Insieme a Hieronymus Bock e Leonhart Fuchs, Otto Brunfels è uno dei tre "padri della botanica tedesca" (o, secondo alcuni, della botanica tout court). E' vero che, in area tedesca, il suo Herbarum Vivae Eicones è il primo a superare gli erbari figurati di tradizione medievale, messi insieme con il copia-incolla. Ma se il volume segna una tappa nella storia della botanica, non è tanto per i suoi testi (anch'essi ben poco originali) quanto per le incisioni di Hans Weiditz , il primo a ritrarre le piante dal vero e a farle vivere sulla pagina stampata. Il primo vero illustratore botanico della storia avrebbe meritato un genere celebrativo, ma così non è; invece a celebrare Brunfels, per volontà di Plumier e Linneo, c'è il magnifico genere Brunfelsia. Come si confeziona un prodotto editoriale di successo Come ho raccontato in questo post, il mercato editoriale tedesco aveva scoperto precocemente le potenzialità economiche degli erbari figurati, con una vivace produzione di Kräuter Bücher in lingua tedesca, assai apprezzati da un pubblico relativamente vasto di "illetterati", ovvero di persone che non conoscevano il latino. Costruiti con il copia-incolla riprendendo testi e immagini dalla tradizione manoscritta medievale, non brillavano certo per originalità. Il primo a capire che il mercato era pronto per qualcosa di nuovo fu probabilmente l'editore di Strasburgo Johann Schott, tanto più che aveva sotto mano la persona giusta per scrivere il testo; da qualche anno si era infatti trasferito in città il teologo Otto Brunfels che, oltre ad aver aperto una scuola per i ragazzi, era un poligrafo che aveva già pubblicato per lui due libri di biografie, l'una dedicata agli uomini illustri dell'Antico e del Nuovo testamento, l'altra ai medici celebri. Non era un medico (lo sarebbe diventato poco dopo), ma, oltre ad essere un eccellente latinista, si interessava di botanica ed era aggiornato sulle ultime tendenze che arrivavano dall'Italia. Per altro, più che sul testo, l'avveduto Schott puntava sulle immagini; e anche per quelle aveva la persona giusta: il pittore e incisore Hans Weiditz, figlio di un affermato scultore locale e allievo di Albrecht Dürer. Le xilografie del suo nuovo erbario non sarebbero state l'ennesimo rifacimento di miniature medievali, ma, per la prima volta in assoluto, avrebbero ritratto le piante dal vivo, secondo il nuovo stile naturalistico imposto appunto da Dürer. Che nelle intenzioni di Schott le immagini fossero l'elemento più importante si vede fin dal titolo: Herbarum vivae eicones, ad naturae imitationem, summa cum diligentia et artificio effigiatae, ovvero "Immagini vive delle erbe, effigiate con la massima diligenza e virtuosismo, in modo da imitare la natura". Un titolo che equivale a uno spot pubblicitario. Grazie a quelle immagini senza precedenti, Herbarum vivae eicones di Brunsfeld segnò una tappa fondamentale nella storia della botanica, tanto che Julius von Sachs nella sua Geschicte der Botanik scelse la sua data di pubblicazione, il 1530, come anno di inizio della storia della botanica moderna e proclamò l'autore, insieme a Bock e Fuchs, padre della botanica. Un titolo quanto meno esagerato, anche se l’autore ha i suoi meriti e il libro ne ha ancora di più. Da teologo, a botanico e medico Quando arrivò a Strasburgo, Brunfels era sulla trentina, ma aveva già alle spalle una vita travagliata, vissuta nel fuoco della passione per il rinnovamento religioso e morale, ma anche civile e politico annunciato dalla Riforma. Figlio di un bottaio, giovanissimo si laureò in filosofia e teologia, quindi si fece monaco, prima nella certosa della città natale Magonza, poi in quella di Königshofen nei pressi di Strasburgo. Qui poté frequentare gli ambienti umanistici e pubblicare i suoi primi scritti, dedicati a problemi morali e teologici sulla scia di Erasmo da Rotterdam. La Riforma protestante lo vide in prima fila, schierato al fianco di Lutero ma ancora di più di Ulrich von Hutten, il leader della guerra dei cavalieri. Le sue posizioni erano dunque decisamente radicali e lo costrinsero prima ad abbandonare il monastero, poi a diventare una specie di pastore itinerante, in conflitto non solo con la Chiesa cattolica ma anche con Zwingli e lo stesso Lutero. Negli anni caldi della nascita della Riforma, tra il 1519 e il 1524 egli scrisse copiosamente di argomenti morali e teologici, che spesso avevano anche risvolti politici: in particolare, denunciò l'arbitrarietà delle decime, anche se non fino al punto di invitare i contadini a non pagarle; la sconfitta della guerra dei cavalieri e la morte di von Hutten (che difese ancora dopo la sua scomparsa contro le critiche di Erasmo, ai suoi occhi un opportunista che non aveva avuto il coraggio di schierarsi apertamente con la Riforma) lo spinsero a moderare le sue posizioni e soprattutto ad abbandonare la polemica religiosa, per tornare a Strasburgo. Città libera dell'Impero, ma in posizione decentrata, e dominata dalle posizioni conciliatrici di Martin Butero, rispetto alla Germania poteva essere un asilo abbastanza sicuro e quasi un'oasi di tranquillità. Come ho già accennato, negli otto anni in cui visse a Strasburgo, forse anche in connessione con la professione di maestro, scrisse di molti argomenti, anche se Herbarum vivae eicones rimane la sua opera di maggior impegno. Divisa in tre parti, uscite rispettivamente nel 1530, nel 1532 e nel 1536, si concluse solo dopo la morte dell'autore, avvenuta nel 1534. Non sappiamo se Brunfels si fosse già interessato di botanica in precedenza, magari fin dagli anni in cui era monaco certosino; ma, a parte la raccolta di biografie di medici pubblicata da Schott, non aveva mai scritto nulla né di medicina né di piante medicinali. Ma si appassionò tanto all'argomento che, benché avesse ormai superato la quarantina, andò a Basilea a studiare medicina e, dopo essersi laureato nel 1532, si trasferì a Berna come medico della città. Qui morì nel 1534. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Quando le immagini prevalgono sul testo E' molto probabile che Herbarium vivae eicones come lo leggiamo oggi non corrisponda affatto al progetto che aveva in mente Brunfels quando iniziò a scriverlo. Sulla scorta delle indicazioni degli umanisti italiani, in particolare dei medici dello Studio ferrarese Niccolò Leoniceno e Giovanni Manardo, che invitavano ad abbandonare Plinio per riscoprire Dioscoride nella sua veste originale, e a verificare l'identificazione delle piante dal vivo, l'ex teologo si proponeva di superare i vecchi erbari tedeschi attingendo direttamente alle fonti antiche, prima tra tutte la Materia medica di Dioscoride. Probabilmente intendeva presentare le piante in ordine alfabetico, dando la precedenza o forse l'esclusiva alle specie medicinali citate dagli antichi. Per identificarle correttamente, anche lui, seguendo l'esempio di Leoniceno e Manardo, percorreva le campagne attorno a Strasburgo cercando di identificare le piante mediterranee nominate da Dioscoride nella ben diversa flora del centro Europa, ovviamente incappando in identificazioni forzate o arbitrarie. e le cose non andarono come avrebbe voluto, la colpa (o il merito) fu di Hans Weidnitz. Il pittore doveva essere uno spirito indipendente (e intraprendente) e prese l'iniziativa di ritrarre dal vivo anche piante non previste dall'autore, non solo mai citate da Dioscoride o Plinio, ma spesso pure prive di proprietà officinali. Insomma, vere e proprie erbacce. Brunfels le avrebbe espunte volentieri, o almeno relegate in un'appendice, ma l'editore premeva perché il lavoro procedesse in fretta, e, mano a mano che le matrici erano pronte, venissero stampate le xilografie con i testi relativi. Così l'ordine previsto da Brunfels saltò, e le specie vennero disposte in un ordine casuale, dettato dalle esigenze editoriali. Per Brunfels fu sicuramente uno smacco, tanto che si scusa addirittura con i lettori di aver inserito queste piante nel corpo del testo e le chiama spregiativamente “plantae nudae”, indegne di essere illustrate perché non coperte dal prestigio di una designazione autorevole. Eppure sono proprio le spregevoli piante nude a rendere interessante il libro di Brunfels ai nostri occhi: su 258 specie o varietà illustrate, quelle mai descritte in precedenza sono 47, e sono le uniche per le quali il supposto "padre della botanica" scrive ciò che vede con i suoi occhi o ha saputo dai suoi informatori, e non ciò che riprende diligentemente dalle fonti antiche. Per scoprire i loro nomi e sapere qualcosa dei loro eventuali usi, senza alcuna spocchia intellettuale, egli si rivolse infatti agli erboristi e anche alle «vecchiette espertissime» che «non conoscono le piante grazie ai libri, ma sono stati ammaestrati dall'esperienza». E sicuramente non gli spiacque che l’editore prendesse l’iniziativa di affiancare all'edizione latina una versione tedesca, il Contrafayt Kreüterbuoch (ovvero “Libro d’erbe illustrato”), con l’aggiunta di una cinquantina di illustrazioni originali. Oggi si tende sostanzialmente a ridimensionare il valore storico dell’opera di Brunfels, giudicata un lavoro sostanzialmente compilatorio, mentre non si manca di sottolineare l’altissima qualità delle illustrazioni di Hans Weiditz (1497-1537 circa). Probabilmente si deve a lui la maggior parte delle immagini dei primi due volumi dell’Herbarum Vivae Eicones, anche se fu assistito da altri pittori e da uno o più incisori. Weiditz, come abbiamo già visto, scelse con una certa autonomia le piante da ritrarre; le disegnò e le dipinse da vivo, non in modo idealizzato, ma estremamente realistico tanto che in alcune tavole vediamo fiori appassiti, foglie strappate o mangiate dagli insetti. Da questo punto di vista, le sue immagini sono abbastanza lontane dalle future convenzioni dell’illustrazione botanica che rappresenta le piante non in modo individuale, ma ideale; invece troviamo già le piante decontestualizzate, disposte sul foglio bianco staccate dal loro habitat; in alcuni esemplari sono presentati diversi stati della vita della pianta ritratta, con fiori e frutti insieme. Nel 1930 a Berna, in un volume appartenuto a Felix Platter, furono ritrovati settantasette acquarelli di piante dipinte da Weiditz: si tratta di una parte degli originali da cui furono tratte le xilografie dei volumi di Brunfels. Rispetto a queste ultime, sono ancora più notevoli per virtuosismo e naturalismo; gli incisori non di rado le adattarono alla pagina, spesso disponendole in posizioni innaturali e le riprodussero con un tratto piuttosto sottile, senza chiaroscuro; inoltre le dimensioni delle xilografie sono molto variabili, dalla pagina piena a pochi centimetri, con il testo che si dispone intorno in modo a volte un po' disordinato. Probabilmente, erano previste copie di lusso acquarellate a mano, di cui gli originali di Weiditz costituiscono il modello per i colori. Le illustrazioni di Weidnitz imposero un nuovo standard, tanto che furono immediatamente piratate: nel 1533 l’editore Egenolph ne fece copiare alcune (invertite e ridotte nelle dimensioni) per illustrare il Kreutterbuoch di Eucharius Rösslin; Schott gli fece causa e l’editore rivale fu costretto a desistere (ne ho parlato in questo post). Qualche anno più tardi, esercitarono una notevole influenza sugli artisti che illustrarono De historia stirpium di Fuchs. Fiori profumati, fiori cangianti A far entrare Brunfels nella terminologia botanica con la dedica di uno dei suoi generi americani fu il solito padre Plumier, che con tono lievemente apocalittico sottolinea il ruolo di precursore del botanico-teologo: «Per primo in Germania cercò di strappare la botanica medica, quasi estinta, da profondissime tenebre». E ciò resta vero non solo per il pionieristico Herbarum vivae eicones, ma anche per aver stimolato e incoraggiato altri botanici a seguirlo sulla stessa strada: fu lui a persuadere Hieronymus Bock a pubblicare il suo erbario tedesco, sobbarcandosi un viaggio a piedi da Strasburgo a Hornbach per convincerlo di persona; in appendice a Herbarum vivae eicones, pubblicò i primi scritti dello stesso Bock e di Fuchs; e fu certo l’interesse suscitato dal libro di Brunfels a spingere Euricius Cordus a scrivere e pubblicare il suo Botanologicon. Validato da Linneo nel 1753, il genere Brunfelsia, della famiglia Solanaceae, comprende una cinquantina di specie di piccoli alberi e arbusti, più qualche liana, diffuse esclusivamente nell'America tropicale, dalle Antille all'Argentina. Hanno grandi fiori profumati tubolari, con corolla piatta, lievemente zigomorfi, con cinque grandi lobi, simili a quelli delle petunie (i generi sono piuttosto affini e appartengono alla medesima tribù, quella delle Petunieae). Come molte piante di questa famiglia, contengono sostanze medicinali e alcaloidi, le cui proprietà sono state scoperte e sfruttate dalle culture indigene; tuttavia diverse componenti sono tossiche e possono causare problemi sia all'uomo sia agli animali domestici. Diverse specie di Brunfelsia sono coltivate per il grande valore ornamentale nei paesi a clima mite. Le più note sono B. americana e B. pauciflora. B. americana è un piccolo albero originario delle Antille, dove lo vide e lo descrisse padre Plumier; sempreverde, ha grandi fiori solitari dapprima bianchi poi giallo crema, che si aprono di notte diffondendo un forte profumo che gli ha guadagnato il soprannome di “signora della notte”. Da noi è però più coltivata l’arbustiva B. pauciflora, originaria del Brasile, che al momento della fioritura dà spettacolo con le sue corolle in tre colori. Infatti i suoi fiori hanno la curiosa particolarità di cambiare colore: al momento dell’apertura sono viola purpureo, quindi lavanda, infine, poco prima di appassire, bianchi. Ecco perché gli inglesi la chiamano yesterday-today-tomorrow, “ieri, oggi, domani”. Nessuna delle due specie è rustica. Garantisce invece una buona resistenza al freddo B. australis, che come dice il nome specifico ha una distribuzione più meridionale (dal Brasile meridionale all’Argentina); è simile a B. pauciflora, ma con portamento più compatto e fiori più piccoli, anch'essi in tre colori. Qualche approfondimento nella scheda.
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Curioso destino, quello di Johann Reinhold Forster e di suo figlio Georg. Oggi il primo è considerato uno dei filosofi naturali più interessanti dell'ultimo Settecento, e il secondo uno dei padri dell'etnologia. Eppure, al loro tempo, l'uno e l'altro sono stati ostracizzati per motivi diversi. A rovinare la fama di Johann Reinhold è stato il suo pessimo carattere, che lo ha fatto definire da uno dei biografi di Cook un "incubo"; la reputazione di Georg è stata invece compromessa dall'entusiastica adesione alla rivoluzione francese, che gli è costata la condanna come traditore della patria, l'esilio, la morte precoce e il lungo oblio della sua opera scientifica. Entrambi parteciparono alla seconda spedizione di Cook, il padre come naturalista ufficiale, il secondo soprattutto come disegnatore e, al di là delle polemiche, si dimostrarono naturalisti solerti e capaci. A ricordarli nella terminologia botanica un genere di piante minuscole endemiche della Nuova Zelanda e della Tasmania, Forstera. A raccogliere il primo esemplare nei pressi di Cascade Cove fu Anders Sparmman che volle dedicarla al "mio compagno botanico" Georg Forster. Prima del viaggio: un erudito tedesco Anche ai suoi tempi, nessuno dubitava che Johann Reinhold Forster, il naturalista ufficiale della seconda spedizione Cook, fosse un uomo coltissimo e di grande competenza scientifica. Eppure la convivenza con Cook fu così disastrosa che, dopo quell'esperienza, il navigatore decise di non volere più alcun naturalista a bordo. Il giudizio del biografo di Cook J.C. Beaglehole è senza appello: "Niente può renderlo diverso da uno dei peggiori errori dell'ammiragliato. Dall'inizio alla fine del viaggio, e anche successivamente, fu un incubo. Si esita a descriverne le caratteristiche, nel timore che il ritratto passi per una caricatura. Dogmatico, privo di umorismo, sospettoso, pretenzioso, polemico, censorio, esigente, afflitto dai reumatismi: era un problema sotto qualsiasi punto di vista". Molto diversa è l'immagine che ne dà il biografo di Forster Michael E. Hoare, che ha anche curato la monumentale edizione del suo diario del viaggio della Resolution. Secondo Hoare, egli è stato uno dei grandi geni universali dell'ultimo Settecento e l'oblio che è caduto sulla sua figura è una grande perdita per l'antropologia, la linguistica, la geografia e la zoologia del Pacifico. Le incomprensioni e lo scontro con Cook, più che al celebre cattivo carattere dello studioso tedesco, sarebbero dovuti allo incontro impossibile tra due mondi e due visioni della vita: da una parte, un marinaio e un uomo d'arme, dall'altra un filosofo, anzi un "filosofo senza tatto", come lo ha battezzato lo stesso Hoare. Proviamo dunque a raccontarlo, questo personaggio impossibile. E con lui suo figlio Georg, allievo, compagno di viaggio, ragazzo prodigio da esibire, in una relazione padre-figlio che ricorda per molti aspetti quella tra Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart. Johann Reinhold Forster, discendente da una famiglia di origine scozzese emigrata in Germania, nacque all'estrema periferia del mondo tedesco, a Dirschau, nei pressi di Danzica. Dopo aver studiato teologia, lingue classiche e orientali all'Università di Halle, divenne pastore della chiesa luterana di Nassenhuben, un altro villaggio della Pomerania prussiana. Gli aneddoti riferiscono di un pastore riluttante: aveva speso gran parte dell'eredità paterna in libri, e tutto il suo tempo era dedicato allo studio; a preparare i sermoni dedicava solo qualche minuto e durante il servizio spesso era così stanco da cadere addormentato. Intanto si era sposato con una cugina, da cui ebbe ben otto figli. Durante la Guerra dei sette anni (1756-63), quando la sua parrocchia fu ripetutamente occupata dalle truppe russe, conquistò però la stima dei suoi parrocchiani difendendo con energia i loro interessi e le loro proprietà dalla rapacità degli occupanti. Insoddisfatto della sua posizione, fece sapere al residente russo a Danzica che era disposto a trasferirsi in Russia come pastore. Fu forse in seguito a questa richiesta che nel 1764 Caterina II lo incaricò di ispezionare gli insediamenti tedeschi lungo il corso del Volga, per dissipare le voci negative sulle condizioni di vita dei coloni. Lasciando il resto della famiglia a Nassenhuben, Forster partì per la Russia con il figlio maggiore Georg, all'epoca un bambino di dieci anni. Un bambino molto speciale: così appassionato di scienze naturali che il padre, per soddisfare la sua curiosità, acquistò le opere di Linneo e incominciò a studiare zoologia e botanica insieme a lui. Forster prese molto sul serio l'incarico, e ne approfittò per studiare la meteorologia e la storia naturale della regione. La zarina contava su una relazione edulcorata, invece Johann Reinhold presentò un rapporto fortemente critico; di conseguenza gli fu negato il salario promesso. Dopo qualche mese passato a San Pietroburgo cercando inutilmente di essere pagato (Georg ne approfittò per imparare decentemente il russo), quando tornò in patria scoprì che a causa della prolungata assenza era stato privato della parrocchia. Forster decise di andare a cercare fortuna in Inghilterra, forse anche per evitare ritorsioni da parte delle autorità russe. Lasciando nuovamente il resto della famiglia in Pomerania, nell'autunno del 1766 si trasferì a Londra con il piccolo Georg. Non riuscì a trovare impiego al neonato British Museum come aveva sperato, ma nella primavera del 1767 fu assunto come insegnante di lingue moderne e scienze naturali alla Warrington Academy, una scuola non conformista con un curriculum innovativo. L'incarico durò poco: non per la scarsa qualità dell'insegnamento (Hoare, che ha studiato i materiali delle lezioni, ne sottolinea la profondità e l'alto livello) ma per il "caratteraccio" di Forster, accusato di aver inflitto "misure disciplinari violente" a uno studente; senza contare i debiti contratti con molti fornitori. Dopo aver insegnato lingue per un altro anno in una Grammar School della stessa località, Forster tornò a Londra, dove si mantenne con traduzioni sue e del figlio, specializzandosi nei racconti di viaggio: tradusse tra l'altro in inglese le relazioni degli allievi di Linneo Kalm, Loefling e Osbeck e il Viaggio intorno al mondo di Bougainville. Inoltre era redattore di una rivista specializzata in letteratura internazionale. Presentando diversi lavori su svariati soggetti alla Società degli Antiquari e alla Royal Society riuscì a farsi una solida reputazione come naturalista; inoltre era in corrispondenza con molti scienziati in Inghilterra e all'estero, incluso Linneo. Nel 1771 pubblicò A Catalogue of the Animals of North America, accreditandosi come zoologo. Lo stesso anno fu ammesso alla Royal Society. Così, quando praticamente da un giorno all'altro Banks e Solander rinunciarono a partire per il secondo viaggio di Cook, Forster sembrò indiscutibilmente il candidato ideale. Tanto più che l'avrebbe accompagnato suo figlio, un disegnatore di talento, "senz'altro molto utile in questa parte della faccenda", come scrisse il lord dell'Ammiragliato, lord Sandwich. Per tagliar corto con la burocrazia, il re autorizzò il pagamento di una discreta somma per l'acquisto delle attrezzature e in dieci giorni i Forster erano pronti a partire. Prima del viaggio: un erudito tedesco Anche ai suoi tempi, nessuno dubitava che Johann Reinhold Forster, il naturalista ufficiale della seconda spedizione Cook, fosse un uomo coltissimo e di grande competenza scientifica. Eppure la convivenza con Cook fu così disastrosa che, dopo quell'esperienza, il navigatore decise di non volere più alcun naturalista a bordo. Il giudizio del biografo di Cook J.C. Beaglehole è senza appello: "Niente può renderlo diverso da uno dei peggiori errori dell'ammiragliato. Dall'inizio alla fine del viaggio, e anche successivamente, fu un incubo. Si esita a descriverne le caratteristiche, nel timore che il ritratto passi per una caricatura. Dogmatico, privo di umorismo, sospettoso, pretenzioso, polemico, censorio, esigente, afflitto dai reumatismi: era un problema sotto qualsiasi punto di vista". Molto diversa è l'immagine che ne dà il biografo di Forster Michael E. Hoare, che ha anche curato la monumentale edizione del suo diario del viaggio della Resolution. Secondo Hoare, egli è stato uno dei grandi geni universali dell'ultimo Settecento e l'oblio che è caduto sulla sua figura è una grande perdita per l'antropologia, la linguistica, la geografia e la zoologia del Pacifico. Le incomprensioni e lo scontro con Cook, più che al celebre cattivo carattere dello studioso tedesco, sarebbero dovuti allo incontro impossibile tra due mondi e due visioni della vita: da una parte, un marinaio e un uomo d'arme, dall'altra un filosofo, anzi un "filosofo senza tatto", come lo ha battezzato lo stesso Hoare. Proviamo dunque a raccontarlo, questo personaggio impossibile. E con lui suo figlio Georg, allievo, compagno di viaggio, ragazzo prodigio da esibire, in una relazione padre-figlio che ricorda per molti aspetti quella tra Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart. Johann Reinhold Forster, discendente da una famiglia di origine scozzese emigrata in Germania, nacque all'estrema periferia del mondo tedesco, a Dirschau, nei pressi di Danzica. Dopo aver studiato teologia, lingue classiche e orientali all'Università di Halle, divenne pastore della chiesa luterana di Nassenhuben, un altro villaggio della Pomerania prussiana. Gli aneddoti riferiscono di un pastore riluttante: aveva speso gran parte dell'eredità paterna in libri, e tutto il suo tempo era dedicato allo studio; a preparare i sermoni dedicava solo qualche minuto e durante il servizio spesso era così stanco da cadere addormentato. Intanto si era sposato con una cugina, da cui ebbe ben otto figli. Durante la Guerra dei sette anni (1756-63), quando la sua parrocchia fu ripetutamente occupata dalle truppe russe, conquistò però la stima dei suoi parrocchiani difendendo con energia i loro interessi e le loro proprietà dalla rapacità degli occupanti. Insoddisfatto della sua posizione, fece sapere al residente russo a Danzica che era disposto a trasferirsi in Russia come pastore. Fu forse in seguito a questa richiesta che nel 1764 Caterina II lo incaricò di ispezionare gli insediamenti tedeschi lungo il corso del Volga, per dissipare le voci negative sulle condizioni di vita dei coloni. Lasciando il resto della famiglia a Nassenhuben, Forster partì per la Russia con il figlio maggiore Georg, all'epoca un bambino di dieci anni. Un bambino molto speciale: così appassionato di scienze naturali che il padre, per soddisfare la sua curiosità, acquistò le opere di Linneo e incominciò a studiare zoologia e botanica insieme a lui. Forster prese molto sul serio l'incarico, e ne approfittò per studiare la meteorologia e la storia naturale della regione. La zarina contava su una relazione edulcorata, invece Johann Reinhold presentò un rapporto fortemente critico; di conseguenza gli fu negato il salario promesso. Dopo qualche mese passato a San Pietroburgo cercando inutilmente di essere pagato (Georg ne approfittò per imparare decentemente il russo), quando tornò in patria scoprì che a causa della prolungata assenza era stato privato della parrocchia. Forster decise di andare a cercare fortuna in Inghilterra, forse anche per evitare ritorsioni da parte delle autorità russe. Lasciando nuovamente il resto della famiglia in Pomerania, nell'autunno del 1766 si trasferì a Londra con il piccolo Georg. Non riuscì a trovare impiego al neonato British Museum come aveva sperato, ma nella primavera del 1767 fu assunto come insegnante di lingue moderne e scienze naturali alla Warrington Academy, una scuola non conformista con un curriculum innovativo. L'incarico durò poco: non per la scarsa qualità dell'insegnamento (Hoare, che ha studiato i materiali delle lezioni, ne sottolinea la profondità e l'alto livello) ma per il "caratteraccio" di Forster, accusato di aver inflitto "misure disciplinari violente" a uno studente; senza contare i debiti contratti con molti fornitori. Dopo aver insegnato lingue per un altro anno in una Grammar School della stessa località, Forster tornò a Londra, dove si mantenne con traduzioni sue e del figlio, specializzandosi nei racconti di viaggio: tradusse tra l'altro in inglese le relazioni degli allievi di Linneo Kalm, Loefling e Osbeck e il Viaggio intorno al mondo di Bougainville. Inoltre era redattore di una rivista specializzata in letteratura internazionale. Presentando diversi lavori su svariati soggetti alla Società degli Antiquari e alla Royal Society riuscì a farsi una solida reputazione come naturalista; inoltre era in corrispondenza con molti scienziati in Inghilterra e all'estero, incluso Linneo. Nel 1771 pubblicò A Catalogue of the Animals of North America, accreditandosi come zoologo. Lo stesso anno fu ammesso alla Royal Society. Così, quando praticamente da un giorno all'altro Banks e Solander rinunciarono a partire per il secondo viaggio di Cook, Forster sembrò indiscutibilmente il candidato ideale. Tanto più che l'avrebbe accompagnato suo figlio, un disegnatore di talento, "senz'altro molto utile in questa parte della faccenda", come scrisse il lord dell'Ammiragliato, lord Sandwich. Per tagliar corto con la burocrazia, il re autorizzò il pagamento di una discreta somma per l'acquisto delle attrezzature e in dieci giorni i Forster erano pronti a partire. Seconda parte: Nuova Zelanda-Spithead A giugno le due navi ripartono verso nord per esplorare il Pacifico centrale. Il 15 agosto raggiungono Tahiti, che impressiona fortemente Georg, forse influenzando le sue future idee politiche. Johann Reinhold, che è di cattivo umore per essere stato ferito durante una manovra, lamenta che ancora una volta sono arrivati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Dopo una breve sosta, il viaggio riprende attraverso le isole della Società. Qui, all'inizio di settembre, nell'isola di Raiatea, avviene la rottura tra Cook e Forster. Durante un'escursione a terra, vedendo che un indigeno cerca di impadronirsi del moschetto di suo figlio, Forster padre spara e lo ferisce. Un incidente che potrebbe costare molto caro, come ben sa il comandante, che rimprovera aspramente il naturalista; i due si scambiano male parole, finché Cook lo spinge fuori dalla sua cabina con violenza. Tre giorni dopo si rappacificano e si stringono la mano, ma qualcosa si è rotto per sempre. Da quel momento, agli occhi di Forster Cook è l'uomo egoista che non ha alcun interesse per la scienza e pensa solo alla sua gloria personale. Per il comandante, Forster è sempre più una mina vagante che, oltre a rendere irrespirabile l'atmosfera a bordo, può causare devastanti conflitti con gli indigeni. Il viaggio continua. A ottobre vistano alcune isole delle Tonga. Qui non ci sono molte nuove piante, ma in compenso ad attrarre entrambi i Foster sono i costumi degli abitanti delle isole, la loro musica, le loro lingue, che Georg studia e mette a confronto. Quindi tornano a sud; nuovamente una tempesta separa le due navi, che non si congiungeranno mai più. Il 3 novembre la Resolution è di nuovo nel Queen Charlotte Sound. Rispetto alla prima visita, ci sono molte più fioriture. Tra le piante in fiore c'è Phormium tenax (oggi forse la pianta più nota della Nuova Zelanda) e diverse orchidee, tra cui Thelymitra longifolia. In tutto le specie raccolte sono una trentina, ma Johann Reinhold è deluso perché si aspettava di trovare più animali. Dopo tre settimane di attesa, Cook si convince che l'Adventure sia naufragata durante la tempesta e decide di ripartire. In realtà, Furneaux ha raggiunto anch'esso la Nuova Zelanda in un altro punto, ma, avendo perso diversi uomini in seguito a un attacco maori e essendo a corto di provviste, ha deciso di rientrare in Inghilterra. Come l'estate precedente, anche quella del 1773-4 è dedicata all'esplorazione delle regioni antartiche. La Resolution riprende a percorrere e ripercorrere quei mari gelidi. Il 30 gennaio 1774 incontra un immenso campo di ghiaccio; Cook sospetta si estenda fino al Polo. Ci troviamo a 71° 10' di latitudine sud, il punto più meridionale mai toccato da una nave prima di allora. Forster soffre atrocemente di reumatismi, e ancora più lo angustia la sua personale ossessione: "Ci siamo affaticati per diciotto mesi, ma non abbiamo visto nulla che non sia già stato visto prima. Da parte mia credo che le poche piante e i pochi animali che abbiamo potuto incontrare durante le nostre brevi soste sono probabilmente già state osservate da Mr. Banks e dal dr. Solander". E' ora di tornare in acque più calde. La Resolution ora punta a nord e completa il periplo del Pacifico. Dopo quasi cinque mesi passati ininterrottamente in mare, il primo scalo, a marzo, è l'isola di Pasqua. Quindi si fa rotta per le Marchesi, Tahiti e nuovamente Raiatea. Durante il secondo soggiorno a Tahiti, nella speranza di trovare almeno qualche pianta che sia sfuggita a Banks e Solander, Forster padre scala le colline che coronano Matavai Bay accompagnato da un ragazzo del posto; il cammino è insidioso; sotto la pioggia cade e si procura una lussazione che lo farà zoppicare per anni. L'unica consolazione è aver trovato otto piante che molto probabilmente Banks e Solander non hanno mai visto. Cook esplora e cartografa le isole che portano il suo nome. A Niue (che di conseguenza Cook ribattezzerà isola selvaggia), Sparmann e Georg non fanno in tempo a sbarcare che vengono accolti da una sassaiola. Nelle isole Tonga, Cook proibisce ai naturalisti di scendere a terra, suscitando le prevedibili proteste di Forster. A Tanna, nelle Vanuatu, il naturalista mette le mani addosso a un indigeno che secondo lui voleva imbrogliarlo; dopo aver cercato inutilmente di fermarlo, il secondo ufficiale Charles Clerk ordina a una sentinella di sparargli se non la smette. Forster reagisce mettendo mano alla pistola. Tutti e due vanno a protestare da Cook, che sembra non credere né all'uno né all'altro. E' poi la volta di Vatoa, l'unica isola delle Fiji visitata, e delle Nuove Ebridi, sempre con soste ridotte al minimo che rendono furioso Forster: "Il denaro pubblico è andato sprecato e la mia missione, che consiste nel raccogliere nuove piante, di cui queste isole sono piene, è stata resa del tutto inutile. Che senso ha vedere due o tre isole in più? senza conoscere di quell'isola i prodotti, la natura del suolo, la disposizione degli abitanti, tutto ciò che non può essere imparato osservandola dal largo". Mai il contrasto di obiettivi tra marinai-geografi e naturalisti è stato espresso in modo più netto. Eppure le scoperte geografiche sono eccezionali: prima di tornare per la terza volta in Nuova Zelanda, Cook scopre la Nuova Caledonia e l'isola Norfolk. Il 19 ottobre, getta nuovamente l'ancora nel Queen Charlotte Sound. E' di nuovo una sosta di tre settimane, durante la quale Sparrman e i Forster raccolgono qualche pianta, ma senza entusiasmo: lo scalo è sempre quello, non c'è molto di nuovo da scoprire. L'11 novembre si riparte, questa volta per tornare a casa. Tenendosi approssimativamente a 50° di latitudine, la Resolution attraversa il Pacifico in direzione est e il 18 dicembre raggiunge il Sud America. Natale sarà festeggiato nella Terra del Fuoco. Il 21 marzo 1775 sono a Cape Town, dove Sparrman si separa dagli amici e la Resolution viene rimessa in sesto per affrontare l'ultimo tratto. Il 30 luglio 1775, poco più di tre anni dalla partenza, getta l'ancora a Spithead, in Inghilterra. Dal punto di vista geografico e oceanografico, è una delle spedizioni più importanti di tutti i tempi, con buona pace dell'inquieto Forster. Che, tuttavia, può vantare la raccolta di 260 nuove piante e circa 200 nuovi animali; l'erbario conta migliaia di esemplari di 785 diverse specie, di cui 119 della Nuova Zelanda, la zona dove sono state fatte le raccolte più cospicue. Molto notevole è anche la raccolta di oggetti e manufatti etnografici. Dopo il viaggio: altri guai Gli scontri non sono finiti. Forse in base ad accordi orali con l'ammiragliato, Forster è convinto che gli sarà affidata la redazione del resoconto ufficiale della spedizione, un incarico che invece Cook rivendica per sé. Lord Sandwich tenta un compromesso: Cook scriverà la parte relativa alla navigazione e alle scoperte geografiche, Forster quella naturalistica; i ricavi verranno divisi a metà. Sembra funzionare: Forster prepara un capitolo di prova e lo presenta a Sandwich, che, insoddisfatto della forma linguistica, lo restituisce con molte correzioni e propone di affidare la revisione a un curatore madrelingua. Apriti cielo! Forster lo vive come un oltraggio, un tentativo mascherato di censura. Si impunta e non ascolta ragioni, finché lord Sandwich affida la redazione del resoconto al solo Cook. Forster, che sperava anche in un buon riscontro finanziario (come sempre, è pieno di debiti), cerca di batterlo sul tempo. Suo figlio Georg, che non ha alcun impegno formale con l'Ammiragliato, scriverà a tempo di record la sua versione, utilizzando i diari propri e del padre. E così nel marzo 1777 esce A voyage around the World di Georg Forster, anticipando di sei settimane lo scritto di Cook. E' uno sgarbo istituzionale: in Inghilterra molti pensano che il vero autore sia Johann Reinhold. E, oltre tutto, vende pochissimo: per tirare avanti, i Forster sono costretti a vendere parte della collezione etnografica e, quel che è peggio, i disegni di Georg. A aggiudicarseli è Banks, che sta diventando sempre più la bestia nera dei due naturalisti tedeschi. Georg incomincia a lavorare all'edizione tedesca, Reise um die Welt (1778-80), che, al contrario della controversa versione inglese, avrà un'accoglienza trionfale. Con la sua prosa non solo scientificamente accurata, ma anche vivace, coinvolgente, di facile lettura, è considerato un caposaldo della letteratura di viaggio, che ha grandemente influenzato la letteratura tedesca. Particolarmente importante la parte etnografica, che fa di Georg un precursore dell'etnografia e una delle fonti più importanti sulle lingue, le religioni, la musica, i costumi e l'economia dei popoli polinesiani. In Germania, di colpo, i Forster diventano eroi nazionali. Nel gennaio 1777 Georg, che adesso ha ventitré anni, viene ammesso alla Royal Society. Quindi va in Germania, nella speranza di trovare una sistemazione accademica per il padre; la situazione finanziaria di quest'ultimo è infatti sempre più compromessa, tanto che rischia il carcere per debiti. Con sorpresa, Georg scopre che il prestigioso Collegium Carolinum di Kassel preferisce assegnare la cattedra di storia naturale a lui anziché al padre. Allora va a Berlino a perorare la causa paterna; grazie all'interessamento dello stesso Federico II, infine Johann Reinhold viene nominato professore di storia naturale e ricerca mineraria presso la sua alma mater, l'Università di Halle. Il duca di Brunswick si offre graziosamente di estinguere i suoi debiti. Dopo tante inquietudini, la vita di Johann Reinhold sfocia in una tranquilla carriera accademica: insegnerà ad Halle per vent'anni (1779-1798), diventerà un riconosciuto membro dell'establishment universitario, verrà ammesso a molte accademie in giro per l'Europa. Ma non riuscirà a finire o a vedere pubblicate le varie opere che aveva progettato. La più importante, Descriptiones animalium, uscirà solo nel 1844, molti anni dopo la sua morte. La vita di Georg fu più movimentata e più tragica. In corrispondenza con molti intellettuali del tempo, divenne una figura di punta dell'illuminismo tedesco. Insieme a Georg Christoph Lichtenberg, che insegnava a Gottinga, fondò e pubblicò la rivista letteraria Göttingisches Magazin der Wissenschaften und Litteratur. Innamoratosi di Therese Heyne, che sarebbe divenuta una delle prime scrittrici tedesche, nel 1784 per poterla sposare accettò di trasferirsi all'Università di Vilnius, sempre come professore di scienze naturali. L'anno successivo si laureò in medicina a Halle, con una tesi sulle piante del Pacifico meridionale. L'ambiente di Vilnius lo lasciava insoddisfatto, e nel 1787 ruppe il contratto, nella speranza di partecipare a una spedizione russa intorno al mondo, che tuttavia venne annullata. Si trasferì quindi a Magonza come capo bibliotecario dell'Università. Nel frattempo aveva continuato a scrivere di argomenti diversi, anche se la cronica mancanza di denaro l'aveva spesso costretto a privilegiare brevi lavori occasionali e traduzioni. Tra gli allievi di suo suocero Christian Gottlob Heyne a Gottinga c'era anche il ventenne Alexander von Humboldt che ammirava molto Reise um die Welt (anni dopo confesserà che fu proprio questa lettura a fargli scoprire la sua vocazione di naturalista-viaggiatore); il giovane strinse amicizia con Forster e nel 1790 i due viaggiarono insieme in Renania, quindi visitarono Bruxelles, L'Aia, Amsterdam, Londra, Parigi. Forster raccontò questo viaggio in Vedute del Basso Reno, Brabante e Fiandre, in tre volumi, un libro che impressionò grandemente lo stesso Goethe. Di notevole importanza la parte dedicata alla storia dell'arte, con la prima riscoperta dello stile gotico. A Parigi Forster poté seguire le vicende iniziali della rivoluzione francese, cui guardava con entusiasmo. Nel 1792, quando le truppe francesi occuparono Magonza, si unì al locale Club giacobino e partecipò attivamente alla fondazione della Repubblica di Magonza; divenne vice-presidente dell'amministrazione provvisoria, deputato alla Convenzione nazionale tedesca e redattore del Nuovo giornale di Magonza o L'amico del popolo, che anche nel titolo si ispirava alla omonima rivista di Marat. Cosciente che la neonata repubblica non sarebbe stata in grado di reggersi senza il sostegno francese, il 23 marzo 1793 la Convenzione decise di inviare a Parigi tre delegati (Georg Forster, Adam Lux e Potocki) per chiedere l'adesione alla Francia. Tuttavia poco dopo le truppe prussiane invasero la repubblica e presero Magonza dopo un lungo assedio; Forster fu proscritto come traditore della patria. Costretto a rimanere a Parigi, assisté al Terrore. Tra le vittime anche il suo collega Adam Lux, ghigliottinato per aver scritto un'apologia di Carlotta Corday. In miseria e sempre più malato, Georg Forster morì di polmonite nel gennaio 1794, prima di compiere quarant'anni. Una sintesi della vita dei due Forster nella sezione biografie. Le idee politiche condannarono Georg Forster all'ostracismo postumo. Il suo ricordo fu recuperato dalla Repubblica democratica tedesca, ma la sua importanza per la cultura tedesca ed europea ha incominciato ad essere pienamente riconosciuta solo negli anni '70 del Novecento. Come padre fondatore dell'etnologia tedesca, la Fondazione Humboldt gli ha intitolato un premio e una borsa di studio. Minuscoli endemismi delle isole Nel 1776, Johann Reinhold Forster inviò a Linneo, di cui era grande ammiratore, dieci nuove piante raccolte durante la spedizione, con le relative descrizioni e i nomi binomiali, perché le validasse e le pubblicasse. Le descrizioni erano state redatte presumibilmente da Sparrman, ma il testo era stato organizzato da Georg e rivisto da Johann Reinhold. Linneo fece in tempo a preparare il manoscritto di Decas plantarum, ma non a pubblicarlo, a causa della malattia che lo portò alla morte. A provvedere alla pubblicazione fu nel 1780 suo figlio Carl junior. A causa di questa intricata vicenda, la paternità del genere Forstera in passato è stata attribuita a Linneo figlio, mentre oggi viene riconosciuta a Georg Forster attraverso Linneo padre. Tra quelle dieci piante c'è anche il dono d'amicizia di Sparrman; Georg, sempre devoto al padre, volle che l'omaggio fosse esteso anche a lui, sebbene questa tenera pianticella sembri più adatta a lui com'era nei suoi vent'anni che all'ipocondriaco e rancoroso Johann Reinhold. Il genere Forstera, della famiglia Stylidiaceae, comprende sette specie di erbacee perenni, sei endemiche della Nuova Zelanda e una della Tasmania; sono piante alpine o subalpine che crescono in terreni sciolti ma con umidità costante. Le specie della Nuova Zelanda hanno portamento decombente, con steli più o meno ramificati che tendono a formare densi tappeti, strisciando a livello del terreno, con foglie rivolte verso l'alto agli apici e spesso si addensano e si sovrappongono; nelle zone esposte tuttavia gli steli sono eretti e molto più brevi, non più lunghi di 2 cm. L'unica specie tasmana, F. bellidifolia, ha invece foglie basali raccolte a rosetta e steli eretti. I fiori, generalmente solitari, talvolta in gruppi di due-tre, sono portati all'apice di lunghi e sottili scapi che emergono al di sopra del fogliame; a forma di coppa, con breve tubo e sei petali, sono per lo più bianchi, talvolta con gola rosata, rossa o arancio. Un elenco delle specie e qualche approfondimento nella scheda. I maggiori risultati della spedizione "nuziale" in Brasile non furono raggiunti dagli scienziati austriaci (con l'eccezione del ribelle Natterer, che disobbedì agli ordini e rimase nel paese sudamericano quasi vent'anni), ma dai naturalisti bavaresi Spix e Martius. La loro fu una delle più fortunate e celebri spedizioni dell'epoca, seconda solo a quella di Bompland e Humboldt. Non solo i due amici ritornarono in patria con straordinarie collezioni, ma i loro studi successivi diedero un contributo eccezionale alla conoscenza della fauna e della flora del Sud America. Martius divenne uno dei botanici più importanti della sua generazione; la sua squisita Storia naturale delle palme è stata definita "la più superba trattazione delle palme che sia mai stata prodotta" e gli ha guadagnato il soprannome "padre delle palme". Quanto all'immensa Flora Brasiliensis, di cui fu il primo curatore e che coinvolse oltre sessanta botanici di diversi paesi, ancora oggi è il testo di riferimento per la flora brasiliana ed una delle opere più importanti della storia della botanica. I colleghi gli dedicarono molti generi, creando un nodo gordiano di sinonimi e omonimi che è stato risolto solo nel Novecento con la creazione del genere Martiodendron. Un viaggio epico Verso la fine del 1816, il re di Baviera Massimiliano I Giuseppe fu invitato a un matrimonio: le nozze per procura dell'arciduchessa Maria Leopoldina d'Austria con l'erede al trono del Portogallo. A Vienna seppe che si stava preparando una grande spedizione scientifica che avrebbe accompagnato la principessa in Brasile. Il sovrano bavarese era di idee progressiste (era stato il principale alleato di Napoleone in Germania) ed era un grande ammiratore di Humboldt. Già da tempo pensava a una spedizione in Sud America che, partita da Buenos Aires, avrebbe dovuto dirigersi in Cile e in Perù, per poi rientrare in Europa imbarcandosi in Venezuela o in Messico. La situazione politica e difficoltà finanziarie lo avevano costretto a desistere. Ora si presentava l'occasione di riprendere quel progetto su nuove basi, aderendo all'iniziativa austriaca. Fu così che sull'Austria, salpata da Trieste il 10 aprile 1817, si imbarcarono anche due scienziati bavaresi, lo zoologo Johann Baptist Spix e il botanico Carl Friedrich Philipp Martius. Al momento della partenza, Spix aveva 35 anni ed era già uno studioso riconosciuto, allievo di Cuvier a Parigi e curatore delle collezioni zoologiche dell'Accademia delle scienze di Monaco di Baviera. Martius, che avrebbe compiuto 23 anni pochi giorni dopo la partenza da Trieste, era assistente all'orto botanico monacense. I due si erano conosciuti a Erlangen, la città natale di Martius, quando questi era uno studente diciottenne. Figlio del farmacista di corte, era stato introdotto alla botanica da un amico del padre, Johann von Schreber, uno degli ultimi allievi di Linneo. Dopo la morte di Schreber, la famiglia propose l'acquisto delle sue collezioni naturalistiche al re di Baviera; nel 1812, per condurre la trattativa venne inviata a Erlanger una commissione formata dal botanico ed entomologo Franz Paula von Schrank e da Spix. Entrambi furono colpiti dal giovane Martius, un brillante ragazzo prodigio, e ne raccomandarono l'ammissione come allievo all'Accademia delle Scienze di Monaco. Martius si trasferì nella capitale, dove nel 1814 si laureò in medicina e chirurgia e divenne assistente di Schrank all'orto botanico. Poco prima di partire per il Brasile pubblicò il suo primo lavoro scientifico, una monografia sulle crittogame dell'area di Erlangen. Il gruppo di Spix e Martius, insieme al professor Mikan, fu il primo a giungere in Brasile, nel luglio 1817. Nell'attesa dell'arrivo del resto della spedizione, i naturalisti incominciarono a prendere confidenza con la natura tropicale e incontrarono diversi membri della comunità tedesca di Rio, primo fra tutti il barone Langsdorff, la cui casa ai piedi delle colline alla periferia della città si trasformò nel loro quartier generale. Subito dopo aver assistito alle nozze di Leopoldina e don Pedro, Martius e Spix iniziarono le raccolte nelle immediate vicinanze della capitale, quindi trascorsero qualche giorno a Mandioca, la tenuta di Langsdorff a nord della baia di Guanabara; a novembre tornarono a Rio, dove appresero che il governo austriaco aveva deciso di dividere la spedizione in piccoli gruppi; da Monaco arrivò l'ordine di non protrarre il soggiorno in Brasile oltre due anni. L'otto dicembre, accompagnati dal pittore Thomas Ender, dal direttore delle miniere del Brasile Wilhelm von Eschwege e da un certo Dürming, console tedesco ad Anversa, i due bavaresi lasciarono Rio alla volta di Sao Paulo, dove arrivarono l'ultimo giorno dell'anno. Nel primi mesi del 1818 il gruppo esplorò il sud dello stato di Bahia, poi si spostò verso nordest per raggiungere la zona mineraria; a maggio, Ender, in seguito a una caduta da cavallo, si fratturò una gamba e fu costretto a rientrare a Rio in compagnia di Dürming. Il trio Martius, Spix e Eschwege continuò per Diamantina, Minas Novas e Montes Claros. Secondo gli accordi con gli austriaci, a questo punto avrebbero dovuto tornare a Rio, ma i due bavaresi decisero di continuare da soli. Salutato Eschwege, penetrarono nell'interno in direzione nord-nordovest fino a Carinhanha, punto di partenza per un ampio giro della Serra Geral, una delle catene costiere della Mata Atlantica; tornati a Carinhanha, raggiunsero la costa a el Salvador, dove si trovavano alla fine dell'anno. A febbraio 1819 ripartirono verso nord, percorrendo la parte settentrionale degli Stati di Bahia, Pernambuco e Piaui; l'attraversamento di questa zona estremamente arida fu uno dei momenti più duri dell'intero viaggio. All'inizio di maggio, a São Gonçalo do Amarante, nello stato di Cearà, Martius si ammalò gravemente. Una settimana dopo, Spix, che aveva contratto la bilharziosi, rischiò di morire. Appena si furono ripresi, si spostarono nel Maranhão e navigando lungo il Rio Itapicuru raggiunsero São Luis, la prima vera città che vedevano da mesi. Qui poterono spedire le collezioni a Rio, riscuotere le lettere di credito e mettere insieme i rifornimenti per la parte più eccitante dell'impresa: l'esplorazione del bacino del Rio delle Amazzoni. Il 20 luglio si imbarcarono per Belem. Dopo qualche giorno dedicato ad esplorare i dintorni della città e l'isola di Marajó, il 21 agosto erano pronti a ripartire. Viaggiando parte a dorso di mulo, parte in canoa, raggiunsero un ramo del Rio delle Amazzoni a Gurupà. Risalirono poi il fiume toccando Porto de Moz e Santarém e il 22 novembre erano a Manaus, alla confluenza con il Rio Negro. Navigarono poi lungo il Rio Solimões fino a Tefé, dove decisero di separarsi. Spix risalì il corso del Solimões fino a Tabatinga e rientrò a Manaus nel febbraio 1820, mentre Martius esplorava il Rio Japorà e a marzo si riuniva all'amico. Qualche giorno prima, la sua canoa si era rovesciata e aveva rischiato di morire annegato. Ad aprile i due ardimentosi naturalisti erano di nuovo a Belem e a giugno si imbarcarono per l'Europa con le casse delle raccolte e una coppia di ragazzi indios; il 23 agosto erano a Lisbona e prima di Natale a casa, a Monaco. Avevano percorso oltre 10.000 km, a piedi, a cavallo, a dorso di mulo, in canoa e raccolto oltre 3500 di esemplari di animali, da 25 a 30000 esemplari d'erbario ripartiti su oltre 7300 specie. La loro collezione mineralogica andò a costituire le basi della Mineralogische Staatssammlung di Monaco, così come le collezioni etnografiche quelle del Museum für Völkerkunde, oggi "Museo dei cinque continenti". Due opere monumentali I due naturalisti furono ricevuti con grande onore dal re di Baviera. Entrambi furono nobilitati e ricevettero une pensione vitalizia. Nel 1826 Martius divenne professore di botanica all'Università di Monaco e dal 1832 direttore dell'Orto botanico. Intanto, i due amici lavoravano alacremente alla pubblicazione delle loro raccolte. A quattro mani scrissero il resoconto del loro viaggio, Reise in Brasilien, in tre volumi (1823, 1828, 1831). Spix morì mentre stavano preparando il secondo, ma Martius poté completare l'opera utilizzando le note proprie e del compagno. Morto a soli 45 anni nel 1826, Spix aveva fatto in tempo a scrivere quattro monografie, dedicate rispettivamente alle scimmie e ai pipistrelli, alle testuggini e agli anfibi, agli uccelli e ai serpenti raccolti durante la spedizione. Complessivamente descrisse da 500 a 600 specie, dando il nome a numerose specie nuove; alcune portano il suo nome, come la rarissima ara di Spix Cyanopsitta spixii che gli fu dedicata dallo zoologo Wagler. Gli furono dedicati anche due generi botanici Spixia (da Leandro e da Schrank) ma nessuno dei due è oggi valido. Diversamente dal compagno di viaggio, Martius ebbe lunga vita e poté diventare uno dei più eminenti botanici della sua generazione, autore di opere che superano in importanza persino la sua prodigiosa attività di raccoglitore. Oltre al resoconto del viaggio, pubblicò saggi sull'economia, la medicina, la cultura degli indigeni del Brasile, scrisse un romanzo rimasto inedito e, ovviamente, una lunga serie di articoli e monografie sulle piante raccolte durante la spedizione. Esordì nel 1823 con Genera et species palmarum quas in itinere per Brasiliam [...] collegit [...] C.F.P. Martius: le palme, esplorando il bacino del Rio dell'Amazzoni, la regione del globo più ricca di Arecaceae, erano diventate le sue piante preferite; seguì Nova genera et species plantarum, quas in itinere per Brasiliam [...] collegit C.F.P. Martius, in tre volumi (1824–1832); nel 1827 uscì un'opera dedicata al primo amore di Martius, le crittogame, Icones selectae plantarum cryptogamicarum. Ma intanto l'attivissimo botanico stava lavorando al suo capolavoro, Historia naturalis palmarum, in tre spettacolari volumi in folio pubblicati a Lipsia tra il 1823 e il 1850. E' un'opera monumentale con più di 550 pagine di testo e 240 cromolitografie, una tecnica all'epoca appena agli esordi; molti dei disegni del secondo volume si devono allo stesso Martius. Nel primo volume il botanico getta le basi della prima classificazione sistematica delle palme e fornisce una mappa della distribuzione geografica della famiglia; nel secondo descrive le palme del Brasile; nel terzo, intitolato Expositio Systematica, descrive tutte le specie allora note, basandosi sia sulle proprie raccolte sia su tutto ciò che era stato scritto da altri botanici. Questa pietra miliare dello studio delle palme ha guadagnato a Martius il soprannome di "padre delle palme" e ha fatto dire a Humboldt: "Finché le palme saranno apprezzate e conosciute, il nome di Martius sarà famoso". L'opera suscitò anche l'ammirazione di Goethe, che probabilmente ne fu influenzato nelle sue ricerche sulle metamorfosi delle piante; del resto, l'ammirazione era reciproca: lo stesso Martius durante il viaggio in Brasile scriveva poesie, inviò diversi esemplari brasiliani al poeta e si recò a fargli visita a Weimar. Ancora più grandiosa l'impresa cui Martius si accinse a partire dal 1839: la pubblicazione di una flora complessiva del Brasile. Per realizzarla, chiamò a raccolta i più importanti botanici europei. Si tratta infatti di un'opera collettiva, che andò molto oltre la vita del suo promotore, impegnando tre generazioni di studiosi e 65 collaboratori. E' considerata una delle opere botaniche più importanti di tutti i tempi ed è ancora oggi il testo di riferimento per la flora del Brasile; fino al 2004, quando uscì Flora Rupublicae popularis Sinicae, rimase la più ampia flora mai pubblicata. La gigantesca opera fu finanziata dall'imperatore d'Austria Ferdinando I, dal re di Baviera Ludovico I e dall'imperatore del Brasile Pietro II; inizialmente fu diretta da Martius e Endlicher, che però morì già nel 1849. Martius ne rimase il solo curatore fino alla morte (1868) e curò la pubblicazione di 46 fascicoli su 130; alla sua morte gli succedettero prima August Wilhelm Eichler quindi Ignatz Urban. Completata nel 1906, Flora Brasiliensis comprende più di 20.000 pagine con la trattazione di 22.767 specie, per lo più angiosperme, non solo brasiliane, ma anche dei paesi limitrofi (Venezuela, Ecuador e Perù). Quasi 6000 all'epoca erano nuove per la scienza. Il testo è arricchito da disegni, incisioni e acquarelli di artisti come Thomas Ender, Benjamin Mary e Johan Jacob Steinmann e dalle fotografie di George Leuzinger, che ne fanno una vera opera d'arte. Membro di innumerevoli società scientifiche, Martius divenne anche una figura piuttosto nota dell'ambiente culturale monacense. Era in contatto con scienziati di tutto il mondo, che ospitava volentieri a casa sua. Ogni anno, in occasione del compleanno di Linneo (il 23 maggio) vi organizzava un festival in onore del principe dei botanici, con discorsi, poesie e canzoni. Tra i suoi lasciti, non possiamo dimenticare l'erbario. Già prima che partisse per il Brasile era ragguardevole; l'avventura brasiliana gli fruttò circa 12.000 esemplari. Anche se dopo il ritorno a Monaco non viaggiò più, continuò ad arricchire l'erbario grazie ad acquisti, invii di altri botanici e scambi. Alla sua morte, con circa 300.000 esemplari e 65.000 specie, era uno degli erbari privati più importanti del mondo. Acquistato dal Belgio, è oggi custodito nell'Orto botanico di Bruxelles ed è oggetto di un importante progetto di digitalizzazione, The Martius Project. Martius riposa nel cimitero di Monaco di Baviera. Sulla sua tomba una lastra con due palme e l'epigrafe latina In palmis semper virens resurgo, "Tra le palme risorgo sempreverde". Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Martiodendron, un'esplosione di fiori d'oro Molti colleghi dedicarono a Martius un genere botanico; si contano non meno di sei Martia, due Martiusia, cui vanno aggiunti Martiusella e Suitramia (dallo pseudonimo Suitram che Martius usava con gli amici e in alcuni documenti). Si venne così a creare un intrico di omonimi e sinonimi e si generò una confusione che rischiava di privare il grande botanico del giusto riconoscimento; per rimediare a tanta ingiustizia nel 1935 lo statunitense H.A. Gleason rinominò Maritiodendron un genere di Fabaceae sudamericane che nel 1818 Bentham aveva battezzato Martia e nel 1840 aveva rinominato Martiusia. Martiodendron riunisce cinque specie di alberi presenti in vari habitat del Sud America atlantico : dalla foresta pluviale alle foreste stagionalmente inondate alla savana; molto opportunamente, tra le zone di diffusione (Guyane, Venezuela meridionale, Brasile amazzonico, nord-est brasiliano) ci sono anche le due principali aree visitate da Martius, il bacino del Rio delle Amazzoni e gli Stati brasiliani di Bahia, Piauí, Maranhão. Sono alberi da medi a grandi la cui chioma svetta nello strato superiore della foresta, con robusti tronchi che in alcune specie si allargano in contrafforti; hanno foglie imparipennate con foglioline da ovate a ellittiche, da coriacee a membranacee. A farsi notare sono soprattutto le infiorescenze panicolate, fitte di fiori giallo oro con cinque petali imbricati alla base, corolla lievemente zigomorfa e lunghi stami. Le due specie più diffuse sono le amazzoniche M. parvifolium e M. elatum; si dice che la fioritura di quest'ultimo lungo le rive del fiume Tapajós, nello stato di Pará, all'inizio della stagione delle piogge, offra uno spettacolo senza uguali. Se Martius lo vide in tanta gloria, sicuramente sarà contento di questa complicata, ma più che meritata dedica. Qualche informazione in più nella scheda. Le testimonianze d’epoca descrivono il protagonista della nostra storia, il barone austro-tedesco Ludwig von Welden, come un militare tutto d’un pezzo, integerrimo e poco incline ai compromessi. Era un uomo d'ordine, fedele cane da guardia della Restaurazione, che nella sua carriera sembra essersi specializzato nella repressione dei moti liberali, da quello piemontese del ’21 alle rivoluzioni del ’48, fino agli anni in cui governò Vienna con il pugno di ferro. Eppure era anche un uomo di profonda cultura, un conversatore affabile, uno scrittore prolifico dalla penna facile e dallo sguardo indagatore, un alpinista appassionato, innamorato delle montagne e dei loro fiori. Tra gli episodi più sorprendenti della sua vita di repressore duro e puro, una romantica storia d'amore con una patriota italiana. Come botanico, fu qualcosa di più di un dilettante, in corrispondenza con importanti studiosi europei; a questo amante della flora alpina è giustamente dedicata una specie montana, non figlia delle Alpi ma dei vulcani del Centro America: Weldenia candida. Tra repressione, montagne, fiori e amori improbabili Il 25 agosto 1825, giorno in cui si festeggia san Luigi, un gruppo di alpinisti capeggiato dal colonnello tedesco Ludwig von Welden raggiunge per la prima volta una delle cime minori del gruppo del Rosa, a quota 4342 metri sul livello del mare. In onore del santo del giorno (ma un po’ anche di se stesso) Welden la battezza Ludwigshöhe, “corno (o cima) di Ludovico”. È solo una delle otto vette del massiccio cui dà il nome nella monografia Il Monte Rosa. Schizzo topografico e naturalistico, pubblicata a proprie spese a Vienna nel 1824. Una di esse è Parrot Spitze, la punta di Parrot, che abbiamo già incontrato parlando dello scalatore dell’Ararat. Come Parrot, anche Welden era un appassionato alpinista. Nato nel Ducato del Württemberg, fin da giovanissimo partecipò alle guerre contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica, a partire dal 1802 nell’esercito austriaco, aggregato allo stato maggiore e al servizio topografico, distinguendosi per il coraggio e lo spirito d’iniziativa; nelle fasi finali del conflitto servì proprio nel settore alpino, anche con funzioni di spionaggio. Nel 1815 fu inviato in Svizzera a osservare i movimenti delle truppe francesi in ritirata e gli furono affidate la ricognizione topografica delle ardue montagne del Giura e l’occupazione di alcuni valichi. Nel 1816 fu promosso colonnello e capo dell’ufficio topografico. Nel corso della carriera militare, oltre che dei panorami delle Alpi si era appassionato anche della loro flora. Ad iniziarlo alla botanica, quando era capitano di stato maggiore a Salisburgo, fu Franz Anton Braune; a Vienna, completò poi la sua formazione alla scuola di Jacquin. Nel marzo 1821, allo scoppio dei moti in Piemonte, fu nominato capo di stato maggiore dei reparti inviati a reprimere l’insurrezione. Fu così che in un salotto torinese incontrò un’affascinante nobildonna lombarda, Teresa Sopransa. Vedova da un ufficiale napoleonico, il conte Ignazio Agazzini, essa faceva la spola tra Milano e Torino per seguire i tre figli, che studiavano in un collegio militare della capitale sabauda. O per lo meno, questa era la copertura. In realtà, all’insaputa del colonnello austriaco, Teresa era una “giardiniera”, ovvero un membro della Carboneria, intima di Federico Confalonieri, e il suo ruolo era proprio assicurare i collegamenti tra i carbonari lombardi e quelli piemontesi. Nonostante dal punto di vista politico militassero in campo opposto, tra i due si accese una scintilla e la contessa invitò Welden a farle visita nella sua villa di Ameno, sul lago d’Orta. Il colonnello raccolse l’invito qualche mese dopo, nel giugno 1821; e nella bella villa di Ameno, oltre che della affascinante contessa, si innamorò del Monte Rosa, di cui poteva godere la splendida vista panoramica. Intanto la rete della polizia si stringeva attorno ai carbonari milanesi; nel dicembre 1821 Federico Confalonieri fu arrestato; nella sua corrispondenza si trovarono diverse lettere di Teresa, compromessa anche dalla confessione dello stesso Confaloneri. La contessa fu arrestata e interrogata; fu molto più ferma dell’amico nel respingere ogni accusa, giustificando quelle lettere con una relazione intima. Dopo poche domande, venne rilasciata, probabilmente proprio grazie all’intervento di Welden. La storia d’amore tra il colonnello austriaco e la “giardiniera lombarda” continuò e i due improbabili innamorati nel 1829 si sposarono a Trieste. Purtroppo, fu un legame di breve durata, perché Teresa morì appena due anni dopo. La passione di Welden per la montagna e i suoi fiori lo accompagnò invece per tutta la vita. Incaricato di dirigere una ricognizione topografica del tratto alpino compreso tra il Monte Bianco e il Monte Rosa, nel 1822 si stabilì a Macugnaga, raccogliendo anche informazioni etnografiche, zoologiche e botaniche, che pubblicò nella già citata monografia sul Monte Rosa, che include una rassegna della flora del massiccio. Nel 1824 visitò Napoli e la Sicilia, entrando in contatto con Tenore, con il quale scambiò esemplari botanici; lo stesso anno, finanziò la pubblicazione sulle piante dalmate raccolte da Portenschlag, Enumeratio plantarum in Dalmatia lectarum. L’anno successivo intraprese una spedizione botanica nelle Alpi attraverso Stiria, Tirolo e Svizzera. Nel 1828 venne trasferito in Dalmazia come aiutante generale; con una flora ricca di endemismi ancora relativamente poco conosciuta, la regione suscitò l’entusiasmo di Welden, che la percorse in molte escursioni, riferite in diversi contributi sulla rivista Flora oder Botanische Zeitung di Regensburg. Come governatore militare di Zara, intorno alla cittadella fece costruire un parco aperto non solo ai militari, ma anche ai civili, il primo parco pubblico del paese (ancora esistente, oggi si chiama Parco Regina Elena Madijevka). Nei tre anni in cui sostenne questo incaricò, estese l'esplorazione anche ad altre zone della penisola balcanica, comprese l’Albania e il Montenegro. Tra il 1832 e il 1838 fu delegato alla commissione militare centrale della Confederazione germanica a Francoforte; continuò a collaborare con la società botanica di Regensburg e con Reichenbach, cui inviò diversi contributi per la sua Flora germanica. Nel 1838, promosso maresciallo di campo, venne nominato comandante della divisione di Graz, e ne approfittò per creare un giardino di gusto romantico con sentieri serpeggianti e piante esotiche lungo le pendici del Monte del Castello (Grazer Schloßberg). Nel 1843, con il grado di generale, divenne governatore del Tirolo; come tale, nel 1848 assicurò i collegamenti tra il generale Radetzky e l’Austria, quindi partecipò a diverse azioni militari in Italia, tra cui il blocco di Venezia e la repressione delle città emiliane insorte. La sua azione decisa e spietata gli guadagnò la stima dell'Imperatore, che in quell’anno difficile lo inviò a controllare l'ordine pubblico prima in Dalmazia, poi a Vienna, quindi in Ungheria, dove si dimostrò tanto inflessibile e più realista del re da essere rimosso dopo pochi mesi. Tornato a Vienna come governatore della città, ripristinò l’ordine con il pugno di ferro, facendo internare migliaia di cittadini e imponendo un pervasivo regime poliziesco, basato sullo spionaggio e la delazione. In cambio, fu promosso Feldzeugmeister, il secondo più alto grado dell’esercito austriaco. Al contrario dei cittadini di Zara e Graz, che gli erano grati per i giardini che aveva fatto costruire per loro, quelli di Vienna, ovviamente, lo odiarono profondamente, a quanto pare ricambiati. Così nel 1851, quando, per ragioni di salute, Welden diede le dimissioni, decise di tornare a Graz, dove morì due anni dopo. Qui, per se stesso, aveva creato un giardino alpino in cui ogni pianta era coltivata nelle condizioni ottimali, che egli aveva studiato dal vivo nei suoi viaggi. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Weldenia candida, figlia dei vulcani Come esploratore della flora delle Alpi e della penisola balcanica, Welden segnalò alcune entità ancora sconosciute; tra i nomi di cui ha la paternità, l’unico oggi ancora valido è Anthyllis aurea Welden ex Holst, una bella Fabacea a cuscinetto diffusa in ampia parte della penisola balcanica. Lo ricordano nell’epiteto Plantago weldenii Rchb., la piantaggine di Welden, un’erbacea di diffusione euro-mediterranea; il bellissimo Crocus weldenii Hoppe & Fürnr., lo zafferano di Welden, una specie illirica distribuita dai confini albanesi del Montenegro al Carso triestino e goriziano; Primula x weldeniana (A.Kern.) Dalla Torre & Sarnth., un ibrido naturale tra P. hirsuta e P. spectabilis, raro endemismo delle Alpi meridionali; Centaurea jacea subsp. weldeniana (Rchb.) Greuter, il fiordaliso di Welden, anch’esso un’entità illirica, presente in alcune stazioni delle nostre Alpi orientali. Ma a Welden è stato dedicato anche un genere, che ci porta molto lontano dalle Alpi o dalla penisola balcanica. Il primo esemplare fu raccolto nel cono vulcanico del messicano Nevado de Toluca verso la fine degli anni ’20 dell’Ottocento da Karwinsy e nel 1829 Julius Schultes - figlio di uno dei botanici viennesi amici di Welden - lo denominò Weldenia candida, pubblicandone la descrizione proprio in Flora oder Botanische Zeitung di Regensburg. È l’unica rappresentante di questo genere monotipico della famiglia Commelinaceae, che vive sulle pareti e i crateri dei vulcani di Messico e Guatemala, tra 2400 e 4000 metri. Nel 1893 alcuni esemplari raccolti nel Vulcano de Agua in Guatemala furono introdotti a Kew, dove questa deliziosa piccola specie è ancora coltivata nel giardino roccioso e nel giardino boschivo, dove fiorisce a fine primavera. Ha radici carnose, foglie lineari lanceolate, e cime compatte di fiori candidi con una lunga corolla tubolare trilobata, che ricordano singolarmente un croco. Ciascun fiore dura solo un giorno, ma nelle piante accestite molti fiori vengono prodotti in successione nell’arco di varie settimane. Qualche approfondimento nella scheda. I secoli centrali del Medioevo tendono alle imprese gigantesche: si costruiscono cattedrali che toccano il cielo, Dante osa un poema che percorre i tre regni ultraterreni, il domenicano Vincenzo di Beauvais in Speculum majus sintetizza in oltre ottanta volumi tutto lo scibile. Non da meno il confratello Alberto di Bollstädt, più noto con il soprannome Alberto Magno, ovvero Alberto il Grande, che espose per i suoi allievi l'intero corpus aristotelico, spaziando dalla teologia, alla morale, alla logica, alla psicologia, ai diversi settori delle scienze naturali. A differenza di Vincenzo, egli non fu solo un compilatore, ma un pensatore originale, che seppe riunire la più stringente logica aristotelica all'esperienza diretta. E' sua l'unica opera di botanica generale nei diciotto secoli che separano Teofrasto dal Rinascimento, De vegetabilibus et plantis, in cui, tra l'altro, fu il primo a distinguere monocotiledoni e dicotiledoni. Lo storico della botanica Ernest Meyer, curatore della prima edizione critica di questa opera, volle celebrarlo con la dedica della bellissima Alberta magna. Il dottore universale Maestro di san Tommaso, insieme al quale Dante lo fa comparire tra gli spiriti sapienti del cielo del Sole, il domenicano Alberto di Bollstädt, più noto come Alberto Magno, ovvero Alberto il Grande, fu uno dei più grandi pensatori dell'età medievale, un filosofo, un teologo e uno studioso di tale sapienza da essersi guadagnato il soprannome di "dottore universale". Gli sono ascritte almeno venti opere (più altrettante spurie) che spaziano dalla teologia, alla logica, alla metafisica, all’etica, alla politica, alla psicologia, alla astronomia, alla musica, alla mineralogia, alla zoologia e alla botanica. In questo campo, fu anzi l'unico, nel lunghissimo periodo che separa Teofrasto dal Rinascimento, ad aver studiato le piante di per sé, e non per i loro usi pratici, Intorno al 1250, l’ordine domenicano lo incaricò di dirigere lo Studio generale di Colonia, destinato alla formazione dei membri tedeschi dell’ordine. Per “rendere intellegibile” ai suoi allievi la filosofia aristotelica appena riscoperta, Alberto decise di esporla in una serie di commenti, in forma di parafrasi accompagnate da approfondimenti e digressioni. In tal modo, sulla scorta delle opere di Aristotele (vere o presunte), venne a comporre una vera e propria enciclopedia universale, in cui le scienze naturali occupano uno spazio non secondario. Anche se non conosciamo con precisione le date di redazione delle singole opere, è probabile che dopo aver redatto il commento a De anima, in cui si distinguono tre tipi di anima (vegetativa, sensitiva, razionale), Alberto abbia lavorato contemporaneamente al commento delle opere del corpus aristotelico sulle piante (dotate di anima vegetativa) e sugli animali (dotati di anima vegetativa e sensitiva). Per questi ultimi, nel suo De animalibus egli si rifece a tre opere del filosofo greco: Historia animalium, De partibus animalium, De generatione animalium, tradotte all'arabo intorno al 1220 da Michele Scoto e riunite appunto sotto il titolo De animalibus. Il testo di riferimento di De vegetabilibus et plantis è invece lo pseudo aristotelico De plantis, che nel Medioevo veniva attribuito a Aristotele, ma in realtà si deve probabilmente a Nicola Damasceno, storico e filosofo vissuto all’epoca di Augusto. Per arrivare fino al nostro studioso domenicano, queste opere avevano compiuto una strada lunga e tortuosa. A partire dal VI secolo d.C., diversi libri del corpus aristotelico vennero tradotti dal greco in siriaco; nel corso del Medioevo, gli studiosi arabi a loro volta li tradussero in arabo; in questa veste, non molti anni prima della nascita di Alberto approdarono in Europa dove furono tradotti in latino. Di questo gruppo fa parte anche il breve trattato di Nicola sulle piante, tradotto il latino da Alfredo di Sarhesel (Alfredus Anglicus) intorno al 1200. Si trattava di un'operina esile, e certamente insoddisfacente. Alberto ne fece il punto di partenza per una trattazione ben più articolata, arricchita da informazioni ricavate da altre fonti, in particolare il Canone di Medicina di Avicenna e la Practica del medico salernitano Matteo Plateario per le piante officinali, e l’Opus agricolturae di Palladio per l’agricoltura, dall'interrogazione di erboristi e agronomi, ma soprattutto delle osservazioni e dalle indagini dello stesso Alberto, convinto che “in queste questioni la migliore maestra è l’esperienza”. Logica aristotelica e conoscenza sperimentale De vegetabilibus et plantis comprende sette libri, a loro volta divisi in trattati suddivisi in più capitoli. Il primo libro ha funzione di introduzione. Nel primo trattato, Alberto spiega perché, dopo aver studiato l’anima, è bene dedicarsi ai vegetali, esseri viventi dotati di anima vegetativa. Seguono puoi varie riflessioni (sono le prime “digressioni”) sulla vita delle piante, le loro percezioni sensoriali, le loro manifestazioni. Alberto conclude che quella dei vegetali è una vita nascosta (vita occulta): non possiamo studiare direttamente l’anima delle piante, che lavora in modo inavvertito, mentre si manifesta materialmente nel corpo delle piante e nelle funzioni di nutrizione, crescita e propagazione. Nel secondo trattato, Alberto commenta il primo libro dello pseudo aristotelico De plantis, in una parafrasi che funge quasi da sommario degli argomenti che svilupperà in modo originale nel secondo libro (le parti delle piante, il confronto degli organi dei vegetali con quelli degli animali, la classificazione); segue un’analisi delle differenze tra piante coltivate e piante selvatiche, in termini di collocazione, alimentazione, varietà di frutti, profumo, gusto, propagazione. Il cuore dell’opera di Alberto, la parte più originale e interessante ai nostri occhi, è il secondo libro, anch’esso articolato in due trattati, l’unica “botanica generale” dai tempi di Teofrasto, in cui la logica aristotelica si unisce all’esperienza diretta per studiare le piante nella loro essenza (per principium vitae occultae, “secondo l’essenza della loro vita nascosta”) e nella loro manifestazione materiale. Come già in Aristotele e Teofrasto, le piante sono classificate in alberi, arbusti, suffrutici (olus), erbe e funghi, una categoria introdotta per la prima volta dallo stesso Alberto. Comunque il sapiente domenicano si affretta ad osservare che questa divisione è illogica, perché nel corso del suo sviluppo una pianta può passare da una forma all’altra (come le rose, tra le piante da lui più attentamente studiate, che possono presentarsi come arbusti ma anche veri e propri alberi). Egli passa quindi ad esaminare le singole parti, o organi, delle piante, divisi in tre categorie: organi integrali essenziali (partes integrales essentiales); organi accidentali essenziali (partes accidentales essentiales); organi accidentali non essenziali (partes accidentales non essentiales). Gli organi integrali essenziali sono la linfa (succus) che contiene in sé (in potentia) tutte le altre parti della pianta, e le parti attive della pianta (in actu); queste ultime sono loro volta suddivise in membri organici (membra officilia), ovvero quelli che servono a mantenere l’individuo in vita, cioè la radice (radices), i canali attraverso cui scorre la linfa (venae), i nodi (nodi), il midollo (medulla) e la corteccia (cortex), e membri similari (membra similia) che includono il legno, per gli alberi, e la “carne”, ovvero il fusto, per le erbe. La parti accidentali essenziali sono quelle che servono a conservare la specie, non l’individuo: le foglie, i fiori, i frutti e i semi. Nella loro descrizione, Alberto dimostra eccezionale precisione e grande capacità di osservazione: discute la forma e le dimensioni di vari tipi di foglie, e analizza il fiore come presagio del futuro frutto, descrivendo stami, ovario, colori. Inoltre, trattando della corteccia, è forse il primo a distinguere monocotiledoni (tunicatae, ovvero piante dotate di tunica) e dicotiledoni (corticatae, ovvero piante dotate di corteccia). Gli elementi non essenziali sono le spine, distinte per la prima volta da Alberto in quelle derivate dalla modificazione dei fusti e in quelle derivate dalla modificazione delle foglie. Egli è infatti conscio che gli organi delle piante si trasformano; ritiene ad esempio che i viticci delle viti siano grappoli mai formati. Il terzo libro è occupato da due digressioni, la prima dedicata ai frutti e alle loro differenze rispetto alle altre parti della pianta; segue l’esame di vari esempi di frutti e semi, dei loro colori e dei tipi di germinazione. Nel secondo trattato si studiano vari tipi di gusti e odori di frutti, succhi e semi, un elemento che secondo Alberto (che qui si rifà all’esperienza degli erboristi) è essenziale per riconoscere le diverse specie. Il quarto libro è di nuovo una parafrasi dello pseudo aristotelico De plantis, in quattro trattati. Nel primo si esamina la relazione tra le piante e i quattro elementi; nel secondo si trattano le regioni favorevoli o ostili alla fruttificazione; nel terzo le basi della propagazione e della fruttificazione delle piante dotate di radice (con una lunga digressione sulle differenze tra i vari tipi di spina); nel quarto il colore delle piante, la differenza tra sempreverdi e caducifoglie, la linfa di alberi e erbe, la crescita degli aghi di pino in inverno. I due trattati del quinto libro ospitano altrettante digressioni. La prima integra vari argomenti già esposti in precedenza e aggiunge questioni come se possa esserci fusione tra le anime di due piante che crescono insieme (come l’olmo e la vite) e se le piante possano trasformarsi l’una nell’altra. La seconda si occupa delle virtù delle piante, in associazione con i quattro elementi, con particolare attenzione alle piante alimentari, officinali e magiche. Il sesto libro è un vero e proprio erbario ordinato alfabeticamente, in cui Alberto si rifà a Avicenna e Plateario per le piante officinali, ma attinge ampiamente alle proprie conoscenze dirette per trattare specie dell’Europa centrale e del Mediterraneo. È diviso in due trattati, il primo (in 36 capitoli) dedicato agli alberi, il secondo (in 22 capitoli) a arbusti e erbe; di ogni specie, è fornita la descrizione, l’habitat, le proprietà e gli usi. Infine, il settimo libro, basato fondamentalmente su Palladio, è un trattato di agricoltura. Un albero fiammeggiante per il protettore dei naturalisti Riconosciuto già in vita come auctoritas per la sua somma sapienza, per i suoi studi nei campi dell'astronomia, dell'astrologia, della mineralogia e dell'alchimia Alberto ebbe anche fama di mago. Si arrivò ad attribuirgli la scoperta della pietra filosofale e sotto il suo nome circolarono diverse opere spurie, la più nota delle quali è il Libro dei segreti, Liber Secretorum Alberti Magni virtutibus herbarum, lapidum and animalium quorumdam, meglio noto come "Grande Alberto", in contrapposizione al "Piccolo Alberto", un libro di magia alchemica e cabalistica comparso all'inizio del XVIII secolo. Quanto alla Chiesa cattolica, nel 1622 Alberto fu beatificato da Gregorio XV; nel 1931, su sollecitazione dei vescovi tedeschi, fu proclamato santo da Pio XI e riconosciuto come dottore della Chiesa; dieci anni più tardi, Pio XII lo dichiarò patrono dei cultori delle scienze naturali. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Come naturalista, fu noto e apprezzato soprattutto in Germania; tra i suoi estimatori, lo stesso Humboldt. Tuttavia a riscoprire il contributo di Alberto Magno alla botanica fu il tedesco Ernest Meyer, che nella sua Geschichte der Botanik (1854-57) scrisse di lui: "Nessun botanico che sia vissuto prima di Alberto può essere paragonato a lui, tranne Teofrasto, che non conosceva; e dopo di lui nessuno ha dipinto la natura in tali vividi colori, o l'ha studiata così approfonditamente, fino all'arrivo di Conrad von Gessner e Andrea Cesalpino. Tutti gli onori, dunque, vanno tributati all'uomo che ha fatto tali stupefacenti progressi nella scienza della natura, da non trovare nessuno, non che lo sopravanzi, ma che lo eguagli nei tre secoli successivi." Meyer, che fu anche il curatore della prima edizione critica di De vegetabilibus, volle onorare Alberto anche con la dedica di una pianta, battezzando Alberta magna E. Mey. (1838) una spettacolare pianta sudafricana. Appartenente alla famiglia Rubiaceae, è un arbusto o un piccolo albero con lucide foglie sempreverdi simili a quelle degli agrumi, verde scuro nella pagina superiore, più pallide in quella inferiore, e smaglianti infiorescenze di fiori tubolari rosso brillante; nel paese d’origine, fiorisce dalla tarda estate all’autunno (tra febbraio e giugno). In passato furono assegnate al genere Alberta altre specie originarie del Madagascar, che tuttavia successivamente sono state trasferite ad altri generi; oggi Alberta è dunque un genere monotipico endemico delle foreste e dei fondi valle del Transkei nelle province del Capo Orientale e del KwaZulu-Natal. Qualche approfondimento nella scheda. La famiglia Begoniaceae ha una curiosa particolarità: comprende due soli generi, opposti per ampiezza e diffusione. Da una parte c'è l'enorme (e notissimo) genere Begonia, con circa 1400 specie, di casa in una vastissima area tropicale che spazia dall'Asia all'America all'Africa; dall'altra il minuscolo genere Hillebrandia, con una sola specie, raro endemismo di alcune isole dell'arcipelago delle Hawaii. Da quando è stata scoperta nel 1865, Hillebrandia sandwichensis ha destato curiosità per diverse ragioni, non ultima il fatto che è tre volte più antica delle isole dove vive. Anche il suo dedicatario, il medico Wilhelm Hillebrand, è una figura fuori del comune: arrivato nell'arcipelago alla ricerca di un clima propizio alla sua salute, vi visse vent'anni e vi lasciò un'eredità che ha contribuito non poco a riplasmarne la demografia, l'economia e la stessa storia naturale. Pioniere dello studio delle piante delle Hawaii, è autore di una monumentale flora che ancora dopo oltre un secolo è considerata un testo di riferimento. Vent'anni nelle isole Nell'Ottocento la tubercolosi, di cui non si conoscevano ancora né le cause né la cura, era tanto diffusa da essere soprannominata "male del secolo". Uno dei pochi rimedi per provare a sfuggirvi era, letteralmente, cambiare aria: nei sanatori in montagna, nel clima mediterraneo (come fece inutilmente Chopin a Maiorca), nei mari del sud (come fece, anch'egli senza successo, Stevenson). Tra questi "viaggiatori della salute" c'è anche il medico tedesco Wilhelm Hillebrand (1821-86); dopo aver esercitato qualche anno la professione in patria, essendo appunto malato di tubercolosi lasciò la Germania per cercare salvezza in un clima più caldo e propizio. Provò in Australia, nelle Filippine, in California, finché alla fine del 1850 arrivò alle Hawaii. Notando un immediato giovamento, decise di fermarsi. Ci sarebbe rimasto vent'anni. Divenne un medico di successo, che contava tra i suoi pazienti la stessa famiglia imperiale, medico capo del Queen Hospital, membro del Dipartimento della Sanità, studioso di malattie tropicali, primo vicepresidente dell'Hawaiian Medical Society. Il suo coinvolgimento nella vita dell'arcipelago non si limitò al campo sanitario; dopo aver dato una costituzione al paese, il re Kamehameha V lo volle nel proprio Consiglio segreto. Nel 1865, quando con la famiglia intraprese un viaggio di piacere in Asia orientale, Hillebrand venne nominato Commissario all'immigrazione, con l'incarico di facilitare l'immigrazione di lavoratori asiatici che potessero sostituire i nativi decimati delle epidemie. Grazie al suo impegno, arrivarono così nelle isole le prime decine di cinesi (oggi gli asiatici costituiscono il 38,6% della popolazione delle isole, una delle più multietniche del globo). Durante questo viaggio, durato circa un anno, per incarico della Hawaiian Agricultural Society, che aveva deliberato un finanziamento di 500 dollari, ricercò piante e animali da introdurre nelle isole. Fu così che da Calcutta, Singapore e Ceylon, al sicuro nelle scatole di Ward, arrivarono pianticelle di arance, mandarini, litchi, jackfruit, Prunus mume, plumerie, banyan, eugenie, canfora, cinnamomo. Come gli esseri umani che Hillebrand contribuì a far giungere nelle Hawaii, anche le piante dal lui introdotte hanno mutato il volto dell'arcipelago; molte vi sono oggi largamente coltivate, come il litchi di cui le Hawaii sono uno dei massimi produttori mondiali o la plumeria, che delle isole è addirittura diventata il simbolo; altre si sono naturalizzate a discapito della flora nativa. Molte essenze tropicali Hillebrand le acquistò per il suo stesso giardino, che sorgeva alle porte di Honolulu in un terreno che nel 1853 gli era stato ceduto dalla regina Kalama perché vi costruisse la sua casa. Il medico tedesco lo trasformò in un raffinato giardino botanico, dove accanto alle piante native crescevano quelle portate dai suoi viaggi, con boschi, cascatelle, spazi per gli animali esotici. Nel 1884, quando capì che non sarebbe più tornato alle Hawaii, Hillebrand lo vendette alla famiglia Foster, che continuò a sviluppare il giardino. Nel 1930, l'ultima proprietaria, Mary E. Foster, lo lasciò in eredità alla città a condizione che diventasse un parco pubblico. Oggi, con il nome Foster Botanical Garden, è il più antico degli orti botanici delle Hawaii, famoso soprattutto per la sua collezione di orchidee. Nell'estate del 1871, per permettere al figlio maggiore di seguire una scuola preparatoria negli Stati Uniti e poi l'università in Germania, Hillebrand lasciò le Hawaii con la famiglia; trascorse l'inverno successivo a Cambridge Massachussets dove Asa Grey lo aiutò a identificare le specie che aveva raccolto nel ventennale soggiorno nell'arcipelago, in vista della pubblicazione di quella che sarebbe diventata la sua Flora of Hawaiian Islands. Dopo qualche anno tra Svizzera e Germania, la salute malferma della moglie lo spinse a trasferirsi per qualche tempo a Madeira quindi a Tenerife. Nel 1877 ritornò definitivamente in Germania, continuando fino alla morte a lavorare alla sua opera. Rimase comunque in contatto con le Hawaii; in particolare, trovandosi a Madeira proprio mentre imperversava l'epidemia di peronospora, che aveva lasciato centinaia di viticoltori sul lastrico, promosse il trasferimento nelle Hawaii di molte famiglie. Lo stesso fece poi anche dalla Germania. Una sintesi della sua vita nella sezione biografia. La monumentale opera di una vita Fin dal suo arrivo nell'arcipelago, Hillebrand, che già si interessava di botanica e aveva raccolto piante durante il breve soggiorno in Australia, fu colpito dalla ricchezza e dalla diversità della flora dell'arcipelago. Incominciò così a raccogliere campioni di erbario, che inizialmente inviò all'orto botanico di Melbourne (alcuni sono preziosissimi perché costituiscono l'unica testimonianza di specie che nel frattempo si sono estinte), quindi a Berlino (in gran parte purtroppo perduti durante la Seconda Guerra Mondiale). Decise quindi di esplorare in modo sistematico l'arcipelago, con l'obiettivo di scrivere una flora il più possibile completa delle specie autoctone e introdotte. Nell'arco di vent'anni, spesso accompagnato dal figlio maggiore William Francis - che sarebbe divenuto un chimico di fama mondiale - visitò tutte isole maggiori dell'arcipelago (Hawaii, Kauai, Oahu, Molokai, Lanai, Maui). Era anche in contatto epistolare con molti botanici, soprattutto statunitensi, che grazie al suo esempio furono stimolati ad interessarsi di questa flora così peculiare. Dopo vent'anni di ricerca sul campo e altrettanti di studio dei materiali raccolti, Hillebrand riuscì a completare il suo opus magnum proprio alla vigilia della morte, intervenuta, inattesa, nel 1886. In quel momento, parte del manoscritto si trovava nelle mani dello stampatore, che ne aveva tirato qualche foglio di prova. Ad assumersi il compito di curane la pubblicazione postuma fu così il figlio William Francis, con l'aiuto di un amico del padre, il professor Askenasy di Heidelberg. Rimase in parte incompleta proprio l'introduzione, un interessantissimo saggio in cui Hillebrand analizza le peculiarità della flora hawaiiana, frutto dell'isolamento, del vulcanismo e di un clima quanto mai favorevole; non mancano i paralleli con altre due flore insulari ricche di endemismi, quelle di Madeira e delle Canarie. Secondo i suoi calcoli, su 999 specie recensite, ben 653 erano endemiche (una percentuale quasi senza paragoni), 207 native ma presenti anche altrove, 24 introdotte dagli hawaiani in tempi remoti, 115 di recente introduzione; proprio queste ultime si sarebbero rivelate un pericolo mortale per le specie autoctone, molte delle quali, da quando Hildebrand le segnalò, sono scomparse proprio a causa della pressione antropica, inclusa l'introduzione di piante aliene (e, come abbiamo visto, il nostro ben intenzionato dottore diede il suo contributo forse più di ogni altro). Benché privo di figure, se si escludono le mappe delle isole, il ponderoso volume fu una pietra miliare nello studio della flora hawaiana, un'opera di riferimento imprescindibile per tutti gli studiosi successivi, tanto da essere ancora ristampata (con l'aggiunta di immagini e previa la modernizzazione della nomenclatura) nella seconda metà del Novecento. I misteri di Hillebrandia E' ovvio che questo pioniere dello studio della flora delle Hawaii sia ricordato da diverse piante di quelle isole, come Embelia hillebrandii, Isodendrion hillebrandii, Suttonia hillebrandii, Pritchardia hillebrandii. Nel 1865 nell'isola di Maui egli raccolse una curiosa Begoniacea; ne informò il direttore di Kew, W.J. Hooker; fu così che Daniel Oliver, curatore dell'erbario di quel giardino botanico, poté studiarla e assegnarla non solo a una specie nuova, ma a un nuovo genere con il nome Hillebrandia sandwichensis. Si tratta dell'unica rappresentante di questa famiglia a non appartenere al genere Begonia (che di specie ne comprende più di 1400). Le differenze principali riguardano l'ovario libero nel suo terzo superiore, la presenza di tepali raccolti in due serie di verticilli nei fiori femminili, nonché alcune particolarità dei frutti e del polline. Un tempo era presente nelle isole di Kaui, Maui e Molokai, oggi è limitata alle prime due, dove sta diventando sempre più rara. Il suo habitat - simile a quello di molte Begoniae - sono gli ombrosi e umidi burroni della foresta pluviale di montagna, tra 900 e 1800 m. Nota nelle isole con il nome aka'aka'awa', è un'erbacea rizomatosa di raffinata bellezza, alta oltre un metro con grandi foglie palmate e grappoli di delicati fiori bianco-rosati, con 8-10 tepali a simmetria radiale. Recenti studi filogenetici hanno confermato la sua appartenenza a un genere proprio. A fare discutere è la sua origine: è l'unica rappresentante della sua famiglia a vivere nell'arcipelago e, per la sua struttura, risulta più arcaica delle sue sorelle Begoniae, da cui si ritiene si sia separata tra 51 e 65 milioni di anni fa. Da dove, quando e come è arrivata nelle Hawaii, che, almeno nel loro stadio attuale, sono di 20 milioni di anni più giovani? Considerando che le isole di oggi sono il risultato di sollevamenti della crosta terrestre e di eruzioni vulcaniche relativamente recenti, ma devono essere state precedute da isole più antiche, oggi livellate e scomparse, l'ipotesi più verosimile è che la nostra pianta relitta, dopo essere giunta dall'area Maleso-Pacifica, dove era nata ed oggi è scomparsa, vivesse in isole del Pacifico oggi sommerse e sia riuscita a sopravvivere a tanti sconvolgimenti e catastrofi trasportata da un'isola all'altra sulle ali (o meglio sulle zampe) degli uccelli che anche oggi provvedono alla dispersione dei suoi semi. Qualche approfondimento nella scheda. Adelbert von Chamisso è uno dei più importanti scrittori della prima generazione romantica tedesca, noto soprattutto per il romanzo fantastico "Storia meravigliosa di Peter Schlemihl" ma anche per poesie che ebbero l'onore di essere musicate da Schumann. Meno nota al grande pubblico la sua attività di botanico, culminata con la nomina a curatore dell'orto botanico di Berlino. Ma soprattutto, proprio in questa veste partecipò alla seconda circumnavigazione russa, molto più ricca di scoperte naturalistiche della prima. Seguiamolo dunque lungo le tappe di quel viaggio in Brasile, Polinesia, Micronesia, Alaska, California; a tenere saldo il timone il capitano Kotzebue, che di un poeta era figlio; a ritrarre piante, animali e paesaggi esotici il notevole pittore Louis Choris; a raccogliere insetti e a collaborare nella raccolta di piante con Chamisso, cui lo legò un'amicizia fraterna, il medico di bordo e grande zoologo Johann Friedrich von Eschscholtz. L'importanza delle ricerche del nostro poeta-botanico è testimoniata dalle numerose piante che lo ricordano nel nome specifico e dai molti generi che gli furono dedicati, tre dei quali attualmente validi: Camissonia, Chamissoa, Camissoniopsis. Da Peter a Adalbert: come un poeta divenne naturalista Nato in una nobile famiglia francese con il chilometrico nome Louis Charles Adélaïde de Chamissot de Boncourt, la burrasca della rivoluzione francese lo priva del suo status e di una patria, e lo deposita a Berlino, dove diventa Adelbert von Chamisso. Gli anni dell'adolescenza e della giovinezza sono travagliati e solitari; figlio di due patrie l'una contro l'altra armate, è ovunque straniero: da militare nell'esercito prussiano, da insegnante mancato in Francia, da intellettuale in Svizzera alla corte di Mme de Stael e a Berlino tra i giovani esponenti del romanticismo. Vuole essere con tutte le sue forze un poeta, e un poeta tedesco, ma ancora gli manca la voce. Sotto forma di fiaba questo travaglio, questa instabilità trovano espressione della sua opera più nota, il romanzo breve "Storia meravigliosa di Peter Schlemiel", che iniziò a scrivere per divertire i figli di un amico e pubblicò nel 1814. La storia è semplice: Peter per conquistare la donna amata vende la sua ombra a un misterioso personaggio, che in realtà è il demonio. Diverrà ricco, ma, privo di ombra, sarà rigettato dal consesso umano, perdendo anche colei che ama. Alla fine, inaspettatamente, dopo aver donato in beneficenza quel denaro mal guadagnato, verrà per caso in possesso degli stivali delle sette leghe e si trasformerà in viaggiatore e scienziato; lasciamogli la parola: "Un antico errore mi precludeva ogni contatto umano e in compenso ero indirizzato alla Natura, oggetto da parte mia di incessante amore. La Terra sarebbe stato il mio giardino, lo studio il sostegno della mia vita, la scienza il mio traguardo!" E' l'allegoria del percorso esistenziale di Chamisso in quegli anni; in Svizzera ha iniziato a studiare scienze naturali, soprattutto botanica, e ha continuato quegli studi a Berlino, dove è tornato nel 1813. E qui i suoi stivali delle sette leghe si materializzano sotto forma di un articolo di giornale; legge che in Russia si sta preparando una grande spedizione intorno al mondo. Per dare ancora la parola a Peter, "Non si trattava di prendere una decisione, ma di accettare un'offerta". Adelbert muove tutte le sue pedine per cogliere questa occasione, sollecitando tra l'altro la mediazione del celebre drammaturgo August von Kotzebue. Che altri non è che il padre dell'ufficiale che comanderà la spedizione, Otto von Kotzebue. Sarà il caso di fare un passo indietro. Proprio mentre la spedizione Krusenstern ritornava in patria, in Europa riprendevano le guerre, rendendo impossibile per l'Impero russo finanziarne altre. Gli unici a continuare a crederci erano proprio Krusenstern e il ministro Rumjancev, soprattutto dopo la sua caduta in disgrazia e il ritiro dalla vita politica. Insieme elaborarono un nuovo progetto, più limitato ma non meno ambizioso. Cinquant'anni di sforzi avevano dimostrato che tutte le vie sperimentate fino ad allora per rifornire le colonie dell'America russa erano fallimentari: impossibile raggiungerle attraverso il mare Artico per l'impraticabilità di quel mare; troppo lunghe, costose e piene di insidie sia la via di terra attraverso la Siberia sia la via di mare, circumnavigando il globo. Rimaneva una quarta possibilità: trovare il passaggio a Nord ovest che, mettendo in collegamento il Pacifico con l'Atlantico, dimezzasse d'un tratto la distanza tra la Russia e l'Alaska. L'avevano già cercato inutilmente Cook, Vancouver e molti altri; ciò non di meno, lo sperimentato uomo di mare e il vecchio ministro ci credevano davvero. La spedizione, integralmente finanziata da Rumjancev, sarebbe stato limitata negli obiettivi, nei mezzi e negli uomini. Una sola piccola nave, il brigantino Rjurik, armato con 8 cannoni e costruito sotto la supervisione dello stesso Krusenstern; 32 uomini tra ufficiali, marinai e scienziati; istruzioni precise: raggiungere lo stretto di Bering ripercorrendo la rotta della spedizione Krusenstern; in una prima campagna estiva, trovare punti d'ancoraggio adeguati a nord dello stretto; in una seconda campagna, cercare il possibile imbocco del passaggio a nord-ovest. Sarebbe stata una spedizione oceanografica, ma anche naturalistica; a bordo, una piccola équipe di scienziati. C'era un abile disegnatore, Louis Choris, che benché avesse appena vent'anni aveva già partecipato a una spedizione in Caucaso; due i naturalisti inizialmente previsti, il botanico Carl Friedrich von Ledebour dell'Università di Dorpat/Tartu e il suo allievo Johann Friedrich Eschscholtz (o Escholtz) come zoologo e medico di bordo. La rinuncia di Ledebour per motivi di salute aprì le porte al nostro Adelbert von Chamisso, che avrebbe servito anche come interprete. Durante la sosta a Copenhagen si aggiunse come volontario il botanico danese Morten Wormskjold. Merita due parole di presentazione anche il comandante Otto von Kotzebue; al momento della partenza aveva 27 anni, ma era già un veterano dei viaggi transoceanici. Il padre, come si è detto, era il celebre drammaturgo August, la madre un'esponente di un'importante famiglia della nobiltà tedesco-baltica; entrato all'accademia militare a sette anni, alla morte della madre, aveva incominciato ad appassionarsi di mare e di viaggi; a sedici anni non ancora compiuti, insieme a suo fratello Moritz, di due anni più giovane, aveva servito come guardiamarina sulla Nadežda, l'ammiraglia della spedizione Krusenstern (cugino della sua matrigna). Promosso luogotenente, era la persona ideale per raccogliere il testimone del suo vecchio comandante e guidare la seconda circumnavigazione russa intorno al globo. Alla ricerca del passaggio a nord-ovest Con la benevola approvazione dello zar Alessandro (che non ci mise un rublo ma concesse l'uso della bandiera militare russa), la Rjurik partì da Kronstadt il 30 luglio 1815 e inizialmente si attenne alla rotta della spedizione Krusenstern, con brevi soste a Copenhagen, Plymouth, Tenerife, Santa Catarina in Brasile. Il passaggio di Capo Horn fu difficile, con una tempesta durata sei giorni durante la quale il comandante stesso rischiò di cadere fuori bordo; fu così necessaria una sosta nel porto cileno di Talcahuano (raggiunto il 13 febbraio 1816); il governatore, che all'inizio li aveva scambiati per pirati, li ricevette con grandi onori. Ripartiti il 28 marzo, toccarono l'isola di Pasqua (dove furono molto delusi di non vedere i moai, che si trovavano sull'altro lato dell'isola). Kotzebue decise di puntare direttamente a nord, per raggiungere al più presto la Kamčatka . Lungo la rotta, vennero avvistati e mappati diversi atolli, tra cui le isole Krusenstern nelle Tuamotu. Già il 7 giugno 1816 la Rjurik attraccava a Peterpavlosk, dove venne rivestita di rame, per resistere all'urto dei ghiacci. Il 3 luglio riprendeva il mare, lasciando a terra uno dei tenenti, malato, e il botanico Wormskjold, che si era messo in conflitto con il comandante (esce così dalla nostra spedizione cui non ebbe modo di offrire molti contributi). Con a bordo due soli ufficiali (il comandante Kotzebue e il primo ufficiale Grigorij Šišmarev), durante l'estate la Rjurik esplorò e mappò il grande spazio di mare compreso tra l'isola di San Lorenzo e la costa dell'Alaska; alla metà di agosto, virò verso sud e il 26 agosto era nella baia di Illyuk, nell'isola di Unalaska. Finalmente una sosta per i frustrati naturalisti, che fino ad allora avevano avuto ben poche occasioni di scendere a terra; Eschscholtz era talmente eccitato che si attardò nelle raccolte finché fu sorpreso dal tramonto e rischiò di essere lasciato a terra dal poco paziente comandate. Era infatti ora di lasciare quelle latitudini settentrionali per andare a svernare a sud. Partita da Unalaska il 14 settembre, il 1 ottobre la Rjurik gettava l'ancora nella baia di San Francisco. Rispetto allo scopo principale della spedizione, le raccolte naturalistiche erano solo secondarie, e il comandante non aveva mancato di farlo notare. Lo spazio su quella piccola nave era molto scarso; tutti i materiali dovevano essere immagazzinati il prima possibile in casse nella stiva, e non lasciati a ingombrare il ponte, pena essere gettati quando prima fuori bordo. A consolare Chamisso dalla relazione non idilliaca con il burbero comandante, c'era l'amicizia con Eschscholtz, in cui aveva trovato un'anima gemella (di lui disse "Era riservato ma sincero e nobile come l'oro"). Era uno zoologo di grande talento, soprattutto un entomologo, ma collaborava con entusiasmo anche alla raccolta delle piante. Dopo l'aspra natura del Nord, la California appariva ricca di promesse. Anche se ormai era autunno e poche piante erano in fioritura, non mancavano le specie interessanti e nuove per la scienza. Alla fine il bottino fu di due nuovi generi (Lessingia e Escscholzia) e trentatré nuove specie, tra cui Lupinus chamissonis, Plagiobothrys chorisianus (in onore del pittore Choris), Lonicera ledebourii (dedicato da Eschscholtz al suo maestro), Frankenia salina, Carex pachystachya, e la più famosa di tutte, Eschoscholzia californica. Lasciata San Francisco il 20 ottobre, la Rjurik proseguì per Honolulu (15 novembre-2 dicembre) dove il capitano incontrò il re Kamehameha per risolvere una crisi diplomatica causata dal tentativo di penetrazione nelle isole di altre navi russe. Facendo rotta verso nord, toccò poi nuovamente le Marshall già visitate l'anno precedente e mappò altre isole nella catena Rodak; in una di queste volle unirsi a loro un isolano di nome Kadu, che divenne presto amico di Chamisso e suo informatore sui costumi dei suoi conterranei. Il 1 aprile, mentre si dirigeva verso Unalaska, la Rjurik incappò in una tempesta che spezzò il bompresso; diversi marinai furono feriti, ma il più grave era proprio il capitano, che non riuscì più a lasciare il letto. Anche la nave aveva subito gravi danni. Nonostante ciò, giunto a Unalaska il 12 aprile, Kotzbue era deciso a riprendere l'esplorazione estiva utilizzando piccole imbarcazioni manovrate da Aleutini ingaggiati allo scopo. Ma quell'anno il disgelo era in ritardo e la salute del comandante andava peggiorando, tanto che Eschscholtz il 10 luglio, quando fu raggiunto il capo orientale dell'isola di San Lorenzo, lo pregò di desistere, se non voleva rischiare la vita. Il 12 luglio Kotzebue ordinò di rientrare a Unalaska; da qui si proseguì verso sud per le Hawaii, le Marshall, dove fu sbarcato Kadu, e Manila (gennaio 1818) dove la Rjurik venne riparata per affrontare il viaggio di ritorno, attraverso l'Oceano Indiano, il Capo di Buona Speranza (30 marzo) e l'Oceano Atlantico. Dopo un viaggio di 3 anni e 5 giorni, il 3 agosto giungeva infine a Kronstadt. Durante il viaggio, Chamisso e Eschscholtz avevano dovuto sperimentare la frustrazione comune a tutti i naturalisti coinvolti nelle grandi navigazioni: lunghi tratti di mare, soste brevi, l'impazienza degli ufficiali per i quali i "signori naturalisti" erano quasi un peso, l'ignoranza dei marinai (più di una volta le loro preziose erbe divennero imbottiture per i cuscini o furono gettate in mare), ma non si scoraggiarono mai, mettendo insieme una collezione imponente: nelle Aleutine, in California, alle Hawaii, nelle Filippine dovettero raccogliere circa 2500 specie di piante, almeno un terzo delle quali all'epoca ancora non descritte . Per lo studio e la pubblicazione, quelle di Chamisso furono affidate all'orto botanico di Berlino, quelle di Eschscholtz all'Università di Tartu/Dorpat. Riconoscimenti botanici Alla fine del viaggio, Adelbert-Peter aveva ritrovato la sua ombra. Come desiderava, aveva conosciuto il mondo; una grande amicizia aveva infranto il suo muro di solitudine; le scoperte scientifiche gli avevano restituito un ruolo e uno status. L'università di Berlino gli concesse la laurea honoris causa e lo nominò secondo curatore dell'orto botanico; fu ammesso all'Accademia delle Scienze; pubblicò diversi lavori botanici e un piacevolissimo resoconto del suo viaggio (Reise um die Welt, 1836); si sposò e mise su famiglia. Tanti impegni che lo distolsero da quella che in giovinezza aveva sentito come la sua vocazione più profonda, la poesia. Ricominciò a scrivere alla soglia dei cinquant'anni; a partire dal 1829, prese a pubblicare qualche lirica in Deutsche Musenalmanach ("Almanacco Tedesco delle Muse") e nel 1831 diede alle stampe la sua opera più apprezzata, Frauenliebe und -leben ("L'amore e la vita delle donne"), celebre soprattutto per essere stato musicata da Schumann. Ne potete ascoltare qui l'angelica interpretazione di Elly Ameling. Un profilo biografico del nostro poeta-naturalista nella sezione biografie. Per l'indubbio valore delle sue scoperte ma sicuramente anche per la sua duplice condizione di naturalista e poeta, Chamisso ricevette numerosi riconoscimenti nella tassonomia botanica. Sono parecchie decine le specie che si fregiano dello specifico chamissonis, dalla californiana Arnica chamissonis all'hawaiana Cyrtosperma chamissonis, dall'artica Campanula chamissonis alla tropicale Vanilla chamissonis. Gli sono stati dedicati almeno sei generi, di cui tre attualmente riconosciuti. Iniziamo da quelli che non lo sono: Adelbertia (sinonimo di Meriania), dedicatogli da C.D.F. Meisner nel 1837; Chamissomneia (sinonimo di Schlechtendalia), da Kuntze nel 1891; Chamissoniophila (sinonimo di Antiphytum), da Brand nel 1929. La prima dedica tuttora valida arrivò da Kunth, il collaboratore di Bompland e di Humboldt (che possiamo considerare l'eroe e il grande ispiratore di Chamisso) già nel 1817. E' Chamissoa, che include due specie di Amarantaceae native delle Americhe. La più nota è C. altissima, una grande liana diffusa nelle foreste tropicali umide di centro e sud America, con pannocchie di piccoli fiori bianchi e foglie dalle proprietà officinali. Qualche notizia in più nella scheda. L'anno successivo Johann Friedrich Link, superiore di Chamisso in quanto direttore dell'orto botanico di Berlino, gli dedicò Camissonia (nella grafia latinizzata senza acca), sulla base di una graziosa Onagracea che Adelbert aveva raccolto in California. La regione floricola californiana è infatti il centro di biodiversità di questo genere con una storia tassonomica travagliata; oggi gli sono assegnate una dozzina di specie, tutte degli Stati Uniti sud-occidentali, ad eccezione di una sola specie centro e sudamericana. Sono piccole annuali delle aree desertiche con semi capaci di attendere anni la prima pioggia; quando arriverà, germoglieranno e dopo qualche mese trasformeranno quelle plaghe aride in una distesa di fiorellini d'oro. Qualche approfondimento qui. Questo genere, che è arrivato a comprendere oltre 60 specie, è stato ripetutamente sottoposto a revisione finché recentemente è stato smembrato in ben nove generi più piccoli. Uno di essi è Camissoniopsis,W.L. Wagner & Hoch 2007, letteralmente "simile a Camissonia", che comprende quattordici specie di annuali e perenni di breve, tutte presenti in California, anche se alcune di esse si spingono in Oregon, Nevada, Arizona, Baja California. Sono molto simili a Camissonia, ma assai più ramificate e con portamento prevalentemente prostrato. Anch'esse di adornano di piccoli ma deliziosi fiori dorati, che è valso a loro e alle consorelle il nome volgare suncup. Per una selezione delle specie più interessanti si rimanda alla scheda. Altri protagonisti: Wormskjold e Choris Per concludere, due parole sugli altri protagonisti di questa storia che sono stati celebrati da un genere botanico. Tanto onore è toccato, oltre a Chamisso, a Eschscholtz, Wormskjold e Choris. Eschscholtz e il magnifico genere Eschscholtzia meritano un post tutto per loro. Quanto a Morten Wormskjold (1783-1845), nel 1827 il connazionale Peter Thonning gli dedicò Wormskioldia, oggi sinonimo di Tricliceras (Turneraceae). Fu un botanico di un certo rilievo; prima della spedizione Kotzebue, aveva partecipato a viaggi botanici in Norvegia e Groenlandia. Dopo essere stato lasciato in Kamčatka, vi rimase fino al 1818, raccogliendo molti esemplari (sfortunatamente andati perduti in un incendio insieme ai suoi appunti). Gli furono dedicati anche l'alga Urospora wormskioldii e alcune piante come Trifolium warmskioldii. Anche il pittore Louis o Ludwig Choris (1795-1825) fu un personaggio di notevole interesse. Nato in Ucraina da genitori tedeschi, andò a Pietroburgo a studiare arte, ricevendo una formazione anche in scienze naturali. Diciottenne, fu l'artista della spedizione Biberstein in Caucaso; nel 1815 fu scelto tra diversi concorrenti come artista della spedizione Kotzebue, nel corso della quale produsse numerosi acquarelli di grande qualità, in cui ritrasse con realismo e grande vivacità paesaggi, scene di vita quotidiana, indigeni nei loro costumi, animali e piante. Dopo la spedizione, andò a Parigi dove studiò litografia e fu allievo di importanti artisti come Regnault. A partire dai suoi disegni, preparò le tavole che illustrano i diari di viaggi di Kotzebue e Chamisso. Nel 1822 pubblicò in francese il proprio, Voyage pittoresque autour du monde, che contiene anche testi di Cuvier e Chamisso. Nel 1826 comparvero altre 24 litografie sotto il titolo Vues et paysages des régions équinoxiales. Nel 1827 il Jardin des Plantes di Parigi lo inviò in centro e sud America; poco dopo il suo arrivo in Messico, nel 1828 fu assassinato da banditi di strada. Nel 1822 Kunth, che come abbiamo visto aveva reso omaggio anche a Chamisso, creò in suo onore il genere Chorisia (Bombacaceae/Malvaceae), un nome probabilmente ben noto agli appassionati perché ne facevano parte due tra le più belle specie di alberi di fiore, C. speciosa e C. insignis. Ho usato il passato perché il genere è stato sottoposto a revisione nel 1998 da Ravenna, che ha proposto di farlo confluire in Ceiba. Ne sono seguite discussioni, con prese di posizioni diverse, ma oggi prevale la confluenza in Ceiba, anche se nell'uso comune e in molti manuali di giardinaggio Chorisia è tuttora ben presente. Aver partecipato a un viaggio intorno al mondo non bastava a spegnere la sete di conoscenza di Georg Heinrich von Langsdorff, uno dei naturalisti della spedizione Krusenstern. Così, invece di completare la circumnavigazione con i suoi compagni, al ritorno dal Giappone preferì andarsene in Alaska, e da lì in California, da dove rientrò in Russia due anni dopo gli altri, non senza aver attraversato a piedi la Siberia. Ce n'era abbastanza per gettare le basi di una brillante carriera accademica, ma quando gli si presentò l'occasione di andare in Brasile come rappresentante diplomatico dell'Impero russo, sentì irresistibile il richiamo di quel paradiso dei naturalisti che durante la spedizione Krusenstern aveva appena potuto intravvedere. In Brasile, dove sarebbe rimasto 17 anni, fondò una fazenda e la trasformò in un centro d'attrazione per i numerosi naturalisti che visitavano il paese; sostenne e sponsorizzò alcune spedizioni, ad altre partecipò di persona, come quella che lo vide esplorare lo stato di Minas Gerais insieme a Augustin de St. Hilaire. Ma soprattutto organizzò e diresse un'epica spedizione da Sao Paulo a Parà, sul Rio delle Amazzoni (1822-28), che purtroppo gli costò la salute fisica e mentale. Riportato dai suoi in Germania, visse ancora a lungo, ma, privo di senno, non ricordava neppure di essere stato in Brasile. Purtroppo per la scienza, ciò significò che le sue enormi collezioni giacquero dimenticate e inedite nei magazzini di varie istituzioni russe per oltre un secolo. Non era stato dimenticato però nella tassonomia botanica, dove lo ricorda il singolare genere parassita Langsdorffia. Fame in Alaska e una deludente visita a San Francisco La nostra storia inizia in un albergo di Copenhagen, in una giornata di fine agosto 1803. L'albergatore informa un cliente appena arrivato che proprio lì alloggiano alcuni ufficiali delle navi Nadežda e Neva. Quel viaggiatore è il medico tedesco Georg Heinrich von Langsdorff; qualche mese prima, quando ha saputo della spedizione, ha presentato la sua candidatura come naturalista, ma, nonostante le raccomandazioni, essa è stata respinta. Gli è stato detto che un naturalista c'è già (lo conosciamo, è Wilhelm Gottlieb Tilesius). Ma Langsdorff non è tipo da rassegnarsi; si è precipitato a Copenhagen per perorare la sua causa e ora il caso l'ha condotto nel posto giusto. Gli sembra un auspicio fortunato che lo incoraggia a presentarsi all'ambasciatore Rezanov il quale lo ascolta benevolo e lo accompagna dal comandante Krusenstern. Anche il capitano si convince, e Langsdorff diventa il secondo naturalista della prima circumnavigazione russa del globo. Al momento, aveva sono 29 anni, ma non era un novellino; era stato in Portogallo come medico militare, aveva visitato Londra e Parigi. Come il suo contemporaneo Humboldt, era posseduto dal sacro fuoco della ricerca e quel viaggio intorno al mondo sembrava fatto per lui. La realtà però si dimostrò inferiore alle aspettative: pochi soggiorni a terra, nessun aiuto nelle ricerche, difficoltà a preparare e conservare adeguatamente gli esemplari in quei climi estremi, la rivalità latente con il più anziano Tilesius. Così, quando si presentò l'occasione di abbandonare la spedizione per nuovi orizzonti, non ebbe molte esitazioni. Come ho già raccontato in questo post, dopo sei mesi di semi prigionia in Giappone (Langsdorff li aveva passati a studiare e descrivere pesci), nel giugno 1805 la Nadežda giunse in Kamčatka dove l'ambasciatore Rezanov trovò l'ordine di recarsi ad ispezionare gli avamposti russi in Alaska. Chiese dunque a Langsdorff di accompagnarlo come medico personale; il tedesco, nonostante temesse di offendere l'ottimo comandante Krusenstern, non poté resistere alla prospettiva di visitare quelle regioni remote, selvagge e quasi ignote alla scienza. Si imbarcò così con Rezanov e i suoi accompagnatori sulla Maria, alla volta prima delle Aleutine, poi di Sitka (o Novoarchangelsk). Nell'America russa trovarono una situazione allarmante, peggiorata dal loro stesso arrivo; le provviste incominciavano a scarseggiare e sempre più persone si ammalavano di scorbuto. Nel porto di Sitka giunse però, in cerca di acqua e del legname necessario per riparazioni, il mercantile americano Juno. Rezanov e il governatore Baranov lo acquistarono completo di tutte le attrezzature e lo inviarono a Kodiak per provvedere alle esigenze più immediate. Ma non bastò. Ormai la situazione era drammatica e peggiorava di giorno in giorno. Rezanov decise così di andare a cercare provviste a San Francisco, in California, che all'epoca consisteva di una missione francescana e di un presidio militare spagnolo. Ovviamente, Langsdorff lo accompagnò. Partita da Sitka alla fine di febbraio 1806, un mese dopo la Juno faceva il suo ingresso nel Golden Gate e, grazie al fascino e all'abilità diplomatica di Rezanov, a maggio ne ripartiva con le stive piene di provviste. La colonia era salva, ma Langsdorff ne aveva avuto abbastanza dell'America russa. Durante la sosta in California, aveva dovuto limitarsi a visitare i dintorni della missione; l'unica volta che era riuscito ad allontanarsi per un'escursione di tre giorni, al suo ritorno aveva trovato gli animali da lui catturati morti e tutte le piante spazzate via dalle onde. Obbligato a trascorre quasi tutto il suo tempo a bordo, senza alcun aiuto nelle ricerche naturalistiche, venne boicottato in tutti i modi (alcune pelli che aveva posto a seccare sul ponte furono gettate vie e la carta usata per essiccare le piante finì inavvertitamente nel fuoco). Alle sue proteste, gli era stato obiettato che era lì per fare il medico e l'interprete (grazie al portoghese e al latino, che gli permetteva di comunicare con i frati). Decise così che, appena rientrato a Sitka, avrebbe chiesto di andarsene sulla prima nave. Cosa che fece imbarcandosi il 18 giugno sulla Rostislav insieme al capitano Wolfe, l'ex comandante della Juno, con cui aveva stretto amicizia. L'imbarcazione era molto piccola e lenta ed arrivò in Kamčatka solo a settembre. Langsdorff dovette rassegnarsi a trascorrervi l'inverno. Nel frattempo, anche Rezanov aveva lasciato Sitka a bordo della Juno, molto più veloce, ed era arrivato a Okhotsk a settembre, proseguendo immediatamente per San Pietroburgo; gli premeva di arrivare al più presto perché a San Francisco si era innamorato, ricambiato, della figlia del comandante del presidio spagnolo, e per sposarla era necessario il permesso dello zar. Ma durante il viaggio si era ripetutamente ammalato e a marzo dell'anno successivo era morto a Krasnojarsk. Non appena sbarcato a sua volta a Okhotsk a giugno, Langsdorff ne fu informato e probabilmente si pentì di aver abbandonato il suo protettore quando aveva più che mai bisogno di lui, tanto che volle andare a rendere omaggio alla sua tomba. Dopo aver attraversato la Siberia a piedi, nel marzo 1808 era finalmente a San Pietroburgo, dove avrebbe potuto intraprendere una tranquilla vita di accademico. Brasile: una fazenda modello Il destino e la sua sete di avventure e conoscenza decisero altrimenti. Nel 1808, quando il suo paese fu invaso dai francesi, il re del Portogallo Giovanni VI aveva trovato rifugio con la sua corte in Brasile, stabilendosi a Rio. Nel 1812 lo zar decise di inviare un console a Rio de Janeiro e la sua scelta cadde su Langsdorff, che parlava perfettamente il portoghese e oltre che medico e naturalista era anche barone, e ormai suddito russo, con il nome russificato Grigorij Ivanovič Langsdorf. Era un'opportunità favolosa. Le frontiere del Brasile fino ad allora erano rimaste chiuse agli stranieri e i suoi immensi tesori naturalistici erano quasi totalmente sconosciuti alla scienza. Langsdorff, che ne aveva avuto un misero assaggio durante lo scalo della spedizione Krusenstern a Santa Catalina, era al settimo cielo. Deciso ad unire ai doveri diplomatici l'esplorazione scientifica, fece venire a San Pietroburgo come suo assistente il giovane zoologo Georg Wilhelm Freyreiss e partì con lui per il Brasile; obbligati a passare l'inverno in Svezia, giunsero a Rio solo nel 1813. Nel 1816 Langsdorff acquistò una proprietà a nord della capitale, nei pressi di Porto Estrella, con l'intenzione di trasformarla in una piantagione modello; chiamata Mandioca, era basata sulla policoltura di manioca, caffè (fu tra i primi a coltivarlo), miglio, batate, indaco e noce moscata e sull'impiego di tecniche agricole d'avanguardia. All'inizio era lavorata da schiavi, ma Langsdorff, deciso a sostituirli con salariati europei, tra il 1820 e il 1821 fece un viaggio in Europa per promuovere l'emigrazione di coloni in Brasile. A Mandioca portò poi con sé un gruppo di tedeschi, che ebbero difficoltà ad adattarsi e finirono per rivoltarsi e furono sostituiti da coloni svizzeri. Dopo la partenza di Langdsdorff per la sua grande spedizione, nel 1826, la piantagione fu espropriata, ma nei suoi dieci anni di vita fu un centro d'attrazione per i numerosi naturalisti europei che visitarono il paese, spesso proprio su invito o stimolo di Langsdorff, che l'aveva dotata di una eccellente biblioteca naturalistica, di un museo della flora e della fauna locale e di un curatissimo giardino botanico. A visitarla furono tantissimi: oltre alla coppia reale costituita dall'imperatore Pedro I e da sua moglie Leopoldina d'Asburgo, protettrice delle scienze, tra loro troviamo Friedrich Sellow, von Martius e von Spix, il Principe Maximilian Alexander Philipp zu Wied-Neuwied, William Swainson, Augustin Saint-Hilaire. Inoltre, alternava all'attività diplomatica e alla gestione della piantagione brevi spedizioni nei dintorni di Rio. Finanziò la spedizione di Freyreiss e Sellow nel Nordeste e tra il dicembre 1816 e il marzo 1817 esplorò insieme a Saint Hilaire la provincia di Minas Gerais. Il suo sogno era però una grande spedizione nelle inesplorate regioni dell'interno. Nel giugno 1821, al termine del viaggio europeo, andò a San Pietroburgo a presentare il suo progetto al vice cancelliere Nasselrode e allo zar Alessandro I, che garantì il suo appoggio e larghi mezzi finanziari. Una grandiosa e sfortunata spedizione A Langsdorff venne lasciata carta bianca nella scelta dell'itinerario e nell'organizzazione; rimase in Europa fino alla fine dell'anno, per acquistare l'equipaggiamento necessario e ingaggiare un'équipe di eccellenti specialisti. Ne facevano parte il botanico prussiano Ludwig Riedel, l'ufficiale cartografo russo Nester Gavrilovič Rubcov, lo zoologo francese Edouard Ménétries e il pittore bavarese Johann Moritz Rugendas. Tra i partecipanti, anche Karl von Drais, l'inventore della bicicletta, in qualità di agrimensore. Preceduto da Riedel, che si trovava già in Brasile, e da Rubcov, giunto a Rio in avanscoperta nel febbraio 1822, Langsdorf partì da Brema alla fine del 1821, insieme a Ménétries, Rugendas e 85 coloni tedeschi e giunse a Rio a marzo dell'anno successivo. Trattenuto nella capitale per i suoi doveri diplomatici in un momento delicato della vita politica brasiliana, poté dedicarsi all'organizzazione della spedizione solo all'inizio del 1824. Ottenuta l'autorizzazione imperiale a febbraio, la spedizione si mise in cammino all'inizio di maggio. Il progetto iniziale di Langsdorff era viaggiare in direzione nord seguendo il fiume Paraiba nella regione mineraria di Minas Gerais, per poi proseguire verso le province di Goais e Mato Grosso. Ma la strada diretta tra Minas Gerais e Mato Grosso risultò impraticabile per una spedizione di quelle proporzioni; inoltre Rugendas e Ménétries rifiutarono di continuare, per dissensi personali con Langsdorff. Fu gioco forza ritornare a Rio; qui i defezionisti furono sostituiti dal giovane zoologo prussiano Christian Friedrich Hasse e da due artisti francesi, Aimé-Adrien Taunay e Antoine-Hércule Florence. La spedizione poté ripartire solo nella seconda metà del 1825; mentre Riedel e Hasse si dirigevano a Sao Paulo via terra, gli altri si imbarcarono per il Porto di Santos, da dove avrebbero raggiunto Sao Paulo. Dopo diversi mesi trascorsi a esplorare quella provincia, nel giugno 1826 gli esploratori si imbarcarono a Porto Feliz per risalire il fiume Tietê fino a Cuiabá, la capitale del Mato Grosso, dove giunsero a gennaio 1827 e stabilirono il quartier generale fino a novembre. A questo punto si divisero in due gruppi: il primo, che comprendeva Langsdorff, Rubcov e Florence, si mosse verso nord per raggiungere Santarém sul Fiume delle Amazzoni, dove in effetti giunsero il 1 giugno 1828. Ma lungo la strada tutti si ammalarono di febbri tropicali, compreso il barone, che incominciò a dare segni crescenti di follia e nel maggio 1828, mentre si trovavano sul fiume Juruena, perse la memoria. L'altro gruppo, con Riedel e Tauney, risalì il fiume Guaporé, dove Tyaney annegò nel gennaio 1828; quindi continuarono lungo i fiumi Mamoré e Madeira fino a Manaus, dove li raggiunse l'ordine di andare al porto di Belem, sull'Atlantico, dove i due gruppi si ricongiunsero e si imbarcarono per Rio. Vi arrivarono nel marzo 1829, dopo aver percorso oltre 6000 km. Il barone Langsdorff versava in uno stato di estrema prostrazione fisica e di disordine mentale; mentre Pieter Kielchen, il viceconsole russo, provvedeva a spedire a San Pietroburgo i materiali raccolti (i più interessanti sono le testimonianze etnografiche sui numerosi popoli indigeni incontrati), insieme alle collezioni e ai manoscritti di Langsdorff, egli fu ricondotto in Germania da un amico. Visse ancora vent'anni, senza mai recuperare il senno e la memoria. Non ricordava neppure un giorno di quelli passati in Brasile. Per una sintesi della vita, si rimanda come al solito alla sezione biografie. Il frutto delle sue ricerche subì lo stesso destino. La sua spedizione e il suo contributo alla conoscenza della natura brasiliana furono dimenticati. Le raccolte finirono a Pietroburgo, disperse tra i magazzini del Museo Etnografico, del Museo Navale, del Museo Zoologico e dell'Accademia delle Scienze, i manoscritti non furono pubblicati fino al 1948, quando ne uscì una parziale edizione russa. Solo il bicentenario della nascita, nel 1974, celebrato con un convegno internazionale, ha portato alla riscoperta di questa eccezionale figura. Da quel momento l'interesse per l'opera di Langsdorff non ha fatto che crescere, come dimostra anche una splendida mostra tenutasi a Brasilia nel 2010, che ha permesso per la prima volta di vedere molti degli spettacolari acquarelli realizzati dai tre pittori della spedizione. E' una pianta o un fungo? Certamente non lo avevano dimenticato i tanti botanici di cui fu mentore e generoso ospite a Mandioca. Due di loro vollero ricordarlo con la dedica di un genere Langsdorffia (o Langsdorfia): nel 1814 von Martius, che visitò la tenuta insieme a von Spix prima di partire per l'Amazzonia; nel 1820 l'italiano Raddi, che lo incontrò alla fine del 1817 e forse esplorò con lui i dintorni di Rio. Si aggiunsero nel 1821 il frate Leandro do Sacramento, futuro direttore dell'orto botanico di Rio; nel 1832 Willdenow, nel 1836 Rafinesque, nel 1863 Regel. Ovviamente ad essere valido è solo il primo, Langsdorffia Mart., un genere davvero singolare della curiosa famiglia di piante parassite Balanophoraceae. A prima vista, le infiorescenze della specie tipo, Langsdorffia hypogea, ricordano singolarmente la cappella di un fungo color rosso vino sorretto da un gambo terroso; come la Rafflesia, che appartiene a una famiglia diversa ma vive nel medesimo habitat, il sottobosco delle foreste umide, è visibile solo in fioritura, quando dal tubero sotterraneo emergono i fiori unisessuali; le infiorescenze maschili e femminili hanno una struttura simile, un corpo semisferico circondato da brattee, ma le prime sono più grandi. Incapaci di sintetizzare la clorofilla, traggono i nutrienti dalle radici di altre piante, installandosi anche piuttosto in profondità; infatti, nello stato di Manais Gerais, oltre che nelle foreste, sono reperibili anche in caverne e miniere abbandonate. Un'altra curiosità di questo genere singolare è la distribuzione disgiunta: due specie sono americane, una vive in Madagascar, una in Papua-Nuova Guinea (dove convive appunto con Rafflesia). Qualche approfondimento nella scheda. Svoltasi tra il 1803 e il 1806, la prima circumnavigazione russa mancò totalmente i troppo ambiziosi obiettivi politici e raggiunse solo parzialmente quelli economici, ma segnò una pietra miliare nella conoscenza del Pacifico settentrionale. Fu una scuola di navigazione alla quale si formò un'intera generazione di navigatori russi, tra i quali Otto von Kotzebue, a sua volta protagonista di due giri del mondo, e Fabian von Bellingshausen, lo scopritore del continente antartico. Oltre ai progressi nell'idrografia e nella cartografia, notevoli furono gli apporti della sua équipe scientifica a campi che vanno dall'astronomia, all'etnografia, alla biologia marina. Mentre l'astronomo e geografo svizzero Johann Kaspar Horner collaborava con gli ufficiali in rilevazioni e misurazioni, i medici e naturalisti tedeschi Wilhelm Gottilieb Tilesius e Georg Heinrich Langsdorff approfittarono di ogni occasione per raccogliere e studiare gli animali e le piante marine, e più limitatamente, terrestri. A Tilesius, che per una serie di circostanze divenne anche l'illustratore ufficiale della spedizione, questa avventura guadagnò un titolo nobiliare e l'ingresso nella nomenclatura botanica, con la dedica del genere Tilesia. Nei mari del Sud: 1803-1804 La prima circumnavigazione russa coinvolse due navi, Nadežda e Neva, 129 persone tra ufficiali, marinai, diplomatici, agenti della Compagnia russo-americana e scienziati, e durò quasi esattamente 3 anni (agosto 1803 - agosto/settembre 1806). Per gli standard dell’epoca, fu caratterizzata da una navigazione senza troppi intoppi, nonostante qualche incidente (incluso un incagliamento nella barriera corallina). Al di là del valore simbolico (per la prima volta navi russe si spingevano nell’Oceano aperto, superavano la linea dell’equatore e tornavano a casa dopo aver fatto il giro del mondo) portò a una migliore conoscenza delle Marchesi e delle Hawaii e alla mappatura di diversi settori del Pacifico settentrionale; fu un’esperienza straordinaria per gli ufficiali che vi presero parte, alcuni dei quali sarebbero stati protagonisti di altre spedizioni, come Otto von Kotzebue (che comandò due circumnavigazioni tra il 1823 e il 1826) e Fabian von Bellingshausen, lo scopritore dell’Antartide. A condizionare negativamente la spedizione fu piuttosto il sovrapporsi di obiettivi scientifici, economici e politici e soprattutto la decisione di inviare in Giappone una missione diplomatica, capeggiata in veste di ambasciatore dal conte Rezanov, che era anche uno dei dirigenti della Compagnia russo-americana. Ne risultarono conflitti continui tra Adam von Krusenstern, il comandante della spedizione, e lo stesso Rezanov, che sulla base di istruzioni ambigue credette di aver autorità non solo sul corpo diplomatico, ma sull’intera spedizione. Nella rivalità tra i due uomini si riflettevano intenti e personalità opposte: Krusenstern era un tedesco del Baltico, un luterano con un forte senso del dovere, un ufficiale educato nella Royal Navy, ammiratore di Cook, per il quale prima di tutto venivano i suoi uomini e il successo della missione di esplorazione; Rezanov era un nobile russo, un cortigiano e un imprenditore dalla morale elastica, per il quale contavano soprattutto il potere e la ricchezza. La Nadežda e la Neva, comandate rispettivamente da Krusenstern e dal suo secondo Lisjanskij, salparono da Kronstadt il 7 agosto 1803, facendo rotta per Copenhagen dove si imbarcò la piccola équipe scientifica, formata dall'astronomo e geografo svizzero Johann Kaspar Horner e dai medici e naturalisti tedeschi Wilhelm Gottilieb Tilesius e Georg Heinrich Langsdorff. A bordo c’erano anche un botanico russo, Brinkin o Brinken, che però fu emarginato dagli studiosi teutonici, e il disegnatore Stepan Kurljancev. Dopo una seconda sosta a Falmouth e un breve scalo a Tenerife, le due navi si diressero alla volta del Brasile; il 26 novembre venne superata la linea dell'equatore, la prima volta nella storia della marina russa. Si festeggiò con salve di cannone, fuochi d'artificio e bevute di vodka, offerta dal quartiermastro nei panni di Nettuno. Il 21 dicembre le navi ancorarono di fronte all'isola di Santa Catarina in Brasile, dove si trattennero circa un mese e mezzo, per sostituire alcuni alberi e carenare la Neva. Horner fin dal giorno del suo arrivo si trasferì nell'isolotto di Atomiris per allestire un osservatorio portatile. Langsdorff, che ancora non sapeva di aver incontrato il suo destino (come scopriremo in un prossimo post, sarà un grande esploratore della natura brasiliana), osservò: "la ricchezza e la varietà di animali e piante potrebbe tenere occupati centinaia di naturalisti per anni". Scoppiò anche il primo grave conflitto di autorità tra Krusenstern e Rezanov, provocato da un curioso personaggio, il conte Fedor Tolstoj, che passava il tempo a giocare d’azzardo, fare scherzi di dubbio gusto e seminare zizzania. Ebbe anche un diverbio con l’artista Kurljancev, che insultò il comandante e di conseguenza fu escluso dalla mensa degli ufficiali e degli scienziati. Le navi russe lasciarono Santa Catarina il 2 febbraio 1804. Le attendeva il difficile passaggio di Capo Horn, che venne doppiato il 21 marzo. Poco dopo, a causa della forte nebbia, i due vascelli persero il contatto visivo. La Neva fece rotta per l'Isola di Pasqua, raggiunta il 16 aprile, mentre Krusenstern preferì puntare direttamente sull'isola di Nuku Hiva nell’arcipelago delle Marchesi; vi approdò il 10 maggio e il giorno successivo fu raggiunto da Lisjanskij. Gli indigeni avevano fama di cannibali, e ai naturalisti fu concesso di lasciare le navi solo sotto scorta; poterono però studiarne i costumi, rimanendo particolarmente affascinati dall’arte dei tatuaggi. Lo stesso capitano si fece tatuare su un braccio il nome dell’adorata moglie. Ma la sosta nell’isola fu tutt’altro che una vacanza tropicale; il suo scopo era rinnovare le scorte, procurandosi tra l’altro un certo numero di maiali. Sapendo che l’unico bene che interessava agli indigeni erano gli oggetti di ferro, Krusenstern proibì di scambiarli con ogni altra cosa; Rezanov disobbedì e, facendo incetta di oggetti etnografici per la Kunstkammer imperiale, provocò il crollo del valore degli oggetti di ferro, rendendo impossibili gli approvvigionamenti. Nel chiarimento pubblico che seguì, non solo Rezanov contestò l’autorità del comandante, ma cercò di scavalcarlo, provocando un ammutinamento. Nessuno degli ufficiali lo seguì. Intanto Tilesius, ingaggiato come medico e naturalista esperto di biologia marina, cambiava mestiere. Il pittore Kurljancev infatti diede di matto e distrusse a colpi d’ascia la sua cabina, non risparmiando neppure le icone. Fu così che il medico tedesco, che era anche un eccellente disegnatore, divenne l’illustratore ufficiale della spedizione. Per completare le scorte le due navi si diressero quindi alla maggiore delle isole Hawaii. Qui si separarono, dandosi appuntamento l’autunno dell’anno successivo a Macao: il 10 giugno la Nadežda salpava alla volta della Kamčatka, mentre qualche giornp dopo la Neva partiva per l’Alaska. La Nadežda in Kamčakta e Giappone: 1804-1805 Dopo un viaggio senza incidenti di 35 giorni, il 15 luglio la Nadežda attraccò a Peterpavlovsk; immediatamente Rezanov fece appello al governatore Košelev perché mettesse sotto accusa Krusenstern e i suoi ufficiali per insubordinazione. Dopo aver sentito entrambe le campane, il generale capì perfettamente di trovarsi in un ginepraio e rifiutò di pronunciarsi, dichiarando che in quella faccenda era testimone e non giudice. Alla fine si giunse a una riconciliazione e il 6 settembre la Nadežda ripartiva alla volta di Nagasaki. Rimanevano a terra lo scapestrato Tolstoj e i due paria di bordo, il pittore Kurljancev e il botanico Brinkin. La missione giapponese fu un totale fallimento; le trattative si trascinarono per sei mesi, mentre la Nadežda era posta in disarmo, i cannoni e la polvere da sparo sequestrati, gli uomini confinati in un piccolissimo spazio. Gli unici a trarne profitto furono Tilesius e Langendorff che riuscirono a convincere i pescatori che rifornivano la squadra di pesce a procurare specie sempre nuove; fu così che poterono studiare 400 specie di pesci di 180 generi diversi. Insieme a Horner, allestirono anche un piccolo spettacolo per i loro ospiti nipponici, costruendo e facendo volare una mongolfiera in seta e carta di riso. La risposta ufficiale giunse il 7 aprile 1805: il governo giapponese respingeva i doni, rifiutava ogni rapporto diplomatico o anche solo commerciale con i russi, cui era ingiunto di lasciare il paese al più presto. Lasciata Nagasaki il 18 aprile, Krusenstern, nonostante la contrarietà delle autorità giapponesi, anziché seguire la rotta diretta, costeggiò Honshu e Hokkaido, fino a raggiungere lo stretto che separa quest'ultima da Sakhalin, di cui vennero mappate le coste. Dopo aver scoperto alcune isole del gruppo delle Curili, rientrò infine a Petropavlovsk il 5 giugno. Ad attenderlo trovarò un rescritto dello zar che gli conferiva la croce dell'ordine di Sant'Anna di Prima Classe; per Rezanov c'erano una tabacchiera e l'ordine di andare a ispezionare l'Alaska russa. Langsdorff decise di approfittare dell'occasione per visitare anche quelle contrade. Krusenstern dedicò il resto dell'estate a esplorare le coste di Sakhalin e le Curili, ma dovette rinunciare a cercare la foce dell'Amur per non mancare l'appuntamento con Lisjanskij a Macao. Partita da Peterpavlovsk il 5 ottobre, la Nadežda rischiò subito di arenarsi, quindi affrontò una navigazione molto difficile per le temperature rigide e le continue tempeste, raggiungendo infine Macao il 20 novembre. La Neva non c'era ancora. La Neva in Alaska e il viaggio di ritorno Scopriamo insieme perché. Il 10 luglio 1804 la Neva giunse nell'isola di Kodiak, in Alaska. Poco dopo, il governatore della colonia Baranov chiese a Lisjanskij di aiutarlo a liberare Sitka dai Tlingit, che, dopo aver cacciato i russi, vi avevano costruito un fortino. L'intervento della Neva, con i suoi 14 cannoni, fu determinante per il successo russo nella cosiddetta "battaglia di Sitka" (1-4 ottobre 1804). Lo scontro fu comunque molto duro, tra i marinai ci furono tre morti e diversi feriti. L'inverno era ormai alle porte e la Neva lo trascorse a Kodiak. Soltanto ad aprile il disgelo rese possibile mappare il golfo di Chiuniat e l'arcipelago Kodiak. Intanto le stive della nave si riempivano delle provviste per il viaggio e di 440.000 tra pellicce e pelli di tricheco da rivendere in Cina. Lasciato il porto di Pavlovsk sull'isola Kodiak il 13 giugno, arrivarono il 22 a Novo-Arckangelsk, come i russi avevano ribattezzato Sitka, dove nel frattempo il governatore Baranov aveva fatto costruire otto grandi edifici in legno che a Lisjanski apparvero "abbastanza decenti anche per l'Europa". Prima di lasciare l'Alaska, insieme a un compagno, egli volle scalare e esplorare il Monte Edgecumbe, il magnifico vulcano che domina Sitka. Il 1 settembre la Neva lasciò l'Alaska. Lungo la rotta per la Cina, secondo le istruzioni, avrebbero anche dovuto cercare terre sconosciute a est del Giappone; non ne incontrarono nessuna fino al 15 ottobre quando, proseguendo verso sudovest, si arenarono sulla barriera corallina. Gettando fuori bordo tutto il possibile, riuscirono a liberare la nave, che però rimase fortemente danneggiata. Fu così scoperta l'isola Lisianski (una scoperta di cui il dedicatario avrebbe fatto volentieri a meno). Mentre le provviste cominciavano a scarseggiare, la navigazione proseguì in condizioni difficili, peggiorate il 22 novembre da una tempesta al largo delle Marianne che mise in forse la sopravvivenza della nave. L'acqua penetrata nella stiva causò il deterioramento di molte pellicce, che dovettero essere gettate fuori bordo. Ecco i motivi del ritardo della Neva. Ricongiunte, la Nadežda e la Neva si trasferirono sull'isola di Wampoa, dove attraccavano le navi europee autorizzate a commerciare negli empori di Canton. I russi non erano tra questi (tanto che, dopo la loro partenza, i funzionari che avevano autorizzato le transazioni furono severamente puniti); inoltre stava per iniziare la stagione dei tifoni e, per non rischiare di rimanere bloccati per un altro anno, i funzionari della Compagnia accettarono la mediazione di una ditta inglese, cui dovettero versare una generosa commissione, vendendo infine le pellicce a un prezzo assai inferiore al previsto. Mentre le laboriose trattative commerciali proseguivano, la Neva venne riparata e messa in condizione di riprendere il viaggio. Il 31 gennaio 1806 le due navi lasciarono la Cina, fissando come eventuale punto d'incontro l'isola di Sant'Elena; viaggiarono insieme fino al 15 aprile, quando furono separate dalla nebbia e dall'oscurità. In una tacita gara con l'amico-rivale Krusenstern, Lisjanski decise di fare tutto il possibile per arrivare per primo. Procedendo a vele spiegate, doppiò il Capo di Buona Speranza il 20 aprile e, valutando di avere provviste sufficienti, proseguì direttamente per l'Inghilterra. Con una velocità senza riscontri per l'epoca, in soli 180 giorni raggiunse il porto di Portsmouth (28 giugno), da dove, dopo una sosta di due settimane, fece vela per Kronstadt, dove attraccò la mattina del 6 agosto, a tre anni esatti dalla partenza. Al contrario del suo secondo, Kruzenstern tenne fede ai patti. Doppiato il Capo di Buona Speranza, si diresse a Sant'Elena, dove giunse il 3 maggio. Quindi, facendo rotta verso l'Europa, toccò alcune isole scozzesi e Copenhagen, rientrando a Kronstadt il 19 agosto. Un versatile zoologo si trasforma in illustratore Sul piano scientifico la spedizione fu un indubbio successo. Le rilevazioni delle squadre della Nadežda e della Neva permisero di correggere le carte di Cook e La Pérouse, mappando varie aree del Pacifico settentrionale; vennero scoperte alcune isole, in Alaska, nelle Curili e nell'arcipelago hawaiiano. Inoltre Krusenstern fu il primo a dimostrare che Sakhalin non è collegata alla terra ferma. Con il rilevante contributo dell'astronomo Horner (1774-1833), vennero effettuate osservazioni e misurazioni oceanografiche, tra cui l'analisi della correlazione tra profondità, temperatura e peso specifico dell'acqua. Le soste sempre troppo brevi e la difficoltà di procurarsi e conservare gli esemplari senza alcun aiuto furono sicuramente una fonte di frustrazione per Tilesius e Langsdorff; forzatamente, i loro studi dovettero concentrarsi sulla biologia marina, che, per altro, era anche il settore di specializzazione di Tilesius. Mentre la Nadežda attraversava l'Atlantico in direzione del Brasile, studiarono e scoprirono la causa della luminescenza marina; in Giappone, come abbiamo già visto, scoprirono numerose specie di pesci. Come ho già anticipato, tornerò su Langsdorff in un prossimo post. Per concludere, quindi, qualche parola su Wilhelm Gottlieb Tilesius (1769-1857). Studente di medicina a Lipsia, seguì anche i corsi del pittore e scultore Adam Frederick Oeser, divenendo un eccellente disegnatore e incisore. Nel 1795-96, ancora studente, accompagnò Hoffmannsegg in Portogallo, dove si occupò soprattutto di animali marini. L'eccellente lavoro che ne ricavò, accompagnato da ottime illustrazioni di sua mano, attirò l'attenzione dell'Accademia delle Scienze russe, che lo propose come medico di bordo e naturalista della spedizione Krusentern. Il più vecchio e il più autorevole dei tre naturalisti, tendeva a comportarsi come il capo dell'équipe scientifica (creando una certa tensione con Langsdorff). Era soprattutto uno zoologo; tra le sue scoperte più rilevanti il granchio reale, Paralithodes camtschaticus. Soprattutto durante l'esplorazione di Sakhalin ebbe però occasione anche di studiarne la flora; tra le sue scoperte Artemisia sachaliensis, Artemisia tilesii e Serratula tilesii. Come abbiamo già visto, a partire dalla sosta nelle Marianne, divenne anche l'illustratore ufficiale della Nadežda . L'Atlante della Circumnavigazione pubblicato da Krusenstern nel 1813 è illustrato da 109 sue tavole, precise nei tratti ma non prive di efficacia evocativa. Le più celebri sono senza dubbio quelle dedicati ai guerrieri tatuati di Nuku Hiva. Dopo il rientro in Russia, fu nobilitato dallo zar (divenne così Tilesius von Tilenau) e ammesso all'Accademia delle scienze, che lo incaricò di ricostruire lo scheletro del mammut riportato dalla Siberia da Adams, il più completo conosciuto all'epoca. Tuttavia la sua carriera accademica non decollò e nel 1814 decise di tornare in Germania, dove, benché fosse membro di moltissime società scientifiche e continuasse a pubblicare molti articoli, soprattutto sugli animali marini, non riuscì mai ad ottenere una cattedra universitaria. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Gli strani frutti di Tilesia Il suo nome tuttavia era abbastanza noto. Nel 1818 G.F.W. Meyer gli dedicò il genere Tilesia, appartenente alla famiglia Asteraceae. Solo a inizio '900 il suo rilevante contributo allo studio degli animali marini fu premiato con la dedica di un genere di pesci, Tilesina. Tilesia Mey. comprende tre specie di erbacee o arbusti rampicanti diffusi nelle Antille, in Centro America e nel Sud America tropicale, caratterizzati da frutti carnosi simili a drupe, una particolarità quasi unica in questa famiglia. Infatti, a differenza delle altre Asteraceae sudamericane, che vivono in habitat aperti e hanno frutti secchi dispersi dal vento, le Tilesiae sono piante delle foreste semidecidue i cui semi sono dispersi da vari uccelli che si cibano delle bacche. La specie più nota, T. baccata, è una liana che vive lungo i corsi d'acqua o al margine delle foreste, con capolini terminali all'ascella delle fronde superiori, con flosculi del disco bisessuali arancioni e flosculi ligulati sterili, giallo vivo, spesso con apice trilobato. E' l'unica specie a fiori gialli, mentre le altre due (diffuse in aree ristrette) li hanno rossi. Qualche approfondimento nella scheda. Linneo trascorse l'estate del 1736 in Inghilterra. Lo scopo ufficiale del viaggio, finanziato dal suo datore di lavoro George Clifford, era procurarsi piante rare per arricchire le collezioni del suo mecenate; ma per il giovane studioso svedese era soprattutto l'occasione per conoscere i "colleghi" britannici e propagandare il suo nuovo sistema. Contrariamente alle aspettative, fu tutt'altro che una tournée trionfale. A Londra, i big della botanica inglese, da Sloane a Miller, lo accolsero con freddezza; né meglio andò ad Oxford, dove Dillenius, il primo titolare della cattedra di botanica sherardiana, lo apostrofò come "l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". A sentire Linneo e i suoi biografi, quello che era iniziato come un increscioso incidente diplomatico si risolse tuttavia in una vittoria dello svedese e in una dimostrazione luminosa dell'efficacia del suo metodo, tanto che alla fine l'arcigno tedesco l'avrebbe pregato in lacrime di diventare il suo assistente. Probabilmente non andò davvero così, ma è certo che da quel momento tra i due ci fu reciproca stima; l'anno successo, Linneo dedicò a Dillenius la sua Critica botanica e creò in suo onore il genere Dillenia. Del resto, il botanico tedesco era uno studioso di grande valore, la cui Historia muscorum segnò una tappa decisiva nello studio delle cosiddette "piante inferiori". Linneo a Londra: una fredda accoglienza Come ho raccontato in questo post (a proposito, era il centesimo e questo è il numero duecento!), tra il 1735 e il 1737 Linneo lavorò per il ricchissimo George Clifford, borgomastro di Amsterdam e direttore della Compagnia olandese delle Indie orientali, riorganizzando e catalogando il suo orto botanico privato di Hartekamp. Clifford desiderava ardentemente arricchire le sue collezioni con qualcuna delle rarità esotiche di provenienza americana coltivate nelle serre di Londra e Oxford; per questo accettò di privarsi per qualche settimana del "suo" botanico, inviandolo in Inghilterra a far incetta di piante. Per Linneo, che nel 1735 aveva pubblicato proprio in Olanda la prima edizione di Systema naturae, era l'occasione per conoscere di persona i big della botanica britannica, di cui sperava di ottenere il riconoscimento, proprio come aveva ottenuto quello di studiosi olandesi del calibro di Gronovius e Boerhaave. Gli esiti, tuttavia, furono molto lontani dalle speranze. Freddissima fu l'accoglienza di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, cui Linneo si era presentato munito di una lettera proprio di Boerhaave, in cui quest'ultimo invitava l'illustre collezionista ad accogliere quel giovane degno di lui, aggiungendo che "chi vi vedesse insieme, vedrà una coppia di cui il mondo difficilmente potrà vedere l'uguale". Sloane, che aveva 77 anni ed era abituato ad essere universalmente riconosciuto e riverito, non gradì per nulla l'accostamento a quell'ignoto neolaureato svedese trentenne, e si degnò appena di mostrargli le sue collezioni e il suo erbario. Le cose non andarono meglio con Philip Miller, il capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, da cui Linneo sperava di ottenere piante rare per il suo mecenate. Dopo la brutta esperienza con Sloane, egli, che aveva sentito dire che Miller era uno scozzese piuttosto scorbutico, pensò che fosse meglio comportarsi con prudenza. Quando quest'ultimo lo accompagnò a visitare il giardino e incominciò a illustrare le piante usando i prolissi nome-descrizione e le classificazioni di Ray e Tournefort, per non irritarlo rimase in silenzio. Il giorno dopo, venne a sapere che Miller si era fatto beffe di lui con i suoi amici dicendo che "quel botanico del borgomastro di piante non sa un'acca". Era troppo per Linneo che, quanto a brutto carattere, non era da meno di Miller. Alla sua seconda visita a Chelsea, quando il giardiniere gli mostrò l'erbario, contestò le sue denominazioni, sostenendo che "se ne possono usare di migliori e più sintetiche" e cercò in ogni modo di fare sfoggio delle sue competenze. Il risultato fu di far imbufalire Miller, che non amava essere contraddetto e giudicava Linneo un arrogante presuntuoso, il cui sistema non aveva nulla a che fare con la realtà delle piante, serviva solo a mettersi in mostra e non avrebbe avuto futuro; egli avrebbe cambiato idea solo molti anni dopo, nel 1768, quando nell'ottava edizione del suo Gardeners Dictionary si convinse finalmente ad adottare il sistema linneano. Gli errori di Linneo... e quelli di Dillenius Linneo non fu accolto a braccia aperte neppure ad Oxford, dove era andato appositamente per incontrare Johann Jacob Dillenius, lo scienziato di origine tedesca che da qualche anno era il titolare della prima cattedra di botanica presso quell'università, nonché curatore dell'orto botanico. Durante il primo incontro Linneo mantenne una condotta cortese e deferente. Esordì scusandosi di dover parlare in latino, visto che non conosceva l'inglese. Dillenius bruscamente si rivolse a un altro gentiluomo che assisteva al colloquio (secondo i biografi di Linneo, si tratterebbe di James Sherard) che gli aveva chiesto chi fosse quel giovanotto, dicendo: "E' l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". Poiché aveva parlato in inglese, pensava che Linneo non avrebbe capito; lo svedese, invece, non solo capì che si parlava di lui, ma anche la sostanza delle parole di Dillenius (l'inglese confusion è simile al latino confusio), ma al momento decise di abbozzare. I tre quindi si spostarono in giardino; Linneo notò una pianta che non aveva mai visto: "Che pianta è?" "Dovreste dirlo voi a me!" "Certamente, se mi permettete di esaminare un fiore." "Avanti, lo faccia." Linneo eseguì e, contando gli stami e il pistillo, ne diede il nome corretto, ma non per questo Dillenius si sciolse. Linneo era ormai convinto che il suo viaggio fosse stato inutile e, visto che incominciavano anche a scarseggiare i soldi, il giorno dopo tornò da Dillenius per congedarsi. Questa volta il cattedratico era solo. Linneo lo pregò di inviare un servitore a fissare per lui la carrozza di posta che l'avrebbe riportato a Londra, quindi, con la massima cortesia di cui era capace, gli domandò: "Perché ieri avete detto all'uomo che era con voi che sono quello che porta confusione nell'intera botanica?" Dillenius, molto imbarazzato, cercò di cambiare argomento, ma Linneo insisteva. "Venite con me", disse allora il tedesco e lo portò nella sua biblioteca. Da uno scaffale estrasse una copia di Systema naturae che aveva ricevuto da Gronovius e mostrò quelle pagine costellate della sigla NB. "Che significa?" domandò Linneo. "Sono gli errori del vostro libro" "Non sono errori, ma se lo fossero, insegnatemi meglio. Riceverò con gratitudine le vostre correzioni". "Benissimo, proviamo. Ecco, ad esempio, il genere Blitum. Lei pretende che abbia un solo stame, ma ne ha tre". Linneo e Dillenius si spostarono in giardino, Linneo esaminò un fiore di Blitum e mostrò che lo stame era effettivamente uno. "Bah, è un esemplare anomalo". Li osservarono tutti e risultò che aveva ragione Linneo. L'esame continuò con altri generi, sempre dimostrando che le descrizioni di Linneo erano corrette. A questo punto, Dillenius cambiò totalmente atteggiamento, e, stando alla versione diffusa da Linneo, l'avrebbe addirittura supplicato in lacrime di non partire ma di fermarsi ad aiutarlo a classificare l'erbario di Sherard, in cambio di metà del suo salario. E' probabile che le cose non siano davvero andate così se poco dopo Dillenius scrisse a un collega "Linneo ha certamente una conoscenza approfondita della botanica, ma il suo metodo non funziona"; e qualche anno dopo avrebbe scritto allo stesso Linneo: "Non ha dubbi che voi stesso, un giorno, rigetterete il vostro sistema". In ogni caso tra i due si era stabilita una stima reciproca; iniziarono a scriversi e a scambiarsi esemplari e le rispettive pubblicazioni. Nel 1738 Linneo dedicò a Dillenius Critica botanica e tenne poi sempre in grande considerazione le opere del collega tedesco, da cui riprese diversi generi in Species plantarum. Un grande tassonomista e l'inizio dello studio scientifico delle crittogame Per quanto ritoccato da Linneo e dai suoi biografi, l'aneddoto assume quasi il valore di un metaforico passaggio di testimone tra la vecchia scuola tassonomica di Ray e Tournefort, di cui Dillenius fu un esponente di primo piano, e il nuovo sistema linneano. Del resto, tra i due protagonisti di questa storiella, curiosamente, c'è più di una affinità. Come Linneo si era trasferito in Olanda e aveva iniziato la sua carriera classificando le collezioni di un mecenate, lo stesso aveva fatto Dillenius, spostandosi dalla nativa Germania in Inghilterra al servizio del botanico e collezionista William Sherard. Nato nel 1684 a Darmstadt, si formò e insegnò medicina e botanica all'università di Giessen; nel 1719 pubblicò una flora dei dintorni di questa città, Catalogus plantarum sponte circa Gissam nascentium, che illustrò di propria mano, essendo anche un eccellente disegnatore e incisore. E' un'opera notevole perché, accanto alle fanerogame, tratta anche le crittogame e presenta uno dei primi tentativi di classificazione dei funghi; delle 160 specie di funghi descritte, 90 erano inedite; delle 200 specie di muschi, erano sconosciute ben 140. Questo lavoro diede fama europea a Dillenius e attrasse l'attenzione di William Sherard che nel 1721 lo invitò a trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo a catalogare il suo immenso erbario e ad allestire il catalogo del giardino di Eltham nel Kent, dove suo fratello James (anche lui appassionato botanico) coltivava piante rare. Lavorando fianco a fianco con William Sherard, che aveva studiato a Parigi con Tournefort, Dillenius divenne uno dei migliori tassonomisti della sua generazione, con un'approfondita conoscenza anche del sistema di Ray, di cui nel 1724 curò la terza edizione di Synopsis Methodica Stirpium Britannicarum, incorporandovi tra l'altra l'opera sui muschi del reverendo Adam Buddle. Stabilitosi a Eltham, Dillenius divenne il curatore di quel magnifico orto botanico privato, di cui documentò le collezioni in Hortus elthamensis, uscito infine dopo una lunga rielaborazione nel 1732; in due spettacolari volumi in folio, con 324 tavole disegnate e incise dallo stesso Dillenius, è uno dei capolavori della botanica prelinneana, per la precisione delle descrizioni (la parte tassonomica è per lo più dovuta allo stesso Sherard) e la bellezza delle immagini, in cui vengono trattate e illustrate 417 piante rare e esotiche; di grande importanza storica la trattazione delle succulente sudafricane, che fu ampiamente riutilizzata da Linneo. Catalogare l'immenso erbario del maggiore dei fratelli Sherard richiedeva un impegno anche più gravoso: rendendosi conto che non gli restava molto da vivere, nel suo testamento William lasciò all'università di Oxford la sua biblioteca, il suo erbario e un lascito di 3000 sterline, a condizione che venisse istituita una cattedra di botanica da affidare al professor Dillenius, che avrebbe dovuto completarne lo studio e la catalogazione. Sherard morì nel 1728, ma Dillenius, ancora impegnato a Eltham, poté assumere il nuovo incarico solo nel 1734. Possiamo credere che non gli sarebbe davvero spiaciuto essere affiancato da Linneo, come lui aveva affiancato il vecchio Sherard; nelle sue lettere, spesso lamenta di aver perso tempo e denaro (sembra che i fratelli Sherard lo pagassero molto poco) in quel compito immane, di cui non venne mai a capo, anche perché, probabilmente, preferiva ricerche più originali, in particolare lo studio delle sue amate crittogame. Frutto di un lavoro ventennale, il suo capolavoro è infatti Historia muscorum (1741), in cui vengono trattati, oltre ai muschi, altri gruppi di "piante inferiori": funghi, alghe, licheni, epatiche, antocerote e licopodi, per un totale di 661 taxa. Anche in questo caso, le 85 tavole che illustrano il grosso volume di 576 pagine sono di sua mano. I funghi sono classificati sulla base delle caratteristiche del corpo fruttifero (criterio poi fatto proprio da Linneo) e vengono creati numerosi generi, che poi furono mantenuti dallo svedese. Ogni voce comprende una dettagliata descrizione, la lista dei sinonimi e l'indicazione degli eventuali usi. Era un'opera costosa, di cui furono stampate solo 250 copie, vendute al prezzo di una ghinea l'una, che si rivelò un insuccesso finanziario; per recuperare almeno in parte le spese, Dillenius ne preparò una versione abbreviata, priva di illustrazioni, che conteneva solo i nomi, l'habitat e una breve descrizione, rimasta però allo stadio di manoscritto. Per raccogliere il materiale necessario, nel 1726, egli aveva fatto una lunga escursione in Galles, ma soprattutto ricorse al contributo di numerosissimi corrispondenti in Inghilterra e all'estero. Morì nel 1747 in seguito a un colpo apoplettico. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Dillenia ovvero una chicca per elefanti Nel 1736 Clifford ottenne alcuni semi di una pianta indiana detta syalita; seminati a Hartekamp, germinarono, ma le pianticelle sopravvissero solo due settimane. Quanto bastava perché Linneo potesse includere anche questa specie nel catalogo del giardino, Hortus Cliffortianus (1737), traendo la descrizione da Hortus Malabaricus e da Herbarium Amboinense di Rumphius; stando a queste fonti, si trattava di un albero di notevole bellezza; Linneo ritenne capitasse proprio al momento giusto per ingraziarsi il bisbetico professore tedesco e la denominò Dillenia indica, con queste parole: "Ho nominato questo albero dai bellissimi fiori e dai frutti enormi in onore di Dillenius, dottore in medicina, botanico incomparabile dei tempi nostri, professore sherardiano a Oxford e membro dell'Accademia Leopoldina". Confermò poi il genere in Species Plantarum, 1753. Dillenia L, che dà il nome alla famiglia Dilleniaceae, comprende un centinaio di specie di alberi, arbusti e liane tropicali, diffusi tra il Madagascar, l'India, il sud-est asiatico e l'Oceania occidentale. La specie più nota è proprio D. indica; è un grande arbusto o un piccolo albero con chioma tendenzialmente tondeggiante e spettacolari fiori candidi che possono ricordare quelli di Magnolia grandiflora, seguiti da enormi frutti tondeggianti giallo-verdastro. Di sapore tra l'acido e l'amarognolo, in India sono aggiunti ai curry o usati per preparare marmellate e gelatine. A esserne ghiotti sono soprattutto gli elefanti (i frutti crescono molto in alto, dove non sono raggiungibili da animali più piccoli), tanto da essere noti come "mela degli elefanti". Di grande valore ornamentale e talvolta usata in giardini e alberate in aree a clima tropicale è D. philippinensis, endemica delle Filippine; simile alla precedente, ha fiori con cinque sepali candidi che circondano una doppia corona di stami rossi e porpora, seguiti da frutti globosi. Di quest'albero, detto catmon, viene utilizzato tutto: il legname; la corteccia da cui si ricava un colorante rosso; i sepali carnosi eduli; i frutti, il cui sapore dovrebbe ricordare quello di una mela acida, usati per preparare salse e confetture e aromatizzare il pesce; corteccia e foglie hanno proprietà astringenti, antinfiammatorie, antimicrobiche e analgesiche. Può essere coltivata come pianta da interni o da serra in grandi contenitori. Qualche notizia in più nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
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