Nel Giurassico (da 180 a 135 milioni di anni fa) foreste di conifere della sottofamiglia Sequoioideae delle Cupressaceae ricoprivano vaste aree dell'emisfero boreale, come testimoniano i fossili trovati in Nord America, Groenlandia, Europa ed Asia. Oggi ne rimangono solo tre specie viventi, ciascuna delle quali è l'unica rappresentante di un genere monospecifico: le americane (o meglio californiane) Sequoia sempervirens e Sequoiadendron giganteum e la cinese Metasequoia glyptostroboides. Le due californiane sono rispettivamente il più alto e il più grande albero del mondo: la prima può raggiungere un'altezza di 100 metri, la seconda la stessa circonferenza e un volume di quasi 1500 metri cubi. Niente di più appropriato, di più "giusto", che questi maestosi giganti delle foreste americane prendano il nome da un nativo americano, il cherokee Sequoyah. Giusto, appropriato finché volete, ma non necessariamente vero. Il botanico austriaco Stephen Endlicher che creò il nome nel 1847 non ne spiegò l'etimologia; il collegamento con Sequoyah venne proposto per la prima volta nel 1856 in un articolo anonimo; benché presto messo in dubbio, si impose e nel secolo scorso divenne opinione comune. Nel 2018 un rigorosissimo saggio l'ho ridotto a mito, o se volete a fake news. Ma per noi è l'occasione di parlare di un grande linguista nativo e di tre meraviglie della natura. Ognuna con una storia speciale. Da Sequoyah a Sequoia Nel 1831, il grande cacciatore di piante David Douglas scrive a William Jackson Hooker: "Ma la grande bellezza della vegetazione californiana è una specie di Taxodium, che dà alla montagna un aspetto peculiare, stavo per dire terribile, qualcosa che dice chiaramente che non siamo in Europa. Ho ripetutamente misurato esemplari di questo albero alti 270 piedi (= 82 metri circa) e con un diametro di 32 piedi (= 10 metri circa) a tre piedi dal suolo. Più in alto ne ho visti anche alti 300 piedi (= oltre 90 metri)". Gli alberi giganti che fanno provare a Douglas il terrore del sublime erano esemplari di Sequoia sempervirens, detta anche sequoia della California o sequoia costiera, in inglese redwood; appartiene proprio a questa specie Hyperion, l'albero più alto del mondo, un esemplare di 115,66 metri del Parco nazionale di Redwood. Il più alto, ma non il più massiccio. Questo secondo record spetta a Generale Sherman, un esemplare di un'altra specie di sequoie californiane, la sequoia gigante Sequoiadendron giganteum: alta "solo" 82,8 metri, ha un diametro massimo di 11 metri, un volume stimato di 1486,6 metri cubi e un peso stimato di 1910 tonnellate, che ne fanno il maggior essere vivente del pianeta per volume. A queste glorie della foreste americane l'intuizione di uno studioso o forse il caso sembrerebbe aver assegnato il più adatto dei nomi: il genere Sequoia - e di riflesso Sequoiadendron "albero sequoia" - prenderebbe il nome da un illustre nativo, il cherokee Sequoyah. Come scriverà il giornalista John D. Ross in un articolo comparso in The Los Angeles Times nel 1908, "Quale nome potrebbe essere più appropriato per il più grande degli alberi americani che quello di un esponente della prima razza americana?" Incominciamo dunque da lui, dal cherokee Sequoyah (trascritto anche Ssiquoya, Sikwayi, Se-quo-yah, See-quah-ya). Nato forse intorno al 1770 nella città cherokee di Tuckasegee (all'epoca in North Carolina, oggi in Tennessee), era figlio di una donna cherokee chiamata Wut-teh, figlia, nipote o sorella di un capo indiano; discussa è l'identità del padre (un mercante di pellicce meticcio, un venditore ambulante tedesco o un ufficiale dell'Armata continentale di origine scozzese?), che in ogni caso abbandonò moglie e figlio e non ebbe alcun ruolo nella sua vita. Più tardi, quando servì tra i cherokee alleati con l'esercito federale, egli si faceva chiamare George Guess, ma sappiamo che non parlava inglese, fu allevato dalla madre nelle tradizioni del suo popolo e non frequentò alcuna scuola. Le poche cose certe che sappiamo su di lui - molteplici sono le leggende poi fiorite attorno alla sua persona - si devono all'avvocato, scrittore e editore Samuel Lorenzo Knapp che lo intervistò nel 1828 con l'aiuto di due interpreti, mentre Sequoyah si trovava a Washington come membro di una delegazione del suo popolo. Spiccava in mezzo agli altri sia per il carisma, sia perché era l'unico a non indossare abiti europei, ma i tradizionali abiti cherokee. In gioventù dovette spostarsi in molti luoghi, fu cacciatore e guerriero, gestì una stazione commerciale, servì nel Reggimento di cherokee sotto il comando di Gideon Morgan; quando una malattia o una ferita lo privò dell'uso di un ginocchio, impedendogli di cacciare e combattere, divenne argentiere e fabbro di grandissima abilità e dedicò il suo tempo a risolvere un mistero su cui si interrogava da molti anni: come facessero i bianchi a comunicare con i "fogli volanti". Come egli stesso riferì a Knapp, fu forse intorno al 1810 che incominciò ad elaborare un sistema di scrittura per trascrivere la sua lingua. Dapprima pensò a immagini di uccelli e altri animali da associare a ciascuna parola o idea (si trattava dunque di pittogrammi o ideogrammi), ma presto capì che era un'idea poco pratica. Pensò allora di associare a ogni sillaba un simbolo arbitrario, inventando un sistema di 200 segni, poi ridotto a 86 caratteri; molti furono ripresi da un libro di ortografia, quindi riprendono la forma di lettere latine o greche, ma corrispondono a suoni affatto diversi. Il sistema, perfezionato intorno al 1821, è così efficace che sua figlia, una bimba di cinque anni, lo apprese con facilità; gli adulti invece rimanevano scettici. Sequoyah, convinto che la diffusione del suo sillabario fosse indispensabile per la sopravvivenza stessa del suo popolo, prese a viaggiare nelle riserve dell'Alabama dove vivevano i Cherokee per convincere i capi dell'utilità del suo sistema: a ciascuno di loro chiedeva di dire una parola, la trascriveva, poi chiamava la bambina perché la leggesse. Il successo dell'esperimento gli procurò un numero crescente di allievi, anche se molti non mancarono le diffidenze e i sospetti di stregoneria. Superate le ostilità iniziali, il sistema si diffuse rapidamente. Nel 1824 il Consiglio della Nazione Cherokee lo premiò con una medaglia d'argento. Lo stesso anno Sequoyah si trasferì in Arkansas e nel 1828 a Washington fu tra i firmatari del trattato che istituisce il territorio indiano (corrispondente all'attuale Oklahoma). E' in questa occasione che fu intervistato da Knapp. Nel 1829, Sequoyah si stabilì con la moglie e la figlia nell'attuale Sallisaw, in Oklahoma, dove ancora si conserva la sua capanna; cercò di svolgere un ruolo di paciere tra i Cherokee che si erano trasferiti qui all'inizio del secolo (gli Old Settlers) e i Cherokee occidentali, guidati dal capo John Ross; nel 1839 fu tra i firmatari dell'Atto di Unione tra le due frazioni che portò alla creazione di una nuova costituzione. Nel 1842, insieme a un figlio e a un compagno, andò in Messico per cercare di convincere i Cherokee che vi erano migrati a stabilirsi nel Territorio Indiano, ma nel corso di questo viaggio (tra il 1843 e il 1845) morì presso San Fernando de Rosas nello stato di Coahuila (Messico). Intanto il suo sistema era stato adottato ufficialmente dal suo popolo (1825). I Cherokee furono il primo gruppo indigeno ad avere una lingua scritta e a un alto numero di alfabetizzati (in proporzione molto maggiore rispetto agli statunitensi anglofoni). Alla fine dello stesso anno, la Bibbia e molti inni sacri vennero trascritti in cherokee. Nel 1826 per incarico del Consiglio della nazione Cherokee, George Lowrey e David Brown tradussero e stamparono otto copie delle leggi della Nazione. Nel 1828 incominciò ad essere stampato il Cherokee Phoenix, un quotidiano bilingue in inglese e cherokee. La notizia che un nativo aveva inventato dal nulla un alfabeto (o meglio un sillabario, trattandosi di una scrittura sillabica) si sparse presto in tutto gli Stati Uniti e trovò eco anche all'estero, dove fu d'esempio soprattutto ai missionari che dovevano affrontare il compito di creare sistemi di trascrizione di lingue fino ad allora prive di scrittura. Così, il missionario James Ewans si ispirò al sillabario cherokee per creare il Cree syllabics, il sistema usato per trascrivere le lingue degli indiani Cree del Manitoba e dell'Ontario; a sua volta, il Cree syllabics ispirò un sistema per trascrivere una lingua locale in Cina. Si calcola che il sillabario di Sequoyah sia all'origine di non meno di 21 sistemi usati per trascrivere oltre 60 lingue. Puntando in alto: Sequoia Delle tre specie viventi della sottofamiglia Sequoioideae della famiglia Cupressaceae, quella con areale più vasto, e anche la prima ad essere nota agli europei è Sequoia sempervirens, la sequoia costiera o redwood, presente unicamente nelle montagne costiere sotto i 900 metri in una striscia lunga approssimativamente 750 km e larga 8-75 lungo la costa pacifica del Nord America, dall'Oregon meridionale alla Monterey Country in California. La prima "scoperta" sembra si debba alla Spedizione Portolá (14 luglio 1769-24 gennaio 1770) che esplorò l'Alta California; il cappellano e diarista della spedizione, il frate Juan Crespi, l'11 ottobre 1769 annota che il giorno prima, a cinque miglia dalla costa, a tre miglia nord dell'attuale Watsonville, gli spagnoli percorsero "basse colline ammantate di altissimi alberi di colore rosso, che ci erano ignoti". Perciò li chiamarono palo colorado, ovvero alberi rossi. Il primo a raccogliere campioni e semi del maestoso albero fu però Thaddäus Haenke, il botanico della spedizione Malaspina, che esplorò l'area intorno a Monterey nel 1791. Fu sicuramente dai semi da lui raccolti e presumibilmente inviati in Spagna dal suo collega Luis Née che nacquero i più antichi alberi di Sequoia sempervirens sul suolo europeo: un esemplare, oggi morto, identificato nel 1926 dal botanico californiano Jepson a Granada, e un boschetto ancora esistente presso la Casita del Principe all'Escorial. Durante la spedizione Vancouver (1791-1795), anche Archibald Menzies raccolse un campione in un luogo imprecisato della costa dell'America occidentale; fu su di esso che David Don si basò per la prima descrizione, pubblicata in A Description of the Genus Pinus di Aylmer Bourke Lambert (1824) con il nome Taxodium sempervirens. E qui entra in scena il secondo protagonista di questa storia, il botanico austriaco Stephen Endlicher, professore di botanica all'Università di Vienna tra il 1830 e il 1849 e rinomato tassonomista. Nel 1847 in Synopsis Coniferarum incluse la riclassificazione di varie specie trattate da Lambert, tra cui appunto Taxodium sempervirens, che assegnò al nuovo genere Sequoia, insieme a una seconda specie S. gigantea, sulla base delle descrizioni di Douglas e Hooker (che oggi sappiamo non riferirsi all'attuale Sequoiadendron giganteum, ma ugualmente a Sequoia sempervirens). Purtroppo Endlicher (morto nel 1849) non spiegò l'etimologia del nuovo genere. Il primo collegamento tra il genere Sequoia e il cherokee Sequoyah compare nel 1856, in un articolo anonimo pubblicato in The Country Gentleman’s, una rivista di agricoltura fondata nel 1852; l'autore anonimo scrive: "Da dove viene questo nome? E' un fatto intenzionale o una coincidenza che questo albero americano porti il nome di un americano che merita tanto onore? L'onore deve essere intenzionale; ma se non lo fosse, la coincidenza è assai gratificante". La congettura dell'anonimo viene ripresa nel 1868 dal geologo Josiah Dwight Whitney nel capitolo della ricognizione geologica della California dedicato alle sequoie del Yosemite Book , e diventa un fatto accertato: "Il genere è stato nominato in onore di Sequoia o Sequoyah, un indiano cherokee [...] meglio noto con il nome inglese George Guess, noto al mondo per la sua invenzione di un alfabeto e della lingua scritta per la sua tribù". E aggiunge che Endlicher avrebbe conosciuto l'attività di Sequoyah proprio grazie all'articolo pubblicato su The Country Gentleman (il che è impossibile, visto che, come sappiamo, uscì sette anni dopo la sua morte). L'opinione di Whitney, ripresa dall'autorevole botanico Engelmann, nel corso dell'Ottocento era tutt'altro che universalmente condivisa. Dopo averne discusso con Asa Gray, che aveva lungamente studiato questa specie, nel 1879 John Gill Lemmon conclude: "Il nome generico Sequoia è stato dato da Endlicher perché questo genere è un solitario seguace (dal latino sequi, "seguire") di vaste foreste colossali. Altri hanno detto che deriva da Sequoyah, il celebre indiano Cherokee; ma si tratta senza dubbio un'idea tardiva, indegna di essere mantenuta". Nonostante queste obiezioni, l'idea invece rimase in voga nell'intero ventesimo secolo, ormai accreditata come versione ufficiale, ripresa senza discussione in fonti di ogni tipo. Il dibattito si riaccese verso la fine del secolo ed è diventato assai vivace solo di recente, grazie a un articolo di Gary D. Lowe che nel 2012 ha rilanciato su nuove basi il collegamento con il latino sequi; nel 2017 gli ha risposto Nancy E. Muleady-Mecham, con un'articolata argomentazione che riafferma l'etimologia tradizionale e la sostiene con una ricca serie di collegamenti indiretti. La risposta di Lowe è stata un ampio saggio, pubblicato nel 2018 con l'eloquente titolo Debunking the Sequoia honoring Sequoyah myth, "Sfatare il mito che Sequoia onori Sequoyah", in cui letteralmente demolisce l'argomentazione di Muleady-Mecham pezzo per pezzo, dimostrando l'inconsistenza e/o la fallacia logica di tutti i suoi argomenti a sostegno; la conclusione è perentoria: "L'attribuzione del nome del genere Sequoia in onore dell'uomo Sequoyah è una tradizione inventata; un contributo silenzioso alla autorappresentazione dell'America come nazione della natura". Ho letto puntigliosamente entrambi i contributi e, dal mio punto di vista, non c'è dubbio che le argomentazioni di Lowe sono più fondate e convincenti di quelle di Muleady-Mecham; il punto più debole rimane forse proprio il collegamento con il latino sequo-r, spiegato in base a un'ipotetica sequenza (ovvero serie di Fibonacci) del numero di semi, in cui Sequoia segue Taxodium, e precede altre specie (che però nel 1847 erano ipotetiche). Ma che Endlicher sapesse di Sequoyah e gli abbia dedicato il genere è davvero più che improbabile. Una questione di volume: Sequoiadendron Il secondo tipo di sequoia, la sequoia gigante Sequoiadendron giganteum, ha un'areale estremamente ristretto: vive unicamente sulle pendici occidentali della Sierra Nevada in California, in 68 popolazioni in tutto, in un'area totale di 144,16 km2. Le popolazioni variano per dimensioni e numero di alberi: si va dal Redwood Mountain Grove, con 20.000 alberi adulti su un'estensione di 1240 ettari, a piccoli boschi di non più di sei esemplari. E sono proprio questi rari giganti le sequoie per antonomasia, quelle che probabilmente associamo a questo nome. Ovviamente gli indigeni le conoscevano da sempre, ma gli europei e la scienza le scoprirono molto dopo la specie più costiera, proprio per la loro maggiore rarità e per la posizione più interna. La prima menzione, del 1833, si trova nel diario dell'esploratore J. K. Leonard, che non cita alcuna località precisa ma che probabilmente passò attraverso il Calaveras Grove. Più preciso il racconto del cacciatore Augustus T. Dowd che nella primavera del 1852 inseguendo un orso capitò nei boschi ora noti come North Grove nel Calaveras State Park. Vedendo quegli alberi monumentali non credeva ai suoi occhi, e nessuno dei suoi compagni inizialmente volle credergli finché non li portò a vederli di persona; ma ben presto la notizia si diffuse, e purtroppo iniziarono subito anche gli abbattimenti: il primo albero visto da Dowd, ribattezzato Discovery Tree, fu abbattuto già nel 1853. Lo stesso anno la specie entrava nella letteratura scientifica grazie al botanico inglese John Lindley, che la descrisse per primo e la battezzò Wellingtonia gigantea, in onore del duca di Wellington (il vincitore di Waterloo), morto l'anno precedente. Per gli americani, uno scandalo: quel gigante americano doveva celebrare un altrettanto grande eroe d'America, e l'unico nome adatto era Washingtonia. Questo almeno sostenne l'anno dopo un certo Andreas Peter Winslow che proposte di ribattezzarla Washingtonia californica. Ma la botanica segue altre vie e altre regole: Wellingtonia è un nome illegittimo, perché era già stato usato per un'altra specie (W. arnottiana, oggi Meliosoma arnottiana, famiglia Sabiaceae) e pure Washingtonia è inaccettabile perché Winslow, che non era un botanico, nel pubblicarlo non si attenne alle regole appropriate. A superare il problema, per altro, aveva già pensato il francese Joseph Decaisne che assegnò anche questa specie al genere Sequioia, recuperando il nome di Endlicher S. gigantea (che come abbiamo visto in realtà era un sinonimo di S. sempervirens). Le differenze tra le due specie erano però tali da far ritenere andassero assegnate a generi diversi. Nel 1907 Carl Ernst Otto Kuntze la attribuì al genere fossile Steinhauera, per altro dubbio, dato che ne è noto solo il polline; la soluzione definitiva venne nel 1939 da John Theodore Buchholz, che separò le due specie creando per la sequoia gigante il nuovo genere Sequoiadendron, come S. giganteum. Approfittiamone anche noi per sintetizzare le principali differenze tra di due generi (e le due specie, che è la stessa cosa, trattandosi di due generi monospecifici). Oltre alle differenze di altezza e volume di cui abbiamo già parlato, notiamo che Sequoia sempervirens ha tronco dritto e snello, con corteccia marrone cioccolata più opaca, Sequoiadendron giganteum tronco conico e massiccio con corteccia marrone rossastro più luminosa. Molto diverso il fogliame, in entrambi i casi sempreverde: quello di Sequoia sempervirens è costituito da aghi piatti e duri, disposti lungo i rami, in un modo che ricorda quello del tasso, mentre Sequoiadendron gigeanteum ha aghi corti, appuntiti che si dispongono a spirale attorno ai rami, richiamando piuttosto il ginepro. Quanto alle pigne, quelle della gigantessa hanno dimensioni triple rispetto a quelle della sequoia costiera; hanno forma ovale, richiedono due anni per maturare, quindi persistono sui rami almeno sei mesi; quelli della specie costiera sono arrotondati, si formano in primavera e maturano in autunno per poi cadere. Entrambe le specie sono presto diventate ricercatissime piante da giardino. Esemplari notevoli (anche se molto più piccoli delle millenarie piante americane) si trovano anche nel nostro paese. I più antichi sono ovviamente di Sequoia sempervirens e risalgono agli anni '40 dell'Ottocento, quando arrivarono nel Parco della Burcina nel Biellese (Piemonte) e all'Arboreto Siemoni in Casentino (Toscana). Conosciamo con precisione la data d'impianto dei due esemplari della Burcina, che furono piantati nella primavera del 1848 per celebrare la promulgazione dello statuto albertino. Venne piantata presumibilmente intorno al 1853 la più alta d'Italia (54 metri), che si trova nel parco di Sammezzano nel comune di Reggello (Firenze) e ha due tronchi gemelli. I primi esemplari di Sequoiadendron giganteum, commercializzati attraverso l'Inghilterra ovviamente come Wellingtonia gigantea, sembra siano siano arrivati quasi subito dopo la scoperta, o più probabilmente verso la fine degli anni '50 o i primi anni '60 dell'Ottocento. Due dei più imponenti si trovano a Roccavione (Cuneo), superano abbondantemente i cinquanta metri d'altezza e hanno raggiunto un diametro di 11 metri. Presumibilmente furono piantati intorno al 1902, data di costruzione della Villa dei Conti Salazar. E' degno di menzione per la sua storia tragica e commovente anche l'esemplare di Longarone: ha un'età stimata di 170 anni (sarebbe dunque stato introdotto a ridosso della scoperta) e in una ferita longitudinale di 5 metri reca le tracce del disastro del Vajont che il 9 ottobre 1963 devastò la valle e distrusse più di 1900 vite. Un fossile vivente: Metasequoia Non è finita; ci sono ancora un genere e una storia da raccontare. E dall'America ci spostiamo in Cina. Fin dall'Ottocento erano note specie fossili imparentate con le sequoie, che nel Giurassico dovettero formare vaste foreste in Europa e in Asia. Una di queste specie fossili fu scoperta nel 1939 dal botanico e paleontologo giapponese Shigeru Miki dall'Università di Kyoto che due anni dopo la pubblicò con il nome Metasequoia ("simile a Sequoia); risalente ad almeno 150 milioni di anni fa, doveva essersi estinta con i dinosauri, che un tempo scorrazzavano sotto le sue chiome. Per una coincidenza quasi incredibile, nell'inverno dello stesso 1941 il botanico cinese Gan Duo (noto anche come Toh Kan) durante una spedizione nelle province del Sichuan e dell'Hubei nel villaggio di Moudao nella contea di Lichuan (Hubei) osservò un'enorme conifera; faceva parte di un santuario e i locali lo chiamavano Shuǐshān, ovvero "abete d'acqua". Vista la stagione, era senza foglie, e Gan non raccolse alcun esemplare. Nel 1942, un altro botanico, Zhan Wang, visitò il villaggio e raccolse dei campioni; pensò che appartenessero a una specie già nota, Glyptostrobus pensilis (un'altra rara Cupressacea della Cina subtropicale). Orami si era nel pieno della guerra e solo nel 1945 egli poté mostrare le sue raccolte a un terzo botanico, Wan-Chun Cheng, una delle maggiori autorità mondiali della tassonomia delle Gimnosperme. Cheng capi subito che si trattava di una nuova specie, e inviò un campione a H.H. Hu, il direttore dell'istituto Fan di Pechino (il maggiore istituto botanico della Cina). Nonostante il caos della guerra e l'ostilità tra Cina e Giappone, Hu conosceva il lavoro di Miki e capì che la pianta viva apparteneva allo stesso genere che il collega giapponese aveva battezzato Metasequoia. Dopo altri studi e verifiche, nel 1948 Hu e Cheng pubblicarono insieme la nuova specie sul Bollettino dell'istituto Fan, battezzandola Metasequoia glyptostroboides. Chiesero poi l'aiuto dell'Arnold Arboretum dell'Università di Harvard, che lo stesso anno organizzò una spedizione di raccolta di semi, che, raccolti a migliaia, furono poi distribuiti a università, orti botanici e arboreti di tutto il mondo, Forse senza questi eventi provvidenziali, il fossile vivente sarebbe andato perduto. In natura è infatti rarissimo. Nel 2007 ne sono stati recensiti 5,371 esemplari, principalmente nella contea di Lichuan, con popolazioni minori nelle contee di Shizhu nel Chongqing e di Longshan nello Hunan. Molti esemplari erano già andati perduti per la trasformazione della piana alluvionale in risaie, ma dopo la scoperta l'albero ritrovato è diventato oggetto di venerazione e orgoglio nazionale. Sono state varate leggi per proteggerlo ed è stato largamente piantato in giardini e parchi e lungo le strade cinesi; ma i fragili ecosistemi dove viveva ormai quasi non esistono più e in natura è sempre più raro e minacciato. Spogliante e di dimensioni più contenute rispetto alle cugine di California, la metasequoia può comunque raggiungere un'altezza di circa 37 metri. Ha foglie aghiformi piatte, dritte o leggermente incurvate, opposte lungo i rami. Molto decorativa e di crescita rapida (anche un metro all'anno nei primi anni di vita), è anch'essa molto ricercata come pianta ornamentale ed è utilizzata anche come bonsai. Anche in Italia è giunta nel secondo dopoguerra; esemplari storici sono presenti nel Giardino Botanico Borromeo, nell'Isola Madre del Lago Maggiore e a Borghetto di Valeggio sul Mincio, che furono tra i beneficiari dei semi inviati dall'Arnold Arboretum.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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