Per accattivarsi il favore di sovrani, uomini politici e potenti, da cui dipendevano finanziamenti e incarichi prestigiosi, i botanici sono stati prodighi di dediche di generi, spesso scelti tra i più vistosi. Non fa eccezione neppure Napoleone, che anzi ha collezionato ben tre dediche. Ad aprire la lista sono gli spagnoli Ruiz e Pavón che già nel 1802 intitolano all'allora primo Console Bonapartea. Niente di strano: i due non andavano tanto per il sottile con le dediche, e le elargirono generosamente ai potenti di turno, adattandosi di volta alla linea politica del momento; all'epoca, la monarchia spagnola era alleata con la Francia e si trattava di ingraziarsi, più ancora che lo stesso Napoleone, il ministro filofrancese Godoy (lui stesso dedicatario di Godoya). Nel 1804, l'anno in cui Bonaparte si autoincorona imperatore, arriva un omaggio ben più sorprendente: il botanico Palisot de Beauvois, un nobile vittima della rivoluzione, battezza pomposamente Napoleonaea imperialis un singolare alberello da lui scoperto in Africa. Il personaggio è tale che la dedica non può essere liquidata come plateale adulazione, e vale la pena di approfondire. Non stupisce (tranne che nel nome) che lo stesso anno Ventenat, che al momento era nel libro paga di S. M. l'Impératrice, abbia voluto metterci anche del suo con Calomeria. E poi, tutto sommato, i meriti di Napoleone agli occhi degli scienziati, inclusi i botanici, non erano pochi. Un'adulazione smaccata? Il due dicembre 1804, con un gesto clamoroso, Napoleone Bonaparte incoronò se stesso Imperatore dei francesi. Culminava così un lungo processo, iniziato il 18 maggio, quando il Senato aveva mutato la costituzione trasformando la Repubblica in impero ereditario; immediatamente dopo la decisione era stata sancita dal plebiscito i cui risultati furono proclamati il 6 novembre: risultati ovviamente... plebiscitari, con 99,76% di voti favorevoli e solo 2569 contrari. In mezzo a queste date, il botanico Ambroise Marie François Joseph Palisot de Beauvois allestì la sua personale corona per Napoleone: una corona di petali (o almeno luio credeva così), quelli di una pianta che aveva raccolto in Africa. Dopo averla preannunciata in una seduta dell'Institut de France di ottobre, pubblicò scoperta e dedica verso la fine di dicembre, a incoronazione avvenuta, nell'opuscolo Napoléone impériale: Napoleonaea imperialis. E' una esplicita scelta di campo, dal significato eminentemente politico; il sottotitolo "Primo genere di un nuovo ordine di piante: le Napoleonée" non lascia dubbi. Napoleonaea inaugura una nuova famiglia di piante, esattamente come Napoleone inaugura un regime senza precedenti e una nuova dinastia: "Per essere un re si devono ereditare vecchie idee e genealogie. Io non voglio discendere da alcuno." Come dobbiamo leggere la plateale dedica di Palisot de Beauvois? E' la più smaccata delle adulazioni? O l'espressione di un entusiasmo reale, del resto condiviso - al netto della propaganda e della repressione - da una grande maggioranza di francesi? Certo non possiamo escludere l'interesse. All'epoca Palisot de Beauvois versava in una situazione economica molto difficile. Un tempo ricco possidente terriero, era stato rovinato dalla rivoluzione, da un amministratore incapace (o piuttosto interessato e disonesto) e da un divorzio; tornato in Francia dopo una serie di viaggi avventurosi e un lungo esilio, aveva in programma di pubblicare degnamente le sue scoperte in una serie di opere illustrate, corpose e costose: la sua Flore d'Oware et de Benin incominciò ad uscire proprio nel 1804; l'anno successivo seguì il primo volume di Insectes recueillis en Afrique et en Amérique. Cerro sperava anche che l'appoggio di Napoleone e dei suoi corifei scientifici gli garantisse l'ammissione come membro effettivo (con tanto di stipendio) dell'Institut de France (che aveva incorporato l'Accademia delle scienze), di cui era da tempo membro corrispondente. Eppure, a leggere le biografie e le testimonianze su Palisot de Beauvois, il tipo di cortigiano leccapiedi non sembra calzargli affatto (al contrario di tanti anche più famosi colleghi, a cominciare da Laplace). Nobile, durante la rivoluzione si era trovato proscritto e privato di tutti i suoi beni ed aveva potuto rientrare in Francia solo alla fine del 1798, quando il suo nome era stato cancellato dalle liste degli emigrati (un provvedimento che anticipa l'amnistia generale concessa da Napoleone primo console nel 1802). Di Napoleone certamente apprezzava la politica di conciliazione nazionale, ma anche di ritorno all'ordine dopo gli eccessi rivoluzionari. Feroce difensore dello schiavismo, che per le proprie posizioni aveva rischiato di essere messo a morte durante la rivolta di Haiti, gradiva particolarmente che egli avesse ristabilito la schiavitù nelle colonie, a suo parere follemente abolita dai rivoluzionari. Dunque, la dedica riflette probabilmente l'adesione al progetto politico di Napoleone, che rimarrà costante e sincera anche in tempi difficili, come conferma un fatto inequivocabile: nel 1815, durante i Cento giorni, il traballante Napoleone si fidava tanto della sua fedeltà che lo nominò consigliere per l'Università. Napoleone e la scienza Oltre a considerazioni di ordine più generale, avrà pesato anche la politica culturale del nuovo imperatore che aveva fatto della scienza un importante tassello della sua propaganda e aveva valorizzato il ruolo politico e sociale degli scienziati, tanto che Eric Sartori ha definito quello napoleonico "l'impero delle scienze". Lo era, secondo lo studioso francese, da tre punti di vista: il dominio scientifico a livello europeo; la formazione e la passione scientifica dell'imperatore stesso; il ruolo politico assegnato all'élite scientifica. Quanto al dominio scientifico, la Parigi napoleonica è indubitabilmente la capitale della scienza: Laplace rivoluziona l'astronomia, i vari Berthollet, Fourcroy, Gay-Lussac portano avanti la rivoluzione della chimica inaugurata da Lavoisier, l'abate Haüy studia la struttura dei cristalli, Daubenton e Lacépède proseguono l'opera di Buffon, Fourier fa avanzare l'analisi matematica, Cuvier getta le basi della paleontologia, Lamarck e Saint-Hilaire preparano l'evoluzionismo. Parlando poi di Bonaparte, l'interesse per la scienza è una costante della sua vita, da quando ragazzo era considerato il migliore matematico della scuola militare fino all'esilio di Sant'Elena, quando riempiva le giornate leggendo la Storia naturale di Buffon, il trattato di astronomia di Delambre o il corso di chimica di Fourcroy (gli ultimi due, per altro, pubblicati grazie a lui). Veniamo al terzo punto, anche se nel breve spazio di un post dovremo limitarci a qualche cenno. Già durante la Campagna d'Italia Napoleone intraprende una vera propria opera di seduzione verso gli scienziati, chiamati a sostituire le vecchie classi dirigenti e a formare una nuova élite fondata non sul sangue e sul privilegio, ma sul talento e il sapere. A Milano, frequenta artisti, letterati e scienziati, invita alle propria tavola Volta e Spallanzani, incoraggia gli scienziati ad assumere un nuovo ruolo sociale: "A Milano gli scienziati non godono della considerazione che spetterebbe loro. Ritirati nel fondo dei loro laboratori, si ritengono fortunati se i re e i preti si limitano a non offenderli. Ma oggi non è più così: in Italia il pensiero ora è libero. Non ci sono più né Inquisizione, né intolleranza, né despoti. Invito gli studiosi a riunirsi e ad espormi le loro idee sui mezzi da adottare, o sui bisogni che emergeranno, per dare alle scienze e alle arti una nuova vita e una nuova esistenza. Tutti quelli che vorranno venire in Francia saranno accolti con distinzione dal governo. Il popolo francese valuta molto di più l'acquisizione di un matematico [...] che la conquista della città più ricca e più popolosa". Ovviamente questi proclami democratici fanno da paravento alla spogliazione del patrimonio culturale italiano; in nome della fratellanza e della libertà, a prendere la via di Parigi non sono solo quadri e statue, ma anche biblioteche intere, collezioni scientifiche, erbari e piante vive (attese con trepidazione da sua moglie Joséphine, grande appassionata di piante e giardini). Tra i "commissari governativi" che dirigono la spogliazione ci sono il grande matematico Monge (uno degli insegnanti di Napoleone alla scuola militare) e il chimico Berthollet; entrambi si legano a Bonaparte e nel 1797 ne propongono la candidatura all'Institut de France per la sezione meccanica. L'elezione del brillante generale, che non ha scritto una riga né di meccanica né di altre scienze al contrario dei candidati sconfitti, è tutta politica, primo atto della sua alleanza con l'establishment scientifico. Il secondo atto è la spedizione in Egitto (1798-1801); insieme ai soldati, ci sono 167 savants: disegnatori, architetti, ingegneri, geometri, cartografi, astronomi, chimici, mineralogisti, zoologi e botanici; divisi nelle quattro sezioni di matematica, fisica, economia politica, letteratura e arti, devono studiare e descrivere ogni aspetto dell'Egitto del passato e del presente: la geografia, la flora, la fauna, le risorse minerarie, l'arte, la società. A reclutarli a stato proprio Monge - assistito ancora da Berthollet e dal matematico Fourier - che li ha contattati e convinti in segreto (la missione era coperta dal segreto militare). In genere sono molto preparati, giovani, di salute robusta, ma una ventina di loro perirà durante la missione. Tralasciando gli altri settori, soffermiamoci sulle scienze naturali. Il compito dei naturalisti è redigere un catalogo completo della fauna e la flora del paese; per assolverlo lo zoologo Geoffroy de Saint Hilaire, affiancato dal pittore Henri-Joseph Redouté (fratello del più celebre Pierre-Joseph) e il botanico Alire Raffeneau-Delile intraprendono molte spedizioni, a volte lunghe e faticose, nell'alto e nel basso Egitto. Raffeneau-Delile descrive il loto e il papiro e crea un orto botanico al Cairo; un altro attivo raccoglitore è Ernest Coquebert de Montbret, che la ha sfortuna di morire ventunenne di peste il 7 aprile 1801, lo stesso giorno in cui la Commissione delle scienze e dell'arti si imbarca alla volta dell'Europa. Nel febbraio 1802 un decreto di Napoleone ormai primo console ordinerà la pubblicazione dei risultati a spese delle stato, ma a beneficio degli autori: è l'inizio della grandiosa Description de l'Egypte, che coinvolgerà 160 savants, 2000 artisti tra cui 400 incisori, si protrarrà per oltre vent'anni e comporterà nella prima edizione 19 volumi, 37 nella seconda. Ma abbiamo anticipato gli eventi. Come è noto, Bonaparte parte per Parigi nell'agosto del 1799 (insieme a lui, viaggia l'ormai inseparabile Monge); il 18 brumaio (ovvero il 9 novembre) con un colpo di stato rovescia il Direttorio e si impadronisce del potere. Per legittimare il quale, ha cura di circondarsi di scienziati e di chiamarli alle più alte responsabilità: diversi di loro, tra cui Lagrange, sono nominati senatori; Laplace diviene addirittura ministro dell'interno: grande matematico e fisico, ma amministratore incapace, sarà allontanato dopo appena sei settimane; Fourier è prefetto dell'Isère; Monge senatore, presidente dell'Institut d'Egypte e direttore dell'école polytechnique. Come si vede, tra questi notabili non c'è nessun botanico; cultore della matematica e delle "scienze dure", Napoleone non ha una gran considerazione della scienza della piante; in famiglia, la botanica era sua moglie Joséphine, come ci ricorda un aneddoto spesso ripetuto. Nel 1804, quando Humboldt ritornò dal suo grande viaggio in America latina, il neoimperatore lo ricevette e gli domandò, in tono quasi di disprezzo: "Dunque vi interessate di botanica? Anche mia moglie si occupa di piante". Forse nuoce ai botanici del Jardin des plantes (ora Muséum national d'histoire naturelle) anche il loro passato giacobino. E' vero che Antoine-Laurent de Jussieu ne mantiene la direzione che esercita fin dai tempi della Convenzione e nel 1804 è nominato professore di botanica alla facoltà di medicina e presidente della I sezione dell'Institut national, ma non riceverà mai gli onori che toccano ai colleghi fisici, chimici e matematici. Tra i naturalisti, l'uomo di Napoleone è Cuvier, segretario perpetuo dell'Institut e presidente della commissione che deve riformare l'università. Un merito di Bonaparte agli occhi dei botanici sarà stato se non altro aver finanziato la spedizione Baudin (1800-1803), quando era ancora primo console. Diretta verso le "coste della Nuova Olanda", ovvero l'Australia, aveva obiettivi geografici e cartografici, ma anche naturalistici, come ci ricordano i nomi delle due navi della spedizione, Géographe e Naturaliste. A bordo ci sono 24 tra artisti e scienziati, compresi molti membri dell'Institut de France, e cinque giardinieri, incaricati di occuparsi delle piante vive; tra i botanici, l'ormai anziano André Michaux, che però abbandona l'impresa per dissensi con il comandante Baudin, e Jean-Baptiste Leschenault de la Tour. Nonostante tante vicissitudini, compresa la morte del comandante, il successo scientifico della spedizione è straordinario: 200.000 esemplari di animali e piante vanno ad arricchire le collezioni del Muséum national e del Jardin des plantes. Piante e animali vivi raggiungono invece i giardini della Malmaison; e nelle sue serre fioriscono per la prima volta molte piante ora a tutti familiari, come Acacia dealbata, ovvero quella che siamo abituati a chiamare "mimosa". Per quanto tiepidamente interessato alla botanica, che delegava volentieri alla botanofila Joséphine, questi risultati avranno fatto piacere anche al quasi imperatore, cui non sfuggiva l'importanza dell'introduzione di nuove specie per il progresso dell'agricoltura, che considerava invece "l'anima, la base prima dell'Impero". Questo interesse pratico gli poteva derivare dall'esempio del padre, Carlo Bonaparte, che, convinto esponente della scuola fisiocratica, aveva iniziato a bonificare la tenuta delle Saline, dove aveva creato un vivaio con alberi da frutto e piante esotiche. Nel 1800, ancora all'epoca del consolato, Napoleone fece creare ad Ajaccio il primo orto botanico della Corsica, il Jardin d'Expériences. Inaugurato il 12 giugno 1801, si trovava nel recinto dell'ex convento di San Francesco, trasformato in ospedale militare, aveva una superficie di circa 6.000 metri quadri e godeva di un clima favorevole che permise l'acclimazione di piante esotiche, tra cui il tabacco. Nel 1807 con un decreto imperiale passò direttamente sotto l'amministrazione del Muséum di Parigi, ma solo nel 1812 fu dotato di finanziamenti e fu costruita una serra. Anche in seguito ebbe vita grama, con la morte per febbre perniciosa di almeno due giardinieri. Durante gli anni napoleonici, le società agricole, abolite ai tempi del Terrore, rifiorirono e si moltiplicarono. Prima la perdita delle colonie, poi le difficoltà dei commerci a lunga distanza causati dall'interminabile ciclo di guerre, infine il blocco continentale resero ancora più urgente l'acclimazione di piante esotiche anche nel territorio metropolitano o la ricerca di loro succedanei. L'esempio più noto è quello della coltivazione della barbabietola da zucchero; il metodo di estrazione fu messo a punto da un altro botanico, Benjamin Delassert. Nominato barone da un grato Napoleone, andò aggiungersi alla piccola schiera di scienziati di primo piano entrati a far parte della nobiltà dell'Impero (che, però, non dimentichiamolo, era formata per quasi il settanta per cento da militari). Per un alto numero di scienziati, però, c'erano incarichi pubblici ben rimunerati, posti di insegnamento nelle scuole secondarie (dove le scienze divennero materia obbligatoria) e all'università, premi in denaro, donazioni e vitalizi come quelli assegnati a Volta, la possibilità di pubblicare a spese dello stato, le sovvenzioni per le ricerche e le innovazioni tecniche, prime fra tutte quelle che potevano essere utili all'esercito, come il telegrafo ottico inventato da Claude Chappe. Le dediche botaniche a Napoleone Palisot de Beauvois era stato anticipato di due anni dagli spagnoli Ruiz e Pavón che nel 1802 dedicarono al primo Console Bonapartea sulla base di una specie da loro raccolta in Perù. Erano abituati a offrire con disinvoltura le loro piante all'uomo politico di turno, e la dedica a Napoleone, intesa a ingraziarsi forse ancor più di lui il filofrancese Godoy, da poco ritornato al potere, è un capolavoro di servilismo e adulazione: "Genere dedicato a Napoleone Bonaparte, rifondatore della ricostituita repubblica francese, primo console, comandante sempre invitto, patrono della botanica, di tutte le scienze fruttuose e delle arti, difensore della religione, ripristinatore della pace in tutto il globo, uomo immortale, che rimarrà nella memoria degli uomini famosissimo per le sue gesta". E' quasi una consolazione sapere che il genere non è valido (è un sinonimo diTillandsia), mentre lo è il bel Lapageria, che i due botanici iberici dedicarono contestualmente "all'eccellente Joséphine de La Pagerie, degnissima sposa di Napoleone Bonaparte, egregia fautrice della botanica e delle scienze naturali". Senza esprimersi in termini così smaccati, Palisot de Beauvois è non meno celebrativo. Per omaggiare il neoimperatore sceglie una pianta i cui vistosi fiori a coccarda ostentano un triplice giro di petali (più probabilmente staminoidi), che li fanno assomigliare a una corona. Non meno importante è il convincimento - confermato da Antoine-Laurent de Jussieu, amico di una vita - che la Napoleonaea non appartenga ad alcuna famiglia nota, anzi inauguri una famiglia propria. In effetti, la famiglia Napoleonaeaceae è stata a lungo accettata dai botanici, per essere poi assorbita nelle Lecythidaceae. Oggi al genere sono assegnate diciassette specie, tutte originarie dell'Africa tropicale occidentale e centrale intorno al golfo di Guinea; quelle più note sono N. imperialis e N. vogelii. Il primo è un alberello alto circa 6 metri, il secondo un albero di dimensioni maggiori; entrambi sono sempreverdi, con grandi foglie alternate obovate, e curiosi fiori che nascono sui rami maturi o direttamente sul tronco. Hanno una struttura molto complessa, che ha fatto parecchio discutere i botanici. Oltre che a una corona, possono essere paragonati a una coccarda, con due giri esterni di elementi simili a petali disposti orizzontalmente e un giro interno di venti stami e staminoidi eretti. Per alcuni botanici, anche recenti, si tratta di una vera corolla e gli elementi esterni sono petali; per altri è un fiore apetalo e si tratta di staminoidi, una tesi confortata dai dati molecolari e dal confronto con le strutture fiorali delle Lecythidaceae. In ogni, caso una struttura peculiare ed affascinante, nonché discussa e discutibile, come lo stesso Napoleone. Che lo stesso anno ricevette una seconda dedica vegetale dal botanico Etienne Pierre Ventanat, che in quel momento, per incarico di Joséphine, stava redigendo il catalogo delle collezioni del giardino della Mailmaison, una splendida opera in due volumi, con le illustrazioni di Pierre-Joseph Redouté. E fu proprio su richiesta della sua patrona che creò un terzo genere in onore dell'ormai imperatore, come racconta egli stesso: "Sua Maestà l'Imperatrice dei francesi, essendosi resa conto che la pianta di cui ho appena presentato la descrizione appartiene a un genere nuovo, ha voluto indicarmi il nome che dovevo dargli. I signori Ruiz e Pavón hanno già consacrato quello di Bonapartea nella Flora del Perù, e il signor Palissot-Beauvois quello di Napoleonaea in Flora d'Oware e del Benin; ho fatto così ricorso alla lingua greca, che ha fornito ai botanici un gran numero di denominazioni tanto espressive quanto armoniose, per obbedire al desiderio di Sua Maestà l'Imperatrice e dare a Sua Maestà l'Imperatore una modesta prova della riconoscenza che gli devono tutti coloro che coltivano le arti e le scienze". Come tutti i francesi, anche Ventenat è appena passato da cittadino a suddito, e si comporta di conseguenza. La pianta in questione è Calomeria amaranthoides, coltivata nei giardini della Malmaison dai semi giunti dall'Australia grazie alla spedizione Baudin. Il nome generico, come spiega lo stesso Ventenat, è formato da due parole greche, καλός (kalòs) "bello, buono" e μερίς (meris) "parte": dunque, Bonaparte. E' forse l'unica specie del piccolo genere Calomeria (Asteraceae), a cui vari repertori ne attribuiscono quattro, con una sorprendente distribuzione disgiunta: mentre C. amaranthoides è endemica degli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud nell'Australia sud orientale, le altre tre vivono nell'Africa meridionale e orientale. Appaiono alquanto diverse dalla sorella australiana, e altri botanici le assegnano decisamente al genere Helichrysum. Parliamo dunque della sola specie certa. quella descritta e denominata da Ventenat. E' una perenne di breve vita solitamente coltivata come biennale, di grandi dimensioni (può superare i tre metri) e foglie intensamente profumate d'incenso. In estate produce grandi infiorescenze color amaranto simili a pennacchi. Ricordano tanto da vicino quelli inalberati sull'elmo dell'alta uniforme della Guardia Imperiale da far pensare che non si tratti di una semplice coincidenza. Prima di concludere, vale la pena di ricordare la damnatio memoriae che toccò a Napoleonaea imperialis. Nel 1814, appena caduto per la prima volta Napoleone, un altro botanico francese, Nicaise Augustin Desvaux, ritenne che quella ignominiosa dedica dovesse essere cancellata, e si affrettò a rinominare la pianta Belvisia caerulea, in onore dello stesso scopritore Palisot de Beauvois. Ma, grazie al repubblicano e antinapoleonico Augustin Pyramus de Candolle, in botanica vale la regola della priorità: Napoleonaea vive, Belvisia è un nome illegittimo. A scusante dei quattro botanici che si affrettarono a prostrarsi ai piedi di Napoleone, ricordiamo che non furono i soli a subirne la fascinazione. Come è noto, lo stesso Beethoven voleva dedicargli la sua terza sinfonia, finché proprio l'incoronazione gli aprì gli occhi. E le tre dediche vegetali sono tutte comprese tra il 1802 e il 1804, quando davvero Napoleone poteva ancora presentarsi nelle vesti di pacificatore, restauratore dell'ordine e al tempo stesso fautore del progresso e del rinnovamento sociale.
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A pochi km da Bangalore, capitale del Karnataka, si trova uno spettacolare giardino, Lalbagh (un nome spiegato in vari modi, forse "giardino rosso"). Nato come giardino reale nel 1760, passò attraverso varie vicissitudini, finché nella seconda metà dell'Ottocento divenne orto botanico governativo. All'inizio del secolo, subito dopo la conquista inglese, era stato diretto per qualche anno dal medico e botanico tedesco Benjamin Heyne; vissuto per quasi trent'anni in India, fece importanti raccolte e fu il primo a notare un fenomeno connesso con il metabolismo acido delle Crassulaceae. A ricordarlo il piccolo genere Heynea. Piccola storia del "giardino rosso" Come abbiamo già visto parlando di Johann Gerhard König, l'avamposto danese di Tranquebar funzionò in un certo senso da fucina di naturalisti che poi passarono al servizio della Compagnia delle Indie. E' il caso anche del medico tedesco Benjamin Heyne (1770-1819) che però, al contrario di König, era venuto in India non per lavorare alla missione luterana di Halle, ma alla "rivale" missione morava. Heyne arrivò in India nel gennaio del 1792, ventiduenne. Nato a Döbra in Sassonia, probabilmente non molto prima di partire si era laureato in medicina a Dresda. Forse viaggiò da Copenhagen a Tranquebar in compagnia di un altro giovane collega, Johann Gottfried Klein, figlio di uno dei pastori della missione luterana, Jakob Klein. Nato in India, il giovane Klein era stato mandato in Germania a studiare medicina e ora tornava a casa per diventare medico della missione. Anche se uno dipendeva dai moravi, l'altro dai luterani, due medici missionari erano troppi per quel piccolo avamposto. Heyne trovò difficile sbarcare il lunario, tanto che pensò di tornare in Germania. Sarebbe stato un peccato, pensò Christoph Samuel John (1746-1813), il pastore-capo della missione luterana; buon amico di König e Roxburgh, era anch'egli un notevole naturalista e aveva potuto apprezzare le vaste competenze di Heyne soprattutto nel campo della botanica e della mineralogia. Nell'agosto 1783 scrisse a Roxburgh per chiedergli di raccomandarlo alla Compagnia delle Indie. Roxburgh lo prese con sé nel giardino della Compagnia a Samalkot, a circa 200 km a nord di Madras, dove egli sperimentava la coltivazione di piante industriali e alimentari. Un mese dopo Heyne vi si traferì e a ottobre la sua assunzione fu approvata dalla Compagnia. Pochi mesi dopo, nel marzo 1794, quando il botanico scozzese fu nominato sovrintendente dell'orto botanico di Calcutta, lo sostituì "come Botanico della Compagnia durante l'assenza del Dr. Roxburgh". Nel 1796, l'incarico gli fu confermato ufficialmente, insieme alla nomina ad assistente chirurgo. In questi anni, Heyne fece cospicue raccolte e fece eseguire numerosi acquerelli botanici da artisti locali (Plants of the Coromandel coast: a collection of 394 botanical watercolour drawings of plants and flora), che tuttavia non vennero mai pubblicati. Nel 1799, dopo la presa di Mysore, gli fu ordinato di unirsi alla ricognizione del territorio appena conquistato. Se all'inizio l'obiettivo fondamentale di quello che è passato alla storia come Mysore Survey (1799-1810) era procedere al rilievo trigonometrico della regione al fine di disegnarne una carta aggiornata, presto divenne un'indagine a tutto campo, che prevedeva di raccogliere ogni sorta di informazione (e di materiale) sulla storia, l'archeologia, la religione, i costumi, le arti, le risorse naturali, l'industria, i commerci. I ricognitori, che comprendevano interpreti, disegnatori, cartografi, vennero divisi in tre squadre, capeggiate rispettivamente dall'ingegnere militare Colin Mackenzie, dal geografo Francis Buchanan Hamilton e appunto da Benjamin Heyne. Come botanico e naturalista, doveva studiare la flora, la fauna, le produzioni agricole; come geologo, le risorse minerarie e le tecniche industriali (tra l'altro, si occupò della produzione della soda e delle manifatture di rame e ferro); come medico, che aveva studiato i testi medici tamil, doveva verificare la disponibilità nei mercati di medicinali per l'esercito della Compagnia, specialmente per combattere la malaria, il principale ostacolo all'espansione britannica in India. Quanto alla botanica, le istruzioni del governatore generale Wellesley puntualizzavano: "Bisogna assolutamente privilegiare le piante utili rispetto a quelle che si raccomandano solo per la loro rarità o la loro bellezza [...]. Occorre raccogliere con cura tutto ciò che è connesso alle arti e alle produzioni di questo paese, o che promette di essere utile al nostro; prestare la dovuta attenzione al legname impiegato nelle varie province che toccherà nel suo percorso [...] e raccogliere con particolare diligenza le preziose piante legate alla sua professione immediata, cioè alla medicina". Il governatore aggiunse un compito specifico: trovare una sede più adatta di Samalkot per il giardino botanico della Compagnia nella presidenza di Madras. La scelta di Heyne cadde su un giardino già esistente: quello di Lalbagh nei pressi di Bangalore. A farlo costruire, intorno al 1760, fu il sultano di Mysore Hyder Alì che si inspirò al modello dei giardini Moghul, in particolare quello di Sira. Esteso su 40 acri, comprendeva una serie di ambienti squadrati, separati da viali, sentieri e canali alimentati da una cisterna. Era sia un giardino di piacere, sia un orto-frutteto. Nelle aiuole fiorivano una profusione di rose e altri fiori rossi, che potrebbero aver dato il nome al giardino (Lalbagh potrebbe significare "giardino rosso", ma anche "giardino prediletto"). Lungo i viali erano piantati cipressi. C'erano specchi d'acqua con loti e diversi frutteti, ciascuno dedicato a diversa varietà di alberi: tra gli altri, banani, melograni, papaye, jackfruit, fichi. Il giardino fu ulteriormente arricchito dal figlio e successore Tipu Sultan, che vi fece piantare alberi di mango (si dice che qualcuno ancora sopravviva) e ogni sorta di alberi e fiori rari, fatti venire dall'Afghanistan, dalla Persia, dalla Turchia e dall'isola di Mauritius. Dato che l'acqua della cisterna era insufficiente per irrigare il giardino, fece anche costruire un pozzo. Tipu morì nel maggio del 1799 mentre tentava di difendere la sua capitale dall'assalto dell'esercito della Compagnia delle Indie. Il regno di Mysore divenne uno stato satellite dell'impero anglo-indiano e vari distretti passarono direttamente alla Compagnia, che già nel corso della guerra aveva fissato il quartier generale del proprio esercito a Bangalore. La bellezza del giardino non lasciò insensibili i britannici, che inizialmente però lo utilizzarono soprattutto per coltivare patate, cavoli, rape ed altri ortaggi per il rancio delle truppe. Nel 1802 Heyne venne ufficialmente promosso "Botanico della Compagnia" e da quell'anno al 1808 diresse Lalbagh, lavorando duramente per riportarlo alla sua bellezza e trasformarlo in un vero orto botanico; vi trapiantò le piante del giardino di Samalcot, dismesso dalla Compagnia. Molte piante le raccolse egli stesso, soprattutto nei distretti di Bangalore e Combatore; gli è accreditata la scoperta di circa 350 specie. Spedì molti esemplari al botanico tedesco Albrecht Wilhelm Roth, che se ne servì per Novae plantarum species praesertim Indiae orientali, che dipende in gran parte dalle raccolte di Heyne. Nel maggio del 1808 l'incarico di "Botanico della Compagnia" fu soppresso. Siamo poco informati sui movimenti di Heyne in questo periodo; secondo alcuni rimase a dirigere Lalbagh fino al 1812, secondo altri la lasciò appunto nel 1808. Sappiamo invece con certezza perché lo riferisce egli stesso che nel 1811, essendo la sua salute compromessa dopo vent'anni in India, ottenne dalla Compagnia un congedo di tre anni. Si recò quindi a Calcutta per salutare Roxburgh, ma anche nella speranza di trovare un ingaggio come medico di bordo di una nave in partenza per l'Inghilterra. Non lo trovò, ma in compenso poté imbarcarsi su un mercantile diretto a Sumatra, dove fece qualche raccolta. Solo nel 1813 poté raggiungere Londra, dove fu ammesso alla Linnean Society alla quale presentò le sue osservazioni su Cotyledon calycina (oggi Kalanchoe pinnata): assaggiandone le foglie, egli aveva notato che di primo mattino erano fortemente acide; con il passare delle ore, perdevano la loro acidità, finché verso mezzogiorno erano totalmente prive di sapore. Si tratta della prima descrizione dei fenomeni connessi alla fotosintesi CAM (Metabolismo acido delle Crassulaceae): oggi sappiamo che molte piante succulente dei climi caldi e aridi di notte aprono gli stomi - chiusi di giorno per limitare la traspirazione - consentendo l'ingresso dell'anidride carbonica che va a formare acidi carbossilici, i responsabili di quel gusto "aspro come l'acetosella, se non di più" osservato da Heyne. Approfittò del soggiorno londinese anche per pubblicare la sua opera principale, Tracts, historical and statistical, on India: with journals of several tours through various parts of the peninsula: also, an account of Sumatra, in a series of letters, che contiene il resoconto delle sue esplorazioni dell'India e di Sumatra; a fare la parte del leone, però, più che la botanica sono la geologia, la mineralogia e le tecniche industriali tradizionali. L'opera anche una delle prime mappe geologiche dell'India meridionale. Terminato il suo congedo, già nella primavera del 1815 Heyne rientrò a Madras, dove riassunse l'incarico di naturalista e botanico della Compagnia delle Indie. Il breve soggiorno in Europa non era stato sufficiente a restituirgli la salute, visto che morì nel 1819, ad appena 49 anni. Come si capisce tra le righe anche da Tracts, historical and statistical on India, almeno negli ultimi anni le sue relazioni con la Compagnia non dovette essere idilliache. Nel 1807 quest'ultima aveva nominato custode di Lalbagh il proprio ufficiale pagatore, il capitano - e più tardi maggiore - Gilbert Waugh, e, come abbiamo già visto, nel 1808 soppresse l'incarico di botanico di Heyne. E' dunque probabile che egli non sia rimasto a Bangalore. Del resto, sappiamo che la gestione di Waugh non lasciava spazio a coabitazioni; egli prese il controllo assoluto del giardino che ben presto fu noto come "giardino di Waugh"; interessato agli aspetti pratici della botanica, introdusse coltivazioni sperimentali di canna da zucchero e caffè. Nel 1814, il giardino passò sotto il controllo del governo di Mysore, che prese a eliminare gli alberi per lasciare spazio a un grande orto. Preoccupato, Waugh scrisse a lord Hastings, il governatore generale dell'India, proponendo che il giardino fosse posto sotto la giurisdizione dell'orto botanico di Calcutta. Consigliato in tal senso da Nathaniel Wallich che riteneva che Lalbagh potesse diventare "un vivaio di passaggio o un deposito per l'introduzione e l'acclimatazione di piante da frutto in Inghilterra", Hastings accettò. Troppo impegnato a Calcutta, Wallich dovette limitarsi a qualche visita e la soluzione giovò poco al giardino di Bangalore (le due città per altro sono lontanissime). La situazione si protrasse fin al 1831 quando, con la fine dello stato fantoccio di Mysore, anche il giardino passò sotto il controllo governativo. Affidato per qualche anno all'effimera Società agricola dell'India, fu rilanciato solo a partire del 1856, quando divenne ufficialmente Government Botanical Garden e fu affidato alla direzione di un botanico di Kew, William New. Nel 1899, in occasione della visita del nipote della regina Vittoria Albert Victor (che pose la prima pietra), venne costruita una grande serra ispirata al Crystal Palace di Londra, che è ancora la maggiore attrazione del giardino. Oggi, con un'estensione di 240 acri, continua ad essere uno dei più vasti e importanti giardini dell'India; anche se non ha più la funzione di orto botanico, ma piuttosto di parco, è famoso sia per la rarità delle collezioni sia per il pregio estetico, che con le sue fontane e i suoi specchi d'acqua richiama le origini, il "giardino rosso" di Hyder Alì. Una dedica amichevole Benjamin Heyne entra a fare parte della nostra galleria di dedicatari di generi botanici grazie all'amico William Roxburgh che nel 1815 denominò in suo onore Heynea trijuga un albero nativo del Nepal i cui semi erano stati spediti all'orto botanico di Calcutta da un altro comune conoscente, Francis Buchanan. La dedica ricorda che "il Dr. Heyne per molti anni ha prestato grande attenzione alla storia naturale dell'India; recentemente è tornato al servizio della Compagnia. Per il suo talento e la sua industriosità possiamo attenderci molte altre utili informazioni". Come sappiamo, la morte gli impedì di soddisfare queste lusinghiere aspettative. Heynea, della famiglia Meliaceae, comprende solo due specie, appunto H. trijuga e H. velutina; la prima è un piccolo albero, diffuso dal subcontinente indiano alla Malesia, il secondo un arbusto diffuso dalla Cina meridionale all'Indocina. Hanno foglie disposte a spirale e minuti fiori bisessuali con quattro-cinque petali imbricati disposti in tirsi, seguiti da frutti a capsula, che contengono uno-due semi avvolti in un arillo. Quelli di H. trijuga vengono raccolti per ricavarne olio illuminante. Questa specie, la nota delle due, di crescita veloce e con una chioma espansa e densa, nella Thailandia settentrionale trova impiego nella riforestazione di aree disturbate, anche perché i frutti sono molto apprezzati da uccelli e pipistrelli, favorendo la dispersione dei semi. Di notevole bellezza, è anche coltivato nei giardini. Le foglie e la corteccia, di gusto amaro, sono utilizzate nella medicina tradizionale. Altre informazioni nella scheda. Nella Londra degli anni '20 e '30 dell'Ottocento, non erano pochi i visitatori stranieri che facevano una capatina a Chelsea, all'epoca ancora un villaggio fuori porta, per visitare il giardino e le collezioni naturalistiche dell'entomologo e botanico Adrian Hardy Haworth. Gentile ed affabile, accoglieva volentieri tutti e non si faceva pregare per dispensare i suoi consigli sulla coltivazione delle succulente. In questo campo era una vera autorità, un grande collezionista ma anche un tassonomista che scrisse pagine importanti per la classificazione di Mesembryanthemum, Aloe, Stapelia e generi affini. Si occupò meno di Cactaceae, ma non mancò di dare un contributo decisivo anche alla loro tassonomia. I suoi studi su Aloe aprirono la strada al francese Duval che ne separò i generi Gasteria e Haworthia. Quest'ultimo da allora è diventato un beniamino dei collezionisti; ma mentre aumentava il numero di specie e varietà, cresceva anche la confusione nomenclatoria. A mettere ordine nel caos ci hanno pensato di recente gli studi molecolari. Siete sicuri che le vostre Haworthia lo siano davvero? Tra farfalle e succulente Negli anni a cavallo tra Settecento e Ottocento, nei giardini e nelle serre europee si moltiplicano gli arrivi di succulente esotiche, dando inizio a quella che uno dei suoi maggiori protagonisti, Adrian Hardy Haworth (1767-1833), ha battezzato "l'età d'oro delle succulente". All'epoca, più che le Cactaceae, di cui si conoscevano ancora relativamente poche specie (la situazione incomincerà a cambiare a partire dagli anni '20 e '30, con le spedizioni botaniche in Messico e in Sud America) si trattava soprattutto di membri delle famiglie Aizoaceae, Crassulariaceae, Euphorbiaceae e Apocynaceae. Per lo più erano di origine sudafricana, e decisive per la loro conoscenza e introduzione in Europa furono le spedizioni di Francis Masson (1772-75, 1785-1795), grazie alle quali i Kew Gardens poterono riunire forse la principale collezione di succulente d'Europa. Fu proprio a Kew che Haworth le conobbe e se ne innamorò. Come molti naturalisti di primo piano del suo tempo, non era un professionista, ma un appassionato. Secondogenito di una facoltosa famiglia di mercanti e proprietari terrieri dello Yorkshire, era stato destinato dal padre alla carriera legale; aveva obbedito disciplinatamente ai suoi voleri, finché, all'età di 21 anni, la morte di lui gli diede l'indipendenza economica e la possibilità di seguire la sua vera vocazione: le scienze naturali. Stabilitosi in una proprietà di famiglia nel villaggio di Cottingham presso Hull, incominciò a raccogliere, collezionare e studiare insetti, uccelli, animali marini. Nel 1792, venticinquenne, si trasferì a Chelsea, all'epoca ancora un villaggio con giardini, vivai e un celebre mercato di fiori, senza dimenticare il Giardino dei farmacisti, che faceva ancora seria concorrenza a Kew per la ricchezza di piante esotiche. Uno dei suoi vicini era il mercante di vini William Jones, un altro appassionato che, dopo aver fatto fortuna, si era ritirato dall'attività per dedicarsi a raccogliere, studiare e dipingere le farfalle: ne nacquero le Jones Icones, una spettacolare raccolta di 1500 acquarelli di farfalle e falene. Jones diventò il mentore di Haworth: lo indirizzò allo studio dei lepidotteri, lo presentò alla Linnean Society, gli fece conoscere altri naturalisti, tra cui Joseph Banks. Quest'ultimo gli mise a disposizione le sue collezioni e la sua biblioteca e gli fece conoscere gli orti botanici di Kew e di Chelsea; Haworth incominciò a frequentarli assiduamente, dividendosi tra due passioni, l'entomologia e la botanica. Grazie all'amicizia con William Townsend Aiton, il sovrintendente di Kew, ottenne i primi esemplari della sua collezione di succulente. Proprio a un genere di succulente sudafricane dedicò anche la sua prima monografia, Observations on the Genus Mesembryanthemum (1794-95). L'entomologia era però il primo amore e occupava ancora il centro dei suoi interessi. In questi anni, da solo o con qualche amico, spesso partiva per una lunga scarpinata alla ricerca di insetti. Percorse così buona parte della Gran Bretagna. Insoddisfatto dello scarso peso dedicato all'entomologia dalla Linnean Society, alla quale era stato ammesso nel 1798, nel 1801 fondò l'Aurelian Society; il severo statuto da lui dettato, che tra l'altro imponeva agli aderenti di mettere in comune le loro collezioni, limitò le adesioni; la società non riuscì mai a superare i venti membri, finché nel 1806 venne sciolta. Di lì a poco dalle sue ceneri sarebbe sorta l'Entomological Society. Nel 1802, proprio all'Aurelian Society, Haworth presentò Prodromus lepidopterum britannicorum, in cui delineava il progetto di un catalogo completo dei lepidotteri britannici. L'anno dopo diede alle stampe il primo dei quattro volumi di Lepidoptera britannica (1803-1828), una pietra miliare in questo campo di studi, che sarebbe rimasto un'opera di riferimento per un cinquantennio. Per qualche anno, dal 1812 al 1817, Haworth tornò a vivere a Cottingham; scrisse un poema in versi in cui celebrava la natura e diede una mano a creare l'orto botanico di Hull. Nel 1817 ritornò definitivamente a Chelsea. Come aveva fatto Banks con lui, aprì volentieri le porte della sua casa agli amici entomologi e naturalisti: ne fece un punto di ritrovo dove, sorseggiando una tazza di tè, si discuteva, si presentavano le proprie ricerche, si esaminavano gli ultimi acquisti delle collezioni. Padrone di casa amabile e affabile, Haworth accoglieva volentieri i visitatori che giungevano anche dall'estero o i vivaisti che ricorrevano a lui per un consiglio su come classificare o coltivare le amate "grassottelle". Il giardino si trasformò in un orto botanico e la collezione di succulente, grazie agli esemplari ottenuti da Kew, vivai privati, corrispondenti e raccoglitori, raggiunse un migliaio di esemplari. La casa era un vero e proprio museo di storia naturale: al momento della morte di Haworth le sue collezioni comprendevano 40.000 esemplari di insetti, con 1100 specie e 300 varietà per i soli lepidotteri; un gabinetto di conchiglie; dodici teche di pesci e crostacei; un erbario di 20.000 esemplari; una biblioteca di 1600 volumi. Il 23 agosto del 1833 Haworth era in giardino ad annaffiare le sue piante quando incominciò a sentirsi male. Ventiquattro ore dopo era morto, una delle oltre 1400 vittime della recrudescenza del colera che nei due anni precedenti aveva già causato oltre 20.000 morti in Gran Bretagna. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Classificare le succulente La collezione di succulente per Haworth era una passione, ma soprattutto uno strumento di lavoro. A causa dei loro tessuti carnosi, queste piante sono notoriamente difficili da essiccare e da conservare in un erbario; egli dunque privilegiava l'osservazione dal vivo, sia a Kew sia nel proprio giardino. Anche se continuava ad occuparsi anche di altri argomenti (oltre a completare la grande opera sui lepidotteri, scrisse moltissimo, pubblicando decine di contributi sugli insetti, sui crostacei, su altri gruppi di piante), per le succulente divenne un'autorità riconosciuta in tutta Europa. Purtroppo non dedicò loro un'opera complessiva, ma una serie di lavori di diversa ampiezza, che vanno dalla breve comunicazione alla corposa monografia; solo nel 1965 furono riuniti e resi più facilmente disponibili in A. H. Haworth, Complete Works on Succulent Plants. Risalgono al 1794 i primi due contributi, dedicati rispettivamente ai generi Mesembryanthemum (Aizoaceae) e Aloe (Asphodelaceae). Da quando Linneo li aveva ufficialmente creati nel 1753 in Species plantarum, il numero di specie note di entrambi i generi era cresciuto in modo esponenziale, rendendo urgente una risistemazione. Linneo aveva descritto 34 specie di Mesembryanthemum; nelle due serie di Observations on the genus Mesembryanthemum Haworth ne descrisse 130. Tornò poi sul genere ancora in Miscellanea naturalia (1803), Supplementum plantarum succulentarum (1819) e Revisiones plantarum succulentarum (1821), descrivendone in totale circa 160. Oltre a stabilire dozzine di nuove specie, fu anche il primo a tentare una classificazione del genere. In Miscellanea Naturalia lo suddivise in tredici sezioni, di cui fornì sinteticamente i caratteri diagnostici; di fronte all'arrivo di nuove specie, in Revisiones plantarum succulentarum rivide il proprio sistema, stabilendo otto sezioni e ben 69 sottosezioni e sottolineò che diversi di questi gruppi "possono essere considerati dei veri e propri generi naturali". Aprì così la strada ai botanici successivi che avrebbero elevato a genere alcuni di questi gruppi. Le specie linneane di Aloe sono nove; in A new arrangement of the genus Aloe Haworth ne descrisse 59 e ne discusse un'altra decina come dubbie o di difficile identificazione. Nel 1804, in una comunicazione pubblicata nelle Transactions della Linnean Society, le suddivise in tre sezioni: Parviflorae, Curviflorae e Grandiflorae. Qualche anno dopo (1809) il francese Duval in Plantae succulentae in Horto Alencionio mantenne in Aloe solo l'ultima e eresse le prime due sezioni a generi autonomi: la sezione Parviflorae divenne Haworthia, in onore del nostro, e la sezione Curviflorae Gasteria. In Synopsis plantarum succulentarum, un'opera che si presenta modestamente come un catalogo delle succulente coltivate nei dintorni di Londra (principalmente a Kew o da lui stesso), ma è in realtà una pietra miliare della storia della classificazione delle succulente, Haworth accettò i due nuovi generi di Duval, mantenne 31 specie di Aloe e ne propose una nuova sottodivisione in cinque gruppi (non tutti dotati di nome), sulla base non più dei fiori ma del caule. Synopsis plantarum succulentarum è importante anche per la trattazione delle Stapelieae. Nel 1810 Robert Brown sulla base delle caratteristiche della corolla aveva staccato dal genere linneano Stapelia i generi Huernia, Piaranthus e Caralluma. Haworth lo seguì sulla stessa strada, fissando altri nove generi. Alcuni più tardi furono ricondotti a sinonimi, ma ben cinque dedi generi di Haworth sono tuttora validi: Tridentea, Tromotriche, Orbea, Duvalia (con la quale Haworth rese il favore a Duval), Pectinaria. Non meno decisiva è la trattazione delle Cactaceae (fino ad allora egli si era occupato poco delle "succulente spinose"): Haworth dichiarò inutilizzabile il genere linneano Cactus e lo smembrò in sette generi (ne ho parlato qui). Supplementum plantarum succulentarum (1819), oltre a aggiunte su varie succulente, contiene un'importante revisione del genere Narcissus. Revisiones plantarum succulentarum (1821), oltre che per la nuova classificazione di Mesembryanthemum, si segnala per la creazione dei generi Cephalophyllum e Hymenogyne (due Aizoaceae della Provincia del Capo) e Monanthes, una Crassulacea endemica della Macaronesia. Quando piccolo è bello La dedica a Haworth del genere Haworthia da parte di Duval è una delle più azzeccate della storia della botanica. Non solo perché il botanico inglese era stato il primo a descriverne molte specie e a studiare in modo sistematico questo gruppo di piante, ma perché con la sua grande varietà di forme e di colori è ricercatissimo dai collezionisti e dagli appassionati come lui stesso era. E' in questo che consiste la loro bellezza, molto più che nei fiori, come sottolineava lo stesso Haworth: "Le strutture curiose e perlacee che si trovano così di frequente in questa divisione compensano abbondantemente i loro fiori insignificanti. La loro bellezza equivale a quelle delle altre che sono sempre in fiore". Haworthia (Asphodelaceae) come è stato inteso per circa duecento anni, è un grande genere endemico del Sud Africa; alcune specie si estendono a Namibia, Lesotho, eSwatini (Swaziland) e Mozambico. Sono succulente nane a rosetta che vivono in una varietà di habitat e di comunità vegetali, dalle praterie aperte alle scogliere e alle montagne, in zone con precipitazioni sia estive sia invernali sia distribuite nell'arco dell'anno. A differenza di altre succulente, non amano il sole diretto: tipicamente, vivono ai piedi di arbusti, all'ombra di massi oppure nelle fessure delle rocce. Talvolta sono esemplari isolati, ma più frequentemente formano densi gruppi con decine o anche centinaia di rosette. A tanta varietà di habitat, corrisponde un'estrema varietà di forme: la rosetta può essere aperta o chiusa, le foglie possono essere più o meno carnose, arrotondate o acuminate, rigide o morbide, sottili o larghe, con spine o senza, pelose o glabre, con bande chiare, venature, verruche, escrescenze perlacee. Alcune specie presentano all'apice delle foglie delle specie di finestre traslucide e trasparenti: in natura vivono semi sommerse nel terreno e questa è l'unica parte che emerge, permettendo alla luce di diffondersi all'interno. Molto variabili anche i colori, dal verde lime al verde scuro, al grigiastro, al glauco, al marrone. A causa della forte varietà individuale anche all'interno della stessa specie, della facilità con cui si ibridano, dei confini labili tra una specie e l'altro, la tassonomia di questo gruppo è piuttosto complessa. Senza contare che se ne sono occupati soprattutto i collezionisti, che hanno moltiplicato i nomi e la confusione, con un accavallarsi di sinonimi. Si è arrivati a riconoscergli fino a 160 specie e più di 200 varietà. Nel 1947 ne fu separato il genere Astroloba. Sulla base di evidenti differenze morfologiche, nel 1971 Bayer divise Haworthia nei tre sottogeneri Haworthia, Hexangulares e Robustipedunculares. Ma la vera rivoluzione è iniziata intorno agli anni '10 del 2000, con le analisi molecolari che hanno dimostrato artificialità del genere. Nel 2013 Rowley e altri lo hanno diviso in tre generi, corrispondenti grosso modo ai tre precedenti sottogeneri: Haworthia (= Haworthia subgenus Haworthia), con 50-60 specie; Haworthiopsis (= Haworthia subgenus Hexangulares), con 18 specie; Tulista (= Haworthia subgenus Robustipedunculares), con 4 specie. Continuano ad essere Haworthia in senso stretto le piccole specie prive di stelo, con foglie carnose spesso dotate di finestre traslucide agli apici o bordate di spine; i fiori hanno sezione triangolare; diffuse in varie parti del Sud Africa, hanno centro di diversità nella Provincia del Capo occidentale. Tra quelle più note ai collezionisti Haworthia aracnoidea, H. cooperi, H. magnifica, H. retusa, H. truncata. Il genere Haworthiopsis ha centro di diversità più a est, nella Provincia orientale del capo. Comprende le specie con fiori con sezione esagonale, rosette a stella o disposte a spirale attorno allo stelo, con foglie più dure, talvolta fibrose, spesso caratterizzate dalla presenza di tubercoli e striature. E' indubbiamente il gruppo più noto ai collezionisti e ne fanno parte le specie di note (per lo più ancora commercializzate come Haworthia): Hawortiopsis attenuata (= Haworthia attenuata), H. fasciata (= Haworthia fasciata), H. limifolia (= Hawortia limifolia), Haworthiopsis reinwardtii (= Haworthia reinwardtii), Haworthiopsis venosa (= Hawortia venosa). Il piccolo genereTulista si distingue soprattutto per i fiori raccolti in infiorescenze ramificate e sorretti da un robusto peduncolo, per le dimensioni relativamente più grandi, per le foglie non fibrose con un essudato giallo. Almeno due delle sue specie sono abbastanza coltivate: Tulista pumila (= Haworthia pumila o anche Hawortia margaritifera), Tulista minima (= Haworthia minima). Tulista pumila è anche la prima specie del gruppo di Haworthia in senso lato ad essere stata raccolta e descritta; raccolta già negli anni sessanta del Seicento, nel 1682 fu pubblicata nel catalogo dell'orto botanico di Amsterdam come Aloe africana humilis spinis inermibus & verrucosis obsita, "Aloe africana di piccole dimensioni con spine inermi e cosparsa di verruche". Linneo la denominò Aloe pumila. Il che spiega anche il nome apparentemente incongruente: è la specie con rosette più grandi di tutto il gruppo, ma come Aloe, in effetti, era piccolina. Qualche informazione in più e una selezione di siti nelle schede di Haworthia e Haworthiopsis. Moglie di un alto funzionario civile e militare, la contessa scozzese Christian Dalhousie seguì il marito prima in Canada poi in India. Forse per lei, come per molte dame del suo ceto, all'inizio la botanica fu solo un piacevole passatempo, ma presto divenne una missione, il suo modo di contribuire al progresso scientifico e alla diffusione della cultura. Corrispondente di William Jackson Hooker, fece parte di un singolare gruppo di signore che collaborarono attivamente alla raccolta di piante canadesi per la sua Flora boreali-americana; al contrario delle sue amiche, per lei però non fu un episodio. Le sue raccolte indiane furono così importanti da guadagnarle l'ingresso nella Società botanica di Edimburgo, unica donna del tempo a farne parte. La ricordano varie piante indiane e malesi e il genere Dalhousiea. Quattro signore a caccia di piante Tra il 1829 e il 1840 William Jackson Hooker, all'epoca direttore dell'orto botanico di Glasgow, pubblicò la monumentale Flora boreali-americana, un'opera capitale per la conoscenza delle piante dell'America settentrionale. Si basò soprattutto sulle piante raccolte durante la seconda spedizione Franklin (1825-26), ma si servì anche degli esemplari e delle informazioni forniti da circa 120 raccoglitori e collaboratori: naturalisti e cacciatori di piante, ma anche militari, funzionari coloniali, persone comuni. Per preparare al compito quelli tra loro che non avevano una formazione come naturalisti (ed erano la maggior parte), predispose addirittura delle istruzioni su come raccogliere ed essiccare correttamente gli esemplari (Directions for Collecting and Preserving Plants in Foreign Countries: On Preserving Plants for a Hortus Siccus, 1828). Tra i più entusiasti raccoglitori canadesi di Hooker spiccano i nomi di quattro signore: Christian Broun Ramsay (più nota come Lady Dalhousie), Anne Mary Perceval, Harriet Sheppard e Mary Brenton. Tre di loro erano amiche intime e vivevano a Quebec City, all'epoca il centro amministrativo delle province orientali del Nord America britannico: Christian Ramsay (1786-1839) era la moglie di lord Dalhousie, prima vice governatore della Nuova Scozia, poi governatore generale del Nord America britannico; Anne Mary Flowers Perceval (1790-1876) era la moglie del direttore delle dogane del porto di Quebec; Harriet Sheppard (1786-1858) era la moglie di un facoltoso mercante di legname appassionato di scienze naturali. La quarta, Mary Brenton (1792-1884), viveva a Terranova, dove il padre era giudice della Corte Suprema; era l'unica a non far parte del gruppo di amiche, ma apparteneva alla stessa classe sociale, l'élite costituita dagli alti funzionari e dai facoltosi mercanti britannici. Come vedremo meglio tra poco, Hooker corrispondeva già con lady Dalhousie, ma la prima ad essere reclutata formalmente fu Anne Mary Flower Perceval. Non solo è citata in Flora boreali-americana non meno di 150 volte, ma fu lei a coinvolgere nell'avventura le due amiche e altri conoscenti. I coniugi Perceval erano bel noti nella vita mondana e culturale della colonia; il marito Michael Henry era figlio dell'ex primo ministro britannico Spencer Perceval, mentre la moglie era nata in una ricca famiglia di mercanti londinesi; molto apprezzati erano i pranzi e le serate danzanti che si tenevano nella loro bella casa, Spencer Wood, al centro di una grande tenuta. Anne Mary era una "castellana elegante", una dama dalle maniere squisite, ma anche una madre di famiglia con dieci figli che cercava di educare secondo i metodi più all'avanguardia. Fu probabilmente pensando alla loro educazione che incominciò ad interessarsi di botanica, approfittando della ricchezza di piante che poteva raccogliere nella sua stessa tenuta. Avviò un erbario, appassionandosi soprattutto di crittogame, e incominciò a corrispondere con vari botanici americani, tra cui John Torrey. Fu proprio quest'ultimo nel 1824 a raccomandarla a Hooker: la signora Perceval - scrisse - era un'eccellente botanica, che avrebbe potuto essergli utile spedendogli piante essiccate; ma era anche una dama dell'alta società con vasti contatti che poteva aiutarlo coinvolgendo altre persone. Tra Hooker e Perceval iniziò un scambio epistolare; la donna accettò con entusiasmo di contribuire al progresso dell'amabile scienza delle piante, coinvolgendo anche i suoi bambini di varie età. Per venire incontro alle sue esigenze pedagogiche Hooker le inviò una copia delle sue Botanical Illustrations (1822), un manuale che aveva scritto per la classe iniziale dei suoi studenti di botanica all'università di Glasgow. Perceval, che già utilizzava come punto di riferimento Flora Americae septentrionalis di Pursh, di cui apprezzava la chiarezza didattica, ne fu deliziata. Già nel giugno 1825 fu in grado di spedire a Hooker un primo invio, assicurandogli che presto ne sarebbe seguito un altro, grazie al coinvolgimento di diversi amici. A ottobre dello stesso anni gli scriveva: "Ho sguinzagliato i miei amici in tutte le direzioni. I signori Sheppard si occuperanno del Quebec, lady Dalhousie di Sorel e Montreal, e io di quello che resta". Tra il 1825 e il 1826 la signora Perceval, insieme ai figli, trascorse l'inverno a Filadelfia, dove incontrò il botanico Lewis von Schweinitz, cui diede vari esemplari tra cui Pterospora andromedea, un'ericacea rara che cresceva nel sottobosco di pini di Spencer Wood, e il medico e botanico William Darlington cui donò un album di piante canadesi. Avrebbe continuato a collaborare attivamente con Hooker fino al 1828, quando rimase improvvisamente vedova e lasciò il Canada. Non risultano sue raccolte dopo questa data. Delle amiche reclutate da Anne Mary Perceval, l'acquisto più produttivo fu indubbiamente Harriet Campbell Sheppard, anche perché, al contrario di Perceval e Ramsay, rimase in Canada fino alla fine dei suoi giorni. Le sue raccolte si estendono per tutti gli anni '20 e '30 e in Flora boreali-americana è citata 144 volte; molte delle piante da lei raccolte appartengono a generi "difficili", ovvero di classificazione problematica. Anche suo marito era interessato alla botanica e la coppia inviò esemplari non solo a Hooker, ma anche a Torrey e Asa Grey. Anche i loro bambini furono coinvolti nelle raccolte, con gli stessi intenti pedagogici di Anne Mary Perceval, che del resto era un'amica intima della coppia e loro vicina di casa. Sappiamo che non di rado erborizzavano insieme. Negli anni '20, William e Harriet Sheppard furono in prima fila nelle istituzioni che promuovevano la diffusione della cultura e della conoscenza scientifica in Canada, come la Literary and Historical Society of Quebec; sorta nel 1824 sotto il patronato di lord Dalhousie, divenne anche una tribuna dove comunicare le loro ricerche. Tuttavia, contrari all'esclusivismo della LHSQ, che accettava solo membri della ricca élite anglofona, nel 1827 furono tra i fondatori della più democratica Society for the Encouragement of Sciences and the Arts, che era aperta a anglofoni e francofoni e incoraggiava la partecipazione femminile. Harriet Sheppard pubblicò anche diversi contributi, tra cui una memoria sulle conchiglie. Già anziana, nel 1864 fu invitata a parlare alla conferenza annuale della Montreal Natural History Society come "una dei pionieri della storia naturale in questo paese". Ne approfittò per fare l'elogio della sua vecchia amica lady Dalhousie. Prima di occuparci di lei (la vera protagonista di questo post), ancora due parole sulla quarta raccoglitrice di Hooker, Mary Brenton. Alla fine del 1829, il botanico scrisse a lady Dalhousie lamentando che rimaneva scoperta la flora dell'estremità orientale dall'America britannica. Lady Dalhousie chiese al marito di coinvolgere ufficialmente i governatori del New Brunswick e di Terranova. Fu così che fu individuata Mary Brenton, le cui raccolte si estendono dal 1830 al 1838 circa. In Flora Boreali-Americana è citata 102 volte per piante sia native sia introdotte. Accompagnando il padre nei suoi doveri d'ufficio, poté viaggiare parecchio. Un'alta percentuale delle sue raccolte è costituita da piante boreali, molte delle quali provengono da stagni e paludi. Alcune sono rare, come Halenia brentoniana (oggi H. deflexa subsp. brentoniana), così denominata da Hooker in suo onore. Alla ricerca di piante "nuove e rare" in Canada e in India Ma è ora di parlare di lady Dalhousie. Nata Christian Broun, discendeva da una nobile famiglia scozzese tradizionalmente impegnata in campo legale. Diciannovenne si sposò con George Ramsay, ottavo conte di Dalhousie, un militare che aveva combattuto sotto Wellington nelle guerre napoleoniche. Tornata la pace, anche per far fronte alle ingenti spese della ristrutturazione dell'amato Dalhousie Castle, egli accettò di entrare nell'amministrazione civile e nel 1816 fu nominato vicegovernatore della Nuova Scozia. La moglie e i tre figli lo accompagnarono in Canada, stabilendosi ad Halifax. Entrambi i coniugi coltivavano interessi culturali e promossero il progresso della cultura scientifica. Lord Dalhousie fondò il Dalhousie College di Halifax, ora Dalhousie University; inoltre acquistò una vasta proprietà dove introdusse miglioramenti agricoli. Lady Dalhousie faceva da padrona di casa, presiedeva alle occasioni mondane e accompagnava il marito nei frequenti viaggi imposti dai suoi doveri. Era una grande lettrice, di vasta cultura, molto spiritosa (come si evince sia dalle sue lettere, piene di humor, sia dalle divertenti caricature della buona società di Halifax che disegnò in quegli anni), ma anche seria e determinata. Una serietà e una metodicità ben riconoscibili nell'erbario che iniziò in questi anni, in cui luogo e data di raccolta sono indicati con precisione, le piante sono accompagnate da indicazioni sull'habitat e spesso da schizzi ad acquarello e le specie sono identificate con notevole precisione sulla scorta di Flora Americae septentrionalis di Pursh. Ben presto le sue preferite divennero le felci. Iniziò anche a spedire in Scozia semi e piante vive per il giardino di Dalhousie Castle. Nel 1820 lord Dalhousie fu promosso Governatore generale dell'America britannica e la famiglia si trasferì a Quebec City. La sede ufficiale era Chateau St. Louis, nella città alta, ma la residenza preferita divenne la tenuta di Sorel, una cittadina situata a sud-est di Montreal. Era una zona ricca di piante che permise a lady Dalhousie di raffinare le sue conoscenze botaniche. L'erbario crebbe rapidamente. Nel 1823, tra Sorel e Montreal, raccolse 328 piante, alcune delle quali rare. Nell'estate del 1826, tra Sorel, Quebec City, l'Ottawa River e il Gaspé, ne raccolse circa 300. Lady Dalhousie entrò in contatto con Hooker ancora prima che questi lanciasse il suo appello per Flora boreali-americana. Nel 1823 gli inviò alcune scatole con varie rarità raccolte nelle vicinanze di Montreal, soprattutto orchidee. Lo stesso anno egli la raccomandò all'esploratore artico John Richardson come "una botanica molto zelante" e nel suo saggio On the Botany of America del 1825 la collocò in prima fila tra coloro che maggiormente stavano contribuendo alla conoscenza della flora canadese. Dunque accolse volentieri l'invito dell'amica Anne Mary Perceval. Tuttavia, rispetto a lei e alle altre due raccoglitrici di Hooker, il suo contributo quantitativo a Flora boreali-americana si riduce a una cinquantina di specie, soprattutto orchidee e felci: infatti era sua ambizione contribuire con piante nuove o rare. Insieme al marito, progettava anche di creare un orto botanico in un'isola del San Lorenzo, ma ostacoli politici ne impedirono la realizzazione. Nel 1824 la famiglia tornò momentaneamente in patria e lady Dalhouisie diede mano alla ristrutturazione del giardino di Dalhousie Castle; lord Dalhousie era intenzionato a dare le dimissioni e ad occuparsi della sua proprietà in Scozia, ma le finanze familiari furono rovinate dal fallimento del suo agente. I Dalhousie dunque tornarono in Canada, rimanendovi fino al 1828. Nel 1827 lady Dalhousie presentò alla Literary and Historical Society of Quebec (di cui era cofondatrice con il marito) circa 400 piante canadesi; il catalogo fu pubblicato nel 1829 nel primo volume delle Transactions della società. Nel frattempo, lord Dalhousie era stato nominato comandante in capo dell'esercito britannico in India. Nel luglio 1829 marito e moglie partirono per la nuova destinazione; durante il viaggio, lady Dalhousie approfittò degli scali a Madeira, Sant'Elena e al capo di Buona Speranza per incrementare le sue raccolte. Lo stesso fece durante il soggiorno indiano, che si protrasse fino al 1834. Anche se si definiva a tyro "una tirocinante, una principiante", e all'inizio fu sconcertata da una flora che appariva tanto diversa da quella scozzese o canadese, era ormai una botanica ben più che dilettante. Le raccolte del periodo indiano ammontano a non meno di 1200 esemplari; quelle più significative le fece a Simla e a Penang. In una spiritosa lettera del febbraio 1833 a Hooker riassume i suoi viaggi, scusandosi della scarsa qualità e quantità delle piante raccolte in Malesia: il loro soggiorno è durato solo sei settimane ed è coinciso con la stagione delle piogge, rendendo impossibile seccare le piante a regola d'arte. Racconta poi del viaggio a Simla: dopo aver risalito il Gange per 700 miglia, hanno percorso le pianure indiane per 800 miglia a dorso d'elefante: viaggiare a tanti piedi d'altezza non è molto pratico per botanizzare! A Simla si sono fermati sette mesi, e lì davvero ha trovato un paradiso botanico, ma - aggiunge modestamente - non c'era nessuno ad aiutarla e potrebbe aver identificato scorrettamente molte piante. In realtà, era un'abile raccoglitrice con occhi esercitati per individuare piante nuove e rare. Grazie a lei molte andarono ad arricchire l'orto botanico di Calcutta. Del suo vasto ed eccellente erbario poté giovarsi ancora il figlio di Hooker Joseph Dalton per la sua Flora Indica. Hooker padre volle manifestare la sua gratitudine dedicandole il volume del 1833 del Curtis Botanical Magazine "per gli essenziali servizi che, nonostante i suoi vari doveri in Canada e in Bengala, ha reso alla botanica con le sue estese collezioni e l'introduzione di molte specie interessanti nei giardini di questo paese". Tornata definitivamente in Scozia nel 1834, donò le sue collezioni all'orto botanico di Edimburgo e divenne membro onorario della Società botanica della città, la sola donna ad esservi ammessa. Fu presto una figura riconosciuta della società cittadina e dedicò i suoi ultimi anni soprattutto al giardino di Dalhousie Castle, dove aveva creato un felceto con le piante raccolte durante i suoi viaggi. Era sua intenzione descriverle in un volume, come annuncia in una lettera a Hooker; la morte improvvisa nel 1839 le impedì di realizzare il progetto. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Omaggi floreali Diverse piante ricordano la nostra raccoglitrice "ai quattro angoli del mondo" (l'espressione è sua). La maggior parte delle piante che portano o hanno portato il suo nome nell'eponimo furono raccolte durante il "piovoso" soggiorno a Penang: le felci Asplenium dalhousiae e Pteris dalhousiae, la licopodiacea Huperzia dalhousieana, la spettacolare orchidea Dendrobium dalhousieanum (oggi D. pulchellum). Fu raccolta invece a Simla la bella Acantacea Strobilanthes dalhousiana. Le è stato dedicato anche il coloratissimo beccolargo codalunga, un passeriforme dell'Himalaya, Psarisomus dalhousiae; ne vediamo un esemplare impagliato nell'unico ritratto ufficiale della contessa: austeramente vestita di nero, ostenta un cipiglio severo che non ci aspetteremmo leggendo le sue lettere piene di ironia. Lo splendido Rhododendron dalhousiae non è invece dedicato a lei, ma a sua nuora Susan, moglie dell'unico figlio sopravvissuto, James Broun-Ramsay, marchese di Dalhousie. Quest'ultimo alla fine del 1847 fu nominato governatore generale dell'India e, insieme alla moglie, raggiunse la sua sede viaggiando sulla stessa nave che portò in India Joseph Dalton Hooker. Il botanico divenne buon amico della coppia e, grato dei molti aiuti ricevuti dal governatore durante la sua spedizione indiana, dedicò la bella pianta a lady Susan. Lady Christien è infine ricordata dal genere Dalhousiea (famiglia Fabaceae). Roxburgh nelle foreste del Bengala aveva raccolto un rampicante che denominò Podalyria bracteata, ma Robert Brown osservò che non poteva appartenere a quel genere. Robert Graham, professore di botanica di Edimburgo e membro eminente della Edinbourgh Botanical Society, la attribuì a un genere proprio che denominò appunto Dalhousiea. Si tratta di un piccolo genere con areale disgiunto, che comprende due sole specie: D. africana, che vive nell'Africa occidentale tropicale, e D. bracteata, diffusa nell'Himalaya orientale, in Bengala, in Assam e in Myanmar. Entrambe vivono nelle foreste tropicali umide. D. africana è una liana, mentre D. bracteata è un arbusto sarmentoso o una rampicante, con infiorescenze terminali di fiori bianco neve. Le foglie fresche sono usate in impiastri, mentre nella comunità Tagin dell'Arunachal Pradesh pezzi di corteccia trovano uso in rituali divinatori. Scoperto nel giardino abbandonato di un monastero buddista birmano, quello che fu presto soprannominato "l'albero più bello del mondo" venne battezzato dal botanico Nathaniel Wallich Amherstia nobilis in onore di Sarah e Sarah Elizabeth Amherst, rispettivamente moglie e figlia del governatore dell'India. Sembrerebbe il solito, banale, omaggio cortigiano se non fosse che le due ladies si erano rese benemerite della botanica come pioniere dell'esplorazione della flora indiana, scoprendo e introducendo in Europa, tra l'altro, una beniamina dei nostri giardini, Clematis montana. Una nobile pianta... Nel marzo del 1826, il trattato di Yandaboo metteva fine alla prima guerra anglo-birmana (1824-1826) con la cessione all'Inghilterra di Assam, Manipur, Arakan e Tenasserim. Lord Amherst, il governatore generale dell'India, inviò immediatamente nella Birmania meridionale una missione esplorativa capeggiata dal medico e esperto diplomatico John Crawfurd; ne faceva parte anche il botanico Nathaniel Wallich, direttore dell'orto botanico di Calcutta, il cui compito principale era valutare le potenzialità forestali della regione. Alla fine del mese, mentre Wallich rimaneva a Rangoon, Crawford con alcuni accompagnatori esplorò la zona tra Rangoon e la foce del fiume Thanlwin. Il 4 aprile, il gruppo visitò la grotta naturale di Kogún, decorata con centinaia di tavolette votive di terracotta; tra le offerte dei fedeli, manciate di splendidi fiori rossi. Erano stati raccolti poco lontano, nel giardino incolto di un monastero buddista semiabbandonato, dove cresceva "un albero alto circa venti piedi, abbondante di lunghi grappoli penduli di fiori di un ricco color geranio, con lunghe eleganti foglie lanceolate" (An Account of Martaban in March and April 1826). Crawfurd capì subito di trovarsi di fronte a una pianta ancora ignota alla scienza, impressione confermata al ritorno a Rangoon da Wallich, cui mostrò i campioni raccolti. Nei mesi successivi, il botanico danese la cercò inutilmente nelle foreste birmane, finché la ritrovò nel sito già segnalato da Crawfurd. Ne prelevò anche diversi germogli che poi trapiantò nell'orto botanico di Calcutta. Al suo ritorno in Inghilterra, pubblicò lo splendido albero in Plantae asiatiacae rariores (1830) come Amheristia nobilis, in onore della moglie e della figlia del governatore. Sembrerebbe il più scontato degli omaggi cortigiani, se non fosse che quel riconoscimento la madre, la contessa Sarah Amherst, e la figlia, Sarah Elizabeth Amerherst, se l'erano guadagnato davvero non solo come protettrici della scienza, ma come instancabili raccoglitrici di piante. Lo ricorda nella dedica lo stesso Wallich: "Dedicato alla nobile contessa Amherst e a sua figlia lady Sarah Amherst, in segno di riconoscimento della somma cura, della debita assiduità e degli indefessi e felici successi con i quali, finché dimorarono in India, coltivarono e promossero la scienza botanica". Tanto più che, quando Wallich scrisse queste parole, la burrascosa carriera pubblica di lord Amherst era ormai giunta al termine. William Pitt Amherst (1773-1857) è passato agli annali della diplomazia come responsabile del fallimento della sfortunata ambasceria in Cina (1816) a causa del suo rifiuto di prostrarsi di fronte all'imperatore. Anche il suo mandato in India, di cui fu governatore generale tra il 1823 e il 1828, fu sfortunato e discusso. Poco dopo il suo arrivo nel subcontinente, egli si lasciò incautamente convincere a dichiarare guerra alla Birmania, convinto che il conflitto si sarebbe risolto in poche settimane. Invece durò due anni, costò 13 milioni di sterline, scatenò un'epidemia di colera, provocò l'ammutinamento dei sepoys, rovinò l'economia indiana e le finanze della Compagnia delle Indie. Se non avesse avuto potenti protettori a Londra, primo fra tutti il duca di Wellington, egli sarebbe stato destituito. La conclusione positiva della guerra, insieme a una sua condotta più prudente, fece cambiare idea ai vertici della compagnia. Tuttavia, nel 1826, con una tipica operazione promoveatur ut amoveratur, il re lo nominò visconte, ma contemporaneamente fu richiamato in patria e per i quasi trent'anni che gli rimasero dal vivere non gli fu più affidato alcun incarico pubblico. Molto più gloriosi dunque gli allori botanici (e ornitologici) di sua moglie e sua figlia. E due nobili raccoglitrici La contessa Amherst (1762-1838), nata Sarah Archer, apparteneva all'alta nobiltà britannica. Sedicenne, si sposò con un cugino, il conte di Plymouth, da cui ebbe diversi figli. Rimasta vedova, nel 1800 si risposò con lord Amerhest, da cui ebbe una figlia, appunto Sarah Elizabeth, e tre figli. Non sappiamo come fosse nata la sua passione per le piante né se precedesse il soggiorno indiano. Come molte dame del suo ceto, coltivava le arti del disegno e della musica, che aveva trasmesso anche alla figlia. Nel 1823, quando partì alla volta dell'India con il marito, la figlia Sarah Elizabeth e il figlio maggiore Jeffrey, la contessa aveva già compiuto sessant'anni. Sui circa cinque anni trascorsi in India siamo ben informati grazie alle lettere di Sarah Elizabeth ai fratelli e soprattutto grazie al diario della stessa lady Amherst, di notevole freschezza e ammirevole semplicità. Il 18 marzo 1823 la famiglia sbarcò a Madras, dove fu ricevuta in pompa magna; proseguì poi via terra per Calcutta, dove giunse il 1 agosto. La residenza del governatore, Gouvernment House, era, anzi è, un lussuoso palazzo posto al centro di un vastissimo complesso, di cui conosciamo l'aspetto all'epoca grazie a uno schizzo di Sarah Elizabeth. Lady Amherst, che considerava assurdi i tentativi delle sue compatriote di ricreare in India cloni dei giardini inglesi, con piante portate dalla madrepatria condannate a morte certa, era decisa a crearvi un giardino popolato di piante locali. Fu forse con questo intento che visitò ripetutamente l'orto botanico della Compagnia delle Indie, a Shibpur, a una decina di km dall'area governativa di Calcutta. Fondato nel 1787, sotto la direzione prima di William Roxburgh e ora di Nathaniel Wallich, era divenuto un centro di studio e di acclimatazione di prim'ordine e un'oasi verde con migliaia di specie provenienti da tutte le regioni del subcontinente, ma anche da altri paesi tropicali. Diligente, lady Sarah ne percorreva i sentieri disegnando schizzi, prendendo note, chiedendo lumi al direttore, che divenne subito un amico. Fu forse su suo incoraggiamento che la nobildonna, con l'aiuto dell'inseparabile figlia, iniziò a creare il suo erbario indiano, con le piante raccolte e preparate "in modo abile e industrioso" (sono parole di Wallich). I numerosi viaggi ufficiali cui partecipò a fianco del marito le diedero occasione di visitare diverse aree del paese e di mettere insieme una collezione di non meno di cinquecento specie. Non è però il caso di immaginare le due ladies nei dimessi panni di cacciatrici di piante in gonnella. Coinvolgendo la prima dama del paese, anche una breve escursione diventava un affare di stato. Ad esempio, come leggiamo nel diario della contessa, nel gennaio 1825 madre e figlia, scortate da aiutanti di campo, risalgono il fiume in battello per visitare le rovine del forte di Gaukachi; fanno un picnic nella foresta, accettano graziosamente gli omaggi di banane, arance, latte offerte dai contadini; poi, mentre i battitori le aprono la strada a colpi di machete, lady Amherst issata su un elefante può penetrare nella giungla, che le si mostra come uno scrigno prezioso e selvaggio di alberi coperti di fiori e frutti. Alla sera, le due dame tornano trionfanti a casa con i loro trofei: piante, schizzi, fiori. Tra battellieri, cuochi, servitori, portatori, battitori la gitarella ha coinvolto qualche centinaio di persone. Lo stesso anno, un viaggio fluviale di una decina di giorni con la famiglia Amherst al completo impegnerà, tra servitori, battellieri e soldati di scorta, circa cinquecento persone. Tra i viaggi ufficiali, il più lungo e impegnativo fu quello che tra il giugno 1826 e il luglio 1827 portò il governatore (accompagnato dalla consorte e dalla figlia) a visitare gran parte dell'India settentrionale. Nella primavera del 1827, dopo una lunga visita di stato al moghul a Dehli, Amherst raggiunse Simla, dove doveva incontrare il maharaja del Punjab e l'ex re di Kabul. Fu così che scoprì quella che qualche anno dopo sarebbe diventata anche ufficialmente la "capitale estiva del Raj Britannico". Situata a un'altitudine di oltre 2000 metri e circondata dalle maestose cime dell'Himalaya, incantò tutti; le più felici erano la contessa e sua figlia che nei due mesi e mezzo trascorsi a Simla poterono sfogare la loro passione per la natura arrampicandosi instancabili sulle pendici di colline e montagne alla ricerca di piante rare o sconosciute alla scienza. In quel paradiso botanico che erano tra le prime ad esplorare scoprirono numerose nuove specie, tra cui Spiraea argentea Benth. (forse da identificarsi con S. media), Astragalus amherstianus, Allium leptophyllum (oggi A. rubellum), Bosea amherstiana, Wulfeniopsis amherstiana, Anemone vitifolia (oggi Eriocapitella vitifolia). Nel sottobosco di una foresta di cedri deodora, la scoperta più bella: Clematis montana, nella forma alba. Al loro ritorno a Calcutta, Sarah Elizabeth si ammalò gravemente. Il governatore e la sua famiglia dovettero così attendere l'inizio del 1828 per lasciare l'India. All'appello mancava Jeffrey che nel 1826 era morto di febbri a soli 24 anni. Nei loro bagagli, molti souvenir indiani, un erbario di cinquecento specie, semi e piante vive da introdurre in Inghilterra e una coppia di splendidi fagiani birmani, dono del re di Birmania alla contessa. Oggi sono noti come "fagiani di lady Amherst", Chrysolophus amherstiae. Ormai escluso dalla vita pubblica, lord Amherst si ritirò a vivere a Montreal, la sua casa di campagna nel Kent. Nel giardino e nelle serre, la contessa coltivava le piante portate dall'India, ma anche altre esotiche, come le brasiliane Justicia amherstiae (oggi J. brasiliana) e Grobya amherstiae. Il magnifico giardino che aveva creato attorno alla Gouvernment House non sopravvisse alla sua partenza: la moglie del nuovo governatore, lady Bentinck, dichiarò che quei fiori erano "veramente malsani" e tempo una settimana fece spiantare tutto. Una sintesi della vita delle due ladies Amherst nella sezione biografie. Una gara tra giardinieri La pubblicazione di Amherstia nobilis da parte di Wallich destò sensazione; la pianta venne immediatamente proclamata "l'albero più bello del mondo" e destò la cupidigia dei collezionisti. Tuttavia, al momento si conosceva solo l'esemplare di Kogún e i virgulti trapiantati da Wallich a Calcuitta che ci misero qualche anno a fiorire. Nel 1836 il duca di Devonshire spedì in India a caccia di piante l'aiuto giardiniere John Gibson: le sue istruzioni recitavano "procurarsi tutte le orchidee possibili e ritrovare Amherstia nobilis". Gibson ebbe la fortuna di arrivare a Calcutta proprio al momento della fioritura delle Amherstiae trapiantate da Wallich; si dice che ne fu così emozionato da mettersi a battere le mani come un bambino piccolo. Poi andò in Martaban a raccogliere semi e talee che però non sopravvissero. Un anno dopo tornò in Inghilterra con 300 nuove specie, tra cui 80 orchidee, e una pianticella di Amherstia nobilis. Per accoglierla degnamente, il duca fece costruire nel suo giardino di Chatsworth una serra apposita, la Amherstia house. Ma nonostante tutte le cure, la pianta morì qualche anno dopo, senza mai essere arrivata a fiorire. Negli anni successivi, la stessa sorte toccò ad altri esemplari coltivati a Syon House e a Kew. Il successo sarebbe arriso a un'altra signora, Louisa Lawrence. Moglie di William Lawrence, presidente del reale ordine dei chirurghi di Londra, a partire dal 1838 creò a Ealing un giardino famoso per la bellezza, la grande varietà di piante rare, la perfezione con cui erano coltivate. Orgogliosa della sua abilità e molto competitiva, Louisa accumulava premi su premi alle principali mostre orticole; il suo più grande rivale era Joseph Paxton, il capo giardiniere del duca di Devonshire. Nel 1849 gli inflisse la suprema umiliazione di riuscire a far fiorire per la prima volta Amherstia nobilis; ottenne quel risultato semplicemente lasciando aperta la porta della serra. Da allora, finché Louisa visse, il miracolo si ripeté ogni anno. Alla sua morte, nel 1855, la pianta venne trasferita a Kew, dove fiorì ancora per tre anni, poi morì. Ma nel frattempo i suoi fiori erano stati offerti alla regina Vittoria e aveva fatto in tempo a vederla e disegnarla anche Marianne North. Come scrive nelle sue memorie, furono anzi quei meravigliosi fiori ad accendere il suo desiderio di viaggiare per dipingere piante esotiche: "Una volta Sir William Hooker mi diede un mazzo di Amherstia nobilis, uno dei più grandi fiori esistenti. Era la prima volta che fioriva in Inghilterra, e quel dono mi fece desiderare ancora di più di vedere i tropici". Amherstia nobilis è l'unica specie del suo genere (famiglia Fabaceae). E' originaria delle foreste umide della Birmania e della Tailandia, ma in natura è molto rara. Considerata sacra, nel sudest asiatico viene spesso piantata nei giardini dei templi, in modo da poterne offrire i fiori freschi alle immagini del Budda. Inoltre è stata introdotta in altri paesi tropicali, anche se, come si è potuto notare, la sua coltivazione non è semplice, quindi a coltivarla sono soprattutto gli orti botanici. E' un albero sempreverde, alto fino a 15 metri, con chioma arrotondata, eleganti rami penduli e lunghe foglie composte. Fiorisce due volte l'anno, in ottobre e in aprile, e ciascuna volta per appena due o tre giorni. Le infiorescenze, lunghe anche 80 cm, portano venti fiori o più; retti da piccioli con la parte terminale cremisi, hanno cinque petali diseguali, quelli superiori più piccoli anch'essi cremisi, quelli medi cremisi con apici gialli, quello centrale di dimensioni maggiori, a forma di ventaglio con un triangolo giallo che si estende dal labbro alla gola; molto decorativi anche gli stami arcuati, rosso chiaro con antere gialle. Anche i frutti, a forma di scimitarra e dapprima rossi, sono di piacevole aspetto. La spettacolare pianta è nota anche con il nome "orgoglio di Birmania". Altre informazioni nella scheda. Situata nel villaggio di Emame nelle Fiandre, Huis Beaucarne è una dimora storica che si inorgoglisce di una spettacolare "serra dell'uva", con viti di circa 250 anni; ma anche di aver dato il nome al genere Beaucarnea che qui fiorì per la prima volta in coltivazione. Merito del notaio Beaucarne, al suo tempo celebre collezionista di orchidee, un grande appassionato che nelle sue serre sapeva offrire alle piante le condizioni ideali e le migliori tecniche di coltivazione. Una visita a casa Beaucarne Oggi Emame fa parte della municipalità di Oudenarde. Un tempo vi sorgeva una delle abbazie più importanti del Belgio, quella di San Salvatore che tuttavia nel 1795, in seguito all'occupazione francese, fu smantellata. Il sindaco della cittadina, Jean François Beaucarne, mise in salvo (o, si impadronì, dipende dai punti di vista) diversi arredi che andarono ad arricchire la sua casa, Huis Beaucarne, una dimora storica che si affaccia sulla piazza del paese e appartiene alla famiglia dal 1748. Con i suoi interni d'epoca e collezioni d'arte e curiosità, oggi è un monumento nazionale protetto; è anche una meta turistica, che offre visite guidate, tè del pomeriggio e location per matrimoni e altri eventi. Tra le attrazioni più notevoli, la maestosa vigna piantata due secoli e mezzo fa che occupa il secondo piano dell'arancera settecentesca, sopraelevata nell'Ottocento proprio per ospitarla. Il giardino, passato attraverso molti rifacimenti, appare un po' trascurato e incoerente, ma nell'Ottocento era uno dei più celebri del Belgio, soprattutto per le sue serre. Merito di uno dei membri della famiglia, il notaio Jean Baptiste Beaucarne (1802-1889); al contrario di almeno due dei suoi fratelli, impegnati in politica e protagonisti della rivoluzione del 1830, egli si divideva tra la professione e la passione per le piante, alle quali dedicava ogni momento libero. La sua era una famiglia di notabili, e non gli mancava la disponibilità finanziaria; aveva al suo servizio diversi giardinieri (nei registri comunali ne risultano almeno sette) ma sicuramente sapeva dirigerli con competenza. La sua lunga vita gli permise di diventare il decano dei collezionisti-amatori belgi. Il suo nome compare con una certa frequenza nelle riviste di giardinaggio dell'epoca. Era famoso soprattutto come orchidofilo, citato con elogio anche da Linden; le sue piante, esposte in patria e all'estero, gli guadagnarono menzioni e premi, come la medaglia d'oro alle Floralies di Gand del 1883. Un articolo comparso sulla Revue d'horticulture belge et étrangere nel 1886 ci consente di farci un'idea delle sue serre ai tempi d'oro. Mentre oggi sopravvivono solo la serra dell'uva e quella delle orchidee, trasformata prima in orangerie poi in cafeteria, allora ce n'erano almeno cinque. Proprio come la casa, tutto era lindo e pinto, con i muri tinteggiati di fresco e i pavimenti ben piastrellati. Due grandi serre erano riservate alla collezione di camelie e azalee, all'epoca considerate demodé, ma coltivate benissimo e con molte varietà recenti. La terza serra, di tipo "olandese", ovvero con le finestre a 90 gradi per ricevere il massimo della luce solare nei mesi invernali, era il regno di Agave, Dasilyrion e Yucca, di cui il notaio possedeva la più completa collezione del paese, con molte rarità: piante di dimensioni contenute, poco esigenti, coltivate in modo ottimale a giudicare dal loro rigoglio. Accanto a loro, altre piante ornamentali, una collezione di Araliaceae, qualche palma e una spettacolare Medinilla magnifica. Al piano terra della serra dell'uva venivano ricoverate le piante poco rustiche che trascorrevano la bella stagione all'esterno. Infine, eccoci giunti al clou, la serra delle orchidee. Diversamente dalle altre, non era pavimentata e vi era mantenuta un'atmosfera caldo-umida. Al momento della visita, ad attirare gli sguardi era un'impressionante Vanda lowii (oggi Dimophorchis lowii) in fiore, con due scapi lunghi 1,65 cm e 22 fiori ciascuno; nel 1876 Beaucarne era stato il primo a far fiorire questa una rarità. Ma c'erano molte altre orchidee fiorite, e tutte colpivano per il vigore eccezionale; nell'articolo si citano Vanda, Aerides, Saccolabium e Phalaenopsis; tra le altre spiccavano una notevole Laelia x brysiana (oggi Cattleya elegans) e una Vanda parishii (oggi Phalaenopsis hygrochila). Al momento della visita il notaio, che accolse i suoi ospiti con affabilità, era già ultraottantenne e morì pochi anni dopo, nel 1889. Almeno una parte delle piante fu messa in vendita dagli eredi. Il catalogo d'asta registra 694 tra specie e varietà. L'asta richiamò acquirenti anche dall'estero e durò due giorni, il primo riservato alle azalee e alle camelie, il secondo a tutto il resto. Oltre a numerosissime orchidee, furono offerte palme, Bromeliaceae e Amaryllis (presumibilmente Hippeastrum). Fiorirà la Beaucarnea... Non fu però un'orchidea a guadagnare al notaio Beaucarne un posticino nella storia della botanica, ma una delle piante senza troppe pretese che coltivava nella serra "olandese". A spiegarci perché è Charles Antoine Lemaire, curatore della celebre rivista L'Illustration agricole. Il primo settembre 1861 egli si trovò a far parte della giuria dell'esposizione floricola di Oudenarde, a due passi da casa Beaucairne. Il notaio presentò un esemplare di Pincecnitia, Pincinectia o Pincenectia (un nome barbaro scritto in vari modi), una pianta che da qualche tempo era abbastanza coltivata nelle serre temperate belghe; non rara, e neppure di dimensioni eccezionali: Lemaire ne aveva viste alte e grosse il doppio o il triplo, ma... quella del notaio era in piena fioritura! Fino ad allora, nessuno era riuscito a farla fiorire e i fiori erano ignoti. Già da un primo sommario esame, Lemaire capì che doveva trattarsi di un'Asparagacea; ne ebbe la conferma studiando a suo agio l'infiorescenza "per la graziosa cortesia del possessore". Giunse così alla conclusione che la specie andava assegnata a un genere nuovo che battezzò Beaucarnea, in onore appunto del nostro Jean-Baptiste Beaucarne. Denominò la specie Beaucarnea recurvata, un nome che conserva anche oggi; nota anche con il nome comune di "pianta mangiafumo", è una delle più diffuse piante d'appartamento. La si può acquistare ovunque, incluso il negozietto di Huis Beaucarne, di cui ovviamente è il genius loci. E' la specie più conosciuta del genere Beaucarnea, che comprende una dozzina di specie di succulente pachicauli delle foreste xerofile di Messico, Belize e Guatemala; è molto affine a Nolina, ma recenti ricerche ne hanno confermato l'indipendenza, inserendovi anche le due specie precedentemente assegnate a Calibanus. Chi desiderasse saperne di più, non deve mancare di visitare il Jardín Botánico Francisco Javier Clavijero a Xalapa, nello stato messicano di Veracruz; qui si trova la "Colección Nacional de Beaucarneas" con oltre 400 esemplari di sette specie. Di lenta crescita, hanno fusto ingrossato alla base e foglie lineari, in alcune specie lunghissime, raccolte in ciuffi apicali; i fiori, riuniti in una grande pannocchia, sono numerosissimi ma molto piccoli. A produrli solitamente sono solo gli esemplari piuttosto vecchi: cosa che rende ancora più eccezionale l'impresa del notaio Beaucarne e dei suoi giardinieri. Qualche approfondimento nella scheda. Nel corso della seconda spedizione nell'America settentrionale, David Douglas scopre un curioso arbusto con lunghi gattici biancastri e decide di battezzarlo Garrya elliptica in onore di uno dei dirigenti della Hudson's Bay Company, che tanto gli era stata d'aiuto in questa e nella precedente spedizione: Nicholas Garry, un personaggio che sarebbe del tutto dimenticato senza questa dedica e il ruolo che giocò nella storia della HBC, ancora oggi una delle maggiori aziende canadesi. Seguiamolo nel difficile viaggio tra laghi e fiumi canadesi durante il quale gli toccò, con tatto e diplomazia, di mettere pace tra trapper rivali che fino a pochi mesi prima si scambiavano fucilate. Una difficile missione tra i cacciatori di pellicce Tra fine Settecento e inizio Ottocento, la caccia e il traffico delle pellicce in Canada erano controllati da due compagnie rivali, la Compagnia della Baia di Hudson (Hudson's Bay Company, HBC) e la Compagnia del Nord Ovest (North West Company, NWC). Intorno al 1810, la diminuzione dei profitti, causata dalla rarefazione degli animali da pelliccia, dalle tensioni di frontiera con gli Stati Uniti e dall'insediamento di coloni che sottraevano spazio alle foreste, sfociò in una guerra aperta, con sabotaggi reciproci, assassini e addirittura scontri armati. Era una situazione insostenibile che preoccupava tanto le autorità politiche quanto gli azionisti delle Compagnie. Per riportare l'ordine, il segretario di stato per la guerra e le colonie, lord Bathurst, ritenne che l'unica soluzione fosse costringere le due rivali a fondersi in un'unica compagnia, che avrebbe mantenuto il nome della più antica, l'HBC, e avrebbe avuto il monopolio dei traffici su un territorio immenso, da costa a costa. Per spiegare la situazione agli agenti locali, ridefinire la struttura organizzativa e riorganizzare la rete delle stazioni commerciali fu deciso l'invio in Canada di un rappresentante per ciascuna delle vecchie compagnie. Il direttivo della HBC scelse il suo membro più giovane, e l'unico scapolo, Nicholas Garry, un mercante che in precedenza aveva commerciato con la Russia. La missione infatti si presentava difficile e impegnativa anche sul piano fisico. I due incaricati dovevano visitare le principali stazioni commerciali e mettere fine a anni di ostilità convincendone i capi che l'accordo conveniva a tutte le parti. Garry si rivelò una scelta felicissima e seppe dimostrare pazienza, equanimità, diplomazia. Di grande valore storico la testimonianza del suo Diary of Nicholas Garry, deputy-governor of the Hudson’s Bay Company from 1822–1835: a detailed narrative of his travels in the northwest territories of British North America in 1821. Garry partì da Londra alla fine del marzo 1821 e viaggiò fino a New York insieme ai due delegati della NWC che avevano partecipato alle trattative per la fusione, Angus Bethune e John McLoughlin. Alla fine di maggio era a Montreal, il quartier generale della NWC, dove fu raggiunto dal suo corrispettivo della compagnia rivale, Simon McGillawry. Come nota ironicamente nel suo diario, fino a pochi mesi prima costui era "il più attivo e strenuo oppositore degli interessi della Compagnia che sono incaricato di rappresentare". Due settimane dopo si imbarcava con McGillawry e suo fratello maggiore William su una canoa di scorza di betulla manovrata da dodici rematori franco-canadesi. La meta era Fort William (oggi Thunder Bay), sul Lago superiore, il principale deposito della NWC, dove ebbe luogo l'incontro con gli agenti della vecchia compagnia. All'inizio fu alquanto tempestoso, ma più il maggiore dei McGillevry spiegò con franchezza i termini dell'accordo e convinse i suoi compagni dei vantaggi. Seguirono estenuanti trattative sulla distribuzione dei posti. Garry annotò sinteticamente nel diario: "Da giovedì 10 luglio a sabato 14 luglio. Discussioni senza fine". Poi verificò gli inventari e i conti e inviò il suo rapporto a Londra; quindi partì con McGillawry per York Factory, la stazione commerciale della HBC situata all'estremità occidentale della baia di Hudson, punto di arrivo della pista che collegava la baia con Fort Vancouver e il Pacifico. Era un viaggio lungo e impegnativo che durò un mese e mezzo. I due commissari viaggiavano su due diverse canoe, ciascuna con otto rematori, che all'inizio trasformarono il viaggio in una sorta di gara. Sul Rainy Lake incontrarono un consiglio di indiani, ai quali Garry assicurò che non avevano nulla da temere dalla fusione delle due compagnie, anzi al contrario ne avrebbero tratto beneficio. La navigazione proseguì tra un dedalo di laghi e fiumi attraverso il Lago dei boschi e il fiume Winnipeg fino alla colonia di Red River; era stata proprio la fondazione di questo insediamento di coloni scozzesi, voluto da lord Selkirk, a scatenare le peggiori ostilità tra le due compagnie, che erano sfociate addirittura in una battaglia, con il coinvolgimento dei Métis, il gruppo indigeno nato dai matrimoni misti tra nativi, franco-canadesi e altri europei. Selkirk aveva risposto occupando Fort William e facendone arrestare i capi, tra cui McLoughlin e William McGillawray. La morte del lord nel 1820 aveva riportato un po' di pace, ma Garry notò che la situazione era ancora esplosiva e che sarebbero state necessarie misure forti. A Norway House sul lago Winnipeg ci fu un secondo incontro con gli agenti, che confermò gli accordi di Fort William, in particolare l'abbandono della via commerciale della NWC tra Fort William e Montreal a favore di quella più diretta della HBC attraverso York Factory e la baia di Hudson. Quindi navigando lungo il Nelson River, alla fine di agosto i due delegati raggiunsero York River, dove furono accolti dal governatore della HBC William Williams. A causa della sua azione non di rado arbitraria durante le ostilità, quest'ultimo era particolarmente inviso agli uomini della NWC e McGillawry ne pretese la rimozione. Garry riuscì a trovare una soluzione diplomatica: Williams lasciò il posto di governatore del dipartimento settentrionale a George Simpson e fu trasferito al dipartimento meridionale; mantenne tuttavia il titolo di governatore senior. Garry scoprì con sollievo che la soluzione non spiaceva a Williams, che, destinato a una sede meno redditizia ma anche meno periferica, avrebbe potuto finalmente far venire la famiglia dall'Inghilterra. Risolte con successo tutte le questioni, Garry poté così lasciare York Factory e imbarcarsi a metà settembre per l'Inghilterra. In apprezzamento del suo operato, la Compagnia lo promosse vice governatore. In Canada lasciò il ricordo di un uomo umano, pieno di tatto e sopra le parti. In suo onore il nuovo forte costruito dalla HBC nel 1822 sul Red River fu battezzato Fort Garry. Garrya, la "maggiore curiosità della collezione" Non sappiamo molto del ruolo di Garry negli uffici della Compagnia a Londra nei dodici anni in cui fu vicegovernatore (1822-1835). E' probabile che tra l'altro si occupasse del Museo della Compagnia, dove erano custoditi oggetti di varia natura provenienti dal Canada e dagli Stati Uniti nord-orientali. O almeno, è in questa veste che lo conobbe l'esploratore e cacciatore di piante David Douglas. Tra il 1824 e il 1827 per incarico della Royal Horticultural Society egli aveva visitato il nord America nord-occidentale ed era stato grandemente aiutato dalla HBC: non solo aveva viaggiato sia all'andata sia al ritorno a bordo di navi della compagnia, ma muovendosi lungo la pista che collegava Fort Vancouver a York Factory aveva utilizzato come campo base le sue stazioni commerciali, aveva viaggiato con i suoi agenti ed era stato da loro aiutato in ogni modo. Al suo ritorno a Londra, visitò il Museo della Compagnia per verificare alcuni esemplari e conobbe Garry, con il quale strinse amicizia. Il vicedirettore lo aiutò ad organizzare il suo secondo viaggio, iniziato, di nuovo a bordo di una nave della HBC, nell'ottobre 1829. Così, quando sulla costa dell'Oregon si imbatté in un notevole arbusto mai descritto in precedenza, decise di battezzarlo Garrya elliptica, in onore del nostro Nicholas Garry, al quale dedicò anche Quercus garryana, una quercia endemica della costa settentrionale del Pacifico. Garry seguiva le avventure dell'amico e ci rimane una sua preoccupatissima lettera a Hooker in cui lo informa sulle voci (purtroppo fondate) circa la morte di Douglas alle Hawaii. Di lui sappiamo solo che nel 1835 diede segni di squilibrio mentale tanto che fu costretto a lasciare il lavoro e morì nel 1856 senza aver mai recuperato il senno. Oggi sarebbe del tutto dimenticato senza l'omaggio di Douglas. Garrya Douglas ex. Lindl., appartenente a una famiglia propria (Garryaceae, che oggi include anche Aucuba japonica) è un piccolo genere di una quindicina di specie di arbusti distribuite lungo la costa pacifica dall'Oregon a Panama, con qualche rappresentante nelle Antille. Sono piante dioiche a fecondazione anemofila caratterizzate da fiori raggruppati in lunghi amenti penduli che iniziano a spuntare alla fine dell'estate e raggiungono la maturazione alla fine dell'inverno, quando il vento disperde il polline dei fiori maschili. La specie più nota, coltivata anche nei nostri giardini, è proprio Garrya elliptica, endemica della costa dell'Oregon e della California settentrionale, dove cresce in formazioni vegetali aride. E' un arbusto molto ramificato che tende ad assumere un'ordinata forma sferica, con foglie coriacee dai margini ondulati, densamente tomentose nella pagina inferiore. Solitamente vengono coltivati esemplari maschili, i cui gattici sono molto più lunghi di quelli femminili; fioriscono tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, ma le brattee persistenti rimangono fino all'estate. G. fremointii e G. flavescens sono simili, ma con margini delle foglie lisci anziché ondulati. G. congdonii, molto comune nella Catena costiera della California, è alquanto simile, ma vive in habitat più montani al di sopra dei 200 metri. Lindley, che pubblicò le piante raccolte da Douglas, giudicò che Garrya fosse meno attraente di altri generi introdotti da questo formidabile cacciatore di piante, ma che fosse "la maggiore curiosità botanica della sua collezione". E' un giudizio forse un po' ingeneroso, se pensiamo alla bella e prolungata fioritura invernale di G. elliptica. Qualche approfondimento nella scheda. Nel 1978, l'astronomo russo Nikolaj Stepanovič Černych scopre un nuovo asteroide della fascia principale; decide di battezzarlo 3195 Fedchenko in onore di una eccezionale famiglia di scienziati: l'esploratore, glaciologo, zoologo e antropologo Aleksej Pavlovič Fedčenko; sua moglie, la botanica Ol'ga Aleksanderovna Fedčenko; e il figlio di entrambi, Boris Alekseevič Fedčenko, anch'egli botanico. Tutti e tre furono scienziati eminenti, anche se la figura più affascinante è probabilmente Ol'ga, coraggiosa compagna d'avventura del marito prima, tenace curatrice del suo lascito dopo l'improvvisa morte di lui, ma soprattutto grande botanica, la prima donna a studiare le piante in modo professionale nel suo paese, esperta di fama mondiale della flora del Turkestan. Esploratori della ricca flora dei monti dell'Asia centrale, madre e figlio sono ricordati anche da numerosi eponimi: fedtschenkoi o fedtschenkoanus in onore di Boris, fedtschenkoae o più spesso olgae in onore di Ol'ga, che è anche celebrata dall'unico genere valido dedicato al trio: il genere Olgaea, che raggruppa una quindicina di specie di grandi cardi asiatici. Una coppia nella vita e nella scienza Nella Russia degli zar, l'Università era preclusa alle donne. Tuttavia Ol'ga Aleksandrovna Armfeld (1845-1925) poté giovarsi di un ambiente familiare eccezionalmente aperto e stimolante. Suo padre, Aleksandr Osipovič Armfeld, discendente da una famiglia di origine tedesca, era uno stimato professore di medicina legale all'Università di Mosca, e dal 1838 svolgeva anche il ruolo di ispettore dell'Istituto Nikolaevskij, una scuola secondaria per ragazze di buona famiglia che preparava all'insegnamento. La madre Anna Vasilievna Dmitrovskaja, che a sua volta era stata educata nel famosa scuola femminile Ekaterinskij, era l'animatrice di un frequentatissimo salotto, uno dei centri della vita artistica e culturale della città, con ospiti del calibro di Gogol', Lermontov e Lev Tolstoj. Insieme alle sorelle, Ol'ga (era la terza di una nidiata di ben nove tra figli e figlie) inizialmente venne educata in casa, ma nel 1857, a dodici anni, iniziò a frequentare l'Istituto Nikolaevskij, concentrandosi soprattutto sulle lingue straniere, la musica, il disegno e la pittura. Nel curriculum le scienze naturali, troppo "maschili", non erano previste, ma Ol'ga le scoprì e se ne innamorò durante i soggiorni estivi nella tenuta di famiglia a Možajsk. Incominciò a collezionare minerali, conchiglie, insetti e uova d'uccelli, e creò il suo primo erbario, così ben fatto che Nikolaj Kaufman lo incluse nella sua Moskovsakaja flora: un risultato notevole per una ragazzina sedicenne che stava studiando la botanica da autodidatta, traducendo le descrizioni dai grandi repertori stranieri. Nel 1864 Ol'ga si diplomò con il grado di candidat, e rimase al Nikolaevskij come insegnante di lingue. Lo stesso anno (all'epoca aveva diciannove anni) fu tra i fondatori della Società degli amanti delle scienze naturali, antropologia, etnografia (più tardi Società delle scienze naturali di Mosca), nota con la sigla OLEAE, un'associazione sorta attorno all'Università di Mosca tra i cui soci figuravano scienziati ma anche colti dilettanti. Incominciò anche a collaborare come volontaria al Museo di zoologia, aiutando a tenere in ordine le collezioni, traducendo in russo testi scientifici dal francese, dal tedesco, dall'inglese, curando la corrispondenza con studiosi europei e disegnando illustrazioni naturalistiche. Un altro dei fondatori dell'OLEAE era Aleksej Pavlovič Fedčenko (1844-1873), un giovane naturalista che si era appena laureato all'Università di Mosca. Aleksej era nato a Irkustsk, in Siberia, ma nel 1860 si era trasferito a Mosca, dove già viveva un fratello maggiore; insieme a lui, nel 1863 Aleksej fece la sua prima escursione scientifica nella regione dei laghi salati della Russia meridionale, appassionandosi di entomologia e raccogliendo una notevole collezione di imenotteri e ditteri, oggetto della sua prima pubblicazione. Dopo la laurea, entrò al Nikolaevskij come insegnante di scienze naturali. Ol'ga e Aleksej si innamorarono e divennero una coppia di scienza e di vita. Nel 1867 si sposarono. Nel frattempo, su richiesta del governatore del Turkestan Kaufman, l'OLEAE aveva varato una spedizione scientifica in quella regione recentemente annessa all'Impero russo e decise di affidarne la direzione a Aleksej Fedčenko, la persona più indicata per la vastità degli interessi che spaziavano dalla zoologia alla geologia all'antropologia. Ol'ga volle accompagnarlo, come membro ufficiale ma non pagato della spedizione. Era una decisione inaudita: non solo nessuna donna russa prima di lei aveva partecipato a una grande spedizione scientifica, ma il territorio da esplorare era particolarmente difficile e pericoloso. Largamente inesplorato, impervio, con una popolazione per lo più ostile agli occupanti russi, era anche un luogo strategico in cui si incontravano (e scontravano) le aspirazioni russe e quelle britanniche alla base del "grande gioco". I Fedčenko si prepararono seriamente alla missione visitando musei e collezioni in patria e all'estero. Il viaggio di nozze li portò in Finlandia e in Svezia. Infine, nell'ottobre del 1868 partirono per il Turkestan: Aleksej si sarebbe occupato della geografia, della zoologia, dell'antropologia; Ol'ga della botanica, delle carte e delle illustrazioni. All'epoca anche i collegamenti con quella remota regione erano difficili, e il viaggio in vettura di posta richiese più di cinquanta giorni. La spedizione vera e propria iniziò dalla valle dello Zeravshan (attuale provincia di Samarcanda nell'Uzbekistan), da pochissimo annessa alla Russia; i Fedčenko si muovevano a cavallo, accompagnati da una scorta di cosacchi. Dopo aver esplorato le aree attorno alle città di Tashkent e Samarcanda, si spostarono nel deserto del Kizilkum, il vastissimo bassopiano arido che separa i bacini dell'Amu Darya e del Syr Darya, al confine tra Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. L'esplorazione continuò con i Monti Zeravshan, la fertile valle di Fergana e i Trans-Alaj, la catena dorsale che separa la valle dell'Alaj dal Pamir. I Fedčenko si muovevano tra scenari mozzafiato, con laghi, ghiacciai immensi e cime che superano i 7000 metri d'altitudine. Aleksej scoprì (e Ol'ga disegnò) la vetta maggiore del sistema, il Monte Kaufman (dal nome del governatore del Turkestan), poi Picco Lenin e oggi Picco Ibn Sina (7134 m sul livello del mare). Avrebbero voluto proseguire per il Pamir, il "tetto del mondo", che faceva sognare gli europei fin dal tempo di Humboldt. Ma dovettero tornare indietro: non aveano più provviste ("abbiamo fatto lo sciopero della fame per due giorni", annotò Aleksej). La spedizione era finita. Dopo tre anni esatti dalla partenza, nel novembre 1871 i Fedčenko erano di ritorno a Mosca con un immenso bottino; le sole piante raccolte da Ol'ga erano più di 1500, con molte specie nuove per la scienza. Iniziava il lavoro per la pubblicazione dei risultati. Nel dicembre 1871 Aleksej presentò alla Imperiale società geografica russa una relazione che destò sensazione per le informazioni inedite sul Pamir. Grande interesse fu suscitato anche dal padiglione dedicato al Turkestan, allestito dai Fedčenko nel 1872 per l'Esposizione politecnica panrussa di Mosca. Subito dopo, i coniugi partirono per un viaggio di studio in Europa occidentale. La prima tappa fu la Francia, quindi Lipsia, dove a Aleksej fu offerto un lavoro nel laboratorio dell'Università e Ol'ga seguì lezioni di botanica. Proprio a Lipsia, a dicembre, nacque l'unico figlio della coppia, Boris. Nell'estate, con il neonato si spostarono a Heidelberg e quindi in Svizzera, dove Aleksej intendeva studiare i ghiacciai per prepararsi a una nuova spedizione nel Pamir. Il 2 settembre 1873, accompagnato da due guide locali, Aleksej mosse da Chamonix per raggiungere il ghiacciaio del Gigante. Proprio mentre si trovavano sul ghiacciaio, il tempo peggiorò all'improvviso e Fedčenko ebbe un malore. Le guide, piuttosto inesperte e a loro volta esauste, decisero di lasciarlo a se stesso e scesero in cerca di soccorsi. Quando questi arrivarono, lo trovarono già morto. Ol'ga era invece convinta che fosse ancora vivo, e che se le autorità locali avessero inviato un medico, avrebbe potuto essere salvato. Al momento della morte, Aleksej Pavlovič aveva 29 anni. Fu sepolto a Chamonix e sulla sua tomba Ol'ga fece collocare una lapide con l'epigrafe "Dormi, ma le tue fatiche non saranno dimenticate". Vedova, madre, ma soprattutto botanica! Subito dopo la mesta cerimonia, Ol'ga ritornò a Mosca con il piccolo Boris. Negli anni successivi, una serie di sventure colpì la famiglia Armfeld; la più dolorosa fu l'arresto della sorella minore Natal'ja, impegnata nel movimento populista, seguito dalla deportazione in Siberia e dalla morte. Le condizioni economiche di Ol'ga Fedčenko peggiorarono, e la donna fu costretta a mantenere se stessa e il figlio con una modesta rendita. Ancora nel 1873, pubblicò il suo primo lavoro: la traduzione di Sketch of the geography and history of the Upper Amu-Daria di Henry Yule, con le note di Aleksej. Un lavoro eccellente che le guadagnò una medaglia della Società Geografica. Molto successo godettero anche i suoi disegni e le sue vedute dei monti del Turkestan, Nonostante le difficoltà personali, Ol'ga si era data un compito sacro: assicurare la catalogazione, lo studio e la pubblicazione dei materiali raccolti durante la spedizione in Turkestan. Aleksej aveva fatto in tempo solo a scrivere Viaggio in Turkestan (che fu pubblicato nel 1875). Nella Russia di fine Ottocento, era impensabile che una donna dirigesse un lavoro così impegnativo e così costoso. Tuttavia il presidente dell'OLEAE riuscì a convincere il governatore Kaufman che la signora Fedčenko era l'unica a poter garantire il successo dell'impresa; ufficialmente, a curare la pubblicazione fu un comitato editoriale ad hoc, ma Ol'ga ne faceva parte ed era lei a coordinare tutte le attività e a corrispondere con i diversi autori coinvolti nel progetto. Solo grazie al suo impegno e alla sua perseveranza, tra il 1874 e il 1902 uscirono i venti volumi dedicati alla spedizione, con le descrizioni della geografia, della geologia, della flora e della fauna della regione. I volumi dedicati alle piante si devono a Ol'ga Fedčenko, che ormai era una botanica internazionalmente riconosciuta. In questi anni, si occupò anche dell'erbario dell'Orto botanico dei farmacisti di Mosca e pubblicò una catalogo dei muschi dell'Orto botanico di San Pietroburgo. Ma Ol'ga aveva ancora un sogno: tornare in Pamir e riprendere quel viaggio interrotto. Per tornare sul campo dovette aspettare quasi vent'anni, fino al 1891. Ora accanto a lei c'era un nuovo compagno: suo figlio Boris, che si era appena iscritto all'Università di Mosca dove studiava botanica. Il loro primo viaggio, tra il 1891 e il 1892, li portò negli Urali sudoccidentali, una regione con caratteristiche geologiche e una flora molto varia, dalle comunità delle steppe a quelle di alta montagna. L'anno dopo erano in Crimea, e quello successivo nel Caucaso. Nel 1897 (adesso Boris era assistente all'Università di Mosca) madre e figlio andarono nel Tian Shan. Ol'ga trascorse i due anni successivi a studiare le collezioni degli orti botanici e degli erbari dell'Europa occidentale, inclusi quelli di Parigi, Berlino e Londra, mentre Boris veniva assunto come botanico principale dell'Imperiale orto botanico di Pietroburgo. Finalmente, nel 1901 i Fedčenko poterono intraprendere la sognata esplorazione del Pamir. A cinquantacinque Ol'ga ritrovava i paesaggi che l'avevano affascinata quando era una giovane donna. La regione era ancora largamente inesplorata e sottoposta all'occupazione militare, ma era divenuta meno irraggiungibile, grazie alla ferrovia che ora arrivava a Tashkent. La spedizione durò cinquantadue giorni e li portò fino al confine dell'Afghanistan. Ol'ga cavalcò per intere giornate, riposandosi il minimo indispensabile, e sostentandosi con tè e pane secco. I risultati della spedizione furono pubblicati da Ol'ga Fedčenko in Flora Pamira (1903-1905) e Definizione delle piante del Pamir (1910). A quattro mani con Boris è l'imprescindibile Conspectus Florae Turkestanicae (1913), pubblicato contemporaneamente in russo e in tedesco, che copre 4145 specie. Adesso Ol'ga viveva con suo figlio a San Pietroburgo, dove dal 1905 Boris era diventato capo dell'erbario (il cui fiore all'occhiello erano proprio le collezioni dei Fedčenko), ma soggiornava spesso nella tenuta degli Armfeld a Možajsk. Qui, a partire dal 1895, madre e figlio avevano creato un eccezionale orto botanico privato, chiamato Ol'gino: era un giardino di acclimatazione, dove coltivavano e studiavano le piante raccolte durante le spedizioni; erano anche molto generosi nel distribuirne i semi ad altri orti botanici. Le piante preferite di Ol'ga erano le Iris, gli Allium e gli Eremurus. Nel 1906 Ol'ga divenne membro corrispondente dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo: la seconda donna, e la prima naturalista, ad ottenere questo onore. Seguirono ancora due viaggi nell'amato Turkestan, sempre con Boris, uno nel 1910 e l'altro nel 1915. Alla vigilia della guerra, nel corso del suo ultimo viaggio in Europa, visitò anche l'Italia e erborizzò nei dintorni di Napoli. Nonostante la salute declinante e i rovesciamenti politici, rimase attiva fino alla morte nel 1921. Aveva appena fatto in tempo a pubblicare il suo sessantaduesimo lavoro, una monografia sull'amato genere Eremurus. Una sintesi della vita della prima botanica professionista russa nella sezione biografie. Per concludere, qualche riga su Boris Alekseevič Fedčenko, a sua volta uno dei più importanti botanici della sua generazione. Come ho già detto, nel 1902 era stato nominato curatore dell'erbario dell'Orto botanico di San Pietroburgo; gli fu affidata anche la direzione della rivista dell'Istituto, Bulletin of the Imperial Institute. Nel 1908, insieme al micologo A. A. Elenkin e al botanico A. F. Flerov, iniziò a pubblicare una rivista indipendente, Journal Russe de Botanique, che uscì fino al 1915, quando fu costretto a chiudere in seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale. Sempre con Flerov, tra il 1908 e il 1910 pubblicò Flora Evropejskoj Rossii ("Flora della Russia europea"), che contiene 3.542 nuove specie, e una flora dell'Oka. Questi volumi furono criticati da alcuni colleghi per le descrizioni essenziali; era una scelta voluta, per mantenere loro un formato tascabile, che li rese un bestseller tra appassionati e escursionisti, Negli anni '20, Fedčenko fu impegnato in escursioni sul campo nella Russia asiatica, grazie alle quali poté completare Flora Asiatskoj Rossii "Flora della Russia asiatica" (1912-1924), ancora con Flerov. Nel 1931, quando l'Orto botanico e il Museo Botanico di Leningrado vennero fusi per creare l'Istituto Komarov, sotto la direzione dello stesso Vladimir Komarov, Fedčenko lo sostituì come editore capo della grandiosa Flora dell'Unione sovietica, di cui curò diversi volumi fino alla sua morte nel 1947. Olgaea, un ritratto vegetale? Aleksej Pavlovič Fedčenko era soprattutto uno zoologo ed è onorato dall'epiteto fedtschenkoi (la barbara grafia si deve alla trascrizione tedesca del cirillico) di alcune specie di animali; come geografo e glaciologo, a ricordarlo è soprattutto il ghiacciaio Fedčenko, il maggiore del Pamir, anzi il più grande al di fuori dei Poli, scoperto nel 1878. Le numerose piante con nome specifico fedtschenkoi o più raramente fedtschenkoanus sono invece dedicate a suo figlio Boris. Probabilmente la più famosa è Kalanchoe fedtschenkoi, una specie malgascia che nel 1915 fu dedicata dallo scopritore Perrier de la Bâthie al "sapiente e gentile dottor Fedčenko dell'Orto imperiale di San Pietroburgo". Nel 1941 Kudrjasev gli dedicò inoltre il genere Fedtschenkiella, oggi sinonimo di Dracocephalum. Moltissimi onori sono giustamente andati a sua madre Ol'ga Armfeld Fedčenko, una grande botanica di fama europea. Il primo omaggio venne nel 1878 da Regel, il botanico tedesco che dirigeva l'orto botanico di San Pietroburgo, con Rosa fedtschenkoana, una bellissima specie nativa dalle regioni coraggiosamente esplorate da Ol'ga e Aleksej. Nel 1882 replicò con il genere Fedtschenkoa, oggi sinonimo di Strigosella. La maggior parte delle piante che la ricordano hanno però una denominazione basata sul suo nome personale: sono un centinaio le specie di trenta famiglie diverse che portano in suo onore l'eponimo olgae. Nella maggior parte dei casi, si tratta di piante delle steppe e delle montagne dell'Asia centrale, da lei scoperte nel corso dei suoi viaggi. Tra di esse, non poteva mancare Eremurus olgae, un altro omaggio di Regel. Non fanno eccezione alcune specie del genere Olgaea, omaggio postumo di M. M. Ilijn (1922). Questo piccolo genere di cardi della famiglia Asteraceae comprende infatti una quindicina di specie distribuite tra l'Asia centrale, l'Himalaya e le aree temperate dell'Asia orientale; ma il loro territorio di elezione, il centro di diversità, sono proprio le impervie montagne dell'antica regione del Turkestan, oggi divisa tra varie repubbliche. Sono erbacee perenni piuttosto imponenti, assai ramificate e piuttosto spinose, con fiori viola o blu che ricordano quelli dei carciofi, adattate a resistere all'aridità e a condizioni climatiche estreme, con inverni glaciali ed estati torride. Sono piante bellissime e austere, che credo non sarebbero spiaciute alla tenace e coraggiosa dedicataria, di cui potrebbero anche essere un occulto ritratto vegetale. Qualche approfondimento nella scheda. Nel 1805, nel momento di massima ascesa dell'astro napoleonico, lo zar Alessandro I e i suoi consiglieri guardano a Oriente. E' in questo contesto che, con enorme spesa, parte per la Cina un'elefantiaca ambasceria, nella speranza di impressionare i cinesi e di strappare condizioni più favorevoli per il commercio russo. Sarà un disastro: l'ambasciatore Jurij Golovkin e il suo seguito non vanno oltre Urga (oggi Ulan-Bator), capitale dello stato tributario della Mongola. A fermare il conte Golovkin, esattamente come lord Macartney dodici anni prima e lord Amherst dieci anni dopo, il rifiuto di eseguire il kotow, l'umiliante cerimonia della prosternazione al figlio del Cielo. Dal punto di vista scientifico, però, le cose vanno diversamente. I numerosi studiosi che accompagnano l'ambasceria, non potendo proseguire per la Cina, si sparpagliano per la Siberia e fanno incontri inaspettati: Julius Klaproth getta le basi per una brillante carriera di orientalista; lo zoologo Mikhail Adams guida una spedizione nella Siberia orientale, risale la Lena e scopre il primo esemplare intatto di mammut; il botanico Johann Redowsky vorrebbe andare in Kamčatka ma ad attenderlo c'è la nera signora. Anche per Joseph Rehmann, il medico della spedizione, il viaggio non è inutile: si impegna nella vaccinazione antivaiolosa, studia le acque termali, il commercio del rabarbaro e del muschio bianco e alcune erbe medicinali siberiane; ma soprattutto, incontra gli ospitali buriati e i loro medici-lama, depositari della tradizione medica tibetana. Un'esperienza fondamentale che lascerà un'impronta nella sua futura attività terapeutica. Tra le erbe usate nella medicina tibetana (e cinese) c'è anche Rehmanniae radix, ovvero la radice essiccata di Rehmannia glutinosa. Dunque la dedica di questo genere a colui che fu uno dei primi ad interessarsi di questa tradizione medica risulta assai opportuna. Russia e Cina, l'incontro atteso che non ci sarà Nei primi anni del regno di Alessandro I, la Russia incominciò a guardare ad Oriente, anche come reazione all'espansione francese, che stava erodendo la sfera d'influenza russa nell'Europa orientale. Insieme alla spedizione Krusenstern e al contestuale invio di una delegazione diplomatica in Giappone (ne ho parlato qui), il terzo tassello della politica orientale russa fu una grande ambasceria in Cina, che nelle intenzioni dello zar e dei suoi consiglieri avrebbe dovuto ridisegnare totalmente le relazioni diplomatiche e commerciali tra i due paesi. Il vecchio trattato di Khiakta, che prevedeva che tutti i commerci sino-russi transitassero da questo posto di frontiera e un'unica carovana di mercanti raggiungesse Pechino ogni tre anni, stava ormai stretto alla Russia, che ora controllava l'intera Siberia orientale e aveva appena creato promettenti avamposti in Alaska. Il ministro del Commercio Nikolaj Rumjancev e il vice ministro degli Esteri Adam Czartoryski fissarono obiettivi molto ambiziosi: la libera navigazione sul fiume Amur, che avrebbe assicurato un facile collegamento tra Irkutsk e il golfo di Okhotsk; una sede diplomatica permanente a Pechino; una seconda stazione commerciale in Mongolia, sul fiume Buktharna; l'autorizzazione a commerciare direttamente nel porto di Canton, senza passare attraverso intermediari britannici. Ancor meno realisticamente, speravano che la Cina concedesse ai Russi l'apertura di una via commerciale che, attraverso il Tibet, raggiungesse l'India; tutto politico era poi l'obiettivo di riaprire il paese ai gesuiti. Czartoryski credeva fermamente nel progetto, e, consapevole delle difficoltà, lesse avidamente le relazioni della missione Macartney (fallita nel 1793 a causa del rifiuto del diplomatico britannico di eseguire il rituale kotow). Nella tradizione illuminista, volle che l'ambasceria fosse anche una spedizione scientifica, con la partecipazione di un nutrito gruppo dei studiosi scelti dall'Accademia delle scienze: tra di essi, l'astronomo Friedrich Theodor von Schubert, lo zoologo Michail Adams, il botanico Johann Redowsky, il mineralogista Lorenz von Pansner e l'orientalista Julius Klaproth. L'Accademia fissò anche gli obiettivi scientifici: quelli del botanico Redowsky prevedevano tra l'altro la raccolta di tutte le informazioni possibili sulla coltivazione del tè e l'acquisto di pianticelle, nella speranza di importare la coltivazione in Russia. Al gruppo degli scienziati, con il quale collaborò in vari modi, va aggiunto il medico ufficiale dell'ambasceria, il tedesco Joseph Rehmann. Come responsabile scientifico, Czartoryski nominò un connazionale, il conte polacco Jan Potocki (l'autore del celebre romanzo "gotico" Manoscritto trovato a Saragozza), uomo di cultura enciclopedica, curioso di tutto, che, come esperto viaggiatore, si ritagliò un ruolo di consulente del capo ufficiale della missione, il conte Jurij Golovkin. Superficiale, frivolo, arrogante, privo di tatto, costui era la classica persona sbagliata nel posto sbagliato. Nato in Svizzera da una famiglia immigrata, allevato a Parigi e imparentato con l'alta nobiltà di mezza Europa, non parlava una parola di russo e si circondava di aristocratici e profittatori del suo stesso stampo. Quando Potocki lo invitò a leggere gli scritti dei gesuiti e dei diplomatici che erano stati in Cina, rispose che non era necessario, perché "sotto qualsiasi cielo, non c'è nulla che valga di più di un buon cuoco e di vini pregiati". Contava di abbagliare i cinesi con "la magnificenza dell'equipaggio, il prestigio dello zar e il proprio talento" (le parole sono di A. Peyrefitte in L'impero immobile). L'ambasciatore pretese un seguito principesco che dilatò le spese (si calcola che la missione sia costata all'erario russo un milione di rubli) e il numero dei partecipanti, che superò le trecento persone. Pessima mossa, che nei cinesi non destò meraviglia ma sospetto. La notizia dell'enorme corteo, partito da San Pietroburgo nel maggio 1805, spinse l'interlocutore diretto dei russi, il wang di Urga (ovvero il principe tributario della Mongolia) a scrivere a Golovkin una serie di lettere in cui gli ingiungeva di ridurre il suo seguito a non più di settanta persone. Con un tira e molla tipicamente orientale, che costrinse la delegazione russa a sostare nei pressi di Khiakta per quasi tre mesi, alla fine i cinesi concessero una delegazione di centoventiquattro persone, a patto che l'ambasciatore si impegnasse formalmente ad eseguire il kotow. Il 18 dicembre il corteo russo varcò finalmente la frontiera cinese, salutato da fuochi d'artificio. Faceva così freddo che nelle tazze sulla superficie del tè appena versato si formavano cristalli di ghiaccio. I russi furono invitati a una festa all'aperto che si sarebbe tenuta due giorni dopo a Urga (l'attuale Ulan Bator). Golovkin si presentò accompagnato da una splendida cavalcata. Il wang lo condusse di fronte a un tavolo su cui ardevano incensi profumati, e lo invitò ad eseguire come lui la cerimonia del kotow. L'ambasciatore rifiutò: era disposto a prostrarsi di fronte all'imperatore, ma non a quel simulacro; sottoporsi a quel rito avrebbe significato equiparare lo zar di Russia, che egli rappresentava, a un vassallo della Cina, come lo stesso wang. Golovkin, mal informato dal suo servizio segreto, era convinto che si trattasse di un'alzata di ingegno del principe mongolo, e attese per venti giorni, in un clima glaciale da ogni punto di vista, che arrivasse la risposta ufficiale da Pechino. Che fu totalmente negativa: ai russi veniva ingiunto di sottomettersi, o di tornare indietro. A Golovkin e alla sua infreddolita compagnia non rimase che ritornare sui propri passi fino a Irkustk. L'imperatore Alessandro (da poco reduce dalla batosta di Austerlitz) non la prese bene: a Golovkin fu ordinato di rimanere in Siberia, e solo nell'autunno gli fu concesso di rientrare in Russia. Un trio di medici e naturalisti in cammino verso la frontiera Insomma, sul piano diplomatico il fallimento fu totale. Non così su quello scientifico. Per i giovani studiosi che accompagnavano la missione, si trattò di una importante esperienza formativa, che alcuni di loro non vollero interrompere dopo la conclusione della missione ufficiale. Ad esempio, Julius Klaproth, che aveva appena ventidue anni al momento della partenza e stava apprendendo il cinese da autodidatta, si giovò moltissimo degli insegnamenti degli interpreti dell'ambasciata; durante il viaggio attraverso la Siberia e nei tre mesi trascorsi a Khakta, incominciò a studiare le lingue locali, a raccogliere materiali etnografici e riuscì anche a procurarsi molti libri. Così, al suo ritorno a Pietroburgo, fu ammesso all'Accademia delle Scienze come associato e immediatamente spedito nelle regioni caucasiche recentemente annesse all'Impero russo per studiarne i popoli e le lingue. Negli anni successivi, divenne uno dei più eminenti orientalisti europei. Ancora più inattesi gli incontri che attendevano i due naturalisti e il medico ufficiale della spedizione: Michail Adams, Johann Redowsky e Joseph Rehmann. Quando fu scelto per la missione come zoologo, Adams aveva venticinque anni, ma aveva già esperienza di ricerca sul campo. Nato a Mosca, ma di lingua madre tedesca (il suo nome di nascita era Johann Friedrich Michael Adam), adolescente studiò presso l'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo e ventenne partecipò alla spedizione nel Caucaso diretta da Apollo Musin-Puškin e dal maresciallo von Bieberstein (1800-02); oltre che uno zoologo, era anche un eccellente botanico. I suoi due compagni di avventura appartenevano all'entourage del conte Aleksej Razumovskij, alla cui raccomandazione dovettero probabilmente la nomina rispettivamente a botanico e medico dell'ambasceria. Johann Redowsky, ventottenne, era un tedesco del Baltico nato a Memel, in Lituania. Aveva studiato a Königsberg e a Jena, dove si era laureato in medicina. Nel 1799 si trasferì a Mosca (prendendo il nome russo Ivan Redovskij) e nel 1803 fu assunto da Razumovskij prima come assistente poi come curatore del suo giardino botanico privato; situato a Gorenki, non lontano da Mosca, all'interno dell'immensa tenuta di famiglia, e fondato appena nel 1798, nell'arco di pochi anni divenne il più importante dell'Impero russo. Sotto la gestione di Redowsky, anche grazie ai numerosi contatti con botanici europei, le collezioni crebbero rapidamente, come risulta anche dal primo catalogo, da lui redatto nel 1803, in cui sono elencate 2486 specie. Il ventiseienne Joseph Rehmann, discendente da una illustre famiglia di medici, era nato a Donaueschingen nel Baden-Württemberg, dove il padre era il medico personale dei principi Fürstenberg; aveva però studiato a Vienna, dove si era laureato in medicina nel febbraio 1802. Fresco di laurea, era stato assunto come medico personale da Andrej Razumovskij, l'inviato russo alla corte di Vienna (nonché mecenate di Beethoven e dedicatario dei "Quartetti Razumovsky") e lo aveva accompagnato a Mosca, dove era entrato al servizio della sua famiglia. Entusiasta della nomina, Rehmann si affrettò a presentare al Collegio dei medici una memoria in cui proponeva di affiancare alla missione una campagna di vaccinazione antivaiolosa, soprattutto nelle aree della Siberia in cui la "felice scoperta" non era ancora sufficientemente praticata. Il progetto fu approvato, anche se fu respinta la sua richiesta di un secondo medico che potesse sostituirlo durante la permanenza in Cina. Nel corso del viaggio di avvicinamento alla frontiera, che toccò successivamente Kazan, Ekaterinburg, Krasnojarsk e infine Irkutsk, secondo le istruzioni ricevute, Rehmann visitò puntigliosamente gli ospedali militari e incoraggiò le vaccinazioni, praticandole egli stesso dove i medici locali erano troppo tiepidi. Con Redowsky e Adams formò una squadra molto affiatata: mentre lui si dedicava soprattutto ai suoi compiti medici, i due naturalisti misero insieme una notevole collezione botanica; da Irkustk, tra settembre e ottobre, visitarono le rive del lago Baikal, dove Redowsky raccolse semi per Gorenki. Durante la lunga sosta nei pressi di Kiatka, Rehmann, oltre a interrogare i mercanti locali sul commercio del rabarbaro e del muschio bianco, fu impegnatissimo nelle vaccinazioni, con l'aiuto di un abile chirurgo militare di nome Petrov. Fu grazie a quest'ultimo, che ne parlava la lingua e se ne era già conquistata la fiducia, che il medico tedesco incontrò i Buriati, la popolazione di origine mongola che viveva (e vive tuttora) lungo la frontiera tra Russia e Cina intorno al lago Baikal. Al contrario dei russi, spesso diffidenti verso la vaccinazione, i Buriati - consapevoli delle devastanti conseguenze del vaiolo - l'avevano accolta con entusiasmo. Così, tra ottobre e dicembre 1805, Rehmann vaccinò personalmente 792 persone, di cui 91 russi e gli altri buriati. Come egli racconta nella sua relazione al ministero dell'Interno, per questi ultimi la vaccinazione era una festa collettiva: "Quando arriva il vaccinatore, tutti i candidati del circondario si raccolgono nella casa di uno dei lama o dei taisha [ovvero i capi della comunità], vestiti con i loro abiti più belli, le donne e le ragazze adornate con una quantità di coralli; allora tutti quelli che non hanno mai avuto il vaiolo, giovani e vecchi, sono vaccinati in massa [...]. Venire a partecipare a questa operazione salutare è per loro una festa!" E prosegue lodando l'ospitalità di questo popolo che si dimostra molto più saggio e civile dei russi: "I personaggi più considerevoli mi sono sempre venuti incontro a cavallo. Appena entravo in una jurta, mi offrivano latte, acquavite e una specie di tè che mescolano con grasso e sale. E ogni volta che mi sono recato al tempio del Lama, sono sempre stato ricevuto al suono della musica del servizio dei loro dei. E' impossibile lodare a sufficienza la premura, l'ospitalità e la dolcezza di carattere di questo popolo". Dai Buriati, come medico Rehmann aveva anche altro da imparare. Il buddismo era arrivato nella regione nella seconda metà del Seicento, grazie ad alcuni lama tibetani che insieme alla religione avevano importato i principi della medicina tibetana. Benché le basi teoriche rimontassero al Collegio di medicina dei monasteri di Lhasa e Labrang, i medici-lama buriati avevano saputo adattare la farmacopea tibetana alle condizioni locali. Come spiegarono a Rehmann, l'80% degli ingredienti usati nella regione del Baikal erano di raccolta locale; inoltre le medicine, che potevano comprendere anche 40 diversi ingredienti, tenevano conto del clima, della dieta e del metabolismo dei pazienti. Rehmann fu così affascinato dalla sapienza medica dei dottori buriati da invitare uno di loro, Tsultim Tseden, a venire a studiare all'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo, un progetto che non si realizzò a causa della morte di Tsultim. Inoltre acquistò una farmacia portatile contenente 60 semplici, si informò delle loro proprietà presso i medici buriati e cercò di identificare le sostanze con l'aiuto del suo amico Redowsky. Sperava anche di introdurre la vaccinazione antivaiolosa in Cina, nonostante sapesse che i cinesi di Canton si erano opposti ai medici inglesi che la praticavano. Da bravo illuminista, contava di convincerli con argomenti razionali: scrisse e fece tradurre da uno degli interpreti un proclama in cui raccontava la storia della scoperta e della diffusione della vaccinazione in tutti i paesi della Terra. La spedizione continua: altri incontri inaspettati Anche il suo sogno, come quello di Golovkin, si infranse a Urga. I tre amici presero mestamente la via di Irkutsk insieme allo scornato ambasciatore. Lungo la strada, nel febbraio 1806, Rehmann studiò le acque minerali di Turkic, e, probabilmente con l'aiuto di Adams e Redovsky, la fauna ed la flora della regione circostante. Mentre una parte del corteo (tra cui una banda musicale al completo) riprendeva la via di Mosca, essi furono tra quelli che rimasero a Irkutsk con il seguito dell'ambasciatore, in attesa della primavera e di nuove istruzioni. Infine, dall'Accademia delle Scienze arrivò l'ordine di riprendere le ricerche: Adams avrebbe esplorato la Siberia orientale, per poi proseguire lungo la dorsale dei monti Stanovoy; Redowsky, accompagnato dal geodeta Ivan Kozevin, avrebbe dovuto raggiungere la Kamčatka dove si sarebbe unito ad alcuni membri della spedizione Krusenstern per un'ampia missione di tre anni nella penisola, lungo la costa pacifica, nelle Curili e a Sakhalin. Forse per farsi perdonare, l'ambasciatore Golovkin diede tutto il sostegno possibile a Redowsky, curando personalmente l'equipaggiamento di strumenti scientifici, polvere da sparo, denaro, merci da scambiare, doni per le popolazioni locali. Infine, il botanico fu pronto a partire a il 20 maggio. Secondo alcune fonti, Adams fece il primo tratto di strada con lui, ma è difficile pensarlo, visto che, dopo aver visitato le regioni di Nerčinsk e Tunkinskij, a giugno si trovava già a Jakustk, nella Siberia centrale. Fu qui che apprese che qualche anno prima presso la foce della Lena era stata rinvenuta la carcassa di uno strano animale conservato nel ghiaccio. Accompagnato da tre cosacchi, risali rapidamente il fiume, si recò sul posto e, anche se buona parte della carne nel frattempo era stata mangiata dai lupi o data ai cani, riuscì a recuperare lo scheletro quasi intatto e quasi 20 kg di peli del primo mammut rinvenuto intatto; spedito a San Pietroburgo, dove fu ricostruito da Tilesius, lo scheletro venne esposto nel gabinetto delle meraviglie dell'Accademia delle scienze, divenendone il reperto più celebre, con il nome di "mammut di Adams". L'anno successivo Adams scrisse un resoconto della spedizione e del ritrovamento, quindi terminò la sua carriera come professore di botanica presso l'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo. Nel frattempo Redowsky, nella sua marcia di avvicinamento al Pacifico, esplorò la cresta di Aldan e la costa del Mare di Okhotsk, raccogliendo piante, pesci e campioni di minerali. Il 9 settembre era a Okhotsk, da dove spedì via mare il grosso delle attrezzature, intenzionato a raggiungere la Kamčatka via terra. All'inizio del 1807 si trovava a Gižiginsk, dove morì inaspettatamente l'otto febbraio. Sulla sua morte ci sono molte versioni: si sparse la voce che i locali, avendolo scambiato per una spia russa, lo avessero avvelenato con sublimato corrosivo; secondo altri, annegò mentre tentava di attraversare il fiume Gižiga; secondo Langsdorff, che avrebbe dovuto unirsi a lui in Kamčatka, si suicidò; altri ancora pensano a una malattia. L'unica certezza è che a soli trentun anni si spense una sicura speranza della botanica russa. Quanto a Rehmann, presumibilmente rimase con l'ambasciatore Golovkin fino all'autunno del 1806, visto che la sua relazione sulla campagna vaccinale è datata "Irkutsk, 25 settembre 1806". Tornato a Mosca, riprese i suoi doveri di medico della famiglia Razumovskij e aprì una piccola clinica privata, in cui sperimentava con alterno successo i rimedi appresi dai colleghi buriati e siberiani: la scorza del melograno come sostituto economico della corteccia di Cinchona; la Ballota lanata (oggi Panzerina lanata) come rimedio per l'idropisia associata a casi di cirrosi. Le sue esperienze in Siberia e in Mongolia sono anche alla base di una copiosa produzione di saggi: su un trattato cinese di ostetricia; sul commercio del rabarbaro e del muschio bianco; su un'epidemia di vaiolo bovino avvenuta i Siberia nel 1805-6. Il più interessante è indubbiamente quello dedicato alla farmacia portatile acquistata in Buriazia, con i nomi originali e traslitterati, un tentativo di identificazione (per circa il 50% dei semplici trattati) e informazioni su loro uso nella medicina tibetana. Si tratta del primo scritto occidentale dedicato a questa antica tradizione medica. Nel 1810, quando il suo patrono Aleksej Razumovskij fu nominato Ministro dell'Istruzione, Rehmann lo seguì a Pietroburgo. Poco dopo divenne uno dei medici personali dello zar Alessandro, che accompagnò in diversi viaggi all'estero. Nel 1817 fu nominato professore di farmacologia presso l'Accademia medico-chirurgica, dove ritrovò l'amico Adams. Più tardi divenne capo del servizio medico civile. Morì a San Pietroburgo di colera nel 1831. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Rehmannia, salute e bellezza in giardino La terminologia botanica ricorda in vario modo i tre amici. Ad Adams furono dedicati due diversi generi Adamsia, da Willdenow nel 1808 e da Steudel nel 1821, oggi rispettivamente sinonimi di Puschkinia (un genere creato proprio da Adams) e di Geum. E' ricordato però dall'eponimo di alcune specie, come il siberiano Rhododendron adamsii, che vive anche sulle sponde del lago Baikal. Redowsky fu invece ricordato da Chamisso, che dopo la sua morte pubblicò una parte delle sue raccolte botaniche, con il genere Redowskia, oggi sinonimo di Smelovskia. Lo ricordano però i nomi specifici di diverse piante, come Coriospermum redowskii, Erysimum redowskii, Rhododendron rodowskianum. L'unico ad essere omaggiato da un genere valido è dunque Joseph Rehmann, dedicatario di Rehmannia. La storia di questa dedica è anch'essa curiosa. Il primo a descrivere e nominare Rehmannia glutinosa, una specie molto importante della medicina tradizionale cinese, fu Joseph Libosch, medico personale dello zar Alessandro I, morto prima di poterla pubblicare (1824). Anni dopo il suo erbario e i suoi manoscritti furono esaminati da Friedrich Fischer e da Carl Anton Meyer, che pubblicarono genere e specie nel 1835. Entrambi medici dello zar, Libosch e Rehmann erano colleghi e sicuramente si saranno scambiati pareri medici e informazioni; ed è anche possibile che la radice di Rehmannia glutinosa, ovvero Radix Rehmanniae, sia una delle radici non identificate contenute nella piccola farmacia portatile buriato-tibetana. In ogni caso, la dedica di questo piccolo genere endemico cinese a un medico affascinato dalla tradizione medica cinese e tibetana è sicuramente azzeccata. Infatti Rehmannia glutinosa è una delle cinquanta erbe fondamentali della farmacopea cinese, che ne usa la radice, con proprietà antinfiammatorie e depurative. Nei nostri giardini, invece, da qualche anno è arrivata R. elata, spesso venduta con il nome un po' improprio "digitale cinese"; è una bellissima erbacea perenne semirustica con grandi fiori a campana rosa-porpora. In effetti, in passato il genere Rehmannia fu assegnato alla stessa famiglia e alla stessa tribù di Digitalis (famiglia Scrophulariaceae, tribù Digitalideae), ma non senza controversie; altri botanici infatti lo inclusero nelle Gesneriaceae. Più recentemente, sulla base delle analisi molecolari è stato trasferito nella famiglia Orobanchaceae, di cui costituisce uno dei soli tre generi non parassiti. Altre informazioni nella scheda. Prima che se ne conoscesse la causa (la carenza di vitamina C) lo scorbuto è stato la maledizione dei viaggi oceanici. Ed è proprio lo scorbuto a fare da filo rosso a questo post, con la scoperta in una remota isola antartica di una pianta capace di combatterlo, e la sua dedica a un medico, John Pringle, che aveva salvato la vita di molti soldati inglesi e aveva detto la sua anche su questa malattia e sul modo migliore per prevenirla. Accanto a lui, come comprimari, troviamo nuovamente il capitano Cook e il suo chirurgo William Anderson, ma anche un giovanissimo Joseph Dalton Hooker. Il cavolo delle Kerguelen e il dottor Pringle: prevenire è meglio che curare La vigilia di Natale del 1776 le navi della terza e ultima spedizione di Cook, la Resolution e la Discovery, a metà strada tra il Sud Africa e l'Australia occidentale raggiunsero un gruppo di isole disabitate, sempre battute dal vento glaciale e spesso avvolte dalla nebbia alternata a una pioggerellina incessante. A Natale gettarono l'ancora in una baia dell'isola principale (oggi Grande Terre), che Cook battezzò Christmas Harbour, e vi rimasero per sei giorni. In quell'isola in parte ricoperta dai ghiacci non crescevano né alberi né arbusti, tanto che Cook battezzò l'arcipelago Isole della desolazione; più tardi, i marinai trovarono una bottiglia con una pergamena che attestava che l'isola era già stata raggiunta nel 1772 dal francese Yves Joseph de Kerguelen-Trémarec. Per non privare il collega della gloria della scoperta, Cook cambiò il nome in Isole Kerguélen; per quanto pensasse che "queste isole della desolazione i francesi se le possono tenere", secondo le indicazioni dell'Ammiragliato ne prese formale possesso a nome del re d'Inghilterra con una cerimonia che il chirurgo di bordo, William Anderson, giudicò francamente ridicola. Anderson mise a frutto la breve sosta per esplorare la natura dell'isola; la fauna era rappresentata da foche (si tratta dell'otaria Arctocephalus gazella) e da molti tipi di uccelli, tra cui tre specie di pinguini; la flora nelle aree rocciose era limitata a muschi, licheni e ciuffi d'erba sparsi, ma dove c'era un po' di terra c'erano cuscini, e qui e là estesi tappeti, di una minuscola pianta verdissima con foglie simili a quelle della sassifraga (si tratta di Azorella selago); in alcuni luoghi, cresceva con relativa abbondanza una graminacea (Poa cookii) e, nei luoghi umidi, una pianticella dal gusto acido simile a crescione, forse da identificare con Ranunculus crassipes. In tutto, non più di sedici-diciotto specie, inclusi sei-otto muschi e il notevole lichene Neuropogon taylori. La pianta più interessante cresceva in considerevoli quantità lungo i declivi paludosi: alta circa due piedi, con forti radici rizomatose, era caratterizzata da grandi foglie arrotondate con apice appuntito, raccolte in fitte rosette simili a un piccolo cavolo cappuccio, da cui si ergevano scapi con infiorescenze erette. All'assaggio, le foglie risultavano decisamente acide, segno di sicure proprietà antiscorbutiche. Accettabili crude, bollite in una zuppa risultavano ottime e gradite all'equipaggio, che ne fece grandi scorte in vista della traversata che li attendeva. La pianta era nuova, e Anderson la battezzò Pringlea, senza aggiungere un epiteto. Il dedicatario era il presidente della Royal Society John Pringle. Come Anderson, era scozzese, anzi il più illustre membro della scuola medica di Edimburgo, oltre che esponente di punta dell'Illuminismo scozzese. A renderlo celebre, e a propiziare la sua nomina alla testa della Royal Society, erano stati i grandi risultati conseguiti come medico capo dell'esercito. Cadetto di una famiglia nobile, era stato inviato in Olanda per essere avviato alla mercatura, ma a Leida, affascinato dalle lezioni di Boerhaave, aveva deciso di studiare medicina e si era laureato (come molti conterranei) in quella università nel 1730. I suoi interessi includevano però anche la filosofia, e dal 1733 insegnò filosofia morale all'Università di Edimburgo. Intanto proseguiva la carriera medica e nel 1742 divenne medico personale del secondo Earl di Stair, John Dalrymple, all'epoca comandante dell'esercito inglese nelle Fiandre, che gli affidò la direzione dell'ospedale militare. Nel giugno del 1743, alla vigilia della battaglia di Dettingen in Baviera, su suo suggerimento l'Earl di Stair concordò con il comandante francese, il Maresciallo di Noialles, di considerare neutrali gli ospedali militari di entrambe le parti. Quest'atto è considerato un'anticipazione della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra. Nel 1744 il duca di Cumberland promosse Prigle medico capo dell'armata dei Paesi Bassi. Nei sette anni in cui servì l'esercito, il medico fu colpito dal fatto che la maggior parte delle perdite non avvenivano in battaglia o in seguito alle ferite, ma erano causate dalla dissenteria e da malattie infettive, prima fra tutte la misteriosa "febbre da accampamento" . Grazie alla sua mentalità pratica e aperta, capì che la soluzione stava nella prevenzione, migliorando l'alimentazione e l'abbigliamento e curando scrupolosamente l'igiene di persone e ambienti. Nel 1749 Pringle si stabilì a Londra, dove divenne un medico alla moda. Ebbe così modo di seguire da vicino un'epidemia di "febbre delle carceri", che portò alla morte di molte persone, inclusi vari giudici e il sindaco della città. A partire da questo episodio, pubblicò Observations on the Nature and Cure of Hospital and Jayl Fevers, in cui dimostrò che questa malattia era identica alla "febbre da accampamento": entrambe andavano identificate come tifo e potevano essere prevenute introducendo rigorose misure igieniche. Nel 1752 seguì la sua opera maggiore, Observations on the Diseases of the Army in Camp and Garrison, che gli diede fama europea e gli guadagnò l'ammissione alla Royal Society. In questo testo, considerato l'atto di fondazione della medicina militare, Pringle, anche se non aveva un'idea corretta dell'origine della malattia (che attribuiva a processi di "putrefazione" diffusi dal "miasma", ovvero dall'aria corrotta), individuava giustamente tra i veicoli di diffusione l'affollamento, la scarsa ventilazione, la mancanza di igiene, prescrivendo misure come il distanziamento dei malati, l'arieggiamento dei locali, la cura dell'igiene delle persone e degli ambienti. Negli anni successivi, condusse esperimenti su vari antisettici (fu lui a coniare il termine); dal momento che secondo le teorie di Boerhaave, la putrefazione ha natura alcalina, i mezzi migliori per combatterli sono le sostanze acide; prescrisse anche l'uso dell'ammoniaca. La carriera successiva di Pringle fu ricca di successi. Tra il 1752 e il 1775 uscirono ben sette edizioni di Observations on the Diseases of the Army, inclusa un'edizione tascabile in ottavo. Nel 1766 egli fu nominato baronetto e nel 1774 divenne medico personale del re e della regina. Era un apprezzato e influente membro della società colta della capitale, amico tra gli altri di Benjamin Franklin. Nel 1772 fu eletto presidente della Royal Society, incarico che mantenne fino al 1778, quando diede le dimissioni. Dopo un breve rientro a Edimburgo, che giudicò presto troppo provinciale, ritornò a Londra dove morì nel 1782. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Pringle legò le sue carte al Reale collegio dei medici di Edimburgo, con la singolare clausola che venissero mantenute sotto chiave in perpetuo. Nel 2004, dopo una lunga causa legale, l'accesso ai documenti e la loro pubblicazione sono stati infine consentiti. Va da sé che hanno un notevole valore per la ricostruzione della storia della medicina. Pringle, Cook e lo scorbuto: una storia di equivoci? Il prestigio scientifico e l'alto ruolo istituzionale di Pringle sarebbero già sufficienti a giustificare la dedica di Pringlea da parte di Anderson; del resto, l'unica pubblicazione del giovane chirurgo, An account of some poisonous fish in South Seas, venne trasmessa alla Royal Society sotto forma di lettera proprio a Pringle. Ma tra Pringle, Anderson e Cook (nonché Pringlea) c'è un legame più diretto: lo scorbuto. Benché questa piaga decimasse soprattutto i marinai, non era sconosciuta all'esercito: durante la guerra dei Sette anni (1756-1763) ebbero a soffrirne a più riprese i soldati britannici di stanza in Nord America, quando il prolungarsi dell'inverno rendeva indisponibili vegetali freschi. Dunque, non stupisce che Pringle abbia dedicato la sua attenzione anche a questa malattia. Ai suoi tempi, la causa (oggi sappiamo che si tratta di carenza di vitamina C) era sconosciuta. Fin dal XV secolo, quando i lunghi viaggi transoceanici lo avevano reso un triste compagno di viaggio dei marinai, si erano però scoperti vari rimedi empirici. I portoghesi avevano presto capito che il consumo di agrumi era una prevenzione molto efficace, tanto che crearono frutteti di aranci e limoni a Sant'Elena, un abituale scalo nel tragitto tra l'Europa e il Capo di Buona Speranza. Gli Olandesi invece caricavano le stive delle loro navi di barili di crauti, quasi altrettanto validi. Molti capitani di marina poterono verificare di persona che il rimedio principale era il consumo di verdura e frutta fresca. Ma nonostante queste esperienze, si continuava a morire: nel 1740 il capitano (e futuro ammiraglio) George Amson, nel corso di una spedizione di sei navi in Sud America nei primi dieci mesi di navigazione perse circa 1300 uomini su 2000. A complicare la situazione, c'era anche il fatto che lo scorbuto in genere non provoca la morte in modo diretto, ma piuttosto uno stato generale di prostrazione e debilitazione che favorisce l'insorgere di altre malattie letali: la dissenteria, la tubercolosi, la polmonite, ecc. I medici del tempo dunque tendevano a spiegarlo, più che come una malattia con una causa specifica (che non conoscevano) come uno squilibrio causato da una somma di fattori. Boerhaave (che abbiamo già incontrato come maestro di Pringle) scrisse un trattato sullo scorbuto in cui teorizzò che il morbo fosse causato da un vero e proprio avvelenamento del sangue, reso troppo sottile e alcalino da processi di putrefazione causati dal freddo, dall'umidità e dall'aria corrotta. Nel 1747 il chirurgo navale James Lind, imbarcato sulla nave Salisbury, condusse un esperimento controllato su sei coppie di marinai, ai quali somministrò sostanze diverse ritenute efficaci contro lo scorbuto; nel 1753 espose i risultati nel Trattato sullo scorbuto, nel quale concluse che "i risultati di tutti i miei esperimenti sono che arance e limoni sono i rimedi più efficaci per questo morbo dei mari". Tuttavia, lo scritto non ottenne seguito immediato, forse anche perché il rimedio messo a punto dal chirurgo, lo "sciroppo di Lind", si dimostrò del tutto inefficace; era prodotto facendo bollire il succo di limone, un processo che distrugge la vitamina C, termolabile. Pringle credeva in altri rimedi. Riprendendo le teorie del suo maestro, egli riteneva che, proprio come le febbri tifoidi, lo scorbuto dovesse essere considerato una malattia epidemica di origine putrida, che poteva essere combattuta sia con misure di igiene preventiva (come la ventilazione e la pulizia scrupolosa delle navi) sia assumendo sostanze acide, capaci di ristabilire l'equilibrio del sangue. Certamente, limoni e verdure fresche andavano benissimo, dal momento che sono acidi, ma il rimedio migliore a suo parere era il mosto di malto, oltre tutto economico, facile da trasportare e da somministrare. Durante la digestione, supponeva, i gas acidi prodotti dal malto avrebbero neutralizzato la putrefazione alcalina. Gli ammiragliati pensavano che non ci si fosse un'unica cura efficace, e che la soluzione migliore fosse rifornire le navi di una batteria di rimedi preventivi che includeva la "zuppa portatile" (una miscela di vegetali essiccati), sciroppi di frutta concentrati (tra cui quello di Lind), aceto, mostarda, malto, crauti, melassa, fagioli; non mancava il più drastico, l'elisir di vetriolo. Torniamo dunque a Cook. Durante il primo viaggio (1768-1771) egli riuscì a mantenere in relativa buona salute i suoi uomini, ma a Batavia molti si ammalarono di "dissenteria" e 30 uomini ne morirono. A privarli delle difese immunitarie, però, forse era stato proprio lo scorbuto. Cook stesso era convinto che la vera causa fosse "la lunga mancanza della dieta ricca di vegetali cui erano abituati in precedenza, e insieme ad essa tutti i disordini della vita in mare". Per il secondo viaggio, era deciso a non ripetere l'esperienza, tanto più che l'esplorazione dei mari più meridionali del globo richiedeva lunghi mesi di navigazione senza scali, nelle condizioni più proibitive possibili. Sia lui sia l'ammiragliato si affidarono dunque proprio all'autorità di Pringle. Le stive della Resolution e della Adventure furono rifornite con 40 barili di malto, 1000 libbre di zuppa portatile, 30 galloni di marmellata di carote, aceto, mostarda, grano, crauti e sciroppi di arance e limoni. Durante il viaggio, Cook impose ai suoi uomini una pulizia scrupolosissima, con il lavaggio quotidiano dei ponti, e approfittò di ogni scalo per approvvigionarsi di cibi freschi, in particolare quei vegetali "acidi" che erano considerati un toccasana contro lo scorbuto. Per convincere i suoi uomini a mangiare i poco graditi crauti, li fece servire ogni giorno alla mensa degli ufficiali. I risultati furono eccellenti: anche se si manifestarono diversi casi (tra i sicuramente affetti, il naturalista Johann Reinhold Forster) tutti furono curati con successo e neppure un uomo della Resolution morì di scorbuto. Sebbene con una piccola riserva, Cook si allineò con Pringle, riconoscendo i meriti del suo rimedio preferito; nella sua relazione alla Royal Society scrisse: "Avevamo a bordo una grande quantità di malto, con la quale è stato preparato del mosto dolce che è stato somministrato non solo agli uomini che manifestavano sintomi di scorbuto, ma anche a tutti coloro che, per vari motivi, sembravano più inclini a questa malattia. Senza dubbio si tratta della migliore medicina antiscorbutica finora trovata; se somministrato in tempo, con la necessaria attenzione a tutti gli altri fattori, io sono persuaso che impedisce allo scorbuto di fare progressi per un lungo periodo; ma allo stesso tempo non è mia opinione che in mare possa curare uno stadio avanzato della malattia". Gongolante, Pringle fece pubblicare la relazione nelle Transactions della Royal Society, ma soppresse la frase sottolineata. E' chiaro che Cook aveva ottenuto un grande successo, ma non sapeva perché. L'ammiragliato continuò a insistere con il malto per altri vent'anni; fu solo intorno agli anni '90 che i limoni (freschi e non in sciroppo) si imposero nella dieta dei marinai della Royal Navy. Una pianta contro lo scorbuto Adesso vi è chiaro perché il cavolo delle Kerguelen fu così apprezzato da Cook, e anche perché il nome Pringlea era particolarmente appropriato. Ma alla pianta mancava ancora il nome specifico. Per acquisirlo dovette aspettare quasi settant'anni e l'intervento di un altro giovane chirurgo: Joseph Dalton Hooker. Hooker arrivò nelle Kerguelen nel 1840 come aiuto chirurgo della Erebus, una delle due navi della celebre spedizione antartica guidata da Ross. Soggiornò nelle isole un paio di mesi, tra maggio e luglio, e ne approfittò per documentarne in modo completo la flora: mentre Anderson (che però era rimasto qui meno di una settimana) aveva trovato non più di 18 specie, Hooker riuscì a raccogliere, identificare e descrivere 150 specie, tra cui 18 angiosperme, 3 felci, 35 muschi, 25 licheni e una cinquantina di alghe. Ovviamente, anche per lui la specie più eccitante era il cavolo delle Kerguelen. Ne apprezzò le qualità alimentari e ne studiò gli effetti: "Per un equipaggio costretto a cibarsi di cibo sotto sale [...] è una verdura molto importante, perché possiede tutte le qualità del suo omonimo inglese, ma al contrario di quello contiene una grande abbondanza di oli essenziali che non producono mai bruciori di stomaco né nessuna delle sensazioni sgradevoli prodotte dalle nostre piante". Aggiunse che il gusto delle foglie crude ricordava quello del crescione, mentre quelle bollite assomigliavano al cavolo cappuccio, e le radici al rafano. Predisse, senza sbagliarsi, che questa pianta sarebbe stato la salvezza dei marinai che avrebbero frequentate quei mari e, finalmente, ne diede la descrizione scientifica e le assegnò un nome completo: Pringlea antiscorbutica. Si tratta dell'unica specie di questo genere ed è davvero parente dei nostri cavoli, appartenendo alla famiglia Brassicaceae. Non è esclusiva delle Kerguelen, ma è presente anche in altre isole dei mari Antartici: Isole Heard e McDonald, Crozet, Principe Edoardo. Sono ambienti proibitivi, a circa 50° grandi di latitudine sud, con clima pre-antartico, costantemente battuti da violente raffiche di vento gelido che non di rado superano i 150 km orari. Qui non esistono insetti che possano impollinarla (nelle isole ci sono insetti, ma quasi privi di ali), e il vento cessa solo in giornate particolarmente miti; in queste condizioni, è discusso se prevalga l'autoimpollinazione o l'impollinazione anemofila. Forse ciò spiega le particolari caratteristiche delle infiorescenze, densi racemi verticali, talvolta ramificati, di piccoli fiori portati su brevi peduncoli; ciascuno ha quattro sepali verdi e pelosi, ma la corolla, formata da quattro piccoli petali, è spesso incompleta o mancante, anche in boccio. Come tutta la vegetazione delle isole, Pringlea antiscorbutica, così abbondante ai tempi di Anderson e Hooker, è oggi a rischio. I tentativi di colonizzazione hanno portato qui topi e conigli, che divorano le radici; e piante aliene stanno sostituendo la vegetazione nativa. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2024
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