Diverse specie del genere Galinsoga rientrano indubbiamente nel novero delle piante viaggiatrici, o anche in quello delle piante vagabonde. Originarie delle aree montuose del centro America e dell'America tropicale, nell'arco di pochi secoli sono riuscite a colonizzare tutti i continenti (eccetto l'Antartide), sfuggendo dagli orti botanici dove erano state introdotte come curiosità per intrufolarsi ovunque trasportate dal vento e dall'acqua, infiltrate negli imballaggi e in veicoli di ogni genere, mescolate a terricci, sementi e prodotti agricoli. A donare il suo nome a queste infaticabili viaggiatrici dall'aspetto apparentemente innocente, oggi tra le infestanti più temute, è stato un medico e uomo di potere della Spagna di fine Settecento, Ignacio Mariano Martinez de Galinsoga, primo medico della regina Maria Luisa e intendente dell'orto botanico di Madrid. Morto piuttosto giovane, si segnala soprattutto per essere stato uno dei primi specialisti di ginecologia; come tale lanciò i suoi strali contro un aggeggio di moda, o meglio di tortura: il corsetto, che donava alle dame un vitino di vespa a prezzo di gravi menomazioni fisiche. Insomma, nel suo nome si incrociano due storie di effetti collaterali. L'inarrestabile viaggio di Galinsoga All'interno della loro numerosissima famiglia (sono Asteraceae, la più vasta tra le fanerogame) le specie del genere Galinsoga non possono certo aspirare al primato per bellezza o vistosità, ma in qualcosa sono indubbiamente delle campionesse: la capacità di viaggiare e diffondersi in ogni dove, con mezzi propri, ma soprattutto con l'aiuto più o meno incauto degli esseri umani. Originarie dell'America tropicale e subtropicale, con centro di diversità nelle aree montuose del centro America, sono annuali con semi privi di dormienza che germinano rapidamente, fioriscono molto presto, completano il ciclo vitale in circa cinquanta giorni, il che permette molteplici generazioni nell'arco di una stagione e, ovviamente, producono semi copiosissimi con una straordinaria vitalità (oltre il 90%). Poco esigenti, possono vivere ovunque, ma danno il meglio (o il peggio) di sé in suoli umidi e dove possono godere di lunghe giornate di luce. Tra i luoghi preferiti, i terreni disturbati, i giardini, gli orti e coltivi di ogni tipo, incluso grano, granoturco, tabacco, cotone, patate, e ogni altra coltivazione da reddito che riuscite ad immaginare. Dalle loro sedi originarie due specie (le altre sono endemismi poco diffusi e se ne stanno tranquille) sono partite alla conquista del mondo verso la fine del XVIII secolo, quando i botanici si sono accorti di loro, hanno dato loro un nome (ne parliamo tra poco) e le hanno tanto entusiasticamente quanto incautamente seminate negli orti botanici. Per prima è arrivata Galinsoga parviflora, approdata all'orto botanico di Madrid nel 1795 e ai Kew Gardens nel 1796; tempo pochi decenni, aveva già conquistato l'Inghilterra meridionale, tanto da guadagnarsi il nome di Kew weed, l'erbaccia di Kew. Nel corso dell'Ottocento, di orto botanico in orto botanico, si è diffusa nel continente europeo; poi ha continuato il suo cammino, trasportata dal vento, dalle acque, da animali, da veicoli di ogni tipo, dai vestiti e dalle suole delle scarpe, nascosta in scatole e imballaggi, mescolata a terriccio, ammendanti, sementi e ortaggi. Oggi è presente in tutti i continenti eccetto l'Antartide e in moltissimi paesi è considerata una infestante tra le peggiori. Qualche dato sulla sua attuale diffusione nel mondo in questa pagina di CABI (Centre of Agricolture and Bioscience international). Un po' più lenta ma non meno trionfale la marcia di Galinsoga quadriradiata (spesso nota con il sinonimo G. ciliata). Nel 1836 la troviamo a Filadelfia nel Bartram Botanical Garden; ne sfugge presto, si naturalizza prima nei dintorni e poi prosegue verso nord; oggi è naturalizzata in gran parte degli Stati Uniti e in Canada ed è arrivata persino in Alaska. Il primo approdo in Europa è forse l'orto botanico di San Pietroburgo, nel 1846; in Germania la prima segnalazione è del 1892, ad Amburgo; nel corso del Novecento si diffonde a macchia d'olio in tutto il continente. Oggi gli unici paesi europei in cui non sembra arrivata sono l'Islanda, le isole Faroe e la Groenlandia. Anche per questa specie, diffusa anche nel resto del mondo, rinvio alla scheda di CABI. Anche nel nostro paese, dove entrambe le specie sono naturalizzate e presenti in tutte le regioni, la prima ad essersi diffusa risulta G. parviflora, segnalata per la prima volta in un orto di Tezze Valsugana nel 1820; da qui si diffuse prima nella Valsugana, quindi nella provincia, e così via. Non abbiamo dati così precisi per G. quadriradiata che potrebbe essere arrivata nella seconda metà dell'Ottocento, anche se per molte regioni le prime segnalazioni risalgono al secolo scorso. Ha fatto però in fretta a recuperare e oggi sembra più diffusa della prima arrivata. Una carriera di successo e una battaglia igienico-sanitaria Il nome di questa vigorosissima ed inarrestabile erbaccia è un omaggio dei soliti Ruiz e Pavon a un personaggio all'epoca assai influente, Ignacio Mariano Martinez de Galinsoga, primo medico della regina di Spagna e intendente dell'orto botanico di Madrid. Nel 1794, quando i due botanici crearono il genere sulla base delle loro raccolte in Perù, la sua posizione a corte era seconda solo a quella del protomedico Francisco Martinez Sobral. Galinsoga la doveva in parte a una solida preparazione professionale, ma ancor più alla alla protezione della regina Maria Luisa. Aveva iniziato la carriera a 21 anni come chirurgo, o meglio come cirujano latino. il titolo che distingueva gli abilitati in chirurgia con formazione universitaria, inclusa la conoscenza del latino, dagli illetterati cirujanos romancistas con formazione pratica attraverso l'apprendistato. Laureatosi in medicina all'Università di Valladolid, dove serviva come chirurgo militare, era poi passato nella capitale, dove frequentò gli ambienti accademici e incominciò a farsi conoscere come specialista in malattie femminili (noi oggi diremmo in ginecologia). Fu così che fu più volte incaricato di selezionare le balie per i nuovi nati della coppia regale; un incarico che svolse con scrupolo, visitando i villaggi che avevano fama di maggiore salubrità, alla ricerca di gestanti di eccellente salute e sani principi morali. Si dimostrò così abile ed efficiente, che nel 1789 fu nominato medico della famiglia reale, dando inizio a un'ascesa quasi inarrestabile come la marcia della Galinsoga. Nel 1790 era medico di camera e nel 1791 primo medico di camera della regina; come tale, nell'ambito della ristrutturazione del Tribunale del Protomedicato, l'istituzione che regolava tutte le professioni sanitarie e esaminava i futuri medici, ne fu nominato vicepresidente, con salario, prerogative e incarichi equivalenti a quelli del presidente, il medico di camera del re, don Francisco Martinez de Sobral, con il quale avrebbe dovuto alternarsi nella direzione effettiva. Inutile dire che il medico più anziano (all'epoca Sobral era sessantenne, mentre il rampante Galinsoga aveva appena 34 anni) non la prese affatto bene, tanto più che mai in precedenza il medico della regina aveva avuto tali privilegi. Ne seguirono tensioni e conflitti di competenza, che il re cercò di risolvere rafforzando la posizione di Galinsoga, che alla fine del 1791 fu nominato intendente dell'Orto botanico di Madrid e protomedico dell'esercito (incarichi fino ad allora tradizionalmente affidati al medico del re). Una decisione destinata ad aumentare le tensioni, più che a sopirle. Era questa la situazione a corte quando Ruiz e Pavon in Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus (1794) pubblicarono i 149 nuovi generi raccolti nella spedizione in Perù, dedicandoli prevalentemente a glorie della scienza e della medicina iberica, di cui volevano dimostrare l'eccellenza. Per non fare torto a nessuno, uno toccò a Galinsoga, un altro a Sobral. Ma se guardiamo alle piante assegnate rispettivamente ai due protomedici rivali, forse non si tratta di una scelta di equidistanza: Galinsoga, lo abbiamo visto, comprende piccole annuali dalle fioriture insignificanti, Sobralia raffinate orchidee dalle fioriture spettacolari. Poco dopo, fu la morte precoce del più giovane (una sintesi biografica nella sezione biografie) a mettere fine alla rivalità e alla vita di Galinsoga, morto a solo quarant'anni nel 1797. Oltre che medico di successo, fu anche insegnante universitario, membro di innumerevoli società scientifiche, membro fondatore della Real Academia nacional de Medicina; tra i suoi meriti, la creazione presso l'Ospedale generale di Madrid dello Studio reale di medicina pratica (1795) dove i futuri medici avrebbero svolto i due anni di praticantato prescritti, che in precedenza erano costretti a svolgere privatamente sotto la supervisione di un medico. Quanto alla sua gestione del Reale orto botanico, non sembra aver lasciato molte tracce; ma la carica di intendente era amministrativa e politica, mentre la reale direzione era nelle mani del primo professore di botanica, all'epoca Casimiro Gomez Ortega. Prima di congedarci da Galinsoga, vale la pena di dedicare qualche riga alla sua unica opera a stampa, il curioso opuscolo Demostración mecánica de las enfermedades que produce el uso de las cotillas, pubblicato nel 1784. Tra gli accessori indispensabili delle dame dell'epoca c'era il corsetto (il modello spagnolo si chiamava cotilla, letteralmente "piccola corazza") in stoffa e stecche di balena, che aveva lo scopo di modellare la figura assottigliando il punto vita e spingendo verso l'alto il seno; stretto da una serie di lacci, obbligava a una postura rigida e impediva parzialmente i movimenti. Nel corso del Settecento, con l'Illuminismo e il Preromanticismo, cominciò tuttavia a diffondersi anche nella moda l'esigenza di una maggiore naturalezza e praticità e il corsetto finì sotto attacco. Ne è un esempio l'articolo scritto nel 1785 da Jean Jacques Rousseau per The lancet. In questa polemica si inserisce perfettamente l'opuscolo di Galinsoga, che, rispetto ad altri critici, i quali fanno spesso appello a considerazioni moralistiche, si muove su un piano strettamente medico. Nella prefazione, egli afferma di poter provare che molte delle infermità di cui soffrono le madrilene sono causate da questa moda funesta; basta paragonare la costituzione debole e asfittica delle dame della corte con la salute robusta, briosa e costante delle popolane delle campagne; la colpa è tutta del corsetto che "tormenta tutte le viscere del basso ventre, le strangola, ne disloca la posizione, e ne muta la forma, tanto che tutte le operazioni di questi organi ne diventano imperfette". Tra le conseguenze, trombosi a causa della cattiva circolazione venosa; neuriti per compressione; sincopi, svenimenti e letargia per difficoltà cardio-respiratorie; ernie e prolassi genitali; difficoltà digestive, nausee, vomiti e indigestioni. Galinsoga si spinge addirittura a accusare i corsetti di provocare alcune malattie veneree: "La leucorrea e la gonorrea semplice sono cattivi inquilini di Madrid, e non si vedono mai tra i contadini". Non parliamo poi delle conseguenze per la prole, decimata dagli aborti o contraffatta nella figura, nuovamente con gli alti e gagliardi montanari contrapposti ai miserevoli madrileni, rattrappiti nel ventre materno dai malefici corsetti a detrimento della nazione iberica. Soldati galanti in marcia Per concludere, torniamo brevemente sul genere Galinsoga. cui sono assegnate dodici specie diffuse spontaneamente tra Messico, Antille e Sud America. Sono erbacee annuali dal fusto gracile, con foglie opposte da lanceolate a quasi romboidali, con margini interi o serrati, glabre oppure pelose. Le infiorescenze sono capolini di piccole dimensioni, con fiori del disco solitamente gialli, con corolle tubolari a cinque denti, che formano un bottoncino dorato, tutto sommato più appariscente dei fiori del raggio tridentati, bianchi o gialli, minuti e piuttosto radi. A parte le ormai onnipresenti G. parviflora e G. quadriradiata, le altre specie sono solitamente endemismi diffusi in aree circoscritte: ad esempio, G. caligensis è una specie peruviana presente solo nelle regioni desertiche della regione di Lima; G. durangensis è invece originaria degli stati di Durango e Sinaloa nel Messico nordoccidentale; G. formosa vive solo nello stato messicano di Oaxaca. Quest'ultima specie è la miss del genere: i numerosissimi fiori del disco (circa cento) formano una cupola molto rilevata, circondata da 5-15 fiori del raggio gialli, talvolta soffusi di porpora. Tradizionalmente usate nella medicina popolare fresche o in decotto, le galinsoga sono anche commestibili, anzi proprio l'umile G. parviflora è l'irrinunciabile protagonista di alcuni piatti della cucina sudamericana, cui dona un particolarissimo aroma. Un'ultima curiosità: il nome comune inglese di questa specie è gallant soldier, "soldato galante" o "coraggioso", un'etimologia popolare ovvero una reinterpretazione ad orecchio del nome botanico, incomprensibile per i britannici. Per analogia, l'altra specie naturalizzata, la villosa G. quadriradiata, è diventata shaggy soldier, "soldato capellone". Non sembra esserci molto di militaresco nelle Galinsoga, ma è innegabile che questi soldatini più o meno capelluti e ben poco galanti, ma indubbiamente coraggiosi, si sono inesorabilmente messi in marcia. Qualche approfondimento nella scheda.
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L'irruzione in Messico della Real Expedicion Botanica favorisce la diffusione delle idee illuministe e del pensiero scientifico, ma incontra anche l'ostilità accanita degli ambienti più tradizionalisti, primo fra tutti la Real y Pontificia Universidad, con i suoi medici ancora arroccati a difesa della tradizionale teoria degli umori e di una formazione tutta libresca. Contro questa situazione stagnante si batte uno dei più brillanti allievi di Vicente Cervantes, il dottor Luis José Montaña, convinto sostenitore dell'introduzione del metodo scientifico anche in medicina e di un nuovo modello di insegnamento, basato sulla pratica clinica e sull'integrazione tra medicina, chimica, fisica, botanica. Osteggiato per tutta la vita e sepolto in segreto, anche per le sue origini oscure, il suo contributo al rinnovamento della medicina messicana venne riconosciuto solo dopo la sua morte, grazie soprattutto ai numerosi e reverenti allievi. Ma prima, a ricordarlo nella nomenclatura botanica aveva già pensato il suo maestro Vicente Cervantes, che gli dedicò lo stupefacente genere Montanoa, uno dei pochi della famiglia Asteraceae a comprendere veri e propri alberi. Per una medicina scientifica e sperimentale Tra i giovani medici che nel 1788 seguono il primo corso di botanica tenuto da Vicente Cervantes a Città del Messico, il dottor José Luis Montaña non è certo un novellino; si è laureato in medicina presso la Real y Pontificia Universidad, ottenendo la licenza già nel 1777 e ha lavorato dapprima presso l'opedale San Pedro di Puebla, la sua città natale. Nel 1779 è stato uno dei medici incaricati ufficialmente di inoculare il vaccino contro il vaiolo. Ma ha deciso di ritornare sui banchi (e tra le aiuole), convinto com'è dell'anacronismo del modo in cui si insegna medicina nel Viceregno: tutto libresco, basato ancora sulla lettura reverente dei classici come Ippocrate e sulla teoria degli umori da riequilibrare con la triade salassi - purganti - emetici; non è previsto alcun tirocinio clinico. Mentre in Europa da tempo i medici si stanno convincendo dell'importanza dell'apprendimento pratico sui pazienti, l'Università messicana vede ancora il medico come un intellettuale, un teorico, da tenere rigorosamente separato dai "meccanici" come chirurgi e farmacisti, che esercitano una professione manuale e non hanno una formazione accademica, ma artigianale, acquisita nella pratica delle corsie ospedaliere per gli uni, nelle botteghe di farmacia per gli altri. L'incontro con gli scienziati illuministi arrivati da Madrid conferma Montaña nei suoi convincimenti profondi: la medicina deve diventare scientifica e basarsi sullo stesso metodo delle altre scienze sperimentali, a partire da un'osservazione costante, metodica e priva di pregiudizi dei fenomeni. Secondo l'insegnamento di Boerhaave, è poi convinto che nella formazione del medico lo studio della medicina debba essere integrato da quello di altre scienze: la fisica, la chimica, e, ovviamente, la botanica; per Montaña, i medici devono essere anche naturalisti, perché l'uomo è parte della natura. Segue i corsi di Cervantes con tanta passione e con risultati così brillanti che il maestro lo sceglie come assistente e già nel 1792 gli affida ufficialmente un corso di botanica. Nel 1795 sarà lui a pronunciare la prolusione dei corsi (nel suo discorso, farà l'elogio del metodo scientifico). L'incontro con Sessé, Cervantes e il quasi coetaneo Mociño, permette poi a Montaña di praticare quella medicina sperimentale che tanto auspica. Nel 1799, Sessé aveva proposto che nei due ospedali principali di Città del Messico, l'Hospital General de San Andrés e l'Hospital Real de los Naturales (riservato alla cura degli indigeni) venisse istituita una "Sala di osservazione", ovvero un laboratorio che permettesse di mettere alla prova le proprietà delle piante cui la tradizione locale attribuiva virtù officinali. Le osservazioni sarebbero state condotte sui ricoverati dei due ospedali dai medici José Mariano Mociño e Luis José Montaña e dal chirurgo Francisco Valdés, affiancati dal primo praticante Manuel Vasconcelos. Con l'approvazione del viceré, le sale di osservazione furono aperte nel dicembre 1800. La loro vita fu tuttavia breve, perché cessarono di esistere dopo il 1803, con la partenza di Sessé e Mociño per la Spagna. Una nuova didattica della medicina Non potendo accedere a una cattedra universitaria - la facoltà gli era ostile per i suoi metodi innovatori, ma anche per l'oscurità delle sue origini (Montaña era cresciuto in un orfanatrofio) - il medico pueblano negli anni in cui lavorò prima all'Hospital de los Naturales e poi al San Andrès riunì intorno a sé un gruppo di allievi privati, che lo affiancavano in corsia, conducevano le osservazioni sui pazienti, e poi, nella sua stessa casa, partecipavano a una sorta di accademia in cui i casi erano analizzati, paragonati, discussi. Intanto, in madrepatria le cose stavano cambiando. A partire dal 1795, a chi intendeva diventare medico fu imposto un anno di praticantato a Madrid, e a tal fine venne istituito il corso di Medicina pratica. Immediatamente, il viceré chiese alla Real y Pontificia Universidad di estendere la riforma alla Nuova Spagna, ma senza esito. Intorno al 1804, fu probabilmente proprio l'esperienza di Montaña a spingere l'arcivescovo Lizana y Beaumont a sollecitare l'autorizzazione del re, che venne concessa nel giugno 1805; nell'agosto 1806 anche la facoltà si rassegnò a dare l'imprimatur. Il corso di Medicina pratica poté così iniziare ufficialmente, e dal 1808 fu reso obbligatorio. Fu ovviamente affidato al nostro José Luis Montaña, finalmente uscito dalla dimensione "carbonara" dei corsi privati. Nel 1815 poté anche accedere alla sospirata cattedra universitaria, divenendo titolare di Visperas (ovvero la cattedra vespertina, meno prestigiosa e molto meno remunerata di quella principale, detta prima). Per le lezioni era prescritto come libro di testo gli Aforismi del vecchio Ippocrate. Montaña, preoccupato che i suoi studenti, non capendo il senso di precetti disposti in modo causale, lo studiassero a memoria, approntò per loro una selezione tra gli aforismi, raggruppati in modo logico e in coerenza con il suo metodo basato sull'osservazione diretta. Nacque così un'opera di un centinaio di pagine, Praelectiones et concertationes medicas pro Hippocratis magni aphorismis, pubblicata a partire dal 1817, seguita dalla traduzione spagnola, Las lecciones interpretativas de los aphorismos de Hipocrates. La decisione di basare la sua silloge su un'edizione diversa da quella obbligatoria, che giudicava assai corrotta, lo mise però ulteriormente in urto con la facoltà. Vicino al movimento indipendentista, Montaña era un medico impegnato nel sociale: scrisse memorie e opuscoli che sollecitavano misure igienico-sanitarie, come l'istituzione di bagni pubblici e la bonifica delle paludi. Denunciava la miseria in cui viveva il popolo e lo sfruttamento degli indios. Queste posizioni politiche fecero si che ben presto la facoltà lo privasse della cattedra. Quando morì, nel 1820, usando come pretesto le sue origini oscure, non gli furono resi gli onori che spettavano a un cattedratico, anzi fu sepolto in segreto. A rinnovarne la memoria e a salutarlo come precursore dell'insegnamento della Medicina clinica nel paese furono però i suoi numerosi allievi, che a partire dagli anni '30 furono tra i protagonisti del rinnovamento dell'insegnamento della medicina nel Messico ormai indipendente. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Montanoa, gli alberi delle margherite Immediatamente dopo la sua morte, a ricordare l'allievo, collaboratore e amico aveva però già provveduto Vicente Cervantes, dedicandogli una pianta medicinale, il cihuapatli ("medicina delle donne"), da secoli utilizzata nelle culture indigene per accelerare il parto e in diverse affezioni femminili, che ribattezzò Montanoa tomentosa. Il nuovo genere Montanoa, della famiglia Asteraceae, fu poi ufficializzato dal La Llave e Lexarza nel 1825. In precedenza (1820), la pianta era già stata descritta da Kunth come Eriocoma floribunda (nome non valido perché già utilizzato da Nuttall per una Poacea). Tralasciando i nomi proposti successivamente da altri botanici, vale la pena di ricordare che nel 1836 de Candolle propose di adottare la grafia Montagnaea, più vicina alla pronuncia del cognome del dedicatario (che si pronuncia "montagna"); per la regola della priorità, il nome oggi riconosciuto valido è quello di Cervantes, La Llave e Lexarza. Il genere Montanoa, della famiglia Asteraceae, comprende circa 25 specie distribuite in una fascia che va dal Messico centro-settentrionale alla Colombia centrale, lungo le catene montuose; alcune sono state introdotte come ornamentali in altri paesi tropicali, dove in alcuni casi si sono spontaneizzate. Tutte le specie sono legnose e caratterizzate da grandi fiori simili a margherite, con i fiori del raggio candidi e i fiori del disco gialli, verdastri o neri, il che ha loro guadagnato il nome inglese daisy tree, "albero delle margherite". La maggior parte delle specie sono arbusti, anche se spesso di grandi dimensioni (ad esempio, la specie tipo, M. tomentosa, può raggiungere i tre metri di altezza); quattro specie sono liane; cinque veri e propri alberi (tra i pochi in questa famiglia). Tutte e cinque le specie arboree vivono ad altitudini maggiori rispetto a quelle arbustive e condividono lo stesso habitat: la foresta nebulosa d'altura, dove la nebbia e la pioggerellina orizzontale assicurano umidità costante tutto l'anno. In ogni caso, lo spettacolo di una Montanoa in fiore è indimenticabile; mai scorderò il meraviglioso esemplare di M. hibiscifolia in piena fioritura che ho incontrato durante una lontana vacanza natalizia nelle isole Canarie: con i suoi mazzi di fiori candidi, messi ancora più in rilievo dal verde scurissimo della grandi foglie palmate, questo enorme arbusto che supera sei metri di altezza è a dir poco impressionante. Solo in fotografia ho visto i fiori meravigliosi di M. bipinnatifida, simili a dalie pon pon dal profumo di cioccolato. E rimane un sogno contemplare la fioritura di una Montanoa arborea, magari M. quadrangularis, l'arboloco (albero pazzo, forse perché ha fusti cavi che contengono un midollo bianco), una specie dei boschi umidi premontani della Colombia che può raggiungere i venti metri. Lo spettacolo della sua fioritura, a quando si dice, è indescrivibile. Qualche approfondimento e informazioni su una selezione di specie nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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