Da qualche tempo si è affermata tra i cosiddetti dolcificanti naturali la Stevia (più esattamente Stevia rebaudiana), nota per il potere dolcificante 300 volte superiore rispetto allo zucchero, senza calorie. Ma forse non a tutti è noto che il suo nome celebra un interessante personaggio del Rinascimento spagnolo, il medico e umanista Pedro Jaime Esteve. La battaglia contro i barbari e una flora pionieristica Nel Medioevo, la Spagna aveva contribuito alla conoscenza dei grandi testi medici (e botanici) dell'antichità grazie alla mediazione degli studiosi arabi: fu infatti attraverso le loro traduzioni che si conobbero, tra gli altri, Dioscoride, Galeno e Ippocrate. Se per secoli questo aveva posto la penisola iberica all'avanguardia negli studi medici, con l'Umanesimo anche qui si sentiva il bisogna di tornare alle fonti, leggendo i testi degli antichi direttamente sui manoscritti originali. Ma, vista l'autorevolezza della tradizione araba, il ritorno all'antico avvenne non senza polemiche. Gli innovatori, che spesso avevano studiato all'estero o erano in contatto con la rete di umanisti europei, si contrapponevano ai tradizionalisti, da loro soprannominati "barbari", che ancora controllavano i posti chiave della professione medica e dell'insegnamento universitario. Tra i più notevoli e tenaci sostenitori della nuova scuola, troviamo anche Pedro Jaime Esteve, che alla latina si firmava Petrus Jacobus Stevus. Secondo la tradizione avrebbe studiato a Parigi e a Montpellier, dove avrebbe appreso la materia medica (cioè la botanica farmaceutica) da Guillaume Rondelet; maggiore di età del francese, quando questi cominciò a insegnare, Esteve era già vicino ai quarant'anni; ma non sarebbe l'unico caso, in epoca umanistica, di personaggi di età matura che, attratti dalla fama di un grande maestro, lasciavano la patria e magari una carriera per seguirne l'insegnamento. In ogni caso, negli anni '40 del Cinquecento lo troviamo a Valencia, sia come medico sia come versatile professore universitario (insegnò greco, anatomia, chirurgia, materia medica, matematica). Insieme all'amico e concittadino Miguel Jeronimo Ledesma, fu uno degli esponenti più attivi dell'umanesimo iberico, tanto da essere espulso per un anno (1548) dall'Università per aver pronunciato "parole irrispettose" nei confronti di Juan de Celaya, rettore dell'Università di Valencia e uomo di punta dei "barbari". Come medico-umanista, i suoi maggiori contributi sono la traduzione latina e i commenti del secondo libro del trattato sulle Epidemie di Ippocrate (1551) e la traduzione della Teriaca (1552) di Nicandro (la riscoperta dei veri ingredienti della teriaca, considerato un potentissimo antiveleno, fu uno degli argomenti che più appassionarono - e divisero - i medici rinascimentali). Ancora a metà strada tra tradizione medievale e nuova scienza, fu un seguace della teoria galenica degli umori (il che lo portò a interessarsi anche di astrologia) e nel suo insegnamento dell'anatomia mantenne una posizione ambigua, di solo parziale accettazione, nei confronti di Vesalio. In ogni caso, non era un acritico difensore degli antichi; commentando la descrizione dell'anatomia delle vene e dei nervi periferici nel suo commento a Ippocrate, osserva che è tanto rozza e tanto lontana da ciò che chiunque può osservare nelle dissezioni anatomiche, da fargli pensare che si tratti di un'interpolazione (venerava troppo il nome di Ippocrate per metterlo in discussione direttamente). Tra i suoi molteplici interessi, c'era anche, come abbiamo visto, la botanica; dal suo maestro Rondelet aveva appreso i metodi e la passione della ricerca sul campo; già nei suoi commenti al testo di Nicandro (dedicato essenzialmente ai veleni animali) inserì informazioni su alcune piante, fornendo i nomi volgari e informazioni sulla loro localizzazione nell'area valenciana. Ma la sua opera più importante in questo campo fu un manoscritto, intitolato Diccionario de las yerbas y plantas medicinales que se hallan en el Reino de Valencia, "Dizionario delle erbe e delle piante medicinali che si trovano nel Regno di Valencia". L'opera, scritta presumibilmente tra il 1545 e il 1556, fu una delle prime flore regionali d'Europa; tuttavia, non fu mai stampata e andò perduta. Ne conosciamo parzialmente il contenuto grazie a un riassunto incluso nelle Décadas de la Historia de Valencia (1610) di Gaspar Escolano. Escolano fornisce una lista di 120 specie, di cui dà il nome in valenciano e spagnolo, e, solo per alcune, brevi indicazioni sulla localizzazione, sull'uso medico o alimentare, sulle proprietà. Una sintesi della vita di Esteve nella sezione biografie. La dolce erba dei Guaranì Nonostante ciò che si favoleggia in diversi siti internet, non c'è alcuna relazione diretta tra Esteve e la Stevia. Non la conobbe, né tanto meno fu il primo a studiarla o addirittura a raccoglierla. L'omaggio si deve a Cavanilles che, egli stesso valenciano, volle riconoscere i meriti di un conterraneo di cui erano ancora ben note e apprezzate le traduzioni, autore soprattutto della prima flora della sua regione, che, benché perduta, ne faceva comunque un precursore. Partendo dalla forma latinizzata del nome dell'illustre predecessore, nel 1797 egli creò il genere Stevia (famiglia Asteraceae) sulla base di quattro specie messicane, giunte all'Orto botanico di Madrid grazie alla Real Expedición Botánica a Nueva España. Stevia è un genere piuttosto diffuso, distribuito dal Sud degli Stati Uniti, fino al Sud America meridionale, presumibilmente con massimo centro di diversità in Messico; erbacee annuali e perenni, suffrutici e arbusti, molte specie sono estremamente variabili, causando notevoli problemi di classificazione; lo stesso numero delle specie è dunque incerto (da 350 a 220, di cui almeno una settantina in Messico) e abbondano i sinonimi. Hanno foglie semplici, opposte, raramente alternate, e capolini raccolti in corimbi, con flosculi ligulati assenti e cinque flosculi del raggio tubolari, solitamente bianchi. Si tratta sopratutto di piante di montagna (tra 1000 e 3000 metri), che vivono nel sottobosco di aree fresche e umide. Tra tutte, l'unica a destare sensazione è S. rebaudiana, un arbusto che cresce in un alcune aree del Paraguay. Le proprietà dolcificanti delle sue foglie erano sfruttate dagli indios Guaranì per attenuare il sapore amaro del mate; nel 1887, Moses Bertoni, un eclettico personaggio di origine svizzera che aveva fondato una comunità anarco-socialista e fu un pioniere degli studi etnografici sui Guaranì, identificò per primo la pianta (assegnandola inizialmente al genere Eupatorium), mentre il primo a studiarne le proprietà chimiche fu il chimico paraguayano Olidio Rebaudi, in onore quale nel 1899 Bertoni la battezzò Eupatorium rebaudianum. A riconoscerne l'appartenenza al genere Stevia fu qualche anno più tardi il botanico di Kew W. B. Hemsley. Il suo successo come dolcificante al di fuori del Paraguay (dove vengono usate le foglie fresche) e del Sud America, dove è stato usato dall'industria alimentare almeno dagli anni '40, inizia solo intorno al 1970, grazie ai Giapponesi. E iniziano anche le polemiche. Ma se volete saperne di più, leggete i particolari nella scheda.
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November 2024
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