterdam; sotto Luigi Bonaparte, ha diretto il progetto di creazione di uno zoo reale. Ammiratore di Humboldt, nei suoi studi botanici è particolarmente attento alla correlazione tra flora, clima, natura del suolo. Dopo otto mesi di navigazione, Reinwardt arriva a Giava nell'aprile 1816. Nell'attesa del passaggio di consegne da parte dell'amministrazione britannica, visita piantagioni di caffè, indaco, canna da zucchero nei dintorni di Batavia. Incontra Nikolaus Engelhardt, ex governatore della costa settentrionale di Giava, che gli mostra la sua notevole collezione di oggetti naturali, antichità, disegni, libri e manoscritti (tra i quali forse le note di campo del francese Jean Baptiste Leschenault de la Tour che era stato suo ospite tra il 1803 e il 1806). Entra in contatto con il presidente della Società di Arte e di Scienze di Batavia, che aveva sponsorizzato e pubblicato le ricerche di Horsfield. Incomincia anche a studiare il malese e, assistito da Kent, a raccogliere e descrivere erbe, licheni, alberi e fiori. A giugno, annota nel suo diario che hanno già raccolto 160 esemplari. La nascita del primo orto botanico del Sudest asiatico L'amministrazione olandese si installò ufficialmente ad agosto e anche Reinwardt assunse il suo incarico; i doveri amministrativi (il più pressante era la riorganizzazione delle scuole e della sanità) gli lasciavano poco tempo per gli studi naturalistici. Fu tuttavia in quei mesi che maturò l'idea di fondare un Orto botanico nei pressi del Palazzo del Governatore Generale a Buitenzorg (oggi Bogor). Il clima favorevole, il suolo vulcanico, la disponibilità d'acqua ne facevano il luogo ideale per coltivare piante di interesse economico raccolte in tutto l'arcipelago. Inoltre proprio qui, negli anni in cui governava Giava, Raffles aveva creato un giardino all'inglese. Il governo coloniale accolse la proposta di Reinwardt e mise a disposizione un terreno adatto; venne anche assunto un secondo giardiniere ad affiancare Kent, l'inglese Thomas Hooper, formatosi a Kew e giunto a Giava in circostanze rocambolesche: come assistente di Abel, aveva fatto parte della missione Amherst in Cina. A febbraio, si era ritrovato a Batavia tra i superstiti dell'Alceste, naufragata sugli scogli dell'arcipelago giavanese. Anziché tornare in patria, grazie all'allettante offerta di un salario mensile di 150 guilders, decise di rimanere a lavorare al neonato Orto botanico di Buitenzorg. L'anno successivo, l'équipe scientifica fu completato dall'arrivo a Giava di un altro botanico, il tedesco Carl Ludwig Blume. La costruzione del giardino iniziò nel maggio 1817. Comprendeva diverse aree: aiuole e campi per la coltivazione di piante da reddito, erbacee, fiori e alberi, granai per la conservazione dei raccolti, magazzini per gli attrezzi, stalle per i bufali e i buoi impiegati nei lavori, case per il personale indigeno (nel 1822 impiegava 65 aiutanti). Con il duplice obiettivo di presentare un panorama il più possibile completo della flora dell'Indonesia e di fungere da giardino di acclimatazione per piante tropicali di alto potenziale economico o decorativo, crebbe rapidamente. A cinque anni dalla fondazione, nel 1823, sulla base del catalogo redatto da Blume, vi si coltivavano circa 900 specie di piante, la maggior parte provenienti dalle montagne di Giava e dalle Molucche, ma anche da scambi con altri orti botanici (tra i più assidui, quelli di Calcutta e di Rio de Janeiro). In questo modo, l'orto di Buitenzorg diventò ben presto un nodo di rilievo nella grande rete che intrecciava conoscenza scientifica, sfruttamento coloniale, introduzione di nuove piante. Non a caso, avrebbe giocato un ruolo importante nelle sperimentazioni su varie specie di Cinchona destinate ad assicurare all'Olanda il monopolio della produzione del chinino. Ma torniamo a Reinwardt. La sua passione per le scienze naturali e la stessa attività scientifica devono passare in secondo piano rispetto alle attività amministrative. Riesce a creare una rete di raccoglitori, che coinvolge cacciatori indigeni, marinai e militari, funzionari e residenti olandesi, che gli procurano esemplari dalle diverse isole dell'arcipelago, destinate sia alla sua collezione privata sia al Gabinetto reale, ma deve ridurre a ben poco l'attività sul campo. A parte alcune escursioni minori, partecipa solo a due spedizioni scientifiche di una certa importanza: nel 1818, insieme a Kent e ai Bik, cui si è aggiunto un terzo pittore, Antoine Payen, i residenti generali e altri funzionari, nonché ben 130 portatori, intraprende un ampio tour di Giava; tra la fine del 1821 e il marzo 1822, visita le Molucche e altre isole orientali. Intanto in Olanda, in seguito alla morte di Brugmans, si è resa vacante la cattedra di botanica a Leida. Il re, soddisfatto dei servizi di Reinwardt (anche se molti dei suoi invii di curiosità naturali sono andati perduti nelle vicissitudini dei viaggi), lo nomina "Cavaliere dell'ordine del leone d'Olanda" e approva la sua nomina a successore di Brugmans. Reinwardt, che pensa di non aver concluso i suoi compiti a Giava, tergiversa e riesce a rimanere ancora un anno; poi, convinto anche da problemi di salute, il 15 giugno 1822 lascia Batavia per fare rientro in Olanda. Lo attende ancora una lunga carriera accademica (morirà nel 1854) durante la quale pubblicherà tuttavia soltanto tre brevi monografie sulla flora delle Indie orientali olandesi; la sua collezione di piante indonesiane sarà pubblicata solo dopo la sua morte dal suo successore alla cattedra di Leida, Willem Hendrik de Vriese. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. La romantica storia di Pyoli, ovvero Reinwardtia A Reinwardt non sono mancati gli onori postumi. Nei Paesi Bassi lo ricorda l'Accademia Reinwardt, il dipartimento di museologia e conservazione dei beni culturali della Scuola d'Arte di Amsterdam; in Indonesia, Reinwardtia, la rivista dell'Orto botanico di Bogor, dove qualche anno fa gli è anche stata eretta una stele. Nella nomenclatura scientifica, lo celebrano il nome specifico di diversi animali (il più noto è il trogone di Giava, Apalharpactes reinwardtii), i generi Reinwardtoena (uccelli della famiglia dei colombi), Reinwardia (famiglia Linaceae), Reinwardtiodendron (Meliaceae). Reinwardtia Dumor. fu creato nel 1822 da B.C.J. Dumortier. E' un genere monotipico che comprende un'unica specie, Reinwardtia indica, un piccolo arbusto dai magnifici fiori giallo vivo. Di origine himalayana, fu inizialmente descritta da Roxburgh come Linum tryginum. Nella dedica, Dumortier, che scrive proprio mentre Reinwardt era in viaggio per tornare nei Paesi bassi, ricorda soprattutto le sue attività come divulgatore di piante rare negli anni di Amsterdam e, informato del suo soggiorno di cinque anni a Giava, si limita ad auspicare che pubblichi quanto prima i risultati delle sue ricerche. R. indica è una pianta graziosissima che non passa inosservata. Nota come Pyoli in India, è legata a una romantica leggenda. Pyoli era una fanciulla selvaggia che viveva nella foresta, dove era stata allevata dagli animali; non aveva mai incontrato nessun essere umano prima di imbattersi in un principe che vi si era perduto durante la caccia. Ovviamente i due si innamorarono e il principe persuase Pyoli a seguirla nel suo palazzo; nonostante l'amore, la ragazza cominciò a languire per la nostalgia della foresta. Sul punto di morire, chiese all'amato come ultimo desiderio di essere sepolta tra i suoi amici. Il principe la seppellì dove l'aveva incontrata per la prima volta. Poco dopo, in quel luogo sorse il fiore che porta il suo nome. Estremamente decorativa sia per il fogliame sempreverde sia per i grandi fiori a campana giallo puro (che sbocciano anche d'inverno), è coltivata da secoli nei giardini indiani e cinesi; non rustica può essere coltivata all'aperto nelle regioni dal clima mite oppure in vaso come pianta da serra o appartamento. Altre informazioni nella scheda. Negli anni successivi, altri botanici dedicarono a Reinwardt un genere Reinwardtia: Blume nel 1824, Sprengel nel 1825, Korthals nel 1841; tutti sono illegittimi in base alla regola dell priorità. E' invece entrato stabilmente nella nomenclatura botanica il genere Reinwardtiodendron (letteralmente "albero di Reinwardt") dedicatogli da S.H. Koorders nel 1898, sulla base di Reinwardtiodendron celebicum, raccolto da Reinwardt nell'isola di Celebes durante il suo viaggio alle Molucche, quindi da lui introdotto a Bogor. Reinwardtiodendron, della famiglia Meliaceae, è un piccolo genere che comprende sei/sette specie di alberi e arbusti dioici, per lo più sorretti da radici a contrafforte; hanno piccoli fiori globosi raccolti, quelli maschili, in pannocchie lasche, quelli femminili, in racemi o spighe, seguiti da bacche carnose. Affini ai generi Aglaia e Lansum (da cui tuttavia sono distinti, come hanno confermato anche le indagini genetiche) sono un gruppo di piante poco noto, esclusivo di un'area dell'Asia orientale compresa tra i Ghati a ovest, lo Yunnan a Nord, le Filippine e le isole della Sonda a est, con maggiore centro di diversità nelle Molucche (con cinque-sei specie). La più diffusa e anche più nota è R. humile, che è presente nelle macchie delle foreste subtropicali e tropicali dell'intero areale del genere. Qualche informazione in più nella scheda. Kentia ovvero la viscosità delle denominazioni botaniche Prima di chiudere questo post, torniamo a un personaggio che finora ha avuto solo il ruolo di comparsa: Willem Kent. Come ho già accennato era un giardiniere (hortulanus) che aveva lavorato sotto Reinwardt a Harderwijk, per poi passare a Leida. Lo seguì a Giava e rimase a lavorare all'Hortus di Bogor fino al 1825, quando divenne aiuto ispettore della coltivazione del caffè. Morì a Giava nel 1827. Un cenno biografico nella sezione biografie. Blume, che succedette a Reinwardt come direttore del giardino botanico di Bogor e lo ebbe come collaboratore, nel 1830 gli dedicò un genere di palme (Arecaceae), Kentia. Benché questa denominazione sia illegittima (il nome era già stato usato quasi settant'anni prima di Adanson per un genere di Fabaceae, dedicato a tutt'altra persona), ebbe grande fortuna e rimase in uso per circa un secolo, giungendo ad annoverare più di 50 specie. In realtà si trattava di un genere artificiale, che raccoglieva specie abbastanza diverse ma accomunate dalle grandi foglie pennate e dai fiori dei due sessi disposti a triade. Con il progresso della conoscenza delle palme (le Arecaceae sono una famiglia molto vasta che presenta particolari difficoltà di classificazione) è stato soppresso e le specie che ne facevano parte sono state assegnate a diversi altri generi. Nel frattempo però la denominazione Kentia aveva fatto in tempo sia a entrare indirettamente nella nomenclatura botanica (compare nella seconda parte del nome di almeno cinque generi di palme, per lo più appartenenti alla tribù Areceae, ad esempio Actinokentia o Physokentia), ma soprattutto a incollarsi a una delle palme più coltivate nei nostri appartamenti; anche se nel 1877 il grande botanico italiano Odoardo Beccari lo separò da Kentia, assegnandola al genere Howea, Howea fosteriana continua ad essere coltivata e commercializzata come Kentia o kenzia, per quella stessa viscosità dei nomi botanici che fa sì che si continui a chiamare gerani i Pelargonium o amarillis gli Hyppeastrum. In ogni caso, anche l'oscuro Willem Kent continua ad essere celebrato da un genere valido, sebbene in modo indiretto. Nel 1873 Brongniart denominò Kentiopsis (ovvero "simile a Kentia") un genere di palme endemiche della Nuova Caledonia. Diffuse in aree molto limitate, le sue quattro specie sono piante rare, a rischio di estinzione. Bellissime, leggere e d'aspetto veramente tropicale, sono talvolta coltivate nei giardini dei paesi a clima mite. Un approfondimento nella scheda. Ricorre nell'anno che sta per finire il duecentesimo anniversario della morte di Pál Kitaibel, fondatore della botanica ungherese e precursore di un metodo di indagine interdisciplinare, che collegava le piante al loro ambiente e alla composizione chimica del suolo. Se poté pubblicare, in una veste magnifica, almeno parte delle sue scoperte si deve alla generosità del conte Franz Adam von Waldstein, discendente del sinistro generale Wallenstein e fratello del mecenate di Beethoven, a sua volta botanico dilettante. A ricordare i due botanici altrettanti generi che furono i primi a segnalare: Kitaibelia e Waldsteinia. Kitaiabel, viaggiatore instancabile Nella seconda metà del Settecento, la spettacolare Flora danica (il primo volume esce nel 1761) inaugura la stagione delle grandi flore nazionali illustrate. Nell'impero asburgico, il primo a riprendere quel modello è Jacquin, che tra il 1773 e il 1778 pubblica i cinque volumi delle Florae austricae: come nel progetto danese, ogni volume comprende un fascicolo di descrizioni in latino e un tomo di illustrazioni a colori di tutte le piante, ritratte a dimensione naturale. Nonostante la vastità dell'impresa (500 piante e altrettante tavole, volutamente tralasciando quelle già pubblicate in Flora danica), Jacquin si limitò alla flora austriaca, lasciando da parte altre regioni del grande e multietnico impero asburgico. A rimanere fuori, in particolare, fu l'Ungheria, un territorio non solo molto vasto, ma anche geograficamente variegato, quindi ricco di piante, molte delle quali all'epoca erano ancora poco conosciute o ignote. A colmare questa lacuna fu un magiaro. Esplorare la flora della sua patria e portarne alla luce i tesori fu il compito che assegnò a se stesso il botanico ungherese Pàl Kitaibel. Figlio di un ricco contadino, Kitaibel aveva studiato medicina e scienze naturali, divenendo uno scienziato completo, i cui studi spaziano dall'idrologia, alla sismologia, alla chimica (come chimico, fu uno degli scopritori di un nuovo elemento, il tellurio). Al centro dei suoi interessi stava però la botanica, che studiò in modo innovativo proprio grazie alle sue poliedriche competenze; in particolare fu attento alla correlazione tra le caratteristiche chimiche e geologiche del territorio e la flora; insomma, un approccio ecologico ante litteram. Il suo maestro, l'austriaco Joseph Jacob Winterl (1739-1809), fu il precursore della botanica ungherese: in mezzo a mille vicissitudini, nel 1770-71 fondò il primo orto botanico del paese, destinato agli studenti di medicina dell'Università di Nagyszombat (oggi Trnava in Slovacchia), che cambiò più volte sede, seguendo gli spostamenti della facoltà di medicina: prima a Nagyszombat, quindi a Buda, infine a Pest, proprio nel 1784, l'anno in cui Winterl nominò assistente di chimica e botanica il ventiquattrenne Kitaibel. Allo scopo di arricchire le collezioni dell'appena trasferito orto botanico, che, grazie a un finanziamento di Giuseppe II, era stato dotato anche di una serra e di una vasca per le piante acquatiche, Kitaibel iniziò i primi viaggi, brevi escursioni nei dintorni di Pest e Buda, che esplorò a fondo negli anni '80. Fu probabilmente l'incontro con il secondo protagonista della nostra storia, il conte Franz da Paula Adam von Waldstein-Wartenberg, a fargli concepire l'idea di spedizioni più ampie e ambiziose. A quanto parte, i due si conobbero intorno al 1789. Il nobiluomo, figlio cadetto di una delle più nobili e ricche famiglie dell'Impero asburgico, cavaliere di Malta e militare di carriera, fin da giovane era appassionato di botanica. Con i mezzi finanziari messi a disposizione da Waldstein, fu ora possibile a Kitaibel ampliare il suo raggio d'azione, iniziando un'esplorazione sistematica della natura dell'Ungheria storica (che comprendeva anche la Croazia); tra il 1792 e il 1811, farà 16 spedizioni, percorrendo qualcosa come 20.000 km, muovendosi soprattutto con un carro, ma anche a cavallo o a piedi. A cinque di quei viaggi parteciperà anche Waldstein, accompagnato dal pittore Johann Schutz, che per qualche anno fu ospitato nell'orto botanico di Pest. Tra il 1792 e il 1811, Kitaibel, da solo o insieme a Waldstein, fece un viaggio quasi ogni anno. La mappa di quelle spedizioni assomiglia a una ragnatela che partendo da Pest, si irraggia a coprire tutto il paese; ma toccò anche la Transilvania (ora in Romania), la Croazia (dove fu nel 1792 e più estesamente nel 1802), la Slovenia (1794 e 1808), il Triveneto (1794). Nel 1806, mentre esplorava l'area del lago Ferto, il botanico si ammalò gravemente. Recuperò solo in parte, tanto che dal 1809 fece solo brevi viaggi, anche perché impegnato nel trasferimento dell'orto botanico, che nel 1808 venne spostato in una nuova sede. Da parte sua anche Waldstein, sempre più coinvolto in compiti militari e nella gestione dei beni familiari, dovette via via lasciare da parte la passione per la botanica. Qualche approfondimento sulla vita di Kitaibel e Waldstein nella sezione biografie. Nei suoi puntigliosi diari di viaggio, Kitaibel prese nota non solo della flora e, in misura minore, della fauna, ma anche delle caratteristiche pedologiche del terreno, della geologia (raccolse campioni di minerali, per quanto ne poteva trasportare il suo carro), delle acque (visitò molte fonti idrotermali), degli usi e delle pratiche agricole degli abitanti. Oggi, quando le terre della grande pianura ungherese sono ormai state trasformate in gran parte in terreni agricoli, le sue note di campo sono un documento preziosissimo per ricostruire le caratteristiche ecologiche della regione. Una magnifica collezione di piante rare Coprendo una zona così vasta fin ad allora scarsamente conosciuta, i viaggi di Kitaibel e Waldstein fruttarono la scoperta di molte specie prima di allora mai descritte; grazie ai mezzi finanziari del conte, nacque l'idea di pubblicarle in un'opera allo stesso tempo scientificamente accurata e esteticamente raffinata, sul modello delle Florae austriacae di Jacquin. Ma prima di affrontare quel compito, nel 1798 gli amici si recarono a Berlino, a sottoporre il loro progetto, per una validazione scientifica, al celebre botanico Willdenow. Non solo quest'ultimo approvò, ma volle sigillare la sua stima per i due esploratori della flora ungherese battezzando in loro onore due dei nuovi generi da loro scoperti: Waldsteinia e Kitaibelia. L'opera incominciò a uscire nel 1799, secondo la formula dei fascicoli a sottoscrizione: ogni fascicolo comprendeva 10 tavole, accompagnate da un fascioletto con le descrizioni in latino. I testi erano di Kitaibel (oltre che finanziariamente, Waldstein contribuì presumibilmente anche alle identificazioni), i disegni di Johann Schutz (che probabilmente dipinse anche le tavole a colori), le incisioni di suo padre Karl. Dieci fascicoli andavano poi a formare un volume. Il primo, completato nel 1800, illustra con 100 tavole a colori dipinte a mano altrettante piante native della Grande pianura ungherese, delle catene montuoso ungheresi, del Banato e del Máramaros, precedute da un'introduzione sulla storia naturale dell'Ungheria. Il secondo volume, completato nel 1805, con un'introduzione sulla storia naturale della Croazia, comprende anch'esso cento piante e altrettante illustrazioni. Il terzo volume uscì infine nel 1812 e comprende solo 80 tavole; molto materiale rimase fuori dall'opera, per le sopraggiunte difficoltà dovute alle guerre napoleoniche. Era previsto un quarto volume, che non venne mai predisposto. Il grande merito dell'opera di Waldstein e Kitaibel (così vollero firmarla nel frontespizio, anche se come si è visto a scrivere i testi fu solo il secondo), oltre che nell'aver fatto conoscere un'area fino ad allora poco esplorata, sta sia nelle descrizioni, molto più dettagliate di quanto si usasse all'epoca, sia nelle precisissime illustrazioni. Come si è detto, solo una parte delle piante che essi scoprirono furono incluse nel lavoro a stampa; molte furono conosciute e pubblicate da altri botanici grazie all'abitudine di Kitaibel di includere nelle liste di semi che inviava per gli scambi accurate descrizioni delle nuove specie, talvolta accompagnate da una calcografia. A Kitaibel e Waldstein si deve la scoperta di tre generi (oltre a Kitaibelia e Waldsteinia, Sternbergia) e di circa 300 specie. Alcune li ricordano nel nome specifico: sono almeno una dozzina quelle che si fregiano del nome kitaibelii o kitaibelianus (ricordiamo almeno due splendidi endemismi delle montagne croate, Aquilegia kitaibelii e Primula kitaibeliana); Waldstein non è da meno con piante come Silene waldsteinii e Campanula waldesteiniana. A ricordare Kitaibel è anche un raro rettile, il piccolo scinco Ablepharus kitaibelii. Uno sguardo ai generi Kitaibelia e Waldsteinia Come si è visto, i generi Kitaibelia e Waldsteinia vennero creati nel 1799 da Willdenow (nella Quarta edizione della linneana Species Plantarum, da lui curata). Esemplari della futura Kitaibelia furono raccolti da Kitaibel in varie località della Slavonia croata nel suo viaggio del 1795. Oggi denominata K. vitifolia, è una delle due specie di questo piccolo genere della famiglia Malvaceae; è una grande erbacea perenne, con decorative foglie palmate e fiori a coppa bianchi o rosati, originaria della Croazia sud orientale, della Voivodina e della Macedonia settentrionale. L'altra specie, K. balansae, presente in poche stazioni dalla Cilicia turca a Israele, è una pianta rupicola, sempre alta ma di dimensioni più contenute, con foglie tomentose e fiori rosa intenso. Il genere ha dunque una curiosa distribuzione disgiunta. Qualche notizia in più nella scheda. Fu raccolta invece in Ungheria la pianta che sarebbe stata denominata Waldsteinia geoides. Il genere Waldsteinia, della famiglia Rosaceae, comprende 5 specie di tappezzanti diffuse nei boschi dell'emisfero settentrionale, molto simili tra loro: hanno foglie lobate semipersistenti e fiori gialli, simili a quelli dell'affine genere Geum: W. geoides è originaria delle foreste montane dell'Europa centro-orientale; W. fragarioides è nativa degli Stati Uniti orientali, dal Minnesota alla Pennsylvania; W. idahoensis è un endemismo delle foreste umide dell'Idaho; W. lobata è originaria delle foreste pedemontane umide degli Stati Uniti sud orientali (North e South Carolina, Georgia); W. ternata, la specie più nota e coltivata nei giardini, è presente in due aree disgiunte, e separate tra loro da 5000 km: le popolazioni europee vivono nell'Europa centrale, orientale e in Russia; le popolazione asiatiche sono presenti nella Siberia orientale, a Sakhalin, in Giappone e nella regione cinese di Changbai Shan. Tutte sono piante attraenti, poco esigenti, e adatte come tappezzanti per situazioni semi ombrose. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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