Nella povera Svezia di metà Settecento, in assenza di finanziamenti statali o di fondi a disposizione dell'Università e dell'Accademia delle scienze, per Linneo fu importantissimo il sostegno del direttore della Compagnia svedese delle Indie Orientali, Magnus Lagerstroem. Grazie a questo collezionista e curioso di cose naturali, tanti dei suoi "apostoli" poterono viaggiare gratuitamente sulle navi della Compagnia e lo stesso Linneo poté giovarsi di una notevole collezione di reperti etnografici e naturalistici di provenienza asiatica. Riconoscente, dedicò all'amico e mecenate il brillante genere Lagerstroemia. Linneo trova un mecenate La Svezia di metà Settecento sembra travolta dalla sinomania: nel 1753 nel parco del castello reale di Drottningholm viene inaugurato il padiglione cinese, al presenza dell'erede al trono (il futuro Gustavo III) vestito in abiti da mandarino; nobili e ricchi borghesi fanno a gara per ornare le loro case con porcellane e mobili cinesi; diventa di moda indossare abiti di seta di fattura cineseggiante. Porcellane, suppellettili e soprattutto il desideratissimo tè arrivano in Svezia grazie alle navi della Compagnia svedese delle Indie Orientali (SOIC), fondata nel 1731, ma che proprio tra il 1746 e il 1766 tocca l'apice del successo. E' una via di contatto con l'Oriente di cui Linneo capisce subito le potenzialità scientifiche. Attraverso il conte Tessin, cancelliere del re e presidente dell'Accademia svedese delle scienze, incomincia a premere sui vertici della Compagnia perché i viaggi commerciali assumano, in qualche modo, anche il carattere di spedizioni scientifiche. Trova immediatamente un interlocutore più che interessato in Magnus Lagerstroem, uno dei direttori della SOIC. Lagerstroem, uno svedese di origine baltica, con una notevole cultura letteraria e studioso dilettante di cose naturali, era allora all'apice della sua carriera. Con un'ottima formazione universitaria, acquisita in diversi atenei tedeschi, era un poliglotta che nella sua gioventù si era mantenuto come letterato e traduttore (fu il primo a tradurre in svedese il Tartufo di Molière e a pubblicare un manuale di lingua inglese); proprio grazie alla conoscenza delle lingue (ne scriveva e parlava almeno sei, e se la cavava con altre tre), nel 1731 era stato assunto dalla neonata SOIC come segretario. Il matrimonio con la figlia di un ricco mercante gli aveva permesso di scalare i vertici della Compagnia, fino a divenirne uno dei quattro direttori nel 1746. Proprio quell'anno si giunse a un accordo (di cui non conosciamo tutti i particolari) tra Linneo, l'Accademia delle Scienze e la SOIC: ai capitani e ai commissari di bordo delle navi che annualmente facevano la spola tra Göteborg e Canton si raccomandava di fare ogni sforzo per procurarsi oggetti di interesse etnografico e esemplari di piante e animali; nel 1747 Lagestroem emanò una circolare che stabiliva che i chirurghi e i cappellani di bordo dovevano avere una formazione scientifica, acquisita preferibilmente a Uppsala, alla scuola di Linneo. Di fatto, secondo un modello che qualche anno più tardi Joseph Banks riuscì ad imporre alla Royal Navy, queste figure assumevano un duplice volto: accanto ai loro compiti istituzionali, erano anche naturalisti a tutti gli effetti, formati secondo le istruzioni di Linneo a raccogliere e conservare reperti scientifici e a documentare le loro ricerche in accurati diari di viaggio. Fu così che iniziò l'avventura cinese degli apostoli di Linneo che abbiamo già incontrato in questo blog: Christopher Tärnström, imbarcato come pastore di bordo nel viaggio del 1746 e sfortunatamente morto prima di raggiungere la meta; Olof Torén che, sempre come pastore, tra il 1748 e il 1752 partecipò a due viaggi, prima a Giava, quindi in India e in Cina; Pehr Osbeck, cappellano della seconda nave del viaggio del 1750-1752; Carl Fredrik Adler, che tra il 1748 e il 1761 partecipò a quattro viaggi come medico di bordo; Anders Sparrman, aiuto chirurgo diciassettenne in Cina nel 1765. Grazie a questi giovani scienziati, che pagarono quasi tutti con la vita il loro amore per la scienza, giunsero in Svezia semi, piante essiccate e vive, animali, osservazioni scientifiche di ogni genere; i capitani contribuirono con rilievi cartografici e osservazioni meteorologiche. I materiali raccolti da cappellani, medici, capitani, commissari di bordo ma anche semplici marinai, andarono ad arricchire le collezioni del re, dell'Accademia delle Scienze, dell'Università di Uppsala, ma anche di facoltosi privati. Il più attivo di tutti fu proprio il nostro Magnus Lagerstroem che, approfittando della sua posizione di direttore della SOIC e investendo un notevole patrimonio, mise insieme una rilevante collezione di "cose cinesi" (ma molti reperti arrivavano da altre tappe del viaggio, dal Madagascar piuttosto che da Giava o dall'India). Quello che Lagerstroem chiamava "il mio raccolto delle Indie Orientali" comprendeva piante e animali cinesi, animali e altri reperti marini, oggetti di interesse etnografico (disegni e modellini di case e macchinari, manufatti, abiti, mappe, libri, curiosità come un corno di rinoceronte intagliato), un'intera collezione di 1000 medicinali cinesi acquistati nelle farmacie di Canton, una copia del Bencao Gangmu (o Pen-tsao Kang-mu), un grande compendio di farmacopea cinese, in 36 volumi, due dei quali di figure. Qualche anno prima della morte (avvenuta nel 1759), Lagerstroem donò le sue collezioni alla famiglia reale e a Linneo, al quale aveva anche procurato diverse piante vive per l'orto botanico dell'Università di Uppsala: tra gli altri, Arum chinense (oggi Colocasia esculenta), Artemisia chinensis (probabilmente una varietà cinese di Artemisia vulgaris, importante nella medicina cinese con il nome di moxa), Artemisia minima (oggi Centipeda minima), e, presumibilmente, quella che da lì a poco Linneo avrebbe battezzato in suo onore Lagerstroemia indica. Grazie a lui, arrivò anche una sospiratissima pianta di tè che, tuttavia, con grande delusione di Linneo, alla fioritura si rivelò una semplice camelia ornamentale. Ci è pervenuta una descrizione dei reperti naturalistici donati a Uppsala (qualche alga, qualche mammifero, ma soprattutto una cinquantina tra animali marini e uccelli) grazie alla tesi intitolata Chinensia Lagerstroemiana, scritta da Linneo nel 1754 e discussa, secondo l'abitudine del tempo, dal suo allievo Johan Lorens Odhelius. Molti di essi (tra gli altri, il famoso corno di rinoceronte) pervennero a Londra dopo l'acquisto delle collezioni linneane da parte di James Edward Smith, entrando a far parte del patrimonio della Linnean Society. Una sintesi della vita di Lagerstroem nella sezione biografie. Lagerstroemia, dalle foreste asiatiche ai viali cittadini Poco dopo la morte del generoso mecenate, che era anche un amico personale (ci rimangono diverse sue lettere nell'epistolario linneano) Linneo volle celebrarne la memoria creando il genere Lagerstroemia. Manifestò la sua riconoscenza scegliendo una specie particolarmente bella e pregevole per le vistose fioriture, giunta a quanto pare in Svezia nel 1746 proprio attraverso Lagerstroem e i suoi fornitori di naturalia, Lagestroemia indica. Una specie indiana (oggi L. speciosa) era già stata descritta dai botanici olandesi in Hortus Malabaricus con il nome indiano di Adambea; fu forse questo a trarre in inganno Linneo - che in ogni caso dimostrò spesso una certa disinvoltura nelle sue denominazioni geografiche - inducendolo a battezzare con lo specifico indica una specie di origine cinese. Il genere Lagerstroemia appartiene alla famiglia Lythraceae, di cui costituisce il genere più cospicuo e anche il solo a comprendere veri e propri alberi. Di distribuzione essenzialmente asiatica - dall'India alla Cina e al Giappone, all'Indocina, spingendosi fino all'Australia attraverso la Malaysia - comprende una cinquantina di specie di alberi e arbusti a foglie persistenti o decidue. La più nota da noi è proprio la quasi onnipresente L. indica, che soprattutto potata a alberetto e per lo più nella varietà a fiori rosa carico, imperversa in parchi e viali cittadini, spesso usata con scarsa fantasia. Eppure ne esistono innumerevoli varietà (intorno al 2000 ne sono state recensite ben 250) e anche il mercato italiano è ben rifornito, con la presenza di vivai specializzati e di cultivar tutte italiane, come quelle selezionate dal pistoiese Antonio Grassi. Ampissima la selezione disponibile sul mercato americano, anche grazie agli ibridi tra L. indica e L. fauriei, notevoli per la rusticità e per la resistenza al mal bianco. E la scelta non si limita al solito, un po' stucchevole, rosa shocking: la gamma dei colori, oltre a tutte le sfumature del rosa e del viola, comprende anche il bianco e il rosso. Almeno un cenno al gigante del genere, l'indiana L. speciosa, un grande albero tropicale dalle vistose fioriture dal bianco al porpora che può raggiungere i 20 metri, importante per le sue implicazioni culturali; in alcune correnti del Buddismo, è considerato l'albero sotto il quale era seduto Buddah quando raggiunse l'illuminazione. Le sue foglie vengono seccate e utilizzate per un infuso simile al tè. Altri particolari su questo genere tanto diffuso quanto superficialmente noto nella scheda.
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Se la Strelitzia, una pianta molto nota e ammirata per la sua esotica bellezza, ha quel nome ostico la colpa è tutta di Joseph Banks, che volle dedicarla - per autentica riconoscenza ma forse anche con un pizzico di calcolo politico - alla sua regina, nativa di un piccolo ducato tedesco dal nome irto di consonanti. Una pianta regale per una regina Grazie agli invii di Masson, i Giardini reali di Kew crescono tumultuosamente; nel 1773 nella "stufa" (ovvero nella serra calda) fa il suo ingresso una pianta destinata a grande avvenire. Raccolta da Masson e Thunberg nella spedizione del 1772-73, arriva presumibilmente dai dintorni di Port Elizabeth ed è stata identificata come Heliconia. E' un'erbacea imponente, con belle foglie che assomigliano a quelle del banano; piantata in grandi mastelli di legno, passano alcuni anni prima che riesca a fiorire; solo quando, attraverso il fondo ormai marcito, le radici radicano nel terreno, sbocciano finalmente i primi fiori. Sono fiori mai visti, di stupefacente bellezza esotica: da una lunga spata appuntita, che ricorda un becco d'uccello, emerge una corona di tepali e petali arancio e blu. Banks, direttore ufficioso di Kew, capisce di trovarsi di fronte a un genere sconosciuto alla scienza. Non ha dubbi: solo una persona è degna di darle il suo nome, la regina d'Inghilterra Carlotta, botanica dilettante e grande sponsor di Kew, che si è già guadagnata l'appellativo di "regina della botanica". Dal suo nome di ragazza, Sofia Charlotte von Mecklemburg-Strelitz, Banks battezza la pianta Strelitizia. E per levare ogni dubbio, aggiunge l'inequivocabile specifico reginae, la Strelitzia della regina. Banks e la regina si conoscevano bene e il rapporto tra di loro era di reciproca stima. Proveniente dal piccolo ducato di Mecklemburgo, Carlotta era arrivata in Inghilterra per sposare il re Giorgio III nel 1761, quando aveva poco meno di diciassette anni. Amava da sempre la botanica e poté coltivare questa passione quando Kew divenne la residenza di campagna preferita della coppia regale, nonché il luogo dove venivano educati i loro numerosissimi figli (ne ebbero ben quindici). In quegli stessi anni, Banks, amico personale del re, ne andava trasformando i giardini in una meravigliosa raccolta di piante esotiche, il giardino botanico più prestigioso al mondo. Né il re né la regina fecero mancare il loro entusiastico sostegno alla grande impresa. La regina, una donna colta, seria e coscienziosa, amava seguire personalmente l'educazione delle figlie, studiando insieme a loro. Raccoglieva piante, le osservava al microscopio, le conservava in un erbario e le catalogava secondo il sistema di Linneo. Per lei, nel 1789, alla morte del botanico John Lightfoot, il re ne acquistò l'erbario, grazie al quale la regina ebbe modo di conoscere J. E. Smith, presidente della Linnean Society e amico di Banks. Infatti, poiché l'erbario era infestato di insetti, fu affidato per la "bonifica" a Smith; egli fu presentato a Carlotta che, conoscendo il successo delle sue conferenze di scienze naturali, gli chiese di tenere per lei e per le principesse Augusta e Elizabeth "conversazioni", ovvero lezioni private di botanica e zoologia (vennero tuttavia interrotte dopo pochi anni perché Smith appariva troppo vicino alle idee dei rivoluzionari francesi). Carlotta e le figlie seguivano anche lezioni di illustrazione botanica, impartite da Franz Bauer; la più dotata si dimostrò la principessa Elizabeth (a testimonianza del suo gusto e del suo talento rimangono le ghirlande da lei dipinte nel Queen's Charlotte Cottage di Kew). Una dedica politica? Insomma, almeno per una sovrana, le credenziali della regina Carlotta erano sufficienti per meritarle l'omaggio di un genere onorifico. Ma forse manca ancora un tassello alla nostra storia. Strelitzia reginae ricevette il suo nome ufficiale nel 1789, nel catalogo di Kew Hortus kewensis (curato da Aiton), ma la denominazione era stata creata "ufficiosamente" l'anno prima da Banks nella sua corrispondenza privata, unita a una tavola litografica dipinta da Bauer che ritraeva lo splendido fiore. E il 1788, nella storia dell'Inghilterra, non è un anno qualunque. Nell'estate di quell'anno Giorgio III ebbe il primo grave attacco della malattia mentale che avrebbe devastato la sua vecchiaia; benché fosse in grado di esercitare la maggior parte delle sue funzioni, non poté pronunciare il tradizionale discorso della Corona in occasione della seduta inaugurale del Parlamento. Ne nacque uno stallo istituzionale e uno scontro politico tra i sostenitori del principe di Galles (il futuro Giorgio IV) e il primo ministro William Pitt il giovane, che si tradusse anche in uno scontro tra il principe e la regina, ciascuno dei quali accusava l'altro di aspirare alla reggenza. Insomma, una situazione di tensione che può aver influito sulla mossa di Banks. Certo, la sua posizione era molto solida (era stato eletto presidente della Royal Society nel 1784, era membro di numerose istituzioni scientifiche prestigiose anche all'estero ed era un personaggio riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale); inoltre era un uomo super partes, che aveva sempre evitato di schierarsi né con i tories né con whigts. Tuttavia il suo ruolo "ufficioso" a Kew si basava su una relazione personale con il sovrano che rischiava di interrompersi, se la malattia si fosse aggravata (come in effetti avvenne, ma solo molti anni dopo, nel 1810) e se il principe di Galles, ben poco interessato a piante e giardini, fosse giunto al potere. Dunque, la provvidenziale fioritura della Strelitzia e la dedica alla sovrana proprio quell'anno possono anche essere lette come una conferma della sua devozione alla regina, e indirettamente al re. Tanto più che Banks ebbe cura di sottolineare il valore simbolico di quella dedica. Nel 1814 (all'epoca, il povero Giorgio III era ormai stato dichiarato ufficialmente pazzo ed era stato rinchiuso nel palazzo di Kew, trasformato da residenza di campagna in reclusorio psichiatrico) inviò alla principessa Elizabeth una cartolina con un messaggio adulatorio finemente dipinta da Bauer con fiori simbolici, tra cui spiccano in alto a sinistra una Strelitzia e in basso a destra una Banksia. Inoltre nel 1818 fece approntare a Bauer uno splendido album con tavole litografiche di tutte le specie di Strelitzia allora conosciute (nel frattempo ne erano state scoperte altre), ritratte dal vivo presumibilmente da esemplari delle serre di Kew. Proprio a Kew la regina morì quello stesso anno, precedendo di un anno il marito, ormai cieco e totalmente sprofondato nell'alienazione mentale. Qualche notizia in più nella vita. Strelitzia, attrazione irresistibile Strelitzia è un piccolo genere della famiglia Strelitziaceae, che comprende solo cinque specie, tutte endemiche dell'Africa australe. Sono accomunate dalla curiosa infiorescenza che ricorda la testa di un uccello esotico, con il becco formato da una spata appuntita, e la cresta formata da tre tepali dai colori sgargianti (arancio, giallo o bianco) e da tre petali blu, porpora oppure bianchi. Due sono fusi tra loro formando una struttura che racchiude le antere, mentre alla base del terzo si raccoglie il nettare. Sono un'attrazione irresistibile ai nostri occhi, ma ancora di più a quelli dei colibrì richiamati dai colori vistosi e dalla dolcezza del nettare che suggono con i lunghi becchi ricurvi. Insomma, per i colibrì quei colori sono l'equivalente della rutilante insegna di un fast food. Un'attrazione, comunque, condivisa dagli esseri umani, visto che S. reginae, arrivata come si è visto in Europa a fine Settecento, di lì si è diffusa nei giardini e nelle serre di tutti i paesi a clima caldo, affermandosi anche come una delle star della produzione di fiori recisi, anche grazie alla lunga durata e alla capacità di fiorire durante tutto l'anno. Poco nota fuori del paese d'origine (cioè il Sud Africa) è invece l'altra specie erbacea, S. juncea, con infiorescenze molto simili a quelle di S.reginae, dalla quale si distingue per le foglie strette e allungate, prive di lamina nelle piante adulte, che ricordano un giunco. Sono invece arboree le altre tre specie, che nel portamento e nella forma delle foglie richiamano il banano (con il quale hanno qualche parentela, visto che anche la famiglia Musaceae, cui appartiene quest'ultimo, fa parte dell'ordine delle Zingiberales). La più coltivata è S. alba (anche conosciuta con il sinonimo S. augusta), che può raggiungere i 10 m. Fu la seconda a raggiungere l'Europa; raccolta da Thunberg nel novembre 1773 nei pressi del fiume Pisang (nome locale sia del banano sia della Strelitzia), anch'essa arrivò in Inghilterra grazie a Masson, che la inviò a Kew nel 1789. Come dice il nome, è caratterizzata dai fiori bianchi. Le altre due specie arboree sono S. nicolai, scoperta a metà Ottocento e dedicata al granduca Nikolaj Nikolaevic, terzo figlio dello zar Nicola I, la più diffusa in natura e anch'essa relativamente coltivata nei climi caldi, e S. caudata, con fiori azzurri. Qualche approfondimento nella scheda. Una lettera d'amore nel carteggio di Linneo ha destato qualche pettegolezzo tra i posteri. Un amore indubbiamente fu, ma totalmente botanico e metaforico: grazie ad esso fu generata una figlia che ha perpetuato il nome di una delle prime donne a studiare seriamente le scienze naturali, legandola per sempre a un genere dalle bellissime fioriture, campione di adattamento all'aridità. Una lady al Capo di Buona Speranza Come lamentava l'allievo di Linneo Anders Sparman, la provincia del Capo negli anni '70 del Settecento era ormai diventata "un campo giochi per botanici". Tra i tanti che capitarono in Sud Africa in quegli anni, anche una lady inglese molto nota nella società scientifica britannica, Anne Monson. In viaggio per Calcutta per raggiungere il marito, un militare di stanza in India, si fermò a Cape Town nell'inverno (australe, corrispondente ai nostri mesi estivi) del 1774. Amica di Joseph Banks, non stupisce che a fare gli onori di casa fossero Francis Masson e Carl Peter Thunberg. Quest'ultimo, nel suo resoconto dei viaggi sudafricani, ricorda con ammirazione la colta lady, che se la cavava anche con il latino, che egli accompagnò a visitare diverse fattorie dei dintorni e che aiutò ad arricchire le sue collezione di piante ed insetti. La facoltosa dama aveva anche assunto un disegnatore che la aiutava a disegnare gli esemplari rari. Prima di partire, ricompensò lo svedese donandogli un prezioso anello. A loro volta, i due amici le dedicarono una specie di erica particolarmente bella, Erica monsoniana. Tra gli obiettivi del viaggio dell'intraprendente dama c'era anche vedere dal vivo la pianta che gli era stata dedicata dal grande Linneo in persona, Monsonia speciosa; sicuramente l'avrà vista, dato che Masson proprio quell'anno ne inviò esemplari a Kew, ma è improbabile che ne abbia goduto la fioritura: questa specie, effettivamente endemica del Capo, fiorisce all'inizio della primavera, quando lady Monson era già ripartita per l'India. La storia della dedica della Monsonia è molto curiosa e, si potrebbe dire, romantica. Lady Monson apparteneva alla migliore società britannica (sua madre era addirittura discendente del re Carlo II), ma da giovane era stata protagonista di uno scandalo - un figlio illegittimo seguito da un divorzio - che l'aveva relegata ai margini del bel mondo. Forse come reazione, si era dedicata con passione allo studio della botanica e più in generale delle scienze naturali, entrando in contatto con un importante vivaista, James Lee della Vineyard Nursery. Grande ammiratrice del sistema linneano, secondo la testimonianza di Edward Smith, futuro presidente della Linnean Society, non solo avrebbe incoraggiato Lee a tradurre in inglese la Philosophia botanica di Linneo, ma l'avrebbe aiutato nella traduzione (all'epoca era considerato sconveniente che il nome di una nobildonna comparisse sul frontespizio di un libro a stampa). Il libro, rivolto a un pubblico ampio e uscito nel 1760 con il titolo Introduction of Botany, a firma di Lee, fu determinante per la diffusione delle idee di Linneo in Gran Bretagna. Lady Anne divenne un personaggio influente nell'ambiente dei naturalisti britannici. Non era soltanto una mecenate che sosteneva finanziariamente giardinieri e botanici (ebbe sicuramente questo ruolo nei confronti di Lee, che chiamò sua figlia Anne in onore di lei; la ragazza divenne una celebrata illustratrice botanica e lady Monson le lasciò in eredità la collezione di insetti); fu anche una studiosa, con una preparazione profonda soprattutto in botanica, e una notevole collezionista. Il suo salotto era frequentato da molti bei nomi della Royal Society; fu proprio a un pranzo a casa sua che Solander sentì Banks raccontare dei preparativi del primo viaggio di Cook e si gettò ai suoi piedi, chiedendogli di portarlo con lui. Una lettera d'amore? Grazie a diversi corrispondenti, la fama della gentildonna botanica raggiunse ben presto Linneo. Lo sponsor più convinto fu Clas Alströmer, suo allievo che in quegli anni si trovava a Londra. La sua lettera del 10 luglio 1764 è un vero panegirico: "Lady Monson si è spinta nella conoscenza della botanica molto al di là di ogni altra donna, non in modo superficiale, come è comune nel suo sesso, ma in profondità. Ha belle collezioni dei tre regni della natura. Studia le vostre opere e le conosce bene. La stessa duchessa di Portland non ha un centesimo della sua sapienza. Sarebbe felice se un'erba venisse battezzata Monsonia. Il primo brindisi della sua tavola è sempre in onore di Linneo!". Circostanza confermata da un altro allievo e ospite della dama, Adam Kuhn, che a settembre dello stesso anno scrive: "Mentre gli altri sudditi britannici concludono ogni pranzo con un brindisi al re, lady Monson brinda a Linneo, Re del Regno di Flora". Sensibile all'adulazione, lo scienziato svedese fu lusingato dall'ammirazione di una donna così sapiente, oltre tutto bella e aristocratica; inoltre vedeva di buon occhio lo studio della botanica da parte delle donne, e aveva incoraggiato in tal senso le sue figlie (sia chiaro, al di fuori di ogni studio ufficiale e tanto più accademico). Non solo accolse dunque l'invito di dedicare un genere alla dotta signora, ma lo fece con una lettera sorprendente, una dichiarazione amorosa in piena regola (30 giugno 1765); dopo aver detto che pur non avendola mai incontrata, la vede nei suoi sogni, scrive: "Non è la prima volta che sono infiammato d'amore per un'esponente del bel sesso, ma vostro marito potrà dimenticarsi di me finché non attento al suo onore. Ma chi può ammirare un così bel fiore senza innamorarsene, benché in perfetta innocenza? Infelice il marito la cui moglie piace solo a lui. Vorrei essere felice di vedere il mio amore ricambiato, perciò vi chiederò un solo favore: che mi sia permesso di unirmi a voi nel procreare una piccola figlia che testimoni il nostro amore, una piccola Monsonia attraverso la quale la vostra fama si perpetui per sempre nel Reame di Flora". Per quanto qualcuno abbia favoleggiato di un vero innamoramento di Linneo, non si tratta che di una metafora, conforme a un certo stile galante dell'epoca (e forse la lettera, di cui ci è rimasta solo la bozza, non fu mai spedita). In ogni caso la "piccola Monsonia" nacque. Lady Monson, anche se non corrispose mai direttamente con Linneo, ebbe cura di inviargli esemplari naturalistici, tramite James Lee; anche in Bengala continuò le sue collezioni e fece ritrarre alcune piante da artisti locali, anche se morì pochi anni dopo il suo passaggio in Sudafrica (nel 1776). A ricordarla anche una pianta indiana, l'amaranthacea Trichuriella monsoniae. Nella sezione biografie qualche approfondimento della vita di questa gentildonna, sicuramente eccezionale per i suoi tempi, in cui anche le donne più colte erano relegate al ruolo di dilettanti, non potevano né pubblicare né accedere alle Università o alle società scientifiche. Monsonia, un genere... infiammabile Il genere Monsonia fu creato da Linneo nel 1767 nella dodicesima edizione di Sistema naturae. Inizialmente includeva la sola Monsonia speciosa, un endemismo del Capo di Buona Speranza, ma ben presto, grazie alla solerzia di Masson, si aggiunsero altre specie. Una fu addirittura battezzata M. filia dal figlio di Linneo, Carl jr.: infatti "nasceva" da M. speciosa. Una ben curiosa denominazione, sicuramente dovuta alla suggestione dell'infatuamento paterno, che non mancò di suscitare gli strali di Cavanilles, che gli rimproverò "la leggerezza di confondere somiglianza con filiazione" (per la cronaca, si tratta di un semplice sinonimo di S. speciosa, una specie dalle foglie molto variabili cui in passato furono attribuiti nomi diversi). Monsonia appartiene alla famiglia Geraniaceae, all'interno della quale si distingue per i fiori attinomorfi (ovvero a simmetria radiale), anziché zigomorfi (a simmetria bilaterale) e per il numero di stami (15 anziché 10). Comprende una trentina di specie, buona parte delle quali sono endemismi sudafricani, mentre poche specie sono presenti nell'Africa orientale, nel Sahara, nella penisola arabica e nell'Asia sudoccidentale, fino al Pakistan e all'India. Da quando nel 1826 de Candolle creò la sezione Sarcocaulon, presto elevata a genere, i botanici si sono divertiti ad allargarne e a restringerne i confini. Oggi, gli studi filogenetici hanno definitivamente confermato che Monsonia include Sarcocaulon, dividendo il genere in due gruppi: da una parte il gruppo Monsonia in senso stretto con erbacee annuali e perenni, dall'altra il gruppo Sarcocaulon con arbustive legnose. Proprio a quest'ultimo appartengono le specie più note e ambite dai collezionisti; tutte provenienti da zone semidesertiche (Sud Africa, Namibia, Angola), esse si sono mirabilmente adattate alle condizioni proibitive in cui vivono. Il fusto legnoso, talvolta semisucculento, spesso con forme contorte e affascinanti, funge da riserva; per quasi tutto l'anno, è privo di foglie, che spuntano dopo la prima pioggia o in caso di dense nebbie, seguite da splendide fioriture con fiori a cinque petali dai colori delicati che contrastano con il fusto tozzo, irregolare e spesso spinoso. Se la siccità si protrae, possono benissimo vegetare alcuni anni senza fiorire e senza emettere foglie. In alcune specie, i rami sono ricoperti di una sostanza cerosa, altamente infiammabile, che li protegge dall'eccessiva evaporazione. Un tempo erano usate come esca per accendere il fuoco (da cui i nomi afrikaans boesmankers e inglese bushman's candle). Altri approfondimenti nella scheda. Quanti nomi per la stessa pianta! cedrina, limoncina, limonaria, ma anche erba Luigia, Maria Luisa... Ma chi è questa Maria Luisa? Niente meno che Maria Luisa di Borbone Parma, prima amata principessa delle Asturie, poi chiacchieratissima regina di Spagna. E andiamo a conoscere anche il marito Carlo IV e tre generi tre: Aloysia, Carludovica, Ludovia. Una principessa tra i fiori Dalla cornice di un quadro di Raffaello Mengs ci guarda con un tenue sorriso una graziosa damina del Settecento; alle sue spalle un'urna fiorita e alberi verdi; nella mano destra due garofani; addosso un vestito costellato di fiori. Questa principessa dei fiori è Maria Luisa di Borbone Parma, all'epoca (aveva solo sedici anni) principessa delle Asturie, ovvero moglie dell'erede al trono di Spagna. Quasi non si può credere che, divenuta adulta e regina, sia esattamente l'altera megera di tanti quadri di Goya che le hanno guadagnato la fama di essere la più brutta regina di Spagna (e, come scopriremo, forse la più odiata). Non ci guarda invece il marito Carlo delle Asturie, futuro Carlo IV, quasi assorto in sé, che ha voluto essere ritratto dal celebre pittore tedesco in vesti di cacciatore, appoggiato a un fucile e accompagnato da un cane da caccia. Lo sfondo è lo stesso: un verdissimo paesaggio di alberi e acque, ovvero il parco reale d'Aranjuez che in quegli anni il giovane principe stava profondamente ristrutturando. Un parco per il principe Alla rigida etichetta di corte, i principi delle Asturie preferivano i più liberi soggiorni in dimore di campagna, le casitas; la più amata di tutte era nella residenza reale di Aranjuez, dove fin dalla fondazione della dinastia Borbone la corte trascorreva i mesi primaverili. Carlo volle trasformare una grande area del parco secondo la moda del giardino paesaggistico all'inglese seguendo personalmente i lavori dalla Casita del Labrador. Il risultato fu l'immenso Jardìn del Principe (in realtà, un insieme di otto giardini con un diametro di 7 km e 150 ettari di estensione), ricco di essenze vegetali pregiate, fontane, viali alberati, un stagno con un padiglione cinese, rocce artificiali e cascatelle, una "montagna russa" artificiale e numerosi piccoli edifici (fabricas) secondo la moda del tempo. Iniziati nel 1775, i lavori si protrassero fino al 1793, quando Carlo era orami asceso al trono. Insomma, valeva la pena per i botanici spagnoli ingraziarsi un mecenate che, oltre a essere erede al trono, aveva dimostrato un certo interesse per le cose naturali (fin da ragazzo aveva una grande collezione di volatili, sia vivi nelle uccelliere sia impagliati); la strada più diretta per arrivare a Carlo era l'amata moglie Maria Luisa. Fu così che nel 1779 (ma la specie sarà pubblicata ufficialmente solo nel 1784) Antoni Palau y Verdera, titolare della seconda cattedra di botanica all'orto botanico di Madid, onorò la principessa denominando Aloysia (corrispettivo latino di Luisa) una profumatissima pianta da poco introdotta dal Sud America. Di conseguenza, essa cominciò ad essere chiamata hierba de la princesa, "erba della pincipessa" o semplicemente Maria Luisa. All'epoca, la principessa era ancora popolare tra gli spagnoli: educata in Italia, disinvolta e, seppur non bella, dotata di un certo charme, aveva interrotto la secolare reclusione delle principesse e delle sovrane spagnole che non lasciavano mai le residenze reali per mostrarsi frequentemente in pubblico, divenendo così una figura nota e amata. Spedizioni botaniche e un genere di coppia Erano anni di grande dinamismo per la scienza spagnola. Nel 1774, il re Carlo III aveva ordinato il trasferimento dell'Orto botanico dalla vecchia, limitata area di Migas Calientes, al Paseo del Prado, nell'ambito di una vera e propria cittadella della scienza (costituita dal giardino botanico stesso, da un osservatorio e da un museo, che diverrà il Museo del Prado). A dirigerlo era Casimiro Gómez Ortega, di cui Palau era il suo braccio destro; i lavori, lunghi e impegnativi, si protrassero fino al 1781; in questo contesto, è chiara l'importanza del favore dell'erede al trono e della sua consorte. Gli anni finali del regno di Carlo III si segnalarono anche per il vigore con il quale furono intraprese grandi spedizioni botaniche in Sud America, intese sia alla conoscenza della flora latinoamericana, con tutto il suo potenziale economico, sia all'arricchimento delle collezioni del Real Jardin Botanico del Prado (sull'esempio dei Kew Gardens). Se ne susseguirono ben tre: la Real Expedición Botánica al virreinato de Perú (che comprendeva anche il Cile), protrattasi dal 1778 al 1788; la Real Expedición Botánica a Nueva Granada (ovvero in Colombia), dal 1782 al 1808; la Real Expedición Botánica a Nueva España (ovvero in Messico), dal 1787 al 1803. Come si vede, a parte la prima, le spedizioni si prolungarono nel corso del regno di Carlo IV, che divenne re nel dicembre del 1788, otto mesi prima della Rivoluzione francese che ne condizionò pesantemente le vicende, fino a portare nel 1808 alla sua abdicazione, alla prigionia in Francia e all'esilio. Vittima di queste avverse circostanze fu anche la fama di Maria Luisa: accusata di dominare totalmente l'imbelle marito, odiata per il suo supposto orientamento filofrancese, le venne cucita addosso una tenace leggenda nera; le si attribuì come amante il detestato ministro Godoy (che sarebbe giunto al potere passando attraverso il suo letto) e addirittura l'avvelenamento di una nuora con cui non andava troppo d'accordo. Ma lasciamo queste miserie (gli storici sono divisi, ma oggi la maggioranza ritiene che queste accuse siano menzogne costruite a bella posta dalla variegata opposizione all'ondivaga politica filofrancese di Godoy) per tornare alla botanica. Nel 1788, al rientro dalla spedizione in Perù, Hipólito Ruiz e José Pavón si accinsero a pubblicare l'enorme massa di nuove piante raccolte nel viaggio; avevano tanti nuovi generi da battezzare, e ne elargirono a destra e a manca a studiosi, benefattori, politici del momento. Potevano forse mancare il re e la regina? Ed ecco che nel 1794, in Prodromos de la Flora de Perù y Chile, battezzarono in onore di entrambi il genere Carludovica. Del resto, gli sfortunati sovrani spagnoli, almeno dal punto di vista della protezione della scienza (e delle arti: è noto che furono i mecenati di Goya) dimostrarono che l'omaggio non era mal riposto: nonostante le enormi difficoltà dei tempi, durante il loro regno proseguirono le spedizioni scientifiche già in corso e altre ne vennero varate: la Expedición Malaspina (1789-1804) lungo le rotte del Pacifico, la Real Expedición Filantrópica de la Vacuna (1803-1805), che si proponeva di diffondere la vaccinazione antivaiolosa in ogni area dell'impero spagnolo. Inoltre Carlo e Maria Luisa nel 1799 ricevettero (proprio a Aranjuez, la loro residenza preferita) Humboldt e gli concessero i permessi per la sua spedizione scientifica in Sud America (fino ad allora vietata agli studiosi stranieri, a meno che fossero al servizio della corona spagnola). Una sintesi della vita di Maria Luisa e di Carlo IV nella sezione biografie. Aloysia, Carludovica e... Ludovia Ma c'è ancora una storia da raccontare. Ruiz e Pavon avevano stabilito il genere Carlodovica sulla base di quattro specie raccolte in Perù, che avevano assegnato alla famiglia delle palme. Il botanico Persoon fece notare che il nome era un po' troppo lungo e propose di abbreviarlo, adottando la forma Ludovia. Kunth, nella sistemazione delle specie sudamericane frutto della spedizione di Humboldt, respinse l'idea, rilevando che non si trattava di Palmae, ma piuttosto di Araceae. A metà Ottocento, P.A. Poteau ne scoprì due nuove specie in Guyana; su questa base, unendole a una delle specie di Ruiz e Pavon, nel 1861 Brongniart creò un nuovo genere, battezzato Ludovia recuperando quella vecchia proposta. Così, anche se in modo indiretto, anche esso è venuto ad aggiungersi ai generi battezzati in onore di Maria Luisa e Carlo. I tre generi hanno un punto in comune: si tratta di piante americane, per lo più sudamericane (tranne quattro specie di Aloysia, che vivono nel Sud degli Stati Uniti e in Messico; gli altri due generi hanno come limite settentrionale il sud del Messico). Aloysia appartiene alla famiglia Verbenaceae ed è un genere chiacchierato quasi come la sua dedicataria. Nel corso della sua storia ormai più che bicentenaria è stato ora cancellato, ora ripristinato, in particolare facendolo rientrare in Lippia, tanto che la specie più conosciuta, Aloysia citriodora è forse più nota con il vecchio sinonimo Lippia citriodora. Tuttavia le revisioni più recenti delle Verbenaceae, supportate dalle indagini filogenetiche, confermano la sua indipendenza. Il genere comprende una trentina di specie, tutte americane, distribuite dalla fascia temperata a quella subtropicale; sono arbusti aromatici con fiori non aggregati in infiorescenze capitate compatte come in Lippia, ma in racemi allungati con gruppi di fiori ben spaziati tra di loro. La più nota è ovviamente la profumatissima cedrina, la maria luisa da cui siamo partiti. Qualche informazione in più nella scheda. Dopo una pianta a tutti familiare, veniamo ai due interessantissimi generi Carludovica e Ludovia. Entrambi appartengono alla piccola famiglia delle Cyclantaceae, un gruppo di Monocotiledoni con qualche affinità con il pandano, diffuse nelle foreste pluviali centro e sudamericane. Come dimostrano le loro vicissitudini tassonomiche, a prima vista possono essere confuse con le palme (questo vale in particolare per Carludovica), ma hanno fiori a spadice che assomigliano a quelli delle Araceae, da cui si distinguono per i lunghi filamenti sterili che in alcune specie sembrano quasi una massa di spaghetti. Carludovica è il genere più noto della famiglia; comprende quattro specie, distribuite tra il Messico meridionale e la Bolivia. Sono grandi piante erbacee con imponenti ciuffi di foglie a ventaglio profondamente incise che a uno sguardo distratto richiamano la kenzia. La specie più comune è C. palmata; le sue foglie giovani vengono utilizzate per fabbricare i cappelli di panama. Di grande valore decorativo, sono talvolta commercializzate da vivai specializzate in palme. Cenni alle quattro specie, all'habitat e alla distribuzione nella scheda. Ludovia comprende invece tre specie di distribuzione più meridionale (dal Messico fino al Brasile), che si arrampicano anche a diversi metri d'altezza sugli alberi della foresta pluviale grazie alle radici aeree; sono semi-liane epifite con lamina fogliare intera e spadice più o meno cilindrico, avvolto in una brattea. Rimando alla scheda per le poche informazioni che sono riuscita a reperire su questo genere ancora poco noto. Da giovane avventuriero, ricchissimo e fin troppo spavaldo, a grande patrono della scienza britannica. E' questo il cammino di Joseph Banks, colui che trasformò i giardini reali di Kew nel più importante orto botanico del mondo, "una casa di scambio botanico per l'impero", come egli stesso la definì. E il genere Banksia, uno dei tanti da lui scoperti insieme all'amico Solander esplorando l'Australia orientale durante il mitico viaggio dell'Endeavour, rende giustamente omaggio a questo personaggio decisivo nella storia della botanica. Prima vita: Banks l'esploratore Joseph Banks ebbe la ventura di unire nella sua biografia due figure apparentemente inconciliabili: in gioventù l'esploratore ardito, con una buona dose di arroganza datagli dalla ricchezza e dai contatti altolocati; nella maturità e nella vecchiaia, il confidente del re, il patrono delle scienze britanniche, il direttore in pectore dell'Orto botanico più importante del pianeta, l'uomo super partes e l'organizzatore di mille diverse imprese, non solo scientifiche. La distanza tra questi due personaggi è ben incarnata dai suoi due ritratti più celebri: quello dipinto da Reynolds nel 1772, un anno dopo il suo rientro dalla circumnavigazione del globo, e quello eseguito da Phillips, nel 1810. Il giovanotto spavaldo, avvenente, sicuro di sé, il maschio eroe che domina il mondo (simboleggiato dal mappamondo), il giovane leone in momentaneo riposo in quarant'anni si è trasformato in un placido elefante (la definizione è di Boswell), un obeso uomo dell'establishment con il petto ornato di onorificenze. Intatti sono rimasti la calma sicurezza, l'eleganza e la distinzione, ma soprattutto lo sguardo pieno di intelligenza. Un'intelligenza che Banks in effetti seppe pienamente dispiegare nella sua lunga vita prima di esploratore e ricercatore sul campo, poi di grande organizzatore e padre fondatore della moderna botanica britannica. Rimasto presto orfano ed erede di un'immensa fortuna, anziché sperperarla nel gioco d'azzardo, nelle bevute e nelle avventure erotiche, secondo il cliché del giovane aristocratico alla Hogarth, la mise al servizio delle scienze naturali di cui si appassionò fin da ragazzo. Nel 1766, a ventitré anni, invece di partire per il Grand Tour come era uso tra i rampolli delle famiglie altolocate ("lo fa qualsiasi imbecille", pare abbia detto) si imbarcò sulla nave Niger - il secondo ufficiale era Constantine Phipps, suo compagno a Eton - alla volta del Labrador e di Terranova. Raccolse diverse specie di piante e animali, in parte ignoti alla scienza, che al suo ritorno pubblicò (uno tra i primi in Inghilterra) seguendo la classificazione linneana. A Terranova incontrò anche brevemente il futuro capitano Cook. In tal modo, questo viaggio gettò le basi della partecipazione alla grande spedizione dell'Endeavour, con la nomina ufficiale a botanico della spedizione da parte della Royal Society. Come si è visto nel precedente post, egli vi contribuì ampiamente di tasca propria, sia allestendo un costoso e aggiornato equipaggiamento di strumenti e materiali sia stipendiando i membri della sua équipe scientifica. Secondo una dichiarazione di Solander, avrebbe investito nell'impresa non meno di 10000 sterline. Al suo ritorno in Inghilterra nel luglio 1771, divenne l'eroe del giorno. Ad agosto lui e Solander furono ricevuti dal re e ad ottobre l'università di Oxford concesse ad entrambi la laurea honoris causa. Immediatamente, Banks incominciò a fare progetti per partecipare al secondo viaggio di Cook, con la nave Resolution. In occasione del primo viaggio, si era sportivamente adattato alle ristrettezze della vita di bordo (la sua cabina era grande pressappoco come un armadio, e se c'era qualche verme nel cibo, si limitava a eliminarlo - dove averlo studiato, s'intende), ma per il secondo voleva fare le cose in grande. L'équipe scientifica doveva comprendere non meno di dodici persone, attrezzature e alloggiamenti dovevano essere adeguati alla nobiltà dell'impresa. Riuscì a convincere l'ammiragliato a trasformare la nave secondo le sue esigenze; appena vide quel mostro galleggiante, Cook andò su tutte le furie, dimostrando che le modifiche compromettevano le capacità di navigazione. Nonostante le conoscenze altolocate, questa volta Banks dovette cedere: le sovrastrutture furono smantellate e la nave partì senza di lui. Seconda vita: Banks l'organizzatore Dopo un viaggio di consolazione nelle Ebridi e in Islanda, seguito l'anno dopo da una visita all'Olanda e da un tour nel Galles con l'amico Solander, Banks incominciò ad abbandonare i panni dell'esploratore per trasformarsi in organizzatore. Nel 1772 il re Giorgio III - così appassionato di piante da guadagnarsi il soprannome di "Giorgio l'agricoltore" - aveva ereditato dalla madre i giardini di Kew; decise di unirli a una tenuta reale che sorgeva nella stessa località e ne affidò informalmente la direzione a Banks; l'incaricò sarà formalizzato solo nel 1797. Convinto assertore del ruolo imperiale della Gran Bretagna, Banlks volle trasformare Kew in "una grande casa di scambio botanico per l'Impero". A tal fine creò una rete di contatti che includeva scienziati europei e americani, capitani di navi, funzionari coloniali di ogni livello. Ispirandosi al modello degli apostoli di Linneo, convinse la Royal Navy a imbarcare almeno un naturalista su ogni nave che compisse viaggi di esplorazione e molti capitani di vascello gli procurarono esemplari di piante e animali. Il bottino più ricco fu assicurato tuttavia dai "cacciatori di piante" al servizio di Kew, assunti da Banks e pagati dal re: la serie sarà inaugurata da Francis Masson, che quello stesso anno si imbarcò proprio sulla Resolution, la nave di Cook, alla volta del Sud Africa. Le mete spaziarono dall'Africa all'India, dalla Cina ai Caraibi e, ovviamente all'Australia. E' stato calcolato che nel periodo di Banks e Giorgio III siano state introdotte in Gran Bretagna circa 7000 nuove specie. Una seconda tappa decisiva della carriera scientifica di Banks fu nel 1778 la nomina a presidente della Royal Society, una carica prestigiosa che mantenne per oltre quarant'anni. In questa veste, poté organizzare direttamente imprese scientifiche come i due viaggi di Bligh finalizzati a trasferire l'albero del pane da Tahiti ai Caraibi (1787-90 e 1791-93), la grande spedizione di George Vancouver (1791-94), la mappatura geologica dell'Inghilterra da parte di William Smith. Egli giocò poi un ruolo importante nella colonizzazione dell'Australia, di cui si sentiva il patrono naturale, con la creazione della colonia del Nuovo Galles del Sud; ne seguì sempre da vicino lo sviluppo, mantenendo una stretta corrispondenza con diversi governatori e influenzandone le scelte politiche; il suo consiglio fu determinante nella scelta di Botany Bay come sede della colonia penale australiana. Fu sempre su sua iniziativa che vennero introdotte in Australia le pecore merino dalla Spagna. La sua casa di Soho Square (vi si era trasferito nel 1776 proprio per assicurare una sede adeguata ai suoi erbari e alla biblioteca) divenne il cuore della vita sociale e scientifica londinese, un luogo che doveva necessariamente essere visitato da ogni uomo colto che giungesse a Londra. La sua biblioteca (curata successivamente da Solander, Dryander, Brown) divenne la più importante d'Europa per le scienze naturali. Convinto assertore dell'internazionalizzazione della scienza, non solo coltivò intense relazioni con scienziati di molti paesi, ma durante la Rivoluzione americana e le guerre napoleoniche mantenne rapporti epistolari con i corrispondenti "nemici" (incluso Benjamin Franklin) e si batté perché la ricerca scientifica potesse proseguire, libera dai condizionamenti politici. Ad esempio, nel 1779 si rivolse proprio a Franklin perché gli americani garantissero l'immunità a Cook, impegnato nel suo terzo viaggio; nel 1796, quando la Royal Navy catturò la nave che trasportava la raccolta del botanico francese Labillardière, si impegnò perché fosse restituita ai francesi, giurando sul suo onore di botanico di non avergli neppure gettato uno sguardo. Membro di molte società scientifiche internazionali, fu all'origine di due istituzioni di grande prestigio: fu tra i soci fondatori della Linnean Society, creata nel 1788 dopo che l'amico James Edward Smith aveva acquistato dalla vedova di Linneo le collezioni del grande naturalista svedese, allo scopo di preservare e studiare quei preziosi materiali; fu uno dei sette fondatori della Horticultural Society, futura Royal Horticultural Society, nata nel 1804. Qualche approfondimento nella biografia. Il favoloso genere Banksia Già durante la sua vita Banks ricevetti molti onori; nel 1781 il re lo nominò baronetto e nel 1797 membro del Consiglio Privato, cavaliere dell'Ordine del bagno nel 1795 e cavaliere Gran Croce nel 1815. Diversi luoghi del Pacifico meridionale portano il suo nome: la penisola Banks nell'isola meridionale della Nuova Zelanda; le isole Banks nell'arcipelago delle Vanuatu; lo stretto di Banks, tra la Tasmania e le isole Furneaux; l'arcipelago Sir Joseph Banks Group nell'Australia meridionale. Gli sono stati dedicati anche un sobborgo di Canberra e uno di Sidney. Non mancano omaggi bizzarri, come il nome di un tipo di chip di cassava, i "Sir Joseph Banks Cassava chips" (in effetti, fu tra i primi a far conoscere la cassava in Europa). Circa 80 specie di piante e molti animali lo ricordano nel nome specifico: tra le prime, la Grevillea banksii, tra i secondi lo splendido cacatua dalla coda rossa, Calyptorhynchus banksii. Si tratta ovviamente di specie scoperte durante il grande viaggio dell'Endeavour, proprio come il genere che lo celebra, Banksia, che gli fu dedicato nel 1782 dal figlio di Linneo. Tra le eccitanti nuove scoperte di Banks e Solander a Botany Bay, figuravano quattro specie del futuro genere Banksia: B. serrata, B. ericifolia, B. integrifolia e B. robur; una quinta specie, B. dentata, fu invece raccolta durante la forzata sosta alla foce dell'Endeavour River. Il genere Banksia, della famiglia Proteaceae, comprende una ottantina di specie, tutte australiane ad eccezione proprio di B. dentata, che è l'unica a spingersi dall'Australia settentrionale fino alla Nuova Guinea e alle isole Aru. La massima biodiversità si ha nell'Australia occidentale, dove si concentrano una sessantina di specie. Sono molto variabili per dimensioni, andando dal mezzo metro di B. prostrata ai 25 m e oltre delle specie arboree, come B. integrifolia. Molto variabili sono ugualmente gli habitat, che vanno dalla macchia alle foreste xerofite e pluviali. Pianta molto caratteristica per le grandi infiorescenze a cono (ciascuna delle quali contiene centinaia o a volte migliaia di fiori), gioca un ruolo ecologico molto importante grazie all'abbondantissima produzione di nettare. Fin dalla fine del Settecento, diverse specie hanno attirato l'attenzione dei giardinieri e sono state introdotte nei giardini e nei parchi, sia per le foglie attraenti (che variano molto per forma e caratteristiche) sia soprattutto per le vistose spighe fiorali. I coni appassiti hanno addirittura ispirato alla scrittrice australiana per l'infanzia la terrificante figura dei Big bad Banksia man, i "malvagi grandi uomini Banksia". Altre notizie su questo affascinante genere nella scheda. Non direttamente a Banks, ma a sua moglie lady Dorothea è stata dedicata invece la cinese Rosa banksiae. L'omaggio si deve a William Kerr, uno dei cacciatori di piante di Banks che fu inviato in Cina nel 1804 e fu il primo giardiniere professionista europeo a esplorare la flora del Celeste impero. Anche se le sue speranze di una nuova era per la scienza svedese si riveleranno infondate, Linneo volle ringraziare il re Gustavo III per il dono della collezione naturalistica del Suriname dedicandogli la pianta più bella della raccolta: Gustavia augusta, un dono regale dalla bellezza e dal profumo di paradiso. Il despota illuminato assassinato a un ballo in maschera Come ben sanno gli appassionati di opera lirica, la vicenda del Ballo in maschera di Verdi è ispirata all'assassinio del re di Svezia Gustavo III, avvenuto nel 1792; la censura borbonica, allarmata dalla rappresentazione di un regicidio, obbligò compositore e librettista a trasferire la storia nell'America coloniale e a trasformare il re di Svezia in un improbabile governatore di Boston. Gustavo III è un personaggio importante e discusso della storia svedese, che segnò profondamente con le sue scelte politiche e culturali. Salito al trono nel 1771, l'anno successivo con un colpo di stato mise fine alla cosiddetta "Epoca della libertà" (1720-1772), restaurando l'assolutismo monarchico; nel periodo precedente, il re di Svezia era di fatto privo di potere, mentre le decisioni erano prese dal Consiglio della corona e dalle assemblee degli stati. Da quel momento governò secondo i principi del dispotismo illuminato: introdusse riforme economiche e giuridiche volte a contrastare la corruzione; concesse la libertà religiosa e una limitata libertà di stampa; rilanciò la potenza militare del paese; promosse il teatro, la musica, l'architettura (creando lo stile gustaviano che fonde rococò e neoclassicismo). Inizialmente la società svedese - in particolare i piccoli proprietari terrieri e la borghesia - vide con favore la politica dell'energico monarca, che a molti sembrava preferibile alla corruzione e all'immobilismo del Parlamento, paralizzato dai conflitti tra i "berretti" filorussi e gli aristocratici "cappelli" filofrancesi. Più tardi, la determinazione di Gustavo a governare senza il parlamento, le eccentricità della sua vita privata, le spese crescenti e una politica estera sempre più avventurosa, che sfociò nel conflitto con la Russia del 1788-90, fomentarono una crescente opposizione, fino alla congiura aristocratica in cui doveva perdere la vita. Tra gli ammiratori di Gustavo III va certamente annoverato anche Linneo. Egli non si interessava di politica, ma parlando con i suoi allievi espresse il rammarico di non poter vedere il radioso futuro che si preparava per la scienza svedese. Conosceva bene il nuovo sovrano fin da ragazzo: negli anni '50 era stato uno dei suoi tutori e gli aveva impartito lezioni di storia naturale; negli anni '70, collaborò con lui alla gestione dell'Università di Uppsala, di cui Gustavo era Cancelliere e Linneo rettore; in questa veste, ottenne l'assenso all'acquisto di alcune opere molto costose. Dunque non fu né per prudenza (Linneo era un monumento nazionale che poco poteva avere da temere dalla svolta autoritaria di Gustavo) né per piaggeria che nel 1775 in Plantae Surinamenses gli dedicò la pianta più bella della collezione del Suriname donata da Gustavo all'Università: la spettacolare Gustavia augusta. Tuttavia le speranze di Linneo - e di molti suoi connazionali - non erano così fondate. Dopo la morte di Linneo stesso (1778) e di Wargentin (1783), segretario dell'Accademia Svedese delle Scienze e direttore dell'Osservatorio Astronomico di Stoccolma, la scienza svedese incominciò a perdere il ruolo centrale che aveva acquisito in Europa nel cinquantennio precedente. Emblematica è la vicenda delle collezioni linneane: messe in vendita dalla vedova dopo la morte precoce del figlio Carl junior, nel 1784 furono acquistate da James Edward Smith e trasferite a Londra. Gustavo III espresse il suo rammarico, ma non fece nulla di concreto per trattenere i preziosi materiali in Svezia. Quasi per fare ammenda, nel 1787 su richiesta di Thunberg donò all'Università di Uppsala il giardino del castello reale e altri terreni per ampliare l'orto botanico, accollandosi le spese; volle partecipare di persona alla cerimonia di inaugurazione, che avvenne nella massima solennità con lo sparo di 128 salve di cannone. Al centro degli interessi culturali del re, d'altra parte, erano soprattutto la letteratura, il teatro, la musica, tanto che nel 1786 egli fondò, sul modello dell'Acadèmie Française, l'Accademia di Svezia, la prestigiosa istituzione che ogni anno assegna il Nobel della letteratura. Gustavo stesso avrebbe invece potuto concorrere al premio IG-Nobel: nel 1771, al fine di verificare se il caffè e il tè fossero dannosi alla salute, promosse un esperimento utilizzando come cavie due gemelli monozigoti. Si trattava di due delinquenti condannati a morte; la pena fu commutata all'ergastolo, con l'obbligo per uno di bere ogni giorno tre tazze di tè, per l'altro tre tazze di caffè. L'esperimento fu seguito da due medici; il primo a morire fu il bevitore di tè (nel 1792, a 83 anni), ma lo avevano già preceduto entrambi i medici e lo stesso re, morto, come si è ricordato all'inizio, in seguito a un attentato durante un ballo in maschera. Approfondimenti sulla sua vita nella biografia. La regale Gustavia Il genere dedicato da Linneo al suo re è indubbiamente degno di un sovrano. Gustavia, rappresentante della piccola famiglia delle Lecythidaceae, comprende una quarantina di specie di alberi e arbusti tropicali, endemici del centro e sud America. Bastano i nomi assegnati ad alcuni generi per evocarne la bellezza fastosa: Gustavia augusta, G. speciosa, G. superba... A renderli spettacolari sono i grandi fiori con una vistosa corolla dai petali carnosi con al centro una corona di stami; la forma ricorda il loto, tanto da aver guadagnato alla Gustavia il nome inglese di Heaven Lotus tree, "albero di loto del Paradiso". I fiori emanano un profumo dolce e delicato; delicatissimi anche i colori, che vanno dal bianco appena toccato di rosa al rosa carico. Curioso è anche il portamento della pianta, con un ciuffo di foglie sulla cima dell'unico tronco o, nella piante mature, dei pochi tronchi, tanto che da lontano possono ricordare una palma. Molte specie di Gustavia sono endemismi di piccole aree delle foreste tropicali umide o aride e a causa della fragilità degli ecosistemi in cui vivono sono a rischio; tuttavia alcune, in particolare la più nota G. superba, sono abbondanti nelle foreste secondarie, da Panama all'Ecuador. Per la bellezza delle fioriture, inoltre, sono state introdotte come piante ornamentali in altre zone tropicali, soprattutto in Asia e Oceania. Altre informazioni nella scheda. La città francese di Rochefort, sulla costa Atlantica, offre al turista due attrazioni da non perdere: il grande edificio della Corderie Royale, al centro dell'Arsenale militare voluto da Luigi XIV, e il Conservatoire du Begonia, che vanta la più importante collezione di begonie d'Europa. Tra di esse c'è un legame: Michel Bégon, ri-fondatore della città e patrono del genere Begonia. Un porto e un arsenale per il Re Sole La Francia del Re Sole non possedeva una flotta all'altezza delle altre potenze europee, dalla Spagna all'Inghilterra ai Paesi Bassi. Il re chiese dunque al superministro Colbert di costruire un grande porto militare dotato del "più grande e più bell'arsenale d'Occidente". La scelta cadde su un'area paludosa in un'ansa della foce del fiume Charente, che garantiva l'accesso al mare ma anche una posizione facilmente difendibile. Nel 1666 nasce così Rochefort. Quando Michel Bégon (1638-1710) vi approda, nel 1688, l'arsenale è operativo da pochi anni, ma resta ancora molto da fare. Su sua iniziativa vengono riedificati in pietra i quartieri abitativi, fino ad allora occupati da baracche di legno; inoltre opere di canalizzazione rendono più salubre l'abitato, infestato dalla malaria. Come ricorda il suo epitaffio, "Trovò questa città nascente in legno, la lasciò di pietra". Bégon, appassionato collezionista e cultore di botanica, ha fitti rapporti epistolari con scienziati, come Plumier o Tournefort che aveva conosciuto quando era intendente delle galere di Marsiglia. Anche grazie al suo impulso, Rochefort diventa la base di partenza delle spedizioni naturalistiche, che incominciano a infittirsi alla fine del XVII secolo. La città è il porto d'arrivo delle piante esotiche che arrivano dalle America, dall'Asia e dall'Africa, come ci ricorda il suggestivo nome di "Jardin des Retours" (Giardino dei ritorni) con il quale è stato battezzato il parco che circonda la Corderie royale (inaugurato nel 1991). Altre notizie su Bégon, sicuramente un personaggio interessante al di là dei suoi meriti botanici, nella sezione biografie. Rochefort, capitale mondiale della Begonia Ma veniamo alla Begonia, di cui Rochefort si proclama la "capitale mondiale". Intorno al 1690, rientrato a Rochefort dal suo primo viaggio nelle Antille Charles Plumier dedica all'intendente della città la Begonia flore roseo folio orbiculare (oggi Begonia rotundifolia). In tal modo il frate paga un debito di riconoscenza: era stato proprio Bégon, in quel momento Intendente delle galere di Marsiglia, a fare il suo nome come botanico e disegnatore della spedizione nelle Antille. Inoltre l'uomo politico ben conosceva le isole, di cui era stato Intendente negli anni 1682-83. Botanofilo, si era interessato della flora locale e ne aveva redatto un catalogo. Passano i secoli e Rochefort sembra dimenticarsi della Begonia; in Francia il fiore non è molto di moda. Fa eccezione una straordinaria figura di coltivatore. Negli anni '60 del Novecento, il giardiniere Vincent Millerioux, specializzato in piante tropicali, incomincia a coltivare e collezionare begonie, mettendo a punto un substrato specifico. Quando nel 1985 cessa l'attività, la sua collezione, che comprende 400 tra specie e ibridi, rischia di essere dispersa; la città di Rochefort decide di acquisirla. Le circa 200 talee che arrivano nel 1986 saranno il primo nucleo del Conservatoire du Begonia che vanta oggi circa 1500 esemplari, 500 specie e 1000 ibridi. A partire dal 1988, le begonie trovano casa in una magnifica serra alla periferia della città, indovinate a quale indirizzo? in rue Charles Plumier n. 1! Nella gallery potete vedere alcune fotografie scattate in un afoso e indimenticabile pomeriggio del luglio 2011. Non mancate almeno una visita virtuale al sito del Conservatoire. Nella sezione schede notizie e curiosità sul genere Begonia. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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