Quando nel 1793 la spedizione Entrecasteaux collassa e gli ufficiali monarchici istigano gli olandesi ad arrestare i loro compagni repubblicani, tra i naturalisti l'unico a sfuggire a questa sorte è Louis-Auguste Deschamps. Durante il lungo periplo non sembra essersi distinto per particolare zelo naturalistico, ma ora accetta con entusiasmo la proposta del governatore van Overstraten di esplorare l'interno dell'isola. Sicuramente fa collezioni importanti, ma quando rientra in Francia la sua nave viene intercettata dagli inglesi, che sequestrano tutti i suoi materiali. Deschamps vivrà ancora a lungo la vita un po' oscura del medico e dell'erudito di provincia, ma il sogno di essere il primo a scrivere una Flora di Giava è ormai tramontato per sempre. Unica traccia del suo lavoro pionieristico un manoscritto, che dopo oltre secolo di oblio è stato studiato solo negli anni '50 del Novecento, rivelando che il botanico francese fu il primo a vedere e disegnare una Rafflesia. A ricordarlo il genere Deschampsia, che comprende aeree graminacee molto interessanti anche in giardino. ![]() Dalla spedizione di soccorso all'esplorazione di Giava Durante la spedizione Entrecasteaux, Louis-Auguste Deschamps sembra l'unico a non integrarsi, a non fare gruppo con i suoi compagni naturalisti. Gli altri a Parigi hanno fatto parte degli stessi ambienti - le societés savantes e i club rivoluzionari -, hanno le stesse idee politiche e stringono forti vincoli d'amicizia. Deschamps invece appartiene a un'illustre famiglia della nobiltà di toga di Saint-Omer, è monarchico, non sembra avere legami né personali né familiari con l'ambiente scientifico parigino, anche se all'inizio del 1791 è stato ammesso alla Societé d'Histoire naturelle. Non sembra neppure essere acceso dal fuoco sacro della ricerca che spinge gli altri a scontrarsi con il comandante e a prendere anche troppi rischi, come capita a Riche; è quasi defilato, in secondo piano. In Tasmania, quando per sfruttare al massimo il poco tempo disponibile, i naturalisti si dividono in tre squadre, non ne dirige nessuna. La Billardière - ma probabilmente è accecato dalla passione politica e dal rancore - ne mette addirittura in dubbio la competenza sia come chirurgo sia come naturalista. Sicuramente dovette invece fare la sua parte, in particolare in Nuova Caledonia dove sappiamo raccolse una notevole collezione. Quando a Giava gli echi degli eventi francesi scatenano la lotta aperta tra monarchici e repubblicani, Deschamps è il solo naturalista a non essere arrestato come agitatore rivoluzionario, sia che il comandante d'Auribeau ne conosca le idee, sia che egli si sia apertamente schierato dalla parte degli ufficiali controrivoluzionari. Ed è a questo punto, quando l'avventura dei suoi compagni finisce nell'angoscia della prigionia, che comincia la sua vera storia. Si trova anche lui a Semarang quando il governatore olandese van Overstraten gli propone di entrare al suo servizio per esplorare l'interno dell'isola, in vista della stesura di una storia naturale di Giava. Deschamps non si lascia sfuggire l'occasione di essere praticamente il primo naturalista occidentale a visitare la grande isola e tra il 1794 e il 1798 è impegnato in quattro intense campagne di esplorazione. Nel 1794, per prendere confidenza con il territorio, batte i dintorni di Ungaran, nella regione centrale. L'anno successivo, tra maggio e novembre 1795, un lungo giro lo porta prima nella regione centrale quindi lungo la costa sud, quindi di nuova nella piana centrale, infine sulla costa nord, fino a rientrare a Semarang, dove risiede tra un viaggio e l'altro, trascorrendo la stagione delle piogge a riordinare e classificare le raccolte. La campagna del 1796 lo vede raggiungere Surabaya navigando lungo i fiumi Solo e Mas, quindi esplorare la costa orientale, la parte più a est della costa meridionale (dove raccoglie tra l'altro una nuova specie di Passiflora e una Limonia) e l'isola di Madura, prima di ritornare nella regione centrale e rientrare a Semarang. Nel 1797 si dirige invece a occidente lungo la costa nord, per poi attraversare l'isola e raggiungere il settore centrale della costa sud, dove visita tra l'altro l'isola di Nusa Kanbangan; quindi muovendosi in diagonale verso nord ovest, tocca Bandung, Buitenzorg e Batavia. E' di fatto l'ultimo grande viaggio, cui nel 1798 seguirà solo una breve escursione nei dintorni di Buitenzorg. Durante questi lunghi e faticosi viaggi, in cui è accompagnato da disegnatori e portatori messi a disposizione dal governatore, scala montagne, visita boschi di teak e piantagioni di pepe, raccoglie informazioni sul bohun upas (Antiaris toxicaria, considerato l'albero più velenoso del mondo), esplora crateri, grotte e fonti termali, raccogliendo piante ma anche animali (a quanto pare, soprattutto pesci). Su quello che succede in seguito abbiamo due versioni. Secondo alcuni biografi, rientrò in Francia nello stesso 1798; molto più probabilmente, rimase invece a Giava fino al 1802, lavorando come medico a Batavia. In effetti, nel frattempo la situazione era cambiata: in Olanda era stata proclamata la Repubblica Batava e gli olandesi, da nemici della Francia e alleati della Gran Bretagna, si trovavano ora sul fronte opposto. A partire dal 1800, il porto di Batavia fu sottoposto al blocco navale britannico. Nel 1802 a cambiare la situazione intervennero due eventi: in primo luogo, l'amnistia concessa da Napoleone agli immigrati che non avessero impugnato le armi contro la repubblica; in secondo luogo, la pace di Amiens tra Francia e Regno Unito. Non sappiamo se nel frattempo Deschamps si fosse ufficialmente dichiarato immigrato; in ogni caso il nuovo quadro politico gli offriva l'occasione di tornare in patria senza rischi politici; partì dunque portando con sé i diari di campagna, numerosi disegni e presumibilmente le sue ricche collezioni naturalistiche. Tuttavia nello stretto della Manica la nave su cui viaggiava fu fermata dai britannici e tutto gli fu sequestrato. Come già La Billardière, anch'egli si rivolse a Banks per ottenerne la restituzione, ma nonostante le rassicurazioni di quest'ultimo, senza esito. Deschamps visse ancora a lungo. Tornato a Saint Omer, servì come chirurgo nell'ospedale cittadino; privo dei diari e delle collezioni, dovette rinunciare a scrivere la progettata Flora javanica, accontentandosi di una memoria sull'upas bohun e di alcuni articoli sui costumi di Giava. Gli rimase la passione per la botanica: raccolse un notevole erbario delle piante della regione (che i suoi eredi lasceranno alla biblioteca della città natale) e collezionò piante esotiche (come dimostrano alcuni acquisti di piante grasse messicane e fucsie sudamericane). Una sintesi della sua lunga vita (mori nel 1842) nella sezione biografie. Di manoscritti e erbari a lungo si perse ogni traccia, ma a Giava come a Londra girava la voce che durante il soggiorno nell'isola Deschamps si fosse imbattuto in una pianta straordinaria. Solo molti anni dopo John Reeves acquistò all'Indian House un pacco di documenti e piante essiccate che nel 1861 donò al Natural History Museum. E lì le carte giacquero a lungo; l'erbario andò perduto, mentre il manoscritto - consistente nei diari di campo di Deschamps, in un elenco delle specie raccolte e in un abbozzo di Flora Javanica, con diversi disegni - fu esaminato solo nel 1954 da C.A. Backer. Tra quei disegni, inequivocabile, l'immagine di un bocciolo di Rafflesia, che Deschamps vide nel 1797 nell'isola di Nusa Kanbangan. Anche se i botanici discutono di quale specie si trattasse (R. keithii secondo alcuni, R. horsfieldii secondo altri), è in ogni caso la prova che il primo occidentale a vedere e studiare un esemplare di questo stupefacente genere non fu né Horsfield né Arnold, ma proprio il nostro sfortunato Deschamps. ![]() Deschampsia, dai ghiacci dell'Artide ai giardini naturali Nel 1812, quando presumibilmente Deschamps si era ormai rassegnato alla sua vita di oscuro medico di provincia, il botanico Palisot de Beauvois gli dedicò il genere Deschampsia, separandolo dal linneano Aria, con le seguenti parole: "Dal nome di M. Deschamps, medico a Saint Omer, uno dei sapienti naturalisti nominati per la spedizione alla ricerca dello sfortunato La Pérouse". Tra il percorso esistenziale di Deschamps e quello di Palisot de Beauvois osserviamo coincidenze che non possono essere casuali: entrambi nobili e monarchici, si trovavano all'estero negli anni rivoluzionari e subirono qualche anno di esilio prima di poter ritornare in patria (Palisot nel 1798, Deschamps, come abbiamo visto, nel 1802). Inoltre, erano entrambi originari dell'Artois. Il genere Deschampsia, della famiglia Poaceae, comprende una trentina di specie di graminacee per lo più perenni ampiamente distribuite dalle zone artiche a quelle temperate fresche nonché nelle montagne tropicali, in pascoli umidi e radure boschive, in genere in terreno acido. Sono piante cespugliose che formano densi ciuffi di foglie lineari o oblunghe, da cui spuntano aeree infiorescenze a nuvola. Molte specie hanno un importante ruolo ecologico, come ospiti e cibo delle larve di diversi lepidotteri. La specie più nota è l'ubiqua D. caespitosa, il cui areale comprende entrambe le coste degli Stati Uniti, alcune zone del Sud America, l'intera Eurasia, l'Africa tropicale e l'Australia. Già ammirata da Karl Foerster che ne selezionò alcune varietà, questa specie molto variabile è di grande interesse in giardino, grazie al contrasto tra il fogliame verde scuro e le vaporose e aeree infiorescenze, soprattutto per le cultivar con spighette giallo-argenteo, come 'Goldschleier', o giallo-dorato come 'Goldtau' o 'Schottland', che crescono bene anche all'ombra. D. anctartica, una delle due sole piante superiori che vivono nel continente antartico, vanta invece il record di essere la monocotiledone più meridionale del mondo, capace di sopravvivere fino a -30°, nei lunghi inverni artici con luce minima o assente, grazie a un gene che inibisce la ricristallizzazione del ghiaccio. Qualche approfondimento nella scheda.
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Le avventure del grande botanico-esploratore Odoardo Beccari, celebre soprattutto per aver scoperto la pianta con l'infiorescenza più grande del mondo, Amorphophallus titanum, iniziano sotto il segno di lord Brooke, l'arcinemico di Sandokan, grazie alla cui protezione poté espolorare il Borneo sdettentrionale. I suoi viaggi lo portarono, nell'arco di un ventennio, anche in Malaysia, Indonesia e Corno d'Africa, dove fu coinvolto negli esordi del colonialismo italiano. Fu ancora un membro della famiglia Brooke, la rani Margareth, a convincerlo a scrivere il brillante Nelle foreste di Borneo, che, tradotto in inglese, gli assicurò fama europea. Tra i suoi più avidi lettori, anche Emilio Salgari, che ne trasse lo sfondo e molti particolari per il ciclo di Sandokan. Entusiasta e coraggioso viaggiatore in gioventù, nell'età matura Beccari si specializzò nello studio delle palme, di cui divenne uno dei massimi esperti mondiali. Lo ricordano decine di nomi specifici di piante e animali, e ben quattro nomi di generi botanici: Beccarianthus, Beccariella, Beccarinda, Beccariophoenix. ![]() Primo viaggio: nel regno di Sarawak La vocazione di esploratore e viaggiatore senza paura per Odoardo Beccari, giovane botanico fiorentino fresco di laurea, nasce dall'incontro con il marchese Giacomo Doria, presidente della Società geografica italiana, appena rientrato da un viaggio in Persia. Entrambi condividevano la passione per la natura (Doria era stato allievo del padre David, quando questi insegnava a Savona) e progettarono immediatamente una spedizione in qualche luogo inesplorato. Su consiglio di John Ball, celebre naturalista e alpinista, scelsero il regno di Sarawak, in Borneo. Per conoscere meglio la fauna e la flora del sud est asiatico, nel febbraio 1865 il ventiduenne Beccari si spostò a Londra, a studiare le collezioni indiane del British Museum e del giardino botanico di Kew. Qui, oltre a naturalisti come Hooker o Darwin, conobbe sir James Brooke, il leggendario rajah bianco di Sarawak. che, ormai anziano e malato (sarebbe morto tre anni dopo, nel 1868) era in patria per curarsi. Brooke prontamente scrisse lettere commendatizie in cui raccomandava i naturalisti italiani al suo reggente e futuro successore. All'inizio di aprile Beccari partì da Southampton alla volta di Alessandria d'Egitto, dove incontrò Doria e suo fratello Giovanni Battista, a sua volta diretto in Giappone. A giugno giunsero a Kuching, la capitale di Sarawak. All'inizio furono ospiti di Charles Brooke, il Tuan-muda (il"giovane principe"); poi si sistemarono in una piccola casa, con alcuni servitori, acquistando anche un sampan. Ben presto Doria e Beccari cominciarono a esplorare la foresta profonda che all'epoca circondava Kuching; intenzionato a conoscere da vicino quel nuovo mondo, Beccari si fece costruire una grande capanna nella foresta del Gunon Mattang, a circa 300 m sul livello del mare. Ma presto la salute di Doria cominciò a deteriorarsi, così che il geografo nel marzo 1866 fu costretto a rientare in Italia. Dopo aver accompagnato l'amico a Singapore, Beccari tornò a Sarawak e si stabilì nella capanna, ribattezzata "Vallombrosa", deciso a completare da solo il programma di esplorazione. Fino alla fine dell'anno fu il quartier generale da cui mosse per escursioni sulle montagne circostanti mettendo insieme una collezione straordinaria. Sul monte Poe scoprì una nuova specie di Rafflesia, che in onore del suo protettore battezzò R. tuan-mudae. Dedicò poi il 1867 all'esplorazione dell'interno, toccando anche aree mai visitate dai bianchi; si mosse in genere lungo i fiumi, ma anche a piedi, quando doveva superare rapide o penetrare nella foresta densa; corse più volte rischi mortali, come quando, persa la bussola, vagò per due giorni senza cibo in una foresta disabitata. Fino ad allora la sua salute era stata eccellente, ma verso la metà dell'anno contrasse la malaria e più tardi l'elefantiasi; perciò, benché avesse pianificato una nuova spedizione nell'interno, nel gennaio 1868 lasciò Kuching per rientrare in Italia. Qui aveva comunque il suo daffare a riordinare le enormi collezioni di esemplari naturalistici (oltre 4000 esemplari botanici, spesso costituiti da singole specie, molte delle quali ignote alla scienza) e etnografici, che in parte affidò al Civico museo di storia naturale di Genova, fondato e diretto da Doria. ![]() Nuova Guinea e dintorni Ma la vita del botanico da scrivania non si addiceva all'avventuroso Beccari. Nel 1870 fu contattato dalla Società geografica italiana e dalla compagnia di navigazione Rubattino, intenzionata ad acquistare la baia di Assab; venne così coinvolto negli esordi del colonialismo italiano, visitando insieme a Orazio Antinori e Arturo Issel la baia di Assab e il paese di Bogos, dove raccolse una notevole collezione di piante. Rientrato in Italia, incominciò a progettare una seconda spedizione malese, che prese avvio alla fine di novembre 1871. Il suo nuovo compagno era un altro ex allievo di David, il conte Luigi Maria d'Albertis. La prima tappa fu Giava, dove i due viaggiatori visitarono l'orto botanico di Bogor e il monte Gedeh. Ripartitono quindi alla volta della Nuova Guinea, che raggiunsero nel marzo 1872, dopo brevi soste a Flores, Timor, Banda e Ambon. Qui si ripeté in qualche modo quello che era avvenuto a Sarawak: dopo un inizio promettente, che li portò nell'isola di Sorong, quindi a Dorei e Andai, nella Guinea Occidentale, d'Albertis si ammalò gravemente e Beccari, in mezzo a mille difficoltà si ingegnò di riportarlo ad Ambon. Mentre il marchese rientrava in Italia a bordo della corvetta italiana Vettor Pisani, Beccari continuò il lavoro sul campo, visitando oltre ad Ambon le isole Aru (durante il viaggio contrasse il vaiolo) e Kei (qui il sampan su cui era imbarcato fece naufragio, ma per fortuna sia le attrezzature sia le collezioni si salvarono). La tappa successiva fu Celebes (oggi Sulawesi), di cui Beccari esplorò l'area sudoccidentale per tre mesi fino al febbraio 1874, spostandosi poi nell'area di Kendari nella costa sudorientale dove rimase circa sei mesi, dedicandosi soprattutto a rilievi topografici. Infatti la regione non solo era relativamente povera di piante, ma soprattutto infestata dai pirati sul mare e dai cacciatori di teste via terra. Ad agosto una nave olandese, che era stata inviata appositamente a cercarlo, essendosi sparsa la voce che la sua vita era in pericolo a causa dei pirati, lo portò a Makassar, dove ricevette una graditissima lettera dal marchese Doria, in cui lo informava che la città di Genova aveva accettato di contribuire a una seconda spedizione in Nuova Guinea con una sovvenzione di 15.000 lire. Dopo un breve soggiorno a Giava, a ottobre Beccari dava inizio al suo secondo viaggio in Nuova Guinea. Dapprima si fermò per circa tre settimane nell'isola di Ternate, nelle Molucche, dove raccolse ricche collezioni botaniche e zoologiche, nell'intenzione di farne la sua base per l'esplorazione della Nuova Guinea. Capito ben presto che era impossibile, tornò ad Ambon dove affittò un piccolo veliero, la Deli, con un equipaggio di 10 uomini, ingaggiando anche 8 portatori e un ragazzo come aiutante per la raccolta di piante e animali. La seconda spedizione in Nuova Guinea si protrasse da gennaio a agosto 1875. Usando come base la nave, l'esploratore visitò Sorong (dove scoprì anche un fiume non indicato nelle carte), l'isola di Wagei, quindi si mosse in direzione di Dorei lungo la costa occidentale della Baya di Geelvink; il resto della primavera fu dedicato all'esplorazione di altre isole della baia. All'inizio di giugno giunse a Dorei, dove incontrò la corvetta Vettor Pisani, cui affidò le sue collezioni, per partire verso i monti Arfak, stabilendo la sua base a Hatai, a 1500 m sul livello del male al centro della catena montuosa. Aveva progettato di dedicare almeno due mesi alla sua esplorazione, ma lo scoppio di un'epidemia di beri beri tra l'equipaggio (c'erano già stati due morti) lo costrinse a rinunciare. Quando ad agosto la Deli rientrò a Ternate, la malattia aveva ucciso buona parte dell'equipaggio. I risultati scientifici di questa seconda spedizione furono eccezionali soprattutto per le raccolte zoologiche (le sole specie di uccelli erano più di 2000) e le collezioni etnologiche, che includevano ogni tipo di oggetto usato dai nativi. Importanti furono anche i rilievi topografici che più tardi permisero al geografo Guido Cora di disegnare mappe di varie regioni. Il suo amore per la natura spicca nelle pagine che nelle lettere inviate dalla Nuova Guinea dedicò alla vita degli uccelli, in particolare al giardiniere bruno Amblyornis inornata, di cui descrisse con ammirazione e poesia le "capanne e giardini". Relativamente meno ricche le raccolte botaniche (al contrario di Borneo e Sumatra, dove Beccari opererà successivamente, in Nuova Guinea gli endemismi sono meno numerosi). Prima di lasciare la Nuova Guinea, Beccari ricevette il permesso di unirsi alla nave olandese Soerabaja che avrebbe effettuato ricerche barometriche e dal novembre 1875 alla fine di gennaio 1876 percorse la costa settentrionale della Nuova Guinea, esplorandone le baie e gli arcipelaghi, per poi raggiungere Ambon. Rientrato quindi a Ternate, a marzo si spostò a Giava, per imbarcarsi per l'Italia, dove rientrò dopo quattro anni e mezzo d'assenza, ricevendo molti onori. ![]() L'infiorescenza gigante di Sumatra Non bastarono certo a trattenerlo a casa. Dopo nemmeno un anno partì di nuovo, questa volta insieme a Enrico d'Albertis, cugino del suo precedente compagno. Concepita più come un viaggio di piacere che come spedizione scientifica, questa crociera iniziata nell'ottobre 1877 li portò in India, a Singapore, ancora a Kuching, quindi in Australia, Tasmania e Nuova Zelanda. Nel viaggio di ritorno, Beccari si separò da d'Albertis a Singapore per raggiungere Giacarta e Bogor, dove avrebbe preparato una spedizione a Sumatra. Lasciata Giava a maggio, all'inizio di giugno era a Padang, da dove, proprio come aveva fatto in Borneo e Nuova Guinea, si spostò nel cuore della foresta primaria del monte Singalong, un vulcano estinto alto quasi 2900 metri. Qui, al limite tra le coltivazioni e la foresta, all'altezza di 1700 m si fece costruire una capanna, che chiamò "Bellavista", dove visse tre mesi esplorando le pendici della montagna; esplorò poi la regione tra Padang e Bangok, dove giunse a novembre. Il bottino botanico raccolto soprattutto sul Singalang fu eccezionale (oltre 1000 esemplari); la scoperta più nota è quella di Amorphopallus titanum. Come egli stesso raccontò, ad agosto scoprì quello che inizialmente scambiò per il tronco di un albero ricoperto di licheni; avendo poi capito che si trattava del gambo di una foglia gigantesca di una Aracea, macchiettato di chiaro, promise un premio a chi gliene avrebbe portato un fiore. Dopo una mese la sua attesa fu premiata: per portarglielo, il mostruoso fiore fu legato a un palo e trasportato a spalle da due uomini. Come Rafflesia arnoldii è il fiore individuale più grande del mondo, Amorphophallus titanum è l'infiorescenza più grande, può raggiungere i 3 m e ricorda un gigantesco fallo (il nome significa "fallo privo di forma dei titani"); la foglia può raggiungere i 6 m e una superficie di 15 m di diametro. Beccari ne spedì fiori e tuberi al marchese Bardo Corsi Salviati che coltivava piante esotiche nelle serre della sua villa di Sesto Fiorentino; i bulbi però furono trattenuti alla dogana di Marsiglia e perirono; i semi invece raggiunsero il destinatario e germinarono. L'anno successivo il marchese spedì i piccoli tuberi a vari orti botanici europei, tra cui i Kew Botanical Gardens. Mentre le piante "fiorentine" morirono tutte, la pianta di Kew, coltivata in una serra e costantemente immersa in una vasca di acqua tiepida, riuscì a prosperare e dopo dieci anni giunse a fioritura (un evento ancora oggi eccezionale: A. titanum fiorisce ogni 7-10 anni, anche se alcuni esemplari fioriscono ogni 2-3 anni). Ma torniamo a Beccari che rientrò in Italia alla fine di dicembre 1878. La sua avventura malese era finita, ma lo attendeva ancora un viaggio in Africa; questa volta fu lo stesso ministro degli esteri a convocarlo e a inviarlo nuovamente nella baia di Assab (novembre 1879-gennaio 1880). Fu l'ultima tappa della sua ventennale carriera di naturalista-esploratore. Da allora fino alla morte, dopo una breve e burrascosa parentesi come direttore del giardino dei semplici di Firenze, dedicò le sue attività al riordino delle collezioni, agli affari di famiglia (fu tra i pionieri della produzione del Chianti) e allo studio delle piante tropicali, diventando un esperto di palme di fama mondiale. Su suggerimento dell'amica Margareth Brooke (la moglie del Tuan-muda Charles) che soggiornava spesso in Italia, a Bogliasco, e fu più volte ospite di Beccari in Toscana, raccontò le sue avventure malesi in un bellissimo libro di viaggio, Nelle foreste del Borneo (1902) che grazie alla traduzione inglese divenne poi un bestseller anche fuori d'Italia; molte delle fotografie che lo accompagnano erano state scattate dalla stessa rani Margareth. Tra i più avidi lettori dei resoconti di Beccari e di questo libro, anche Emilio Salgari, che ne trasse l'ispirazione e gli scenari per il ciclo di Sandokan (dove James Brooke, primo protettore di Beccari, diventa il cattivo per eccellenza). Altri particolari sulla avventurosa e intensa vita di Beccari nella sezione biografie. ![]() Dalle foreste asiatiche agli altipiani del Madagascar A quello che è considerato (insieme a Parlatore) il più grande botanico italiano del secondo Ottocento (e certo il più noto all'estero) furono dedicate numerose specie di piante e animali, a cominciare da quella Tulipa beccariana Bicchi (oggi T. saxatilis Siebold ex Spreng.) che il professor Bicchi, direttore dell'orto botanico di Lucca, gli dedicò quando era ancora adolescente. A ricordarlo sono i nomi di ben quattro generi botanici tuttora validi (altri tre sono invece ritenuti sinonimi): Beccarianthus, Beccariella, Beccarinda, Beccariophoenix. Il genere Baccarianthus, della famiglia Melastomataceae, fu creato nel 1890 dal botanico belga C.A. Cogniaux, in Handleiding tot de Kennis der Flora van Nederlandsch Indië, sulla base di B. pulchra, raccolta da Beccari a Sarawak. E' un genere di piccoli alberi poco noti distribuiti nelle foreste pluviali di Filippine e Papua-Nuova Guinea (oltre all'unica specie del Borneo). Hanno foglie coriacee, con venature molto evidenti, e fiori bisessuali relativamente vistosi raccolti in racemi apicali. Ben poche notizie sono riuscita a reperire, sintetizzate nella scheda. Il genere Beccariella, della famiglia Sapotaceae, fu creato sempre nel 1890 dal botanico francese J.B.L. Pierre, specialista di flora asiatica. Comprende una trentina di specie di alberi sempreverdi delle aree tropicali e subtropicali del Pacifico occidentale, soprattutto dall'Indonesia e la Malaysia all'Australia settentrionale. Hanno foglie coriacee, lucide, a volte cospicuamente tomentose; sia le foglie sia i fusti contengono un lattice che può risultare irritante; alcune hanno frutti relativamente grandi, come la curiosa Beccariella sebertii, originaria della Nuova Caledonia, i cui frutti dalla dimensione di grosse olive sono totalmente ricoperti da un fitto tomento vellutato color ruggine che ricorda la pelliccia di un animale. Qualche approfondimento nella scheda. Il genere Beccarinda, della famiglia Gesneriaceae, creato dal botanico tedesco C.E.O. Kuntze nella sua Revisio Generum plantarum (1891), comprende sette specie di erbacee perenni o suffrutici, litofite o terrestri, diffuse tra Cina, Myanmar e Vietnam. La specie più nota è la graziosa B. tonkinensis, con foglie ovate e irsute che ricordano quelle delle violette africane e fiori tubiformi e lobati lilla chiaro. Qualche notizia in più nella scheda. Se questi tre generi, tutti appartenenti alla flora del sudest asiatico, sono un omaggio all'attività di esploratore e ricercatore sul campo di Beccari che tanto contribuì a farla conoscere, l'ultimo genere è legato al suo contributo allo studio delle palme, in particolare con Palme del Madagascar (1912). E' infatti endemico proprio del Madagascar Beccariophoenix, creato dai francese Jumelle e Perrier de la Bathie nel 1915, che comprende due-tre specie, ormai rare in natura ma apprezzatissime in coltivazione; sono alte palme spettacolari, piuttosto simili nell'aspetto alla palma da cocco, che possono egregiamente sostituire per la maggiore rusticità. B. alfredii è stata scoperta solo di recente, nel 2002, quando Alfred Razafindratsira, osservando una fotografia di Beccariophoenix scattata sull'altopiano attorno a Andrembesoa, fu colpito dal fatto che esso crescesse in un'area così distante e così diversa sul piano ecologico dalla costa e dalle foreste litoranee in cui abitualmente crescono le altre specie; due anni dopo, una spedizione ritrovò questa e un'altra stazione, confermando che si trattava di una nuova specie, subito battezzata alfredii in onore dell'acume del suo "scopritore". Qualche approfondimento nella scheda. In mezzo a tanti zoologi e a qualche geologo, Pieter Willem Korthals fu l'unico botanico di formazione tra i membri della Natuurkundige Commissie. Con all'attivo sei anni di esplorazioni a Giava, Sumatra e Borneo e una collezione di oltre 1000 specie, diede un contributo importantissimo alla conoscenza della flora dell'Indonesia che meriterebbe di essere più noto. Ma, egli stesso primo critico dei risultati raggiunti, a 35 anni preferì ritirasi a vita privata per dedicarsi alla "filosofia speculativa". A ricordarlo nelle denominazioni botaniche, i generi Korthalsia e Korthalsella. ![]() Il prototipo delle guerre coloniali Tra il 1825 e il 1830, a Giava gli olandesi dovettero affrontare una vera e propria guerra che, oltre a mettere a dura prova il loro controllo dell'isola, li spinse a mutare profondamente la loro politica nell'intera Indonesia, con conseguenze anche per le attività dei naturalisti della Natuurkundige Commissie. Il sistema di tassazione, introdotto dagli inglesi e mantenuto dal governo olandese, che aveva imposto il pagamento di tasse ai contadini (prima, la Compagnia delle Indie olandesi si limitava ad acquistare i prodotti dai signorotti locali, che li ottenevano dai contadini in cambio dell'uso delle terre, con un sistema analogo alla mezzadria), aveva infatti destato il malcontento tanto dei proprietari quanto dei contadini. Saldandosi con motivazioni dinastiche e religiose, sotto la guida del principe Diponegoro di Yogyakarta, nel 1825 nelle regioni centrali dell'isola scoppiò una rivolta generale che tenne a lungo in scacco l'esercito olandese e fu domata solo con tecniche di antiguerriglia e una politica della terra bruciata che costò ai giavanesi almeno 200.000 vittime (e tra 8000 e 15000 agli olandesi). Terminata la rivolta con la cattura di Diponegoro, il governo olandese cercò di consolidare il proprio potere eliminando le cause del malcontento; il sistema di tassazione fu soppresso, e ai contadini giavanesi fu imposto il sistema delle coltivazioni forzate (cultuurstelsel) che li obbligava a scegliere fra riservare un quarto delle proprie terre a coltivazioni destinate all'esportazione, versando i ricavi al governo olandese, oppure prestare lavoro gratuito per un quarto del loro tempo in piantagioni governative. Contemporaneamente, il sostegno delle aristocrazie locali venne recuperato, cooptandone i membri nell'amministrazione delle piantagioni. La generalizzazione del sistema delle coltivazioni forzate implicava un più capillare controllo del territorio (prima, gli olandesi si erano stabiliti essenzialmente nelle località costiere) e una migliore conoscenza delle risorse agricole locali. Inoltre, le enormi spese sostenute per sconfiggere i ribelli (il debito della colonia era raddoppiato, passando da 20 a 40 milioni di fiorini) inducevano il governo a completare la conquista delle aree della regione indonesiana (in particolare Sumatra e Borneo), la cui sovranità olandese era stata riconosciuta dal trattato anglo-olandese del 1824. Queste nuove circostanze spiegano perché, dopo un decennio in cui i membri della Natuurkundige Commissie, la commissione di scienziati inviata ad esplorare i territori delle Indie orientali olandesi, erano stati soprattutto zoologi (riflettendo gli interessi scientifici del direttore della Commissie, l'ornitologo C.J. Temminck), si decise di puntare nuovamente su un botanico, coinvolgendo nella scelta il neonato erbario nazionale di Leida. Il prescelto fu il giovane botanico Pieter Willem Korthals, che da qualche tempo lavorava proprio all'erbario. Il suo compito sarebbe stato triplice: esplorare la flora di Giava (e delle altre isole), inviando in Olanda le specie più rare; conoscere meglio il territorio e le sue risorse naturali e umane; ispezionare le piantagioni governative e individuare le strategie migliori per accrescerne la produttività. ![]() Dall'esplorazione dell'arcipelago alla filosofia Entrato a far parte della Commissie nel 1830, Korthals fu immediatamente inviato a Parigi, a visitare l'erbario nazionale, in che si facesse un'idea delle specie già note (per ragioni sia di prestigio sia di eventuale sfruttamento commerciale, si puntava soprattutto sulle novità). Si imbarcò poi per Giava, insieme ai preparatori D.H.T. van Gelder e B. N. Overdijk, chiamati a sostituire l'ottimo van Raalten morto in Borneo. Giunto a Giava nell'aprile 1831, a Buitenzorg incontrò i superstiti della Natuurkundige Commissie: Macklot, S. Müller e van Oort. Con loro, già a maggio prese parte a un giro lungo la costa nord, per poi rientrare dalla costa sud. Korthals sarebbe rimasto nelle Indie orientali olandesi per quasi sette anni, partecipando a numerose spedizioni, prima a Giava, poi a Sumatra e infine in Borneo. Grazie ai suoi puntigliosissimi diari di campagna (in cui annotava con scrupolo non solo le caratteristiche delle piante e del loro habitat, ma anche una massa di informazioni geografiche e etnografiche) conosciamo bene i suoi movimenti, anche se per noi non è facile seguirli visto che molti toponimi hanno cambiato nome. Tra la seconda metà del 1831 e la prima metà del 1833, accompagnato ora da questo ora da quel membro della Commissione, visitò estesamente Giava, alternando alle escursioni naturalistiche l'ispezione delle piantagioni; scalò molte montagne, che con le loro pendici ricoperte di foresta pluviale erano una fonte inesauribile di scoperte botaniche, esplorò crateri vulcanici, risalì fiumi e visitò fonti termali. Nel giugno 1833, con S. Müller, van Oort e van Gelder, si imbarcò per Sumatra. Se, dopo la fine della rivolta, Giava era relativamente pacificata e ormai sotto il controllo olandese, la situazione a Sumatra era ben diversa. Nel nord del paese c'era un potente stato indipendente, il sultanato di Aceh e la presenza olandese, limitata all'area centro-occidentale, era recentissima. Fin dal 1803 tra i Minangkabau, il principale gruppo etnico di Sumatra occidentale, era scoppiata una guerra civile tra la nobiltà Adat, la quale difendeva una concezione sincretica dell'Islam e il diritto consuetudinario che conservava elementi preislamici, e i Padri, musulmani integralisti che avrebbero voluto imporre la legge coranica; gli olandesi intervennero nel 1821, su richiesta degli Adat, iniziando una dura guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1837 con la sottomissione dei Padri. Era dunque un paese in guerra quello che fu visitato dai nostri naturalisti tra la fine di giugno 1833 e il gennaio 1836; per forza di cose, si mossero principalmente tra i dintorni di Padang (il più importante centro della costa occidentale) e la catena di fortilizi che gli olandesi avevano costruito a partire dal 1825 per tenere sotto controllo i territori faticosamente strappati ai nemici- che spesso preferivano incendiare i propri villaggi piuttosto che arrendersi. Con l'eccezione delle escursioni di Jack nell'area di Bencoolen, erano i primi naturalisti ad esplorare la natura di Sumatra. Il bottino per il nostro Korthals fu particolarmente ricco di specie ignote alla scienza. La sua scoperta forse più importante fu probabilmente il kratom, una pianta largamente usata nella medicina tradizionale, con effetti calmanti in grado di sostituire l'oppio senza provocare dipendenza, da lui ribattezzato Mitragyna speciosa. Nel 1835, il gruppo dei naturalisti si arricchì di un nuovo arrivo, il geologo svizzero Ludwig Horner, che spesso accompagnò Korthals collaborando anche alla raccolta di esemplari botanici. Ma pochi mesi prima c'era stata anche una perdita dolorosa: quella del pittore Pieter van Oort che, quando già pensava di ritornare a casa, nel maledetto mese di settembre era morto anche lui di malaria, come tanti altri membri della Commissie. A gennaio 1836, dopo aver brevemente visitato l'Isola Rat (Pulau Tikus) e Bencoolen, il gruppo rientrò a Giava, dove si trattenne però pochi mesi. A luglio si reimbarcarono per il Borneo, di cui tra agosto e dicembre esplorarono le regioni sudoccidentali. Per Korthals e Müller, a parte una breve escursione, di nuovo a Giava, nei primi mesi del 1837, fu l'ultima avventura: ad aprile lasciarono definitivamente l'Indonesia, per rientrare in Olanda ad agosto. Korthals tornava a casa dopo quasi sette anni. Per Müller gli anni di lontananza erano stati dodici, ed era l'unico sopravvissuto del suo gruppo. Il loro destino successivo fu alquanto diverso: Müller, che aveva iniziato la sua carriera come tecnico tassidermista, sul campo era diventato un grande zoologo; ottenuta la cittadinanza olandese, lavorò assiduamente al Museo di storia naturale di Leida per classificare e pubblicare le imponenti collezioni zoologiche accumulate durante i suoi viaggi; nel 1850, quando la Commissione fu sciolta, si trasferì a Friburgo in Bresgovia, continuando a pubblicare libri sull'arcipelago indonesiano, di cui era riconosciuto come uno dei massimi esperti. Korthals avrebbe potuto fare lo stesso all'erbario nazionale, ma a soli 35 anni lasciò la botanica militante e rinunciò a pubblicare le sue scoperte per dedicarsi a quella che un contemporaneo definì "filosofia contemplativa". Ci ha lasciato solo alcuni articoli di taglio prevalentemente geografico su Giava e Sumatra e la monografia Over het geslacht Nepenthes (1839), di grande importanza storica per essere la prima dedicata alle Nepenthes tropicali; è un opuscolo di una quarantina di pagine, splendidamente illustrato, in cui si passano in rassegna nove specie, tre delle quali descritte per la prima volta. Una sintesi della sua vita, lunga ma molto oscura dopo il ritiro, nella sezione biografie. ![]() Palme rampicanti e formiche Anche se non pubblicato da lui (saranno altri studiosi, e in particolare Miquel, a cogliere i frutti delle sue fatiche sul campo) il contributo di Korthals alla conoscenza delle flora dell'Indonesia, in particolare di Sumatra, è immenso (oltre 1000 specie) e di grande qualità scientifica. Così, nonostante il suo gran rifiuto, non mancarono i riconoscimenti. Oltre a varie specie contrassegnate dallo specifico korthalsii, gli furono dedicati due generi tuttora validi, Korthalsia e Korthalsella. Korthalsia è un tardivo omaggio (siamo nel 1884 e da molti anni Korthals contempla filosoficamente il mondo) del suo ex principale, Carl Ludwig Blume, che lo determinò sulla base di esemplari raccolti da Korthals stesso in Indonesia. Questo genere della famiglia Arecaceae (un tempo Palmae) fa parte di un gruppo di palme rampicanti dal fusto molto sottile e flessibile, noto come rattan (sì, proprio quello con cui si fanno i mobili). Comprende una trentina di specie diffuse esclusivamente nelle foreste pluviali tropicali dei paesi che si affacciano sullo stretto della Sonda, con qualche propaggine in Indocina e nelle isole Andamane. Per le particolari esigenze climatiche è raramente coltivato; del resto presenta fusti molto spinosi e con nodi irregolari, poco adatti quindi alla fabbricazione di oggetti. La particolarità più curiosa delle Korthalsiae è l'associazione in simbiosi mutualistica con le formiche del genere Camponotus; queste ultime nidificano nelle guaine fibrose e rigonfie che si trovano lungo il tronco, soprattutto nella parte basale, e vi allevano delle cocciniglie che si nutrono della linfa delle palme, producendo a loro volta un fluido dolce di cui si cibano le formiche. Gli studi hanno dimostrato che anche le palme ne hanno un vantaggio, perché la presenza delle formiche le protegge dagli erbivori; questi insetti, molto aggressivi, hanno infatti sviluppato un sistema di allarme, una specie di vibrazione che producono battendo gli addomi contro la base delle foglie secche, che avverte che stanno per scatenare un doloroso attacco in massa, sufficiente a scoraggiare chi ne abbia già fatto l'esperienza. Non stupirà scoprire che tra le piante epifite associate alle Korthalsiae ci sono anche alcune Nepenthes, che a loro volta offrono alle formiche ottimi luoghi di nidificazione. Qualche informazione in più nella scheda. ![]() Piante parassite e uccelli oceanici Non meno curioso, sebbene per altri motivi, è il genere Korthalsella; a crearlo poco dopo la morte di Korthals (avvenuta in tarda età nel 1892) fu il botanico francese P.E.L. van Tieghem, che lo separò da Viscus. Come il vischio (entrambi i generi, un tempo classificati nella famiglia Viscaceae, sono oggi assegnati alle Santalaceae) le Korthalsellae sono piante parassite che germinano sui rami della pianta ospite e vi vivono a sue spese; in tutte le specie (da 7 a 30, secondo diversi autori) le foglie sono ridotte a scaglie e i fusti, definiti cladodi, sono rigonfi e appiattiti; in genere sono molto piccole (non più di una decina di centimetri) e possono essere scambiate per escrescenze dell'ospite. Singolare è anche la distribuzione geografica; da questo punto di vista, vengono divise in due grandi gruppi: il primo è distribuito in un'area continua che va dal Corno d'Africa alla Nuova Zelanda, passando per il subcontinente Indiano, la Cina, l'Indocina, l'Indonesia e l'Australia; il secondo comprende quasi esclusivamente isole separate tra loro da centinaia e migliaia di chilometri, dal Madascar a occidente fino alle isole del Pacifico comprese le Hawaii a oriente. Secondo gli studiosi, la dispersione dei semi di Korthalsella in entrambi i casi è effettuata da uccelli; i loro frutti sono infatti piccole bacche che si aprono in modo esplosivo, espellendo con violenza minutissimi semi appiccicosi che aderiscono alle piume e ai piedi dei pennuti. Gli agenti della dispersione però variano da un gruppo all'altro: per le specie a distribuzione continentale, uccelli delle comunità locali; per quelle a distribuzione oceanica, uccelli marini, che percorrono grandi distanze e nidificano prevalentemente sulle coste di piccole isole, visitando raramente le regioni interne. Altri approfondimenti nella scheda. Nell'Ottocento, più che mai, l'esplorazione geografica e la ricerca scientifica si intrecciano con le vicende coloniali. Così, nel 1828, la spedizione della corvetta Triton e della goletta Isis ha l'obiettivo fondamentale di rivendicare il possesso olandese dei territori della Nuova Guinea ad occidente del 141 meridiano est (prima che lo faccia l'Inghilterra), ma a bordo ci sono anche cartografi e un gruppetto di naturalisti della Natuurkundige Commissie. La loro missione otterrà rilevanti risultati scientifici, ma porterà al sacrificio di quasi tutte le loro vite. Il primo a morire sarà il giardiniere e botanico Alexander Zippelius, dedicatario del genere Zippelia. ![]() 1826-1827: Giava L'esito tragico della prima spedizione della Natuurkundige Commissie olandese, con la morte di tre su quattro membri (ne ho parlato in questo post), non scoraggiò il professor Temminck, direttore del Museo di Scienze naturali di Leida, che cominciò immediatamente a pensare ai rimpiazzi. La sua scelta cadde su due brillanti giovani collaboratori, entrambi tedeschi: Heinrich Boie, zoologo e curatore del settore dei vertebrati del Museo, e Heinrich Christian Macklot, chirurgo e curatore della collezione osteologica. Proprio come Kuhl e van Hasselt, i due erano stati compagni di studi (entrambi avevano studiato all'Università di Heidelberg) ed erano legati da una profonda amicizia. Il 5 dicembre 1823 entrarono a far parte della Natuurkundige Commissie, il primo come capo della futura spedizione, il secondo come assistente. Prima di partire per Giava, la meta scelta anche questa volta, ci furono diversi viaggi preparatori; una tappa li portò a Heidelberg, dove alloggiarono in una locanda. Mentre parlavano tra loro, con presumibile entusiasmo, della spedizione che li aspettava, i loro discorsi furono captati dal figlio del locandiere, Salomon Müller, che si mostrò assai interessato: aveva seguito come uditore qualche corso di zoologia all'Università, era un cacciatore di uccelli e un capace tassidermista. Boie e Macklot senza esitare gli proposero di unirsi a loro; convinsero Temminck a ingaggiarlo e in tal modo Müller divenne il terzo membro della compagnia, completata poi dal pittore Pieter van Oort. I quattro si imbarcarono per Giava alla fine di novembre 1825, raggiungendo la loro destinazione a giugno dell'anno seguente. Proprio come i predecessori Kuhl e van Hasselt, i naturalisti fecero base all'orto botanico di Buitenzorg/Bogor, dove conobbero l'unico membro sopravvissuto della spedizione precedente, van Raalten, al momento ancora impegnato a preparare le collezioni di van Hasselt per l'invio in Olanda. Inizialmente esplorarono l'area attorno a Bogor, deve Boie studiò soprattutto gli uccelli. Quindi si spostarono a Karawang, dove intendevano prepararsi per passare a Sumatra. Ma Boie contrasse la malaria e morì nel settembre 1827; anch'egli come Kuhl e van Hasselt venne sepolto nel cimitero olandese dell'orto botanico di Bogor. Fu un durissimo colpo per Macklot, che così scrisse al professor Temminck: " Oh, non inviate più qui degli uomini, a meno che siano dei bruti. Altrimenti saranno perduti senza alcuna speranza di riscatto". Oltre ad aver perso un amico carissimo, egli non si riteneva in grado di assumerne il ruolo; suggerì così di invitare lo zoologo francese Pierre-Médard Driard a unirsi alla Commissione, prendendone la guida. Driard, allievo di Cuvier, aveva un'esperienza più che decennale di lavoro sul campo in Oriente e aveva lavorato anche per Raffles; sarebbe poi rimasto per un ventennio a Giava, inviando molti esemplari al Museo di Leida, ma svolgendo compiti fondamentalmente amministrativi. Altri viaggi e altri pericoli attendevano invece Macklot, Müller e van Oort. ![]() 1828-32: Nuova Guinea, Timor e ritorno Fin dal XVII secolo, gli olandesi erano presenti nell'arcipelago delle Molucche e rivendicavano la sovranità sulla parte occidentale della Nuova Guinea, con la quale commerciavano senza tuttavia disporre di basi permanenti. Nel 1825, il luogotenente D.H. Kolff aveva esplorato e mappato la costa meridionale dell'isola, individuando un luogo adatto a un insediamento presso la foce di quello che credeva un fiume, da lui battezzato Dourga dal nome della sua nave. Temendo di essere preceduto dai britannici - molto attivi nel Sud est asiatico, come dimostra la fondazione di Singapore - nel 1828, il governatore delle Molucche, Pieter Merkus, sollecitò il governo olandese a inviare una spedizione che creasse un avamposto e prendesse possesso formale della parte occidentale della grande isola (fino al 141 meridiano est, secondo l'accordo spartitorio con la Gran Bretagna). L'ultimo giorno del 1827 il re diede la sua autorizzazione all'invio di un piccolo corpo di spedizione, al comando dal Luogotenente C.J. Boers, nominato Commissario generale delle Indie olandesi. Anche ai nostri naturalisti venne ordinato di unirsi alla missione. A Macklot, Müller e van Oort si aggiunsero van Raalten (che avrebbe coadiuvato Müller come tassidermista e van Oort come disegnatore) e Alexander Zippelius. Quest'ultimo era uno dei giardinieri di Bogor e aveva una certa esperienza di lavoro sul campo, avendo erborizzato con i suoi colleghi e avendo accompagnato più volte Blume. Divenne così il botanico della spedizione. Alla fine di febbraio 1828, insieme a Boers, il gruppo si imbarcò sul mercantile Minerva. Partiti da Batavia, raggiunsero Makassar, nell'isola di Celebes, dove si imbarcarono sulla corvetta Triton, che li portò Ambon, nelle Molucche, tappa di partenza della spedizione vera e propria. Con la scorta della goletta Isis, la Triton partì da Ambon il 21 aprile 1828; a bordo, poche decine di soldati, tra europei e indonesiani (questi ultimi erano accompagnati da mogli e figli) e dieci lavoratori forzati giavanesi. Facendo rotta per le isole Banda e Aru, puntarono direttamente alla supposta "foce del Dourga", dove secondo gli ordini del governatore intendevano creare una base militare. La raggiunsero dopo circa un mese, scoprendo che il luogo non era adatto: era basso, paludoso, soggetto ad allagamenti; l'interno era una foresta impenetrabile; l'acqua scarseggiava; l'atmosfera era così nebbiosa e densa di umidità che qualcuno la paragonò una tazza di zuppa di piselli; subirono anche un attacco di nativi. Decisero così di lasciare il fiume Dourga (in realtà, lo stretto di Muli che separa l'isola di Yos Sudarso dalla Nuova Guinea) per cercare un luogo più adatto risalendo la costa verso nord ovest. Dopo aver scartato per una ragione o l'altra altri siti, solo all'inizio di giugno fu individuata una piccola baia protetta (che venne immediatamente ribattezzata Triton Bay), nella regione del Lobo a est dell'attuale città di Kaimana. Qui gli olandesi costruirono un forte (Fort du Bus) e il 14 agosto 1828, compleanno del re, piantarono la bandiera nazionale, prendendo formalmente possesso della costa sud occidentale della Nuova Guinea a nome del sovrano. Intanto, però, le malattie tropicali dilagavano; già erano morti 20 membri dell'equipaggio e molti altri erano ammalati. Il 29 agosto la Triton lasciò il piccolo avamposto (che sarebbe vissuto stentatamente fino al 1835, per poi essere abbandonato), trasferendo all'ospedale di Ambon i numerosi malati, tra i quali i nostri naturalisti. Quando, circa un mese dopo, la Triton ripartì per Giava, si erano ripresi abbastanza da imbarcarsi, ma chiesero di essere sbarcati a Kupang, nell'isola di Timor, dove intendevano proseguire le ricerche. Fallita sul piano politico, la spedizione del Triton fu importante per i risultati scientifici: le rilevazioni dei cartografi fornirono la prima mappatura della costa sud occidentale della Nuova Guinea; nei tre mesi trascorsi nel Lobo, i naturalisti misero insieme una imponente collezione di oggetti etnografici, minerali, animali, piante, disegni. Particolarmente rilevanti i risultati zoologici; tra l'altro, Macklot e Müller furono i primi scienziati a vedere dal vivo e a descrivere i canguri arboricoli, descrivendo il nuovo genere Dendrolagus. Ma anche Zippelius non perse tempo: le sue raccolte ammontarono a 4000 esemplari di 500 specie diverse, tra cui 600 crittogame. Anche Timor era praticamente sconosciuta agli scienziati occidentali. Qui i membri della Natuurkundige Commissie si trattennero per circa un anno, spostandosi inizialmente verso est fino a Manikie e soggiornando a Babao e Pariti. Ma a dicembre, in seguito alla malaria contratta in Nuova Guinea, Zippelius morì. Sfortunato in vita (tuttavia la morte in giovane età fu sorte comune anche dei suoi compagni, ad eccezione del solo Müller), lo fu ancora di più dopo la morte. Quest'uomo taciturno e solerte, forse mai davvero integrato nel gruppo dei giovani naturalisti, legati tra loro da rapporti di amicizia cameratesca, era un grande lavoratore e un botanico dotato; non solo mise insieme una raccolta imponente, ma le sue note manoscritte brillano per l'esattezza delle descrizioni e la capacità di collocare le piante nel loro ambiente naturale. Eppure non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato come pioniere dello studio della flora della Nuova Guinea; i manoscritti inizialmente andarono perduti, e solo una ventina di anni dopo finirono in possesso del medico P. Bleeker, che li presentò alla Società di Storia naturale di Batavia, la quale ne curò l'invio all'Erbario nazionale di Leida, dove, secondo gli accordi, Blume avrebbe dovuto assicurarne la pubblicazione; questo non avvenne mai, mentre i materiali di Zippelius vennero utilizzati da altri studiosi, incluso lo stesso Blume. Una sintesi delle poche notizie su di lui nella sezione biografie. Ma torniamo ai nostri naturalisti. Essi continuarono ad esplorare l'area di Pariti, facendo diverse escursioni sulle montagne circostanti. Ad aprile, durante uno spostamento in barca, si spense anche van Raalten; Macklot lo seppellì amorevolmente sulla spiaggia di Oecusse, a Timor Est. Membro e unico superstite della prima Natuurkundige Commissie, inizialmente come tassidermista, era diventato un bravissimo pittore, i cui disegni sono ora conservati al Naturalis Biodiversity Center di Leida. Dopo la sua morte, Macklot, Müller e van Oort si spinsero nell'interno di Timor, visitando larga parte delle regioni sudoccidentali e settentrionali. Non avevano più con loro un botanico, e le loro ricerche si rivolsero soprattutto alla fauna, con importanti scoperte zoologiche, tra cui il pitone acquatico di Timor, detto anche pitone di Macklot (Liasis macklotii). Alla fine del 1830 gli amici tornarono quindi a Giava; nel 1831 esplorarono ancora insieme la costa nord e a luglio scalarono il monte Salak. Nel maggio 1832 Macklot si trovava nel distretto di Krawang, a Purwakarta, quando scoppiò una rivolta dei cinesi che diedero fuoco a tutte le case degli europei; nell'incendio andarono perduti i manoscritti di Macklot stesso e di Boie, che egli aveva religiosamente conservato per cinque anni. Furioso, il naturalista si unì alle forze che cercavano di ristabilire l'ordine, e pochi giorni dopo venne ucciso. Quanto a van Oort e Müller (l'unico a sopravvivere e a rivedere l'Europa), li ritroveremo in una prossima avventura. ![]() La poco nota Zippelia Macklot, l'ho già anticipato, pur essendo originariamente un farmacista poi diventato chirurgo, era soprattutto uno zoologo; lo ricordano i nomi specifici di diversi animali; tra gli altri, oltre il già citato Liasis macklotii, diversi uccelli (Pitta macklotii, Erythropitta macklotii), il pipistrello Acerodon macklotii. Nel 1847 Korthals (lo conosceremo molto presto) gli dedicò il genere Macklottia (oggi confluito in Leptospermum, famiglia Myrtaceae). A onorare Alexander Zippelius con il genere Zippelia fu invece Blume, nel 1830 (tuttavia, non pubblicandone i manoscritti lo condannò al quasi oblio); a ricordare lo sfortunato giardiniere-botanico sono anche i nomi specifici zippelianus, zippelii (che designano almeno una ventina di specie, a riprova dell'importanza del suo contributo). Zippelia, della famiglia Piperaceae, è un genere monotipico, rappresentato dall'unica specie Z. begoniifolia. E' molto affine al genere Piper (sotto il quale a volte è stata trattata), ma ne differisce per il numero di cromosomi e per il frutto con peli barbati, unico nella famiglia. E' un'erbacea perenne o un suffrutice eretto, che cresce nel sottobosco delle foreste tropicali, in una vasta area che comprende la Cina (Guangxi, Hainan, Yunnan), il Vietnam, il Laos, la Malaysia, diverse isole indonesiane (Giava, Sumatra e Borneo), le Filippine. Genere poco noto, anche se le foglie sono ricche di oli essenziali, non se ne conoscono usi particolari. Qualche informazione in più nella scheda. A Waterloo quel fatidico 18 giugno 1815 c'erano due ragazzi con la testa piena di sogni di gloria: nella finzione romanzesca, Fabrizio del Dongo, che sognava di emulare Napoleone sui campi di battaglia; nella realtà, Carl Ludwig Blume, che sognava di diventare un secondo Humboldt nelle foreste tropicali. E se Fabrizio dovette adeguarsi alla grigia realtà della Restaurazione, Carl Ludwig poté partire all'esplorazione di Giava, descrivendone la flora nel pionieristico Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Ma dopo gli anni eroici, anche a lui toccarono il grigiore accademico e le battaglie tragicomiche per imporre il discusso monopolio dell'Erbario nazionale olandese. Tassonomista instancabile, che ha stabilito centinaia di nuove specie e almeno 160 generi ancora validi, Blume è ricordato da ben tre generi attualmente accettati. Con una nota sul "vecchio sundanese" Bapa Santir e il genere Santiria. ![]() Un giovane ricercatore ambizioso La storia di Carl Ludwig Blume, grande botanico tedesco naturalizzato olandese, pioniere della descrizione della flora di Giava e primo direttore dell'Erbario nazionale olandese, incomincia sul campo di battaglia di Waterloo. Aveva appena diciotto anni e usciva da un'adolescenza nutrita dalla lettura di racconti di viaggio e dal sogno di emulare le gesta di Humbold nelle foreste tropicali; dopo aver studiato farmacia, a sedici anni si era arruolato come volontario nei mitici "cacciatori neri" del Lützowsche Jägercorps, dove divenne farmacista militare. Era a Waterloo con la sua unità mobile di ambulanze, nelle file dell'esercito prussiano; fu così che venne coinvolto nella grande operazione di soccorso ai feriti coordinata dal professor Brugmans dell'Università di Leida. Fu probabilmente quest'esperienza a spingerlo ad arruolarsi nell'esercito olandese, sempre come farmacista militare, e a trasferirsi a Leida; quando Brugmans (che potrebbe averlo conosciuto già a Waterloo) fu inviato a Parigi a recuperare le collezioni di storia naturale sottratte dai francesi, lo volle come assistente; lo spinse poi a coltivare il suo talento, iscrivendosi alla facoltà di medicina. Blume si laureò a tempo di record e divenne medico militare all'ospedale di Leida, dove già da due anni lavorava come farmacista. Fece subito domanda per essere inviato nelle Indie orientali olandesi e già nel 1818 (aveva appena compiuto 21 anni) fu inviato a Giava per assistere Reinwardt nei suoi compiti sanitari e nelle ricerche naturalistiche. Vi arrivò alla fine dell'anno e dal gennaio 1819 si stabilì a Buitenzorg (oggi Bogor), ospite dello stesso Reinwardt. Gli fu affidato l'incarico ufficiale di "Ispettore dei vaccini", ma al contrario del suo superiore che, oberato dai troppi compiti amministrativi, poteva dedicarsi al lavoro sul campo solo nei ritagli di tempo, sfruttò la sua posizione per prendere contatto con la popolazione locale, studiare le piante officinali indigene, visitare ampie porzioni del territorio e raccogliere una grande quantità di esemplari botanici (ma anche animali e minerali); i semi e le piante vive diedero un grande impulso agli esperimenti di acclimatazione all'Orto botanico di Bogor, alimentati anche dagli scambi con altri orti botanici, in particolare Calcutta, Mauritius e Rio de Janeiro. Nei sette anni che trascorse a Giava (1819-1826), Blume compì un gigantesco lavoro sul campo, visitando ampiamente le regioni occidentali e centrali dell'isola, spesso accompagnato da assistenti (in particolare, il giardiniere Kent) e da pittori, nonché da portatori indigeni. Tra il 1821 e il 1822 visitò la provincia da Bantam; sempre nel 1822 esplorò largamente il monte Salak e nel 1823 il monte Gedeh; nel 1824, come ispettore dei vaccini, effettuò una grande ricognizione delle regioni occidentali, che lo portò nel Kuripan, a Kravang e nell'isola di Nusa Kambangan, allora ricoperta di foresta vergine, dove poté studiare la Rafflesia; nel 1825 fu la volta delle provincie centrali (Rembang, di nuovo Bantam e monte Parang). Energico e ambizioso, nel suo desiderio di pubblicare le proprie scoperte senza passare attraverso il suo superiore, Blume finì per scavalcare Reinwardt e entrare in conflitto con lui. Incominciò a creare un proprio erbario, a inviare piante in Olanda a proprio nome e a preparare una pubblicazione sulla flora di Giava. Quando Reinwardt se ne accorse, deciso a imporre il proprio monopolio, invocò l'intervento del governo coloniale che requisì l'erbario di Blume, unendolo al suo, e vietò al giovane tedesco di pubblicare nel territorio olandese. Per documentare almeno in parte le sue scoperte, Blume allora ricorse a un escamotage: inviò lunghe relazioni ai fratelli Nees von Esenbeck, che le pubblicarono sotto forma di lettere nella rivista di Regensburg Flora. Nel 1822, con la partenza di Reinwardt per l'Olanda, Blume si liberò della sua ingombrante presenza e gli succedette nella direzione dell'Orto di Bogor (di cui di fatto era già il curatore). Con l'acquisita posizione ufficiale, cadeva anche il divieto di pubblicare sulle riviste olandesi, e Blume si affrettò a dare alle stampe le sue scoperte, prima che la priorità gli venisse sottratta da qualche altro botanico (temeva soprattutto Horsfield e Jack) o glielo impedisse la morte, sempre in agguato nel clima tropicale. Nel 1823 scrisse il primo catalogo dell'Orto botanico di Bogor (che include anche alcune specie descritte dal suo predecessore). Nel 1825 pubblicò un primo pionieristico lavoro sulle orchidee di Giava, Tabellen en platen voor de Javaansche orchideeën, "Tabelle e tavole sulle orchidee di Giava", cui tra il 1825 e il 1827 seguirono Bijdragen tot de Flora van Nederlandsch Indië, "Contributi sulla flora delle Indie olandesi". Pubblicati a Batavia, sono lavori estremamente sintetici, con poche illustrazioni, ma di capitale importanza nella storia della botanica della regione malese, in cui vengono descritti centinaia di generi e specie nuovi per la scienza. Nonostante lavorasse in fretta e con l'aiuto di poche opere di consultazione, Blume vi dimostra il suo grande valore di tassonomista, creando 18 nuove famiglie e circa 300 generi (160 tuttora validi); tuttavia le descrizioni (in latino, mentre il testo è in olandese) sono sommarie e, in assenza di illustrazioni, non sempre garantiscono una corretta identificazione. In effetti, nelle intenzioni di Blume i Bijdragen erano solo un abbozzo della sua vera flora di Giava, un'opera molto ambiziosa che avrebbe potuto scrivere solo in Europa, avendo a disposizione la letteratura più recente e gli esemplari conservati nei principali erbari, da confrontare con i propri. Iniziò così un'estenuante trattativa con il Ministero perché gli fosse concesso un congedo: chiese un permesso di quattro anni; alla fine, gliene furono concessi due, a patto che si pagasse le spese di viaggio e cedesse metà dello stipendio ai giardinieri di Buitenzorg, che lo avrebbero sostituito nella gestione del giardino durante la sua assenza. E così, nel giugno 1826 lasciò Giava (non vi avrebbe mai fatto ritorno) con 29 casse di materiali, compresi il proprio erbario, quello di Reinwardt e i materiali raccolti nei dintorni di Bogor dai giardinieri dell'orto botanico. Rimasero a Giava i doppioni (importanti per lo studio in loco) e l'erbario di Kuhl e van Hasselt (inviato al Museo di Leida nel 1828 da van Raalten). Come materiale d'imballaggio, Blume usò muschi ed epatiche; dopo il rientro in Europa, li inviò a C.J. Nees von Esenbeck, che ne ricavò uno studio sulle epatiche di Giava, pubblicato anche sotto il nome di Blume, per gentilezza accademica. ![]() Pubblicazioni scientifiche e un discusso monopolio Giunto a Bruxelles, allora capitale del regno, Blume riprese le trattative con il governo perché finanziasse Flora Javae: avrebbe dovuto essere una grande opera illustrata, in cento fascicoli in folio. Dopo discussioni senza fine, gli furono concessi 7000 fiorini, con 50 copie da cedersi allo Stato; le ulteriori somme necessarie sarebbero giunte attraverso sottoscrizioni. Le illustrazioni furono affidate al pittore J.C. Arckenhausen, con un contratto di quattro anni; per le descrizioni, inoltre, Blume fu affiancato da J.B. Fischer. Mentre lavorava alla pubblicazione maggiore, tra il 1827 e il 1828 Blume pubblicò Enumeratio plantarum Javeae et insularum adiacentium, minus cognitarum vel novarum, una selezione delle più interessanti specie raccolte a Giava da lui stesso, Reinwardt, Kuhl e van Hasselt; ancora senza illustrazioni e nello stesso stile sintetico dei Bijdragen, ma in latino (e quindi più accessibile agli studiosi di altri paesi), il primo volume è significativo per la pubblicazione di alcune specie inedite di angiosperme, mentre il secondo costituisce il primo tentativo di una presentazione complessiva delle felci della regione malese. I primi 35 fascicoli della Flora Javae, con circa 200 tavole, parte in banco e nero, parte colorate a mano, uscirono infine tra il 1828 e il 1830; poi i soldi finirono, e la pubblicazione venne sospesa, mentre anche la situazione politica si faceva difficile. Nel frattempo, Blume era stato coinvolto in una nuova avventura, e aveva abbandonato l'idea di tornare in Indonesia. Il suo vasto erbario aveva destato grande interesse ed era nata l'idea di creare un erbario nazionale per ospitarlo, insieme alle importantissime collezioni che Siebold stava inviando dal Giappone. Fu così che nel 1829 nacque il Rijksherbarium ("Erbario di Stato"), con sede a Bruxelles, di cui Blume fu nominato direttore, con il titolo di professore e uno stipendio pari a tre volte quello percepito come direttore dell'Orto di Buitenzorg. Tuttavia, il 25 agosto 1830 iniziò l'insurrezione che un anno dopo avrebbe portato all'indipendenza del Belgio. In quei giorni Blume era a Ginevra, in viaggio di nozze; a salvare le collezioni e a portarle fortunosamente a Leida fu Siebold, che era tornato dal Giappone proprio in quei giorni. Rientrato in Olanda, Blume gettò tutta l'energia e tutta la caparbietà del suo carattere nell'ampliamento delle collezioni del nuovo erbario. Si rivolse a rappresentanze consolari, ufficiali sanitari e missionari che operavano nelle colonie, affinché raccogliessero esemplari, giungendo anche a scrivere per loro un libretto di istruzioni. Altre collezioni furono procurate tramite acquisti (benché la situazione finanziaria dell'istituzione fosse così precaria che Blume non riuscì a fare assumere in modo permanente neppure i suoi principali collaboratori, Arckenhausen e Fischer). Interpretando in modo restrittivo una circolare ministeriale del 1830, inoltre, egli cercò di imporre la consegna all'erbario di Leida di tutte le raccolte fatte da persone alle dipendenze dallo stato, vietando inoltre l'invio di piante inedite agli erbari stranieri. Questo diktat colpiva sia Siebold (che in Giappone aveva lavorato come dipendente del Ministero della guerra) sia i membri della Natuurkundige Commissie, gli intrepidi ricercatori che proprio in quegli anni mettevano a rischio la propria vita esplorando la natura dell'Indonesia olandese. Questa pretesa poteva avere qualche giustificazione, ma era illegittima sul piano legale; inoltre offendeva profondamente i botanici impegnati sul campo, che si vedevano trasformati in puri raccoglitori al servizio della gloria accademica di Blume. Il quale, tuttavia, rincarò la dose: nel 1844, si oppose alla richiesta di Teijsmann di creare un erbario indipendente a Bogor; nel 1850, pubblicò nuove istruzioni per le collezioni dell'erbario, in cui ribadì il suo monopolio. Queste pretese suscitarono l'ostilità unanime dell'ambiente botanico olandese: gli erano ostili Reinwardt (non dimentico dei passati sgarbi) e i suoi allievi, tra cui l'influente de Vriese che, quando insegnava ad Amsterdam, vi creò un erbario indipendente; lo stesso Siebold (che inviò il suo erbario a Monaco); F.A.W. Miquel, che andava affermandosi come nuova stella della botanica olandese e succedette poi a Blume nella gestione dell'Erbario di stato; ma soprattutto i membri della Natuurkundige Commissie. Tanto più che Blume si mosse con la leggerezza di un rinoceronte di Giava alla carica: nelle sue riviste con penna avvelenata faceva le pulci ai suoi avversari, alla ricerca di errori e svarioni. Offese talmente il brillante Franz Junghuhn con critiche velenose su certe sue identificazioni che questi cedette le proprie collezioni all'Università di Leida, con la condizione esplicita che mai sarebbero confluite nell'Erbario di stato. Le male lingue incominciarono a moltiplicare le accuse contro di lui: gli si imputò di aver portato in Olanda l'intero erbario di Bogor, senza lasciare i duplicati per lo studio in loco, e di essersi impadronito delle collezioni di Kuhl e van Hasselt (entrambe le accuse sono false); di chiedere esemplari agli orti botanici stranieri senza dare nulla in cambio, perché voleva essere solo lui a pubblicare le specie inedite (l'accusa è vera, ma forse fu dovuta essenzialmente alla carenza di personale); di allontanare tutti i collaboratori con la sua personalità dominante, impedendo di fatto o procrastinando per decenni la pubblicazione delle nuove specie. In effetti, l'attività scientifica di Blume non si arrestò mai, ma continuò ad essere ostacolata dalla carenza di denaro; fu anche sfortunato con i suoi collaboratori, alcuni dei quali morirono giovani, altri cambiarono lavoro o non si dimostrarono all'altezza del compito. Negli anni '40, egli cercò di riprendere l'attività editoriale lanciando una rivista, De Indische Bij, dedicata alla natura, alla storia e all'etnografia dell'arcipelago indonesiano, di cui però uscì un solo numero nel 1843. Tra il 1836 e il 1849 con il titolo Rumphia (omaggio a Georg Eberhardt Rumphius, primo studioso della flora delle Molucche) pubblicò una seconda grande opera dedicata alla flora indonesiana, in quattro volumi ancora magnificamente illustrati da Arckenhausen. Alla fine degli anni '40, non sappiamo con quali finanziamenti, riprese la pubblicazione di Flora Javae; nel 1847 uscirono i fascicoli 36-39, nel 1851 il fascicolo 40, nel 1851 i fascicoli 41 e 42. Anche in risposta alle critiche ricevute per la sua gestione monopolistica dell'Erbario di stato, nei primi anni '50 iniziò la pubblicazione del catalogo dell'erbario, un lavoro che evidentemente non lo appassionava, visto che venne abbandonato dopo i primi due volumi. Negli ultimi anni della sua vita, Blume ritornò a un vecchio amore, quello per le orchidee. Nei suoi primi anni a Giava, aveva progettato di dedicare loro un libro, scritto in collaborazione con van Hasselt (l'unico rapporto documentato tra Blume e i primi membri della Natuurkundige Commissie: vivevano insieme, erano coetanei, eppure ciascuno condusse spedizioni indipendenti, non di rado visitando le stesse località; forse Blume li considerava degli estranei catapultati dall'Olanda a usurpare il suo ruolo di scopritore della flora di Giava); dopo la morte di van Hasselt, vi rinunciò, accontentandosi della breve sintesi delle Tabellen. Vi tornò ora con la seconda serie di Flora Javae (1858-59), pubblicata a proprie spese e interamente dedicata alle Orchidaceae. E' un'opera splendida e decisiva perché vi sono illustrati molti generi importanti, molti dei quali stabiliti da Blume già nei Beijdragen; tra i più noti, Phalaenopsis, Arachnis, Spathoglottis e Dendrochilum. Fu anche tra i primi a descrivere orchidee della Nuova Guinea, tra cui Cypripedium glanduliferum, oggi Paphiopedilum glanduliferum, e Latouria spectabilis, oggi Dendrobium spectabile. Morì a Leida nel 1862. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Da Blumea a Blumeodendron Al di là dei limiti caratteriali, Blume fu senza dubbio uno dei maggiori botanici della sua generazione e il suo contributo alla conoscenza della flora del sudest asiatico è incalcolabile. Dunque non mancarono gli omaggi, a partire dal nome della rivista ufficiale dell'Erbario di stato di Leida, Blumea (oggi pubblicata in formato elettronico, è l'organo del Naturalis Biodiversity Center, che riunisce le principali collezioni nazionali di zoologia e botanica dei Paesi Bassi, in un'unità di intenti che forse non gli sarebbe dispiaciuta). Lo ricordano i nomi specifici blumei e blumeanus (la specie più nota è sicuramente Coleus blumei, oggi ribattezzata Plectranthus scutellarioides) e ben tre generi riconosciuti: Blumea DC, Blumeopsis Gagnep., Blumeodendron (Müll. Arg.) Kurz. Ostracizzato dai botanici di casa, Blume era invece apprezzato nell'ambiente internazionale, in particolare a Parigi, che visitò più volte, intrattenendo anche cordiali rapporti personali con diverse personalità della scienza francese. Tra di essi anche Augustin Pyramus de Candolle che nel 1833 gli dedicò Blumea (famiglia Asteraceae), separandolo da Conyza. E' un vasto genere di piante erbacee cui appartengono una cinquantina di specie distribuite soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia orientale, con qualche presenza in Africa e in Oceania. Ricche di oli essenziali, diverse specie sono usate nella medicina tradizionale in India, in Cina e nel Sudest asiatico. La dedica di de Candolle non è casuale, poiché Blume, nella sua veste di ispettore sanitario, fu molto attento alle piante medicinali locali, da preferirsi alle droghe europee che in seguito al lungo viaggio perdevano grande parte della propria efficacia. Qualche informazione in più nella scheda. Nel 1920, il botanico francese François Gagnepain, sulla base di alcune particolarità delle antere e della distribuzione dei fiori femminili e bisessuali nei capolini, separò da Blumea DC Blumeopsis ("simile a Blumea"), un genere monotipico rappresentato da un'unica specie, B. flava, un'erbacea nana presente nella Cina meridionale, nel subcontinente indiano e nel sudest asiatico. Recenti studi filogenetici, tuttavia, porteranno probabilmente alla cancellazione di questo genere, che in realtà non è distinguibile da Blumea. Per ora è ancora considerato valido da repertori come Plant List; rimando alla scheda per altre notizie. La denominazione Blumeodendron ("albero di Blume") fu invece creata da J. Müller nel 1866 per distinguere una sezione del genere Mallotus, sulla base di M. tokbrai, una pianta delle foreste montane a sostrato acido raccolta da Blume (tokbrai è il nome sundanese) e coltivata nell'orto botanico di Bogor. Blume l'aveva descritta nei Bijdragen sotto il nome di Elateriospermum tokbrai. Infine, nel 1873 W.S. Kurz ne riconobbe l'appartenenza a un nuovo genere, che denominò appunto Blumeodendron, riprendendo la denominazione di Müller. Questo piccolo genere della famiglia Euphorbiaceae comprende cinque specie di alberi decidui endemici del sudest asiatico (Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea), delle isole del Pacifico occidentale e della Papuasia. Un approfondimento nella scheda. ![]() Santiria, omaggio alla sapienza botanica indigena Prima di congedarmi dal discusso Carl Ludwig Blume, vorrei ricordare una piccola vicenda che gli rende onore, rendendolo molto più umano e simpatico ai nostri occhi. Blume, l'abbiamo visto, era stato prima di tutto un ufficiale sanitario, una persona a cui stava a cuore la salute delle persone. Nelle sue attività di ispettore dei vaccini a Giava dimostrò di non fare distinzione tra funzionari bianchi e popolazione locale; si preoccupò del benessere di entrambi i gruppi e non ebbe mai alcuna prevenzione etnocentrica nei confronti della medicina tradizionale, considerando gli esperti di erbe locali una fonte di grande valore. Gli immensi risultati delle sue ricerche non avrebbero potuto essere raggiunti senza l'aiuto delle guide indigene e senza la loro conoscenza degli ecosistemi dell'isola e delle proprietà delle piante. Uomo senza pregiudizi, volle riconoscere questo contributo dedicando il genere Santiria al più abile e devoto di questi collaboratori, il "vecchio sundanese" Bapa Santir che lo aveva accompagnato nella scalata del monte Salak nel 1822 (i sundanesi sono un gruppo etnico della parte occidentale dell'isola di Giava). Questa dedica (Blume la pubblicò nel 1850, nel primo volume del Catalogo dell'Erbario di Stato) suscitò l'indignazione dell'arcinemico Junghuhn; come si era permesso Blume di attribuire a una "persona indegna", un semplice pakke drager (un portatore di bagagli, un coolie) un onore che spettava solo ai migliori botanici? al contrario, Bapa Santir (spiace di non sapere nient'altro di lui; l'appellativo bapa, che significa padre, indica una persona anziana e autorevole) secondo la testimonianza di Blume era il più grande conoscitore della flora di Giava che egli avesse incontrato, un'autorità locale che sapeva tutto sulle piante (molto meglio di qualsiasi botanico europeo) e gli fu guida fedele e espertissima. Il bello è che, mentre Blume era considerato un conservatore, in Olanda Junghuhn si atteggiava a progressista e illuminato. Non nei confronti dei colonizzati, evidentemente. Il genere Santiria, della famiglia Burseraceae, comprende circa 15 specie, una (o tre, secondo altri) originaria dell'Africa occidentale tropicale, le restanti endemiche della regione malese, con massima biodiversità nel Borneo. Sono alberi da piccoli a grandi della foresta umida a bassa altitudine, spesso su substrato acido, che crescono relativamente in fretta e costituiscono la specie dominante in talune aree; il legname di alcune specie, noto come kedondong (nome che hanno in comune con altre Burseriaceae) è ricercato a livello locale perché duro e duraturo. Alcune specie, ad esempio l'africana Santiria trimera, producono frutti eduli. Qualche notizia in più nella scheda. All'ombra di altissimi bambù, nell'Orto botanico di Bogor nell'isola di Giava c'è un angolo singolare: è un antico cimitero (la prima tomba fu eretta nel 1784, 33 anni prima che Reiwardt fondasse il giardino) con 41 tombe. In una delle più modeste - un semplice cippo parallelepipedo sormontato da una colonna - riposano insieme due amici che condivisero gli studi, la passione per la scienza, gli entusiasmi e le fatiche della prima missione scientifica ufficiale nelle Indie orientali olandesi, la morte precoce. Sono il tedesco Heinrich Kuhl (morto a 24 anni) e l'olandese Johan Coenraad van Hasselt (morto a 26). Erano soprattutto zoologi, il cui contributo, in particolare all'ornitologia e all'erpetologia, fu di enorme valore; ma non disdegnarono la botanica, raccogliendo molte nuove specie di orchidee. Con una scelta toccante e felice, sono ricordati insieme dal genere Kuhlhasseltia, che comprende piccole ma graziose orchidee terrestri endemiche dell'Asia orientale. ![]() Una Commissione dagli esiti tragici A cavallo degli anni '20, il nuovo regno unito dei Paesi Bassi (era stato creato nel 1815 dal Congresso di Vienna, unendo i Paesi Bassi e il Belgio, come stato cuscinetto in funzione antifrancese) sembra percorso da un nuovo entusiasmo per le antiche colonie dell'Asia orientale. In effetti, dopo la sconfitta di Napoleone, il paese si trovava in un grave stato di decadenza economica, culturale e scientifica; i territori delle Indie orientali olandesi, che adesso, dopo lo scioglimento della Compagnia olandese delle Indie Orientali, erano passati sotto amministrazione statale, potevano offrire un contributo decisivo per risollevarne le sorti. Fu così che, senza neppure attendere gli esiti della missione di Reinwardt, il neo re Guglielmo I decise di fondare due nuove istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione delle loro risorse naturali. Nel maggio 1820 nacque la Natuurkundige Commissie voor Nederlandsch-Indië (Commissione di Scienze Naturali per le Indie Olandesi) cui sarebbe stata affidata l'esplorazione di quei territori, con compiti tanto economici quanto scientifici: da una parte il rilevamento delle risorse minerarie, dall'altra la schedatura della flora e della fauna dell'arcipelago. Ad agosto, seguì la creazione del Rijks Museum voor Natuurlijke Historie (Museo di Stato di Storia naturale), destinato a studiare e ospitare le collezioni raccolte in Indonesia. A presiedere entrambe, un eminente zoologo e collezionista, Coenraad Jacob Temminck. La Commissione era costituita da quattro membri (scelti tra naturalisti, geografi, geologi, pittori e tassidermisti) che venivano inviati nelle isole per un periodo di quattro anni. Nei suoi trent'anni di vita (1820-1850) coinvolse complessivamente diciotto persone, dodici delle quali perirono nel corso delle missioni, finché quest'alto tasso di perdite convinse il governo a sciogliere l'istituto. Nel frattempo, erano state organizzate spedizioni a Giava, Sumatra, Nuova Guinea, Borneo e Timor, con risultati impressionanti per quantità e qualità, che tra il 1839 e il 1847 vennero pubblicati in Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche Overzeesche bezittingen ("Rendiconti di storia naturale dei possedimenti olandesi d'oltremare"). In questo post racconterò la storia, tragicissima, dei primi quattro membri della Commissione, nessuno dei quali rivide mai la patria. All'atto dell'istituzione della Commissione, Temminck, su raccomandazione del Professor van Swinderen dell'Università di Groninga, propose la candidatura di un brillantissimo giovane scienziato tedesco, che si era perfezionato a Groninga dove era diventato assistente di Swinderen: Heirich Kuhl. Ma era impossibile ingaggiare Kuhl senza coinvolgere il suo migliore amico, l'olandese Johan Coenraad van Hasselt. I due si erano conosciuti all'Università di Groninga nel 1816 - coetanei, all'epoca avevano diciannove anni - ed erano diventati inseparabili. Entrambi appassionati di scienze naturali (anche se, di formazione, Hasselt era un fisiologo), nell'estate del 1818 avevano fatto insieme un viaggio di studio in Germania dove avevano visitato le principali istituzioni scientifiche; nell'aprile del 1819, già pensando a una possibile missione in Oriente, il solo Kuhl era andato a Londra, dove era stato amabilmente accolto da James Edward Smith, presidente della Linnean Society, e dallo stesso Banks; a novembre, di nuovo con van Hasselt, aveva visitato Parigi, incontrando Geoffroy de Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck. Ma l'incontro più appassionante era stato quello con Humboldt, che aveva loro aperto le porte dell'Accademia delle scienze e di molte collezioni private. I due amici, evidentemente, sognavano di emulare il loro idolo von Humboldt e non vedevano l'ora di partire, ma insieme. Grazie a un'efficace azione di lobbing di Swinderen e Temminck, il ministro dell'Istruzione accolse anche van Hasselt nella Commissione, che fu poi completata dal tassidermista Gerrit van Raalten e dal pittore Gerrit Laurens Keultjes. Come meta per la prima missione fu scelta Giava, di cui le esplorazioni di Reinwardt stavano dimostrando la grande potenzialità. Le collezioni raccolte sarebbero state inviate al Museo di storia naturale di Leida (anche se, come si è visto sopra, sarebbe stato fondato ufficialmente solo qualche mese dopo), di cui Kuhl venne nominato curatore. ![]() Due amici divisi e riuniti dalla morte Il 10 luglio 1820 i quattro lasciarono l'Olanda a bordo della Nordloh, che dopo un viaggio di sei mesi, nel corso del quale toccarono Madeira, Città del Capo e le Isole Cocos, li portò a Batavia, dove sbarcarono a dicembre. Il governatore generale Van der Capellen assegnò loro un alloggio a Buitenzorg (oggi Bogor), che sarebbe diventato il loro quartier generale. Entusiasti e instancabili, i ragazzi (è il caso di dirlo: il pittore, con i suoi 34 anni, era quasi un papà per i suoi tre compagni, tutti coetanei, che di anni ne avevano solo 23) si misero immediatamente al lavoro, abusando sicuramente delle proprie forze. I primi quattro mesi vennero trascorsi nei dintorni di Buiterzorg che offrivano ad ogni passo una messe di specie nuove per la scienza; oltre a decine di animali, raccolsero 185 specie di felci, 70 di muschi, 100 di funghi; non passava giorno che non trovassero qualche nuova specie di orchidea. All'attività sul campo seguiva l'esame dei materiali raccolti, accompagnato dall'attento studio dei disegni e degli erbari di Reinwardt. L'esplorazione a tappeto dell'area di Buitenzorg permise, secondo Kuhl, di raggiungere "una conoscenza tanto completa quanto quella che si possiede per qualsiasi parte d'Europa". I due amici progettarono quindi una spedizione a Bantam, una provincia allora poco nota, ma un'epidemia di colera li convinse a spostarsi sulle montagne; nell'estate, scalarono il Gunung Salak, il Gunung Gede e il Gunung Pangrango, dove raccolsero molti rettili e anfibi. Alla base del Pangrango, visitarono anche le fonti termali situate tra Rompin e Waroe, dove trovarono una flora interessante e ancora poco nota. Sorpresi da violenti temporali, entrambi contrassero la polmonite; complicazioni epatiche aggravarono le condizioni di Kuhl che, dopo quattro settimane di sofferenze, morì il 14 settembre 1821; van Hasselt, che era medico, lo curò amorevolmente, sconvolto dalla serenità e dalla calma con la quale l'amico accettava la propria sorte. Fu così grande il dolore di perdere colui con il quale per cinque anni aveva diviso gli studi e la vita che cadde in un profondo stato di prostrazione, tanto che van Capellen lo fece trasportare nella propria residenza. Due giorni dopo, moriva anche il pittore Keultjes. L'avventura indonesiana di Kuhl e Keultjes era durata appena nove mesi. Una sintesi della breve ma intensa vita di Kuhl nella sezione biografie. Dopo un lento recupero, van Hasselt e van Raalten (che aveva assunto anche il compito di pittore) dedicarono il 1822 all'esplorazione della zona costiera nei pressi di Batavia, quindi alla costa occidentale, nei dintorni di Anyer. Nel 1823 ripresero il progetto di visitare la provincia di Bantam e scalarono il monte Karang; tuttavia van Raalten si ammalò e fu sostituito dai pittori Janus Theodor Bik (che già aveva accompagnato Reiwardt) e Antoine Maurevert; conosciamo i particolari di questa spedizione grazie al diario di viaggio di Bik, che venne pubblicato qualche anno più tardi. I tre esplorarono la provincia vistandone tanto le zone costiere quanto le catene montuose; verso la metà di agosto, van Hasselt fu colpito da una violenta infezione addominale (presumibilmente amebiasi); tra riprese e ricadute, venne riportato in portantina a Buitenzorg, dove però si spense due giorni dopo l'arrivo, l'8 settembre 1823. Anche per la vita di van Hasselt, rimando alla sezione biografie. Per volontà di van der Capellen, egli fu sepolto nella tomba dove già da quasi due anni esatti riposava Kuhl. Su una faccia del cippo, il governatore fece incidere queste parole: "Come divisero ogni cosa in vita, rimangono insieme dopo la morte, come esempio di devozione, amicizia e amore per la scienza". Sulla faccia opposta, l'epitaffio recita: "In memoria di H. Kuhl, di Hanau, e di J.C. van Hasselt, di Groninga, dottori in medicina, che, sotto gli auspici del re, furono inviati qui a studiare la natura, entrambi dotati di mente eccellente e industriosi nei loro studi, ma soprattutto congiunti da una speciale amicizia fin dalla giovinezza, mentre assolvevano ai loro compiti con grande dedizione soccombettero a una morte precoce, dovuta all'esaurimento per un lavoro strenuo e una fatica eccessiva". Strenuo davvero era stato il loro lavoro: in soli nove mesi Kuhl e in meno di tre anni van Hasselt inviarono al Museo di Leida 200 scheletri, 200 pelli di mammiferi di 65 specie, 2000 uccelli, 1400 pesci, 300 rettili e anfibi, oltre a insetti, crostacei e altri animali marini. Quelli raccolti nell'ultimo viaggio di van Hasselt, per ordine del governatore furono affidati a van Raalten, che li catalogò e li preparò per l'invio in Olanda. Gigantesco fu anche il contributo di Keultjes che lasciò circa 1200 disegni. Anche il materiale botanico fu inviato in in Olanda, dove confluì in gran parte nelle collezioni dell'Erbario nazionale. L'unico sopravvissuto, van Raalten, sarebbe andato incontro al suo destino qualche anno più tardi. Rimasto a Giava, nel 1827 accompagnò Heinrich Christian Macklot in un viaggio attraverso il Preanger (Giava occidentale), dove fu ferito da un rinoceronte. Nel 1828 partecipò alla spedizione della Commissione in Nuova Guinea (insieme a Macklot, Müller, Zippelius e van Oort) nel corso della quale morì a Timor. ![]() Congiunti nella tomba, congiunti nella denominazione L'importanza del contributo di Kuhl e van Hasselt alla conoscenza della fauna di Giava è testimoniato dalle dozzine di specie di animali che portano il loro nome: tra gli altri, i pipistrelli Pipistrellus kuhlii e Myotis hasseltii, i batraci Limnonectes kuhlii e Leptobrachium hasseltii, moltissimi pesci tra cui il genere Kuhlia, Pangio kuhli e Callogobius hasseltii; e ancora uccelli, insetti, molluschi. Numerose sono anche le piante che li ricordano nel nome specifico, ad esempio Hoya kuhlii e Dyospiros hasseltii. Nel 1825, appena seppe della morte dei due giovani, Kunth (il collaboratore di Humboldt che li aveva conosciuti in occasione del loro viaggio a Parigi) volle celebrarli con una dedica gemella, intitolando a ciascuno di loro due alberelli sudamericani piuttosto affini, Kuhlia glauca e Hasseltia floribunda. Entrambi i generi, un tempo assegnati alla eterogenea famiglia della Flacourtiaceae, sono ora confluiti nelle Salicacae; il primo tuttavia non è più riconosciuto (è sinonimo di Banara). Hasseltia Kuhn comprende quattro specie di arbusti e piccoli alberi delle foreste tropicali del Centro e del Sud America. La specie più diffusa è proprio Hasseltia floribunda, presente nelle foreste tropicali umide di Panama e Costa Rica; è caratterizzata da infiorescenze bianche a ombrella molto ramificata. Nel Novecento da Hasseltia sono dati distaccati inoltre due generi monotipici molto affini: Hasseltiopsis (creato da H.O. Sleumer nel 1938) il cui unico rappresentante è H. dioica, un albero piuttosto raro delle foreste nebulose del Messico e della Costa Rica; Macrohasseltia (creato da L.O. Williams nel 1961), rappresentato da M. macroterantha, relativamente diffuso nelle foreste umide dal Messico a Panama. Qualche approfondimento su Hasseltia, Hasseltopsis, Macrohasseltia nelle rispettive schede. Ma la dedica più bella e più poetica è giunta nel 1910 grazie al grande esperto di orchidee Johannes Jacobus Smith, che come i due amici esplorò la flora di Giava e dal 1913 al 1924 fu direttore dell'orto botanico di Bogor. Ricordando la loro amicizia e il loro amore per le orchidee, volle congiungere i loro nomi in Kuhlhasseltia. Si tratta di un piccolo genere (5-8 specie) di minute orchidee terrestri che crescono nel sottobosco delle fitte foreste dell'Asia orientale su muschi e detriti di foglie; di piccole dimensioni e per nulla vistose, sono rarissimamente coltivate e assai rare anche in natura. Per la loro bellezza delicata, fanno parte delle cosiddette "orchidee gioiello". Così discrete e gentili, mi sembrano molto adatte a ricordare i due amici, pionieri degli studi sulle orchidee del Sud est asiatico. Qualche notizia in più nella scheda. Proprio l'anno scorso ha celebrato il suo duecentesimo anniversario l'Orto botanico di Bogor, nei pressi di Giakarta, il più antico del Sud est asiatico e uno dei più importanti per la conservazione, lo studio e la diffusione delle piante tropicali. Nacque infatti ufficialmente il 18 maggio 1817 su suggerimento di Caspar Georg Carl Reinhardt, botanico tedesco naturalizzato olandese. Nel suo breve soggiorno a Giava, Reinhardt proseguì, anche se meno di quanto avrebbe desiderato, le ricerche botaniche iniziate da Horsfield; a celebrarlo i generi Reinwardtia e Reinwardtiodendron. Con un'appendice sull'hortulanus Willem Kent, il genere Kentiopsis, l'(ex) genere Kentia e la viscosità della nomenclatura botanica. ![]() Il rilancio dell'impero coloniale olandese Nell'ambito delle complesse trattative diplomatiche che ridisegnano l'Europa postnapoleonica, nell'agosto 1814 l'Olanda e la Gran Bretagna sottoscrivono il Trattato di Londra, con il quale i britannici restituiscono agli olandesi parte del loro impero coloniale: tenuti per sé la Colonia del Capo, Ceylon e gli insediamenti in India e nei Caraibi, ritornano ai Paesi Bassi il Suriname, Giava, Sumatra e le Molucche. Per riprenderne il controllo, con qualche ritardo causato dalle convulsioni dei Cento giorni, nell'ottobre 1815 una piccola flotta parte infine dall'Olanda alla volta dell'Indonesia: agli ordini del governatore van der Capellen, 3000 soldati e un gruppo di funzionari che dovranno costituire il nuovo governo coloniale (durante gli anni rivoluzionari, la Compagnia olandese delle Indie Orientali, che aveva retto le isole per oltre duecento anni, è stata sciolta). A bordo della nave da guerra Admiral Evertsen c'è anche il botanico Caspar Georg Carl Reinhardt, cui con l'altisonante titolo di Direttore dell'Agricoltura, delle Arti e delle Scienze di Giava e delle isole vicine sono affidati tre compiti principali: studiare e valutare le potenzialità economiche delle isole, in vista di uno sfruttamento più razionale; migliorare l'educazione dei funzionari europei e i servizi sanitari offerti da ospedali e farmacie; raccogliere animali, piante e minerali destinati al Cabinetto nazionale di Amsterdam. Ad assisterlo in questo ultimo compito, un piccolo staff formato da due pittori, i fratelli Bik, e da un giardiniere, Willem Kent, che ha già lavorato per Reinwardt quando questi dirigeva l'orto botanico di Harderwijk. Farmacista di formazione, ma anche appassionato di botanica e di coltivazione di piante esotiche, Reinwardt ha infatti insegnato per alcuni anni storia naturale all'Università di Harderwijk e poi ad Amsterdam; sotto Luigi Bonaparte, ha diretto il progetto di creazione di uno zoo reale. Ammiratore di Humboldt, nei suoi studi botanici è particolarmente attento alla correlazione tra flora, clima, natura del suolo. Dopo otto mesi di navigazione, Reinwardt arriva a Giava nell'aprile 1816. Nell'attesa del passaggio di consegne da parte dell'amministrazione britannica, visita piantagioni di caffè, indaco, canna da zucchero nei dintorni di Batavia. Incontra Nikolaus Engelhardt, ex governatore della costa settentrionale di Giava, che gli mostra la sua notevole collezione di oggetti naturali, antichità, disegni, libri e manoscritti (tra i quali forse le note di campo del francese Jean Baptiste Leschenault de la Tour che era stato suo ospite tra il 1803 e il 1806). Entra in contatto con il presidente della Società di Arte e di Scienze di Batavia, che aveva sponsorizzato e pubblicato le ricerche di Horsfield. Incomincia anche a studiare il malese e, assistito da Kent, a raccogliere e descrivere erbe, licheni, alberi e fiori. A giugno, annota nel suo diario che hanno già raccolto 160 esemplari. ![]() La nascita del primo orto botanico del Sudest asiatico L'amministrazione olandese si installò ufficialmente ad agosto e anche Reinwardt assunse il suo incarico; i doveri amministrativi (il più pressante era la riorganizzazione delle scuole e della sanità) gli lasciavano poco tempo per gli studi naturalistici. Fu tuttavia in quei mesi che maturò l'idea di fondare un Orto botanico nei pressi del Palazzo del Governatore Generale a Buitenzorg (oggi Bogor). Il clima favorevole, il suolo vulcanico, la disponibilità d'acqua ne facevano il luogo ideale per coltivare piante di interesse economico raccolte in tutto l'arcipelago. Inoltre proprio qui, negli anni in cui governava Giava, Raffles aveva creato un giardino all'inglese. Il governo coloniale accolse la proposta di Reinwardt e mise a disposizione un terreno adatto; venne anche assunto un secondo giardiniere ad affiancare Kent, l'inglese Thomas Hooper, formatosi a Kew e giunto a Giava in circostanze rocambolesche: come assistente di Abel, aveva fatto parte della missione Amherst in Cina. A febbraio, si era ritrovato a Batavia tra i superstiti dell'Alceste, naufragata sugli scogli dell'arcipelago giavanese. Anziché tornare in patria, grazie all'allettante offerta di un salario mensile di 150 guilders, decise di rimanere a lavorare al neonato Orto botanico di Buitenzorg. L'anno successivo, l'équipe scientifica fu completato dall'arrivo a Giava di un altro botanico, il tedesco Carl Ludwig Blume. La costruzione del giardino iniziò nel maggio 1817. Comprendeva diverse aree: aiuole e campi per la coltivazione di piante da reddito, erbacee, fiori e alberi, granai per la conservazione dei raccolti, magazzini per gli attrezzi, stalle per i bufali e i buoi impiegati nei lavori, case per il personale indigeno (nel 1822 impiegava 65 aiutanti). Con il duplice obiettivo di presentare un panorama il più possibile completo della flora dell'Indonesia e di fungere da giardino di acclimatazione per piante tropicali di alto potenziale economico o decorativo, crebbe rapidamente. A cinque anni dalla fondazione, nel 1823, sulla base del catalogo redatto da Blume, vi si coltivavano circa 900 specie di piante, la maggior parte provenienti dalle montagne di Giava e dalle Molucche, ma anche da scambi con altri orti botanici (tra i più assidui, quelli di Calcutta e di Rio de Janeiro). In questo modo, l'orto di Buitenzorg diventò ben presto un nodo di rilievo nella grande rete che intrecciava conoscenza scientifica, sfruttamento coloniale, introduzione di nuove piante. Non a caso, avrebbe giocato un ruolo importante nelle sperimentazioni su varie specie di Cinchona destinate ad assicurare all'Olanda il monopolio della produzione del chinino. Ma torniamo a Reinwardt. La sua passione per le scienze naturali e la stessa attività scientifica devono passare in secondo piano rispetto alle attività amministrative. Riesce a creare una rete di raccoglitori, che coinvolge cacciatori indigeni, marinai e militari, funzionari e residenti olandesi, che gli procurano esemplari dalle diverse isole dell'arcipelago, destinate sia alla sua collezione privata sia al Gabinetto reale, ma deve ridurre a ben poco l'attività sul campo. A parte alcune escursioni minori, partecipa solo a due spedizioni scientifiche di una certa importanza: nel 1818, insieme a Kent e ai Bik, cui si è aggiunto un terzo pittore, Antoine Payen, i residenti generali e altri funzionari, nonché ben 130 portatori, intraprende un ampio tour di Giava; tra la fine del 1821 e il marzo 1822, visita le Molucche e altre isole orientali. Intanto in Olanda, in seguito alla morte di Brugmans, si è resa vacante la cattedra di botanica a Leida. Il re, soddisfatto dei servizi di Reinwardt (anche se molti dei suoi invii di curiosità naturali sono andati perduti nelle vicissitudini dei viaggi), lo nomina "Cavaliere dell'ordine del leone d'Olanda" e approva la sua nomina a successore di Brugmans. Reinwardt, che pensa di non aver concluso i suoi compiti a Giava, tergiversa e riesce a rimanere ancora un anno; poi, convinto anche da problemi di salute, il 15 giugno 1822 lascia Batavia per fare rientro in Olanda. Lo attende ancora una lunga carriera accademica (morirà nel 1854) durante la quale pubblicherà tuttavia soltanto tre brevi monografie sulla flora delle Indie orientali olandesi; la sua collezione di piante indonesiane sarà pubblicata solo dopo la sua morte dal suo successore alla cattedra di Leida, Willem Hendrik de Vriese. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() La romantica storia di Pyoli, ovvero Reinwardtia A Reinwardt non sono mancati gli onori postumi. Nei Paesi Bassi lo ricorda l'Accademia Reinwardt, il dipartimento di museologia e conservazione dei beni culturali della Scuola d'Arte di Amsterdam; in Indonesia, Reinwardtia, la rivista dell'Orto botanico di Bogor, dove qualche anno fa gli è anche stata eretta una stele. Nella nomenclatura scientifica, lo celebrano il nome specifico di diversi animali (il più noto è il trogone di Giava, Apalharpactes reinwardtii), i generi Reinwardtoena (uccelli della famiglia dei colombi), Reinwardia (famiglia Linaceae), Reinwardtiodendron (Meliaceae). Reinwardtia Dumor. fu creato nel 1822 da B.C.J. Dumortier. E' un genere monotipico che comprende un'unica specie, Reinwardtia indica, un piccolo arbusto dai magnifici fiori giallo vivo. Di origine himalayana, fu inizialmente descritta da Roxburgh come Linum tryginum. Nella dedica, Dumortier, che scrive proprio mentre Reinwardt era in viaggio per tornare nei Paesi bassi, ricorda soprattutto le sue attività come divulgatore di piante rare negli anni di Amsterdam e, informato del suo soggiorno di cinque anni a Giava, si limita ad auspicare che pubblichi quanto prima i risultati delle sue ricerche. R. indica è una pianta graziosissima che non passa inosservata. Nota come Pyoli in India, è legata a una romantica leggenda. Pyoli era una fanciulla selvaggia che viveva nella foresta, dove era stata allevata dagli animali; non aveva mai incontrato nessun essere umano prima di imbattersi in un principe che vi si era perduto durante la caccia. Ovviamente i due si innamorarono e il principe persuase Pyoli a seguirla nel suo palazzo; nonostante l'amore, la ragazza cominciò a languire per la nostalgia della foresta. Sul punto di morire, chiese all'amato come ultimo desiderio di essere sepolta tra i suoi amici. Il principe la seppellì dove l'aveva incontrata per la prima volta. Poco dopo, in quel luogo sorse il fiore che porta il suo nome. Estremamente decorativa sia per il fogliame sempreverde sia per i grandi fiori a campana giallo puro (che sbocciano anche d'inverno), è coltivata da secoli nei giardini indiani e cinesi; non rustica può essere coltivata all'aperto nelle regioni dal clima mite oppure in vaso come pianta da serra o appartamento. Altre informazioni nella scheda. Negli anni successivi, altri botanici dedicarono a Reinwardt un genere Reinwardtia: Blume nel 1824, Sprengel nel 1825, Korthals nel 1841; tutti sono illegittimi in base alla regola dell priorità. E' invece entrato stabilmente nella nomenclatura botanica il genere Reinwardtiodendron (letteralmente "albero di Reinwardt") dedicatogli da S.H. Koorders nel 1898, sulla base di Reinwardtiodendron celebicum, raccolto da Reinwardt nell'isola di Celebes durante il suo viaggio alle Molucche, quindi da lui introdotto a Bogor. Reinwardtiodendron, della famiglia Meliaceae, è un piccolo genere che comprende sei/sette specie di alberi e arbusti dioici, per lo più sorretti da radici a contrafforte; hanno piccoli fiori globosi raccolti, quelli maschili, in pannocchie lasche, quelli femminili, in racemi o spighe, seguiti da bacche carnose. Affini ai generi Aglaia e Lansum (da cui tuttavia sono distinti, come hanno confermato anche le indagini genetiche) sono un gruppo di piante poco noto, esclusivo di un'area dell'Asia orientale compresa tra i Ghati a ovest, lo Yunnan a Nord, le Filippine e le isole della Sonda a est, con maggiore centro di diversità nelle Molucche (con cinque-sei specie). La più diffusa e anche più nota è R. humile, che è presente nelle macchie delle foreste subtropicali e tropicali dell'intero areale del genere. Qualche informazione in più nella scheda. ![]() Kentia ovvero la viscosità delle denominazioni botaniche Prima di chiudere questo post, torniamo a un personaggio che finora ha avuto solo il ruolo di comparsa: Willem Kent. Come ho già accennato era un giardiniere (hortulanus) che aveva lavorato sotto Reinwardt a Harderwijk, per poi passare a Leida. Lo seguì a Giava e rimase a lavorare all'Hortus di Bogor fino al 1825, quando divenne aiuto ispettore della coltivazione del caffè. Morì a Giava nel 1827. Un cenno biografico nella sezione biografie. Blume, che succedette a Reinwardt come direttore del giardino botanico di Bogor e lo ebbe come collaboratore, nel 1830 gli dedicò un genere di palme (Arecaceae), Kentia. Benché questa denominazione sia illegittima (il nome era già stato usato quasi settant'anni prima di Adanson per un genere di Fabaceae, dedicato a tutt'altra persona), ebbe grande fortuna e rimase in uso per circa un secolo, giungendo ad annoverare più di 50 specie. In realtà si trattava di un genere artificiale, che raccoglieva specie abbastanza diverse ma accomunate dalle grandi foglie pennate e dai fiori dei due sessi disposti a triade. Con il progresso della conoscenza delle palme (le Arecaceae sono una famiglia molto vasta che presenta particolari difficoltà di classificazione) è stato soppresso e le specie che ne facevano parte sono state assegnate a diversi altri generi. Nel frattempo però la denominazione Kentia aveva fatto in tempo sia a entrare indirettamente nella nomenclatura botanica (compare nella seconda parte del nome di almeno cinque generi di palme, per lo più appartenenti alla tribù Areceae, ad esempio Actinokentia o Physokentia), ma soprattutto a incollarsi a una delle palme più coltivate nei nostri appartamenti; anche se nel 1877 il grande botanico italiano Odoardo Beccari lo separò da Kentia, assegnandola al genere Howea, Howea fosteriana continua ad essere coltivata e commercializzata come Kentia o kenzia, per quella stessa viscosità dei nomi botanici che fa sì che si continui a chiamare gerani i Pelargonium o amarillis gli Hyppeastrum. In ogni caso, anche l'oscuro Willem Kent continua ad essere celebrato da un genere valido, sebbene in modo indiretto. Nel 1873 Brongniart denominò Kentiopsis (ovvero "simile a Kentia") un genere di palme endemiche della Nuova Caledonia. Diffuse in aree molto limitate, le sue quattro specie sono piante rare, a rischio di estinzione. Bellissime, leggere e d'aspetto veramente tropicale, sono talvolta coltivate nei giardini dei paesi a clima mite. Un approfondimento nella scheda. Negli anni eroici dell'esplorazione botanica, tra Settecento e Ottocento, le giovani vite spezzate sono quasi la norma. Nelle mie storie mi sono già imbattuta in tanti giovani e giovanissimi scienziati che hanno sacrificato la loro vita sull'altare della conoscenza; anche la perdita del frutto delle proprie ricerche in seguito a terremoti, naufragi, inondazioni, incendi, vicende belliche era tutt'altro che rara. Eppure la storia di William Jack, forse perché possiamo seguirla attraverso i ricordi commossi dell'amico Nathaniel Wallich e l'omaggio sincero di William Jackson Hooker, appare particolarmente commovente, con la doppia sciagura della morte precoce e della perdita delle collezioni. A ricordarlo il genere monotipico Jackiopsis che si riallaccia (in seguito a complicate vicissitudini) a Jackia, voluto da Wallich per celebrare l'amico tanto rimpianto. ![]() Precocità, passione e sventure Quella di William Jack, giovane medico scozzese, botanico appassionato e geniale, è una vita tutta di corsa, segnata da una precocità quasi presaga del poco tempo che il destino gli avrebbe riservato. E' un fanciullo prodigio che impara a leggere da solo a tre anni, frequenta la scuola con ragazzi che hanno il doppio della sua età, a sedici anni conclude gli studi superiori, a poco più di diciassette (nonostante una grave malattia che l'ha fermato per quasi un anno) supera l'esame come chirurgo e inizia una carriera di medico militare al servizio della Compagnia delle Indie. Ha scelto questa strada per andare in Oriente, dove conta di studiare le piante esotiche, lui che è appassionato di botanica fin da bambino. Il 29 gennaio 1813 festeggia il diciottesimo compleanno a bordo della nave che lo porterà in India; durante il viaggio due brevi scali a Funchal e Simon's Bay nella colonia del Capo gli offrono un primo assaggio della flora esotica. Alla fine dell'anno è di stanza a Dumdum, in Bengala, e tra il 1815 e il 1816 partecipa alla guerra anglo-nepalese. In Nepal contrae la tubercolosi; riprende anche le ricerche botaniche e sente il bisogno di entrare in contatto con altri studiosi, per confrontarsi sui risultati; sa che Roxburgh sta scrivendo un libro sulla flora indiana (i due volumi di Flora indica usciranno tra il 1820 e il 1824) e vorrebbe sapere se vi ha descritto le specie raccolte in Nepal che gli sembrano nuove per la scienza. Forse non osando prendere contatto direttamente con il patriarca della botanica indiana, nel 1817 scrive al suo assistente, Nathaniel Wallich: è un collega (anche lui è un chirurgo al servizio della Compagnia delle Indie), ha solo nove anni più di lui, ha fatto una spedizione in Nepal. Alla lettera acclude la descrizione di una Lobelia nepalese (non corrisponde ad alcuna descrizione, sarà una specie nuova?) e un pacchetto di semi. Seguirà una seconda missiva, con un pacco di specie nuove di cui verificare l'attribuzione. E' l'inizio di un'amicizia. Wallich presenta alcune delle piante nepalesi di Jack in un articolo per l'Asiatic Society e poi lo invita a raggiungerlo a Calcutta, dove potrà curarsi e iniziare la convalescenza. Jack arriva nel luglio 1818 e Wallich lo ospita addirittura a casa sua, chiedendogli di lavorare con lui all'Orto botanico. Jack accetta e inizia preparare la pubblicazione di alcune delle sue scoperte, realizzando egli stesso le illustrazioni (tra i suoi innumerevoli talenti, c'era anche la capacità di disegnare le piante con estrema precisione). Nel novembre in visita all'orto botanico di Calcutta arriva un ospite importante: il vulcanico Stamford Raffles, che è qui per proporre ai vertici della Compagnia delle Indie la fondazione di Singapore. Vi trascorre un'intera giornata, scortato dai due botanici. La preparazione di Jack lo colpisce e gli propone immediatamente di seguirlo a Sumatra (il botanico che lavorava per lui, James Arnold, è morto pochi mesi prima, subito dopo aver scoperto Rafflesia arnoldii). L'eco di quella scoperta e quella pianta stupefacente sono un richiamo irresistibile per Jack, nonostante la sua salute precaria: Sumatra è un territorio vergine, non ancora esplorato da nessun europeo, e promette meraviglie mai viste (in una lettera ai suoi, la definisce "la meraviglia del mondo vegetale"). E così accetta. Nei quattro anni successivi, come medico e botanico, farà parte dello staff di Raffles e lo seguirà prima a Penang, nella penisola malese, poi a Singapore e Bencoolen, nell'isola di Sumatra. Con un attivismo che è anche un modo per esorcizzare la malattia (scriverà alla madre che si sente malato solo quando non ha niente da fare) in questo brevissimo lasso di tempo realizza un lavoro eccezionale per quantità e qualità. A Penang, in un soggiorno di soli tre mesi, raccoglie 130 piante, 80 delle quali probabilmente nuove. A Singapore, dove l'insediamento cresce a velocità prodigiosa, raccoglie esemplari rari (tra cui due specie ignote di Nepenthes) prima che le asce dei boscaioli e dei carpentieri li distruggano per far posto alle costruzioni. A Sumatra, si occupa di botanica, ma non solo; impara il malese, aiuta Raffles nella stesura di articoli sulla fauna, svolge ricerche etnografiche, fa parte di una Commissione di studio sullo stato della società di Sumatra e sugli effetti del monopolio della Compagnia. Le esplorazioni e le raccolte botaniche toccano non solo l'area limitrofa a Bencoolen, ma anche il nord dell'isola (Tapanuli) e l'isola di Pulau. Nel 1821, con due amici, scala il Gunung Bungkuk; a un certo punto, le guide indigene rifiutano di proseguire, temendo la vendetta degli spiriti della montagna se degli stranieri violassero quella cima sacra. I tre non si fanno spaventare: completano da soli l'ascensione (che in effetti si rivela piuttosto impegnativa) e si godono il panorama. Chi crede alla maledizione di Tuthankamon, potrebbe evocare la maledizione degli spiriti della montagna: dei tre audaci, un anno dopo due erano morti (uno di loro era Jack). Lo sfortunato botanico contrasse la malattia fatale (la malaria) che aggiungendosi alla tisi l'avrebbe portato alla tomba in un'occasione apparentemente priva di pericoli: nel marzo del 1822, Raffles lo inviò in sua rappresentanza ad assistere all'incoronazione del nuovo sultano a Moco-Moco. Tornato a Bencoolen, la sua salute cominciò a deteriorasi rapidamente; a nulla servì neppure un soggiorno a Giava, dove era stato inviato nella speranza che gli giovasse cambiare aria. Quando ritornò a Sumatra a settembre, era ormai così grave che Raffles decise di rimandarlo in Inghilterra. Ma il maltempo impedì alla nave su cui era imbarcato di salpare; riportato a terra, spirò poco dopo nella casa del governatore. Aveva solo 27 anni. Una sintesi della sua vita breve ma intensa nella sezione biografie. Due anni dopo, una seconda tragedia: l'erbario di Jack, le sue note, i disegni fatti da lui stesso o da artisti locali, le copie non distribuite della rivista con la sua unica pubblicazione a stampa, andarono perduti nell'incendio della nave Fame. ![]() Una pietra miliare della botanica del sudest asiatico In tanta tragedia, una sola fortuna: tra il 1820 e il 1822, Jack aveva pubblicato una selezione delle piante da lui raccolte a Penang, Singapore e Sumatra in una rivista voluta dallo stesso Raffles, Malayan Miscellanies, sotto il modesto titolo Descriptions of Malayan Plants. E' un documento di grande importanza storica (si tratta della prima rassegna della flora dell'arcipelago malese e vi compiano per la prima volta decine di piante nuove per la scienza), ma anche di notevole valore; secondo il parere unanime dei botanici contemporanei e degli studiosi successivi, le descrizioni dello sfortunato botanico scozzese si segnalano per accuratezza, completezza e grande capacità di mettere a confronto e discriminare specie affini. L'importanza di questa pietra miliare della botanica dell'arcipelago malese è testimoniata dal fatto che nel corso dell'Ottocento è stata ripubblicata tre volte: tra il 1830 e il 1836, da W. J. Hooker successivamente in tre diverse riviste (Botanical Miscellany, Journal of Botany, Companion of the Botancal Magazine); nel 1843 da W. Griffith in Calcutta Journal of Natural History; tra il 1886 e il 1887 in Trübner's Oriental Series. Jack vi descrive circa 200 nuove specie; crea 31 nuovi generi (18 dei quali sono attualmente riconosciuti) e la famiglia Cyrtandraceae (oggi considerata una sottodivisione di Gesneriaceae). Tra i generi da lui stabiliti, forse il più noto agli appassionati è Aeschynanthus, che comprende alcune ricadenti dai fiori rossi oggi relativamente diffuse in coltivazione; ricordiamo poi Eurichoma, Euthemis, Lasianthus, Ixonanthes, Rhodamnia, Sphenodesme (ottimo linguista, cui il greco era familiare fin da bambino, Jack privilegiava nomi botanici formati da basi greche, non sempre eufonici). A questa pubblicazione principale, bisogna poi aggiungere tre comunicazioni inviate a Robert Brown e da questi pubblicate nel 1823 in Transaction of Linnean Society: sulle specie malesi del genere Melastoma; sulla famiglia Cyrtandraceae; sul genere Lansium e altre piante malesi. Dell'erbario si sono salvati pochi esemplari sparsi inviati ad altri botanici (soprattutto a Wallich e allo stesso Brown). Secondo la testimonianza di Hooker, sarebbe stata intenzione di Raffles scrivere una memoria sull'amico scomparso; ma prima la perdita dei materiali, poi la sua stessa morte, sopraggiunta dopo appena due anni dal rientro in Inghilterra, gli impedirono di realizzare il progetto. Su istanza di Wallich, a provvedere fu lo stesso Hooker che pubblicò un'informata biografia di Jack, in appendice a uno dei fascicoli della sua edizione di Description of Malayan Plants, avvalendosi dei ricordi di amici e familiari e di estratti di lettere dello stesso Jack. ![]() Un groviglio gordiano: perché Jackia è diventata Jackiopsis L'infelice destino di Jack, la sua reputazione e la stima universale che riscuoteva (come botanico e come persona: "la più bella mente e il più bel cuore io abbia mai incontrato", disse di lui Raffles) fecero sì che dopo la sua morte i colleghi facessero a gara a dedicargli un genere, creando non poca confusione. Non poteva mancare l'amico Wallich, che nel secondo volume di Flora indica di Roxburgh (1824) gli dedicò Jackia Wall. (famiglia Rubiaceae) con parole commoventi: "Ho dedicato questo nuovo genere alla memoria del mio amico dipartito, il fu Mr. Jack, della cui perdita prematura ho già parlato e le cui infaticabili e ben note attività nella storia naturale gli hanno da tempo guadagnato la più alta stima. E' stato per l'amabile modestia del suo carattere, e non per negligenza da parte mia, se ho rinunciato al mio progetto di dedicare una pianta a questo eccellente botanico finché era in vita". Un omaggio venne pure da un altro grande botanico attivo nel sud est asiatico, il tedesco Carl Ludwig Blume, che nel catalogo dell'orto botanico di Bogor (1823) creò Jakkia, famiglia Polygalaceae, commettendo un errore ortografico che corresse due anni dopo in Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Rinominando il genere Jackia scrisse così: "Ho attribuito questo nome già nel 1823 in Enumeratio Plantarum Horti botanici Buitenzorgiani in memoria del Dr. Jack, botanico e esploratore del'isola di Sumatra di grandissimo merito". Infine, nel 1826 Kurt Sprengel in Systema Vegetabilium creò una terza Jackia (Malvaceae). Dato che non è ammesso che due o più generi abbiamo lo stesso nome, in questi casi vale la legge della priorità. Per parecchi decenni, la situazione è stata la seguente: Jackia Wall (pubblicato nel 1824) nome valido; Jackia Blume (1825) nome invalido perché la forma corretta è Jakkia (un'altra regola prevede che le trascrizioni latine errate non si correggano), che d'altra parte è sinonimo di un genere precedentemente creato da Roxburgh, Xanthopyllum; Jackia Spreng. (1826) nome illegittimo (è sinonimo di Eriolaena DC). Così per 150 anni la pianta dedicata da Wallich all'amico Jack (si tratta di un genere monotipico) ha portato il nome Jackia ornata. Finché negli anni '70 del Novecento alcuni studiosi fecero notare che Jackia non può essere considerato un errore per Jakkia, ma una sua variante grafica; dunque Jackia Wall. perde la priorità e non è più legittimo (vi gira un po' la testa? anche a me). E così nel 1979, C.E. Ridsdale propose di tagliare il nodo gordiano, creando il nuovo nome Jackiopsis. Con il sospetto che i tassonomisti a volte discutano del sesso degli angeli o che la maledizione degli spiriti della montagna colpisca ancora, mi adeguo. Dunque, eccola qui Jackiopsis ornata (Wall.) Ridsdale; è un imponente albero, alto anche più di 40 metri, scelto da Wallich per commemorare l'amico per la sua bellezza, ma anche per due caratteristiche che ne sintetizzano il destino: i fiori a quattro petali, raccolti in grandi grappoli penduli, bianchi come la neve oppure rosati, simboleggiano il lutto, il frutti caduchi la morte precoce. Anche la distribuzione geografica (Borneo, Malesia, Sumatra) corrisponde alla regione esplorata da Jack. In Malesia, dove cresce nelle foreste pluviali primarie intorno ai 400 metri, è considerata una pianta medicinale, di cui si usano le radici essiccate, dal piacevole gusto di ginseng, come antidolorifico, energetico, epatoprotettore, afrodisiaco. Qualche approfondimento nella scheda. Quella dell'americano Thomas Horsfield è la storia prima di un innamoramento, poi di un'amicizia: l'innamoramento per l'isola di Giava da cui nasce una vocazione di naturalista, così prorompente da farne il primo studioso della natura di quell'isola, che esplorò quasi palmo palmo per diciotto anni, dapprima senza il sostegno di alcuna istituzione, se non un gruppo di appassionati; l'amicizia con T. S. Raffles, che gli permetterà di continuare le sue ricerche in più grande stile e lo introdurrà negli ambienti scientifici londinesi. Botanico, zoologo, entomologo, vulcanologo, ha lasciato il suo nome a molte specie di animali e al genere Horsfieldia. ![]() Un naturalista poliedrico e instancabile Nell'anno 1800, un giovane medico della Pennsylvania, Thomas Horsfield, si imbarcò come chirurgo di bordo sul mercantile "China"; il breve scalo a Batavia (la capitale delle Indie Olandesi, nell'isola di Giava) cambiò per sempre la sua vita: "Fui così deliziato - sono parole sue - dalla bellezza di quello scenario, dalla magnificenza e dall'abbondanza della vegetazione, dalla ricchezza delle sue risorse in tutti i campi delle scienze naturali, che nella mia mente sorse il desiderio di conoscerla meglio". Tornato a casa, si procurò tutti i libri possibili sull'argomento, gli strumenti indispensabili, i materiali necessari per la raccolta e la conservazione degli esemplari e di lì a un anno era di nuovo a Giava. Vi avrebbe trascorso 18 anni, esplorando ogni angolo dell'isola e divenendo il primo occidentale (se si eccettua Louis Auguste Deschamps, che però aveva potuto accedere solo alla regione limitrofa a Batavia) a studiarne estesamente la flora, la fauna, la geologia. La Compagnia olandese delle Indie Orientali era estremamente gelosa delle sue prerogative e sospettosa di ogni straniero, tanto più in quegli anni di guerra. Per rimanere a Giava e iniziare le sue ricerche, proprio come Deschamps qualche anno prima, Horsfield entrò al suo servizio come chirurgo. Gli era vietato esplorare l'interno, ma gli fu permesso di visitare i distretti di Buitenzorg (oggi Bogor) e Tijanjur, a sud di Batavia, per studiare le piante medicinali usate dai nativi. Frutto di circa un anno di lavoro fu una relazione presentata al Comitato della Società di Arti e Scienze di Batavia, che attrasse l'attenzione del Governo e guadagnò a Horsfield il permesso di estendere le sue ricerche, oltre che alle piante medicinali, ad altri campi della botanica, alla zoologia e alla geologia. La Società (un'associazione privata creata da alcuni appassionati) decise anche di finanziare, sia pure non copiosamente, le sue ricerche e di pubblicarne i risultati sul proprio bollettino. Dopo aver visitato i dintorni di Batavia e il Priangan, all'inizio del 1804 fu autorizzato ad esplorare le regioni orientali dell'isola. Poté così visitarne le principali catene vulcaniche, dove raccolse molti esemplari della peculiare vegetazione di alta quota. Visitò la capitale del principato di Yogyakarta e le rovine del tempio di Prambanan. In un'altra escursione, percorse la costa meridionale in tutta la sua lunghezza. La spedizione più impegnativa si estese dal 1805 al 1807, portandolo a Surakata, la capitale dell'altro principato indipendente, di cui esplorò a fondo i dintorni nel corso di diverse escursioni, quindi a Surabaya, da cui si mosse per un giro generale della provincia più orientale, che percorse in lungo e in largo in tutte le direzioni: visitò estese foreste di teak, vide un vulcano eruzione, scalò montagne, osservò la preparazione dell'upas, ovvero un potente veleno il cui ingrediente principale era il succo di Antiaris toxicaria. In quest'area ricca anche di fauna individuò un viverride ancora sconosciuto, che assegnò al genere Prionodon. Visitò anche brevemente l'isola di Bali. Impossibilitato a tornare a Batavia per lo stato delle strade, si stabilì a Surakata, dove gli fu concesso dal governatore di lasciare in deposito le sue collezioni (sempre più ricche di animali, piante, minerali, disegni e mappe) per continuare le sue ricerche nei distretti meridionali e occidentali; iniziò anche a studiare le metamorfosi dei lepidotteri. Mentre era impegnato in queste attività, nel 1811 l'isola di Giava fu occupata dagli inglesi. Dapprima Horsfield guardò con preoccupazione questi rivolgimenti, temendo di perdere il frutto di nove anni di lavoro, come dipendente dal governo olandese. Il maggiore Robinson, Commissario della Compagnia, gli concesse di continuare le sue ricerche anche se senza alcun sostegno finanziario, in attesa di ordini superiori. Tuttavia nel novembre 1811 il nuovo governatore inglese, Thomas Stamford Raffles, giunse a Surakata in visita ufficiale al sultano; esaminò le collezioni di Horsfield e, comprendendone l'eccezionale valore, gli propose di entrare al servizio della Compagnia delle Indie britannica, che da quel momento avrebbe finanziato le ricerche del naturalista statunitense molto più generosamente degli olandesi. L'anno successivo lo inviò a Bangka (un'isola lungo la costa orientale di Sumatra) come membro della commissione che doveva studiare l'opportunità di un insediamento commerciale britannico; nel corso di due soggiorni, il naturalista statunitense esplorò anche quest'isola (che, a paragone con Giava, gli pareva misera e incivile; corse anche il rischio di rimanere ucciso, in seguito a un banale incidente in cui il suo disegnatore perse la vita e lui buona parte delle sue raccolte). Tornato a Giava, dedicò l'estate del 1814 all'esplorazione delle regioni occidentali appartenenti ai principati indipendenti, visitando tra l'altro le grotte delle rondini salangane (Collocalia esculenta). Per impulso di Raffles, che lo mise anche in contatto con Banks e Robert Brown, gli interessi di Horsfield si stavano sempre più spostando verso la zoologia: mentre gli esemplari botanici di maggiore interesse venivano inviati a Kew, gli animali andavano ad arricchire il Museo della Compagnia delle Indie, fondato nel 1801. La Gran Bretagna restituì ufficialmente Giava agli Olandesi nel 1815; dopo la definitiva partenza di Raffles (trasferito a Bencoolen nell'isola di Sumatra, che Horsfield visitò brevemente), avendo ottime relazioni anche con le vecchie autorità, poté trattenersi a Giava ancora un anno. All'inizio del 1819, costretto anche da ragioni di salute, lasciò definitivamente l'amatissima isola, giungendo a Londra a luglio. ![]() Una faticosa impresa editoriale a sei mani I molti anni che gli rimasero ancora da vivere (morì nel 1859, a 86 anni; una sintesi della sua vita nella sezione biografie) furono dedicati non più alla ricerca sul campo, ma alla sistemazione e alla pubblicazione delle raccolte proprie e altrui, con un interesse sempre più preponderante per la zoologia. Sicuramente grazie all'appoggio di Raffles, venne assunto come conservatore del Museo della Compagnia delle Indie, agli ordini del primo curatore, Charles Wilkins, cui più tardi succedette. Tra il 1821 e il 1824, pubblicò la sua opera più nota, Zoological Researches in Java and the neighbouring islands, che presenta una sintesi della fauna della grande isola indonesiana, con note sulla tassonomia, le caratteristiche morfologiche e il comportamento di primati, pipistrelli e uccelli, basandosi anche sulle osservazioni di altri studiosi, incluso Raffles. Quando quest'ultimo creò la Società zoologica di Londra (1826), lo volle accanto a sé come segretario; nel 1828 fu ammesso alla Royal Society. Come conservatore e poi curatore dell'India Museum, dove affluiva una crescente massa di esemplari di animali dal subcontinenti indiano, Horsfield fu impegnato a esaminarli, identificarli e catalogarli; ne risultò la descrizione di sei nuove specie di mammiferi dell'India e delle regioni limitrofe: i pipistrelli Rhinolophus affinis, Hipposideros larvatus, Kerivoula hardwickii, Scotophilus heathii, il gatto dorato Pardofelis temminckii e lo scoiattolo striato dell'Himalaya Tamiops mcclellandii. Culmine di questa attività fu nel 1851 la pubblicazione del Catalogue of the Mammalia in the Museum of the East India Company, in cui descrisse molto dettagliatamente gli animali del subcontinente, aggiungendo altre cinque specie nuove per la scienza. Collaborò anche con N.A. Vigors alla classificazione degli uccelli australiani e fu tra i promotori della Enthomological Society of London. La sua importanza come zoologo è anche testimoniata dai numerosi nomi specifici del regno animale che gli rendono omaggio (almeno una quindicina). Ma torniamo alla botanica. Quando giunse in Inghilterra, Horsfield portava con sé un voluminoso erbario di 2000 esemplari, cui si aggiungevano disegni e calchi in carta di riso (un ingegnoso metodo da lui elaborato per conservare almeno l'impronta delle piante, che nel clima tropicale era spesso molto difficile preservare); per organizzare questa massa di materiale secondo precisi criteri tassonomici, egli si rivolse a Robert Brown, che era allora il segretario di Banks (che sarebbe morto l'anno dopo, lasciandolo erede delle sua biblioteca e delle sue collezioni). L'esame degli esemplari e dei numerosi duplicati, l'identificazione delle specie e dei generi, il raggruppamento per famiglie richiesero un tempo molto lungo, rendendo impensabile una pubblicazione integrale; d'accordo con Horsfield, Brown selezionò le specie più interessanti o di per sé o per la loro novità. Ciascuna sarebbe stata corredata della descrizione in latino, delle osservazioni in inglese e illustrata da una tavola (le illustrazioni, giudicando Brown inadatte quelle eseguite a Giava da artisti locali, furono rifatte sulla base degli esemplari essiccati). Nonostante questa scelta drastica, a causa dei suoi mille impegni Brown non poté scrivere egli stesso le descrizioni, che alla fine dovette affidare a uno dei suoi collaboratori, John Joseph Bennett, assistente del dipartimento di botanica del British Museum. Dopo una lunghissima gestazione, con il titolo Plantae Javanicae Rariores, l'opera uscì infine tra il 1838 e il 1852 in quattro parti (ciascuna delle quali comprende 25 specie con altrettante tavole). Opera importante per la conoscenza della flora giavanese e magnifica per il corredo iconografico (i disegni sono di C. e J. Curtis, le incisioni di J. Curtis e E. Weddell), è tuttavia molto tardiva e certo non rende totalmente giustizia all'indefesso lavoro di Horsfield, che nel frontespizio risulta solo come raccoglitore, anche se il suo nome precede quelli di Bennett e Brown, scritti in corpo lievemente più piccolo. D'altra parte, corrispondeva a una scelta dello stesso Horsfield, che durante il soggiorno londinese aveva di fatto abbandonato la botanica per la zoologia. ![]() Horsfieldia, dalle foreste del sudest asiatico Gli omaggi non sono mancati anche nella nomenclatura botanica. Oltre ad essere ricordato da alcuni nomi specifici (tra gli altri, Sauromatum horsfieldii, Miliusa horsfieldii, Edychium horsfieldii), tre diversi botanici in tempi successivi gli dedicarono un genere Horsfieldia: Willdenow già nel 1806, Blume nel 1830 e Chifflot nel 1909. Per la regola della priorità, l'unico valido è Horsfieldia Willd. (famiglia Myristicaceae). Questa dedica precoce dimostra che anche in tempi di guerra e nonostante le lunghe distanze, nell'ambiente dei naturalisti le notizie continuavano a circolare, magari con qualche imprecisione. Creando il nuovo genere sulla base di una specie segnalata da Horsfield a Giava (H. odorata, oggi H. iryaghedhi), nella quarta edizione di Species plantarum Willdenow infatti scrive: "Ho denominato questa pianta in memoria del dottore statunitense Thomas Horsfield che per amore delle piante esplorò le Indie orientali". Il termine "memoria" e il tempo verbale danno l'impressione che il botanico tedesco avesse ricevuto la falsa notizia della morte di Horsfield in Oriente. Molto appropriatamente per questo appassionato del Sudest asiatico, Horsfieldia è un genere di circa cento specie di alberi sempreverdi delle foreste umide tropicali di bassa quota, diffuso in un'area che va dall'India e alle isole Salomone, passando per la Cina meridionale, l'Indocina e l'Indonesia. Il maggiore centro di diversità è la Nuova Guinea (con una trentina di specie), seguita dal Borneo; a parte poche eccezioni, quasi tutte le specie sono diffuse in una piccola parte di questa vasta zona e molte sono endemiche o subendemiche. Proprio per questo, parecchie sono minacciate, soprattutto per la restrizione del loro habitat naturale. Appartenenti alla stessa famiglia della noce moscata (Myristica fragrans), sono in genere piccoli alberi molto decorativi sia per il bel fogliame sempreverde, sia per le grandi infiorescenze molto ramificate, seguite da piccole bacche tondeggianti; dioiche, portano i fiori femminili e quelli maschili su piante separate. Alcune specie, già note alla medicina tradizionale, contengono l'alcaloide horsfilina con effetti analgesici. Altre sono invece coltivate per i frutti, da cui si ricava una cera. Tra di esse proprio H. iryaghedhi, originaria di Sri Lanka (e si teme ormai estinta in natura), ma introdotta forse dagli olandesi in Malesia e a Giava, dove veniva coltivata appunto per la cera. Qualche approfondimento nella scheda. La rarissima, strabiliante, Rafflesia arnoldii vanta il fiore più grande al mondo (oltre un metro di diametro). Non meno curiosa e interessante è la sua scoperta da parte della scienza occidentale (ovviamente, era nota da secoli alla popolazione locale, e usata nella medicina tradizionale) che coinvolse i due personaggi per sempre uniti nel suo nome: il botanico Joseph Arnold e il suo mecenate, Thomas Stamford Raffles, futuro fondatore di Singapore. ![]() Antefatti: un botanico sfortunato e un funzionario ambizioso Ufficialmente, la scoperta di quella che sarà battezzata Raffelsia arnoldii avvenne il 19 maggio 1818 a Sumatra. Tuttavia per trovare il primo botanico occidentale che vide una Rafflesia dobbiamo tornare indietro di oltre vent'anni e spostarci nell'isola di Giava, dove il botanico francese Louis Auguste Deschamps, superstite della spedizione Entrecasteaux, su richiesta del governatore olandese aveva condotto estese ricerche scientifiche nell'interno dell'isola. Probabilmente nell'agosto 1797, nell'isola di Nusa Kambangan, di fronte alla costa meridionale di Giava, si imbatté in una pianta ignota alla scienza occidentale, nota agli indigeni come Bunga patma (quasi certamente una Rafflesia, anche se è in discussione di quale specie). La descrisse e la disegnò. Nel 1802, quando Napoleone concesse l'amnistia agli emigrati che non avessero impugnato le armi contro la Repubblica, Deschamps rientrò in patria; ma nel corso del viaggio di ritorno la nave su cui viaggiava fu fermata dagli inglesi, che sequestrarono esemplari, appunti e disegni. Nonostante la scoperta non sia mai stata pubblicata (le carte dello sfortunato botanico, tuttora inedite, si trovano al British Museum), era nota ai botanici che operavano in quell'area e sembra circolassero persino copie del suo disegno. Negli anni successivi, le guerre napoleoniche coinvolsero anche le colonie del sudest asiatico. Per sottrarla al controllo francese, nel 1811 i britannici occuparono Giava e la amministrarono fino alla pace del 1814, quando fu restituita all'Olanda. A governarla fu chiamato un giovane e brillante funzionario della Compagnia delle Indie orientali, Thomas Stamford Raffles. Durante il suo breve mandato, oltre che per le riforme amministrative, egli si segnalò per l'interesse per la storia, la cultura (iniziò il restauro del tempio di Borobudur) e la natura giavanese. Per procurarsi animali e esemplari botanici, organizzò una squadra di raccoglitori indigeni, sotto la guida di un medico e naturalista americano, Thomas Horsfield; creò una specie di zoo, un rudimento di orto botanico e una collezione di oggetti naturali e etnografici. Fu il vero e proprio inizio delle ricerche naturalistiche a Giava, che avrebbe ispirato iniziative come la creazione dell'orto botanico di Bogor, fondato dagli olandesi nel 1817. A far conoscere la natura di Giava contribuì anche l'importante History of Java (pubblicato da Raffles nel 1817), che comprende capitoli sulla flora e la fauna. Quest'opera introdusse Raffles nell'establishment scientifico britannico, guadagnandogli l'ammissione alla Royal Society e l'amicizia di personalità come Joseph Banks. Il re lo nominò baronetto. Apprezzato a Londra, ma molto meno dai vertici della Compagnia, con una vera e propria retrocessione nel 1817 Raffles tornò in Asia come governatore generale di Bencoolen, una base commerciale di scarsa importanza sulla costa occidentale di Sumatra. Anche qui, come a Giava, si segnalò per l'energia delle sue riforme, le capacità diplomatiche e l'interesse per il mondo naturale. Adesso al suo servizio c'era un altro giovane naturalista, il medico inglese Joseph Arnold. ![]() Una scoperta sensazionale Ed eccoci ritornati a quel maggio 1818 in cui fu scoperta Rafflesia arnoldii, nel corso di una breve spedizione a metà tra missione diplomatica e esplorazione scientifica. Temendo le incursioni delle popolazioni locali nei territori della Compagnia situati lungo la costa meridionale di Sumatra, Raffles decise di muovere verso sud per cercare un accordo. La spedizione, oltre a Raffles e al dottor Arnold, comprendeva la moglie di Raffles, l'intrepida lady Sophia, alcuni soldati e una sessantina di portatori. Partito da Bencoolen intorno al 15 maggio, viaggiando a cavallo dopo due giorni il gruppo raggiunse Manna, dove gli si unirono ufficiali locali, il Pangeran (un alto nobile locale) e il residente della compagnia, Edward Presgrave. Il 19 maggio, nei pressi del villaggio di Pulau Lebar, uno dei servitori malesi richiamò l'attenzione del dottor Arnold, che si era separato dal gruppo per esplorare la foresta: "Signore, venga, venga con me. Un fiore molto grande, bellissimo, meraviglioso!". Arnold non se lo fece dire due volte: ed eccolo di fronte a un oggetto mai visto: una corolla enorme, con un diametro di più di un metro e spessi petali carnosi rossastri, macchiettati di bianco. Il peso era di quasi sette chili e la coppa interna conteneva non meno di sei litri d'acqua. Il tutto emanava esattamente l'odore della carcassa di un bufalo in avanzato stato di decomposizione. Poco dopo allo stupefatto botanico si unirono Raffles, Sophia e Presgrave. Arnold disegnò e raccolse l'esemplare (un fiore maschile che si decompose rapidamente; fu possibile conservare solo una piccola parte dell'apparato riproduttivo) e alcuni boccioli ancora chiusi. Pochi mesi dopo, Arnold morì di una febbre contratta in questa o in una successiva spedizione nell'interno, senza aver potuto completare né la descrizione né il disegno (a completarlo fu Sophia Raffles). Le note di Arnold, il disegno, i boccioli e ciò che si era potuto preservare del fiore furono spediti a Banks, a Londra, che li affidò per il riconoscimento e la descrizione a Robert Brown. A Sumatra, il successore di Arnold come botanico della Compagnia delle Indie, William Jack, continuò le ricerche, raccogliendo anche un esemplare femminile (anche i boccioli raccolti da Arnold risultarono maschili). Nel 1820, scrisse un articolo in cui descrisse diverse specie tropicali ignote alla scienza, tra cui quella che denominò Rafflesia titan. Lo inviò alla madre, con la richiesta di farlo pubblicare se in Inghilterra Rafflesia era ancora inedita; altrimenti di sopprimerlo. Questa strana richiesta si spiega con il desiderio di assicurare la priorità alla scienza britannica: temeva infatti che Deschamps (la cui scoperta era ben nota ai botanici che operavano tra Sumatra e Giava), nonostante la perdita dei materiali, potesse pubblicarla per primo. Pubblicato solo nel 1822 in Malayan Miscellanies, il nome è oggi considerato illegittimo perché preceduto dalla denominazione di Brown. Basandosi sul disegno e i materiali di Arnold, quest'ultimo aveva infatti comunicato la scoperta del gigantesco fiore di Sumatra nella riunione della Linnean Society del 30 giugno 1820; nella seduta del 21 novembre, aggiunse altre informazioni ricevute da Raffles e Jack. La pubblicazione ufficiale avvenne l'anno successivo in Transaction of Linnean Society. Inizialmente Brown aveva pensato di denominare il fiore gigante Arnoldia grandiflora, ma poi, seguendo le abitudini dell'epoca (era usuale privilegiare lo sponsor più che il botanico) decise di riunire il nome di due scopritori in Rafflesia arnoldii, scrivendo che lo stesso dottor Arnold avrebbe voluto così (è probabile, come dimostra l'analoga scelta di Jack). Illustrata da un magnifico disegno di Bauer, la pubblicazione destò scalpore: quel fiore mostruoso corrispondeva perfettamente a ciò che l'immaginario collettivo dell'epoca associava all'Oriente: il mistero, l'eccesso, l'esuberanza di una natura che affascinava e allo stesso tempo respingeva. Come scrive T.P. Barnard in The East India Company and the Natural World, da una parte divenne il simbolo dell'alterità delle regioni tropicali, dall'altra una giustificazione delle spedizioni per conoscerle e prenderne possesso. Quasi immediatamente (1825) ne vennero ordinati tre modelli in cera a grandezza naturale, uno per lo stesso Raffles, uno per la Linnean Society, l'altro per la Royal Horticultural Society. Quest'ultimo è l'unico sopravvissuto e può essere tuttora ammirato ai Kew Gradens. ![]() Epilogo: distruzione e creazione di un eroe Come nei romanzi ottocenteschi, prima di salutare i tanti personaggi comparsi in questa storia, due parole sulle vicende successive. Lasciamo da parte Deschamps, Horsfield e Jack che, come dedicatari rispettivamente di Deschampsia, Horsfieldia e Jackiopsis, saranno protagonisti di post tutti per loro. Arnold, l'ho già anticipato, morì pochi mesi dopo la sensazionale scoperta. Dopo la sua morte, gli vennero dedicati ben due generi, ma nessuno dei due è tuttora valido: nel 1824 il botanico francese Henri Cassini gli dedicò Arnoldia (famiglia Asteraceae), oggi sinonimo di Dimorphoteca; nel 1826 una seconda Arnoldia (famiglia Cunoniaceae) gli fu dedicata dal tedesco Blume, denominazione non valida per la priorità di quella di Cassini. Quanto a Raffles, doveva ancora conquistare il suo maggior titolo di gloria: la fondazione di Singapore, di cui comprese l'enorme valenza strategica, suggerendone la creazione alla Compagnia nel 1818 e gettandone le basi l'anno successivo. Lasciando da parte le vicende politiche (qualche cenno si troverà nella biografia), negli anni che avrebbe ancora trascorso nel Sudest asiatico continuò a promuovere l'esplorazione naturalistica di Sumatra avvalendosi della collaborazione di Jack (anch'egli morto di febbri nel 1822) per mettere insieme una collezione di oltre 2000 pezzi, che comprendeva anche disegni commissionati a pittori locali. Nei brevi periodi trascorsi a Singapore (funestati dall'ostilità crescente dei vertici della Compagnia e dalla rivalità con il Residente William Farquahr) promosse istituzioni scientifiche, fondando tra l'altro una scuola dove si potesse studiare sia l'inglese sia le lingue locali, nell'obiettivo di formare i figli tanto degli impiegati della Compagnia quanto dei leader malesi e cinesi. Ospitò Nathaniel Wallich, venuto qui in convalescenza, e insieme crearono un orto botanico e un giardino sperimentale, dedicato soprattutto alle piante di interesse commerciale. Probabilmente Raffles progettava di scrivere un'opera su Sumatra analoga a quella su Giava. Tuttavia tutte le sue carte, le collezioni naturalistiche, i disegni di piante e animali, andarono perduti nell'incendio della nave "Fame" su cui si era imbarcato con la famiglia nel gennaio del 1823 per tornare in patria. Nelle otto settimane seguenti, in attesa di un nuovo imbarco, commissionò ad artisti locali una serie di disegni (44 uccelli, 7 mammiferi e 27 piante), oggi conservati nella British Library. Rientrato in patria in pessime condizioni di salute, in totale rottura con la Compagnia delle Indie, si concentrò sugli interessi naturalistici. Nel 1825 fu tra i fondatori della Società zoologica di Londra (di cui fu il primo presidente) e promosse la creazione dello Zoo di Londra. Morì nel 1826, il giorno prima del suo quarantacinquesimo compleanno. In odio alle sue posizioni antischiaviste, il vicario della sua parrocchia (la cui famiglia si era arricchita con il commercio di schivi) gli rifiutò la sepoltura; la compagnia negò ogni pensione alla vedova e requisì le sue proprietà in risarcimento delle perdite subite durante la sua amministrazione. A riabilitarne la memoria si dedicarono prima la moglie, che gli sopravvisse per un trentennio, poi gli esegeti del colonialismo vittoriano, che ne fecero un eroe. ![]() Piante rare a rischio d'estinzione Il genere Rafflesia comprende circa 28 specie di piante parassite endemiche delle foreste pluviali del Sudest asiatico (Thailandia, Indonesia, Malaysia, Filippine). Sono endoparassiti, che vivono totalmente all'interno dei tessuti della pianta ospite (diverse specie di Tetrastigma, una liana della famiglia Vitaceae); il corpo della pianta è costituito da filamenti presenti nelle radici dell'ospite; è priva di foglie, fusti, radici; l'unica manifestazione esterna sono i fiori. I boccioli tondeggianti, simili a un cavolo, emergono dalla corteccia dell'ospite e dopo circa 9 mesi si apre un fiore massiccio, con cinque petali e una profonda coppa centrale, che contiene numerosi organi appuntiti, la cui funzione è sconosciuta, e molti litri di nettare. In quasi tutte le specie, i fiori maschili (dotati di stami) e quelli femminili (dotati di pistillo) sono portati da piante diverse, spesso molto distanti tra loro; inoltre, quelli femminili sono particolarmente rari. L'impollinazione viene effettuata da insetti sarcofagi, attratti dall'intenso odore di carne putrefatta. Il fiore appassisce dopo pochissimi giorni (da 5 a 7); questo, insieme alla distanza tra gli esemplari femminili e maschili e ai lunghi tempi di sviluppo del bocciolo, che rendono rara la fioritura contemporanea in aree sufficientemente prossime di esemplari dei due sessi, rende piuttosto difficile l'impollinazione. Se invece le cose vanno lisce, alla fioritura seguirà un frutto tondeggiante, di circa 15 cm di diametro, che contiene migliaia di piccoli semi. La dispersione di questi ultimi avviene grazie a piccoli roditori che si cibano dei frutti. Tutte queste caratteristiche hanno due conseguenze: le Rafflesiae sono poco conosciute e rischiano di estinguersi. Per studiarne i tessuti, bisogna necessariamente uccidere sia la pianta sia l'ospite. Inoltre, mancando (fiore a parte) tutti gli altri organi tipici delle piante superiori, la classificazione di questo genere (e dei generi affini Rhizanthes e Sapria, che insieme formano la famiglia delle Rafflesiaceae) è un vero rebus, che è stato risolto solo di recente grazie allo studio del DNA, dimostrando con prove convincenti che la famiglia più vicina è costituita dalle Euphorbiaceae (il che desta stupore, pensando che a questa famiglia appartengono piante con fiori molto piccoli). Le particolarissime esigenze e le specificità della riproduzione delle Rafflesiae, unite alla costante diminuzione del loro habitat, ne mettono inoltre a rischio la sopravvivenza; nessun orto botanico, compreso quello di Singapore, è finora riuscito a coltivare con successo R. arnoldii; R. patma è invece coltivata nell'orto botanico di Bangor, a Giava, dove sono stati sperimentati con successo metodi di riproduzione agamica (mentre è fallita la riproduzione per semi). L'unica strada per conservare questa meraviglia della natura è dunque preservarne l'ambiente naturale, una sfida senza dubbio difficile. A Sabah, nel Borneo settentrionale, sono stati creati giardini di conservazione (la specie presente qui è R. keiti) e si incoraggiano i proprietari dei terreni dove ne è stata segnalata la presenza a mantenerli intatti, a proteggere i boccioli nei lunghi mesi che precederanno la fioritura, a segnalare l'apertura dei fiori e ad accogliere i turisti, in cambio di un contributo statale; in altri paesi sono in atto iniziative analoghe di turismo ecosostenibile. Con la sua rarità e il suo fascino esotico, Rafflesia è infatti anche un'attrazione turistica, che alimenta un'industria i cui proventi si spera possano contribuire a salvarla. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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