Botanica e indipendenza: i discepoli di Mutis, il movimento indipendentista e il genere Lozania30/6/2022 José Celestino Mutis morì l'11 settembre 1808. Non assistette dunque agli eventi che tra il 20 luglio 1810 e l'agosto 1819 portarono all'indipendenza del Vicereame della Nuova Granada, a partire dal 1831 Repubblica di Colombia. Vi ebbero invece un ruolo di primo piano molti dei suoi discepoli e collaboratori, a cominciare dal nipote Sinforoso Mutis e dal più noto di tutti, Francisco José de Caldas. Sorge spontanea la domanda: la Real Expedición Botánica ebbe anche un contenuto politico? Fu un covo di cospiratori (dal punto di vista spagnolo) o di patrioti (dal punto di vista colombiano)? Gli storici tendono ad escluderlo, sottolineando che le idee di emancipazione, più che nei laboratori della Casa della Botanica, nacquero nelle aule universitarie e nei circoli letterari frequentati anche dai giovani intellettuali creoli reclutati dalla spedizione. Da Mutis però essi furono educati al pensiero libero e rigoroso, al metodo scientifico, agli ideali illuministi, e certo anche la partecipazione alla spedizione rafforzò in loro la coscienza della diversità americana non solo dal punto di vista della natura. Così, allo scoppio dell'insurrezione, guidata da intellettuali come loro, li troviamo in prima fila; una scelta che molti pagarono con la vita. Come naturalista, più di uno ha avuto l'onore di essere ricordato da un genere botanico, ma rimane valido solo Lozania, dedicato a Jorge Tadeo Lozano, zoologo della spedizione e primo presidente della Repubblica di Cundinamarca. Quale fu la culla dell'indipendenza? A partire dal 1808, in seguito all'occupazione francese della Spagna, le colonie dell'America latina si trovarono isolate dalla madrepatria e le élites creole approfittarono del vuoto di potere per proclamare l'indipendenza. Inizia così un tumultuoso susseguirsi di eventi che, tra guerra tra spagnoli e insorti e guerre civili, si protrarrà fino ai primi anni '30 e sfocerà nella nascita dei paesi latino-americani. Nel Regno di Nuova Granada la rivolta iniziò il 20 luglio 1820. Era venerdì, giorno di mercato e di grande affluenza nella piazza principale di Santa Fé di Bogotà; facendo leva sulle tensioni latenti tra spagnoli e "americani", un gruppo di agitatori riuscì a provocare un'insurrezione che la sera stessa portò alla creazione di una Giunta suprema di governo e alla proclamazione dell'Indipendenza. La giornata era stata attentamente pianificata da un gruppo di intellettuali creoli di idee liberali che da qualche tempo si riunivano in un luogo insospettabile: l'Osservatorio voluto da José Celestino Mutis e diretto dal più noto dei suoi discepoli, Francisco José de Caldas, che fu anche coinvolto negli incidenti del 20 luglio. Tra i firmatari dell'Atto di indipendenza e membri della Giunta suprema anche altri provenivano dalle file della Real Expedición Botánica; José María Carbonell che ne era lo scrivano; Jorge Tadeo Lozano, che dirigeva le ricerche zoologiche; Sinforoso Mutis Consuegra, nipote di Mutis e direttore del ramo botanico della spedizione dopo la morte dello zio. Più tardi si sarebbe unito agli indipendentisti anche il capo dei pittori della spedizione e "maggiordomo" di Mutis, Salvador Rizo Blanco. Ne dobbiamo concludere che la spedizione fu la culla del movimento indipendentista? Non in modo diretto, ma certamente l'insegnamento di Mutis ne gettò le basi, educando un'intera generazione al pensiero scientifico e agli ideali illuministi e aprendola alle nuove idee che venivano dall'Europa. Come notò con stupore Humboldt, l'ambiente intellettuale del vicereame era vivacissimo; a Santafé di Bogotà si pubblicavano diversi giornali; si traducevano libri europei; c'erano circoli letterari e associazioni culturali in cui si incontravano giuristi, giornalisti, scienziati e altri intellettuali e si discutevano appassionatamente idee di riforma. In qualcuna di queste tertulias, come erano chiamate, circolavano idee decisamente radicali; è il caso del Casino Literario che si riuniva a casa di Antonio Nariño (anche lui un ex allievo di Mutis al Colegio del Rosari) ed era frequentato da latri "rosaristi" come Lozano; tra gli habitué uno dei più stretti collaboratori di Mutis, il botanico Francisco Antonio Zea, e il giovanissimo Sinforoso Mutis. La vera culla del movimento indipendentista, dunque, più che la spedizione stessa, furono i collegi universitari e i circoli intellettuali. La posizione personale di Mutis era moderata e prudente e nelle sue lettere traspare grande preoccupazione per le frequentazioni pericolose del nipote e di Zea. La sua vera rivoluzione, è stato scritto, non fu politica, ma scientifica ed educativa. La preoccupazione del sapiente Mutis era più che fondata. Nel 1794 Nariño tradusse e pubblicò clandestinamente la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino; contemporaneamente sui muri di Bogotà comparvero manifesti (pasquinas, ovvero pasquinate) che denunciavano l'oppressione spagnola e inneggiavano alla libertà, presumibilmente opera di studenti dei Collegi del Rosario e di San Bartolomé. La repressione colpì duro: sia Nariño sia altri membri del circolo vennero arrestati, inclusi Zea e Sinforoso, che insieme a lui furono tradotti al carcere del Castillo de San Sebastián di Cadice; mentre Nariño riuscì a evadere quindi a raggiungere la Francia, Zea e Sinforoso rimasero agli arresti fino al 1799. Prima di tracciare un breve profilo dei collaboratori e discepoli di Mutis coinvolti nel movimento indipendentista, riassumiamo brevemente le vicende di quest'ultimo. Gli anni tra il 1810 e il 1814 furono caratterizzati da un duplice conflitto: da una parte, la guerra d'indipendenza contro gli spagnoli, dall'altra la guerra civile tra le due autoproclamate repubbliche delle Provincias Unidas de la Nueva Granada e dell'Estado Libre e Independiente de Cundinamarca, la prima decisamente federalista, la seconda tendenzialmente centralista. Nel 1814, per ordine del Congresso delle Province unite, Bolivar conquistò la capitale, costringendo Cundinamarca a unirsi alle altre province. Anche queste divisioni favorirono la ripresa realista; nel 1815 il generale Morillo invase il paese e nel 1816 mise fine all'effimera repubblica, scatenando una pesantissima repressione contro i patrioti colombiani, con centinaia di condanne a morte; tra i caduti i protagonisti di questa storia: José María Carbonell, Jorge Tadeo Lozano, Salvador Rizo Blanco e Francisco José de Caldas. Sinforoso Mutis invece ebbe salva la vita; vedremo più avanti perché e come. Dalla spedizione alla politica Iniziamo con un non scienziato, José María Carbonell (1778 - 1816); nato a Bogotà, studiò al Colegio Mayor de San Bartolomé, quindi fu assunto come scrivano della Expedición Botánica. Il suo compito era trascrivere i materiali necessari; probabilmente fu lui a ricopiare per la stampa l'opera postuma di Mutis El arcano de la quina. Durante la giornata del 20 luglio 1810 fu tra i più attivi soprattutto nel coinvolgere gli strati più popolari; acceso centralista, durante la Repubblica occupò diversi incarichi: primo presidente della Giunta, capitano delle milizie di fanteria, ufficiale maggiore cassiere, contabile e tesoriere del Tesoro di Cundinamarca. Al momento della repressione la sua condanna fu senza appello: definito da Morillo "uno degli uomini più preversi e crudeli che si siano segnalati tra i traditori", venne impiccato il 19 giugno 1816. Jorge Tadeo Lozano (1771-1816) apparteneva a una famiglia nobile, una delle più prestigiose e influenti del vicereame; ricevette un'approfondita educazione, quindi studiò letteratura, filosofia e medicina al Collegio del Rosario, dove fu allievo di Mutis. Inizialmente abbracciò la carriera militare e combatté contro la Francia nella Guerra dei Pirenei; approfittò del soggiorno a Madrid anche per studiare matematica e chimica presso il Real Laboratorio de Química e viaggiò in Europa, vivendo per qualche tempo a Parigi. Al suo ritorno a Nuova Granada nel 1797, divenne un membro attivo dei circoli letterari, in particolare del Casino di Nariño. Nel 1801 fondò il settimanale Correo curioso, erudito, económico y mercantil de la ciudad de Santafé de Bogotá, in cui propugnò tra l'altro la fondazione di una Società patriottica. Nel 1802, su proposta di Mutis, ottenne la cattedra di chimica al collegio del Rosario e gli succedette in quella di matematica; resse le due cattedre fino al 1806, quando fu aggregato alla Real Expedición Botánica come zoologo. Indirizzò i suoi studi sugli anfibi e i rettili, pubblicando nel 1810 Memoria sobre las Serpentes e diversi saggi sul Semanario, tra cui l'inizio di un'annunciata Fauna cundinamarqiesa. Poi la politica travolse anche lui. Dopo la proclamazione dell'indipendenza, fu nominato presidente della commissione incaricata di redigere la nuova costituzione: il risultato fu la Constitución de Cundinamarca, che trasformava lo stato in una monarchia costituzionale. Nell'aprile 1811 fu eletto primo presidente della Cundinamarca, ma dopo pochi mesi fu costretto alle dimissioni in seguito a una campagna di discredito orchestrata da Nariño. Ritornò ai suoi studi ma non abbandonò del tutto la politica; nel 1814 fondò un secondo giornale di orientamento più politico, Anteojo de Larga Vista, e nel 1815 prese parte al Congresso generale della Nuova Granada come deputato della provincia del Chocó. La posizione relativamente defilata e le idee moderate non gli salvarono la vita: anche lui fu condannato a morte e fucilato alla schiena il 6 luglio 1816. Porta il suo nome l'Universidad Jorge Tadeo Lozano, un ateneo privato di Bogotà. Con Salvador Rizo Blanco (1760-1816) andiamo al cuore della Real Expedición Botánica. Mutis lo incontrò nel 1784, quando Rizo lavorava come disegnatore per un ingegnere stradale. Notando le eccellenti qualità del suo tratto, lo portò con sé a Mariquita per farne il primo pittore della spedizione. Era abile, fedele, infaticabile; Mutis gli affidò non solo la direzione del laboratorio di pittura, ma anche quella che chiamava "mayordomia", ovvero l'amministrazione e l'organizzazione finanziaria della spedizione. Quale fosse il suo lavoro, e quanto centrale, lo spiegò egli stesso in un memoriale rivolto al Viceré qualche anno dopo: "Erano affidate a me la riscossione delle rendite destinate alla spedizione e le spese ordinarie; incarichi, viaggi, escursioni botaniche, tutto passava per le mie mani. Allo stesso tempo disegnavo e coloravo le tavole della Flora che mi erano state affidate, e cercavo di dare la maggiore perfezione possibile a quelle curate da altri artisti venuti da Quito; ho trasmesso i miei principi ai giovani che mi erano stati affidati, creando a tal fine una scuola". Tra i disegni della spedizione si conservano 140 tavole firmate da Rizo (probabilmente ne produsse molte di più senza firma); sebbene siano di qualità artistica inferiore rispetto a quelli dell'altro pittore principale, Francisco Javier Matís, si distinguono per la fedeltà al modello e il disegno sicuro. Fu anche un valido ritrattista: gli si devono un busto di Mutis e un ritratto di Cavanilles, dipinto in abito talare di profilo, mentre tiene davanti a sé la tavola botanica di Rizoa ovatifolia (la pianta che aveva dedicato a Rizo) e ne completa la descrizione. Mutis aveva tale fiducia in lui da nominarlo suo esecutore testamentario. Dopo la sua morte, Rizo riuscì a far completare oltre 200 tavole botaniche, ma dovette scontrarsi con l'ostilità della famiglia Mutis, con invidie e sospetti, che si fecero anche più pressanti dopo il 20 luglio; Nariño fece perquisire la sua casa con l'accusa di aver sottratto materiali e manoscritti, spingendolo ad abbandonare la città con la sua famiglia. Nel 1813 si arruolò nell'esercito delle Province unite sotto il comando di Bolivar, come Provveditore generale dell'Esercito. Nel dicembre 1814 tornò a Bogotà con Bolivar, e si trovò invischiato in una causa intentatogli dai suoi nemici che ribadiva l'accusa di furto di manoscritti e averi di Mutis. Si trovava dunque in città quando Murillo scatenò il terrore contro i patrioti. Arrestato, fu detenuto per cinque mesi, senza avere la consolazione di vedere riconosciuta la sua innocenza dai vecchi compagni di spedizione che pure condividevano la stessa sorte. Condannato a morte, fu fucilato il 12 ottobre 1816. Astronomo, botanico, ingegnere militare Tra i discepoli e collaboratori di Mutis il più noto è Francisco José de Caldas (1768-1816) che, come il suo mentore, si guadagnò il soprannome di "el sabio", il sapiente. Egli nacque a Popoyán, dove iniziò gli studi nel Seminario Mayor, dimostrando una particolare attitudine per la matematica. La famiglia voleva farne un avvocato; continuò dunque gli studi al Colegio del Rosario di Bogotà, laureandosi in legge nel 1793. Tornò a Popoyan e per qualche tempo divise il suo tempo tra l'avvocatura e i viaggi d'affari in Ecuador. Intorno al 1796 la lettura di alcuni testi della Spedizione geodetica all'equatore riaccese la sua passione scientifica; acquistò un barometro, due termometri e un ottante e approfittò dei suoi viaggi tra Popoyan e Quito per misurare l'altitudine e la latitudine di diverse località e raccogliere dati geografici ed astronomici. Tra il dicembre 1798 e il febbraio 1799, su richiesta della comunità di Timaná alle prese con alcuni problemi di confine, ne tracciò la carta e stabilì la latitudine basandosi su un'eclissi lunare. Si procurò un telescopio, costruì da se stesso altri strumenti, come uno gnomone e un quadrante, e creò una specie di osservatorio nel patio della casa di famiglia. Nel 1801, avendo letto sul Correo curioso di Lozano una stima scorretta dell'altezza dei monti Guadalupe e Monserrate, che egli stesso aveva misurato, rispose con un articolo di rettifica che fu pubblicato e cominciò a farlo conoscere al di fuori dell'ambiente provinciale. I suoi amici di Bogotà ne approfittarono per fare il suo nome a Mutis; tra i due iniziò una corrispondenza. Nel maggio di quell'anno Caldas fece la sua più importante scoperta; scoprì che, poiché la temperatura a cui bolle l'acqua varia con l'altitudine, essa può essere utilizzata con notevole precisione per stabilire l'altitudine stessa, senza altri strumenti che un termometro. A tal fine elaborò una formula matematica e costruì un apposito termometro ipsometrico. Il 4 novembre di quel memorabile 1801 Humboldt e Bompland, dopo aver trascorso diversi mesi a Bogotà accolti da Mutis, arrivarono a Popoyán. Il barone aveva letto l'articolo di Caldas sul Correo Curioso che lo aveva stupito per la grande esattezza, aveva sentito parlare di lui dai suoi amici di Bogotà, ed era ansioso di incontrarlo ma el sabio non era in città: era a Quito ad occuparsi di affari di famiglia. Humboldt visitò però il padre di Caldas che gli mostrò i quaderni del figlio. L'incontro tra i due scienziati sarebbe avvenuto l'ultimo giorno dell'anno a Ibarra in Ecuador. Quindi viaggiarono insieme fino a Quito, confrontandosi e discutendo di molti argomenti scientifici. Per l'autodidatta Caldas fu quasi un corso d'aggiornamento accelerato: Humboldt gli mostrò i suoi quaderni di campo, gli insegnò nuovi metodi per misurare l'altitudine e come usare l'ottante. Tra febbraio e marzo 1802 per 37 giorni i tre naturalisti lavorarono insieme a Chillo. Caldas fece escursioni botaniche con Bompland e misurazioni trigonometriche con Humboldt. A questo punto avrebbe voluto con tutte le forze unirsi ai due europei, ma il progetto fu respinto dal tedesco, nonostante la raccomandazione di Mutis. Svanito questo sogno, fu proprio Mutis a invitarlo a partecipare alla spedizione botanica. Gli chiese in particolare di studiare le piante utili, soprattutto le varie specie di Cinchona dell'Ecuador. Caldas accettò con entusiasmo e per qualche anno, da astronomo, divenne botanico. Tra il 1802 e il 1805 esplorò intensamente la flora della regione, sempre prendendo note accuratissime sui luoghi di crescita e gli eventuali usi; nel 1802 viaggiò da Ibarra a Imbabura, nel 1803 da Ibarra al Pacifico, nel 1804, di nuovo alla ricerca delle piante di china, visitò Latacunga, Ambato, Cuenza e Loja; nel 1805 ritornò a Popayán e da qui Bogotá, con un bottino di più di 6000 fogli di erbario. In tal modo la Real Expedición Botánica si allargò all'Ecuador. Al suo arrivo a Bogotà, Mutis lo incaricò di dirigere l'appena inaugurato Osservatorio astronomico. Anche se ormai si sentiva più botanico (stava lavorando a una Fitogeografia dell'Ecuador, in cui era giunto a conclusioni simili a quelle di Humboldt sulla distribuzione altimetrica delle piante), egli si gettò con tutta l'impulsività della sua natura anche in questa avventura stabilendo un programma regolare di osservazioni astronomiche, geografiche e meteorologiche; inoltre fondò e redasse un giornale scientifico El semanario del Nuevo Regno de Granada sul quale vennero pubblicati articoli suoi e di altri membri della spedizione nonché traduzioni dal francese di Lozano. Per la botanica, di particolare importanza la pubblicazione di una serie di nuovi generi stabiliti da Mutis, ma mai pubblicati. Abbiamo già visto che si trovò al centro degli eventi del 20 luglio, anche se forse aveva ospitato i congiurati nel suo alloggio all'osservatorio più per amicizia che per convincimento politico. Ancora una volta cambiò totalmente vita e rivolse il suo genio alla fabbricazione di armi e all'allestimento di fortificazioni: nel 1811 fu nominato capitano del corpo degli ingegneri militari e dal 1812 fu promosso tenente colonnello. Nel 1813, avendo partecipato a un tentativo di deporre Nariño, si rifugiò a Antioquia dove fu ancora ingegnere militare con il grado di colonnello. Tra il 1813 e il 1814 si occupò delle fortificazioni del fiume Cuaca e della creazione di una polveriera e di una fabbrica di fucili. Nel 1815 il presidente Camilo Torres gli chiese di fortificare Bogotà in vista dell'attacco spagnolo e lo incaricò di dirigere la Scuola militare. Quando gli spagnoli invasero il paese, tentò la fuga ma fu catturato e anche lui condannato a morte. Si racconta che nel sentire la sentenza egli stesso o i presenti facessero appello a Morillo oppure a Pascual Enrile y Acedo (esistono varie versioni) perché fosse risparmiata la vita a quel sapiente. La risposta fu: "La Spagna non ha bisogno di sapienti". Come gli altri patrioti, fu fucilato alla schiena come traditore. La fine della spedizione L'unico a sfuggire a questo destino fu Sinforoso Mutis Consuegra (1773-1822); era uno dei tre figli di Manuel Mutis Bosio, fratello di José Celestino, e della colombiana María Ignacia Consuegra. Quando il padre morì, aveva solo tredici anni e lo zio si fece carico della sua educazione, affidandolo a un altro ex membro della spedizione, Juan Eloy Valenzuela, parroco a Bucaramanga. Sinforoso poi studiò al Colegio del Rosario dove seguì i corsi di Filosofia naturale in cui si studiava matematica, fisica, astronomia e scienze naturali. Nel 1791, proprio nel momento in cui la sua sede veniva spostata da Mariquita a Santafé, fu aggregato alla spedizione come disegnatore apprendista; si dimise nel 1793 per riprendere gli studi di legge al Colegio del Rosario. Fu probabilmente in queste circostanze che incominciò a frequentare gli ambienti "sovversivi" e finì implicato nell'affare delle pasquinate. La brutta avventura ebbe però anche risvolti positivi: nel 1799 il carcere fu mutato in arresti domiciliari, il che gli permise di frequentare il corso di botanica tenuto nell'Ospedale reale di Cadice da Francisco Arjona. Finalmente amnistiato, fu reintegrato nella spedizione e gli fu concesso di approfondire gli studi di botanica all'orto botanico di Madrid seguendo le lezioni di Miguel Barnades junior e lavorando accanto a Cavanilles, Nel 1802 ritornò a Bogotà; Mutis lo inviò a studiare la flora di Cartagena de Indias, quindi a Cuba in una missione tanto scientifica quanto commerciale: doveva infatti vendere la corteccia di china, ma anche raccogliere piante e riportare nella colonia il vaccino contro il vaiolo. Rientrò a Bogotà nell'agosto 1808, appena due settimane prima della morte dello zio. Nel testamento scientifico di quest'ultimo non veniva indicato un direttore della spedizione, ma piuttosto un triumvirato: Rizo avrebbe continuato a dirigere il lavoro dei pittori, Caldas si sarebbe occupato dell'osservatorio e Sinforoso sarebbe stato il direttore scientifico per la botanica, con il risultato che al momento furono tutti scontenti, soprattutto Caldas che si aspettava da Mutis la consacrazione a suo successore. L'incarico venne confermato a Sinforoso dal viceré nel febbraio 1809. Egli si concentrò sul completamento e nella pubblicazione del libro sulle piante di china di suo zio, integrato con le scoperte di altri membri della spedizione, soprattutto Caldas. Giunse a un accordo con quest'ultimo, riconoscendogli la priorità sulla pubblicazione delle piante dell'Ecuador; entrambi contavano di continuare, concludere e pubblicare la Flora di Bogotà. Sinforoso dedicò qualche mese a fare un inventario dei materiali, poi pubblicò sul Semanario una memoria sulla spedizione e diverse nuove piante; nel numero seguente altre furono pubblicate da Caldas, che sigillò la pacificazione con la dedica del genere Consuegria. Si era ormai nel 1810 e anche Sinforoso finì nel vortice della politica. Dopo il 20 luglio, fu nominato deputato del popolo e membro della Giunta suprema e come tale firmò l'Atto di Indipendenza. Nel 1811 fece parte della commissione che redasse la Costituzione della Repubblica di Cundinamarca. Nel 1812 riprese la direzione della spedizione, anche se ormai le ricerche erano bloccate da tempo e il gruppo dei pittori si era dissolto con la partenza di Rizo. Nel novembre del 1814 il governo gli affidò l'inventario della parte botanica della spedizione; grazie a questa fortunata circostanza, in materiali si salvarono dal saccheggio dell'Osservatorio e della Casa della Botanica invasi dai soldati di Bolivar. Nel 1816 anche lui fu accusato di sedizione e incarcerato nel Colegio del Rosario; qui dovette occuparsi di allestire e imballare i materiali della spedizione per l'invio a Madrid, con l'aiuto del pittore Francisco Javier Matís. Il gravoso (e doloroso) compito, insieme al nome di suo zio e alla sua origine spagnola, probabilmente gli salvò la vita: anziché essere condannato a morte come i suoi compagni, gli furono comminati due anni di carcere e l'esilio a Panama. Nel 1817 in seguito a indulto reale, fu confinato a Cartagena. Solo nel 1821 poté tornare a Bogotà con la sua famiglia e fu nominato deputato dell'Assemblea costituente da cui doveva nascere la Repubblica di Colombia. Tuttavia, ormai minato nella salute, morì l'anno dopo a soli 49 anni. Generi per quattro naturalisti Ad eccezione di Carbonell che come abbiamo visto non era un naturalista, tutti gli altri hanno avuto l'onore di dare il loro nome ad almeno un genere botanico, anche se uno solo è oggi accettato. Si tratta di Lozania che fu pubblicato sul Semanario del Nuevo Reino de Granada da Caldas, rispettando la volontà di Mutis. E' uno dei due generi della piccola famiglia Lacistemataceae (l'altro è appunto Lacistema) e gli sono attribuite cinque specie di piccoli alberi o anche arbusti distribuiti nel Centro America meridionale (dal Nicaragua a Panama), nel sud America tropicale (dal Venezuela alla Bolivia) e nella regione amazzonica occidentale, dove tipicamente crescono nel sottobosco delle foreste umide fino a 2400 m di altitudine. Hanno foglie alternate, da ellittiche a obovate, e infiorescenze terminali raccolte in racemi. I fiori minuscoli (circa un mm) consistono in un disco munito di sepali e di un unico stame che si divide in due antere. Il frutto è una capsula che si apre in tre valve e contiene un singolo seme circondato da un arillo. Come ho anticipato, fu invece Cavanilles a dedicare a Rizo Rizoa (oggi sinonimo di Clinopodium). A Caldas (e la cosa non stupisce, visto che era l'unico ad avere una reputazione internazionale) sono stati dedicati ben tre generi Caldasia, nessuno dei quali è però oggi accettato; in ordine cronologico, il primo giunse già nel 1806 da Willdenow, direttore dell'orto botanico di Berlino, a cui le attività scientifiche del sabio Caldas erano note grazie a Humboldt (oggi è sinonimo di Bomplandia); quindi lo stesso Caldas pubblicò ancora sul suo Semanario l'omonimo genere che gli era stato dedicato da Mutis (oggi sinonimo di Helosis); infine nel 1821 fu la volta dello spagnolo Lagasca, che intese così anche riabilitare la memoria del naturalista fucilato alla schiena come traditore dai suoi compatrioti (oggi sinonimo di Chaerophyllum). Concludiamo la rassegna con un ultimo genere valuto da Mutis e pubblicato da Caldas, Consuegria; non solo non è valido, ma di incerta sede, ovvero non identificato.
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Non sempre i botanici spiegano le motivazioni dei loro nomi celebrativi. Non lo ha fatto Heinrich Wilhelm Schott nel dedicare il genere Remusatia al sinologo francese Jean Pierre Abel Rémusat. Certo, il personaggio era celebre in tutta Europa, e la sua recente morte in giovane età doveva aver destato un certo cordoglio. Ma quali potevano essere i suoi legami con la botanica? Titolare della prima cattedra di cinese e manciù in Occidente, curatore del fondo cinese della Biblioteca nazionale, traduttore di testi di varia natura, divulgatore del pensiero di Laozi e del buddismo, fondatore della Societé Asiatique, si interessò ad aspetti molto diversi della cultura cinese e più in generale orientale. Ad eccezione di una lista manoscritta rimasta inedita, non risulta però abbia mai scritto di piante. Eppure, da ragazzo teneva un erbario e come medico e studioso della medicina tradizionale cinese, le piante medicinali gli erano familiari. Anzi fu proprio grazie ad esse che divenne sinologo. Una vocazione nata da un erbario Nel 1832, ad appena 44 anni, moriva il sinologo francese Jean Pierre Abel Rémusat (lui amava firmarsi Abel-Rémusat). Lo stesso anno, senza spiegarne le motivazioni, Heinrich Wilhelm Schott gli dedicò il genere Remusatia. Forse si tratta semplicemente dell'omaggio - non poi così inconsueto - a una personalità illustre, anche se in un campo lontano dalla botanica. Rémusat in effetti era piuttosto noto anche nell'area tedesca, grazie a un carteggio con Humboldt e alle traduzioni di un antico testo buddista e del romanzo breve Yü chiao li che gli assicurarono fama europea. Senza dimenticare che la sua cattedra di cinese e mancese al Collège de France era stata la prima in Europa. Tuttavia, forse Schott pensava a un legame per lo meno indiretto. Remusatia vivipara è infatti una pianta officinale utilizzata tanto nella medicina ayurvedica quanto in quella tradizionale cinese. Prima di diventare il padre fondatore della sinologia francese, Rémusat era stato medico e la botanica non gli era estranea, anzi si può dire che si debba proprio alla piante se egli rimase folgorato sulla via di Pechino. Rémusat era figlio di uno dei chirurghi reali; a causa di una salute fragilissima, era stato educato in casa e, oltre alle lingue classiche, per le quali aveva eccezionale predisposizione, aveva appreso dal padre le scienze naturali, tra cui la botanica; sappiamo che fin da bambino teneva un erbario. Diciassettenne alla morte del padre, si trovò nella necessità di avere una professione per mantenere se stesso e la madre; sebbene con scarso entusiasmo, decise così di iscriversi a medicina. Si impegnò però anche in una società filantropica e prese a frequentare circoli eruditi; grazie a queste frequentazioni, quando era studente del secondo anno, ebbe l'occasione di visitare la collezione dell'abate di Tersan, un celebre archeologo e collezionista. A colpirlo particolarmente fu uno splendido erbario figurato cinese; riconobbe qualche pianta; altre gli erano sconosciute, e si chiedeva se fossero reali o fantastiche, anche se ne dubitava vista l'estrema accuratezza con cui erano dipinti i particolari. I nomi e le didascalie, scritte in cinese, erano indecifrabili. Rémusat decise che, per sciogliere quell'enigma, avrebbe imparato il cinese, anche se era un'impresa quasi disperata. Non solo nessuno poteva insegnarglielo, ma non aveva a disposizione né dizionari né grammatiche; l'unica, quella pubblicata nel 1742 da Etienne Fourmont era conservata, insieme a vari lessici parziali, nel fondo cinese della Biblioteca Reale, a cui il conservatore gli negò l'accesso in quanto studentello adolescente: erano materiali riservati a Chrétien-Louis-Joseph de Guignes, al quale Napoleone aveva affidato ufficialmente la compilazione del primo dizionario ufficiale cinese, francese, latino. Il giovane godeva però dell'amicizia e dell'incoraggiamento dell'orientalista Silvestre de Sacy, dal 1806 titolare della cattedra di persiano al College de France. Da lui e dall'abate di Tersan ottenne qualche libro e incominciò a studiare il cinese da autodidatta, servendosi soprattutto dei manoscritti dei missionari gesuiti che erano vissuti in Cina un secolo prima; fondamentale fu Notitia linguae sinicae scritta del gesuita Joséph de Prémare. Nel 1811 poté pubblicare la sua prima opera, Essai sur la langue et la littérature chinoises, che contiene traduzioni di testi annotati con commenti grammaticali e un glossario alfabetico di parole cinesi. La necessità di rendersi economicamente indipendente non era cessata, e Rémusat fu costretto ad affiancare alla sua vera vocazione lo studio e gli esami di medicina. Trovò una congiunzione tra l'una e gli altri nelle opere del gesuita polacco Michał Boym (1612-1659), autore di un testo medico intitolato Clavis Medica ad Chinarum Doctrinam de Pulsibus e di una Flora Sinensis. Ne trasse ispirazione per la tesi di laurea Dissertatio de glossosemeiotice, sive de signis morborum quae e lingua sumuntur, praesertim apud Sinenses, in cui, basandosi in gran parte sul testo di Boym, espone le tecniche cinesi dell'esame diagnostico della lingua, messe a confronto con le pratiche mediche occidentali. Laureatosi nel 1813, fu quasi immediatamente mobilitato come chirurgo militare; poté però rimanere a Parigi, prima all'ospedale di Montmartre poi in quello di Montaigu. Da tempo, Silvestre de Sacy si batteva per fargli assegnare una cattedra di cinese al College de France; Rémusat la ottenne con la Restaurazione, anche grazie a relazioni personali e a una certa capacità di intrigo. Nel novembre 1814, a ventisei anni, venne nominato professore di cinese e mancese; era l'inizio di una brillante carriera accademica; nel 1815 fu eletto membro dell'Accademia delle iscrizioni e belle lettere; nel 1824 conservatore dei manoscritti orientali delle Biblioteca reale e nel 1832 presidente del Conservatorio della stessa. Nel 1822, insieme a Silvestre de Sacy, fondò la Société asiatique, di cui fu il primo segretario e presidente dal 1829 alla morte. Grazie all'accesso al corpus di testi cinesi custoditi presso la Biblioteca reale, poté dedicarsi a una vasta opera di traduzioni, che include il manuale di morale taoista Le Livre des Récompenses et des peines, testi di Confucio e Laozi, diverse opere buddiste tra cui Foé Koué Ki, ou Relations des royaumes bouddhiques; a un pubblico più ampio è destinata la traduzione del romanzo breve Yü Chiao Li, sotto il titolo Les deux cousines. Furono soprattutto queste ultime due traduzioni ad assicurargli fama internazionale, influenzando persino Goethe. Come linguista, la sua opera maggiore è Élémens de la grammaire chinoise (1822); la sua interpretazione delle strutture frasali del cinese portò anche a un carteggio con Humboldt (Lettres édifiantes et curieuses sur la langue chinoise, 1821-1831). Anche se occasionalmente dedicò ancora qualche articolo alla medicina tradizionale cinese, si trattava ora di un interesse secondario. Quanto all'erboristeria cinese tradizionale, che pure era all'origine della sua vocazione di sinologo, l'unico suo lavoro sull'argomento risulterebbe una lista manoscritta di 7104 schede con i nomi di piante medicinali, presumibilmente ricavata da un lessico cinese-mancese. Una singolare tecnica di propagazione Veniamo ora al genere Remusatia Schott, famiglia Araceae. Le sue quattro specie sono erbacee epifite o litofite che vivono tra le rocce o nel sottobosco delle foreste tropicali o subtropicali, con radici tuberose che emettono foglie cuoriformi o peltate e caratteristici stoloni densamente ricoperti di bulbilli; questi ultimi sono muniti di uncini che si attaccano agli animali di passaggio, favorendo la propagazione. In genere sono dormienti dall'autunno alla primavera. Due specie (R. hookeriana e R. pumila) sono diffuse dall'Himalaya alla Cina, R. yunnaniensis in Cina e a Taiwan, mentre R. vivipara ha un vasto areale che comprende zone tropicali e subtropicali dell'Africa e dell'Asia e si estende attraverso la Malesia all'Australia nord orientale e alle isole del Pacifico. Può crescere come epifita su grandi alberi o come litofita sulle rocce. Si tratta anche della specie più frequentemente coltivata; alta fino a 50 cm, è dotata di un tubero globoso e appiattito da cui emerge una singola foglia, lunga fino a 40 cm e larga 30, retta da un picciolo lungo fino a 40 cm. Fiorisce raramente e si riproduce per lo più per mezzo di bulbilli; muniti di molte punte uncinate, possono essere trasportati dagli uccelli anche a centinaia di km dalla pianta madre. I tuberi sono eduli previa bollitura per eliminare l'eccesso di ossalato di calcio. Nella medicina tradizionale è utilizzata per trattare infiammazioni e artriti. Intorno al 1817 in un giardino piemontese che presto sarebbe scomparso fiorisce e fruttifica, a quanto pare per la prima volta in Europa, un arbusto che si crede originario dell'Australia. E' così che il conte Freylino, grande appassionato di piante esotiche, ha avuto la ventura di dare il suo nome al piccolo genere Freylinia che, però, non viene dall'Australia, bensì dal Sud Africa, dove i suoi fiori dal profumo di miele fanno la delizia di farfalle e altri impollinatori. Un conte giacobino e botanofilo Il 31 gennaio 1799 la piazza della cittadina piemontese di Buttigliera d'Asti ospitò un'animata cerimonia: l'innalzamento dell'albero della libertà, ornato di nastri tricolori. La "festa repubblicana" durò tre giorni: per tutti ci fu pane, riso e ottimi agnolotti, innaffiati dal vino spillato da due fontane: dall'una, "esquisito vino bianco di malvasia", dall'altra "ottimo vino di nebiolo", Il fatto più curioso è che ad offrire albero e intrattenimento fu il signore feudale del paese, Pietro Lorenzo Freylino, conte di Pino e Buttigliera. Ma forse in paese nessuno si stupì: non solo il conte, benché discendesse da una famiglia di finanzieri e consiglieri di Stato, era di idee giacobine. ma era anche abbastanza eccentrico da occuparsi più di botanica che di politica. Nel 1771 suo padre Pietro Giuseppe Freylino, già conte di Pino e proprietario di metà del feudo di Buttigliera, acquistò anche la seconda metà e con essa il palazzo che si affacciava sulla piazza del paese e il giardino attiguo. Il giovane Pietro Lorenzo (all'epoca un adolescente) ne fece il suo regno; sappiamo che già nel 1773 aveva incominciato a trasformarlo in un giardino di gusto ecclettico: c'erano statue, fontane e giochi d'acqua, per qualche tempo anche una stazione meteorologica e una serra. La località doveva godere di un'ottima esposizione (sappiamo da documenti d'epoca che vi si coltivavano gli olivi) e il conte ne approfittò per far crescere in piena terra le tipiche piante d'agrumi dei giardini all'italiana, che solitamente in Piemonte erano tenute in vaso e passavano l'inverno in una citroniera (così localmente si preferiva chiamare l'aranciera). Fin dall'inizio ci furono moltissime esotiche, per le quali Freylino sperimentava l'acclimatazione tanto in piena terra quanto in serra, con l'aiuto del "giardiniere ordinario" Andrea Pasta e del "giardiniere botanico" Giovanni Battista Rossi, così quotato che in seguito divenne capo giardiniere dei Borromeo all'Isola Madre e infine direttore dei Regi Giardini di Monza. Dal 1782 giunse anche nelle vesti di segretario, collaboratore, allievo e amico Maurizio Pangella che forse lo assistette nella stesura del primo catalogo del giardino: uscito nel 1785 (lo stesso anno della Flora pedemontana di Allioni) elencava 953 specie, utilizzando la terminologia linneana. Fu sicuramente Pangella ad occuparsi dell'aggiornamento, con due edizioni in francese uscite rispettivamente nel 1812 e nel 1818. Negli anni dell'effimera Repubblica piemontese, poi della Repubblica cisalpina, infine dell'annessione alla Francia, Freylino fu molto attivo, con una piccola carriera politica locale, culminata nella nomina a maire, ovvero sindaco di Buttigliera. Era piuttosto conosciuto negli ambienti botanici piemontesi; lo stesso Allioni ebbe a definirlo "indefessus botanophylus"; sappiamo che era in relazione, forse con scambi di semi e piante, con un altro nobile appassionato, il marchese de Spin, nonché con Balbis e Colla, giacobini come lui. Secondo la testimonianza dell'erudito astigiano Gian Secondo de Canis, nel 1814 il giardino conteneva "seimila piante tutte rare" e "alberi da ogni parte del mondo" e poteva senz'altro essere definito "il migliore che vi sia in Piemonte". Una gloria destinata a finire presto: nel luglio di quello stesso anno Vittorio Emanuele I rientrò a Torino ed ebbe inizio la restaurazione. A differenza di Balbis, forse il nobile conte Freylino non subì particolari ritorsioni; si ritirò nei suoi possedimenti astigiani e si occupò di piante, come prima più di prima. Tuttavia già nel 1820 morì e con la sua morte si aprì una vicenda giudiziaria degna di Casa desolata di Dickens; egli infatti nominò erede universale Maurizio Pangella, ma alcuni nobili parenti alla lontana del conte (che non aveva eredi diretti) impugnarono il testamento. Alla fine a Pangella venne riconosciuta la proprietà del palazzo e del giardino, mentre i beni feudali furono assegnati ai ricorrenti. Vittima della lunga causa fu soprattutto il giardino che, trascurato, finì per scomparire. Dolce profumo di miele Prima del triste epilogo, un piccolo evento aveva fatto entrare il nostro conte botanofilo nella schiera dei dedicatari di un genere di piante. Nel maggio 1817 i lettori della Gazzetta piemontese potevano leggere la seguente notizia: "Nel ragguardevole numero di piante esotiche che il signor Conte Freylino coltiva nel suo giardino a Buttigliera, se ne trova una, creduta unica in Italia, la quale due anni sono fiorì ma non produsse alcun frutto. In quest'anno diede e fiore e frutto. Il direttore del giardino, signor Pangella, promette di darne fra breve un'esatta descrizione. Credesi questa pianta originaria della Nuova Olanda, e le verrà dato il nome di Freylinia oppositifolia. Molti rinomati botanici italiani ed oltramontani l'hanno riconosciuta per pianta nuova". Su quella "esatta descrizione" si basò l'amico Luigi Colla, che coltivava egli stesso quella pianta nel suo giardino di Rivoli e la pubblicò nel catalogo dello stesso (Hortus ripulensis, 1824). Non veniva però dalla Nuova Olanda (ovvero dall'Australia), ma dal Sudafrica. Oggi non si chiama più F. oppositifolia, ma F. lanceolata, perché era stata già descritta in precedenza dal figlio di Linneo come Capraria lanceolata. Oggi a Freylinia Pangella ex Colla (famiglia Scrophulariaceae) sono attribuite nove specie. Otto sono endemiche del Sudafrica, anzi della Provincia del Capo; l'eccezione è F. tropica, che è presente anche in Zimbabwe e Tanzania. Sono fitti arbusti sempreverdi di medie dimensioni, talvolta piccoli alberi, che al momento della fioritura si coprono di fiori tubolari con cinque lobi, in genere dolcemente profumati di miele, che attirano nugoli di farfalle e altri insetti. Ecco perché sono conosciute con il nome comune è honey bells. La specie più coltivata è F. lanceolata, con fiori giallo-aranciati o più raramente bianchi; quelli di F. crispa e F. visseri sono viola-porpora, mentre quelli di F. tropica possono essere bianchi, malva o azzurri; questa specie differisce dalle altre perché ha fiori raccolti in infiorescenze ascellari anziché in grandi infiorescenze terminali. Tutte fioriscono a profusione e sono estremamente eleganti anche nel portamento. Qualche informazione in più nella scheda. Per Robert Brown, la partecipazione alla spedizione Flinders segnò l'inizio di una lunga e operosa carriera scientifica. Dopo il viaggio e le raccolte, venne il momento dello studio e delle pubblicazioni, la più ceelebre delle quali è Prodromus Florae Novae Hollandiae et Insulae Van-Diemen che ne fa il padre della botanica australiana. Successivamente bibliotecario e curatore delle collezioni della Linnean Society, ultimo bibliotecario di Banks, curatore delle collezioni banksiane del British Museum, capo del Dipartimento di botanica dello stesso, presidente della Linnean Society, fu una figura di spicco della botanica britannica, anche se il suo carattere schivo e la meticolosa lentezza del suo lavoro tesero a isolarlo dalle nuove generazioni. Di grande importanza i suoi contributi alla tassonomia e gli studi sul polline, il nucleo cellulare, la differenza tra gimnosperme e angiosperme. Mentre studiava il polline al microscopi, le sue osservazioni sconfinarono nella fisica, con la scoperta di quello che più tardi verrà chiamato "moto browniano". A ricordarlo, oltre a diverse località, australiane o meno, e moltissimi eponimi, i generi australiani Brunonia e Brunoniella. L'ultimo viaggio: Tasmania Quando Robert Brown accettò la proposta di Banks di unirsi alla spedizione Flinders, anche se il suo nome era già piuttosto noto nei circoli botanici britannici, soprattutto come esperto di crittogame (varie felci e muschi da lui raccolti furono pubblicati in Fasciculi plantarum cryptogamaticarum Britanniae da Dickson, con il suo permesso, ma senza citarlo), come aiuto chirurgo di un reggimento di stanza in Irlanda non aveva molte prospettive. La spedizione in Australia fu la grande occasione che attendeva. In tre anni e mezzo, con l'aiuto del giardiniere Good e del pittore Ferdinand Bauer, raccolse più di 3400 esemplari botanici (cui vanno aggiunti animali e minerali), anche se una parte considerevole di queste raccolte andò perduta durante il naufragio del Purpoise, Già prima di quella sventura, lui e Bauer avevano deciso di accettare l'invito del governatore King di continuare ad esplorare la flora della colonia. Per qualche mese, alternò l'esplorazione dei dintorni di Port Jackson con la sistemazione delle proprie raccolte, descrivendo molte piante, momentaneamente classificate secondo il sistema linneano, nel manoscritto intitolato Descriptorium plantarum Novae Hollandiae que in fasciculis parvis Continentur, finché il 28 novembre 1803 si imbarcò sulla Lady Nelson, inviata a Port Phillipp per trasferire in Tasmania i coloni di quell'insediamento che si era rivelato poco propizio. Non appena la nave raggiunse lo stretto di Bass, incontrò un tempo così ostile che fu costretta a rifugiarsi nelle isole del Kent Group, dove rimase bloccata per quasi un mese. Brown approfittò della sosta forzata per esplorare la flora della Deal Island, soprattutto le piante marine. Verso la fine del mese, sopraggiunse la Francis, diretta a Port Dalrymple sulla costa settentrionale della Tasmania. A bordo c'era un gruppo di esploratori incaricati di verificare se la zona era adatta a ospitare la nuova colonia. Poiché la nave era stata alquanto danneggiata dalla tempesta, fu deciso che sarebbe rientrata a Port Jackson per riparazioni, mentre la Lady Nelson l'avrebbe sostituita nella missione, dirigendosi a sua volta a Port Dalrymple, dove gettò l'ancora il giorno di Capodanno 1804. Sino al 18 gennaio, quando salpò per Port Phillipp, vennero esplorate la baia e il corso del fiume Tamar; Brown partecipò a varie spedizioni, ma la stagione già avanzata limitò le sue raccolte. Gli esploratori si trovarono alle prese con un incendio e ci furono anche diversi incontri non molto amichevoli con gruppi di indigeni. Quando infine la Lady Nelson arrivò a Port Phillipp, il governatore Collins aveva già deciso che il nuovo insediamento sarebbe sorto alla foce del fiume Derwent (si tratta dell'odierna Hobart). Così il 30 gennaio la nave ripartì per trasportarvi il primo contingente di coloni. A bordo c'era anche Robert Brown, che nei successivi sei mesi avrebbe esplorato il monte Wellington (che all'epoca era chiamato Table Mountain per la sua somiglianza con la montagna che domina Città del Capo), il fiume che ora porta il suo nome Brown River, la bassa valle del Derwent e l'estuario dell'Huon. Di ritorno a Port Jackson nell'agosto 1804, riprese a visitarne i dintorni, a volte insieme al botanico ufficiale della colonia George Caley, spingendosi a nord fino al fiume Hunter. Il 23 maggio 1805 si imbarcò alla volta dell'Inghilterra sul rabberciato Investigator insieme a Ferdinand Bauer, rientrato dalle isole Norfolk. Portava con se un erbario di 1200 piante, semi, minerali e collezioni zoologiche. Prime pubblicazioni: uno scandalo e un disastro finanziario Ad ottobre i due amici erano di ritorno in Inghilterra. Per entrambi era giunto il momento di passare per uno dagli schizzi agli acquarelli, per l'altro dalla raccolta allo studio. Il progetto comune era la pubblicazione di una Flora complessiva dell'Australia, con i testi di Brown e le illustrazioni di Bauer. Il botanico poté dedicarsi quasi a tempo pieno al progetto grazie alla Linnean Society, che lo assunse come impiegato e bibliotecario. Era ancora ben lontano dalla meta quando, nel 1808, Dryander (il segretario e bibliotecario di Banks) gli chiese di scrivere una monografia sulle Proteaceae, in modo che egli potesse utilizzare le sue denominazioni nella nuova edizione di Hortus Kewensis che stava allestendo con il capo giardiniere Aiton. Brown accettò, studiando in modo molto accurato non solo le Proteaceae che aveva raccolto personalmente in Australia e in Sud Africa, ma anche le piante vive della collezione del mercante George Hibbert, gli erbari di Banks, Smith, Lambert e altri; poté anche esaminare brevemente le raccolte di Labillardière. Il saggio fu pronto all'inizio del 1809 e Brown lo lesse nel corso di quattro sedute della Linnean Society, tra gennaio e marzo. La pubblicazione però tardò fino al marzo 1810, quando apparve sia nella rivista della società con il titolo On the Proteaceae of Jussieu sia come volume a sé con il titolo On the natural order of plants called Proteaceae. Com'è chiaro da questi titoli, Brown non segue più la classificazione linneana (che già lo aveva lasciato insoddisfatto in Australia, ma che aveva provvisoriamente conservato per comodità) ma quella "naturale" di Antoine Laurent de Jussieu. Egli propone una nuova classificazione della famiglia, servendosi per la prima volta anche dell'analisi del polline; ne discute la distribuzione geografica; stabilisce due sottofamiglie, basandosi sulla contrapposizione tra frutti deiscenti e indeiscenti; descrive 404 specie e 38 generi, 18 dei quali nuovi. Il saggio segnò il riconoscimento scientifico di Brown, ma fu anche seguito da aspre polemiche. Poco dopo le conferenze alla Linnean Society, quindi molti mesi prima della pubblicazione a stampa del saggio di Brown, uscì On the cultivation of the plants belonging to the natural order of Proteeae che, dopo una breve parte iniziale realmente dedicata alla coltivazione di queste piante firmata da Joseph Knigth, il giardiniere di Hibbert, presentava un'ampia revisione tassonomica della famiglia. Non era firmata ma l'autore fu facilmente identificato in Richard Salisbury che già in Paradisus londinensis (1806) aveva trattato diverse Proteaceae. Egli aveva assistito alle conferenze di Brown e, secondo la ricostruzione corrente, aveva memorizzato il nomi dei suoi nuovi generi; ora ne anticipava la pubblicazione, "rubandoli" al vero autore. Accusato di plagio, fu di fatto ostracizzato dalla botanica britannica. Brown stesso fu profondamente scioccato e scrisse di Salisbury in questi termini: "Non so che cosa pensare di lui tranne che sia un briccone e un pazzo". Nel 1810 Brown finalmente terminò quella che riteneva la prima parte della sua flora australiana; la pubblicò a proprie spese, senza illustrazioni, come Prodromus Florae Novae Hollandiae et Insulae Van Diemen, vol. 1; la numerazione del testo iniziava a p. 145, perché egli prevedeva una prefazione da aggiungere in ristampa. Le vendite furono così scarse che il botanico ritirò il volume dal commercio e rinunciò a scrivere sia la prefazione sia i volumi successivi. Solo vent'anni dopo sarebbe uscito un supplemento, dedicato alle Proteaceae scoperte nel frattempo. Anche il volume con le illustrazioni di Bauer (1813) fu un fiasco totale. Nonostante il disastro finanziario, il libro di Brown è una pietra miliare della botanica che segna il vero inizio dello studio sistematico della flora australiana, con la pubblicazione di 2040 specie, oltre metà delle quali nuove, e importanti contributi anche metodologici alla sistematica; vengono stabilite nuove famiglie (all'epoca si chiamavano ordini), molte delle quali tuttora accettate, e definiti in modo più preciso i criteri di classificazione delle famiglie stesse, all'epoca ancora piuttosto fluidi, Brown diventa il Giove della botanica Il 1810 segnò per Brown anche un'importante svolta professionale. In seguito alla morte di Dryander, Banks lo assunse come segretario e bibliotecario, con uno stipendio annuo di 200 sterline e l'uso di un alloggio privato a Soho Square. Occuparsi di quella immensa biblioteca e di quel grandioso erbario, garantendone l'accesso ai numerosi visitatori, era tutt'altro che una sinecura. Per Brown, significò anche allargare i suoi interessi a nuove piante e nuove aree geografiche. Ad esempio, nel 1814 in appendice di A voyage to Abyssinia di Henry Salt pubblicò una lista di 146 piante abissine e nel 1818 l'erbario raccolto da Christian Smith in Congo. Nel 1820, alla morte di Banks, Brown ne ereditò la biblioteca e l'erbario con la clausola che, alla sua stessa morte, fossero trasferiti al British Museum. Nel 1827 egli anticipò la volontà del suo benefattore facendone dono al Museo, garantendosene però il controllo come Curatore delle collezioni banksiane; nel 1837, quando il dipartimento di Storia naturale venne diviso in tre sezioni, egli fu nominato primo curatore del dipartimento di botanica, incarico che mantenne fino alla morte. La sua posizione al British Museum ne faceva una delle figure più importanti della botanica britannica e gli permetteva di continuare a fare ciò che più amava: studiare meticolosamente le piante e le loro strutture microscopiche. Non a caso per ben due volte rifiutò una cattedra universitaria: non solo quella di Edimburgo, che implicava l'insegnamento della medicina, ma anche quella di botanica di Glasgow, per la quale caldeggiò la candidatura di William Jackson Hooker. Brown era un grande osservatore, uno sperimentatore metodico e rigoroso, uno scienziato aperto all'innovazione. Queste qualità emergono pienamente dalle sue scoperte degli anni '20 e '30. Nel 1827, in un saggio dedicato al nuovo genere Kingia, fu il primo a riconoscere le differenze fondamentali tra gimnosperme e angiosperme (anche se lui non le chiamava ancora così): mentre le ultime hanno semi racchiusi in un ovario (solitamente il frutto), le prime non hanno né fiori né frutti e i semi si presentano "nudi" e disposti sulle scaglie di un cono o pigna. E' sempre del 1827 la scoperta più celebre al di fuori della botanica. Mentre studiava al microscopio granuli di polline di Clarkia pulchella in sospensione acquosa, egli notò che essi erano in continuo movimento e che tale movimento avveniva in direzioni casuali. Dapprima pensò che i granuli fossero vivi, ma poi ripeté l'esperimento con moltissimi materiali diversi, organici e inorganici, verificando che il movimento avveniva sempre nello stesso modo. Egli non propose una spiegazione del fenomeno, tranne osservare che doveva essere un riflesso della struttura molecolare della materia. La spiegazione di quello che è noto come "moto browniano" arriverà molti anni dopo: nel 1905 da parte di Albert Einstein. Nel 1831, mentre studiava i meccanismi di impollinazione di piante delle famiglie Orchidaceae e Asclepiadeaceae, Brown notò nella cellule delle orchidee la presenza di un struttura che poi osservò anche in altre piante e la denominò "nucleo" della cellula. Il nucleo era già stato osservato in precedenza, forse fin dal Seicento dal microscopista olandese Leeuwnhoek; lo aveva notato e disegnato anche Franz Bauer a partire dal 1802, ma Brown fu il primo a dargli il nome. Sia lui sia Bauer però pensavano che fosse presente solo nelle monocotiledoni. Brown era altamente apprezzato dai suoi contemporanei; Humboldt lo definì "botanicorum facile princeps" e von Martius "Jupiter Botanicus", certo in riferimento anche al suo ruolo di padre padrone del dipartimento di botanica del British Museum. Come figura anche istituzionale, fu membro di molte società scientifiche come la Reale accademia svedese delle Scienza, la Reale accademia olandese delle Scienze e delle Arti, l'Accademia americana delle Arti e delle Scienze. Aveva un particolare legame con la Linnean Society: nel 1822 si era dimesso da impiegato, era stato immediatamente accolto come membro, poi entrò a far parte del Consiglio e nel 1828 fu nominato vicepresidente, presidente dal 1849 al 1853, quindi nuovamente vicepresidente fino alla morte. Brown era innegabilmente un grande scienziato, che qualcuno considera addirittura il maggiore botanico del suo tempo; ma la sua meticolosità e la sua dedizione al lavoro ebbero anche un risvolto negativo. Non amava delegare, con il risultato che molti esemplari raccolti da botanici e viaggiatori delle generazioni successive finivano di attendere il loro turno nei depositi del British Museum, in attesa che potesse occuparsene. Era il caso in particolare delle piante australiane, che egli tendeva a considerare la sua riserva di caccia. Il risultato fu che molte delle sue stesse raccolte rimasero inedite e che la prima opera importante sulla flora australiana dopo il Prodromus, Flora australiensis di George Bentham, iniziò ad uscire solo dopo la sua morte. Quale fosse l'atteggiamento dei naturalisti più giovani verso questo mostro sacro (anche fisicamente: era alto, imponente, severo, di poche parole e di spirito tagliente) ce lo racconta un aneddoto che ha per protagonista Charles Darwin. Nel corso del famoso viaggio attorno al mondo a bordo del Beagle, aveva visitato anche l'Australia e sapeva che il vecchio botanico era ansioso di aver da lui qualche esemplare stuzzicante. Ma lui, convinto che sarebbero finiti a prendere polvere nei magazzini del British, non aveva nessuna intenzione di accontentarlo. Così, quando alla fine lo incontrò, lo distrasse regalandogli un po' di legno fossile (i fossili erano una passione comune). In una lettera commentò: "Credo che il mio legno silicizzato abbia disselciato il cuore di Mr. Brown". Omaggi floreali e no Robert Brown morì ottantacinquenne nel 1858 nell'alloggio di Soho Square dove abitava dal 1810. A ricordarlo vi è stata posta una targa, ma i luoghi a lui legati sono molti altri: nell'Australia meridionale il monte Brown che scalò durante la spedizione Flinders e oggi ospita un parco nazionale a lui dedicato e in Tasmania il fiume Brown; non mancano località che mai visitò, come il Capo Brown in Groenlandia, così denominato in suo onore da William Scoresby, o il monte Brown in Canada, omaggio di David Douglas, Le piante con eponimo brownii o brownianus si contano a centinaia; ci sono poi due generi, ovviamente australiani. A dedicargli il primo fu James Edward Smith che lo chiamò Brunonia; scopriamo perché grazie alle frasi iniziali del suo An Account of a new Genus of New Holland Plants named Brunonia, letto durante la seduta del 6 febbraio 1810 della Linnean Society, di cui Smith era fondatore e presidente: "Per la conoscenza della pianta che mi accingo a presentare, sono obbligato a Mr. Brown, bibliotecario della Società, che la scoprì nel corso delle sue ricerche botaniche in Nuova Olanda. Una parte assai interessante della sua ricca messe in quel paese occupa un'ampia porzione di questo volume delle nostre Transactions. Con una simile prova del suo genio e della sua abilità davanti ai nostri occhi, qualsiasi testimonianza in tal senso da parte mia sarebbe superflua, ma sono ansioso di cogliere l'opportunità, che egli ha accettato dietro mia ardente sollecitazione, di rendere giustizia ai suoi meriti dedicandogli questo genere nuovo e molto particolare. Poiché esiste già un genere Brownea in memoria dello studioso della storia naturale della Giamaica [Patrick Browne], per evitare ogni ambiguità e mantenere la massima somiglianza possibile con il suo nome, sono obbligato a ricorrere all'espediente, non eccezionale e autorizzato da precedenti, di chiamare il mio genere Brunonia". L'espediente usato da Smith consiste nell'usare l'equivalente latino di Brown, Bruno (gen, Brunonis). Qualche mese più tardi, Brown usò i nomi di Smith nel Prodromus; poiché la conferenza di Smith venne pubblicata solo nel 1811, la priorità di pubblicazione del genere spetta a lui stesso, e non a Smith. In tal modo involontariamente Brown ha violato un tabù della terminologia botanica, dedicando un genere a se stesso. Brunonia R.Br. (oppure Brunonia Smith ex R.Br.) è un genere curioso al di là di questo aneddoto. Smith lo aveva scelto perché costituiva un vero enigma tassonomico. Sembrava infatti in relazione con molte famiglie naturali, ma era difficile attribuirla con certezza all'una piuttosto che all'altra. L'incertezza non si è sciolta con il passare del tempo. In passato è stato attribuito a una famiglia propria, Brunoniaceae, ma a partire dal 2003 è stato trasferito nelle Goodeniaceae, dalle quali per altro differisce perché è l'unico con fiori a simmetria radiale, ovario supero e semi privi di endosperma. Oggi gli è attribuita un'unica specie, B. australis, un'erbacea annuale o perenne con foglie riunite in una rosetta basale, da cui emergono esili scapi che portano alla sommità una densa infiorescenza a capolino di numerosi piccoli fiori blu cielo o più raramente malva. Piuttosto diffusa, è presente in tutto il paese; predilige suoli sabbiosi o rocciosi e ambienti aridi e aperti, ma non ne è esclusiva. Si trova infatti anche in boscaglie e foreste aperte. Le infiorescenze ricordano quelle delle Scabiosa o della Knautia, da cui il nome comune blue pincushion. Un secondo omaggio è arrivato in tempi molto più recenti. Nel 1964 l'olandese Bremekamp decise di creare un nuovo genere per accogliere le specie australiane del genere soppresso Aporuellia (famiglia Acanthaceae). Poiché tre di queste specie erano state raccolte e descritte per la prima volte da Robert Brown (che le aveva assegnate al genere Ruellia) lo chiamò Brunoniella in suo onore. Comprende sei specie, cinque endemiche dell'Australia e una della Nuova Caledonia. Sono perenni tuberose, prostrate o erette, quasi tutte nane, con rami spesso scanalati longitudinalmente o appiattiti, foglie in coppie opposte ai nodi e fiori con corolla imbutiforme solitari o raccolti in spighe lasche. L'ambiente tipico è il sottobosco delle boscaglie e delle foreste umide dell'Australia settentrionale o nord-orientale. Anche se esistono anche altri colori, anche per questo genere il colore dominante dei fiori è l'azzurro, I fratelli Franz e Ferdinand Bauer furono forse i più grandi pittori botanici della prima metà dell'Ottocento. Il loro destino fu allo stesso tempo parallelo e divergente. Divisi da appena due anni d'età, furono educati alla pittura e alla botanica dallo stesso maestro e per qualche anno lavorarono fianco a fianco alla stessa opera, poi, dopo un passaggio a Vienna, entrambi si trasferirono in Inghilterra. Ma a questo punto i loro destini avevano già preso una piega diversa. Franz, il sedentario, divenne il primo pittore ufficiale dei Kew Gardens, dove andò anche ad abitare; mutò il suo nome in Francis e non si mosse più dall'Inghilterra; si specializzò nel dipingere i più minuti particolari delle piante osservati al microscopio, fornendo un inestimabile aiuto ai botanici di Kew. Socievole e ben inserito nella società scientifica, ottenne riconoscimenti come l'ammissione alla Royal Society. Ferdinand, il viaggiatore, accompagnò Sibthorp in Grecia e in Asia minore, quindi si unì alla spedizione Flinders; non solo pittore, ma anche appassionato raccoglitore di piante, dopo lo scioglimento della spedizione rimase in Australia, continuando le raccolte sia con Robert Brown, sia da solo. Disegnò moltissimo e perfezionò un codice numerico dei colori per cogliere le mille sfumature della natura australiana. Di ritorno in Inghilterra, quei numeri permettevano di trasformare gli schizzi in acquarelli di stupefacente precisione e verità. Era un lavoro quasi maniacale che lo assorbiva totalmente, ma nel suo perfezionismo destinato al fallimento commerciale. Negli ultimi anni della sua vita, preferì tornare in Austria dove divise il suo tempo tra la pittura e le escursioni alla ricerca di piante alpine. Nonostante con lui l'arte dell'illustrazione botanica abbia raggiunto il vertice, dopo la sua morte fu presto dimenticato. A ricordare i due fratelli, così simili e così diversi, provvede il bel genere australiano Bauera, voluto da Banks che li stimava in egual modo e in un certo senso fu lo sponsor di entrambi. Diagnosi al microscopio Abbiamo già incontrato il pittore Ferdinand Bauer (1760-1826) come validissimo membro dell'équipe scientifica dell'Investigator. Per conoscerlo meglio dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e spostarci nella Bassa Austria, nella cittadina di Feldsberg (oggi Valtice, nella Repubblica ceca), uno dei feudi del principe di Liechtenstein. Ferdinand era il più giovane dei figli del pittore di corte Lucas che morì quando egli non aveva ancora due anni. C'erano altri due fratelli: Joseph Anton, di sei anni, e Franz Andreas (1758-1840), di quattro. La madre Theresia li fece educare alla pittura, quindi li affidò a padre Boccius, il priore del convento dei Fratelli della misericordia, che era anche un medico e un reputato botanico. Mentre il fratello maggiore, raggiunta l'età adulta, divenne a sua volta pittore di corte dei Lichtenstein, i due minori ancora adolescenti sotto la guida di Boccius iniziarono a lavorare al grandioso Codice Liechtenstein; in quattordici volumi, richiese vent'anni di lavoro e comprende oltre 3100 acquarelli botanici, metà dei quali furono dipinti da Franz e Ferdinand Bauer. Padre Boccius insegnò ai due ragazzi che il segreto dell'arte botanica sta nell'osservare i soggetti nei minimi dettagli, per poi ritrarli con precisione, verità e grazia. Grazie a questo apprendistato i due giovani appresero alla perfezione le tecniche del disegno e del colore, tanto da attirare l'attenzione di Nikolaus von Jacquin, il direttore dell'orto botanico dell'Università di Vienna, egli stesso un ottimo disegnatore, che impiegò prima Ferdinand poi anche Franz per i disegni di Icones plantarum rariorum (1781-1793). Da lui i due fratelli appresero la classificazione linneana e l'uso del microscopio. Ferdinand prese anche lezioni dal celebre pittore paesaggista Johann Christian Brand. Ben presto però von Jacquin perse i due migliori illustratori della sua scuderia. Il primo a partire fu Ferdinand nel 1786 (ma su di lui torneremo più avanti). Nel 1788 partì anche Franz, come accompagnatore del neo laureato Joseph Franz von Jacquin nel suo grand tour attraverso l'Europa. A Londra il giovane von Jacquin presentò Bauer a Joseph Banks, che, ammirato dalla sua maestria, riuscì a farlo assumere come primo pittore ufficiale dei Kew Gardens con un salario annuo di 300 sterline. Il pittore austriaco inglesizzò il suo nome in Francis, si stabilì a Kew, mantenendo quell'incarico fino alla morte, per oltre quarant'anni. Assai apprezzato da Giorgio III, fu insignito del titolo di "pittore botanico di sua maestà" e incaricato di impartire lezioni di pittura alla regina Carlotta e alle sue figlie, la più talentuosa delle quali era la principessa Elizabeth. Nel corso della sua lunga attività ai Kew Gardens, il maggiore dei Bauer ebbe modo di disegnare e dipingere centinaia di piante giunte da tutto il mondo; anche se amava dipingerle anche a figura intera, raggiunse una perfezione senza rivali nel ritrarre i particolari più minuti osservati al microscopio, uno strumento diagnostico senza pari per i molti botanici con i quali collaborò. Tra le opere che illustrò, in ordine cronologico, possiamo citare il catalogo del giardino Hortus Kewensis (con testi di Dryander e Aiton, 1789); il florilegio Delineations of Exotick Plants cultivated in the Royal Garden at Kew (1791-1801), con molte delle piante portate dal Sudafrica da Masson; Strelitzia depicta, ordinatogli da Banks (1818); The genus and species of orchidaceous plants di Lindley (1830-1838), forse il suo capolavoro assoluto (le orchidee erano senza dubbio il gruppo di piante preferite sia del botanico sia del pittore); Genera filicum di William Jackson Hooker (1842), al quale impartì anche lezioni di disegno. Socievole e ben inserito nell'ambiente scientifico, Franz Bauer divenne membro della Royal Society e alla sua morte fu sepolto nella cappella di St. Anne a Kew. Di lui possediamo anche un ritratto, che ci restituisce il volto di un uomo aperto e simpatico. Dipingere con i numeri Neanche uno schizzo ci ha invece tramandato i tratti di Ferdinand, il fratello viaggiatore. Nel 1786 (all'epoca egli aveva ventisei anni ed era un pittore botanico professionista da almeno dieci) incontrò il suo coetaneo John Sibthorp, professore di botanica di Oxford, venuto a Vienna per esaminare uno dei più preziosi manoscritti della biblioteca imperiale, ovvero il celebre codice di De materia medica noto come "Dioscoride di Vienna". Sibthorp ne fu così affascinato da decidere immediatamente di mettersi in viaggio alla volta della Grecia e dell'Asia Minore per cercare di identificare in loco le piante descritte dal medico greco. Su suggerimento di Boccius e von Jacquin propose a Bauer di accompagnarlo come "suo disegnatore". Il pittore accettò e a marzo i due partirono per Napoli, dove si imbarcarono per Creta, con uno scalo a Milo. Dopo aver toccato diverse isole egee, visitarono Atene, quindi passarono a Smirne; trascorsero l'inverno a Costantinopoli, dove furono raggiunti dal cognato di Sibthorp, John Hawkins, con il quale nella primavera esplorarono Cipro e altre isole dell'Egeo. La minaccia di una guerra con la Russia e lo scoppio di un'epidemia li dissuase dall'esplorare la Grecia continentale; poterono però visitare una seconda volta Atene, poi l'Eubea, Delfi (con una scalata che mise a dura prova la loro resistenza), il Monte Athos, Tessalonica, Corinto, Patrasso; qui a settembre si imbarcarono per l'Inghilterra, dove giunsero a dicembre. Sia Sibthorp sia Bauer erano lavoratori ossessivi, e impressero alle loro ricerche un ritmo forsennato. Di solito il mattino era dedicato alle raccolte, con il professore che interrogava le persone del posto per cercare di identificare le piante di Dioscoride, il pomeriggio riservato al lavoro sugli esemplari. Dovendo fissare sulla carta una grande quantità di piante (ma anche animali e paesaggi), Bauer perfezionò un sistema che aveva già sperimentato con suo fratello a Feldsberg, quando disegnavano dal vero le piante locali: le forme del soggetto venivano fissate in un rapido schizzo a matita, mentre i colori delle varie pari venivano tradotti in un apposito codice numerico. Il codice che i due fratelli usavano da ragazzi comprendeva circa 140 sfumature; mentre Franz, che poteva lavorare con comodo ai Kew Gardens, lo abbandonò, Ferdinand, che doveva spostarsi in fretta da un luogo all'altro, spesso in condizioni difficili, senza avere a disposizione materiale da pittura adeguato, lo perfezionò, portando i colori usati in Grecia a 273. Va anche aggiunto che doveva occuparsi della preparazione degli esemplari (purtroppo, il professore tendeva a considerarlo più un servitore che un suo pari) e partecipava in prima persona alla raccolta; ad esempio, gli è attribuita la scoperta di Veronica glauca e Salvia candidissima subsp. candidissima. Nel corso dei diciotto mesi del viaggio, il pittore creò oltre mille schizzi di piante, e diverse centinaia di animali e paesaggi. Giunto in Inghilterra, ebbe il piacere di trovarvi il fratello; decise così di rimanere e seguì Sibthorp a Oxford, dove (in parte basandosi sugli esemplari d'erbario, in parte sfruttando la sua incredibile memoria visiva e la sua raffinatissima sensibilità al colore) iniziò a trasformare gli schizzi in spettacolari acquarelli da cui ricavare le incisioni per il grande libro sulla flora greca progettato di Sibthorp, che vi investì tutta la sua fortuna: ognuno gli costava più di un giorno di lavoro, e ne produsse 966. Per completare l'opera con le piante delle zone che non avevano potuto visitare, nel 1794 Sibthorp partì per un secondo viaggio in Grecia. Bauer si rifiutò di accompagnarlo; non si sarebbero più incontrarti: infatti il professore si ammalò di tisi e morì sulla via del ritorno nel 1796, lasciando le sue proprietà all'università di Oxford con il vincolo di pubblicare Flora Graeca. Gli esecutori testamentari e James Edward Smith, cui era stata affidata la redazione dei testi, si trovarono di fronte a materiali così caotici che l'opera richiese decenni per essere completata: il primo volume uscì nel 1806, il decimo e ultimo nel 1840. Ma intanto per Bauer era ormai iniziata un'altra avventura. Dopo la morte di Sibthorp, aveva collaborato con altri botanici, in particolare con Lambert, che gli commissionò il grosso delle illustrazioni di A description of the genus Pinus (il primo volume sarebbe uscito nel 1803, quando Bauer si trovava già in Australia); Ferdinand ne preparò 61, mentre suo fratello Francis 5. Come abbiamo già visto nei precedenti post, nel 1801 su suggerimento di Banks divenne il pittore naturalista della spedizione Flinders, affiancando Brown anche nella raccolta degli esemplari. Con i suoi 41 anni, era il decano della spedizione (sia Flinders sia Brown ne avevano ventisette, l'altro pittore Westall appena diciannove); nutrita dalla medesima passione e competenza, nonché dalla stima reciproca, la collaborazione tra botanico e pittore fu perfetta, e continuò quando nell'agosto 1803 i due decisero di comune accordo di rimanere in Australia per continuare le ricerche. A quella data Bauer aveva già realizzato 1000 disegni di piante e 200 di animali, e ulteriormente perfezionato il suo codice dei colori, che adesso aveva quattro cifre, ovvero comprendeva circa 1000 diverse sfumature. Per qualche mese, i due raccolsero insieme nei dintorni di Port Jackson, finché nel novembre 1803 Brown partì per la Tasmania; qualche tempo dopo, Bauer ebbe l'opportunità di visitare le isole Norfolk, dove rimase otto mesi, creando un erbario di non meno di 152 specie; raccolse anche animali, soprattutto uccelli, e ritrasse 70 specie di piante e 40 di animali. Di questi materiali si servì Endlicher per il suo Prodromus florae norfolkicae, 1831. All'inizio del 1805 gli amici si ricongiunsero a Port Jackson, in tempo per imbarcarsi sul restaurato Investigator, che a maggio salpò alla volta dell'Inghilterra con il prezioso carico delle loro raccolte e disegni. Questi ultimi ormai superavano i 2000. Il viaggio fu tempestoso, ma senza gravi incidenti e li riportò sani e salvi a Liverpool. Forse i due si aspettavano una calorosa accoglienza, ma il loro arrivo coincise con i festeggiamenti per la vittoria di Trafalgar (21 ottobre 1805) e passò quasi inosservato. Da quel momento avrebbero lavorato fianco a fianco per quasi dieci anni, uno a descrivere piante e animali, l'altro a dipingerli. Era diventato ancora più minuzioso e perfezionista: ora, per completare una tavola, poteva servirgli anche una settimana. Tanto più che Brown l'aveva iniziato all'arte della dissezione degli esemplari, e quindi c'erano da dipingere anche i particolari più minuti. Purtroppo il loro principale sponsor, ovvero Joseph Banks, per quanto ricco, non lo era abbastanza da sobbarcarsi l'impresa di pubblicare la loro costosissima opera. Brown si rassegnò a pubblicare il suo Prodromus floræ Novæ Hollandiæ et Insulæ Van-Diemen senza figure, ma l'opera fu un tale fiasco che ne vendette solo venticinque copie. Ancora peggio andò a Bauer: era così perfezionista che, dopo aver cercato inutilmente di trovare un incisore e un pittore per dipingere a mano le tavole stampate, non ne trovò nessuno secondo lui all'altezza, e si rassegnò a fare da sé. Riuscì a produrre solo tre fascicoli di Illustrationes Florae Novae Hollandiae (1806-1813), che vendettero anche meno. Fu una delusione tale per Bauer che decise di lasciare l'Inghilterra e di tornare in Austria. Grazie ai buoni emolumenti ottenuti dall'ammiragliato, poté acquistare una piccola casa nel sobborgo viennese di Hitzing e qui visse fino alla morte, a parte un breve viaggio a Londra nel 1819 per salutare il fratello. I suoi "clienti" però rimasero soprattutto inglesi: mentre i volumi dell'immensa Flora Graeca continuavano ad uscire, con le illustrazioni che aveva dipinto negli anni di Oxford, illustrò il secondo volume di A Description of the Genus Pinus (1824) di Lambert, Digitalium Monographia di Lindley (1821) e collaborò anche con Endlicher per Iconographia Generum Plantarum (Vienna, 1833). La maggior parte dei suoi disegni e dei suoi acquarelli rimase però inedita, e oggi è conservata in parte al British Museum of Natural History di Londra, in parte al Naturhistorische Hofmuseum di Vienna, in parte all'università di Göttingen. Negli ultimi anni della sua vita (morì sessantaseienne nel 1826) non dimenticò la passione per la botanica, alternando alla pittura le escursioni sulle Alpi. Purtroppo i suoi disegni sulla flora alpina sono tra quelli rimasti inediti. Il genere Bauera Su suggerimento di Joseph Banks, nel 1801 Andrews creò il genere Bauera per omaggiare i fratelli Bauer, Franz già celebre e noto al pubblico inglese per le sue immagini di piante sudafricane, Ferdinand quasi sconosciuto visto che nessuna della sue opere era già stata pubblicata. Si tratta di un piccolo genere endemico dell'Australia (famiglia Cunoniaceae) che comprende tre specie di arbusti da prostrati a eretti, con foglie trifogliate disposte in coppie opposte e fiori da bianchi a rosa a coppa che ricordano quelli delle rose canine, da cui il nome comune Dog Rose. La più nota è B. rubioides, endemica dell'Australia orientale, diffusa nelle aree costiere dal Queensland sudorientale alla Tasmania, per lo più in zone umide e ombrose. Forma fitti cespugli tappezzanti ed è molto apprezzata come pianta da giardino. B. capitata è invece diffusa nelle zone costiere dal Queensland sud-orientale a Port Hacking nel Nuovo Galles del Sud, mentre B. sessiliflora è endemica della regione dei Grampiani del Victoria. Sir Joseph Banks, grande patron della spedizione Flinders, ebbe cura di raccomandare al capitano di offrire ai "gentiluomini scienziati" molte opportunità di scendere a terra per esplorare le risorse naturali. Come botanico e direttore in pectore dei Kew Gardens, contava anche di arricchire i giardini reali di nuove specie; così, accanto al già affermato pittore botanico Ferdinand Bauer e al promettente botanico Robert Brown, a bordo dell'Investigator c'era anche l'eccellente giardiniere Peter Good, che aveva già dimostrato di sapersi prendere cura delle piante vive in lunghi viaggi oceanici. I tre formarono una formidabile squadra di raccoglitori, con all'attivo circa 2000 esemplari. Purtroppo Good fu una delle vittime della dissenteria che imperversò a bordo dopo lo scalo a Timor e molte delle sue raccolte andarono perdute in seguito al naufragio del Purpoise; tuttavia era riuscito a fare arrivare a Kew tanti semi da permettere a Aiton di elencare più di cento "australiane" nel catalogo dei giardini reali; belle e rare, spinsero Salisbury a rendere un commosso omaggio a Good con la dedica del genere Goodia. Una piccola squadra di scienziati Rispetto al dispiegamento di ben ventidue tra scienziati ed artisti della spedizione Baudin, lo staff scientifico dell'Investigator appariva modesto: in tutto sei uomini, ovvero l'astronomo John Crosley, il naturalista Robert Brown, il mineralogista John Allen, il giardiniere Peter Good e i pittori Ferdinand Bauer e William Westall. Se consideriamo che Crosley, Brown, Bauer e Westall erano accompagnati da un servitore ciascuno, l'équipe sale a dieci persone in tutto, che però presto si ridussero a otto. Infatti l'astronomo soffrì talmente il mal di mare che a Città del Capo fu lasciato a terra. Assistente all'Osservatorio di Greenwich, assegnato all'Ufficio della longitudine, aveva partecipato come osservatore alla spedizione Vancouver; in Sudafrica fece alcune osservazioni sulle coordinate, quindi, ritornato a Londra, divenne assistente dell'astronomo reale a Greenwich e si segnalò come eminente matematico, divenendo anche presidente della Spitalfields Mathematical Society. Tutti gli altri erano legati in un modo o nell'altro a Banks, che li aveva scelti personalmente. Da tempo il gentiluomo, che come primo investigatore della flora australiana e ideatore del progetto di trasformare il Nuovo Galles del Sud in una colonia penale, se ne considerava il patrono, pensava a una spedizione all'interno del paese. Contava di affidarla a Mungo Park, che alla fine del 1797 era rientrato dall'Africa coronato di gloria per aver scoperto la sorgente del Niger. Due fatti lo costrinsero a ripensarci: il governatore Hunter gli scrisse per sconsigliare una spedizione terrestre, per la quale la giovane colonia non aveva né gli uomini né le strutture; inoltre Park si scontrò con l'ammiragliato circa la sua paga e decise di sposarsi; poco dopo, come abbiamo visto qui, Flinders suggerì il progetto alternativo della circumnavigazione della Terra australis e Banks lo fece proprio con entusiasmo. Insistette però che a bordo dell'Investigator ci fosse uno staff scientifico e che durante la navigazione fossero previste soste sufficienti per esplorare le risorse naturali. A stargli particolarmente a cuore era ovviamente la flora, e non a caso come naturalista scelse un promettente botanico, il medico scozzese Robert Brown (1773-1858); dopo essersi laureato ad Edimburgo, Brown si era arruolato nell'esercito e da cinque anni serviva come medico militare in Irlanda. Meticoloso e interessato a tutte le scienze, era però affascinato soprattutto dalla botanica, in particolare delle crittogame. Aveva iniziato a corrispondere con eminenti botanici tra cui William Withring, James Edward Smith, James Dickson e José Correia da Serra. Nel 1798, quando Park rinunciò, fu proprio quest'ultimo a suggerire Brown come sostituto "In questo cambio, a guadagnarci sarà la scienza; Mr. Brown è un naturalista di professione; inoltre è scozzese, adatto a perseguire uno scopo con costanza e mente fredda". Brown (che nel frattempo era anche entrato a far parte della Linnean Society) era dunque il candidato ideale come naturalista della spedizione Flinders. Nel dicembre 1800 Banks gli scrisse per proporgli il posto; il dottore accettò e venne a Londra, dove trascorse i mesi che precedettero la partenza a leggere tutti i libri sull'argomento, a studiare le piante australiane di Banks e a scegliere con Dryander (il segretario di Banks) i doppioni da riunire in un erbario da portare con sé a bordo dell'Investigator. Anche Bauer, oltre ad essere uno dei più raffinati pittori botanici del suo tempo, poteva essere considerato un naturalista a tutti gli effetti: austriaco, era stato introdotto alla tassonomia linneana e all'uso del microscopio da von Jacquin, quindi tra il 1786 e il 1787 aveva accompagnato in Grecia il professore di Oxford John Sibthorp; il risultato fu la spettacolare Flora Graeca. A confronto, il pittore paesaggista William Westall (1781-1850) era una seconda, anzi una terza scelta. Inizialmente Banks aveva offerto il posto all'affermato paesaggista Ibbeston; al suo rifiuto, si era rivolto William Daniell, che aveva già molto viaggiato ed era specializzato in soggetti marini; questi dapprima aveva accettato, poi si era tirato indietro e forse su suo suggerimento fu rimpiazzato dal giovanissimo Westall, appena diciannovenne al momento della partenza. Allen era invece arrivato all'ultimo momento; Banks non aveva pensato a un mineralogista, finché a sottolineare la necessità di raccogliere campioni di rocce e minerali fu Flinders; sir Joseph allora scrisse a suo zio, William Milnes, che amministrava la sua tenuta di Overton, il quale scelse un giovane minatore, eccezionalmente istruito, appunto John Allen, forse all'epoca venticinquenne. Pagato meno dei suoi compagni e non considerato uno scienziato a tutti gli effetti, era un po' il parente povero del gruppo, tanto più che i minerali non interessavano per nulla a Banks e poco a Brown, nominato capo dell'intera équipe, che in una lettera a sir Joseph ebbe a scrivere sprezzantemente "sinceramente, è di ben poca utilità". Pensava tutto il contrario dell'ultimo membro della squadra, il giardiniere Peter Good (non ne conosciamo né la data di nascita né l'età), voluto da Banks con l'obiettivo dichiarato di arricchire i giardini reali di specie nuove e rare. Good era uno dei caposquadra di Kew ed era stato suggerito a Banks dal giardiniere capo William Aiton per la sua esperienza in viaggi oceanici: aveva infatti portato con successo a Calcutta una selezione di piante coltivate a Kew e nel viaggio di ritorno ne aveva riportato piante indiane preparate dal botanico Christopher Smith. Good e Allen condividevano la stessa cabina e secondo il loro contratto, a differenza degli altri, avrebbero dovuto mangiare con i sottoufficiali tecnici; ma, dato che sull'Investigator non ce n'erano, condividevano anche loro la tavola del comandante con i "gentiluomini scienziati". Formidabili raccolte L'Investigator salpò da Spithead il 18 luglio 1801. A bordo c'erano anche casse di semi e una serra portatile con piante in vaso da consegnare a Port Jackson. Lungo la rotta per città del Capo l'unico scalo fu quello di Madera: il 2 agosto Flinders, Brown e Bauer scesero a terra sull'isola di Bugio nelle Ilhas Desertas, dove Brown osservò la natura porosa delle rocce e la luminescenza delle meduse; quindi il giorno dopo l'Investigator gettò l'ancora nel porto di Funchal, dove si sarebbe trattenuta fino al 7 agosto. Brown, Bauer, Allen e Good ne approfittarono per esplorare le vicinanze della capitale, erborizzare e scalare la maggiore montagna dell'isola, il Pico Ruivo. Brown era deluso di non aver trovato piante diverse da quelle raccolte da Banks durante lo scalo a Madera del primo viaggio di Cook, ma redasse scrupolosamente una lista della flora locale. Durante il viaggio, che proseguì tranquillo fino a Città del Capo, raggiunta il 16 ottobre, Brown si tenne occupato studiando i libri della biblioteca di bordo sulla Nuova Olanda e insegnando a Good il francese, in previsione di un incontro con gli uomini di Baudin. Fin dal 17 ottobre, Brown, Allen e Good scesero a terra; stupefatti dalla bellezza e varietà della flora del Capo, raccolsero insetti, minerali e una grande quantità di piante. Brown passò diverso tempo nella sua cabina a classificarle, mentre Good continuava le raccolte. I naturalisti trovarono anche modo di esplorare le montagne più vicine alla città, Table Mountain e Devil's Mountain, nonostante la scalata fosse resa difficile dal fango e dalla nebbia. La preparazione e la classificazione delle numerose piante raccolte da lui stesso e da Good fu la principale occupazione di Brown durante la traversata dell'Oceano Indiano. C'erano anche due nuove specie di Proteaceae, Serruria fascicularis e S. foeniculacea. Lasciata False Bay il 4 novembre, l'Investigator avvistò la costa della Nuova Olanda all'altezza del Capo Leeuwin il 6 dicembre. Flinders iniziò immediatamente la ricognizione idrografica, concentrando la sua attenzione sul King George Sound, dove la nave rimase all'ancora presso la Seal Island dall'8 dicembre al 5 gennaio 1802. La lunga sosta e la stagione non troppo avanzata permisero a Brown e Good di raccogliere il più cospicuo bottino dell'intera spedizione: circa 500 esemplari di piante, 175 di semi, mentre Bauer poté completare una cinquantina di disegni. Tra gli altri, Brown scoprì otto nove specie di Banksia. Botanico e giardiniere lavoravano in piena armonia; quando il primo si tratteneva a bordo per classificare gli esemplari, il secondo continuava le ricerche e andava a caccia di semi, dimostrando un ammirevole senso del dovere; anche Bauer (e talvolta Allen e Westall) contribuiva alle raccolte. Il 6 gennaio il viaggio riprese in direzione est; le frequenti soste per esplorare baie, isole e isolotti offrirono altre opportunità di raccolta ai naturalisti. La prima si presentò il 10 gennaio, quando essi poterono scendere a terra nei pressi dell'attuale Cape le Grand, dove trovarono una nuova specie di Cycadacea (Macrozamia riedlei), la raccolta dei cui semi diede parecchio filo da torcere a Good. L'11 gennaio l'Investigator gettò l'ancora a Lucky Bay, dove rimase per quattro giorni. Brown, Bauer e Good ne approfittarono per penetrare nell'interno fino a scalare il Frenchman Peak, una cupola granitica posta a circa 6 km dalla baia, che ospita anche una grotta, e ne ritornarono con circa 150 esemplari di piante diverse, tra cui Verticordia brownii. Il resto del mese di gennaio fu trascorso ad esplorare le isole dell'Arcipelago della Recherche, con ancoraggi a Middle e Goose Island. Ora la stagione era più avanzata, le temperature diurne potevano superare i 35° e spesso soffiavano forti venti; la vegetazione era inaridita e le raccolte botaniche si fecero molto più sporadiche. Il 17 gennaio entrarono nella Grande Baia australiana, caratterizzata da alte falesie, dove fu impossibile trovare un ancoraggio fino a Fowlers Bay (19 gennaio); Brown scese a terra, ma poté osservare ben poche piante, soprattutto specie alofile come Zotera muelleri. Mentre il caldo si faceva sempre più torrido, toccando 52°, l'Investigator continuò l'esplorazione attraverso le isole Nuyts, con ancoraggi in diverse isole che fruttarono a Brown poche nuove specie. Poté invece rifarsi durante gli scali a Memory Cove (22-24 febbraio 1802) e Port Lincoln (26 febbraio-6 marzo) dove lui e Good raccolsero 35 e 85 specie (incluso il nuovo genere Ixodia). Tra il 10 e l'11 marzo, mentre l'Investigator era ancorato all'estremità settentrionale dello Spencer Gulf, l'intero gruppo degli artisti e degli scienziati scalò una montagna situata a una ventina di km all'interno, prontamente battezzata da Flinders Mount Brown. Fu un'impresa faticosa e pericolosa: rimasti senza viveri e acqua, dovettero trascorrere la notte sulla montagna. I due pittori però poterono dipingere splendide vedute. Secondo il racconto di Good, dal punto di vista botanico la gita fu un po' deludente: non solo trovarono una varietà di vegetali inferiore alle aspettative, ma molte delle piante raccolte giunsero a bordo ormai appassite. Si trattava comunque di una sessantina di specie, cui se ne aggiunsero altrettante al successivo ancoraggio dell'isola dei Canguri (21-22 marzo e 1-7 aprile). Qui Brown poté anche tornare al suo primo amore, raccogliendo diversi interessanti licheni. Dopo il fatidico incontro con il capitano Baudin, la navigazione proseguì lungo la costa del Victoria con un breve ancoraggio all'isola King e uno più lungo a Port Phillip. Insieme al capitano e a Westall, Brown scalò la collinetta che domina la baia nota come Arthur's Seat; al termine della piacevole escursione, oltre a uno splendido panorama, godettero anche un picnic a base di ostriche fresche. In questo distretto, Brown e Good aggiunsero alle collezione un altro centinaio di specie. La prima fase dell'esplorazione era conclusa e il 2 maggio l'Investigator lasciava Port Phillip per Port Jackson. La lunga sosta necessaria per raddobbare la nave fu utilizzata da pittori e naturalisti per completare i disegni e organizzare le raccolte; Good fu anche impegnato nella preparazione dei semi da inviare a Londra. Non mancò però il tempo per qualche escursione nei dintorni e a Parramatta, ad alcune delle quali partecipò anche il francese Leschenault de La Tour, divenuto buon amico di Brown, Il 22 luglio 1802 l'Investigator salpava per la seconda, meno fortunata, parte della spedizione. Le raccolte di Brown e del suo team lungo la costa orientale e settentrionale sono state studiate meno in dettaglio rispetto a quelle della costa meridionale; grazie al diario dello stesso Brown e al suo General remarks on the botany of Terra Australis sappiamo che in entrambe le aree vennero raccolte circa 500 specie, moltissime delle quali nuove per la scienza, trattandosi di regioni scarsamente o per nulla esplorate in precedenza. Per la costa nord-orientale al di sopra del 21° grado sud, Brown cita come luoghi di raccolta Port Curtis, Keppel Bay, Port Bowen, Stronge-tide Passage e soprattutto Broad Sound, dove egli raccolse la pianta che dedicò al capitano Flinders, Flindersia australis. Ricorda anche gli scali in due delle isole Northumberland e in una delle isole Cumberland. Anche la costa settentrionale, almeno prima che il deprecabile stato dello scafo dell'Investigator costringesse Flinders a ripiegare su Timor e poi a rientrare in tutta fretta a Port Jackson, offrì ai naturalisti diverse opportunità di raccolta sia lungo la costa (tra le zone citate, Melville Bay e Caledon Bay) sia in varie isole, una delle quali venne battezzata Good's Island in onore dell'ottimo giardiniere. In effetti, anche se le raccolte sono in genere ascritte a Brown, sappiamo che si trattò di un'impresa collettiva cui molto contribuì Peter Good, ma probabilmente anche Bauer, egli stesso un appassionato raccoglitore. Oltre alle piante, che occupavano il centro d'interesse di Briwn, vennero raccolti anche insetti, uccelli e altri animali, e sicuramente Allen si occupò delle rocce, anche se non sappiamo nulla delle sue raccolte (andate perdute nel naufragio del Purpoise). Un omaggio meritato Come agli sfortunati membri della spedizione Baudin, la sosta a Timor fu fatale a diversi uomini di Flinders. Tra di essi proprio Good, che poco dopo la partenza dall'isola si ammalò di dissenteria; non si riprese e morì nella baia di Sydney il 12 giugno 1803 pochi giorni dopo il rientro dell'Investigator. Brown lo rimpianse molto e gli dedicò Banksia goodii. Gran parte delle sue raccolte di piante vive, che egli aveva amorosamente curato finché aveva potuto, sistemate nella serra mobile dell'Investigator, furono caricate sulla Purpoise e andarono perdute nel naufragio della nave, insieme a una cassa di semi. Con i semi inviati in precedenza, Good aveva però fatto in tempo ad arricchire i giardini di Kew (e quindi indirettamente d'Inghilterra) di molte specie australiane, soprattutto provenienti dalla costa meridionale. Nella seconda edizione di Hortus kewnesis, Aiton elenca ben 103 piante da lui introdotte nei giardini reali. Molte prosperavano ancora nella Australian House ai tempi di Hooker. Si salvò invece l'erbario, che Brown aveva incorporato nel proprio. Infatti, mentre Westall e Allen si imbarcarono con Flinders sulla sfortunata Purpoise, Brown e Bauer decisero di rimanere in Australia, un po' perché convinti che il capitano sarebbe tornato presto, un po' per rintegrare le collezioni perdute, ma soprattutto perché ritenevano che ci fosse ancora molto da scoprire. Non si sbagliavano: nei due anni che seguirono, aggiunsero alle loro raccolte altre 2000 specie e centinaia di disegni. Ne riparleremo in un altro post. E' ora di conoscere il genere che, presumibilmente su suggerimento di Brown, Salisbury dedicò all'attivissimo giardiniere con queste parole: "Secondo la mia opinione, nessuno ha maggior diritto che la sua memoria sia perpetuata da una pianta che porta il suo nome di un industrioso giardiniere botanico, specialmente quando la sua vita è caduta in sacrificio per le sue fatiche in lontani climi. Non so nulla di Peter Good tranne che, avendo raccolto semi per sua maestà nel Nuovo Galles del Sud, dove morì, Kew gli deve un ricchissimo lascito delle migliori e più rare piante di quel paese, ciascuna delle quali porta l'etichetta con il suo nome". Goodia è un piccolo genere della famiglia Fabaceae che comprende sei specie di arbusti endemici dell'Australia, da medi a grandi. Sono caratterizzati da foglie composte trifogliate, spesso di colore glauco; un'altra caratteristica distintiva è la presenza di stipole effimere o persistenti alla base del picciolo. I fiori papilionacei, con il vessillo più o meno circolare e le due ali più strette, sono gialli con marcature rosse, verdi o porpora. La specie più diffusa è Goodia lotifolia, un alto e folto arbusto eretto che in fioritura può ricordare le ginestre; endemico dell'Australia sud-orientale, è largamente presente in Tasmania e lungo la costa del Victoria e del Nuovo Galles del Sud meridionale. Recentemente un secondo genere si è aggiunto a celebrare indirettamente l'ottimo giardiniere: Paragoodia ("simile a Goodia"), separato nel 2011 da Muelleranthus; è un genere monotipico, rappresentato unicamente da P. crenulata, un'erbacea prostrata con foglie composte trifogliate e fiori con marcature che possono ricordare quelli di Goodia; endemica dell'Australia occidentale, è nota in un unico sito a sud del Mt Holland. Nel luglio 1801, nove mesi dopo la spedizione Baudin, salpava dall'Europa alla volta dell'Australia una seconda spedizione: a organizzarne gli aspetti scientifici era stato Banks in persona e a guidarla era un marinaio già esperto dell'esplorazione delle terre australi, il giovane capitano Matthiew Flinders. Simili negli scopi, le due spedizioni non potevano essere più diverse nella concezione: elefantiaca, costosissima ma inefficace, caotica e litigiosa quella francese, piccola, essenziale, compatta ed efficiente quella britannica: una sola nave di piccole dimensioni che poteva essere sottratta senza troppi problemi ai compiti militari, perfettamente adatta all'esplorazione di una costa ignota e prevedibilmente frastagliata; un comandante esperto assistito da pochi e affiatati ufficiali e sottoufficiali; una ciurma di volontari ugualmente scelti da lui; un'équipe scientifica ridotta ma selezionata e funzionale. Il risultato fu la prima circumnavigazione dell'Australia e la mappatura delle coste di gran parte dell'isola-continente, che proprio su proposta di Flinders acquisì il suo nome attuale. Ovviamente non mancarono le difficoltà e gli incidenti di percorso, ma la prova più dura arrivò alla fine, quando Flinders dovette attraccare a Mauritius e, invece dell'amichevole accoglienza che Baudin e i suoi avevano trovato a Sidney, gli toccarono l'accusa di spionaggio e una detenzione di quasi sette anni. Poté tornare in Inghilterra solo nel 1810 e solo nel 1814 uscirono il resoconto ufficiale della spedizione e le carte che lo consacrarono come uno dei maggiori navigatori di tutti i tempi. Tra le tante piante scoperte durante il viaggio dal naturalista Robert Brown, anche il genere che egli volle dedicare al "suo" capitano: Flindersia della famiglia Rutaceae. Una vocazione insopprimibile di esploratore All'inizio dell'Ottocento, la Terra Australis - che tra poco si chiamerà Australia - era ancora tutta da scoprire: non solo non si conosceva quasi nulla dell'interno, ma rimaneva da esplorare e mappare anche gran parte della linea di costa. Faceva eccezione solo la costa est, cartografata da Cook nel 1771, durante il suo primo viaggio; delle altre coste si conoscevano solo i tratti discontinui toccati tra il Seicento e il Settecento da navigatori olandesi, spagnoli, inglesi e francesi; quella meridionale era addirittura chiamata "Costa sconosciuta". Non era certo neppure che si trattasse di un'unica massa continentale; si ipotizzava anzi che potesse trattarsi di due grandi isole separate da uno stretto. Nel 1785 la Gran Bretagna, in forza delle scoperte di Cook, proclamò la propria sovranità sulle terre a oriente del 135° meridiano est e nel 1786 stabilì un primo insediamento a Port Jackson, nucleo iniziale della colonia del Nuovo Galles del Sud, che divenne anche la base di partenza per una serie di spedizioni di scoperta, in alcune delle quali si mise in luce un giovane ufficiale di marina, Matthew Flinders (1774-1814). Egli arrivò in Australia nel settembre 1795 come guardiamarina (midshipman) della nave che trasportava in Australia il secondo governatore, John Hunter. Durante il viaggio strinse amicizia con il chirurgo di bordo, George Bass, che aveva portato con sé una piccolissima barca lunga poco più di due metri e mezzo, spiritosamente battezzata Tom Thumb, ovvero 'Pollicino'. Fu su questa barca minima che nell'ottobre 1795 i due nuovi amici, accompagnati dal giovane servitore William Martin, salparono per Botany Bay per poi risalire il Georges River per una trentina di km. Nel marzo dell'anno successivo, con un'imbarcazione un poco più grande, Tom Thumb II, esplorarono la costa a sud di Port Jacskon fino al lago Illawarra, incappando in una serie di disavventure che finirono bene solo grazie all'aiuto di alcuni indigeni. Nel 1797 Matthew Flinders venne promosso luogotenente e gli fu affidato il comando dello schooner Francis con il quale esplorò le isole Fourneaux, un arcipelago a nord della Tasmania, avvistato nel 1773 dal comandante della Adventure, la nave appoggio della seconda spedizione Cook. L'anno successivo (con lui c'era di nuovo Bass) salpò al comando dello sloop Norfolk con l'ordine di scoprire se ci fosse uno stretto tra le Fourneaux e la Tasmania (che allora si chiamava ancora Terra di van Diemen, dal nome del suo scopritore olandese) e, in caso affermativo, di circumnavigare l'isola, mappando le ancora sconosciute coste nord e ovest. Il passaggio c'era, e Flinders lo chiamò stretto di Bass, in onore del suo amico e compagno d'avventure. Al suo ritorno, come secondo della Reliance, andò al Capo di Buona Speranza a ritirare un carico di bestiame per il Nuovo Galles del Sud; durante il viaggio di ritorno, in pieno Oceano indiano, una delle gatte di bordo partorì. Tra i piccoli, c'era anche un vivacissimo gattino nero con i piedi candidi e una stella bianca sul petto. Un giorno, giocando con i suoi fratellini, cadde fuori bordo; per nulla spaventato, nuotò fino allo scafo e risalì a bordo arrampicandosi su una cima. Flinders, colpito dalla sua bellezza, intelligenza e coraggio, decise di adottarlo e lo battezzò Trim, come il fedele attendente dello zio Toby del romanzo Tristam Shandy. Trim era dunque con lui (da quel momento non si sarebbero più separati) quando, ancora nel 1799 e sempre al comando del Norfolk, Flinders esplorò la costa a nord di Port Jacskon fino Hervey Bay. Non c'era Bass, partito per l'Inghilterra; lo accompagnavano invece suo fratello Samuel Flinders (all'epoca sedicenne), l'aborigeno Bungaree e un equipaggio di otto uomini. Nel marzo del 1800 Flinders rientrò in Inghilterra (Trim era con lui) e incontrò Joseph Banks, che ammirava molto, per chiedergli il suo sostegno per un nuovo progetto: la circumnavigazione dell'Australia, con la mappatura dei tratti di costa ancora inesplorati. Banks aderì con entusiasmo e usò tutta la sua influenza per convincere il re e l'ammiragliato, al momento molto più preoccupato per la guerra con la Francia. Probabilmente a vincere le ultime riluttanze fu anche la spedizione francese nelle Terre australi al comando di Baudin: sia Banks sia l'ammiragliato temevano che, dietro la facciata scientifica, ci fosse il progetto di insediare una colonia nell'Australia occidentale. Dunque, era proprio ora di saperne di più sul continente australe, prima che lo facesse qualcun altro. Per l'impresa fu scelta un'imbarcazione proveniente dalla marina mercantile, prontamente ribattezzata Investigator. Lunga appena una trentina di metri, aveva poco pescaggio, il che la rendeva adatta ad addentrarsi anche in tratti di costa accidentati; in compenso c'era ampio spazio per le provviste, senza dimenticare che poco si prestava all'impiego in battaglia. Sotto la supervisione di Banks, venne raddobbata eliminando i cannoni superflui e aggiungendo cabine in più per gli scienziati e una vera e propria serra viaggiante sistemata sul ponte. Flinders, nominato comandante dell'Investigator nel gennaio 1801, un mese dopo fu promosso luogotenente comandante e poté scegliere personalmente il suo equipaggio (in tutto 88 uomini), formato esclusivamente da volontari, e i suoi ufficiali; il secondo era suo fratello Samuel e il guardiamarina era suo cugino John Franklin (più tardi celebre per le sue esplorazioni dell'Artico). Lo staff scientifico e artistico fu invece scelto da Banks: era formato dall'astronomo John Crosley, che aveva già partecipato alla spedizione Vancouver ed era un esperto nella determinazione della longitudine; dal naturalista Robert Brow; dal giardiniere di Kew Peter Good; dall'illustratore botanico Ferdinand Bauer; dal pittore paesaggista William Westall; e (arrivato all'ultimo momento su raccomandazione di uno zio di Banks) dal giovane mineralogista John Allen. Il capo-gatto di bordo era naturalmente Trim. Un viaggio epico, un naufragio e una prigionia Seguiamo dunque le tappe dell'epico viaggio, sui cui risvolti naturalistici tornerò in un prossimo post. L'Investigator salpò da Portsmouth il 18 luglio 1801 e il 6 dicembre, via Capo di Buona Speranza, raggiunse Capo Leeuwin, l'estrema punta meridionale della costa occidentale della Nuova Olanda. Quindi proseguì in direzione est mappando la Grande Baia Australiana che, con le sue scogliere alte fino a 60 metri, faceva sembrare la piccola nave un guscio di noce. Il 20 gennaio 1802 gettò l'ancora in un grande golfo che Flinders battezzò Golfo Spencer; al tramonto del giorno successivo, una lancia inviata a terra si capovolse mentre tentava di raggiungere la nave in acque agitate. Nel fatale incidente perirono sei marinai, il quartiermastro John Thistle e il guardiamarina William Taylor. In loro ricordo, Flinders battezzò il promontorio Cape Catastrophe e l'ancoraggio Memory Cove. Dopo aver esplorato il golfo, il 21 marzo 1821 i britannici raggiunsero una grande isola dove videro molti canguri; ne uccisero una trentina: la loro carne fornì un gradito supplemento alla dieta. Grato per quella leccornia, Flinders battezzò l'isola Kangoroo Island. Proseguendo ancora lungo la costa in direzione est, l'8 aprile si videro venire incontro un veliero: Flinders capì subito che poteva trattarsi di una delle navi della spedizione Baudin. Era infatti il Géographe. Che cosa accadde in quel celebre incontro l'ho già raccontato in questo post. Dopo aver salutato i francesi, l'Investigator continuò la rotta lungo la costa, esplorando l'isola King e Port Philip (dove poi sorgerà la città di Melbourne); il 9 maggio entrava a Port Jackson. Flinders incontrò il governatore King che gli raccomandò di concentrare la sua attenzione sullo stretto di Torres, la costa nord occidentale e il golfo di Carpentaria; dispose anche che in funzione di vascello d'appoggio lo accompagnasse la Lady Nelson, comandata da John Murray. Sia la nave sia l'equipaggio erano provati dal viaggio, e le riparazioni, l'approvvigionamento e il reclutamento di nuovi uomini imposero una sosta di dodici settimane. Le due navi così poterono salpare in direzione nord solo il 22 luglio. A bordo dell'Investigator c'erano anche due indigeni, Bungaree e Nanbaree, con il delicato compito di mediare con le tribù locali durante gli scali; non ne conoscevano le lingue, ma aveva almeno un'idea dei protocolli da rispettare e si rivelarono molto utili. Benché i due velieri fossero abbastanza diversi per velocità e pescaggio, riuscirono a coordinarsi a sufficienza; la Lady Nelson, con il suo scafo piatto, fu fondamentale per esplorare Keppel Bay, Shoalwater Bay e Broad Sound; tuttavia, in più di un'occasione si arenò sui banchi di sabbia, riportando gravi danni alla chiglia. Le due navi erano ancora insieme quando furono scoperti Port Curtis e Port Bowen (poi ribattezzato Port Clinton) e il 29 settembre gettarono l'ancora nelle isole Percy, da cui ripartirono il 4 ottobre alla ricerca di un passaggio attraverso la barriera corallina; l'Investigator perse un'ancora, mentre la Lady Nelson ne perse una e danneggiò l'altra. Flinders decise di rinviarla a Port Jackson, mentre, lui rinunciando a cercare un altro passaggio, proseguiva direttamente per lo stretto di Torres e il golfo di Carpentaria, in cui entrò il 4 novembre. La costa fu attentamente cartografata fino alla Terra d'Arnheim, ma la nave teneva sempre peggio il mare. I carpentieri, esaminando lo scafo, dovettero constatare che il fasciame era marcio e non avrebbe retto per più di sei mesi; inoltre tra i membri dell'equipaggio incominciava ad imperversare lo scorbuto. Flinders dovette rinunciare a malincuore a proseguire l'esplorazione della costa settentrionale, facendo vela per Timor. Sperava di potervi acquistare una nave di ricambio, ma dovette accontentarsi di riempire la stiva dell'Investigator di acqua e provviste per il viaggio di ritorno; inoltre, in quello scalo malsano molti si ammalarono di dissenteria; tra di loro il giardiniere Peter Good, che ne sarebbe morto pochi giorni dopo l'arrivo nella baia di Sidney. Il viaggio, limitando al minimo gli scali e le misure idrografiche, proseguì lungo le coste ovest e sud dell'Australia. Il 9 giugno 1803, quasi un anno dopo la partenza, l'Investigator rientrava nel porto di Sidney; era la prima nave a compiere la circumnavigazione dell'Australia, ma era ormai condannata: il suo scafo era in condizioni tali da risultare inservibile e non riparabile. Flinders decise di imbarcarsi per l'Inghilterra per chiedere un'altra nave con cui riprendere l'esplorazione. Con il suo amato gatto e l'artista William Westall, il 10 agosto si imbarcò come passeggero sulla Purpoise diretta a Canton insieme ad altre due navi, la Cato e la Bridgewater. Il 17 agosto i tre vascelli si imbatterono in banco di sabbia e nello stretto spazio di manovra, i primi due finirono sulla barriera corallina, affondando rapidamente. Il capitano della Bridgewater, pensando non ci fossero sopravvissuti, si allontanò (cosa che gli fu duramente rimproverata da Flinders). Invece quasi tutti si erano salvati, compreso il gatto Trim, raggiungendo a nuoto il banco di sabbia. Dopo una settimana di inutile attesa, non vedendo arrivare soccorsi, Flinders e il comandante della Cato, John Park, riuscirono a recuperare una lancia, che battezzarono Hope, 'Speranza', a bordo della quale l'8 settembre raggiunsero Port Jackson con un memorabile viaggio di 800 miglia, percorse in dodici giorni. Due navi furono inviate a recuperare i 94 sopravvissuti. Flinders non rinunciava al suo proposito di rientrare al più presto in patria. L'unica nave disponibile era però del tutto inadatta allo scopo: si trattava del minuscolo schooner Cumberland, una nave con un equipaggio di soli cinque uomini, fino ad allora adibita al trasporto di granaglie; nella sua fretta, egli ne accettò il comando e salpò alla volta dell'Inghilterra; tuttavia la nave era in pessime condizioni e imbarcava tanta acqua che il 17 dicembre Flinders fu costretto a approdare a Mauritius in cerca di soccorso. Gli era noto che tra Francia e Inghilterra erano riprese le ostilità, ma contava di essere trattato con la medesima magnanimità con la quale Baudin (morto proprio a Mauritius tre mesi prima) era stato accolto a Port Jackson. Si sbagliava: la nave fu sequestrata e Flinders posto agli arresti con l'accusa di spionaggio. Per qualche tempo gli fu di consolazione il gatto Trim, che aveva compiuto con il suo umano anche l'ultimo viaggio; ogni tanto il felino riusciva a sgattaiolare fuori dalla prigione, ma un giorno non fece più ritorno. Probabilmente, pensò Flinders, era finito nella pentola di qualche morto di fame. Il capitano, che lo aveva amato molto, gli dedicò un epitaffio e un tributo biografico, allo stesso tempo tenero e pieno di umorismo. Non gli mancava il tempo per scrivere e rivedere le sue note e le sue carte. Dopo qualche mese di detenzione, poté alloggiare presso amici e riacquistare la libertà personale, ma fu trattenuto nell'isola per ben sei anni e mezzo, fino al giugno 1810 quando gli inglesi occuparono Mauritius. Nell'ottobre 1810, dopo oltre nove anni d'assenza, Flinders rivide finalmente il suolo inglese; nonostante fosse in cattiva salute, si mise immediatamente al lavoro per completare la relazione ufficiale del viaggio, A Voyage to Terra Australis. Il lavoro lo impegnò per più di tre anni e fu pubblicato il 19 giugno 1814. Flinders era morto proprio il giorno prima, a soli quarant'anni. A gennaio aveva però avuto la soddisfazione di vedere la pubblicazione della sua carta dell'Australia, che, sebbene preceduta da quella di Freycinet del 1811, la superava di gran lunga per completezza e precisione. Nel 1804 aveva inviato in patria la carta con le parti del continente mappate nella prima parte del suo viaggio e, invece del consueto nome Terra Australis, aveva usato la forma Australia, la cui "invenzione" gli è dunque generalmente accreditata. Alberi belli e imponenti In appendice a A Voyage to Terra Australis, il naturalista della spedizione Robert Brown pubblicò una nota generale sulla flora australiana (A general Remarks, geographical and systematical, on the Botany of Terra Australis) e la descrizione delle piante disegnate da Bauer e pubblicate nell'Atlante allegato all'opera. Ad aprire la serie è doverosamente Flindersia, il genere che Brown dedicò al suo capitano con queste parole: "Questo albero di dimensioni moderate fu osservato, tanto in fiore quanto in frutto, nel settembre 1802 nelle boscaglie nei pressi del capo del Broad Sound, sulla costa orientale della Nuova Olanda, a circa 23° di latitudine sud. Contemporaneamente l'esplorazione del Broad Sound fu completata dal capitano Flinders, per commemorare i cui meriti ho scelto questo genere tra quelli in numero considerevole scoperti durante la spedizione di cui fu l'abile e attivo comandante". Flindersia R.Br. (famiglia Rutaceae) è un genere di circa diciassette specie di alberi distribuiti tra le Molucche, Papua Nuova Guinea, l'Australia, la Nuova Caledonia e le isole Salomone. Quindici specie, dodici delle quali endemiche, sono presenti in Australia, che è il centro di diversità del genere. La maggior parte cresce nella foresta pluviale, ma quattro specie si sono adattate ad ambienti aridi o semi aridi: ad esempio F. dissosperma cresce nelle macchie aride del Queensland centro-orientale, spesso associata ad Acacia arpophylla e Eucalyptus populnea, mentre F. maculosa si trova in ambienti aridi e sabbiosi dell'interno, dal Queensand centrale al Nuovo Galles del Sud sud-occidentale. Di dimensioni da medie a grandi, sempreverdi o decidui, sono alberi di bell'aspetto che vengono anche utilizzati in giardini, parchi e viali cittadini, apprezzati anche per i fiori, piccoli, a stella, ma raccolti in grandi pannocchie terminali per lo più crema, spesso gradevolmente profumati. Si fanno notare anche i frutti, lunghe capsule legnose, per lo più armate di spinose dalla punta arrotondata; si aprono in cinque valve che ricordano una stella a cinque punte. Tra le specie più note, F. australis, abbastanza adattabile da vivere in natura sia nelle foreste pluviali sia nelle macchie aride del Queensland e del Nuovo Galles del Sud; può crescere fino a 40 metri e negli esemplari più grandi sviluppa un tronco a contrafforte, ma negli ambienti più aridi è decisamente più piccolo. Presenta una densa chioma arrotondata, una copiosa fioritura in bianco-crema e i caratteristici frutti spinosi. Il legname dai colori caldi, noto come teak australiano, forte e durevole, un tempo era tradizionalmente usato nelle costruzioni navali ed è molto apprezzato per mobili, parquet e strumenti musicali. Diversi esemplari di questa specie, come pure di F. schottiana, sono stati piantati lungo i viali di Brisbane. Altre specie sono invece endemiche di piccole aree e in alcuni casi sono a rischio. Tra le prime, citiamo F. oppositifolia, limitata alle foreste di altitudine del Bellenden Ker Range nel Queensland settentrionale; si distingue dalle altre specie per i fiori rosso scuro. Tra le seconde, F. ifflaiana, non solo ristretta a aree limitate di Papua Nuova Guinea e del Queensland, ma anche in pericolo per l'eccessivo sfruttamento; in passato è stata infatti uno dei più importanti alberi da legname. Ulteriori informazioni su altre specie di questo interessante genere nella scheda. Nell'Inghilterra vittoriana c'è una vera e propria esplosione dell'interesse per la botanica e il giardinaggio, alimentato tra l'altro da libri e riviste magnificamente illustrati, dai prezzi relativamente contenuti e accessibili a un vasto pubblico. E' un mercato in crescita, che dà lavoro a molti illustratori che non di rado sono illustratrici. Poche di loro sono ricordate e quasi nessuna ha avuto la ventura di essere celebrata da un genere botanico. Tra le poche eccezioni, la misteriosa miss Drake, che per sedici anni fu la principale collaboratrice dell'indaffaratissimo botanico John Lindley, il "padre dell'orchidologia". Per lui dipinse più di mille tavole, dando il meglio di sé proprio nel ritrarre le orchidee; Lindely dunque non poteva che dedicarle un genere di questa affascinante famiglia, la curiosissima Drakaea. Un'illustratrice enigmatica Per molte donne britanniche dell'Ottocento occuparsi di botanica è stato un affare di famiglia. Non avevano accesso né all'università né alle istituzioni scientifiche, ma come figlie e mogli di scienziati non solo si trovarono immerse in un ambiente ricco di stimoli, ma spesso vennero coinvolte in prima persona nelle attività scientifiche dei congiunti, raccogliendo esemplari, tenendo in ordine appunti ed erbari e soprattutto disegnando. Il caso più eclatante è quello di quattro generazioni di mogli, figlie, nuore legate alla più illustre famiglia botanica inglese, gli Hooker. La capostipite di questa linea di "botaniche di famiglia" è Mary Dawson Turner (1774-1850), nata Palgrave, un'eccellente ritrattista, che illustrò le opere naturalistiche e antiquarie del marito Dawson Turner, in particolare Synopsis of British Fuci (1802) e Natural History of Fuci (1808-1891), e trasmise il suo talento alle figlie Elizabeth e Maria Sarah (1797-1872). Quest'ultima sposò William Dalton Hooker, raccolse per lui diverse specie di muschi e li disegnò insieme alla sorella. Anche il figlio Joseph Dalton Hooker sposò la figlia di un botanico, Frances Harriet Henslow (1825-1874), figlia del titolare della cattedra di botanica di Cambridge John Stevens Henslow; le conoscenze botaniche della signora Hooker erano ben più di un'infarinatura e le permisero di tradurre dal francese un'opera di alto impegno teorico, il Traité général de botanique di Le Maout e Decaisne, poi pubblicato a cura del marito (A General System of Botany, 1872). A sua volta la loro figlia maggiore Harriet Anne (1854–1945) sposò il botanico William Turner Thiselton-Dyer e divenne un'illustratrice professionista, producendo non meno di cento tavole per il Curtis' s Botanical Magazine diretto dal padre. Il caso non è affatto isolato: si potrebbe continuare citando Jane Wells Webb Loudon, moglie del botanico e architetto del paesaggio John Claudius Loudon, che, iniziata dal marito alla botanica e al giardinaggio, imparò l'arte dell'illustrazione botanica e divenne una prolifica autrice di libri di giardinaggio rivolti specificamente a un pubblico femminile, come il popolarissimo Gardening for Ladies, da lei stessa illustrato; oppure le figlie del botanico Benjamin Maund che dipinsero molte tavole per The Botanic Garden edito dal padre, firmandosi semplicemente miss Maund (ecco perché non ne conosciamo neppure il nome); o ancora Margaret Roscoe nata Lace che illustrò Monandrian Plants of the Order Scitamineae (1828) del marito William Roscoe. A lungo si è pensato che rientrasse in questa categoria familiare anche la misteriosa miss Drake o miss S.A. Drake che per sedici anni fu la principale illustratrice delle opere del botanico ed orchidologo John Lindley; dato che viveva con la famiglia, si è dedotto che fosse la classica parente povera. In realtà anche se pure Anne Sarah Drake (1803-1857) dovette il suo ingresso nel mondo dell'illustrazione botanica a un legame personale con un'eminente figura maschile, non aveva legami familiari con Lindley. Era piuttosto un'amica di famiglia, o almeno una conoscente: era nata in un villaggio del Norfolk non lontano dal paese di origine di Lindley, aveva frequentato la stessa scuola di sua sorella Ann di cui era amica, non sappiamo quanto intima. Per altro non sappiamo nulla né della sua condizione sociale né della sua formazione; alcune fonti riferiscono di un soggiorno a Parigi durante il quale potrebbe avere studiato pittura. Ugualmente ignoriamo in seguito a quali circostanze e con quali mansioni nel 1830 si sia trasferita nella casa dei Lindley a Turnam Green; l'ipotesi più gettonata è che sia stata assunta come bambinaia-istitutrice dei tre piccoli figli di John e Sarah Lindley: Sarah di quattro anni, Nathaniel di due e Barbara di pochi mesi. E' però possibile che Lindley l'abbia ingaggiata proprio per il suo talento artistico. Nel 1829 l'indaffaratissimo botanico, che già da tempo era segretario dell'Horticultural Society, era stato nominato primo professore di botanica all'Università di Londra e aveva assunto la direzione dell'Edwards's Botanical Register. Egli stesso un eccellente disegnatore che fino ad allora aveva illustrato di persona le proprie opere, aveva troppi impegni professionali per occuparsi anche delle tavole illustrate della rivista. Dunque è possibile che fin da subito miss Drake sia stata una sorta di ibrido tra amica di famiglia, bambinaia, governante tutto fare e collaboratrice di Lindley, che sicuramente le insegnò i segreti dell'illustrazione botanica, trovando in lei un'allieva pronta e dotatissima. Certo è che già nel 1831 i disegni firmati miss Drake cominciano ad affiancare quelli dello stesso Lindley nell'Edwards's botanical register. Presto ne diverrà l'artista principale, disegnando nell'arco di sedici anni (la rivista cesserà le pubblicazioni nel 1847) oltre mille tavole. Era l'impegno maggiore ma non il solo della prolifica illustratrice. Sempre per Lindley, disegnò le illustrazioni di Ladies' Botany, un'opera divulgativa in due volumi rivolto a "quelle che desiderano accostarsi alla botanica come divertimento e svago", in cui, opponendosi al sistema artificiale di Linneo, il botanico inglese adottò il sistema naturale di Antoine Laurent de Jussieu. Tra il 1837 e il 1841 uscì quello che possiamo considerare il capolavoro congiunto di botanico e illustratrice, Sertum Orchidaceum: a Wreath of the Most Beautiful Orchidaceous Flowers, in cui Lindley descrisse e Drake illustrò 46 orchidee scelte tra le più belle e spettacolari. Occasionalmente, Lindley prestò la sua illustratrice a qualche amico. Alcune tavole firmate miss Drake compaiono in Plantae Asiaticae Rariores (1830-1832) di Nathaniel Wallich, Illustrations of the botany and other branches of the natural history of the Himalayan Mountains (1839) di John Forbes Royle e in The Botany of HMS Sulphur (1844–1846), con testi di George Bentham. Contribuì inoltre con sedici tavole alla monumentale Orchidaceae of Mexico and Guatemala di James Bateman, celebre per essere l'opera botanica più "pesante" di tutti i tempi (in senso letterale: oltre 17 chili). Le orchidee (di cui Lindely era il massimo specialista dei suoi tempi - i tempi dell'orchidelirium) erano indubbiamente il soggetto preferito di Drake e quello in cui toccò il vertice della sua arte. Nel corso della sua carriera ne ritrasse ben 325 (ovvero circa un quarto della sua produzione). Le dipingeva dal vivo, ma senza allontanarsi più di tanto da casa Lindley: per qualcuna le toccò andare ai Kew Gardens, molte le ritrasse nei vivai Loddiges di Hackney, che - si dice - avevano allestito una mostra di orchidee appositamente per lei. Nel 1847, a causa di problemi finanziari, il Botanical Register cessò le pubblicazioni, segnando anche la fine della carriera artistica di miss Drake. Quasi da un giorno all'altro, la pittrice sparì di scena. Non era morta, come ha pensato qualche studioso, ma era tornata nel Norfolk, dove visse ancora qualche anno, prima con un vecchio zio, poi con il marito, un ricco fattore sposato nel 1852. Non risulta che abbia più dipinto. Il fallimento della rivista non basta a spiegare questa improvvisa eclissi. Forse erano intervenuti problemi di salute: l'abbassamento della vista o il manifestarsi dei primi sintomi del progressivo avvelenamento che potrebbe averla portata alla morte a cinquantaquattro anni nel 1857 (anche se ufficialmente morì di diabete). In effetti, molti dei pigmenti utilizzati dai pittori dell'epoca erano tossici. Anche da lontano, i suoi rapporti con la famiglia Lindley dovettero rimanere improntati al reciproco affetto, come si evince da una lettera di Sarah Lindley in cui annuncia il matrimonio della "vecchia amica Ducky", come la chiamavano familiarmente. Il legame doveva essere particolarmente stretto proprio con la figlia maggiore dei Lindley: introdotta da Ducky ai segreti dell'illustrazione botanica, fin dal 1842 aveva incominciato a collaborare alle opere del padre, disegnandone le illustrazioni in bianco e nero. Insomma, un'altra "botanica di famiglia". Orchidee ingannatrici e a rischio Tra le numerose illustratrici botaniche della prima metà dell'Ottocento, Sarah Anne Drake è una delle pochissime dedicatarie di un genere, e l'unica a cui spetta un genere valido; segno della scarsa considerazione in cui erano tenute rispetto ai loro colleghi maschi, che ricevevano regolarmente quell'onore dai loro committenti. Non c'è bisogno di dire che l'omaggio arrivò da John Lindley, che ovviamente scelse un'orchidea. Non però una delle sontuose orchidee epifite che facevano impazzire i collezionisti e che la stessa miss Drakea amava dipingere, ma una modesta e curiosa orchidea terrestre australiana, Drakaea elastica. Oggi al genere Drakaea sono attribuite dieci specie, tutte endemiche dell'Australia sud-occidentale. Sono note con il nome comune "orchidee martello" per la forma del labello e il suo movimento all'indietro quando viene impollinato. Il fiore di queste piccole orchidee è infatti caratterizzato da un labello retto da un gambo sottile che ricorda per forma, colore e odore una femmina di vespa thynnide. In questo gruppo di vespe, le femmine sono incapaci di volare. Quando emergono dal terreno, si arrampicano su uno stelo d'erba e emettono un feromone che attira i maschi. Questi ultimi volano a zig-zag in cerca delle femmine; quando un maschio rileva il feromone, si posa sulla femmina, la afferra e vola via con lei verso una fonte di cibo. Le orchidee Drakaea producono una sostanza chimica che imita il feromone di queste vespe. Il maschio, attratto da questo odore, scambia il labello dell'orchidea per una femmina, vi si posa e cerca di staccarlo, facendo muovere all'indietro il gambo che lo trattiene; in tal modo il torace dell'insetto viene a trovarsi a contatto con un pacchetto di polline appiccicoso. Dopo un po' la vespa si stufa e vola via, alla ricerca di una femmina più disponibile. Se si fa ingannare un'altra volta e visita una seconda orchidea, questa viene impollinata dal polline rimasto sul suo torace. Un metodo un po' rischioso se pensiamo che ciascuna delle dieci specie di Drakaea è tendenzialmente impollinata da un insetto specifico. Nessuna di esse è abbondante, una è presumibilmente già estinta e sei sono vulnerabili o a rischio, per un complesso di ragioni che includono anche la rarità degli insetti impollinatori. Non sempre conviene specializzarsi troppo! Qualche informazione in più e una lista delle specie con la distribuzione e lo stato di conservazione nella scheda. Nel 1856, una giovane lady, Marianne North, va a visitare i Kew Gardens insieme all'amato padre; il direttore William Jackson Hooker, che è anche un amico di famiglia, le dona un fascio di fiori di Amherstia nobilis, che per la prima volta è giunta a fioritura nelle serre del giardino. Sono i fiori più grandi e belli che Marianne abbia mai visto, e portano il nome di una signora che si è resa benemerita della botanica con le sue raccolte di piante. In lei si rafforza un proposito: visitare i tropici per dipingere nel loro ambiente naturale quella e altre meraviglie in natura. Potrà realizzare questo sogno quando la morte del padre la renderà indipendente e le permetterà di viaggiare come desidera. Nell'arco di vent'anni, visiterà uno dopo l'altro tutti i continenti e dipingerà più di ottocento quadri, per sua volontà esposti in un apposito padiglione a Kew. Con la loro originale ed accurata raffigurazione in situ di piante di tutto il mondo, oltre ad essere un'opera d'arte ineguagliabile, sono anche un importante documento scientifico. L'amico Hooker le dedicò Northia seychelliana, una delle tante specie esotiche che la pittrice dipinse e contribuì a fare conoscere. Storia di una pittrice sempre in viaggio Nei Kew Gardens, dirimpetto al fianco ovest della serra temperata, sorge uno strano padiglione in mattoni dallo stile indefinibile: molte alte finestre, un frontone vagamente palladiano, una veranda vagamente indiana. Eccoci entrati: siamo in una vasta sala, con le pareti letteralmente tappezzate di quadri: sono paesaggi, mazzi di fiori, ma soprattutto piante nel loro ambiente naturale, con forme plastiche e colori luminosi. E' la Marianne North Gallery e quei quadri, più di ottocento, li ha dipinti una donna e un'artista fuori del comune. Marianne North (1830-1890), per nascita ed educazione, avrebbe potuto essere una lady vittoriana come tante. Il padre Frederick North era un ricco proprietario terriero e un uomo politico del partito liberale, più volte deputato per il distretto di Hastings nell'East Sussex; anche la madre Janet Majorbanks apparteneva a una famiglia dell'élite economica e politica. Destinata ad essere moglie, madre, padrona di casa, la bimba ricevette una scarsa educazione formale; ma l'ambiente della sua famiglia, frequentato da artisti e scienziati, era stimolante e fu incoraggiata a coltivare il canto e il disegno, due hobbies ritenuti convenienti a una ragazza del suo ceto. La famiglia amava viaggiare; oltre ai frequenti spostamenti tra una e l'altra delle diverse residenze o verso Londra, tra il 1847 e il 1850 ci fu un gran tour di tre anni attraverso l'Europa, cui parteciparono anche i tre ragazzi North (oltre a Marianne, i più giovani Catherine e Charles). Nel 1855 la madre, sul letto di morte, fece promettere a Marianne che non avrebbe mai abbandonato il padre; così a venticinque anni la giovane donna diventò la padrona di casa e rinunciò a sposarsi. Non era un sacrificio: più tardi definirà il matrimonio "un esperimento rischioso" in cui la moglie è "una specie di serva di livello più alto". Al padre per altro era legatissima. Ogni estate, quando le sedute del parlamento erano sospese, partiva con lui e la sorella per una nuova destinazione; insieme visitarono Svizzera, Austria, Spagna, Italia e Grecia, spingendosi fino al Bosforo. Come tutti i viaggiatori del suo tempo, Marianne teneva un diario e un quaderno di schizzi e cominciò a sperimentare le prime vedute ad acquarello. Tra gli amici del padre c'era anche William Jackson Hooker. Marianne amava visitare le serre di Kew, colme di piante esotiche. Nelle sue memorie, racconta in particolare una memorabile visita del 1856, durante la quale Hooker le fece omaggio di uno splendido ramo fiorito di Amherstia nobilis, la spettacolare pianta birmana dedicata a lady Amherst; quei fiori, scriverà nelle sue memorie "mi fecero desiderare anche di più di visitare i tropici". Nel 1864 Charlotte si sposò e l'anno dopo Frederick perse il seggio il parlamento. Poco male: c'era più tempo per viaggiare! Spingendosi oltre l'ormai familiare Europa, padre e figlia poterono così visitare le isole greche, Cipro, l'Egitto e la Siria. Nel 1867 Marianne incominciò a prendere lezioni di pittura ad olio; da quel momento sarebbe divenuta la sua tecnica esclusiva, anzi il suo vizio, come lei lo definì: "da allora non ho fatto altro. Dipingere ad olio è un vizio come bere alcoolici, una volta che si impossessa di te non puoi più smettere". Nel 1869, mentre si trovavano nelle Alpi bavaresi, Frederick North si ammalò; Marianne riuscì a riportarlo a casa, ma poco dopo egli morì. La donna ne fu devastata: aveva perso non solo un padre, ma il suo unico amico e compagno. "Ora devo imparare a vivere senza di lui - scrisse - e a riempire la mia vita come meglio posso con altri interessi". Quegli interessi saranno i viaggi e la pittura. Dopo due anni di lutto, in cui cercò di trovare pace anche con un viaggio in Sicilia, la vera svolta arrivò nel 1871: approfittando dell'invito di un'amica, Marianne, a cui il padre aveva lasciato una sostanziosa eredità, vendette la casa di Hastings Lodge e partì per il primo dei suoi viaggi. E lo fece da sola: in Sicilia aveva avuto la compagnia di una domestica, ma era un'esperienza da non ripetere. In due anni, visitò il Canada, gli Stati Uniti, poi i Caraibi, la Giamaica e infine il Brasile, dove per molti mesi visse in una capanna nella foresta. Era un sogno divenuto realtà: "A lungo ho sognato di andare in qualche paese tropicale per dipingerne la peculiare vegetazione sul posto in tutta la sua naturale lussureggiante abbondanza". Nel settembre 1873 ritornò in Inghilterra con un centinaio di quadri. Dopo due anni era pronta per un'avventura ancora più ambiziosa: il suo primo giro del mondo. La prima tappa fu Tenerife dove si fermò per circa tre mesi; poi proseguì alla volta della costa occidentale degli Stati Uniti. In California visitò Yoshemite e diversi altri siti, sconvolta e indignata dall'opera devastatrice dei boscaioli che andavano abbattendo esemplari millenari di sequoia gigante. Passò poi in Giappone dove contrasse una febbre reumatica che le avrebbe per sempre condizionato la vita. Per tornare in Inghilterra, scelse un itinerario inconsueto, che le permise di ritrovare i paesaggi (e le piante) tropicali che prediligeva: Sarawak, in Borneo, all'epoca governata dai britannici, dove scoprì la più grande specie di Nepenthes (Hooker in suo onore la denominò N. northiana), Giava e Sri Lanka. Di ritorno a casa nel marzo 1877, ne approfittò per la sua prima esposizione alla Kensington Gallery. Ma già nel settembre 1878 ripartì, questa volta per l'India, dove visse, viaggiò e dipinse per sei mesi. Viaggiava sola, affrontando con coraggio disagi e pericoli; per trovare aiuto e ospitalità, poteva però giovarsi della rete di contatti garantiti dal suo status sociale e dalle amicizie della sua famiglia. Tornò da quel viaggio con altri duecento dipinti. Incominciava a porsi il problema di dove esporli, anche per sottrarsi alle visite sempre più importune dei tanti che bussavano alla sua porta per ammirarli. Decise così di rivolgersi al vecchio amico William Jackson Hooker: avrebbe donato ai Kew Gardens i suoi dipinti e avrebbe finanziato la costruzione dell'edificio atto ad ospitarli, a patto che vi venissero esposti in esposizione permanente senza alterare la disposizione da lei stessa scelta. La proposta fu accettata, così come il progetto affidato all'architetto James Ferguson con la supervisione di Marianne; i lavori iniziarono già nel 1880. Intanto Hooker aveva presentato a Marianne un altro amico: il grande scienziato Charles Darwin. Fu lui a suggerire all'intrepida pittrice una nuova meta: l'Australia e la Nuova Zelanda. Ed eccola in partenza per il secondo giro del mondo, le cui tappe furono il Borneo, l'Australia, la Nuova Zelanda, le Hawaii e nuovamente la California. La flora australiana e neozelandese, così diversa e inconsueta, le ispirò ben 300 nuovi dipinti. Al suo ritorno in Inghilterra nel 1881, North andò a fare visita a Darwin per portargli in dono un curiosissimo arbusto neozelandese, Raoulia eximia: con le sue forme arrotondate e le foglie lanose, visto da una certa distanza può essere scambiato per una pecora, tanto da farlo soprannominare "Australian Sheep". Gli mostrò anche alcuni dei suoi quadri, che deliziarono Darwin con la loro vivezza. L'edificio che avrebbe ospitato i suoi dipinti era ormai pronto e Marianne fu assai impegnata nella sistemazione dei quadri; con il nome di Marianne North Gallery, venne aperto al pubblico il 9 luglio 1882. Fu un successo straordinario: a un mese dall'inaugurazione il catalogo aveva già venduto oltre 2000 copie. La regina Vittoria scrisse personalmente alla pittrice per ringraziarla e per esprimere il suo rammarico che per le donne non fosse previsto un titolo equivalente al cavalierato. Ma Marianne non aveva tempo per rammaricarsi insieme a lei. Dopo appena due mesi dall'inaugurazione della galleria, era di nuovo in viaggio alla volta di Cape Town, dove arrivò nell'agosto 1882. Rimase in Sudafrica circa un anno, visitando diverse località (ma qui muoversi era più facile, con treni e battelli di linea); tra l'altro, fu ospite per alcuni giorni di un'altra pittrice botanica, Katherine Saunders. Ne apprezzò tanto il lavoro da far aggiungere un locale alla sua galleria per ospitarne le opere. Trascorse l'inverno successivo alle Seychelles, dove fu la prima a dipingere una pianta poco nota. Grazie agli esemplari che ne riportò, Hooker capì che si trattava di un nuovo genere e la battezzò in suo onore Northia seychellana. Nel 1884-1885 l'ultimo viaggio la portò in Cile a dipingere dal vivo le araucarie (un altro suggerimento di Darwin). Ormai la salute si stava facendo precaria e viaggiare non era più possibile; nel 1886 andò a vivere a Mount House Alderley nel Gloucestershire, dedicandosi alla stesura delle sue memorie, per le quali scelse un titolo bellissimo: Recollections of a Happy Life, ovvero "Ricordi di una vita felice". Morì nel 1890, prima di poterle pubblicare. A curarne la pubblicazione fu perciò sua sorella Catherine. Northia, da un Eden minacciato Originale nelle sue scelte di vita, Marianne North lo è stata anche come artista botanica. In primo luogo, non era un'illustratrice, ma una pittrice: lei dipingeva quadri da esporre come oggetto artistico in sé, non tavole botaniche a corredo di un testo a stampa. Non a caso abbandonò l'acquarello, trasparente e veloce, per l'olio, materico e lento. Le sue opere non rispettano nessuna delle convenzioni dell'illustrazione botanica: niente soggetto isolato e "vivisezionato" sulla pagina bianca, ma piante ritratte nel loro contesto naturale, come in una fotografia. In un certo senso, la sua pittura è più vicina alla natura morta (un soggetto ampiamente praticato dalle pittrici, basti pensare al Seicento olandese) e non pochi dei suoi quadri rientrano perfettamente in questo genere, con diversi soggetti estratti dal loro ambiente e ricomposti a formare un insieme artificiale. Dipinse anche molti paesaggi, abbastanza canonici non fosse per i colori spesso sorprendenti. Ma le sue inquadrature preferite erano molto più originali, così caratteristiche da essere quasi una firma: in molti quadri, il soggetto vegetale (non di rado un ramo di fiori dai colori rutilanti) è posto in primo piano a fare da quinta al paesaggio che sfuma sullo sfondo; in altri, ad occupare tutto lo spazio è invece il soggetto vegetale (o animale, perché anche molti animali popolano il mondo di Marianne North) dilatato come in una fotografia con il teleobiettivo. Non meno speciali i colori, sempre luminosi e vividi. Quasi sempre, almeno a me, i quadri di Marianne North (persino quelli con un soggetto in sé doloroso, come la sequoia caduta di Calaveras Grow) trasmettono felicità, riflesso di quella che provò la pittrice a dipingerli. Alla fine del post, trovate una gallery con le immagini di una piccola selezione dei suoi quadri. Ma per conoscerla davvero, tocca andare a Londra a fare visita non una, ma molte volte alla Marianne North Gallery dove troverete ben 832 delle sue tele. I quadri di Marianne North sono allo stesso tempo visionari e realistici, con i soggetti dipinti con un'accuratezza tale da soddisfare qualsiasi botanico. In un'epoca in cui la fotografia era ancora agli esordi, hanno anche un valore documentario. Grazie ad essi, ma anche alle piante che riportò dai suoi viaggi, lei che non possedeva una formazione scientifica formale riuscì a ricavarsi uno spazio proprio nell'ambiente dei naturalisti, con amicizie del calibro di Hooker e Darwin. La stima che la circondava è anche attestata dalle piante che le furono dedicate. Abbiamo già visto il caso di Nepenthes northiana e di Northia seychellana, entrambi omaggi dell'amico Hooker; due denominazioni giunsero anche da John Gilbert Baker, il curatore dell'erbario di Kew: l'asiatico Crinum northianum (oggi sinonimo di Crinum asiaticum var. asiaticum) e la sudafricana Kniphofia northiae. Ma è ora di parlare del genere Northia (famiglia Sapotaceae); oggi è monotipico, perché l'unica specie accettata è N. seychellana, un albero endemico delle Seychelles, mentre altre tre specie (N. fasciculata, N. hoshinoi e N. vitiensis) sono state trasferite al genere Manilkara. Presente in diverse isole dell'arcipelago, dove spesso costituisce la specie dominante della foresta sempreverde dei versanti superiori a 600 metri, con umidità costante e frequenti banchi di nebbia, è un albero che può superare i venti metri, anche se solitamente è assai più piccolo. Molto caratteristiche le lunghe foglie con margini quasi paralleli, arrotondate solo all'apice e alla base, coriacee, con pagina superiore verde scuro e pagina inferiore tomentosa da dorata a rossastra; i fiori, insignificanti, brunastri, con corolla a campana e sei lobi, sono seguiti da frutti verdastri della forma e delle dimensioni di un uovo di gallina. Purtroppo anche questa specie è minacciata per la restrizione del suo ambiente naturale. Jean-Baptiste Leschenault de La Tour è stato definito da Lucille Allorge "il più viaggiatore dei botanici viaggiatori". In effetti, da quando ventisettenne si imbarcò sul Géographe alla volta dell'Australia, non smise mai di spostarsi da un paese all'altro, eccetto quando ne fu impedito dalla guerra. Dal 1800 al 1803 fu appunto il botanico (l'unico rimasto) della spedizione Baudin nelle Terre Australi; sbarcato malato a Timor, si spostò a Giava, dove rimase tre anni a botanizzare in un ambiente naturale ricchissimo e quasi inesplorato. Dal 1807 al 1815 la guerra lo bloccò in Francia; ma, appena tornata la pace, eccolo ad esplorare l'India meridionale. Ritornò in patria solo nel 1822, ma dopo meno di un anno ripartì, alla volta del Sud America. La salute precaria (che già lo aveva tradito altre volte) lo costrinse a un rientro anticipato, l'ultimo. Si potrebbe però anche definirlo botanico coloniale perché dedicò quasi metà della sua vita a cercare piante adatte alla naturalizzazione nelle colonie francesi. A ricordarlo il bellissimo genere australiano Lechenaultia (o Leschenaultia), omaggio dell'amico Robert Brown. Australia, India, Sud America Non conosciamo molto della giovinezza di Jean-Baptiste Leschenault de La Tour (1773-1826), soprattutto ignoriamo per quali vie si fosse avvicinato alla botanica. Nel 1798 dalla natia Borgogna si traferì a Parigi e si presentò a Antoine Laurent de Jussieu, nella speranza di essere ammesso come allievo al Museum National d'Histoire naturelle. Probabilmente ci riuscì, visto che Jussieu, nel sostenere la sua candidatura per la spedizione Baudin alle Terre australi, lo presenta come allievo dell'istituto. Si dice che Leschenault l'avesse presentata spinto dal motivo apposto rispetto allo zoologo François Péron: questi voleva partire perché il padre di lei gli aveva rifiutato la mano della ragazza che amava, lui invece voleva sottrarsi a un matrimonio mal riuscito. Come che sia, Jussieu era abbastanza soddisfatto delle sue competenze da proporlo come allievo botanico della spedizione; così scrive di lui: "Il cittadino Leschenault si occupa da qualche anno di botanica e ne sa abbastanza da nominare un certo numero di piante senza ricorrere a libri e da decifrare in questi ultimi la maggior parte di quelle che non conosce". Inoltre, sapeva essiccare correttamente le piante, le disegnava in modo abbastanza corretto, era di buon carattere e di eccellente educazione. Ma dopo la rinuncia di Ledru, da allievo Lechenault passò a botanico, rimasto poi l'unico della sventurata spedizione. In Australia, egli visse questa nuova responsabilità diviso tra un forte senso del dovere e la coscienza della propria inadeguatezza; entrambi i sentimenti emergono in una bella lettera inviata a Jussieu da Port Jackson in cui non può nascondere la sua invidia per il botanico della spedizione Flinders. A lui tocca raccogliere le piante, essiccarle, descriverle e pure disegnarle, visto che i disegnatori Lesueur e Petit sono divisi tra il lavoro per il comandante e quello per lo zoologo Péron. "Che contrasto - scrive - con gli aiuti di ogni tipo accordati al mio buon amico Robert Brown!" Certo fece il suo dovere fino in fondo e le sue raccolte furono notevolissime, anche se durante la spedizione ebbe ricorrenti problemi di salute. Durante il soggiorno a Port Jackson era tanto deteriorata che in un primo tempo egli pensò di chiedere l'autorizzazione a rientrare in Francia con il Naturaliste. Poi si riprese, poté partecipare a diverse escursioni botaniche nei dintorni di Port Jackson, a Parramatta e sulle Blue Mountains; ma a dissuaderlo fu soprattutto il capitano Baudin che seppe trovare le parole giuste per rassicurarlo, con un atteggiamento comprensivo e paterno (decisamente non era il mostro che è stato dipinto). Sicuramente Leschenault non si pentì di essere rimasto, visto che l'ultima parte del viaggio fu la più produttiva. Ma il prezzo fu il deterioramento della sua salute: nel maggio 1803 arrivò a Timor in tali condizioni che dovette essere lasciato a terra. Sperava di rimettersi e di tornare quanto prima a casa. Un mese dopo la partenza dei suoi compagni, si imbarcò su una nave olandese diretta a Batavia, dove giunse così malato da non potere proseguire. Chiese però il premesso di trasferirsi a Samarang, che godeva di un clima un po' meno insalubre. Vi giunse a ottobre e fu accolto dal governatore Engelhard, in cui trovò un uomo colto e interessato alle scienze naturali. Nacque così un nuovo progetto: Leschenault sarebbe rimasto a Giava e avrebbe esplorato le ricchezze naturalistiche dell'isola, solo marginalmente sfiorate dai naturalisti che l'avevano visitata in precedenza. L'amministrazione olandese fornì uomini e mezzi, permettendogli di muoversi in sicurezza e con relativo agio. L'esplorazione iniziò con un viaggio nelle due capitali dei sultanati di Surakarta e Yogykarta. Partito da Samarang il 24 ottobre, Leschenault si diresse dapprima a Surakarta, passando per i monti Ungaran, Merbabu e Merapi, un vulcano attivo; per un mese esplorò la città e i suoi dintorni, quindi passò a Yogykarta, visitando lungo il cammino le rovine del tempio buddista di Prambanang. Aveva di nuovo preteso troppo da se stesso: dopo due settimane a Yogyakarta, ebbe un crollo; trasportato in barella a Samarang, vi giacque malato dal febbraio all'ottobre 1804. Quando si fu ristabilito, ripartì per visitare la parte orientale di Giava, di cui toccò tutti i distretti costieri; quindi si imbarcò per l'isola di Madura, dalla quale sarebbe stata sua intenzione proseguire per l'arcipelago Kangean, ma la notizia di un'incursione di pirati malesi lo indusse a desistere; tornato sulla terraferma, esplorò la regione sud orientale fino a Banyuwangi, dove si fermò due mesi; quindi passò a Bali, di cui visitò le coste. Tornato a Banyuwangi, passando dall'interno e toccando i monti Tingar si diresse a Surabaya. Qui si imbarcò infine per Samarang, dove rientrò nell'agosto 1806, dopo un viaggio di 18 mesi. Andò poi a Batavia, con l'intenzione di imbarcarsi per la Francia. In Europa infuriava la guerra e non era facile trovare un imbarco su una nave neutrale, tanto più che portava con sé molte casse di piante, animali, conchiglie, oggetti etnografici; finalmente, a novembre riuscì a trovare un passaggio su una nave americana. Nell'aprile 1807 era a Filadelfia dove riuscì a ottenere dall'ambasciatore inglese un passaporto per sé e le proprie collezioni. A luglio, dopo sette anni di assenza, toccava il suolo francese. Quasi il suo primo atto fu scrivere a Jussieu per informarlo del suo ritorno e delle sue avventure. Le raccolte furono esaminate da una commissione designata dal ministero dell'Interno (ne facevano parte anche Lamarck e Cuvier) che le giudicò così importanti da proporre di considerare l'esplorazione di Giava parte integrante della missione nelle Terre Australi: a condizione che consegnasse le collezioni al Museum, era giusto pagargli quattro anni di stipendio arretrato e assegnargli una pensione analoga a quella concessa a Péron. Napoleone acconsentì. Fino alla caduta di quest'ultimo, venne l'ora di lavori da scrivania (tra gli altri, la stesura di un dizionario di lingua malese); nel 1816, ritornata la pace, ripartì. La nuova destinazione era Pondichéry (oggi Pondicherry), la capitale dell'"India francese", costituita da cinque empori situati lungo la costa del Malabar e recentemente restituita alla Francia dal Congresso di Vienna. Era invece rimasta in mani inglesi l'Ile de France, ovvero Mauritius: una perdita molto dolorosa perché per quasi un secolo l'isola e il suo giardino di Pamplemousses avevano costituito il principale luogo di acclimatazione delle specie esotiche da diffondere nelle colonie francesi. Ora quel ruolo passava all'altra isola delle Mascarene, la Réunion, tornata a chiamarsi Ile Bourbon con la restaurazione, e al suo giardino di Saint Denis, appena creato dal botanico Nicolas Bréon. La missione di Leschenault era proprio quella di cercare piante indiane utili per l'agricoltura e il commercio, da acclimatare a Bourbon per essere poi distribuite in quanto rimaneva delle colonie francesi. Il botanico prese molto sul serio il compito. Anche se nei sei anni in cui rimase in India raccolse anche un'imponente quantità di esemplari di piante, animali e minerali e si interessò di molti aspetti della vita e della cultura indiane, ne fece il principale oggetto delle proprie ricerche. Prima di partire per l'India, andò in Inghilterra ad incontrare il vecchio Banks, per ottenere lettere di raccomandazione per gli amministratori e i botanici inglesi, che in effetti gli furono di grande aiuto. Giunto a Pondichéry nel settembre 1816, dedicò il primo anno allo studio dei sistemi di coltivazione in uso lungo la costa del Coromandel. Studiò anche le tecniche tintorie tradizionali a Karikal, l'altra enclave francese. Nel 1818, il primo viaggio alla ricerca di piante utili lo portò a Salem, da cui riportò, oltre a un erbario di 400 specie e semi di circa 160, il primo carico di piante vive e semi destinato a Bourbon: c'era la pianta tintoria Nerium tinctorium (oggi Wrightia tinctoria), due specie di canna da zucchero, una nera e una bianca, alberi di sandalo e di teak, semi di papavero da oppio e di quattro tipi di cotone. Poi la salute lo tradì di nuovo: nel mese di ottobre ripartì per visitare i Ghati occidentali, ma a Coimbatore fu colpito da un pericoloso attacco di febbre gialla che lo costrinse a rientrare a Pondichéry. Appena il tempo di ristabilirsi, ed eccolo di nuovo a Coimbatore, punto di partenza per una lunga escursione sulle Nigiri Hills, in cui fu accompagnato da due amici inglesi, Mr. Sullivan e il dr. Jones. Su queste montagne, non molto elevate ma dai fianchi assai ripidi e difficili da scalare, caratterizzate da un clima fresco e ricchezza di acqua, trovò una ricca flora con molti generi presenti anche in Europa (Rhododedndron, Rubus, Geranium, Impatiens, Rosa, Salix, Berberis), che egli giudicò particolarmente adatte alla naturalizzazione nei giardini europei; tra le piante utili, una nuova specie di Berberis che per le sue eccellenti qualità tintorie battezzò B. tinctoria. Nel 1819 andò in nave in Bengala e ne tornò con molte piante da inviare a Bourbon, ma anche in Senegal. Oltre a molti alberi da legname o falegnameria, nella sua relazione all'Accademia delle scienze, egli cita la palma da zucchero Saguerus rumphii (oggi Arenga pinnata), Ficus elastica per la sua gomma elastica, piante tessili come Asclepias (oggi Marsdenia) tenacissima, Urtica tenacissima (oggi Bohemeria nivea), Boswellia thurifera (oggi B. serrata), da cui si ricava un tipo d'incenso. Il viaggio più lungo e impegnativo fu l'ultimo, dedicato all'estrema regione dell'India sud-orientale e all'isola di Ceylon. Leschenault visitò i due piccoli regni di Thanjavur e Tondiman, il distretto di Madurai e le montagne di Cottalam, punto di incontro tra i due monsoni, con una flora assai variata. Dal sud dell'India inviò a Pondichéry un convoglio di carri con 35 balle di alberi di 42 specie diverse, tra cui il teak Tectona grandis. Al loro arrivo, furono trapiantati nel giardino del governatore, primo nucleo dell'orto botanico di Pondichéry che sarebbe stato creato nel 1826 sui terreni dell'ex Campo di Marte. Torniamo a Leschenault. Dopo aver visitato la provincia di Tinnevelly, si imbarcò per Ceylon; dopo aver soggiornato per qualche tempo a Colombo, ottenne il permesso di visitare l'interno, cosa che fece per tre mesi, finché nel febbraio 1821 l'ennesima malattia lo costrinse a imbarcarsi per Pondichéry. Portava però con sé molti esemplari di Cinnamomum verum, l'albero da cui si ricava la pregiata cannella di Ceylon. Ad agosto lasciò l'India per Bourbon, accompagnato da cinque pecore e da un montone della razza di Coimbatore, 130 piante vive, compresi 32 pianticelle di Cinnamomum verum, e circa 200 specie di semi. Mentre si trovava sull'isola, con l'aiuto di Bréon tentò esperimenti di innesto del cotone su Thespesia populnea, Hibiscus liliflorus e Guazuma ulmifolia. Infine, il 15 febbraio 1822 si imbarcò alla volta della Francia via Capo della Buona speranza, dove approfittò di uno scalo di due settimane per incrementare la collezione di semi, acquistare qualche tartaruga e una nuova specie di uccello. Al suo rientro in Francia l'enorme contributo alle collezioni botaniche, zoologiche e mineralogiche del Museo e all'introduzione di specie coloniali utili gli valse l'attribuzione della Legion d'onore. Dopo meno d'un anno, arrivò una nuova missione: con il titolo ufficiale di "botanico della corona" (ne aveva fatta di strada dai tempi in cui era "allievo botanico"!) fu inviato nella Guaiana francese per rilanciare l'agricoltura di quella colonia. L'11 giugno 1823 egli partì da Brest in compagnia di A. J. L. Doumerc, diretto a Cayenne, dove giunse il 5 novembre, dopo due scali a Rio e Bahia. Portava con sé pianticelle di tè per l'orto botanico. Dopo un breve soggiorno nella capitale, i due si spostarono a Nouvelle Angoulême sul fiume Mana, dove si separarono. Doumerc visitò le tribù amerinde Galibi e Arrowali, mentre Leschenault proseguiva alla volta del Suriname (Guaiana olandese). Anche qui fece notevoli raccolte, ma la salute malferma lo costrinse a interrompere il viaggio e a rientrare a Parigi nel novembre 1824. Quando sembrava aver recuperato, morì all'improvviso il 14 marzo 1826 all'età di 52 anni. Lechenaultia o Leschenaultia? Sempre in viaggio, Leschenault de La Tour raccolse moltissimo ma pubblicò molto poco. Al ritorno da Giava diede alle stampe due brevi testi relativi alla spedizione Baudin, uno sulla città di Kupang a Timor, l'altro sulla vegetazione della Nuova Olanda (pubblicato nel secondo volume della relazione ufficiale di Péron e Freycinet), e una memoria su alcune piante velenose di Giava. Ugualmente scarsi gli scritti sull'India, che si limitano alla relazione sul viaggio letta all'Accademia delle scienze, alla pubblicazione del Berberis scoperto sulle Nigiri Hills e a una memoria sulla cannella di Ceylon. Ad approfittare delle sue raccolte e dei suoi erbari furono altri naturalisti. Senza dimenticare che quando Leschenault tornò in Europa Robert Brown, che invece era rientrato nel 1805, aveva già fatto in tempo a pubblicare un certo numero di specie australiane raccolte da entrambi, rendendo in qualche modo superato almeno in parte un suo eventuale lavoro. Un certo numero di piante raccolte da Leschenault in Australia furono descritte da Etienne Ventenat e da Aimé Bonpland nelle loro opere sul giardino di Malmaison, altre furono pubblicate da Labillardière, altre ancora da R. L. Desfointaines, che descrisse anche alcune delle sue specie indiane nei cataloghi delle collezioni del Jardin des plantes. Moltissimo ovviamente rimase non pubblicato nei depositi del Museo Nazionale. Diverse decine di piante ricordano il nostro botanico viaggiatore nel nome specifico e con le loro diverse origini riassumono le tappe dei suoi viaggi: tra le altre, citiamo le australiane Beyeria leschenaultii e Calitrix leschenaultii, le indonesiane Hypericum leschenaultii e Aralia leschenaultii, le indiane Argureya leschenaultii e Impatiens leschenaultii. Tra gli animali, ricordiamo il corriere di Leschenault Charadius leschenaultii, il cuculo di Sirkeer Toccocua leschenaultii, il codaforcuta capobianco Enicurus leschenaulti, il pipistrello Rousettus leschenaultii, la lucertola Ophiosops leschenaultii. In Australia conserva il suo nome la bellissima laguna Leschenault Estuary, separata dall'Oceano Indiano dalla penisola Leschenault. Nel breve periodo in cui entrambi si trovavano a Port Jackson come botanici rispettivamente delle spedizioni Baudin e Flinders, Leschenault de La Tour e Robert Brown avevano stretto amicizia. Nel giugno 1802 fecero almeno un'escursione insieme, nella quale lo scozzese ebbe modo di apprezzarne le doti di acuto osservatore. Fu proprio lui a dedicare un genere al collega francese in Prodromus Florae Novae Hollandiae, con una motivazione piena di elogi: "L'ho nominato in onore del mio stimato amico Lechenault, celebre viaggiatore, esperto botanico, da cui si attende avidamente la pubblicazione delle piante della costa occidentale della Nuova Olanda e delle isole di Giava e Timor". La grafia del cognome non è un mio errore di battitura: così lo trascrive un po' ad orecchio Brown, che infatti denominò il nuovo genere Lechenaultia, senza esse. Qualche anno dopo George Bentham lo corresse in Leschenaultia, nome che si impose a lungo, finché in rispetto delle norme della nomenclatura botanica, si è tornati alla denominazione originale. Ma l'incertezza rimane: mentre nella letteratura botanica prevale Lechenaultia, Plants of the World on line usa Leschenaultia, che è anche la forma più usata come nome comune. Lechenaultia / Leschenaultia (famiglia Goodeniaceae) è un genere endemico dell'Australia con una ventina di specie; per lo più sono piccoli arbusti, con qualche erbacea annuale; in genere hanno portamento prostrato e tappezzante. La maggior parte si trova nei suoli sabbiosi e nel clima arido o semi-arido dell'Australia occidentale, una in condizioni simili nell'Australia orientale, due nella regione tropicale del nord; L. filiformis si spinge in Nuova Guinea, unica specie al di fuori dell'Australia. Attraenti sia per l'aspetto generale sia per le fioriture, diverse specie sono coltivate come ornamentali. Solitamente hanno foglie lineari e carnose, di colore grigio-verde, che al momento della fioritura formano uno sfondo perfetto per i numerosi fiori dalle coloratissime corolle asimmetriche: blu intenso per L. biloba, giallo luminoso o rosso carminio per L. formosa, rosa carico per L. macrantha. Anche da noi in vivai ben forniti è possibile reperire almeno la prima, di cui sono state selezionate alcune cultivar, ma coltivarla e mantenerla in vita per più di pochi anni non è semplice. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
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