Almeno nei confronti di un collega il supponente e iracondo Mattioli si espresse solo con elogi, tanto da dare il suo nome a una pianta che proprio questi aveva scoperta. Inaugurò così un costume destinato a grande fortuna. Quel botanico è Cortuso, medico e erborista così abile da aver trovare una cura a base d'erbe capace di sconfiggere la peste. E la pianta è la bellissima e rarissima Cortusa. Un grande "semplicista" alla testa dell'Orto padovano Il primo botanico ad essere celebrato in età moderna con il nome a una pianta ci riporta all'Orto botanico di Padova e al bilioso Mattioli. Si tratta di Giacomo Antonio Cortuso, terzo curatore di quella istituzione. Rampollo di una nobile famiglia cittadina, si dedicò alla professione medica; i racconti del tempo ce lo descrivono come uomo energico, grande conoscitore delle piante medicinali e medico eccellente. Quando nel 1575 scoppiò una delle ricorrenti epidemie di peste (in due anni causò 50.000 morti a Venezia e 12.000 a Padova), mentre i suoi colleghi pensavano solo alla propria pelle, riuscì a salvare il bestiame del Vicentino e del Padovano facendolo trasportare lontano dai luoghi infetti; contrasse la malattia e non solo riuscì a guarire se stesso, ma anche una figlia e una nipote, spostandole in campagna e curandole con infusi di varie erbe. Le sue preziose conoscenze botaniche e farmaceutiche le aveva acquisite sul campo, probabilmente come autodidatta, sperimentando diversi semplici e perlustrando il territorio della Repubblica veneta alla ricerca di vecchie e nuove piante. In una di queste spedizioni, in Valstagna, scoprì appunto la pianta destinata a rimanere per sempre legata al suo nome; ne sperimentò le virtù medicinali e la diffuse tra i botanici con cui era in corrispondenza, tra cui Mattioli, che volle onorarlo dando il nome di cortusa alla nuova specie. Botanico appassionato ("semplicista famoso dei tempi nostri", lo definisce Mattioli) non era un teorico - scrisse in effetti pochissimo - ma un ricercatore che coltivava personalmente le piante officinali nel suo orto privato e ne sperimentava le proprietà medicinali su stesso e suoi propri pazienti. Le numerose botteghe di speziali di Venezia, ancora il maggior crocevia delle rotte verso il Mediterraneo orientale, garantivano inoltre l'accesso a numerose semplici esotici, di cui proprio l'orto padovano fu spesso il centro di diffusione in Europa. Per molti anni Cortuso fu in corrispondenza con i più bei nomi della botanica europea, ai quali comunicava le proprie scoperte e con i quali scambiava semi e esemplari; tra gli altri, oltre ovviamente a Mattioli, Aldrovandi, Clusius, Pena, Gessner, i fratelli Bauhin, Lobelius, Dodoens. I carteggi tra questi scienziati forniscono molte informazioni preziose sulla botanica del tardo Rinascimento e sull'introduzione di nuove specie; ad esempio, grazie a una lettera di Cortuso a Clusius scopriamo che egli fu il primo a piantare un cedro del Libano in Europa, oppure, grazie a una citazione di Mattioli, a cui ne donò un ramo fiorito, sappiamo che i primi lillà europei, provenienti dall'Impero ottomano, fiorirono a Padova nel 1565. Già anziano, nel 1590, alla morte di Guilandino, Cortuso fu nominato curatore dell'Orto botanico di Padova. Nonostante l'età avanzata, resse l'incarico con competenza e energia: fece circondare il giardino con un muro circolare per proteggerlo dalle alluvioni; migliorò il sistema di irrigazione introdotto dal suo predecessore; soprattutto arricchì le collezioni, avvalendosi della sua estesa rete di corrispondenti. Secondo il Dizionario biografico degli italiani avrebbe anche compiuto numerosi viaggi in Italia, Slovenia, nelle isole dell'Egeo per cercare nuove piante, notizia che non mi sembra molto credibile, considerando che resse l'incarico tra i settantasette e i novant'anni. Fu onoratissimo dai botanici del suo tempo, che ne stimavano l'eccezionale competenza nel campo delle erbe medicinali. Qualche approfondimento nella biografia. Cortusa o Primula? Mattioli, tanto pronto alla polemica, si dimostrò invece sempre amichevole e rispettoso nei confronti di Cortuso, uomo molto generoso che non lesinava a colleghi e amici piante e i lumi tratti dalle sue esperienze. Nell'edizione dei Discorsi che ho consultato, Mattioli lo cita, sempre in termini elogiativi, quasi trenta volte. A partire dall'edizione del 1568, inoltre, volle includere la descrizione della pianta scoperta dal padovano, battezzandola in suo onore "cortusa", nome con il quale da allora la pianta fu conosciuta e descritta in molti testi botanici del tempo. A sua volta, a fine Seicento Plumier dedicò a Cortuso uno dei suoi nuovi generi americani; ma giustamente Linneo (Species plantarum, 1753) riprese la denominazione di Mattioli, anzi unì i due botanici italiani nel nuovo nome binomiale: Cortusa matthioli, la cortusa di Mattioli. Bramato graal degli escursionisti botanici delle nostre Alpi, la cortusa è una graziosa primulacea delle aree fresche e ombrose, dai 700 ai 2000 metri, con grandi foglie basali lobate e uno scapo fiorale eretto che porta un'ombrella di graziose campanelline rosa carico. Benché diffusa in un'ampia area (dalle Alpi ai Carpazi, alla Russia, alla catena dell'Himalaya alla Cina e al Giappone), da noi è piuttosto rara. Infatti le Alpi sono l'estremo lembo del suo areale; la si trova in poche stazioni in Trentino, Veneto e Piemonte. Del resto, già rara era al tempo del suo scopritore che, come riporta Mattioli, l'aveva vista unicamente in Valstagna. La sua presenza in poche aree non contigue fa pensare che sia un relitto della flora preglaciale, che si sarebbe conservata in piccole enclaves protette non soggette a glaciazione. A questa pianta dalla bellezza semplice corrisponde uno status tassonomico complicato. Primo problema: Cortusa è un genere a sé? Il mondo scientifico è diviso: recenti studi basati sul DNA dimostrerebbero che va incluso nel genere Primula (Plant list e Plants of the world si allineano; la nostra è Primula matthioli), ma in molti testi è ancora Cortusa matthioli e non si è giunti a una conclusione unanime. Secondo problema: se è un genere, quante specie ne fanno parte? le risposte al quesito sono ancora più incerte: si va da un'unica specie (C. matthioli appunto, con numerose varietà e/o sottospecie) a una quindicina di specie (molte delle quali asiatiche). E' dall'analisi dei taxa russi e cinesi che si attendono le risposte alle due domande. Vista l'importanza storica della denominazione tradizionale, sarebbe un peccato che colui che fu il primo moderno a dare il nome a una pianta perdesse il suo genere (anche se il suo nome rimarrebbe almeno nei nomi comuni italiano, cortusa, e francese, cortuse). Come sempre, qualche notizia in più nella scheda.
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Nel 1545 nasce l'Orto botanico di Padova; coincidenza vuole che entrambi i suoi primi curatori si accapiglino con Mattioli. Il secondo, il tedesco italianato Melchiorre Guilandino, approda all'istituzione dopo una vita avventurosa; la guida per 23 anni e diventa un prestigioso professore, il primo a illustrare le piante dal vivo. Linneo gli dedica lo spinoso genere Guilandina. Gli esordi dell'Orto botanico di Padova Nel 1545, su sollecitazione del medico e professore universitario Francesco Bonafede, il Senato della Repubblica veneta delibera la creazione di un giardino dei semplici, destinato alla formazione degli studenti di medicina dell'Università di Padova. Nasce così quello che si vanta di essere il più antico Orto botanico universitario, inserito addirittura nella lista dei siti Unesco patrimonio dell'umanità. Per una curiosa coincidenza, a dirigerlo furono chiamati, uno dopo l'altro, i due arcinemici di Mattioli: Luigi Anguillara e Melchiorre Guilandino. Il primo "prefetto dell'orto" fu appunto Luigi Anguillara, che resse l'istituzione dal 1547 al 1561, portandola subito a un livello di eccellenza come riferiscono le testimonianze dei visitatori dell'epoca. Era giunto a Padova preceduto dalla fama dei suoi viaggi botanici a Cipro, in Grecia, nella Dalmazia, in Provenza e nella stessa Italia; nonostante le malignità di Mattioli, era un botanico eccellente, come dimostrò anche nella sua opera maggiore, Semplici (1561). Non altrettanto versato fu, a quanto pare, nel settore amministrativo; forse per questo, o per le calunnie del velenoso Mattioli (che lo apostrofava con frasi come "Ho visto la coglioneria dei pareri dell’Anguillara, né mai harei pensato che questa bestiaccia scannata fosse stato così mariolo, ignorantissimo, invidiosissimo, malignissimo [...] invero non si può tanto svilirlo e vituperarlo che non meriti peggio") nel 1561 diede le dimissioni, per trasferirsi a Ferrara come medico del duca e professore di quella Università. Dalla Borussia con furore Dopo pochissimi mesi gli subentrò proprio quel Melchiorre Guilandino protagonista di una lunga e feroce disputa con Mattioli. Arrivava da lontano, addirittura dalla baltica Königsberg (la patria di Kant); secondo gli usi del tempo aveva latinizzato in Guilandinus il suo vero nome, Melchior Wieland; amava definirsi "borusso", dal nome latino della sua patria, la Prussia. Al momento di assumere l'incarico, il botanico prussiano era sui quarant'anni e aveva alle spalle una vita alquanto burrascosa. Dopo essersi probabilmente laureato in medicina, era venuto in Italia, dove aveva vissuto qualche anno in Sicilia e a Roma, in terribili ristrettezze. A metà degli anni cinquanta lo ritroviamo in Veneto grazie all'ambasciatore veneto alla curia pontificia, Marino Cavalli, che lo aveva conosciuto a Roma, apprezzandone la competenza botanica. Si trasferisce a Padova, brillantissimo centro universitario dove sta nascendo la nuova scienza; stringe amicizia e condivide la casa con uno dei protagonisti di questa svolta, il medico Gabriele Falloppio. La querelle con Mattioli inizia nel 1556 con una lettera privata a Gessner in cui Guilandino solleva - in tono sferzante - critiche a "quel Dio dei botanici" e alle sue identificazioni; nonostante gli inviti alla moderazione dello svizzero, la lettera viene data alle stampe, in De stirpium aliquid nominibus vetustis ac novis (1557), insieme ad altri scritti in cui Mattioli è esplicitamente chiamato in causa. Il senese per ora incassa: corregge gli errori nella nuova edizione dei Commentarii e risponde con una lettera, non al "cane arrabbiato barbaro Borusso" ma "all'Eccellentissimo S.or Gabriele Falloppia a cui sta in casa, acciò che lo corregga della sua temerarietà e poltroneria". Nel 1558 Guilandino rincara la dose con Apologiae adversus Petr. Andream Mattheolum liber primus, in cui si esaminano cento errori contenuti nell'opera di Mattioli, accusato di non sapere né il greco né il latino e di aver plagiato i grandi botanici del tempo, senza aggiungere una riga di novità. Dopo una seconda lettera senza risposta a Falloppio - questa volta privata - l'infuriatissimo Mattioli si convince che dietro all' "infame bestia", al "tristo furfante, mal nato e peggio allevato" ci fosse proprio Falloppio. Visto il silenzio dell'anatomista, concluse: "non potrò credere altrimenti se non che voi siate stato la balestra e egli il bolzone" (ovvero, Guilandino era stata la freccia, ma Falloppio la balestra che l'aveva scagliata). Ma nel frattempo Guilandino parte per l'Oriente, deciso a sfruttare i contatti e la rete diplomatica veneziana per esplorare dal vivo le piante del Mediterraneo orientale e del nord Africa, ponendosi come meta finale le favolose Molucche. Mattioli saluta con sollievo la sua partenza, augurandogli addirittura che i turchi "lo puniscano con un palo", e non manca di cercare di danneggiarlo, inviando una lettera piena di malignità al figlio di Marino Cavalli, all'epoca Bailo veneziano a Costantinopoli. Non conosciamo nei dettagli il viaggio di Guilandino in Oriente, tranne che, ottenuto un salvacondotto da Solimano il Magnifico grazie a Jean de la Vigne, ambasciatore della Francia a Costantinopoli, cercò di raggiungere la Persia, ma dovette tornare indietro a causa della guerra; toccò quindi il Turkmenistan, la Siria, la Palestina, l'Egitto. Qui si imbarcò alla volta della Sicilia e, da qui, per Lisbona (con l'idea di cercare un passaggio per l'India), ma la nave fu catturata dai corsari algerini. Condotto ad Algeri, fu venduto come schiavo e rimase in cattività nove mesi, finché l'amico Falloppio, conosciuta la sua sorte, si recò in Grecia e lo riscattò per l'ingente somma di duecento scudi. Le avventure non erano finite: la nave che doveva riportarlo in Italia fece naufragio e Guillandino si salvò a stento. Fu soccorso da alcuni nobili genovesi e nel 1561 era di nuovo a casa. Ma in queste vicissitudini tutti gli esemplari, tutti i preziosissimi appunti erano andati perduti. Curatore dell'Orto e Ostensore dei semplici Ma torniamo a quel 20 settembre 1561 in cui Guillandino diventa curatore dell'Orto: nella sua nomina contano la protezione di Marino Cavalli; la fama di grande erudito; la conoscenza delle piante orientali acquisita nello sfortunato viaggio; la provenienza da quel mondo tedesco che con Fuchs, Bock, Cordus e Brunfels era all'avanguardia nella scienza botanica. Nel 1564, all'incarico di curatore unisce la docenza, con il titolo di "Ostensore dei semplici". E' una cattedra innovativa, non basata sulla lettura del testo di un'autorità (in particolare Dioscoride, l'argomento principale delle cattedre di Materia medica); è piuttosto un laboratorio pratico che parte dalle piante vive coltivate nell'orto botanico; e per questo, le lezioni non si terranno ex catedra nella sede universitaria di palazzo Bo, ma proprio in mezzo alle aiuole. E' la prima cattedra di botanica della storia. Nel 1567, quando Bernardino Trevisan lasciò l'incarico "teorico", i due insegnamenti furono riuniti e affidati entrambi a Guilandino, che continuò - nonostante qualche mugugno - a tenere le sue lezioni all'aperto, nella sede dell'Orto, fino alla morte, avvenuta nel 1589. Tralasciando la seconda puntata della polemica con Mattioli - il combattivo borusso pubblicò una seconda serie di accuse in uno scritto del 1562 - che per fortuna con gli anni e i crescenti impegni di entrambi i contendenti si andò affievolendo, nei suoi ventitré anni di gestione il nostro tedesco italianizzato fece dell'Orto padovano una delle istituzioni scientifiche più importati d'Europa. Si deve a lui la trasformazione delle collezioni, da giardino dei semplici, destinato essenzialmente alla coltivazione delle piante medicinale, in giardino botanico che accoglieva le piante rare ed esotiche che grazie alle esplorazioni geografiche, ai viaggi e ai commerci affluivano sempre più numerose in Europa. Da una parte, Venezia, con quanto rimaneva dello "Stato de Mar", era in ottima posizione per fare da tramite tra l'Europa e il Levante; dall'altra, Guiladino seppe costruire una rete di contatti e scambi con altri importanti studiosi europei. Fu per questa via che arrivarono a Padova il bulbocastano (Bunium bulbocastanum), oggetto - tanto per non smentirsi - di una polemica con Mattioli, i tulipani, i lillà. Non abbiamo cataloghi per quest'epoca, ma sappiamo che nel 1591, due anni dopo la morte del nostro, le specie coltivate nell'Orto erano 1200. Migliorò anche l'irrigazione, facendo costruire una prima canalizzazione che deviava le acque di un fiumicello; e riuscì a convincere i Rettori ad assumere un secondo giardiniere. Alla sua morte, lasciò la sua copiosa biblioteca alla Repubblica di Venezia; ancora oggi, a margine dei libri che gli sono appartenuti, si possono leggere i suoi feroci commenti a quelli che riteneva svarioni dei colleghi: Error, Falsum, Falsa Omnia (e passando al volgare "Questa è una coglionaria", "Animalaccio"). Una sintesi della sua vita nella biografia. Guilandina, una spinosa arrampicatrice All'ipercritico prussiano Linneo nel 1747 in Flora zeylanica dedica il genere Guilandina, poi confermato in Species Plantarum (1753). Ma, evidentemente, le polemiche devono essere nel suo destino: in uno studio del 1973, Guilandina è stato declassato a sottogenere di Caesalpinia; da allora, i botanici si sono rimpallati la classificazione: è un genere autonomo; no fa, parte di Caesalpinia, ma...; è un genere autonomo, però... Solo di recente (ottobre 2016) uno studio ha definitivamente risolto la questione, dimostrando, sulla base di dati molecolari, l'indubbia indipendenza del genere, anche se ne rimangono ancora incerti i confini (da sette a diciannove specie). Guilandina è un genere pantropicale della famiglia Fabaceae, appartenente alla tribù Caesalpineae e al gruppo informale Caesalpinia; comprende liane e arbusti sarmentosi armati di spine ricurve; i fiori sono unisessuali, anche se in alcune specie hanno l'apparenza di ermafroditi (ma con antere prive di polline). La caratteristica più interessante è data dai semi, duri e globosi, adatti a fluttuare sulle onde oceaniche, per essere dispersi a lunga distanza, il che spiega perché sia presente nei Caraibi, in Madagascar, in alcune isole della Polinesia, nel Sud est Asiatico, in Giappone. La specie tipo è Guillandina bonduc, una liana tropicale dai fiori gialli, spinosa, che si arrampica sulla vegetazione. Visto lo status ancora incerto di molte specie potenzialmente appartenenti a questo genere, taccio prima che dall'aldilà mi arrivi un Error, Falsum (e di peggio). Poche notizie in più nella scheda. Da giovane avventuriero, ricchissimo e fin troppo spavaldo, a grande patrono della scienza britannica. E' questo il cammino di Joseph Banks, colui che trasformò i giardini reali di Kew nel più importante orto botanico del mondo, "una casa di scambio botanico per l'impero", come egli stesso la definì. E il genere Banksia, uno dei tanti da lui scoperti insieme all'amico Solander esplorando l'Australia orientale durante il mitico viaggio dell'Endeavour, rende giustamente omaggio a questo personaggio decisivo nella storia della botanica. Prima vita: Banks l'esploratore Joseph Banks ebbe la ventura di unire nella sua biografia due figure apparentemente inconciliabili: in gioventù l'esploratore ardito, con una buona dose di arroganza datagli dalla ricchezza e dai contatti altolocati; nella maturità e nella vecchiaia, il confidente del re, il patrono delle scienze britanniche, il direttore in pectore dell'Orto botanico più importante del pianeta, l'uomo super partes e l'organizzatore di mille diverse imprese, non solo scientifiche. La distanza tra questi due personaggi è ben incarnata dai suoi due ritratti più celebri: quello dipinto da Reynolds nel 1772, un anno dopo il suo rientro dalla circumnavigazione del globo, e quello eseguito da Phillips, nel 1810. Il giovanotto spavaldo, avvenente, sicuro di sé, il maschio eroe che domina il mondo (simboleggiato dal mappamondo), il giovane leone in momentaneo riposo in quarant'anni si è trasformato in un placido elefante (la definizione è di Boswell), un obeso uomo dell'establishment con il petto ornato di onorificenze. Intatti sono rimasti la calma sicurezza, l'eleganza e la distinzione, ma soprattutto lo sguardo pieno di intelligenza. Un'intelligenza che Banks in effetti seppe pienamente dispiegare nella sua lunga vita prima di esploratore e ricercatore sul campo, poi di grande organizzatore e padre fondatore della moderna botanica britannica. Rimasto presto orfano ed erede di un'immensa fortuna, anziché sperperarla nel gioco d'azzardo, nelle bevute e nelle avventure erotiche, secondo il cliché del giovane aristocratico alla Hogarth, la mise al servizio delle scienze naturali di cui si appassionò fin da ragazzo. Nel 1766, a ventitré anni, invece di partire per il Grand Tour come era uso tra i rampolli delle famiglie altolocate ("lo fa qualsiasi imbecille", pare abbia detto) si imbarcò sulla nave Niger - il secondo ufficiale era Constantine Phipps, suo compagno a Eton - alla volta del Labrador e di Terranova. Raccolse diverse specie di piante e animali, in parte ignoti alla scienza, che al suo ritorno pubblicò (uno tra i primi in Inghilterra) seguendo la classificazione linneana. A Terranova incontrò anche brevemente il futuro capitano Cook. In tal modo, questo viaggio gettò le basi della partecipazione alla grande spedizione dell'Endeavour, con la nomina ufficiale a botanico della spedizione da parte della Royal Society. Come si è visto nel precedente post, egli vi contribuì ampiamente di tasca propria, sia allestendo un costoso e aggiornato equipaggiamento di strumenti e materiali sia stipendiando i membri della sua équipe scientifica. Secondo una dichiarazione di Solander, avrebbe investito nell'impresa non meno di 10000 sterline. Al suo ritorno in Inghilterra nel luglio 1771, divenne l'eroe del giorno. Ad agosto lui e Solander furono ricevuti dal re e ad ottobre l'università di Oxford concesse ad entrambi la laurea honoris causa. Immediatamente, Banks incominciò a fare progetti per partecipare al secondo viaggio di Cook, con la nave Resolution. In occasione del primo viaggio, si era sportivamente adattato alle ristrettezze della vita di bordo (la sua cabina era grande pressappoco come un armadio, e se c'era qualche verme nel cibo, si limitava a eliminarlo - dove averlo studiato, s'intende), ma per il secondo voleva fare le cose in grande. L'équipe scientifica doveva comprendere non meno di dodici persone, attrezzature e alloggiamenti dovevano essere adeguati alla nobiltà dell'impresa. Riuscì a convincere l'ammiragliato a trasformare la nave secondo le sue esigenze; appena vide quel mostro galleggiante, Cook andò su tutte le furie, dimostrando che le modifiche compromettevano le capacità di navigazione. Nonostante le conoscenze altolocate, questa volta Banks dovette cedere: le sovrastrutture furono smantellate e la nave partì senza di lui. Seconda vita: Banks l'organizzatore Dopo un viaggio di consolazione nelle Ebridi e in Islanda, seguito l'anno dopo da una visita all'Olanda e da un tour nel Galles con l'amico Solander, Banks incominciò ad abbandonare i panni dell'esploratore per trasformarsi in organizzatore. Nel 1772 il re Giorgio III - così appassionato di piante da guadagnarsi il soprannome di "Giorgio l'agricoltore" - aveva ereditato dalla madre i giardini di Kew; decise di unirli a una tenuta reale che sorgeva nella stessa località e ne affidò informalmente la direzione a Banks; l'incaricò sarà formalizzato solo nel 1797. Convinto assertore del ruolo imperiale della Gran Bretagna, Banlks volle trasformare Kew in "una grande casa di scambio botanico per l'Impero". A tal fine creò una rete di contatti che includeva scienziati europei e americani, capitani di navi, funzionari coloniali di ogni livello. Ispirandosi al modello degli apostoli di Linneo, convinse la Royal Navy a imbarcare almeno un naturalista su ogni nave che compisse viaggi di esplorazione e molti capitani di vascello gli procurarono esemplari di piante e animali. Il bottino più ricco fu assicurato tuttavia dai "cacciatori di piante" al servizio di Kew, assunti da Banks e pagati dal re: la serie sarà inaugurata da Francis Masson, che quello stesso anno si imbarcò proprio sulla Resolution, la nave di Cook, alla volta del Sud Africa. Le mete spaziarono dall'Africa all'India, dalla Cina ai Caraibi e, ovviamente all'Australia. E' stato calcolato che nel periodo di Banks e Giorgio III siano state introdotte in Gran Bretagna circa 7000 nuove specie. Una seconda tappa decisiva della carriera scientifica di Banks fu nel 1778 la nomina a presidente della Royal Society, una carica prestigiosa che mantenne per oltre quarant'anni. In questa veste, poté organizzare direttamente imprese scientifiche come i due viaggi di Bligh finalizzati a trasferire l'albero del pane da Tahiti ai Caraibi (1787-90 e 1791-93), la grande spedizione di George Vancouver (1791-94), la mappatura geologica dell'Inghilterra da parte di William Smith. Egli giocò poi un ruolo importante nella colonizzazione dell'Australia, di cui si sentiva il patrono naturale, con la creazione della colonia del Nuovo Galles del Sud; ne seguì sempre da vicino lo sviluppo, mantenendo una stretta corrispondenza con diversi governatori e influenzandone le scelte politiche; il suo consiglio fu determinante nella scelta di Botany Bay come sede della colonia penale australiana. Fu sempre su sua iniziativa che vennero introdotte in Australia le pecore merino dalla Spagna. La sua casa di Soho Square (vi si era trasferito nel 1776 proprio per assicurare una sede adeguata ai suoi erbari e alla biblioteca) divenne il cuore della vita sociale e scientifica londinese, un luogo che doveva necessariamente essere visitato da ogni uomo colto che giungesse a Londra. La sua biblioteca (curata successivamente da Solander, Dryander, Brown) divenne la più importante d'Europa per le scienze naturali. Convinto assertore dell'internazionalizzazione della scienza, non solo coltivò intense relazioni con scienziati di molti paesi, ma durante la Rivoluzione americana e le guerre napoleoniche mantenne rapporti epistolari con i corrispondenti "nemici" (incluso Benjamin Franklin) e si batté perché la ricerca scientifica potesse proseguire, libera dai condizionamenti politici. Ad esempio, nel 1779 si rivolse proprio a Franklin perché gli americani garantissero l'immunità a Cook, impegnato nel suo terzo viaggio; nel 1796, quando la Royal Navy catturò la nave che trasportava la raccolta del botanico francese Labillardière, si impegnò perché fosse restituita ai francesi, giurando sul suo onore di botanico di non avergli neppure gettato uno sguardo. Membro di molte società scientifiche internazionali, fu all'origine di due istituzioni di grande prestigio: fu tra i soci fondatori della Linnean Society, creata nel 1788 dopo che l'amico James Edward Smith aveva acquistato dalla vedova di Linneo le collezioni del grande naturalista svedese, allo scopo di preservare e studiare quei preziosi materiali; fu uno dei sette fondatori della Horticultural Society, futura Royal Horticultural Society, nata nel 1804. Qualche approfondimento nella biografia. Il favoloso genere Banksia Già durante la sua vita Banks ricevetti molti onori; nel 1781 il re lo nominò baronetto e nel 1797 membro del Consiglio Privato, cavaliere dell'Ordine del bagno nel 1795 e cavaliere Gran Croce nel 1815. Diversi luoghi del Pacifico meridionale portano il suo nome: la penisola Banks nell'isola meridionale della Nuova Zelanda; le isole Banks nell'arcipelago delle Vanuatu; lo stretto di Banks, tra la Tasmania e le isole Furneaux; l'arcipelago Sir Joseph Banks Group nell'Australia meridionale. Gli sono stati dedicati anche un sobborgo di Canberra e uno di Sidney. Non mancano omaggi bizzarri, come il nome di un tipo di chip di cassava, i "Sir Joseph Banks Cassava chips" (in effetti, fu tra i primi a far conoscere la cassava in Europa). Circa 80 specie di piante e molti animali lo ricordano nel nome specifico: tra le prime, la Grevillea banksii, tra i secondi lo splendido cacatua dalla coda rossa, Calyptorhynchus banksii. Si tratta ovviamente di specie scoperte durante il grande viaggio dell'Endeavour, proprio come il genere che lo celebra, Banksia, che gli fu dedicato nel 1782 dal figlio di Linneo. Tra le eccitanti nuove scoperte di Banks e Solander a Botany Bay, figuravano quattro specie del futuro genere Banksia: B. serrata, B. ericifolia, B. integrifolia e B. robur; una quinta specie, B. dentata, fu invece raccolta durante la forzata sosta alla foce dell'Endeavour River. Il genere Banksia, della famiglia Proteaceae, comprende una ottantina di specie, tutte australiane ad eccezione proprio di B. dentata, che è l'unica a spingersi dall'Australia settentrionale fino alla Nuova Guinea e alle isole Aru. La massima biodiversità si ha nell'Australia occidentale, dove si concentrano una sessantina di specie. Sono molto variabili per dimensioni, andando dal mezzo metro di B. prostrata ai 25 m e oltre delle specie arboree, come B. integrifolia. Molto variabili sono ugualmente gli habitat, che vanno dalla macchia alle foreste xerofite e pluviali. Pianta molto caratteristica per le grandi infiorescenze a cono (ciascuna delle quali contiene centinaia o a volte migliaia di fiori), gioca un ruolo ecologico molto importante grazie all'abbondantissima produzione di nettare. Fin dalla fine del Settecento, diverse specie hanno attirato l'attenzione dei giardinieri e sono state introdotte nei giardini e nei parchi, sia per le foglie attraenti (che variano molto per forma e caratteristiche) sia soprattutto per le vistose spighe fiorali. I coni appassiti hanno addirittura ispirato alla scrittrice australiana per l'infanzia la terrificante figura dei Big bad Banksia man, i "malvagi grandi uomini Banksia". Altre notizie su questo affascinante genere nella scheda. Non direttamente a Banks, ma a sua moglie lady Dorothea è stata dedicata invece la cinese Rosa banksiae. L'omaggio si deve a William Kerr, uno dei cacciatori di piante di Banks che fu inviato in Cina nel 1804 e fu il primo giardiniere professionista europeo a esplorare la flora del Celeste impero. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
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