Alla vigilia della Rivoluzione francese, un piccolo gruppo di amici fonda una nuova società scientifica, caratterizzata dall'interdisciplinarietà, dall'indipendenza e dalla fedeltà al metodo sperimentale. E' la Societé Philomatique, destinata a un grande avvenire. Tra i soci fondatori, Claude-Antoine-Gaspard Riche, che dopo esserne stato il primo segretario, nel 1791 lascerà la Francia come naturalista dell'Espérance, una delle due navi della spedizione Entrecasteaux. A ricordarlo il singolare genere Richea, con nove specie endemiche della Tasmania che egli esplorò insieme all'amico La Billardière. Studio e amicizia Il 10 dicembre 1788, a Parigi, sei amici fondano una nuova associazione scientifica. Tutti giovani o giovanissimi, sono Augustin-François de Silvestre; Charles de Broval, matematico e fisico; il dicottenne Alexandre Brongniart che diventerà un famoso geologo; e tre medici: Claude-Antoine-Gaspard Riche, Joseph Audirac e un certo Petit. I promotori dell'iniziativa sono senza dubbio Silvestre e Riche, entrambi ventiseienni e innamorati delle scienze naturali. Il primo per classificare i libri del suo patrono si è sentito in dovere di studiare matematica, fisica, chimica, scienze naturali; è diventato così uno studioso autodidatta, una figura familiare nei salotti letterari e scientifici del tempo, amico di molti eminenti scienziati. Il secondo si è laureato in medicina a Montpellier nel 1787, per poi spostarsi a Parigi dove, grazie anche al fratello maggiore, l'ingegnere Gaspard Riche de Prony, ha stretto amicizia con scienziati come Vicq d'Azyr e Cuvier. Di carattere ardente e entusiasta, è anche vicino alla Societé Linéenne, di cui condivide la battaglia per la diffusione del sistema di Linneo (che, per diverse ragioni, è invece avversato tanto dal vecchio Buffon quanto dai naturalisti del Jardin des Plantes). All'inizio l'associazione è solo un gruppo di amici che si incontrano settimanalmente, a turno, a casa di uno dei membri, per leggere i loro lavori, discutere delle ultime novità scientifiche, replicare esperimenti. Tre caratteristiche sono evidenti fin dall'inizio: l'indipendenza tanto dall'autorità politica quanto delle istituzioni scientifiche riconosciute; l'interdisciplinarità (gli interessi dei soci toccano matematica, fisica, chimica, scienze naturali, geologia, scienze della salute); la vocazione pedagogica e l'interesse per le applicazioni pratiche della scienza a beneficio della società. Nel nuovo clima di libertà dei primi mesi della Rivoluzione, la società si consolida e si espande: nell'autunno si dota di uno statuto, di un motto (Studio e amicizia), di un nuovo nome: Societé philomatique de Paris, ovvero società degli amanti della ricerca. Il suo programma è nobile e ambizioso: "diventare un luogo di incontro generale dove confluiranno le nuove conoscenze e da cui si espanderanno nel mondo degli studiosi, in una catena luminosa e ininterrotta di verità e insegnamenti". Per elezione e cooptazione entrano nuovi membri: il primo, sempre nell'autunno 1789, è il chimico Vauquelin, scopritore del berillo e del cromo. Tra il 1790 e il 1791 l'associazione continua ad allargarsi, raggiungendo 18 membri effettivi e 18 corrispondenti. Ma a farla decollare sono gli eventi del 1793: l'8 agosto la Convenzione sopprime le Accademie e le società scientifiche legate al vecchio regime; di conseguenza nell'autunno molti ex accademici chiedono di essere ammessi ai Philomathes, che ormai riuniscono il fior fiore della scienza francese: Berthollet, Fourcroy, Lavoisier, Lefebvre d'Hellancourt, Ventenat, Vicq d'Azyr, Lamarck, Monge, Prony, Laplace. Ma questa è ormai un'altra storia. Nel frattempo, ad eccezione di Silvestre (segretario fino al 1802) e Brongniart, i soci fondatori sono ormai usciti di scena: Audirac è morto nel 1790, Broval è emigrato nel 1792, di Petit si sono perse le tracce. Quanto a Riche, dal settembre 1791 è coinvolto nella grande avventura della spedizione Entrecasteaux alla ricerca di Laperouse, come naturalista dell'Espérance. Fino a quel momento è stato l'anima dell'associazione; come segretario, ne ha redatto i bollettini mensili (che fino al 1792 erano manoscritti, copiati in 18 copie, una per ciascun corrispondente). Passione naturalistica, disavventure e disastri A convincerlo a partire, oltre all'amore per la scienza, una serie di considerazioni: quella principale è la salute; fin dagli anni di Montpellier il giovane naturalista soffre di tubercolosi, tanto che sono i suoi stessi amici a spingerlo a partire, nella speranza che il viaggio per mare e il mutamento di clima gli giovino; poi il desiderio di gloria, alimentato, secondo Cuvier (che di Riche ci ha lasciato un commosso elogio funebre) da una storia d'amore: temperamento appassionato e romantico, negli anni universitari Claude si innamorò perdutamente di una giovane, tanto appunto da ammalarsi; questo amore contrastato l'avrebbe spinto prima a venire a Parigi a cercare la gloria scientifica, per rendersi degno dell'amata, poi a partire per i mari del Sud, a trovare o la morte o la fama. Ho già raccontato delle vicende della spedizione in questo post. Riche si legò di amicizia soprattutto con La Billardièere, cui lo univano sia l'amore per la scienza sia la passione politica (sembra che a Parigi avesse fatto parte del club giacobino); inoltre come naturalisti erano per così dire complementari: La Billardillière era soprattutto un botanico, Riche soprattutto uno zoologo. Dunque collaborarono senza rivalità ciascuno alle ricerche dell'altro, scambiandosi esemplari, osservazioni e insegnamenti, in puro spirito di amicizia filomatica. Fedele allo spirito interdisciplinare della società, durante la spedizione Riche si occupò anche di meteorologia, geologia e chimica, nonché di misurare i venti, la salinità, la luminescenza delle acque; il suo interesse principale era tuttavia la fauna acquatica. Anche per lui, dopo gli entusiasmi iniziali, subentrò la frustrazione delle soste troppo brevi rispetto ai lunghi tratti di mare, che divenne rabbia per l'indifferenza quando non l'ostilità degli ufficiali. In una lettera a Entrecasteaux, scritta nell'agosto 1792, mentre veleggiavano verso le Molucche, Riche lamenta che non solo durante gli scali non gli è stato prestato alcun aiuto, ma che gli uomini dell'equipaggio si appropriano delle prede migliori per arricchire le proprie collezioni private. La risospota del comandante, come possiamo immaginare, fu negativa e alquanto minacciosa. L'avventura più pericolosa toccò a Riche durante la sosta a Esperance Bay, nell'Australia occidentale (14-16 dicembre 1792). Attratto da fumi intravisti in lontananza, si allontanò dagli altri, finendo per perdere l'orientamento; vagò poi per due giorni nei pressi di un lago interno, finché riuscì in qualche modo a raggiungere il mare. I compagni lo trovarono esausto su un piccolo capo ribattezzato in suo onore Cape Riche; a un certo punto aveva anche dovuto abbandonare le sue raccolte. In quelle ore disperate non aveva incontrato anima viva, eccetto tre canguri; si era sostentato solo con l'acqua di una fonte e le bacche di un'Ericacea, battezzata Leucopogon richei (oggi L. parviflorus) da La Billardière. Quest'ultimo, sollevato ma anche seccato per la sventatezza dell'amico, ne approfittò comunque per erborizzare, raccogliendo, oltre a questa pianta, Banksia repens e B. nivea, Chorizema ilicifolia, Eucalyptus cornuta e Anigozanthus rufa (la pianta nota come "zampa di canguro"). Quando la spedizione a Giava finì in catastrofe, Riche fu tra i naturalisti imprigionati come agitatori giacobini. Dopo mesi di prigionia, il 13 luglio 1794, insieme a Willaumes, Legrand, Laignel, Ventenat e 19 marinai, gli fu concesso di partire per Mauritus (Ile de France). Dopo aver deposto la sua testimonianza sul tradimento degli ufficiali, egli era tuttavia tormentato dall'angoscia di aver perso il risultato di anni di fatiche (anche le sue raccolte e le sue carte erano finite nella mani degli olandesi); chiese dunque all'assemblea coloniale il permesso di tornare a Batavia per cercare di recuperarle. Nel novembre 1794 poté infine imbarcarsi sulla Natalie, una nave che riportava a Giava dei prigionieri olandesi; a Batavia le autorità olandesi ignorarono le richieste, e, di nuovo a bordo della Natalie, il 29 marzo 1795 Riche ripartì per l'Ile de France senza i materiali, ma con la soddisfazione di aver ottenuto il riscatto di una cinquantina di altri compagni di sventura, tra cui La Billardière. Tornò poi in Francia nel giugno dell'anno seguente, ma in condizioni di tale prostrazione che si spense nel settembre del 1797, senza aver potuto riabbracciare la famiglia (avendo scoperto, anzi, che la donna amata era caduta vittima del Terrore). Una sintesi della sua vita breve ed intensa nella sezione biografie. Nelle foreste e nelle praterie alpine della Tasmania Oltre a Leucopogon richei, La Billardière nella sua Relation du Voyage à la Recherche de la Pérouse (1800) volle dedicare all'amico perduto Richea glauca (oggi Craspedia glauca, dopo essersi chiamato C. richea). Per quanto la denominazione di La Billardière abbia la priorità, è stata soppiantata a favore (come nomen conservandum) del genere Richea creato da Robert Brown in Prodromus Florae Novae Hollandiae (1810). In tal modo Riche ha tenuto a battesimo un genere strettamente legato ai luoghi che esplorò, oltre che un'indubbia meraviglia della natura che non avrebbe mancato di affascnarlo. Il genere Richea R. Br. della famiglia Ericaceae (un tempo Epacridaceae) comprende 11 specie di alberi e arbusti, nove dei quali endemici della Tasmania. Molto variabili per dimensioni, dalla nana R. alpina all'arborea R. pandanifolia, sono accomunate dai rami segnate dalle cicatrici anulari delle foglie cadute; dalle foglie che avvolgono totalmente il fusto alla base, per poi incurvarsi e assottigliarsi all'apice; i fiori, raccolti in cime o pannocchie terminali, hanno corolla chiusa e petali fusi in un opercolo. Alcune specie sono piuttosto comuni in Tasmania, dove occupano ambienti soprattutto alpini e subalpini alquanto diversificati: aree aperte aride come R. acerosa, zone paludose come R. gunnii, macchie con suolo povero come R. procera, foreste umide come R. dracophylla. La specie più singolare è R. pandanifolia, un vero e proprio albero che può superare i dieci metri: in genere ha un solo fusto non ramificato, rivestito di foglie secche persistenti, coronato da un ciuffo di lunghissime foglie lanceolate, alle cui ascelle spuntano grappoli di fiori crema o bianchi: a prima vista, nessuno penserebbe che si tratta di un'Ericacea, anzi sarebbe facile scambiarla per una palma. Fiori a parte, è ingannevole anche R. dracophylla, un arbusto eretto dal portamento disordinato che sembra evocare una Draceana. Le specie arbustive di medie dimensioni, che formano ampie brughiere, si rivelano invece per quel che sono al primo sguardo: eriche dalle fioriture stupende, soprattutto la magnifica R. scoparia, con le sue pannocchie di un ricco rosa carico. Qualche informazione in più nella scheda.
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