Tipografo, giornalista e poligrafo, scienziato e inventore, uomo politico e padre della patria: Benjamin Franklin non ha certo bisogno di presentazioni. Meno note sono le sue relazioni con la botanica. La storia della pianta che lo celebra è un apologo sul male (molto) e sul bene (poco) che gli uomini possono arrecare alla natura. Ben Franklin padre della patra... e dell'orticoltura Un tratto comune di molti dei padri fondatori degli Stati Uniti fu la passione per piante e giardini; quanto a Benjamin Franklin, vero uomo di città, sul piano personale non si poteva dire un vero appassionato, ma fu profondamente consapevole dell'importanza economica dell'agricoltura per lo sviluppo delle colonie americane e la sua vita si intrecciò in molti modi con la botanica, l'orticultura e il giardinaggio. Oltre a pubblicare, come editore, molti libri di agricoltura e botanica, occupò un ruolo non secondario nella rete di naturalisti, mercanti, botanici e appassionati che nella seconda metà del Settecento mutò il volto dei giardini e dei parchi inglesi con l'introduzione di centinaia di nuove specie nordamericane. Fu proprio lui a metterne in contatto i principali attori, Collinson e Bartram. Tutto iniziò nel 1731, quando Franklin, di fronte alla difficoltà di procurarsi libri europei a costi accessibili, ebbe l'idea di creare a Filadelfia un club di lettura, la Library Company, primo nucleo delle future biblioteche circolanti. In tal modo conobbe il mercante-naturalista inglese Peter Collinson; entusiasta di ogni iniziativa che aiutasse a diffondere il sapere, infatti, quest'ultimo si offrì di assumere l'incarico di agente della Library a Londra, con la quale collaborò (scegliendo, acquistando e inviando libri) per oltre un trentennio. In questo modo, l'inglese divenne il patrono della nascente comunità scientifica di Filadelfia, introdusse Franklin negli ambienti scientifici europei, ne fece conoscere le ricerche sull'elettricità e ne proposte la candidatura alla Royal Society. Mentre Collinson a Londra assicurava contatti e libri, in America John Bartram, uno dei più stretti amici di Franklin, raccoglieva per lui semi, radici e piante che poi Collinson distribuiva ai suoi clienti (ma questa storia sarà raccontata in un altro post). Attento soprattutto ai risvolti economici della conoscenza della flora spontanea, Franklin incoraggiò Bartram a scrivere un libro sulla flora americana, con particolare riguardo alle piante medicinali e utilitarie. Per finanziarne le spedizioni botaniche, lanciò una pubblica sottoscrizione sul suo giornale (la Pennsylvania Gazette). Nel 1743, nel promuovere la creazione di una società scientifica ispirata alla Royal Society britannica, in Proposal for promotion useful knowledge among the British plantations in America sostenne l'importanza della diffusione delle nuove conoscenze per lo sviluppo agricolo delle tredici colonie. L'anno successivo lui e Bartram furono tra i soci fondatori della Philosophical Society, la prima e più importante società scientifica americana, e in tale veste nel 1748, quando Kalm giunse a Filadelfia, lo accolsero con entusiasmo, facendo anche da tramite con Linneo (attraverso il solito Collinson). Franklin di Kalm divenne amico e ne pubblicò il resoconto del viaggio alle cascate del Niagara. A partire dalla seconda metà degli anni '50, il crescente impegno politico portò ripetutamente Franklin in Europa; tra il 1757 e 1775 egli visse per lo più in Inghilterra, dove rivestiva il ruolo di ambasciatore ufficioso delle tredici colonie, specialmente della Pennsylvania. A Londra, oltre ad essere l'animatore del gruppo che si incontrava dapprima nella St. Paul Coffehouse, quindi nella London Coffehouse (il cosidetto Club of Honest Whigs), divenne membro corrispondente di numerose società scientifiche, diverse tra le quali si occupavano specificamente di agricoltura. Si interessò in particolare della diffusione nelle colone di nuove tecniche agrarie (ad esempio, l'uso del gesso come ammendante) e di colture da reddito e industriali. Convinto sostenitore delle potenzialità di un'industria della seta americana, studiò le caratteristiche del baco da seta e del gelso, che si ritiene sia stato introdotto negli Stati Uniti per sua iniziativa. Infatti, mentre le piante americane inviate da Bartram attraversavano l'oceano e andavano ad abbellire i giardini britannici, grazie a Franklin altre piante facevano il cammino inverso e contribuivano allo sviluppo economico delle colonie. Oltre al gelso, gli si attribuisce l'introduzione in America di cavolo scozzese, orzo svizzero, rabarbaro cinese, cavolo rapa. Ma contribuì anche all'agricoltura inglese, facendo giungere sul suolo britannico le mele americane Newtown pippin o la foraggera Phleum pratense (una poacea europea che intorno al 1720 era giunta in America grazie al coltivatore Timothy Hanson, e verso il 1760, con il nome di Timothy grass, incominciò ad essere coltivata anche in Inghilterra proprio grazie a Franklin). Inoltre, da Londra e più tardi da Parigi, spediva regolarmente semi di piante orticole e ornamentali alla moglie Debora a Filadelfia. Tra il 1775 e il 1781 egli fu ambasciatore del Congresso in Francia; al di là del suo importantissimo ruolo politico, divenne un personaggio universalmente noto e ammirato e poté frequentare da pari a pari gli ambienti scientifici parigini; grazie ai suoi contatti con gli animatori del Jardin des Plantes, poté così inviare semi, arbusti e alberi esotici sia in Inghilterra sia in patria. L'invio di semi, in particolare di varietà nuove, resistenti e potenzialmente produttive, divenne anche più importate con il boicottaggio dei prodotti inglesi: la battaglia per la libertà e l'indipendenza passava anche attraverso l'autonomia economica. Una sintesi della sua intensa e poliedrica vita nella sezione biografie. Nel 1785, al suo ritorno definitivo da Parigi, Franklin fece trasformare l'orto della sua casa di Filadelfia in un giardino: non c'erano aiuole di fiori (secondo lui, come ornamento erano già sufficienti e imbattibili quelli del vicino mercato) ma un prato circondato da alberi e da arbusti fioriferi, con sentieri in brecciolino. Il punto focale era un gelso, all'ombra del quale Franklin, durante i lavori della Convenzione costituzionale, amava sedere e discutere con i delegati. La casa e il giardino di Franklin non ci sono stati conservati, ma nel 1976, in occasione del bicentenario dell'indipendenza nel luogo in cui sorgevano sono state create due "strutture fantasma" in acciaio tubolare che suggeriscono le linee degli edifici scomparsi, al centro di un giardino che richiama gli elementi essenziali di quello originale: un gelso, il prato, aiuole rialzate con alberelli di sofora (Styphlobium japonicum) e fioriture stagionali. Breve vita felice di Franklinia alamataha Nell'ottobre 1765, mentre esplorava la valle del fiume Alatamaha nei pressi di Fort Barrington insieme al figlio William, John Bartram notò alcuni curiosi arbusti (data la stagione, senza fiori). Solo nel 1773, William, nel corso dell'ampia spedizione botanica nel sud del paese, finanziata dal dottor Fothergill, di ritorno nella valle dell'Alamataha, poté ammirarne la fioritura; così racconta l'incontro nei suoi Travels: "Mentre stavo disegnando vicino al forte fu assai deliziato dalla scoperta di due magnifici arbusti in piena fioritura. Uno di loro sembrava essere una specie di Gordonia, ma i fiori sono più grandi e meno profumati di quello di G. lasianthus." William raccolse alcuni semi e, al suo ritorno a Filadelfia nel 1777, li seminò con successo nel suo vivaio: gli alberi crebbero e arrivarono a fiorire nel giro di pochi anni. Egli battezzò la nuova pianta Gordonia pubescens; ma Solander, sulla base di un esemplare inviato a Fothergill, fece notare che si trattava di un genere sconosciuto. I Bartram chiamarono dunque la pianta Franklinia alatamaha in onore del grande Benjamin Franklin, carissimo amico di famiglia, e del maestoso fiume sulle cui rive viveva. Nel 1785 il nome fu ufficializzato da Humphrey Marshall, cugino di William, nel suo Arbustum Americanum: The American Grove. Franklinia è un genere monotipico della famiglia Theaceae. La sua unica specie, appunto F. alatamaha, un grande arbusto o alberello caducifolio con spettacolari fiori bianchi, è estinta allo stato naturale. Quando William la individuò, notò che cresceva esclusivamente in un'area pianeggiante di due o tre acri lungo il fiume Alatamaha; non c'erano notizie che crescesse altrove. Nel 1790 Moses Marshall, figlio di Humphrey, nel corso di una spedizione di raccolta, localizzò di nuovo la stazione dove viveva la Franklinia. Nel 1803, John Lyon, giardiniere e cacciatore di piante scozzese, ne trovò da sei a otto esemplari; è l'ultima segnalazione della presenza della pianta in natura; essa può essere considerata estinta allo stato selvatico non molto dopo quella data. Perché la Franklinia si è estinta? Alcuni non esitano ad additare un colpevole a due zampe: sarebbe stata proprio la raccolta dei semi e dei pochi esemplari da parte dei cacciatori di piante a decretarne la fine. Ma forse la situazione è più complessa: il fatto che in coltivazione abbia mostrato una buona rusticità, crescendo rigogliosa in climi più freschi e suoli più ricchi di humus, ha fatto pensare che la specie sia di origine più settentrionale e si sia spostata a sud durante le glaciazioni; ma mano a mano che il clima si faceva più caldo, essa si trovò a vivere in suoli poveri, argillosi, poco drenati (proprio l'opposto delle condizioni preferiti dalle Theaceae). La popolazione, un tempo ben più diffusa, così incominciò a declinare e quelli trovati dai Bertram erano i suoi ultimi rappresentanti. Un'altra ipotesi è che al suo declino abbia contribuito la coltivazione estensiva del cotone nell'area, con la conseguente diffusione di organismi patogeni radicali, ancora oggi un grave problema per gli esemplari coltivati. Se l'uomo ha forse dato l'ultima spinta alla sorte vacillante della Franklinia, ne ha se non altro garantito la sopravvivenza in coltivazione: tutti gli esemplari oggi esistenti al mondo (si calcola che sia coltivata in un migliaio di luoghi: parchi, giardini, arboreti, orti botanici) discendono dai semi piantati da William Bartram nel 1777. Non è neppure ipotizzabile una sua reintroduzione in natura; proprio perché tutte le piante esistenti sono strettamente imparentate, non assicurano la diversità genetica sufficiente per resistere a nuove malattie o per adattarsi ai cambiamenti climatici. Nella scheda qualche informazione in più sulla bellissima e fragile Franklinia alatamaha e suoi notevoli ibridi nati dall'incrocio con altre Theaceae.
0 Comments
Il bello della ricerca è che spesso riserva sorprese. Tutti crediamo di sapere che la Robinia si chiama così in onore del giardiniere del re di Francia Jean Robin che primo la piantò in Europa, e a testimoniarlo c'è anche il matusalemme degli alberi parigini. Ma a scavare, a interrogare le fonti, si scopre che, forse, non è andata proprio così. Jean Robin, un giardiniere intraprendente Lungo la rive gauche della Senna, proprio di fronte a Notre Dame, Square Viviani è una piccola oasi verde che si vanta di ospitare l'albero più vecchio di Parigi: è un'acacia, o meglio una Robinia pseudoacacia. Secondo la tradizione, l'avrebbe piantata qui nel 1602 Jean Robin, farmacista e erborista del re Enrico IV. Il venerabile esemplare, per quanto imponente (30 m d'altezza, 3,5 m di diametro), è alquanto acciaccato: per permettergli di rimanere ancora in piedi, cemento è stato colato nelle fessure del tronco, a sua volta sostenuto da tre pilastri sempre di cemento, dove si arrampica un'edera che deve periodicamente essere rimossa affinché non soffochi il fragile quattro volte centenario. Ma chi era Jean Robin e come gli è giunta questa pianta americana (la Robinia pseudoacacia è originaria degli Appalachi, nell'America settentrionale) a cui avrebbe per sempre legato il suo nome? Iniziamo dalla prima domanda. Farmacista, con una discreta formazione (scrisse in latino la maggior parte delle sue opere, in cui dimostra una buona conoscenza delle acquisizioni della botanica del tempo; Pitton de Tournefort lo riteneva il miglior conoscitore delle piante della sua epoca), Jean Robin intorno al 1586 fu nominato "arborista e erborista" del re Enrico III, incarico che gli sarebbe stato confermato dai successori Enrico IV e Luigi XIII. Nel 1597 la facoltà di medicina gli affidò la cura del piccolo orto annesso all'école de medicine di rue de la Bucherie, creato già nei primi anni del secolo, dove si coltivavano i semplici da "dimostrare" ai futuri medici. Non si trattava di un vero orto botanico, ma di un semplice horticulus (simile a quello creato da Rondelet nel cortile della facoltà di medicina di Montpellier) con non più di duecento specie. Il curatore, oltre a occuparsi della gestione dell'orto, impartiva anche lezioni di botanica pratica e erboristeria ai futuri medici. Per quanto prestigiosi, non erano tuttavia gli incarichi di "botanico del re e curatore del giardino della celeberrima scuola di medicina", ad arricchire l'intraprendente Robin che, stimolato dalla moda dei fiori esotici introdotta a corte dalla regina Maria de' Medici, negli stessi anni creò un giardino privato sulla punta occidentale dell'Ile de la Cité, dove coltivava piante esotiche di cui si procurava i semi e i bulbi attraverso una vasta rete di contatti, che includevano tra l'altro John Tradescant il vecchio, Mathias de l'Obel e Carolus Clusius. Suo stretto collaboratore fu il figlio Vespasien che tra fine Cinquecento e inizio Seicento viaggiò moltissimo per raccogliere piante e rinsaldare la rete di fornitori; fu in Inghilterra, nelle Fiandre, in Germania, in Italia, in Spagna e visitò addirittura alcune isole al largo della Guinea portoghese. Che cosa coltivasse Jean Robin nel suo giardino lo sappiamo grazie al Catalogus stirpium tam indigenarum quam exoticarum quæ Lutetiæ coluntur (1601), "Catalogo delle specie sia indigene sia esotiche che si coltivano a Parigi", in cui si elencano le 1300 specie che vi crescevano. Tra di esse quella che riscuoteva maggiore successo era la tuberosa (Polyantes tuberosa) che era appena stata introdotta dal Messico ed era ancora estremamente costosa; un contemporaneo accusò Robin di essere così geloso dei suoi bulbi più esclusivi da distruggerli piuttosto che donarli agli amici. Guy Pantin, il mordace decano della facoltà di medicina di Parigi, rincarò la dose soprannominandolo "Eunuco delle Esperidi", ovvero feroce guardiano del suo harem vegetale. Forse una critica un po' esagerata, se pensiamo che il giardino - vicinissimo al Louvre e a Notre Dame - era aperto ai visitatori, era frequentato sia dalle dame di corte sia dagli studiosi che i due Robin accompagnavano lungo i viali, mostrando le specie più interessanti e dissertando sulle loro proprietà. Uno splendido florilegio Per promuovere la sua impresa commerciale, nel 1608 Jean Robin si associò con Pierre Vallet (o Valet), "ricamatore del re", un grande pittore botanico e incisore che lavorava per la corte disegnando modelli floreali da ricamare: la moda degli abiti con ricami di fiori esotici, lanciata da Maria de' Medici, furoreggiava tra le dame di corte. Il frutto della loro collaborazione fu lo spettacolare florilegio Le jardin du Roy très chréstien Henry IV. Preceduto da un pomposo frontespizio, che ritrae l'ingresso di un giardino alla francese, con ordinate aiuole e serre (immagine ideale o reale riproduzione del giardino di Robin?), fiancheggiato dalle statue dei numi tutelari Clusius e l'Obel, comprende una sessantina di splendide tavole in cui Vallet ha ritratto dal vero piante da fiore spesso esotiche e assai ornamentali, coltivate nel giardino di Robin o nei giardini del Louvre; particolarmente notevoli le bulbose, tra cui anche alcune specie africane. I brevi testi e la dedica alla regina, in latino, si devono a Jean Robin. Lo scopo della squisita opera era duplice: fornire modelli destinati ai ricamatori e far conoscere alcune specie recentemente importate da Vespasien dalla Spagna e dalla Guinea. L'opera ottenne abbastanza successo da indurre gli autori a pubblicarne una seconda edizione accresciuta nel 1626, con il titolo Le jardin du Roy tres chrestien, Loys XIII. Alla morte di Jean Robin (1629), i suoi incarichi passarono al figlio Vespasien che era stato da lui formato e che, come abbiamo visto, da tempo era il suo principale collaboratore. Insieme nel 1624 avevano pubblicato la seconda edizione del catalogo del loro giardino, Enchiridion isagogicum ad facilem notitiam Stirpium tam indigenarum quam exoticarum quæ coluntur in horto D.D. Joan. & Vespasiani Robin, dove le piante elencate sono ben 1800. Ma intanto anche a Parigi, per la tenace volontà di Guy de La Brosse, stava per nascere un vero orto botanico. Istituito con patente reale nel 1626, il Jardin du Roi (il futuro Jardin des Plantes) nasce nel 1635 e viene inaugurato nel 1640. Vespasien Robin, che ormai ha una cinquantina di anni ed è un botanico di grande preparazione ed esperienza, viene nominato sottodimostratore del giardino; di fatto, sarà il braccio destro e il principale collaboratore di de La Brosse fino alla morte (1662). Anche le sue piante traslocano nel nuovo giardino, tanto più che l'area in cui era sorto il vecchio giardino di Jean Robin era stata nel frattempo inglobata in place Dauphine. Qualche notizia in più sui due Robin nella sezione biografie. Nella gallery alcune immagini tratte da Le jardin du roy très chréstien Henry IV. Le tavole furono stampate in bianco e nero, ma Vallet allegò le indicazioni dei colori; ci sono pervenute alcune copie con le immagini successivamente colorate a mano. Il mistero si infittisce: chi ha introdotto davvero la Robinia? Ma torniamo alla Robinia di Square Viviani. La targa apposta dalla Municipalità di Parigi informa che fu piantata da Jean Robin nel 1602. Altri parlano invece del 1601. Secondo la versione più nota, nel 1601 Jean Robin avrebbe ricevuto alcuni semi della pianta dal corrispondente inglese John Tradescant il vecchio (come si è visto in questo post, il figlio del giardiniere inglese visitò l'America settentrionale e ne riportò molte piante); sarebbe riuscito a farne germinare alcuni e ne avrebbe piantato un esemplare nel suo giardino dell'Ile de la Cité. Improbabile in effetti che l'Eunuco delle Esperidi avesse trapiantato il primo, preziosissimo esemplare, nel giardino della scuola di medicina; dunque quello di Square Viviani sarebbe un secondo esemplare, piantato/trapiantato l'anno dopo (dal punto di visto topografico i conti tornano: rue de la Bucherie sbocca in square Viviani). Ma, con buona pace dei parigini, non è finita qui. La Robinia (che all'epoca veniva chiamata Acacia) non è menzionata né nel Catalogo del suo giardino pubblicato da Robin padre nel 1601, né in Histoire des plantes nouvellement trouvées en l'isle de Virginie et autres lieux scritta da Robin figlio nel 1620, né nella seconda edizione del catalogo del 1626. La prima opera francese a menzionarla (con il nome Acacia americana Robini, l'acacia americana di Robin) è Plantarum canadensium historia del 1635, del botanico Jacques Philippe Cornuti, allievo di Jean e amico di Vespasien. L'anno prima, 1634, la pianta è invece citata da John Tradescant nel catalogo del suo giardino; nel Theatrum botanicum di Parkinson del 1640 si dice che nel giardino di Tradescant ce n'era un grande esemplare (quindi doveva essere stato piantato da qualche anno). Un'altra data sicura è il 1636, anno in cui Vespasien Robin trapiantò una Robinia nel Jardin des Plantes (l'esemplare non esiste più, ma ancora sopravvivono piante ricavate dai suoi polloni). Dunque, la Robinia di Square Viviani non è il primo esemplare mai seminato in Europa, non è nato né né nel 1601 né nel 1602, ma in una data imprecisata tra il 1626 e il 1636, seminato da Jean oppure da Vespasien (più probabilmente da quest'ultimo); con qualche anno di meno, continua a conservare il primato di pianta più vecchia di Parigi e presumibilmente di più antica Robinia pseudoacacia d'Europa ancora in vita (in effetti, la sua longevità è del tutto eccezionale: si tratta di alberi che in genere non superano i sessant'anni). Probabilmente la data tradizionale è un falso, dovuto a motivi nazionalistici. Ma nazionalismo per nazionalismo, è bene ricordare che la presenza della Robinia è attestata all'orto padovano proprio nel 1602 (prima o dopo Tradescant? mistero!). Nel 1738 Linneo visitò Parigi e anche a lui, come a ogni turista che si rispetti, fu presentata la famosa pianta. Prendendo per buona la sua storia e avendo riconosciuto che apparteneva a un genere diverso dall'Acacia, in Species plantarum (1753) la ribattezzò Robinia pseudoacacia, in onore dei due Robin, Jean e Vespasien. Robinia (famiglia Fabaceae, un tempo Leguminose) è un genere esclusivamente nord americano, dal Canada al Messico settentrionale. Il numero delle specie è discusso (da 4 a 10); la più nota è proprio R. pseudoacacia che, dai tempi dei Tradescant e dei Robin, ha fatto in tempo a naturalizzarsi in Europa, diventando la specie esotica più diffusa in Italia, apprezzata per il legname resistente e duraturo, gli splendidi fiori dolcemente profumati e l'abbondante produzione di nettare, da cui le api ricavano il rinomato miele d'acacia. E' tuttavia anche una specie invasiva che, grazie alla rapidità di crescita dei polloni, compete vittoriosamente con le specie autoctone, creando boschi con poche specie e scarso sottobosco. Coltivata invece nei giardini, nei viali e nelle piazze cittadine, non desta problemi e offre anche numerose cultivar che ne allargano le potenzialità ornamentali. Altre informazioni nella scheda, dove si parla anche delle sue sorelline meno note ma estremamente interessanti. Nel 1753, in uno dei momenti di massima chiusura della Cina dei Qing, il pittore cinese Lang Shining (che in realtà tanto cinese non è) dipinge un bonsai di una pianta che arriva dal Sud America. La spiegazione del mistero sta nell'astuzia di un gesuita e botanico francese, Pierre d'Incarville, che grazie alle curiose proprietà di quella pianta riesce ad ingraziarsi l'imperatore e a farsi aprire i cancelli dei favolosi giardini imperiali. Spedisce tanti semi in Europa da cambiare per sempre l'aspetto di viali, parchi e aiuole del vecchio continente; nel fatidico 1789, con un gesto non troppo rivoluzionario, il nipote del suo maestro gli dedica il genere Incarvillea. La pianta dell'Occidente che dice il tempo Nel Museo Nazionale di Taipei è conservato un singolare dipinto da Lang Shining, al secolo Giuseppe Castiglione, padre gesuita e pittore alla corte di tre imperatori cinesi, eseguito nel 1753. La curiosità non sta nel soggetto (un bonsai in un vaso azzurro), ma nella pianta protagonista: è una sensitiva, Mimosa pudica. E' una pianta che molti conoscono per una curiosa proprietà: quando se ne sfiorano le foglie, queste si chiudono. Dato che è originaria dell'America latina, è ovvio chiedersi come sia giunta nella Cina del Settecento, all'epoca un paese notoriamente chiuso in se stesso. E' qui che entra in scena un altro gesuita, il francese Pierre d'Incarville; era arrivato in Cina nel 1740, in un periodo in cui il nuovo imperatore Qianlong praticava una politica di ulteriore restrizione dell'accesso agli stranieri e di ostilità aperta al cristianesimo. Da più di un secolo, tuttavia, i gesuiti erano riusciti a crearsi uno spazio a corte, non come missionari ma come tecnici e scienziati il cui sapere era altamente apprezzato. Lo stesso d'Incarville lavorava per la vetreria imperiale. La sua formazione e la sua inclinazione andavano però alla botanica; fin dal suo arrivo nel paese, si era reso conto che la Cina era uno scrigno inesauribile di tesori botanici ma che accedervi era praticamente impossibile. I pochi esemplari e i semi che poteva procurarsi in città, nelle brevi ed occasionali escursioni nei dintorni e dai venditori di sementi erano poca cosa e dopo pochi anni erano sempre gli stessi; molto frustrante, pensando che dentro le mura degli immensi giardini imperiali c'era un inaccessibile tesoro di piante! Avendo scoperto che l'imperatore, uomo di fine cultura, era amante dei fiori - l'arte del giardinaggio, del resto, in Cina era secolare e aveva raggiunto risultati di estrema raffinatezza - elaborò una strategia (come scrisse in una lettera al suo maestro e corrispondente Bernard de Jussieu, dimostratore del Jardin Royal di Parigi) che mirava a farsi riconoscere in primo luogo come "curioso dei fiori", quindi come "botanico". Chiese quindi sia al maestro sia a Cromwell Mortimer, segretario della Royal Society di Londra, di inviargli bulbi e semi di piante "occidentali" interessanti, con le indicazioni di coltivazione. Dopo averli amorosamente coltivati nel giardino della residenza e nella sua stessa stanza, pensava di farne omaggio all'Imperatore destandone la curiosità. Il piano riuscì, proprio grazie alla Mimosa pudica. Quando d'Incarville gliene presentò due pianticelle e lo invitò a sfiorarne le foglie, il figlio del cielo rimase meravigliato e divertito. Gradì talmente il dono (che egli considerava, secondo lo stile cerimoniale in auge alla corte del Celeste impero, un omaggio dell'Occidente alla sua augusta persona) da ordinare a Castiglione di ritrarre la meravigliosa pianta; al dipinto volle unire una poesia da lui composta e scritta di suo pugno in cui la sensitiva viene chiamata "Pianta dell'Occidente che dice il tempo"; l'imperatore aveva infatti constatato che le foglie si riaprivano dopo cinque minuti al mattino e dopo dieci alla sera. Il perseverante gesuita ottenne così quanto si era ripromesso: gli vennero aperte le porte dei giardini imperiali, venne messo in contatto con i direttori di tre giardini e con il "Mandarino delle serre"; inoltre, venne chiamato, come botanico imperiale, a progettare il giardino all'occidentale che circondava i padiglioni in stile europeo creati da Castiglione nei Giardini della perfetta Chiarezza. Rimane ancora da chiedersi come fossero arrivati a d'Incarville dei semi di una pianta sudamericana; l'ipotesi più probabile, secondo Jane Kilpatrick che ha studiato i primi scambi botanici tra Europa e Cina, è che gli fossero stati inviati da Mortimer o da altri corrispondenti inglesi con cui questi lo aveva messo in contatto, in particolare Peter Collinson, il celebre collezionista e mercante di piante che nel 1751 ricevette proprio da d'Incarville i primi semi di Ailanthus altissima. Fonte: Yu-Chi Lai, "Overview the Network of European Botany in the Imperial Palace of Qing Dynasty via Giuseppe Castiglione’s “Time-telling Plant from the West”, Academia Sinica of Modern History, ASDC E Newsletter, 6, 10/06/2015 Pierre d'Incarville mediatore botanico Il ruolo di mediazione di Pierre d'Incarville è stato duplice: non solo ha fatto conoscere alla Cina piante coltivate in Occidente (l'elenco inviato a Jussieu include papaveri dai grandi fiori, tulipani, ranuncoli, anemoni, garofani, narcisi, fiordalisi, nasturzi, gigli), ma, nonostante tutti gli ostacoli, con ripetuti invii di semi è alla base dell'introduzione nei giardini d'Europa e America di piante oggi molto comuni e popolari. Oltre al già citato ailanto, l'elenco comprende tra l'altro sofora del Giappone (Styphnolobium japonicum), seminata nel 1747 da Jussieu al Jardin des Plantes di Parigi dove ancora vive; Koelreuteria paniculata; Gleditsia chinensis; giuggiolo (Ziziphus jujuba); astro della Cina (Callistephus sinensis); cuor di Maria (Lamprocapnos spectabile); goji (Lycium chinense); indaco giapponese (Persicaria tinctoria). Con viaggi lunghi e complessi (una lettera scritta da d'Incarville a Pechino nel novembre 1751 viene letta da Mortimer alla seduta della Royal Society del giugno 1753) i semi da lui inviati raggiungono Parigi, Londra (e attraverso Collinson, Philadelphia e Baltimora), San Pietroburgo (per mezzo delle carovane di mercanti russi che ogni tre anni potevano raggiungere Pechino per scambiare pellicce siberiane con balle di tè). D'Incarville inviò a Jussieu anche i suoi erbari; alcuni sono andati perduti per la distanza, i naufragi, gli eventi bellici; uno ragguardevole (con 144 esemplari raccolti a Macao e 149 nella regione di Pechino) è conservato al Jardin des Plantes, ma è stato studiato e pubblicato solo alla fine dell'Ottocento. Anche le sue lettere ai numerosi corrispondenti (dal 1751 è membro corrispondente estero della Académie royale des Sciences) contribuiscono alla conoscenza della flora cinese: nel 1740, ancora a Macao, vede e descrive una pianta di Kiwi (Actnidia chinensis); qualche mese dopo, a Canton, dove si ferma in attesa del necessario permesso imperiale per raggiungere Pechino, è la volta di una pianta di tè in fioritura; nella citata lettera a Mortimer, descrive tra l'altro l'albero della lacca (Toxicodendron verniciflua), alcune piante usate per fare la carta e il giuggiolo. Inoltre il gesuita inviò all'Académie diverse memorie, tra cui una sui bachi da seta selvatici (bombice dell'ailanto). Compilò vari cataloghi di piante cinesi, il più ampio dei quali nell'Ottocento era conservato nella Biblioteca del Museo asiatico di San Pietroburgo. Per risolvere il problema dell'identificazione delle piante (spesso doveva accontentarsi di inviare semi o esemplari secchi con indicazioni come arbor cinesorum incognita "albero sconosciuto dei cinesi") curò la realizzazione di due copie del Yuzhi bencao pinhui jingyao, un catalogo delle piante medicinali cinesi con circa quattrocento disegni a colori, una con la traduzione dei testi, l'altra con le sole tavole accompagnate dal nome in cinese; tuttavia, a parte poche tavole, l'opera è andata perduta. Altre notizie nella biografia. Incarvillea, una bignonia terrestre Tra le piante contenute nell'Erbario inviato a Bernard de Jussieu una era identificata come "Bignonia". Una quarantina di anni dopo, nel 1789, un altro Jussieu, il celebre tassonomista Antoine-Laurent, nel suo Genera Plantarum riconosce la sua appartenenza a un nuovo genere, che chiama Incarvillea con la seguente motivazione: "Ne ho ricavato le caratteristiche da un esemplare secco dell'erbario inviato nel 1743 a Bernard de Jussieu dal Padre d'Incarville, missionario gesuita a Pechino, esperto di botanica, insieme a moltissimi semi di nuove piante, in particolare degli astri della Cina (= Callistephus chinensis), prima di allora sconosciuti in Europa". Anche se non può certo rivaleggiare in popolarità con la sua compagna di viaggio (conosciuta anche come Regina Margherita) l'Incarvillea è una perenne dalle splendide fioriture, con i grandi fiori a imbuto tipici della famiglia delle Bignogniaceae (nota soprattutto per le magnifiche rampicanti). E' un piccolo genere nativo dell'Asia centrale e orientale, per lo più dell'area himalayana; la specie più nota è Incarvillea delavayi che ricorda un altro gesuita missionario in Cina: Jean-Marie Delavay (1834-95), grande viaggiatore e scopritore di piante nella seconda metà dell'Ottocento. Informazioni sulle specie più coltivate di questa splendida pianta da bordura e giardino roccioso nella scheda. Con 5 milioni di morti all'anno (secondo le stime dell'OMS) ne uccide più di cicuta, aconito, stramonio, veratro e tutte le piante tossiche messe insieme. Eppure quando il tabacco arrivò in Europa fu celebrato come panacea capace di guarire tutti i mali. Tra i suoi celebratori, l'ambasciatore Jean Nicot che riuscì a promuoverlo alla corte di Francia, instaurando una moda e guadagnandosi (forse un po' abusivamente) l'onore di divenire patrono del genere Nicotiana. La miracolosa erba d'India Nel 1559 il re di Francia Enrico II inviò a Lisbona in qualità di ambasciatore l'umanista Jean Nicot, per risolvere alcune questioni relative ai diritti di dogana e soprattutto per negoziare il fidanzamento tra la figlia Margherita e il giovanissimo re portoghese, don Sebastian. Sul piano diplomatico la missione fu un totale fallimento, ma fu proficua sul piano culturale: Nicot inviò in Francia marmi, libri preziosi, spezie e piante esotiche. In effetti Lisbona nel Cinquecento era uno dei principali porti di accesso delle novità botaniche che affluivano in Portogallo dalle Indie orientali e occidentali. Così l'ambasciatore spedì in patria (in particolare al suo protettore, il cardinale di Lorena) nuove varietà di aranci, limoni e fichi, il fico d'India, l'indaco e soprattutto i semi di una pianta medicinale di cui vantava le virtù quasi magiche. Questa "erba d'India - magnificava Nicot - è dotata di meravigliose proprietà verificate contro il Noli me tangere [tipo di ulcere] e le fistole considerate inguaribili dai medici, e allo stesso tempo è un rimedio rapido e singolare contro le ferite". Anche se a questo punto realtà e leggenda incominciano ad intrecciarsi inesorabilmente, è certo che nel 1560 alcuni semi pervennero al cardinale di Lorena e, attraverso di lui, alla regina madre Caterina de' Medici (nel frattempo divenuta vedova) che provò le virtù della pianta per curare le terribili cefalee del figlio Francesco II. In tal modo lanciò a corte la moda di fiutare le foglie ridotte in polvere della magica erba, che incominciò ad essere conosciuta in Francia con molti nomi: herba reginae, herbe à la reine ("erba della regina"), Medicée, herbe à l'ambassadeur ("erba dell'ambasciatore"), ma soprattutto herbe à Nicot, herba nicotiana. Sarà quest'ultimo nome ad affermarsi in Francia; nel 1572 nell'edizione accresciuta di L'Agricolture et Maison Rustique di C. Estienne, Jean Liébault dedica parecchie pagine a quella che chiama ormai Nicotiana; ci informa che è efficacissima per curare piaghe, verruche, ragadi alle dita e ai talloni, che può essere usata fresca o secca (in impiastri), in polvere o in preparazioni come acqua distillata, olio, unguento, balsamo (degli ultimi due fornisce dettagliate ricette). In campo botanico il nome sarà ufficializzato nel 1586 da Jacques Daléchamps, nel suo Historia generalis plantarum, in cui la pianta è denominata Nicotiana sive tabacum ("Nicotiana ovvero tabacco"). Da lì al Nicotiana tabacum di Linneo il passo è breve! Questioni di precedenza Allora, tutto a posto? un nome di pianta dedicato alla persona giusta? Non proprio. Intanto, Nicot non è lo scopritore del tabacco, che era noto agli europei fin dal primo viaggio di Colombo; addirittura uno dei suoi compagni, Rodrigo de Jerez, prese il vizio del fumo dagli indigeni di Cuba (cosa che al suo ritorno gli costò l'arresto da parte dell'Inquisizione e una detenzione di sette anni). La prima approssimativa descrizione risale al 1495, per opera del frate Romano Pane, che aveva accompagnato Colombo nel secondo viaggio. Con buona pace dell'Inquisizione, il consumo del tabacco (l'etimologia del nome è discussa) si diffuse rapidamente in Spagna e Portogallo, tanto che già nel 1533 è attestato un mercante di tabacco a Lisbona. Gli si attribuivano d'altra parte tante virtù medicinali da farlo considerare una vera panacea; il suo maggiore estimatore fu il medico Nicolas Monardes in Historia Medicinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales (1574), secondo il quale poteva curare qualcosa come 36 malattie! Nel frattempo attraverso le Fiandre, che al tempo erano un possedimento spagnolo, il tabacco cominciava ad essere conosciuto nel resto d'Europa. La prima descrizione "scientifica" si deve a Rembert Dodoens nel suo erbario (Cruydeboeck, 1554), che tuttavia non descrive Nicotiana tabacum, ma N. rustica. Nella sua grande opera rimasta inedita, Fuchs descrive invece entrambe le specie. La prima immagine stampata di N. tabacum arriva nel 1570, in Stirpium adversaria nova di Pena e de L'Obel. Allora Nicot è stato il primo in Francia? Neppure questo è vero. Tra la fine del 1555 e l'inizio del 1556 il francescano André Thévet per dieci settimane visse a Fort Coligny, un forte che i francesi avevano costruito sulla costa brasiliana, in un fallimentare tentativo di colonizzazione; durante il breve soggiorno raccolse una massa di informazioni etnografiche, geografiche, zoologiche e botaniche. Malato, tornò in patria e scrisse Singularitéz de la France antartique ("Cose singolari della Francia antartica", 1558) in cui riferì come gli indiani Tupinamba coltivassero il tabacco, preparassero e fumassero rudimentali sigari; per quanto non fosse entusiasta di questa abitudine - quando aveva fatto qualche tiro gli era venuta una sincope! - ne portò con sé alcuni semi, che seminò nel suo orto a Angouleme, ribattezzando la pianta herbe angoulmoisine; usò anche il nome pétun (derivato dal tupi petyma, petyn) che ebbe una certa diffusione in Francia. Quando Thévet scoprì che uno che, contrariamente a lui, non era mai stato neppure in America, si era attribuito il merito della diffusione della pianta e le aveva dato il suo nome, andò su tutte le furie. Inutile: ormai lo scippo era stato perpetrato! D'altra parte, neppure lui avrebbe dovuto vantarsi di aver introdotto la pianta in Francia: nel 1525 il cartografo Pierre Grignon aveva visto in una bettola di Dieppe un marinaio che fumava la pipa (un oggetto talmente nuovo e inconsueto che sulle prime l'aveva scambiato per un calamaio). I marinai, accaniti fumatori di pipa, furono del resto tra i principali diffusori del tabacco, tanto che già nel 1542 per opera di marinai portoghesi aveva fatto il suo ingresso in Giappone, dove entrò rapidamente a far parte della cerimonia del tè. Altre informazioni sull'ambasciatore Nicot, come sempre, nella sezione biografie. Calmi, ragazzi: c'è una pianta per tutti Per una terza ragione, l'attribuzione a Nicot di Nicotiana tabacum è abusiva: come egli dichiara espressamente, la pianta di cui inviò in semi in Francia nel 1561 era originaria della Florida; si trattava dunque di Nicotiana rustica; è ancora più tossica di N. tabacum (contiene 9 volte più nicotina di quest'ultima) ed era usata dagli indigeni americani sia come erba sciamanica sia per vari usi medici. La pianta introdotta da Thévet, importata come abbiamo visto dal Brasile, è invece proprio Nicotiana tabacum. Inoltre, ai due possiamo far risalire la diversa connotazione sociale del tabacco da fumo (introdotto dal "plebeo" Thévet) e del tabacco da fiuto (introdotto a corte dal nobile Nicot): almeno fino a tutto il Settecento, l'uno vile abitudine delle classi più basse, il secondo consumo raffinato delle élites. Nonostante la frustrazione di Thévet per lo scippo, alla fine c'è una giustizia botanica: Nicot ha legato il suo nome al dono avvelenato del tabacco (e all'alacaloide che ne viene ricavato, la nicotina), mentre Thévet (lo vedremo meglio in questo post) si è visto assegnare la Thevetia, per aver descritto l'ahouai (Thevetia ahouai) una pianta altrettanto velenosa, ma ben meno pericolosa, ornamento dei giardini tropicali. Ma dato che questa è una storia di equivoci e inganni, anche il petun sopravvive sotto le mentite spoglie di un'altra solanacea, la Petunia. Quanto alla Nicotiana, oltre essere alla base della discutibile ma lucrosissima industria del tabacco, grazie a diverse specie ed ibridi è una magnifica pianta da giardino, che nelle notti estive emana un dolce profumo per attirare le falene. Altre informazioni soprattutto sulle specie ornamentali nella scheda. In una serra di sogno una nobildonna inglese riesce per prima a far fiorire una pianta appena arrivata dal Sud Africa. E' la duchessa di Northumberland, lady Charlotte Florentia Clive. La pianta è una Amarillydacea dalla spettacolare fioritura, che in suo onore verrà battezzata Clivia. D'altra parte non è a suo modo una lady vittoriana anche la Clivia, con le sue dimensioni imponenti, il look un po' demodé, una certa ritrosia nelle fioriture e, non ultimo, il costo un po' elevato? Una serra avveniristica Fino all'inizio dell'800, le serre erano edifici relativamente piccoli, costruiti essenzialmente in pietra, con grandi finestre e talvolta lucernari in vetro, derivati dalle orangeries o aranciere. Le cose cambiano con la rivoluzione industriale e i progressi nella produzione della ghisa e dell'acciaio. Intorno al 1820 il duca di Northumberland chiede all'architetto Charles Fowler, che era specializzato nella costruzione di edifici industriali, di progettare una serra di nuova concezione nel parco della sua residenza londinese, Syon House. La gigantesca serra - inaugurata nel 1827 - è una struttura prevalentemente in ghisa e vetro, che unisce la modernità al gusto neopalladiano dell'epoca, cui si ispira la spettacolare cupola centrale. Qualche anno dopo farà da modello al Crystal Palace che nel 1851 ospiterà l'Esposizione Universale di Londra. Nel Great Conservatory di Syon Park negli anni successivi affluiranno piante esotiche dal sud Africa, dall'Australia, dalla Cina, dall'India, tra cui una pianta ancora senza nome, giunta dal Sud Africa. Troverete maggiori informazioni e altre fotografie nel sito di Syon House. Una famiglia con il pollice verde Con la sua ricca flora e i numerosi endemismi, la zona del Capo si era rivelata un vero paradiso per i cacciatori di piante. Uno di essi, William John Burchell, tra il 1810 e il 1815 esplora intensivamente il Sud Africa. Tra le specie da lui scoperte c'è anche un'Amaryllidacea dai fiori penduli giallo-aranciati; qualche anno dopo, all'inizio degli anni '20, alcuni esemplari saranno raccolti da James Bowie, raccoglitore al servizio dei Royal Botanic Gardens di Kew che nel 1823 li invierà in Inghilterra . Oltre che a Kew, dove non fiorisce, la pianta viene coltivata anche nella serra di Syon Park, dove fiorisce per la prima volta. Così nel 1828 James Lindley, segretario della Royal Horticultural Society, decide di battezzarla Clivia nobilis, in onore della padrona di casa, lady Clive, che con il suo pollice verde era riuscita a far fiorire la bella riottosa. Accompagna la dedica con queste parole: "Abbiamo battezzato questo genere in onore di sua grazia, la Duchessa di Nortumberland, con la quale abbiamo un grande debito per aver avuto l'opportunità di pubblicarla. Inoltre questo omaggio è da tempo dovuto alla nobile famiglia dei Clive, e siamo orgogliosi di essere stati i primi a offrire questo tributo". Se volete sapere qualcosa di più su lady Clive, troverete altre informazioni nella sezione biografie. E' curioso che lo stesso giorno un altro botanico, William Hooker, futuro direttore di Kew, abbia pubblicato la pianta proponendo un altro nome, Imantophyllum aitonii. Tra i due botanici ci fu anche qualche polemica (Lindley accusò Hooker di aver surrettiziamente sottratto un esemplare a Kew...). Con grande fortuna nostra e della Clivia, a imporsi fu il più eufonico nome proposto da Lindley. Come scrive quest'ultimo nella dedica, l'intera famiglia Clive meritava l'omaggio. Il nonno della nostra Charlotte Florentia, Robert Clive, fu un personaggio illustre della storia britannica, il conquistatore dell'India; ma ancora più importanti sono i meriti botanici di altri membri di questa famiglia "verde". Il padre, Edward Clive, amava il giardinaggio e coltivava egli stesso le sue piante esotiche (si dice che ancora a 80 anni trafficasse in giardino dal mattino alla sera); la madre, Henrietta Herbert, era presumibilmente imparentata con William Herbert, appassionato e esperto di bulbose, e, quando viveva a Mysore, in India, scoprì Caralluma umbellata. Sua grazia la Clivia Ma veniamo alla Clivia, che è appena sfuggita all'infelice nome Imantophyllum. La prima specie ad essere descritta fu C. nobilis, cui negli anni successivi se ne aggiungeranno altre , in particolare C. miniata, la più nota e coltivata (descritta nel 1854). Per molto tempo resterà una pianta di nicchia; in effetti, è raro trovarla nei cataloghi ottocenteschi. Ciò era sicuramente dovuto al costo molto elevato, che non la rendeva adatta a tutte le tasche. Infatti la Clivia, benché sia abbastanza facile da coltivare, è di crescita lenta; le piante nate da seme impiegano circa sei anni per arrivare alla fioritura; anche quelle ottenute per distacco dei polloni non fioriscono prima dei tre anni. Dunque anche oggi le piante ben sviluppate e soprattutto le nuove cultivar risultano abbastanza costose. Nel 1995, quando vennero commercializzate le prime clivie giallo pallido, un vivaio le vendeva a 950 $! Oggi, l'ultima frontiera sono quelle a foglia variegata (un vivaio australiano le vende a prezzi che oscillano tra gli 80 e i 120 euro). Insomma, nonostante sia da quasi duecento anni nelle nostre case, la clivia continua a darsi arie da Lady. Altre informazioni sulle diverse specie e sul loro habitat nella scheda, dove troverete anche link a una selezione di siti in giro per il mondo. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
Categorie
All
|