Questa storia inizia come una fiaba. C'è un bambino nato in orto botanico creato dalla mente e dal cuore di un vecchio zio; c'è un giovanotto che si impegna per risollevare l'orto della sua infanzia dalle ingiurie degli uomini e della storia; c'è un uomo maturo che con sagacia e intelligenza trova i collaboratori giusti per trasformare quel giardino nell'istituzione scientifica più importante del mondo; c'è un vecchio che, ormai ritiratosi dalle glorie e dagli affanni del mondo, nel suo giardino chiude gli occhi in pace. Quel bambino, quel giovanotto, quell'uomo, quel vecchio, sono la stessa persona: Guy-Crescent Fagon, il medico del Re Sole, il vero fondatore della reputazione scientifica del Jardin des Plantes di Parigi. Il giardino del destino Nel 1637, le frenetiche attività di Guy de la Brosse per allestire il tanto sospirato Jardin royal des plantes médicinales di Parigi, sono momentaneamente interrotte da una lieta circostanza: il matrimonio di sua nipote Louise con Henri Fagon, commissario ordinario della guerra. Un anno dopo, proprio nell'appartamento assegnato all'intendente, alla coppia nasce un bambino, il piccolo Guy-Crescent (il nome è un omaggio allo zio Guy, suo padrino). Il padre è spesso lontano per le incombenze del suo ufficio, così il bambino cresce nel Jardin e secondo Fontenelle (che di Fagon, molti anni dopo, scriverà l'elogio funebre) "i primi oggetti che vide furono le piante, le prime parole che balbettò furono nomi di piante; la lingua della botanica fu la sua lingua materna". Ma, come sappiamo dai tempi di Adamo ed Eva, dai giardini dell'Eden si viene sempre cacciati; quando Guy-Crescent ha solo quattro anni, il prozio muore e per il giardino inizia il periodo delle dispute legali e della trascuratezza (se ne è parlato in questo post). Quanto a Guy-Crescent, ha un solo sogno: diventare medico e studiare botanica, in modo da poter tornare nel suo giardino per farlo rivivere. Anche se rimane presto orfano di padre, si impegna con tenacia per riuscirci. E' uno studente brillante e dalle idee innovative che nel 1664 si laurea all'Università di Parigi con una tesi audace in cui sostiene le idee di Harvey sulla circolazione del sangue. Ha una solida reputazione sia come medico sia come botanico. E' dunque a lui che pensa Antoine Vallot, nuovo primo medico del re e sovrintendente del Jardin, per ripopolare le aiuole del giardino svuotate da tanti anni di abbandono. Facciamo un passo indietro: nel 1652, Antoine Vallot, medico della regina madre Anna d'Austria, succede come primo medico del re (l'adolescente Luigi XIV) a François Vautier; tra le incombenze della sua carica, gli spetta di diritto - ormai risolte le questioni legali con Bouvard - la sovrintendenza del Jardin. Trova una situazione desolante, nonostante lo zelo del dimostatore Vespasien Robin. Nel 1663, alla morte di questi, nomina a succedergli un altro valido botanico, Denis Joncquet, e lo invia a Montpellier a incontrare Pierre Magnol per chiedergli lumi su come ristrutturare l'orto parigino. Joncquet è entusiasta sia dei consigli ricevuti da Magnol sia della lussureggiante natura del Sud, che potrà offrire molti esemplari per ripopolare il giardino. E qui torna in scena il nostro Fagon. Su richiesta di Vallot, Fagon parte per la Linguadoca. Va a Montepellier, dove conosce Magnol (i due sono coetanei, come del resto lo è il re Sole, essendo tutti e tre nati nel 1638) e stringe con lui una fervida amicizia. E poi - a sue spese, anche se non è ricco - incomincia a esplorare la Provenza, l'Alvernia, le Alpi e i Pirenei, dove raccoglie un ricchissimo bottino di piante; è una raccolta storicamente importantissima, perché getta le basi di quello che sarà il glorioso Herbier national, il grande erbario nazionale francese ancora oggi custodito nel Museo di storia naturale di Parigi. Altre piante arriveranno nei mesi e negli anni successivi tramite una rete di viaggiatori e raccoglitori che Fagon contribuisce a creare, anche grazie ai contatti di Magnol. Il giardino rinasce ed è ora di presentare i risultati al re. Vallot chiede a Jonquet di scriverne il catalogo, che uscirà nel 1665 con il titolo Hortus Regius, in cui si descrivono circa 4000 piante. La maggior parte di quelle descrizioni sono redatte da Fagon, che all'epoca è dimostratore supplente di chimica. Nel 1670 diventa anche sottodimostratore di botanica (colui a cui era affidato l'insegnamento pratico della botanica "dimostrando" le piante vive e essiccate agli studenti); l'anno successivo, alla morte di Joncquet, diventa dimostratore, ovvero professore titolare della cattedra di botanica, cui nel 1672 aggiunge la cattedra di chimica. Il suo insegnamento, con aperture a tutto campo anche alla zoologia e alla mineralogia, attira un vasto pubblico, gettando le basi per la reputazione scientifica dell'istituzione parigina. Nonostante l'aspetto fisico assai infelice - un volto grottesco, gobbo, magrissimo - è un abilissimo oratore, oltre che uno studioso preparato e aperto alle novità. Un grande sovrintendente per il giardino del Re Sole Intanto prosegue la sua carriera come medico. Tra il 1666 e il 1667 esercita all'Hotel-Dieu, dal 1668 diventa uno dei medici della corte, occupando posti sempre più prestigiosi (è medico della delfina, poi della regina e degli Enfants de France, ovvero i numerosi figli naturali del re). Ma per prendere il bastone del comando nel Jardin des Plantes deve diventare primo medico. A dire la verità, alla morte di Vallot (1671), Colbert, che ne giudicava la gestione fiacca e trascurata, aveva sottratto la sovrintendenza del Jardin des plantes all'archiatra Antoine d'Aquin, legandola alla sovrintendenza degli edifici reali, che amministrava lui stesso come Controllore generale delle finanze: segno dell'importanza economica che ormai si assegnava alla coltivazione delle piante esotiche, medicinali e no. A d'Aquin era rimasto il titolo di intendente, costringendo Fagon a una mal sopportata convivenza (in teoria era il suo capo). Abile come cortigiano non meno che come medico, Guy-Crescent sa usare le armi dell'intrigo; la carta vincente è la protezione di Mme de Maintenon, che lo ha conosciuto e apprezzato quando era ancora la governante dei figli illegittimi del re. Fagon non perde occasione per denunciare l'incompetenza professionale del rivale; molto più tradizionalista di lui, questi rifiuta la radice di Chincona, che invece Fagon sostiene e che il re stesso apprezza, come efficace rimedio contro il paludismo che ha contratto quando combatteva nelle Fiandre. Si aggiunga la insopportabile avidità di d'Aquin, che irrita il re con la sua continua richiesta di prebende per sé e i propri familiari. Auspice la potentissima favorita, nel 1693 il re allontana d'Aquin e nomina Fagon primo medico, assegnandogli anche l'intendenza del Jardin royal; nel 1699 egli otterrà anche il titolo di sovrintendente (anzi, da questo momento cessa la bipartizione tra intendente e sovrintendente: d'ora in avanti il direttore dell'orto botanico di Parigi sarà unico). L'ambizione di Fagon, degna del suo illustre paziente, è una sola: fare del Jardin des plantes l'orto botanico e il centro di studi naturalistici più importante del mondo. Un obiettivo che raggiunge attraverso due mosse vincenti. Da una parte Fagon, che sa delegare, si circonda di brillanti scienziati che confermeranno una volta per tutte il primato del Jardin nel campo degli studi della natura: fa venire da Aix il più importante botanico dell'epoca, Joseph Pitton de Tournefort, suo supplente alla cattedra di botanica e direttore di fatto dell'orto botanico; alla morte di questi, chiamerà da Lione Antoine de Jussieu, capostipite di una dinastia di botanici che dominerà il Jardin des plantes per tutto il Settecento. Dall'altra parte, Fagon promuove grandi spedizioni naturalistiche, soprattutto alla ricerca di piante medicinali (nella sua concezione, la botanica non si era ancora del tutto affrancata dalla medicina): i tre viaggi di Plumier nelle Antille; la sfortunata spedizione di Lippi in Egitto e nel Sudan; la spedizione dello stesso Tournefort in Levante; il viaggio di Feuillée nelle Antille e in Sud America; il viaggio in Spagna dei fratelli Jussieu. Il giardino viene dotato di due serre e la "butte Coypeu" si trasforma in un arboretum, che sarà il celebre labirinto del Jardin des plantes. Nel 1715, alla morte di Luigi XIV, che lo segna profondamente (il suo rapporto con il sovrano andò ben al di là della pura prestazione professionale), si ritira nel piccolo appartamento che spetta al sovrintendente nel Jardin, dove morirà nel 1718, a ottant'anni. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. La discontinua Fagonia Sia Tournefort sia Plumier vollero rendere omaggio al loro protettore e al grande organizzatore della botanica francese dedicandogli un genere: Tournefort Fagonia, sulla base di una pianta da lui raccolta a Creta; Plumier Guidonia, sulla base di diverse specie delle Antille. Oggi quest'ultimo non esiste più: soppresso da Linneo e recuperato da Philip Miller (che volle dedicarlo insieme ai due Guidi: Guy de la Brosse e Guy Crescent Fagon), fin dall'Ottocento è stato suddiviso tra vari generi della famiglia Salicaceae. Ma prima di tornare a Fagonia, ben vivo e ufficializzato da Linneo nel 1753 in Species plantarum, un cenno ad altri due generi obsoleti, che in passato hanno celebrato altrettante comparse di questa storia, Denis Joncquet e Antoine Vallot. A Denis Joncquet, interessante botanico che tra l'altro creò un proprio giardino privato, ricchissimo di piante, che metteva a libera disposizione degli studenti della facoltà di medicina, nel 1789 il tedesco von Schreber dedicò Joncquetia (sinonimo di Tapirira, famiglia Anacardiaceae). A Vallot toccò invece la sudafricana Vallota, dedicatagli da Salisbury nel 1821. Anche questo genere non è più valido, anche se molti ancora conoscono con il nome di Vallota speciosa la bellissima Amaryllidacea che oggi porta la più infelice etichetta di Cyrthantus elatus. Ma è ora di parlare di Fagonia (famiglia Zygophyllaceae), un genere di 34-35 erbacee, suffrutici e arbusti delle zone aride, con una interessante distribuzione discontinua. Distribuito nella fascia temperata calda e subtropicale di quattro continenti, è un genere essenzialmente del Vecchio mondo (26 specie vivono tra Africa, Mediterraneo, Asia, soprattutto in un'ampia fascia che, partendo dalle Canarie, attraverso il Nord Africa, il Medio Oriente e la penisola arabica, raggiunge l'India nord-occidentale), ma con rappresentanti isolati nell'America occidentale (Stati Uniti sud-occidentali e Messico nord-occidentale; ma anche i Perù e Cile). La specie più occidentale del Vecchio mondo, F. cretica - propria quella descritta da Tournefort - è un semi arbusto eretto o prostrato, con caratteristici rami angolati e corte stipole semi-spinose, con graziosi fiori ascellari con cinque petali azzurro-purpurei. Ha un aerale assai vasto che si estende dalle Canarie al Nord Africa a occidente dell'Egitto; unica specie europea, è presente in una stazione isolata in Portogallo, nella Spagna meridionale (Alicante), in molte isole mediterranee (Baleari, Malta, Cipro e, ovviamente, Creta), ma anche in Italia. In passato è stata segnalata in Sicilia; oggi se ne conoscono solo sei stazioni, vicine tra loro, presso Melito Porto Santo in Calabria. Diverse specie di Fagonia (in particolare F. arabica e F. indica) sono note per il loro uso officinale nella medicina tradizionale; studi recenti ne hanno confermato l'importante azione antiossidante, che appare promettente nella prevenzione e nella cura di molte gravi patologie. Qualche approfondimento nella scheda.
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Oggi il Jardin des plantes di Parigi è il maggiore orto botanico di Francia e il cuore pulsante del Museo nazionale di storia naturale. Eppure i suoi esordi furono tardivi e difficili: aperto al pubblico quasi mezzo secolo dopo l'orto di Montpellier, la sua nascita si deve alla congiunzione tra la caparbietà del suo fondatore, Guy de La Brosse, la benevolenza dei medici di corte, in particolare l'archiatra Charles Bouvard, la volontà della corona di indebolire i corpi intermedi (in questo caso, la potente Università di Parigi). Ricordato dalla toponomastica del quartiere dove sorge il Jardin, de La Brosse non è celebrato da alcun nome di genere valido, al contrario di Bouvard, eponimo del grazioso genere Bouvardia. La Brosse e la battaglia per il Giardino Nonostante le prime proposte di fondare anche a Parigi un orto botanico siano contemporanee alla creazione del giardino di Montpellier (1593), rimasero lettera morta, forse per la morte di Enrico IV, poi per la minore età di Luigi XIII. Dopo che era stato chiuso anche il piccolo giardino della facoltà di medicina per far posto alla costruzione di un teatro anatomico, il botanico e giardiniere Jean Robin, che lo gestiva, presentò al re la sua Request au Roy pour l'establissement d'un Jardin royal en l'Université ("Richiesta al re per la creazione di un giardino reale nell'Università"). La proposta fu immediatamente fatta propria da Guy de la Brosse, "medico ordinario del re", ma su tutt'altre basi. Egli puntava a un luogo dove le piante si potessero studiare tanto dall' "esterno" (cioè nella loro morfologia) quanto dall' "interno" (cioè nelle loro proprietà farmaceutiche e chimiche), sulla base del metodo sperimentale; un'istituzione del genere doveva essere indipendente dall'Università. La facoltà di medicina parigina era infatti la roccaforte dei tradizionalisti, grandi sostenitori dei salassi e delle purghe e nemici giurati dei "botanici" di Montpellier, la facoltà rivale che sfornava medici più aggiornati e spesso più apprezzati dalla clientela titolata. Vi si erano formati anche molti medici di corte, compreso Jean Héroard, l'archiatra o primo medico del re, che vide subito con favore la richiesta di la Brosse. Favore condiviso dal cardinale Richelieu, per ragioni eminentemente politiche: la creazione di un Jardin royal, finanziato e gestito dalla corona, oltre a dare lustro alla capitale, avrebbe eroso il potere dell'Università, sottraendogli il controllo dei farmacisti, che sarebbe passato al sovrintendente del nuovo giardino, da cui si attendeva che rifornisse le farmacie delle regione anche di quelle piante esotiche spesso avversate dalla facoltà. Nel gennaio 1626, Guy de la Brosse ottenne una prima vittoria, ovvero una lettera patente del re che stabiliva la creazione di un "giardino delle piante medicinali" in un sobborgo parigino, affidandone la sovrintendenza a Héroard. Tuttavia quest'ultimo morì nel 1628, durante l'assedio della Rochelle. A sostituirlo fu nominato Charles Bouvard, un medico che si era laureato e insegnava proprio all'Università di Parigi. Ma se quest'ultima aveva sperato di trovare in lui un alleato, fu presto delusa: forse in modo non del tutto disinteressato, Bouvard si schierò dalla parte di La Brosse. La creazione di un orto botanico reale, finanziato dalla corona, rafforzava infatti il potere del primo medico del re, che ne sarebbe diventato sovrintendente (un incarico di natura essenzialmente politica), mentre La Brosse ne assumeva la direzione scientifica, con il titolo di intendente. Ma l'università non demordeva e riuscì a bloccare il progetto per qualche anno. Solo nel 1633 Guy de la Brosse poté acquistare un vasto terreno nel faubourg Saint-Victor, nei pressi dell'abbazia omonima. Nel 1635 giunse anche il decreto reale che istituiva il Jardin royal des plantes médicinales, stabilendo che vi si sarebbero studiate le piante e le loro proprietà medicinali; a tal fine si istituirono tre cattedre (materia medica, ovvero botanica farmaceutica, chimica, anatomia), affidate a altrettanti "dimostratori", assistiti da un sottodimostatore, che avrebbe insegnato a riconoscere le piante a partire dagli esemplari coltivati nelle parcelle del giardino. Il primo fu Vespasien Robin, già "arboriste" del re e esperto giardiniere. La facoltà cercò allora di impugnare il decreto di fronte alla Corte dei Conti; riuscì solo ad ottenere che la nuova istituzione non potesse assegnare diplomi; svolti in francese anziché in latino, i corsi, che non prevedevano esami, erano aperti a tutti; comprendevano insegnamenti pratici e teorici e accettavano molte novità ancora tabù per la facoltà di medicina ufficiale: la circolazione del sangue di Harvey, medicamenti esotici come la corteccia di Cinchona, i preparati chimici come l'antimonio. Dopo alcuni anni febbrili dedicati alla sua costruzione, il Jardin royal fu finalmente inaugurato al pubblico nel 1640. Collocato nell'area che ancora oggi lo ospita, il giardino comprendeva tra l'altro una collinetta artificiale (il "labirinto") e ospitava migliaia di piante anche esotiche. Guy de la Brosse ne redasse il catalogo, per il quale fece preparare 400 incisioni su rame. Ma nel 1641, forse esausto per la lunga battaglia, moriva ad appena 55 anni. L'opera non uscì mai, e gli eredi vendettero le incisioni a un calderaio (se ne salvarono appena cinquanta). Dispute legali e un giardino trascurato Altre morti illustri seguirono a ruota: nel 1642 il cardinale di Richelieu, nel 1643 il re Luigi XIII. Con la morte del quale, cessava anche il ruolo di archiatra di Bouvard, che avrebbe dunque dovuto lasciare la sovrintendenza del Giardino. Tuttavia si accordò con il nuovo primo medico del re Jacques Cousinot (suo genero) e mantenne l'incarico, mentre suo figlio Michel fin dal 1641 era stato nominato intendente. Nel 1646 tuttavia Cousinot morì e gli succedette come primo medico François Vautier, intenzionato a recuperare la remunerativa carica di sovrintendente. Tra Vautier e Bouvard iniziò una battaglia legale; nel 1647 il Consiglio di Stato si pronunciò a favore di Vautier e "dimise" Michel Bouvard, sostituendolo con lo scozzese William Davidson. Bouvard fece appello al Parlamento parigino; in questa situazione di incertezza, Davidson preferì andarsene in Polonia a curare i giardini della regina Maria Luisa Gonzaga. Ampiamente trascurato, il giardino dovette aspettare la sovrintendenza di Antoine Vallot per risorgere. Ma di questa storia si parlerà in un altro post. Torniamo a Charles Bouvard e ai suoi discutibili meriti botanici, sufficienti tuttavia a spingere il botanico britannico R. A. Salisbury a dedicargli nel 1805 il genere Bouvardia. Un onore che invece non è toccato al ben più meritevole Guy de la Brosse: a dire la verità, Linneo non aveva certo dimenticato il fondatore dell'illustre Jardin des Plantes, e nel 1753 gli aveva dedicato il genere Brossaea. Ma quest'ultimo fu unito a Epigaea da de Candolle (1839), quindi a Gaultheria da Hooker (1876). Oggi è una delle numerosi sezioni del grande genere Gaultheria della famiglia Ericaceae. A ricordare La Brosse una delle strade parigini nei pressi della sua creatura, il Jardin des plantes. Quanto all'intrigante Bouvard, dobbiamo ammettere che non era solo un carrierista e un medico di dubbia abilità (alcuni lo accusano di aver accelerato - o provocato - la morte del suo reale paziente, al quale nei suoi due ultimi anni di vita inflisse 34 salassi, 1200 clisteri e 250 purghe). Secondo la testimonianza dello stesso de Brosse, fu lui a volere le tre cattedre che caratterizzarono il Jardin royal des plantes médicinales come un'istituzione scientifica innovativa. Fu dunque grazie alla sua intuizione che l'insegnamento della botanica venne unito a quello della chimica e dell'anatomia, gettando le basi per quello studio a tutto tondo delle scienze della natura che avrebbe poi caratterizzato fino ai nostri giorni la grande istituzione parigina. Anche grazie a Bouvard, dunque, per la prima volta la botanica, da ancella della medicina, cominciava ad affermarsi come scienza autonoma. Inoltre egli volle dotare il Jardin della sua prima serra calda e elaborò alcune ricette tratte da fiori di uso comune. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Un profumato bouquet di Bouvardia Il genere Bouvardia, della famiglia Rubiaceae, comprende 30-50 specie di erbacee perenni e arbusti sempreverdi, nativi soprattutto del Messico (con qualche rappresentante negli Stati Uniti meridionali e in America centrale). Sono piante estremamente attraenti soprattutto per i lunghi fiori tubolari, solitamente con quattro lobi, talvolta solitari ma più spesso riuniti in dense cime terminali (possono ricordare quelli della più nota e affine Pentas, che tuttavia ha cinque lobi), a seconda della specie rossi, rosa, bianchi, delicatamente profumati. La specie più nota, la messicana Bouvardia longiflora, a lungo è stata soprattutto una pianta da serra, coltivata per la produzione di fiori recisi, grazie alla sua lunga durata - anche due o tre settimane - e alla disponibilità per gran parte dell'anno. I suoi densi e eleganti bouquet di fiori candidi e fragranti sono particolarmente apprezzati dalle spose in sostituzione dei tradizionali fiori d'arancio. Di un vibrante scarlatto è invece B. ternifolia, la specie più diffusa in natura (dall'Arizona all'Honduras, passando per il Messico) che fu anche la prima ad arrivare nelle serre europee (a Kew, nel 1794). Ma oggi, quando si parla di Bouvardia, si fa riferimento soprattutto agli ibridi, immessi sul mercato da meno di vent'anni dagli ibridatori olandesi, interessati alle sue potenzialità anche come pianta da appartamento o da patio; sono meno profumati dei progenitori, ma di più facile coltivazione, e soprattutto offrono una più ricca gamma di colori, che include anche delicate sfumature di crema, pesca, albicocca. Da noi sono soprattutto disponibili come fiori recisi; ma è prevedibile che anche in Italia nei prossimi anni invaderanno i bancali dei Garden center e abbelliranno le nostre case. Qualche informazione in più nella scheda. Per dare lustro al titolo regale appena conquistato, Vittorio Amedeo II fonda l'Orto botanico di Torino. Qualche anno dopo Carlo Allioni ne farà un'istituzione scientifica di prestigio europeo, guadagnandosi la stima di Linneo. A lui - tra i primi ad adottare la denominazione binomiale e più tardi autore di un'opera fondamentale della botanica illuminista - lo svedese dedicherà il genere Allionia. Un nuovo orto botanico per un nuovo re Nel 1703, allo scoppio della guerra di successione spagnola, Vittorio Amedeo II di Savoia, infido alleato di Luigi XIV, decide di cambiare campo e si schiera con l'Impero e l'Inghilterra. La vendetta del Re Sole non si fa aspettare: lo stato sabaudo è devastato, la capitale Torino subisce un terribile assedio. Ma la "volpe sabauda" dimostra di aver visto giusto: non solo i francesi sono disfatti nella battaglia di Torino (7 settembre 1706), ma alla fine della guerra, con la pace di Utrecht, i Savoia entrano finalmente nel salotto buono della storia, accedendo al sospirato titolo reale. Adesso che Torino è la capitale di un regno (dal 1713 al 1714 di Sicilia, quindi di Sardegna) deve dotarsi di tutte le strutture che danno lustro a una monarchia degna di questo nome, comprese le istituzioni scientifiche. Immancabile tra queste un Orto botanico, dove studiare e coltivare le piante utili, ma anche collezionare le nuove specie esotiche, vanto dei Giardini reali di Parigi o di Londra. D'altra parte l'esplorazione e la conoscenza delle risorse del territorio per ogni stato nazionale è sempre più importante dal punto di vista economico, demografico e strategico. Così nel 1729 nasce l'Orto botanico di Torino, diretto dapprima dal medico Bartolomeo Caccia (morto nel 1747) quindi da Vitaliano Donati (1717-1762), eclettico scienziato, viaggiatore ed esploratore che fu anche all'origine del Museo Egizio. Il terzo direttore sarà Carlo Allioni (1728-1804), che lo gestì per un quarantennio e lo inserì nel circuito dei maggiori orti botanici europei, trasformandolo in una reputata istituzione di ricerca e incrementando enormemente le raccolte (sotto la sua gestione le specie coltivate salgono da 317 a 4500). Una visita all'eccellente sito dell'Orto botanico di Torino offre un panorama delle collezioni coltivate nei suoi spazi (giardino, boschetto, alpineto e tre serre) e molte informazioni di approfondimento sulla storia e le attività dell'istituzione piemontese. Caro Carlo, ti scrivo.... Quando diventa direttore dell'orto botanico, Allioni ha già al suo attivo un'opera importante, Rariorum Pedemontium Stirpium. Specimen primum, del 1755, in cui le specie, ancora indicate con il nome polinomiale, sono accompagnate da dodici splendide tavole disegnate da Francesco Peyrolery. Il libro è anche all'origine della corrispondenza e si può dire dell'amicizia con Linneo. Infatti, dopo qualche esitazione, Allioni, incoraggiato dal danese Peter Ascanius in visita a Torino, ne invia un esemplare all'illustre collega, che gli risponde con una lettera colma da gentilezza ed apprezzamento scientifico. Per un ventennio le lettere dei due Carli viaggeranno da Torino a Uppsala e da Uppsala a Torino, accompagnando libri, pacchetti di semi, fogli di erbario, campioni di minerali e esemplari essiccati. Il Carlo svedese apprezza la flora alpina, il Carlo piemontese le piante esotiche che potranno arricchire le aiuole dell'Orto botanico. I due discutono dell'identificazione delle piante, ma si scambiano osservazioni anche sui minerali e gli animali, essendo entrambi naturalisti dai vasti interessi. Linneo non lesina le lodi al più giovane amico: a proposito di Auctarium Horti Tauriniensis (lettera dell'8 novembre 1774) giunge a dire che le descrizioni della flora italiana di Allioni superano ciò che è stato scritto prima di lui quanto nella notte la luce della luna supera quella delle piccole stelle. A sua volta, Allioni farà proprie le tesi di Linneo, adottando tra i primi la nomenclatura binomiale, tanto da essere soprannominato il Linneo piemontese. I curiosi possono ora leggere questa corrispondenza nel sito The linnean Corrispondence nell'originale latino, accompagnato da una sintesi in inglese. E ovviamente non poteva mancare la dedica di un nuovo genere: Linneo provvide nel 1759, nella decima edizione del Systema naturae, intitolando all'amico Allionia, una deliziosa Nyctaginacea del Nord America. Il capolavoro di Allioni è Flora Pedemontana, sive enumeratio methodica stirpium indigenarum Pedemontii, frutto di 25 anni di lavoro, pubblicata nel 1785 (due volumi di testo e un volume di tavole), in cui vengono descritte 2813 piante delle Alpi occidentali. Questo trattato - notevole anche per la cura editoriale - è considerato uno delle opere botaniche più significative dell'Illuminismo. Altre notizie su Carlo Allioni nella biografia. Allionia, allionii Allionia è un'annuale o perenne di breve vita dal portamento strisciante, originaria del Sud degli Stati Uniti (dalla California al Texas dal Nevada all'Oklaoma), dai graziosi fiori rosa vivo. Non sappiamo perché Linneo abbia scelto proprio questa pianta per onorare l'amico piemontese, ma possiamo proporre qualche ipotesi. Intanto ha proprietà medicinali, e Allioni era un medico insigne. Inoltre ha un fiore davvero particolare: in realtà si tratta di tre fiori separati che sembrano formarne uno solo. Un'allusione alla poliedrica attività del naturalista subalpino, botanico, zoologo, geologo? Infine il piemontese è descritto dai contemporanei come un uomo di grande modestia, che univa all'immensa scienza la semplicità di cuore: la bella ma modesta Allionia non potrebbe essere il suo ritratto vegetale? Nella scheda qualche approfondimento sul genere Allionia e sulle sue due specie. Nato e morto a Torino, Allioni non può essere considerato un botanico sedentario. Mentre i suoi contemporanei esploravano le Americhe, l'Asia, l'Africa, le isole del Pacifico e l'Australia, percorreva instancabilmente il piccolo stato sabaudo, esplorandone palmo a palmo le montagne. Così raccolse un erbario composto da 11.000 esemplari e descrisse circa 400 nuove specie. Forse memore della morte del suo predecessore Vitaliano Donati - perito in mare mentre si dirigeva a Goa - non attraversò il mare neppure per esplorare la flora sarda, delegando la raccolta al collaboratore Michele Plazza. Diverse tra le nuove specie descritte da Allioni lo ricordano nel nome specifico: Arabis allionii, Veronica allionii, Campanula allionii, Sempervivum globiferum subsp. allionii (già Jovibarba allionii), ecc. Tra di esse una perla per rarità e bellezza, la Primula allionii, un endemismo delle Alpi Marittime. Per goderne la bellezza, si può dare un'occhiata alla gallery dedicata alla specie e alle sue cultivar orticole sul sito dell'American Primrose Society. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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