Sarà perché iniziano a fiorire già in inverno, sarà perché crescono in fretta e si arrampicano dappertutto, sarà per l'allegria dei loro grappoli viola: fatto sta che nel mondo anglosassone i rampicanti del genere Hardenbergia sono noti con il nome comune happy wanderer, "vagabondo felice". Anche l'uomo che suggerì il nome botanico, il barone Hügel, era un vagabondo, o almeno un viaggiatore, ma tutt'altro che felice; si era messo in viaggio per guarire dal mal d'amore. Per sua volontà, l'allegra vagabonda è stata dedicata a sua sorella, la contessa von Hardenberg, sulla quale - come capita troppo spesso alle donne - sappiamo davvero troppo poco. Un cuore infranto e un viaggio intorno al mondo Nel bel mondo della Vienna effervescente degli anni venti dell'Ottocento, che il congresso omonimo aveva trasformato nella capitale europea della diplomazia e del walzer, il barone Carl von Hügel era una figura molto nota. Come il fratello maggiore, direttore dell'Archivio di Stato, apparteneva al circolo del cancelliere Metternich. In gioventù, oltre a combattere con onore nelle campagne contro Napoleone, aveva molto viaggiato in Europa, sviluppando un raffinato gusto di collezionista e una grande passione per le piante. Dopo la morte del padre, nel 1826, venuto in possesso di un cospicuo patrimonio, acquistò una vasta proprietà nel sobborgo viennese di Hietzing; vi fece costruire una splendida villa e creò un giardino botanico privato, dove sperimentava la coltivazione di piante esotiche. Intorno al 1830, si fidanzò con una bella e volitiva contessa ungherese, Melanie Zichy-Ferraris. Ma la madre di lei mise gli occhi su un partito molto più promettente: niente meno che il principe Metternich, da poco rimasto vedovo per la seconda volta. Melanie riuscì a fare breccia nel suo cuore e ruppe il fidanzamento con Hügel per sposarsi con il cancelliere (che aveva trentadue anni più di lei). Tradito dalla donna amata e da un uomo che ammirava e considerava un amico, a Hügel non restava che partire. Non per l'Europa, che del resto conosceva già bene, ma per il Levante e oltre. Per prepararsi al viaggio, visitò brevemente l'Inghilterra e la Francia, e nel maggio 1831 si imbarcò a Tolone alla volta delle Grecia. Visitò poi Creta, Cipro, la valle del Nilo, la Palestina e la Siria. Nella primavera del 1832 era in India. Visitò Decca, Goa, Mysore, scalò le Blue Mountains, e percorse la costa del Malabar da Travancore a Capo Camorin. Passò poi a Ceylon, dove si trattenne quattro mesi. Seguendo la costa del Coromandel raggiunse Pondicherry e Madras, da dove si imbarcò per l'Indonesia e l'Australia. Nell'Australia occidentale Hügel intendeva raccogliere semi e piante per il suo giardino. Il primo impatto con il paesaggio australiano, allo sbarco nel porto di Fremantle nel novembre 1833, fu una cocente delusione: "Mi aspettavo fiduciosamente praterie verdi immacolate, alberi e arbusti coperti di fiori e frutti all'inizio dell'estate australe, tutto il paese un quadro della Natura non toccato dall'uomo". Invece ciò che vide era una terra "totalmente priva di vita", grigia, dove "tutto era immobile escluso il mare ribollente e minaccioso". Ma tutto cambiò quando si inoltrò nel bush: "A poche centinaia di passi dalla città inizia la vegetazione. La particolarità delle piante della Nuova Olanda è che la bellezza delle forme e i colori dei fiori si rivelano solo quando li si osserva attentamente a breve distanza. Dunque, la ricchezza e la varietà della flora in tutto il suo splendore colpisce l'occhio solo a uno sguardo ravvicinato. Il triste grigio-verde si trasforma nelle più varie sfumature di verde, dal più chiaro e luminoso al più scuro e lussureggiante, mescolati a fiori brillanti di ogni tipo, in numero indicibile. Mi aggiravo in quel mondo di colori come intossicato". Stranamente, è un mondo allo stesso tempo estraneo e familiare: estraneo per la sua inattesa varietà e bellezza, familiare perché il barone incontra ad ogni passo piante che già conosce, per averle coltivate nel suo giardino. Infatti, la bellezza delle flora dell'Australia occidentale non era sfuggita ai primi coloni, e diverse specie avevano incominciato a fare la loro comparsa nelle serre europee fin dalla fine del Settecento. Immerso in quella flora di sogno, il nostro viaggiatore infelice ritrova la felicità: "Per la prima volta dopo anni - lunghi anni penosi - vissi per un'ora nella piena delizia del momento. La mano sinistra stringeva un enorme mazzo di splendidi fiori, mentre la destra ancora si protendeva a raccogliere varietà sempre nuove". Il barone si trattenne circa un mese nell'area dello Swan River, esplorandone la foce, le isole all'imboccatura, i dintorni di Perth e spingendosi all'interno fino a Darlington e alle colline della Darling Scarp. Continuò poi per mare lungo il King George Sound, visitando l'area di Albany, incluse le valli inferiori del King River e del Kalgan River. Raccolse centinaia di specie, ma a colpire il suo cuore più di ogni cosa furono i grappoli rossi e viola di alcune leguminose rampicanti, su cui torneremo. Il suo viaggio australiano proseguì fino all'ottobre 1834, toccando la Terra di Van Demen (ovvero la Tasmania), l'Isola Norfolk e il Nuovo Galles del Sud. Seguirono la Nuova Zelanda, Manila e nuovamente l'India. Lo attendeva la parte più importante della spedizione: il lungo viaggio che da Calcutta lo portò ad attraversare l'India settentrionale, fino al Punjab, con un'ampia deviazione fino alle alte terre himalayane al confine tra Tibet e Kashmir. Sempre accumulando ricche collezioni di materiali di ogni genere, osservando usi e costumi, visitando personalità incluso il Maharaja Ranjit Singh, acquisì una profonda conoscenza, per molti aspetti inedita, della storia, della geografia fisica e umana, della natura, delle risorse economiche del Kasmir. Dalla terra dei Sikh, scese a Delhi, quindi a Bombay, dove nel 1836 iniziò il viaggio di ritorno. Attraverso il Capo di Buona Speranza e l'isola di Sant'Elena, nel 1837, dopo sei anni di assenza, era di nuovo a casa, dove poté riabbracciare la madre. ![]() Piante australiane ed altre avventure Ora giungeva il tempo dello studio e del riordino della collezioni. Insieme a lui, a Vienna erano arrivate centinaia e centinaia di casse di opere d'arte, oggetti etnologici, animali impagliati, esemplari d'erbario. E finalmente entra in scena la dedicataria della nostra pianta. Per riordinare le collezioni botaniche, il barone si affidò alla sorella minore, Franziska detta Fanny, che durante la sua assenza si era sposata con il conte Anton August von Hardenberg, ed era ora la contessa von Hardenberg. Poco sappiamo di lei, tranne che assolse il compito con zelo e che dovette avere qualche conoscenza di botanica se Bentham (cui, come vedremo, si deve la dedica) dice di lei "con il suo ingegno orna la nostra scienza". Il barone divideva il suo tempo tra la stesura del suo capolavoro, Kaschmir und das Reich der Siek ("Il Kasmir e il regno dei Sikh"), in quattro volumi (1840-48), grazie al quale nel 1849 fu premiato dalla Royal Geographical Society come "intraprendente esploratore del Kashmir", gli impegni mondani, la cura del giardino e la promozione dell'orticultura austriaca. Ad occuparsi di pubblicare la sua collezione di piante australiane, riordinata con tanta cura da Fanny, fu un gruppo di botanici capeggiato da Stephan Endlicher: oltre allo stesso Enclicher, ne facevano parte l'inglese George Bentham e gli austriaci Eduard Fenzl e Heinrich Schott. Il risultato fu Enumeratio plantarum quas in Novae Hollandiæ ora austro-occidentali ad fluvium Cygnorum et in sinu Regis Georgii collegit Carolus Liber Baro de Hügel (1837), in cui vennero pubblicate quasi trecento specie raccolte dal Barone tra lo Swan River e il King George Sound. Tra di esse, le amate leguminose del Fiume dei Cigni. In realtà, non erano una novità assoluta in Europa, perché già da qualche anno alcune specie erano arrivate nelle serre europee, classificate come Glycine poi come Kennedia. Sulla base delle sue raccolte in Australia, Hügel suggerì a Bentham (che si occupò della pubblicazione delle Leguminose) di dividerle in quattro generi: oltre a Kennedia, Physolobium, Zichya e Hardenbergia. Due di questi nuovi generi dovevano ricordare le due donne più importanti della sua vita: la mai dimenticata ex fidanzata Melanie Zichy-Ferraris e la sorella Fanny, ora contessa Hardenberg. Provvide egli stesso a creare il genere Zichya sulla rivista della società botanica austriaca, mentre Hardenbergia venne pubblicata da Bentham appunto in Enumeratio plantarum. Per inciso, oggi sia Physolobium sia Zichya sono stati riassorbiti da Kennedia, mentre Hardenbergia continua da essere riconosciuto come un genere indipendente, come vedremo meglio tra poco. Ma prima di concludere, ancora due parole sul barone e sua sorella Fanny. Le cronache del tempo descrivono il giardino di Hietzing come uno dei più belli d'Europa, ricco di piante esotiche riportate dal viaggio intorno al mondo. All'ingresso, di fronte al soggiorno, circondata da pilastri con piante rampicanti, c'era una terrazza pavimentata, con una grande varietà di piante coltivate tra le lastre, e aiuole con bulbi, erbacee ed arbusti scelti con grande cura perché fiorissero quasi tutto l'anno, tra cui una notevole collezione di camelie; un prato con molti alberi e arbusti esotici; serre fredde e riscaldate con la collezione di piante australiane. Non mancava un orchidarium, che nel 1842 contava 83 generi e quasi 200 specie. Molto ammirato era il cosiddetto Giardino rococò, con aiuole formali bordate di tufo, parterre, fontane e statue. Il barone si dava da fare per diffondere il gusto per il giardinaggio e le piante esotiche non solo con l'esempio; riprendendo un progetto che già accarezzava prima di partire, nel 1837 fondò la Österreichische Gartenbau-Gesellschaft, la società di giardinaggio austriaca, di cui dettò lo statuto e fu il primo presidente. Le prime mostre organizzate dalla società si tennero proprio nel parco di Hietzing. Gli eventi del 1848 misero fine a un tranquillo decennio di studio e giardinaggio; Hügel riprese servizio nell'esercito e partecipò alla guerra in Italia (dal nostro punto di vista, la prima guerra d'Indipendenza); era però a Vienna nei giorni tumultuosi in cui Metternich rischiò di essere linciato dalla folla e, insieme all'amata Melanie, lo portò in salvo nascondendolo nella sua carrozza. Forse disgustato da questi eventi, abbracciò la carriera diplomatica, servendo per molti anni prima a Firenze, poi a Bruxelles. Quando si ritirò, preferì trasferirsi in Inghilterra insieme alla moglie, un'irlandese molto più giovane di lui che aveva conosciuto in India e sposato a Firenze, e ai figli. Il giardino e la villa, passati di mano in mano, fatalmente andarono in rovina e vennero dispersi dalla lottizzazione. Quanto a Fanny, la sua vita ha lasciato ben poche tracce nelle cronache del tempo. Sappiamo che, dopo il matrimonio con il conte von Hardenberg, un gentiluomo della corte di Hannover, lo accompagnò nelle varie sedi cui fu assegnato (le fonti dell'epoca citano Berlino e Dresda) e soggiornò spesso nella tenuta di campagna di Rettkau, in Slesia. Proprio qui si rifugiò e morì il fratello maggiore, Clemens Wenzel, collaboratore di Metternich, travolto dalla disgrazia del cancelliere. Nel 1849 Franziska rimase vedova e, presumibilmente senza figli, decise di raggiungere Carl, vivendo per qualche tempo nella sua casa di Vienna, per poi trasferirsi insieme a lui a Firenze. Qui morì nel 1852. Una sintesi di queste poche notizie nella sezione biografie. ![]() Finalmente, Hardenbergia Ovviamente, anche il barone Hügel, come raccoglitore e collezionista, nonché promotore dell'orticoltura, ha avuto la sua parte nella nomenclatura botanica. Un genere Huegelia gli fu dedicato sia da Robert Brown, sia da Reichenbach, sia da Bentham; nessuno dei tre è oggi accettato. A resistere più a lungo è stato forse Huegelia Rchb., oggi confluito in Trachymene Rudge. La specie più nota è probabilmente Trachymene coerulea, spesso ancora indicata con il sinonimo Huegelia coerulea. Un manipoli di piante neppure troppo esiguo ricorda invece il barone nel nome specifico: sono per lo più australiane, come Alyogyne huegelii, il cosiddetto ibisco blu, oppure Melaleuca huegelii. Ed eccoci infine arrivati alla nostra protagonista verde, la felice vagabonda Hardenbergia. Appartenente alla sottotribù Kennediinae della famiglia Fabaceae, è in effetti molto affine a Kennedia; le piante di entrambi i generi sono liane originarie dell'Australia. Ad Hardenbergia sono assegnate tre specie: H. comptoniana, nativa dell'Australia sudoccidentale (che è la specie raccolta da Hügel lungo lo Swan River); H. perbrevidens, endemica del Queensland; H. violacea, nativa dell'Australia meridionale e orientale. Rampicanti, volubili o ricadenti, sono sempreverdi con foglie alterne, ovate ma anche palmate, piuttosto coriacee; a fine inverno e all'inizio della primavera producono copiose pannocchie di fiori papilionacei dai colori sgargianti: da malva a porpora con marcature bianche H. comptoniana; da malva a viola scuro con marcature gialle al centro la rara H. perbrevidens; da viola a porpora, ma anche rosa e bianchi H. violacea. Questa è la specie più coltivata e ne sono state selezionate molte cultivar, compresa una bicolore. Viene coltivata all'aperto dove non gela, come nella nostra riviera, altrove in serra temperata o in posizione protetta contro un muro. Qualche informazione in più nella scheda.
0 Comments
Subito dopo l'indipendenza, il più bel giardino d'America era Woodlands, alla periferia di Filadelfia, creato dal ricco proprietario terriero e collezionista d'arte William Hamilton che, a quanto pare, vi faceva coltivare circa 10.000 specie tra native ed esotiche. Jefferson, che ammirava Woodlands e lo considerava il solo giardino al di qua dell'Oceano a poter competere con quelli britannici, volle che nelle sue aiuole e nelle sue serre venisse coltivata e moltiplicata una parte delle piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark. Il nostro protagonista, tuttavia, non è Hamilton (gli furono dedicati ben tre generi, ma nessuno oggi valido), bensì il sovrintendente di Woodlands, il giardiniere scozzese John Lyon, che, dopo qualche anno trascorso a lavorare qui, si trasformò in un infaticabile cacciatore di piante indipendente, al quale Aiton in Hortus Kewensis attribuisce l'introduzione in Europa di oltre trenta specie. Tra le più note oggi, Phlox paniculata e Pieris floribunda. Assai affine a Pieris è Lyonia (Ericaceae), il genere che ne preserva il ricordo. ![]() Dalle aiuole alle montagne del Nord America Al ritorno da un viaggio in Europa, in gran parte dedicato a visitare parchi e giardini britannici, il facoltoso proprietario terriero e collezionista William Hamilton (1749-1813) decise di far ricostruire la casa padronale della tenuta di Woodlands, nei pressi di Filadelfia, secondo lo stile di Adam; anche il parco venne ridisegnato secondo i canoni del giardino paesaggistico d'oltre Oceano. In pochi anni, le collezioni di piante, native o fatte venire dall'Europa, dall'Asia e dal Sud Africa, giunsero a comprendere diecimila specie. Nel 1807 Jefferson, grande ammiratore di Hamilton (Woodlands sarà uno dei modelli di Monticello), chiese a McMahon, cui aveva affidato i semi raccolti durante la spedizione di Lewis e Clark, di dividerli equamente con lui, per aumentare le possibilità di riuscita, vista l'esperienza e i mezzi di Hamilton. Quest'ultimo, del resto, era già in relazione con i due esploratori, che nel 1804 gli avevano inviato da Fort Mandan alcune talee di Maclura pomifera (arancio degli Osagi). Sappiamo che Hamilton ricevette i semi di almeno 19 specie, che includevano diverse varietà di Ribes e il tabacco selvatico Nicotiana quadrivalvis. Un anno dopo, egli informava il presidente che non tutti i semi erano germogliati, mentre le piante di Maclura prosperavano. Dopo la morte di Hamilton, quella magnifica collezione andò rapidamente in rovina; una parte del parco fu venduta dagli eredi e intorno al 1840 molto di ciò che rimaneva venne trasformato in un cimitero rurale; è un luogo affascinante e caro ai cittadini di Filadelfia, ma certo molto diverso rispetto ai suoi anni d'oro. Molte informazioni sulla sua storia in questo sito. Ma il nostro protagonista non è Hamilton; certamente questo patrono dei giardini attirò l'attenzione dei botanici che gli dedicarono ben tre generi Hamiltonia: nel 1806 il conterraneo Muhlenberg, nel 1824 Roxburgh, nel 1838 Harvey; nessuno dei tre oggi è però valido. Dunque la nostra attenzione si sposta su una figura forse più interessante, e sicuramente più simpatica: il sovrintendente, o capo giardiniere, di Woodlands, lo scozzese John Lyon. Nulla sappiamo della sua vita prima che fosse assunto da Hamilton nel 1785; ignoriamo persino se si trovasse già in America, o se abbia incontrato il futuro datore di lavoro in patria. Ci mancano notizie anche sul primo decennio trascorso a lavorare a Woodlands; la nostra principale fonte informativa è infatti il suo diario di campo, che inizia nel 1799. E' probabile che in quei sedici anni egli già affiancasse alla cura del giardino - di cui fu evidentemente il principale realizzatore - escursioni nei dintorni, per incrementare le collezioni di piante native. Il primo viaggio documentato è proprio di quell'anno, quando Hamilton lo inviò sugli Allegheny della Pennsylvania alla ricerca di Pyrularia pubera, una pianta emiparassita con semi oleosi e tossici di potenziale interesse farmacologico, che il collezionista non era riuscito fino ad allora a far germinare. La spedizione si concluse con un nulla di fatto. E' possibile che già allora Lyon mordesse il freno; preparato, intelligente, industrioso e di spirito indipendente, incominciava a sentirsi soffocare al servizio di un uomo arrogante, esigente e imperioso, tanto più che la figura sociale del capo giardiniere in America non godeva della stessa considerazione sociale che forse aveva potuto sperimentare in patria. A partire dal 1802, e per i successivi dodici anni, non avrebbe mai cessato di viaggiare, dapprima per conto di Hamilton, poi in proprio. Erano viaggi faticosi e pieni di insidie, in zone spesso poco conosciute e non segnate sulle carte. Lyon si muoveva a cavallo, alloggiava talvolta all'aperto, ma più spesso in locande o presso case ospitali; portava con sé provviste minime, carta per gli esemplari pressati, mentre le collezioni di radici e semi andavano crescendo. Gli incidenti non mancarono: fu morso da un cane rabbioso e dovette curare da sé la ferita infetta cauterizzandola con un ferro rovente; si intossicò gravemente raccogliendo semi del velenoso Rhus michauxii; affrontò una bufera così forte da abbattere gli alberi; perse più volte il cavallo. Viaggiava per lo più da solo, ma spesso faceva tappa presso altri botanici o appassionati, che talvolta gli facevano da guida o lo accompagnavano per qualche tratto. I suoi viaggi, in tutto dieci, lo portarono ad esplorare buona parte degli Stati centrali e meridionali dell'America atlantica, in particolare, oltre alla Pennsylvania e alla Virginia, le due Caroline, la Georgia e la Florida settentrionale, con una predilezione per le montagne che fanno da confine tra North Carolina e Tennessee; solo un viaggio lo portò a Nord, verso i grandi laghi. Tra i luoghi ricorrenti, dove si fermava presso amici, cui spesso affidava le sue raccolte o preparava i materiali per le spedizioni, Silk Hope, in North Carolina, dove abitava l'amico Stephen Elliott, che fu anche suo compagno di viaggio in diverse occasioni; le città portuali di Savannah in Georgia e Charleston nella Carolina del Sud, da dove spediva per nave a Filadelfia le sue raccolte; Nashville e Asheville, rispettivamente in Tennessee e North Carolina, punto di partenza per l'esplorazione delle amate montagne; Lancaster, tappa obbligata sulla via del ritorno per visitare l'amico Henry Muhlenberg. Le spedizioni più ampie e importanti sono probabilmente quelle del 1803-1804 e del 1807. Durante la prima Lyon percorse 2250 miglia, giungendo fino in Florida e esplorando anche, oltre a diverse aree montane, buona parte della costa e delle isole della Georgia. Proprio durante questo viaggio, nel 1803, fu l'ultima persona a vedere in natura alcuni esemplari di Franklinia alatamaha (e potrebbe avere qualche responsabilità nella sua estinzione). Durante la seconda, percorse 2500 miglia, muovendosi lungo le montagne sui confini tra North Carolina e Tennessee (dove sarebbe tornato altre volte e sarebbe morto); tra i suoi ospiti, la colonia morava della Cherokee Country, e tra gli incontri notevoli, quelli con Moses Fisk, pioniere degli insediamenti nel Tennessee, e con il pastore e botanico Samuel Gottlieb Kramsch. Una narrazione più dettagliata dei suoi viaggi nella vita. ![]() Collezioni di piante e spirito imprenditoriale Lyon è una figura interessante anche perché si distacca dagli altri cacciatori di piante per la sua indipendenza e intraprendenza. Mentre i suoi colleghi erano finanziati da sovrani, istituzioni pubbliche, mecenati oppure, sempre più spesso, lavoravano per qualche ditta commerciale, Lyon era un libero professionista che si assumeva le spese e i rischi e provvedeva da sé alla vendita delle sue raccolte. Probabilmente lasciò Hamilton (per il quale tornò a lavorare occasionalmente anche in seguito, ma solo come giardiniere) nella seconda metà del 1803; nel frattempo era stato sostituito con Frederick Pursh. Da quel momento, Lyon prese a creare una propria collezione, con l'obiettivo di commercializzarla in Inghilterra. In natura raccoglieva piante vive (in quantità che a noi fanno accapponare la pelle, come le 200 radici di Podophyllum di cui fece incetta nel 1804 in Georgia), ma ancora più semi; questi ultimi erano destinati alla vendita, ma anche alla riproduzione. In effetti, alla fine del 1804 il giardiniere avrebbe voluto imbarcarsi per l'Inghilterra, ma non trovando un imbarco si fermò a Filadelfia per quasi un anno, dedicato a seminare e curare le plantule da portare con sé in patria. A tal fine, si appoggiò al vivaista David Landreth (fondatore nel 1784 della più antica ditta sementiera statunitense), da cui affittò una parte del vivaio. Alla fine del 1805 Lyon poté finalmente imbarcarsi per Londra, via Dublino. Nella capitale inglese dimostrò ottime capacità imprenditoriali; per vendere le sue piante, si affidò non solo a una clientela privata, ma a un'asta pubblica, pubblicizzata con annunci su sette giornali e con la stampa di un catalogo, in cui le piante nuove (sp. nova!) sono ben evidenziate. Forte di questo successo, ritornò subito in America, dove investì i guadagni in nuovi viaggi, che si mossero principalmente lungo le predilette montagne tra North Carolina e Tennessee. Dopo cinque anni di fatiche aveva creato una seconda, ancora più ricca, collezione, che portò con sé in Inghilterra nell'inverno 1811-12. La clientela inglese fu impressionata dalla qualità e dalla quantità dell'offerta, anche questa volta venduta con un'asta pubblica (ce n'è rimasto il catalogo). L'infaticabile Lyon tornò quasi immediatamente in America, dove fece ancora due viaggi nei luoghi prediletti; ammalatosi probabilmente di febbre gialla, si spense a Asheville (North Carolina) nel 1814. Non conosciamo il luogo della sua sepoltura, ma i parenti gli eressero una lapide nel cimitero di Dundee, dove è ancora conservata. Nelle testimonianze dei contemporanei, l'importanza del suo contributo all'introduzione delle specie americane in Europa appare imponente. Secondo la seconda edizione di Hortus Kewensis, redatto da William T. Aiton, le specie nuove messe in vendita nel 1806 e nel 1812 sono 31; spesso non si tratta davvero di novità (molte erano già arrivate in Europa, in particolare grazie ai Michaux che avevano raccolto nelle stesse aree), ma piuttosto di reintroduzioni, rese però disponibili da Lyon in modo ben più massiccio. Nell'elenco figurano tra l'altro (uso le denominazioni attuali) Desmanthus illinoensis, Amsonia tabernemontana var. salicifolia, Asclepias pedicellata, Calycanthus floridus var. glaucus, Dicentra eximia, Hamamelis virginiana, Iris fulva, Cliftonia monophylla, Calycocarpum lyonii, Tradescantia subaspera. Ho lasciato volutamente per ultime le introduzioni più importanti e durature: Phlox paniculata, Pieris floribunda e Magnolia macrophylla (ma potrebbe trattarsi di una specie affine che vive nelle stesse aree, Magnolia fraseri var. pyramidata). Entrambe sono oggi considerate relativamente rare in natura, forse anche a causa del contributo di Lyon, che nel suo viaggio del 1809 in North Carolina ne raccolse ben 3600 esemplari. Amabile Lyonia
In questo atteggiamento predatorio verso la natura, Lyon era un figlio del suo tempo, e lo perdoneremo, tanto più che, come abbiamo visto, pagò di persona il suo accanimento di cacciatore di piante indipendente con la fatica, le malattie, la solitudine e infine con la morte precoce. La puntigliosa registrazione delle entrate e delle uscite annotata nel diario ci dice anche che, se la sua impresa non fu in perdita, neppure gli assicurò un largo guadagno. Come al suo datore di lavoro, anche a lui furono dedicati tre omonimi generi Lyonia; nel 1808 da Rafinesque; nel 1817 dall'amico Elliott; nel 1818 da Nuttall. Per una volta ad essere accettato da botanici è il più recente. Questa la dedica: "Per commemorare il nome del fu Mr. John Lyon, un raccoglitore infaticabile del Nord America, che cadde vittima di un'epidemia perniciosa in mezzo a quelle montagne selvagge e romantiche che erano state tanto spesso teatro delle sue fatiche". Numerose sono poi le specie che lo ricordano nel nome specifico, come Chelone lyonii o Rosa carolina var. lyonii. Lyonia Nutt. (famiglia Ericaceae) comprende circa 35 specie di piccoli alberi o arbusti diffusi nelle boscaglie dell'area himalayana, in Asia orientale, nel Nord America e nelle Antille. E' molto affine a Pieris, in cui in passato è anche confluito (oggi studi molecolari ne confermano l'indipendenza). Decidue o sempreverdi, le piante di questo genere hanno foglie alternate, intere, coriacee e lucide e graziosi fiori penduli tubolari o a forma di urna raccolti in racemi terminali, solitamente bianchi. Tra le specie americane vale la pena di ricordare L. ligustrina, nativa degli Stati Uniti orientali dal Maine alla Florida, notevolmente adattabile ad ambienti diversi e capace, grazie ai rizomi, di resistere agli incendi (molto frequenti nelle pinete in cui vive abitualmente); L. mariana, sempre degli Stati Uniti orientali, usata dai Cherokee come pianta medicinale, e oggi minacciata in Pennsylvania e Connecticut; L. lucida, la specie più nota e diffusa, raccolta anche da Lyon, presente nelle pianure costiere degli Stati Uniti orientali dalla Virginia alla Florida e alla Louisiana e nell'isola di Cuba, con graziosi fiori penduli cilindrici portati su rami arcuati, bianchi, ma anche rosa o rossi. Sono tutti arbusti, mentre può diventare un vero albero l'asiatica L. ovalifolia, diffusa nell'India himalayana, in Cina e in Giappone. Una curiosità: un tempo Lyonia viveva anche in Europa. Alcuni frutti fossili di †Lyonia danica, attribuiti al Miocene medio, sono stati infatti trovati nello Jutland centrale (Danimarca). Qualche approfondimento nella scheda. Di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, è stato detto che potrebbe essere nominato patrono laico dei giardini e dei giardinieri statunitensi. Quella per la natura, le piante e i giardini fu infatti per lui una passione costante in tutte le fasi della vita, fino alla creazione dello splendido giardino di Monticello. Protagonista di una rete di "scambisti" di piante tra le due sponde dell'oceano, botanico dilettante, presidente della American Philosophical Society, ebbe anche il merito di sponsorizzare la grande spedizione di Lewis e Clark. Lo ricorda una pianta del sottobosco delle foreste americane, Jeffersonia diphylla, che coltivava in una delle aiuole del suo giardino, dove spesso gli faceva omaggio della sua candida fioritura come dono di compleanno. ![]() Una dedica all'uomo di scienza, non al politico La sera del 18 maggio 1792 sei uomini si incontrarono presso la Philosophical Hall di Filadelfia, la sede della American Philosophical Society, per la consueta riunione del venerdì; dopo il momento conviviale del pranzo, Benjamin Smith Barton, professore di botanica e storia naturale presso l'Università della Pennsylvania, lesse una lettera che aveva scritto ai colleghi europei circa una pianta nativa della Virginia. Linneo, basandosi solo su esemplari essiccati, l'aveva assegnata al genere Podophyllum, con il nome P. diphyllum. Barton, studiandola dal vivo, era giunto alla conclusione che andasse invece assegnata a un genere nuovo e, aggiunse, "Mi sono preso la libertà di renderlo noto ai botanici sotto il nome di Jeffersonia, in onore di Thomas Jefferson, segretario di Stato degli Stati Uniti". E ciò, aggiunse, non in considerazione dei suoi meriti politici, ma delle sue conoscenze di storia naturale che, soprattutto nei campi della zoologia e della botanica "sono eguagliate da poche persone negli Stati Uniti". In effetti, il multiforme Thomas Jefferson, estensore della Dichiarazione d'Indipendenza, quindi ambasciatore degli Stati Uniti in Francia, segretario di Stato, presidente per due mandati, oltre che uno dei padri fondatori degli Stati Uniti fu un intellettuale di notevole spessore, con forti interessi scientifici che spaziavano dalla matematica all'archeologia, dalla geografia alla paleontologia: le scienze naturali e la botanica furono una passione che coltivò per tutta la vita. Si racconta che quando era presidente conoscesse tutte le piante dei dintorni della Casa Bianca, e non si facesse sfuggire una specie nuova per il suo erbario. Per quanto riguarda la botanica, notevole fu il suo lascito in tre settori: la promozione dell'agricoltura del suo paese, con migliorie tecniche e l'introduzione di nuove specie; la creazione dello splendido giardino di Monticello; la promozione dell'esplorazione delle risorse naturali del territorio statunitense. Convinto che l'agricoltura fosse la base della prosperità, dell'indipendenza, ma anche della moralità di una nazione, sognava un paese di piccoli agricoltori liberi, anche se lui, da parte sua, era il proprietario schiavista di vaste piantagioni. Il suo contributo in questo campo fu soprattutto nella sperimentazione e nell'introduzione di nuove varietà: ad esempio, portò con sé dall'Europa una pianta di fico acquistata a Marsiglia, che a suo dire produceva i frutti migliori che mai avesse mangiato, e ne distribuì talee a vicini e amici; creò un vigneto sperimentale; incoraggiò la coltivazione del sesamo per la produzione familiare di olio. Ma il suo capolavoro fu Monticello, la sua residenza nei pressi di Charlottesville, Virginia, il cui nome italiano fa riferimento alla posizione della proprietà, sulla cima di un colle delle Southwest Mountains. Nel 1768 iniziò l'edificazione di una casa in stile palladiano, progettata dallo stesso Jefferson, che era quasi completa nel 1784 quando egli dovette lasciare gli Stati Uniti per la Francia, con l'incarico di ambasciatore presso la corte di Parigi. Contemporaneamente, cominciò a realizzare il giardino, sulle cui vicende siamo ben informati grazie al suo Garden Book, ovvero il quaderno dove annotava piantagioni, semine, esperimenti. La prima annotazione risale al 1769, quando Jefferson fece piantare alberi da frutto sul versante sud della collina. Nel 1774, in collaborazione con l'italiano Filippo Mazzei, che procurò vignaioli e vitigni, impiantò la prima vigna della Virginia. Tra il 1778 e il 1782 fu la volta di un vasto frutteto di meli e peschi e del primo orto, lungo la strada principale della piantagione, dove vennero seminari asparagi, piselli e carciofi. Il soggiorno in Europa, che si protrasse dal 1784 al 1789, permise a Jefferson di allargare i suoi orizzonti culturali e di allacciare proficue relazioni. Oltre alla Francia, visitò la Gran Bretagna, l'Italia, il Belgio e i Paesi Bassi, dove visitò case e giardini, rimanendo profondamente impressionato dallo stile libero dei nuovi parchi all'inglese. A Parigi incominciò a frequentare il salotto di Madame de Tessé, zia di Lafayette e grande appassionata di giardini, che gli chiese di procurargli piante americane; e così, tra Parigi e Monticello, iniziò un attivo scambio transoceanico di piante: mentre esemplari di Callicarpa americana, Diospyros virginiana, Calycanthus floridus procurati da amici e corrispondenti di Jefferson raggiungevano il parco di Chaville, a Monticello arrivavano semi di elitropio bianco (Helitropium arborescens), ranuncoli, cavolfiori, broccoli e bulbi di tulipani. Un altro contatto importante fu André Thouin, capo giardiniere del Jardin du Roi. ![]() Un giardino per frutti, verdure, fiori Tornato in patria, Jefferson cercò di conciliare l'attività politica (che egli definiva il suo dovere) con gli interessi scientifici (che egli definiva la sua passione). Così, nel 1791 lo troviamo ad erborizzare nel New England con l'amico James Madison. Nel 1797 fu nominato presidente della American Philosophical Society (incarico che mantenne per un ventennio, anche durante i due mandati presidenziali). Nel 1812, quando durante la guerra anglo-americana un incendio distrusse la biblioteca del Congresso, Jefferson offrì di reintegrarla con la sua collezione (che vantava il doppio dei volumi di quella perduta), dietro un compenso che doveva aiutarlo a ripianare i grandi debiti contratti per la ristrutturazione di Monticello; il congresso accettò, creando così il primo nucleo dell'attuale Library of Congress. Egli inoltre si impegnò attivamente nella creazione dell'Università della Virginia a Charlottesville, che fu infine inaugurata nel 1819. A partire dal 1794, lo stesso anno in cui divenne segretario di Stato, Jefferson intraprese la totale ristrutturazione della casa e del parco di Monticello, ispirandosi a quanto aveva visto in Europa. Come Mount Vernon di Washington, anche il giardino concepito da Jefferson unisce le funzioni di parco paesaggistico, frutteto, orto e giardino di piacere. I frutteti e gli orti si trovavano fuori del parco vero e proprio, lungo il viale principale della piantagione. I frutteti, con pianta formale a grata, erano due, uno posto a nord, l'altro a sud. Includevano anche meli per la produzione di sidro; a più riprese, venne impianta una vigna, ma con poco successo. L'orto venne collocato su una lunga terrazza ricavata dal lavoro degli schiavi sul fianco della collina; comprendeva 24 parcelle quadrate destinate alla produzione di "radici" (come rape e carote), "frutti" (pomodori, fagioli), "foglie" (insalate, cavoli). Al centro un piccolo padiglione da cui si poteva godere il panorama. Alla base del muro di sostegno venivano coltivate le primizie e le piante più delicate, come i piselli, una delle grandi passioni di Jefferson. Anche i fichi portati dalla Francia crescevano qui. L'orto era anche uno spazio sperimentale dove provare novità, come i broccoli e i cavolfiori importati dall'Europa o gli stessi pomodori. Si calcola che nel corso degli anni Jefferson vi abbia fatto coltivare 330 varietà di 70 specie. La sommità della collina era occupata da una spianata con un vasto prato dai contorni irregolari, il West Lawn, a nord ovest del quale si trova il Grove, il boschetto, un'area di 18 acri concepita come una foresta ornamentale in cui agli alberi nativi più alti (potati in modo da lasciare luce e spazio agli alberi minori) si affiancavano piante scelte per il contrasto di colori, forme, tessiture. Il sottobosco naturale doveva essere eliminato per lasciare posto a radure a prato, con erbacee perenni e gruppi di arbusti disposti secondo un disegno labirintico a spirale. Il collegamento tra le varie parti del giardino era garantito da quattro viali circolari concentrici, posti a livelli differenti, bordati di gelsi e Gleditsia triacanthos e collegati tra loro da sentieri diagonali. Se, proprio come Mount Vernon, all'inizio anche Monticello era stato concepito soprattutto con funzioni utilitarie, dopo l'esperienza europea l'interesse di Jefferson per i fiori e le piante ornamentali aumentò. Nel 1807, in previsione del suo ritiro dalla vita politica, egli disegnò venti aiuole ovali, poste ai quattro angoli della casa, ciascuna delle quali destinata a una specie diversa, con bulbose, erbacee perenni e piccoli alberi da fiore. Probabilmente nel 1808 fu creata la grande bordura serpeggiante che contorna il prato centrale. In entrambe le aree la figlia e le nipoti di Jefferson coltivavano una grande varietà di piante e bulbi, forniti soprattutto dal vivaista di Filadelfia Bernard McMahon, in modo da assicurare fioriture dalla primavera all'autunno. C'erano i fiori coltivati tradizionalmente che i coloni avevano portato con sé dall'Europa; piante più inusuali o novità fornite dai contatti europei (ogni anno, una cassa giungeva dal Jardin des Plantes di Parigi). Almeno un quarto delle piante da fiore coltivate a Monticello erano tuttavia native; oltre a Jeffersonia diphylla, particolarmente gradita perché oltre a portare il suo nome fioriva proprio intorno al suo compleanno (il 2 aprile), c'erano diverse specie raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark, come Fritillaria pudica e Lobelia cardinalis. Siamo così giunti all'ultimo titolo di merito di Jefferson: quella spedizione era stata voluta e sponsorizzata proprio da lui, durante il suo primo mandato presidenziale. Negli anni successivi all'indipendenza, il territorio del nuovo stato era confinato nella stretta striscia tra gli Appalachi e l'Oceano, mentre si avevano scarse conoscenze delle terre poste al di là delle montagne. Jefferson era conscio delle enormi potenzialità di quel territorio inesplorato e sognava di trovare una via di comunicazione con l'Oceano Pacifico. Già quando si trovava a Parigi come ambasciatore sostenne il progetto dell'esploratore anglo-americano John Ledyard che si proponeva di raggiungere lo stretto di Bering attraversando la Russia via terra; da qui pensava di trovare un passaggio per l'Alaska, da dove sarebbe sceso verso sud per poi percorrere il continente americano fino alla Virginia. Ma, dopo essere arrivato in Siberia, nel febbraio del 1788 Ledyard fu arrestato per ordine dell'imperatrice Caterina e deportato in Polonia. Una seconda possibilità si presentò nel 1793, quando l'American Philosophical Society pensò di affidare la missione di "esplorare il paese lungo il Missouri e di lì proseguire verso ovest fino all'Oceano Pacifico" al botanico francese André Michaux, che da qualche anno viveva in Carolina del Sud e aveva una larga esperienza di viaggi di esplorazione e raccolta. Jefferson stesso organizzò la sottoscrizione che doveva finanziare la spedizione e ottenne l'assenso di Washington; tuttavia, quando fu chiaro che Michaux era coinvolto in un piano antispagnolo organizzato dall'ambasciatore francese, per evitare di peggiorare le relazioni diplomatiche con la Spagna il progetto fu annullato. Il sogno di Jefferson poté infine realizzarsi nel 1804 grazie alla spedizione capeggiata da Lewis e Clark, argomento su cui però tornerò in un altro post. Jefferson morì nel 1826, a ottantaquattro anni, ormai sprofondato nei debiti contratti per la sua vita troppo dispendiosa e soprattutto per la creazione di Monticello. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. La figlia fu costretta a vendere la tenuta che, dopo essere passata attraverso vari proprietari, nel 1836 fu acquistata da Uriah Levy, grande ammiratore di Jefferson, il quale nel 1862 la lasciò in eredità al popolo americano perché fosse usata come scuola agraria. Ma si era in piena guerra civile e il congresso rifiutò il lascito. Dopo complesse vicende, a cercare di salvare Monticello, che era ormai in uno stato deprecabile di abbandono, fu il nipote Jefferson Monroe Levy, che ne iniziò il restauro, poi proseguito a cura della Thomas Jefferson Foundation, nata nel 1923. Monticello come lo vediamo oggi è il frutto dei restauri da essa promossi: sono stati ricreati il prato e la sua bordura, le aiuole ovali, il viale circolare inferiore, la terrazza con l'orto, mentre i frutteti non esistono più e il Grove è ben diverso da come doveva presentarsi all'epoca del suo creatore. Dal 1987 la tenuta è inclusa nella lista del patrimonio dell'umanità UNESCO. Moltissime notizie sul giardino e sullo stesso Jefferson nel sito di Monticello. ![]() Una pianta americana Abbiamo già visto che Jeffersonia fu dedicata a Jefferson nel 1792 da Benjamin Smith Barton. Appartenente alla famiglia Berberidaceae, comprende una sola specie, appunto J. diphylla, una rara erbacea perenne a fioritura primaverile del sottobosco delle foreste decidue con suolo calcareo degli Stati Uniti orientali. Alta fino a 25 cm, ha grandi foglie bilobate con lobi da arrotondati ad acuti posti quasi ad ala di farfalla; all'inizio della primavera produce fiori a coppa con otto petali bianchi e stami gialli. Gli si attribuiscono proprietà antireumatiche. Qualche informazione in più nella scheda. Ha anche una bellissima cugina asiatica che oggi, dopo molte incertezze, è stata restituita al genere Plagiorhegma. Dunque dobbiamo rassegnarci a chiamare questa perla dei giardini boschivi con foglie lobate e fiori lilla con l'orrendo nome Plagiorhegma dubium anziché Jeffersonia dubia. Nel 1800 Brickell dedicò a Jefferson un secondo genere Jeffersonia; illegittimo per la regola della priorità, è oggi sinonimo di Gelsemium. Comandante dell'Esercito continentale, primo presidente degli Stati Uniti, padre fondatore della nazione. Ma oltre a tutto questo, George Washington fu anche un imprenditore agricolo di successo e il creatore di uno splendido giardino in cui si armonizzano utilità e piacere, rigore e libertà, giardino formale e parco paesaggistico. Mount Vernon, con i suoi sentieri sinuosi fiancheggiati da centinaia di alberi nativi fu anche un giardino programmaticamente "americano" che influenzò il gusto delle generazioni successive. A tanto personaggio, non potevano che essere dedicate piante speciali: le altissime palme americane del genere Washingtonia. ![]() Un imprenditore di successo Tra il 1758, quando lasciò l'esercito dopo aver combattuto nella guerra franco-indiana, e il 1775, quando fu nominato comandante in capo dell'Esercito Continentale, George Washington fu un piantatore di successo, impegnato a estendere le sue proprietà e a renderle sempre più produttive. Mentre la maggior parte dei suoi vicini coltivava soprattutto tabacco, egli capì che, da una parte, questo impoveriva il suolo; dall'altra, come prodotto destinato essenzialmente all'esportazione in Europa, lo rendeva economicamente dipendente dal mercato inglese. Decise così di differenziare le colture, puntando su prodotti destinati al mercato interno: grano, mais, altri cereali, fibre tessili come canapa, lino, cotone. Oltre ad almeno una sessantina di colture, sperimentò fertilizzanti, sementi, tecniche di rotazione, attrezzature innovative, affiancando alla produzione agricola altre attività come l'allevamento di pecore, una piccola flotta di pescherecci, un mulino e una distilleria di whisky. Da cadetto di una famiglia di piantatori di modeste fortune, si trasformò così in un facoltoso proprietario terriero. Per un uomo della sua classe sociale, una bella casa, dove ricevere signorilmente, circondata da un parco ameno era anche uno status symbol, e Washington adeguò alla sua nuova posizione sociale la tenuta di Mount Vernon, ereditata dal fratello maggiore. La casa, posta in un punto panoramico con un'eccezionale vista sul fiume Potomac, fu totalmente ricostruita in stile palladiano. Quanto al giardino, probabilmente all'inizio l'interesse del proprietario andava soprattutto alla sua dimensione utilitaria. Fin dagli anni '60 venne creato un vasto orto, circondato da un muro per proteggerlo dai cervi e da altri animali selvatici; Washington fece anche piantare centinaia di alberi da frutto, in particolare peri, meli, ciliegi e peschi. La frutta era molto richiesta, oltre che per il consumo immediato, per la preparazione di conserve e la fabbricazione del sidro. L'idea di ridisegnare il parco secondo i canoni del giardino paesaggistico nacque probabilmente più tardi, a ridosso degli eventi della Guerra d'indipendenza che avrebbero tenuto Washington lontano dalla sua casa per otto anni, dal 1775 al 1783. Tuttavia l'amato Mount Vernon continuava ad essere al centro dei suoi pensieri, tanto che in una lettera del 1776 istruisce il cugino Lund Washington sulle specie da piantare nelle bordure di arbusti lungo i sentieri che portano alla casa: rododendri, meli selvatici, Kalmia latifolia. Secondo Andrea Wulf, che ha dedicato a Washington e ai giardini di Mount Vernon uno dei capitoli del suo Founding Gardeners, questa lettera - sorprendente per il momento in cui fu scritta, la vigilia della battaglia di Long Island, in cui i britannici sconfissero le truppe indipendentiste, prendendo il controllo di New York - va intesa come testimonianza della volontà del generale di fare del suo giardino un manifesto patriottico, dove crescessero solo piante native, mettendo al bando le specie europee, ancora tanto ricercate dai ricchi proprietari di giardini. Ritornato a Mount Vernon alla fine del 1783, al termine della guerra, nei sei anni che intercorsero fino alla sua elezione a presidente degli Stati Uniti, Washington si dedicò a realizzare questo programma e ridisegnò completamente il parco, dove volle che fossero in certo senso rappresentati gli interi Stati Uniti, affiancando alle specie locali, tra gli altri, alberi e arbusti da fiore portati dalla Carolina o conifere giunte dagli Stati del Nord. Il progetto, completato poi durante i due mandati presidenziali (1789-1797) e negli ultimi anni, quando Washington tornò a vivere stabilmente a Mont Vernon (proprio qui morì nel 1799), diede al parco la fisionomia che ancora oggi possiamo apprezzare, grazie alla paziente opera di ricerca, conservazione e restauro promossa dalla benemerita Mount Vernon Ladies' Association, anche se quanto vediamo è solo il nucleo centrale (circa 500 acri degli 8000 su cui si estendeva la tenuta alla morte di Washington). Un sintetico profilo della sua vita nella sezione biografie. ![]() Mount Vernon: un parco paesaggistico e quattro ordinati giardini L'originalità del progetto di Mount Vernon, che non fu creato da un architetto alla moda ma dallo stesso Washington, nasce dalla capacità di integrare in un disegno unitario elementi a prima vista eterogenei: il piacere e la bellezza con l'utile, il rigore con la libertà, il giardino formale con il parco paesaggistico, caratterizzato da vasti prati dalle linee ondulate, viali e quinte di alberi, boschetti di alberi e arbusti , sentieri a serpentina. Il generale seppe inoltre sfruttare al meglio la posizione eccezionale della casa, posta sulla sommità di un dolce pendio che domina il fiume Potomac. La casa stessa, con le sue ali a mezza luna che abbracciano il cortile d'onore, il Mansion Circle, a forma di ellisse, costituisce il punto focale e unificante del disegno. Ma non vi si giunge attraverso il classico viale rettilineo; per raggiungerlo il visitatore deve percorrere uno dei due viali a serpentina immersi tra gli alberi. Washington fece infatti livellare l'area a ovest, di fronte alla casa, creando un vasto prato (detto Bowling green) dalle forme ondulate che ricordano la cassa armonica di una chitarra. Sui bordi fece disegnare due viali che ne seguono tutte le sinuosità, fiancheggiati a loro volta da centinaia di alberi, trapiantati dalle foreste circostanti. Molti di essi, oltre ad essere squisitamente "americani", uniscono alle belle fioriture primaverili spettacolari colori autunnali: meli selvatici, sassofrassi (Sassafras albidum), aceri, tupelo (Nyssa sylvatica). Gli alberi, fin dagli anni giovanili in cui aveva fatto l'agrimensore, erano la vera passione di Washington che ne piantò a profusione anche in altri spazi. A nord della casa venne creato un bosco di Robinia pseudoacacia; la radura verso sud venne riempita con sempreverdi, Cornus florida e alberi di Giuda (Cercis canadensis). A est, a creare una cornice alla veduta sul Potomac, la collina venne piantumata con una grande varietà di piante locali. Ma veniamo ai quattro giardini, partendo dal basso. Sul fianco destro del pendio che culmina con il Bowling Green, troviamo un vasto frutteto (Fruit Garden, lettera d nella mappa); questo terreno originariamente era una vigna sperimentale, piantata con ceppi di origine europea, che vennero distrutti dalla filossera. Nel 1785 Washington vi fece trapiantare gli alberi da frutto rimossi dall'Upper Garden e circa 200 meli ricevuti da un certo Major Jennifer. Protetta da un'alberata (soprattutto robinie), l'area è costituita da sei grandi rettangoli regolari, quattro coltivati a frutteto e due a orto, con verdure, piccoli frutti, erbe aromatiche, e include anche un vivaio. Immediatamente sopra il frutteto, da cui è separato da un viale e da un prato, si trova il giardino inferiore (Lower garden, lettera b), racchiuso da un muro di mattoni; è un vasto orto formale suddiviso in ordinatissime parcelle dove veniva coltivata una grande varietà di verdure e erbe aromatiche. Lungo i muri ci sono peri e meli coltivati a spalliera. Al livello più alto, al di là del prato, troviamo il giardino superiore (Upper Garden, lettera a). Simmetrico al Lower Garden, di cui riprende la forma e le dimensioni, inizialmente era un frutteto; nel 1785 Washington lo fece liberare dagli alberi per trasformarlo in un giardino di piacere. Anch'esso circondato da un muro su cui si appoggiano alberi da frutto a spalliera sui lati al sole e alberi ornamentali sui lati in ombra, ha un disegno formale che ricorda quello della finestra di una cattedrale, con sei aiuole, quattro rettangolari e due curvilinee, circondate da bordure di bosso nano. Le tre aiuole sulla sinistra (due rettangolari e una curvilinea) sono di dimensioni maggiori e combinano la funzione utilitaria dell'orto con quella estetica del giardino; il centro è occupato da file ordinate di verdure e erbe, lungo i bordi fiori e arbusti ornamentali formano una colorata cornice; anche in questo caso si tratta per lo più di specie native. Le due aiuole rettangolari sulla destra, più piccole, e separate tra loro dal piccolo cortile antistante la serra, ospitano un parterre di bosso che riproduce il "fleur de lys", ovvero il simbolo della Francia, preziosa alleata durante la guerra d'Indipendenza. L'ultima aiuola curvilinea sulla destra ospita invece piante da frutto. Bordure fiorite si trovano anche lungo i muri esposti al sole, ai piedi degli alberi a spalliera. Il punto focale di questo giardino è una serra molto innovativa per l'epoca dove venivano riparati aranci, limoni, limette e piante tropicali. Tra di esse una Cycas revoluta giunta in dono dalle Antille, ancora oggi viva e in ottima forma. Infine, l'orto botanico (Botanical garden, lettera c), una piccola area rettangolare incuneata tra il viale superiore e l'Upper garden, seminascosta da diversi edifici utilitari. Washington, che lo amava molto, lo chiamava "my Little garden" o "my Botanick garden". Era lo spazio destinato alla sperimentazione di nuovi semi, bulbi e talee che giungevano sempre più numerosi da amici, ammiratori, ma anche governi stranieri. Tra di essi quello francese, che, tramite André Michaux, fornì un cipresso a piramide e altri sempreverdi. Qui Washington "giardinava" di persona annotando scrupolosamente nei suoi diari successi e fallimenti. Liberalmente aperto ai visitatori già quando il presidente vi viveva (nel 1794 scrisse: "Non obbietto al fatto che ogni persona sobria o in ordine gratifichi la sua curiosità vedendo le strutture, i giardini, ecc. di Mount Vernon.") il giardino "americano" di Washington divenne anche un prestigioso modello che non mancò di influenzare la progettazione dei giardini della nuova nazione. A chi desidera saperne di più, consiglio vivamente una visita all'ottimo sito George Washington's Mount Vernon, una vera miniera di informazioni e curiosità. ![]() Una palma americana per il generale Washington Ovviamente, non fu per i suoi meriti di appassionato e di creatore di giardini che Washington fu onorato con un nome botanico, ma in quanto padre della patria. Anche se la prima denominazione che lo celebra non è valida, ha una storia così curiosa che vale la pena raccontarla. Nel 1853 il botanico inglese John Lindley dedicò uno studio alla sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum) che proprio in quegli anni incominciava ad essere conosciuta in Europa; colpito dalla maestosità di questi alberi, i più alti del pianeta, nell'attribuirli a un nuovo genere li battezzò Wellingtonia gigantea, perché secondo lui il generale Wellington (il vincitore di Waterloo) superava ogni uomo proprio come la sequoia supera tutti gli altri alberi. Questa denominazione (illegittima secondo le leggi della botanica, perché il nome Wellingtonia era già stato usato per un'altra pianta) non mancò di suscitare indignazione dall'altra parte dell'oceano: come poteva un generale britannico dare il suo nome alla più maestosa pianta d'America? Infatti, l'anno dopo un certo Andreas Peter Winslow in articolo pubblicato su un settimanale locale, California Farmer, in cui raccontava il suo viaggio a Calaveras Grove, protestò contro questa denominazione poco patriottica, sostenendo che l'unico degno di dare il suo nome al gigante tra le piante americane fosse Washington. Aggiunse che, se la pianta fosse risultata appartenente al genere Taxodium doveva chiamarsi Taxodium washingtonium, se appartenente a un genere nuovoWashingtonia californica. Winslow non era un botanico e la sua denominazione, irregolare per diversi motivi, non è valida, ma rimane comunque molto interessante sul piano storico. La denominazione valida giunse nel 1873 da parte non di un patriota statunitense ma di un botanico tedesco, H. Wendland, che separò dal genere Pritchardia P. filifera, rinominandola Washingtonia filifera "in onore di un grande americano". Una terza Washingtonia era stata creata da Rafinesque, ma, pubblicata da Coulter e Rose solo nel 1900, non può essere presa in considerazione per la regola della priorità. La dedica di Wendland è invece un omaggio indubbiamente adeguato; il genere Washingtonia, della famiglia Arecaceae, comprende due specie di palme native degli Stati Uniti sud-occidentali e del Messico settentrionale, note per la loro altezza, maestosità e bellezza: W. filifera, nota anche come palma della California, e W. robusta, nota come palma del Messico. Sono molto simili tra loro, ma W. robusta ha tronco più sottile, cresce più alta e più rapidamente; a distinguerle poi è il colore della base del picciolo, rosso-porpora in W. robusta e verde in W. filifera. Alte fino a 30 metri, con grandi foglie a ventaglio che formano una densa chioma tondeggiante, sono tra le palme più note e apprezzate, molto coltivate anche da noi in parchi e alberate; la specie californiana è anche relativamente rustica. Qualche informazione in più nella scheda. E' brevissima la vita di Robert James Petre, ottavo barone Petre. Ma lascia un'impronta indelebile nella storia dei giardini inglesi, anche se del mirabile giardino che creò a Thorndon non rimane neanche un'immagine; a evocare l'armonia che egli seppe creare disegnando il paesaggio con "matite vive" restano alcune lettere dell'amico Peter Collinson. A ricordare Petre, complice Linneo, provvede inoltre il genere Petrea, che comprende alcuni dei più spettacolari rampicanti tropicali. ![]() Un prototipo di giardino paesaggistico Nel 1742, quando lord Petre morì all'improvviso, vittima di un'epidemia di vaiolo (che portò alla tomba con lui una trentina tra famigliari e servitori), non aveva ancora compiuto 29 anni. Da pochi mesi gli era nato l'erede maschio e le attività nel parco di Thornton Hall erano al culmine. Nei due anni precedenti, vi aveva fatto piantare più di 60.000 piante (tra cui 10.000 tra arbusti e alberi americani) di 50 specie e altre decine di migliaia erano in attesa negli enormi vivai. Erano ormai dieci anni, da quando era diventato maggiorenne, che Petre aveva preso a rimodellare la tenuta di Thorndon Hall; per il palazzo, ridisegnato secondo lo stile palladiano allora in voga, aveva assunto l'architetto italiano Leoni; per il parco, si era rivolto all'artista francese H.F. Bourguignon (più tardi sarebbe diventato celebre con lo pseudonimo Gravelot). Il vero creatore del parco, in realtà, fu lo stesso Petre, che univa a un gusto sicuro una perfetta conoscenza delle esigenze delle piante. Era appassionato di botanica fin da ragazzo: si racconta che quando aveva 14 anni come regalo di Natale avesse ricevuto, graditissimo, uno speciale coltello da innesto. Poco più che adolescente, era stato ammesso alla Royal Society. Suo mentore fu Peter Collinson, più anziano di una ventina di anni, che lo coinvolse nell'introduzione in Inghilterra delle piante americane. Dapprima divise con lui i semi che gli giungevano dai suoi corrispondenti, poi, quando iniziò a finanziare le spedizioni di Bartram e creò il sistema delle sottoscrizioni, fece di Petre il primo e il più munifico dei suoi clienti. Al giardino di Collinson a Mill-Hill Petre guardò per ridisegnare Thornton, ma disponendo di spazi ben maggiori (il parco era di 1000 acri, circa 400 ettari) e di ingenti capitali, poteva fare le cose in grande. Come altri gentiluomini appassionati del suo tempo, era in primo luogo un collezionista di piante esotiche e rare. Per accoglierle, fece edificare alcune serre, dette stufe, considerate le più moderne d'Europa. La Grande stufa, la più grande dell'epoca, era alta 9 m e conteneva alberi e arbusti alti fino a 7 m. Le pareti erano colme di rampicanti, tra cui passiflore, molte Clematis e Cereus ricadenti. Una serra lunga 18 metri era riservata alla coltivazione delle banane e degli ananas, allora così rari che non venivano mangiati ma mostrati agli ospiti durante le feste. C'era poi una serra temperata. In una di quelle serre fiorirono per la prima volta in Inghilterra le camelie (ma Petre non morì per il dolore della perdita di quelle rare piante, come vuole una persistente leggenda metropolitana). I semi procurati da Collinson e da altri fornitori venivano seminati nei vastissimi vivai, i più grandi non commerciali, presieduti dal capo giardiniere James Gordon. Mano a mano che le piante crescevano, venivano trapiantate nel parco, secondo un progetto nuovo e originale, che fece di Thorndon il prototipo del giardino naturale. La mescolanza di piante europee, asiatiche e americane consentì infatti a Petre di ridisegnare il paesaggio, secondo le parole di Collinson, usando "matite vive". L'effetto era ottenuto accostando sapientemente le piante per la forma e le sfumature di colore delle chiome, la tessitura delle foglie, il colore e la struttura delle cortecce. L'arrivo di alberi e arbusti americani consentì di trasformare l'autunno in una stagione dai colori squillanti, grazie al rosso delle querce e dei frassini americani, allo scarlatto dei tupelo (Nyssa sylvatica), all'arancio degli aceri e al melanzana dei liquidambar. Molto apprezzati erano anche i sempreverdi: come fa notare A. Wulf in La confraternita dei giardinieri, la flora inglese comprende solo quattro sempreverdi autoctoni (il pino silvestre, l'agrifoglio, il bosso, il tasso); grazie alle introduzioni americane, a Thorndon se ne coltivavano almeno trenta, tra cui una decina di pini (il più amato da Petre era lo strobo, per i suoi lunghi aghi piumosi) e Juniperus virginiana, apprezzato per la forma colonnare e il colore glauco della chioma. Ricercatissimi erano poi gli alberi da fiore (così rari nella flora europea); il più desiderato e costoso era senza dubbio Liriodendron tulipifera di cui Petre fece impiantare ben novecento esemplari. Il parco, a differenza dei giardini formali barocchi, non era più pensato per essere visto dall'alto, dalle finestre del palazzo, ma per essere goduto percorrendone i sentieri sinuosi. Le piante, che dovevano "apparire distribuite a caso come in un bosco naturale" erano in realtà piantate con cura, non solo tenendo conto delle forme e dei colori, ma anche in ranghi disposti per altezza: davanti i fiori, poi gli arbusti (scelti per le fioriture, ma anche la struttura delle foglie e le bacche autunnali), quindi gli alberi sempre più maestosi. Questi criteri furono applicati da Petre anche al cosiddetto Amphiteatre di Worksop Manor, che creò nel 1738 per un altro nobile appassionato, il duca di Norfolk; era un emiciclo, racchiuso da una bassa siepe di tasso, piantato con cinque ranghi di sempreverdi, posti in ordine d'altezza, con colori e strutture contrastanti: bosso, viburno tino, corbezzolo formavano il primo rango, seguiti da agrifogli, quindi da conifere, il tutto coronato da un Cedrus. Petre non era solo un "pratico". Aveva una profonda conoscenza della botanica e la sua biblioteca era notevolissima (desideroso di tenersi al corrente di tutte le novità, acquistò anche diverse copie di Systema Naturae). Era in corrispondenza e in contatto con i più importanti botanici del tempo. Creò un notevolissimo erbario (avvalendosi della consulenza di Gronovius). La sua morte precoce sembrò disperdere quegli esperimenti e quel patrimonio di competenze. La giovane vedova non intendeva sobbarcarsi la continuazione dei lavori; per recuperare almeno in parte i capitali investiti, decise di mettere in vendita gli esemplari coltivati nei vivai (secondo varie testimonianze dell'epoca, si trattava di quasi 220.000 esemplari di circa 700 specie). I nobili amici di Petre fecero a gara per portarseli via a prezzi di liquidazione, le "americane" invasero i parchi della nobiltà inglese, e, grazie alla moda lanciata dallo sfortunato barone, l'impresa di Collinson (disperato per la perdita del giovane amico) sopravvisse e trovò nuovi clienti. Non sopravvisse invece Thorndon: pochi anni dopo la morte del suo creatore le serre erano ormai vuote, il parco trascurato. Divenuto maggiorenne, il figlio, il nono barone Petre, a sua volta appassionato di giardini, ma evidentemente insensibile all'eredità paterna, fece ridisegnare il parco da Capability Brown, cancellando quanto ne rimaneva. Il caso ha voluto che non ne rimangano neppure immagini, ad eccezione della pianta disegnata da Bourguignon. Una sintesi della vita di Petre, come sempre, nella sezione biografie. ![]() Un rampicante spettacolare Fu a Hartekamp, il meraviglioso giardino di George Clifford, che Linneo conobbe lo spettacolare rampicante che avrebbe battezzato Petrea volubilis. Arrivato da poco dal Messico grazie al medico e cacciatore di piante William Houstoun, che l'aveva raccolta nei pressi di Veracruz nel 1731, era ancora una primizia, degna di onorare un intenditore come Petre, che amava tappezzare le pareti della sua serra maggiore con lussureggianti rampicanti. In Hortus Cliffortianus (1737) Linneo descrisse la splendida pianta, facendo propria la denominazione proposta da Houstoun, con la seguente motivazione: "Questa pianta fu consacrata da Houstoun al nobilissimo Robert James Petre, barone di Writtle, estimatore e sommo coltivatore delle piante più rare e esotiche in Inghilterra". Lo stesso Linneo confermò poi la denominazione in Species Plantarum (1753). Il genere Petrea, della famiglia Verbenaceae, comprende una quindicina di specie origianarie dell'America tropicale (distribuite dal Messico al Perù e alla Bolivia, passando per le Antille); si tratta soprattutto di liane, ricadenti o rampicanti, che si distinguono dalle altre Verbenaceae per le foglie scabre e per il calice persistente che ha la funzione di aiutare la dispersione dei semi. La specie più nota, e anche quella più diffusa in natura, è appunto P. volubilis, una rampicante che può raggiungere i 12 metri, avvolgendosi ai supporti grazie ai fusti volubili. Ha una fioritura spettacolare grazie ai lunghi racemi penduli di fiori profumati, blu o viola pallido, in cui la piccola corolla lilla scuro, caduca, è circondata dai lunghissimi lobi del calice petaloideo, persistente, di colore più chiaro. Poco resistente al freddo, da noi può essere coltivata all'aperto solo nelle zone più miti, mentre altrove può essere allevata in vaso, anche come ricadente. E' stata introdotta in molte aree tropicali, dove assume la funzione del glicine in climi più freddi. Qualche informazione in più nella scheda. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2025
Categorie
All
|