C'è stato un tempo in cui la Spagna era la massima potenza europea; in quel momento d'oro della sua storia, il suo potentissimo sovrano, Filippo II, ordina a uno dei suoi medici personali di esplorare la natura dei suoi domini, di studiare le piante esotiche e di indagarne le virtù terapeutiche. Sarà la prima spedizione naturalistica ufficiale dei tempi moderni. Il grande medico e botanico Francisco Hernández assolve il suo compito al di là di ogni aspettativa. Ma proprio come l'oro americano, le sue scoperte non porteranno alcun frutto in patria, e andranno a fecondare la botanica italiana e europea. A ricordarlo il genere Hernandia, e l'intera famiglia delle Hernandiaceae. Il mancato siglo de oro della botanica spagnola Anche in botanica, la Spagna ha avuto - o meglio, avrebbe potuto avere - un siglo de oro. Il dominio del Nuovo mondo metteva nelle mani di Madrid le chiavi d'accesso a quel favoloso continente, un scrigno di nuove specie mai viste che faceva sognare tutti i naturalisti d'Europa. E all'inizio ne fu perfettamente consapevole: come abbiamo visto parlando di Monardes, Siviglia, sede della Casa de Contractacion, era il punto d'arrivo non solo dell'oro e dell'argento americano, ma anche delle piante esotiche, dal tabacco al girasole, dal peperoncino al Tagetes. Anche sul piano culturale e teorico, la Spagna era perfettamente attrezzata: aveva partecipato allo stesso livello degli altri paesi al grande revival di Dioscoride - di cui Andrès Laguna pubblicò una delle più importanti edizioni commentate; aveva strutture all'avanguardia (già nel 1550 Salamanca aveva il suo Teatro anatomico e nello stesso periodo Laguna creava il parco-giardino a Aranjuez); i suoi medici-botanici viaggiavano in Italia, in Francia, nei Paesi bassi, erano in contatto con tutti quelli che contavano ed erano parte propulsiva della grande rete dei naturalisti del Rinascimento. Per essere il primo paese d'Europa nello studio della botanica non mancavano dunque né l'opportunità, né le conoscenze e neppure la consapevolezza dell'enorme importanza anche sul piano economico e politico della posta in gioco; in particolare era chiarissimo l'enorme potenziale delle piante americane per la cura di vecchie e nuove malattie. Eppure qualcosa si inceppò, qualcosa non funzionò e il primato, appena intravisto, si bruciò nell'arco di due generazioni. Proprio come la potenza spagnola, trascinata alla rovina prima dalla megalomania cattolica di Filippo II poi dalla nullità boriosa di Filippo III e Filippo IV. Metafora delle potenzialità bruciate della Spagna tra Cinquecento e Seicento, piccola storia in cui si rispecchia la grande Storia, la vicenda della "Comision de Francisco Hernández a Nueva España" vale la pena di essere raccontata. La "Comision de Francisco Hernández a Nueva España" Francisco Hernández, nato nel 1514, faceva parte della prima generazione degli studiosi spagnoli che avevano partecipato con passione alla riscoperta delle opere botaniche dell'antichità. Si era costruito una solida fama di medico, botanico, naturalista, era un umanista di formazione erasmiana che stava preparando la prima traduzione spagnola dell'opera di Plinio il Vecchio. A metà degli anni '60, entrò nell'ambiente di corte fino a diventare uno dei medici di Filippo II. Non è strano dunque che il re abbia pensato proprio a lui per la missione che avrebbe dovuto, d'un solo colpo, collocare la Spagna all'avanguardia degli studi naturalistici. Nel 1570, dopo averlo nominato "protomedico generale delle nostre Indie", gli affidò il compito di dirigere la spedizione incaricata di esplorare - per una durata di cinque anni - le risorse naturali (essenzialmente a fini medici) di tre territori della corona spagnola: la nuova Spagna (il Messico e l'America centrale), il Perù, le Filippine. E' la prima spedizione scientifica ufficiale dei tempi moderni. Il re la organizzò senza badare a spese (un contemporaneo dichiarò che alla fine era costata 60.000 ducati, un cifra enorme se si calcola che con 100 ducati si poteva acquistare una casa). Un'impresa destinata a dare prestigio al monarca che tanto generosamente la finanziava, ma anche con trasparenti scopi economici: imporre il monopolio della Spagna sul mercato dei farmaci di origine americana. Dopo alcuni mesi di preparativi, nell'agosto 1570 il gruppo si mise in viaggio: oltre a Francisco Hernández, ne facevano parte suo figlio Juan, con compiti di segretario, e il geografo Francisco Dominguez, incaricato delle rilevazioni topografiche; tutti gli altri collaboratori sarebbero stati reclutati sul posto. Dopo una sosta a Gran Canaria e una tappa a Santo Domingo de Cuba, a febbraio 1571 il gruppo sbarcò a Veracruz, al tempo il maggior porto della Nuova Spagna e la principale base della penetrazione spagnola in centro America. Nei successivi tre anni la spedizione - cui si erano aggiunto numeroso personale indigeno, tra cui tre pittori, medici e erboristi, un interprete e numerosi servitori - percorse sistematicamente tutti i territori della Nuova Spagna fino ad allora esplorati, attraverso una serie di grandi giri che includevano la zona centrale del Messico, la costa del Pacifico, le regioni di Oaxaca e Michoacán, il corso del Pánuco. Per raccogliere gli esemplari, Hernández si avvalse della collaborazione di raccoglitori indigeni; per ottenere descrizione omogenee, non influenzate dalle differenze linguistiche e culturali, elaborò un dettagliato questionario-guida. Creò anche un modello formalizzato per l'erborizzazione e la raccolta, che prevedeva la visita delle stazioni più volte durante l'anno, per esaminare le piante nei diversi stadi dello sviluppo. Piante e animali vennero scrupolosamente disegnati a vivaci colori dai pittori indigeni che accompagnavano la spedizione. Nel marzo del 1574, raccolta un'immensa quantità di materiali (la descrizione di 3000 piante, 400 animali, un centinaio di minerali; semi, piante vive e essiccate, insetti, piume, scheletri e pelli di animali), Hernández rientrò a Veracruz per predisporre riordinare le collezioni, presiedere al completamento delle illustrazioni, testare di persona l'efficacia terapeutica dei semplici locali attraverso la sperimentazione diretta negli ospedali della città. Nel 1575 l'opera era terminata. Era una vera enciclopedia, senza eguali nella scienza del tempo: 24 volumi sulle piante, uno sulla fauna, uno sui minerali, 10 volumi di disegni. Tra le piante documentate l'ananas, il cacao, il mais, il tabacco, la vaniglia, i peperoncini, i pomodori, molti tipi di cactus, diversi tipo di Passiflora, Guaiacum officinale, Strychnos nux-vomica, molte piante con proprietà allucinogene come alcune specie di Datura. Di fronte a quel materiale immenso, raccolto con la determinante partecipazione degli indigeni, la nomenclatura e i criteri di classificazione europei (ancora basati su Dioscoride e Plinio) si rivelavano inutili: senza alcun pregiudizio eurocentrico, Hernández usò i nomi indigeni e spesso raggruppò le piante secondo i criteri della medicina locale (a piante diverse, con effetti terapeutici simili, venivano assegnati nomi formati dalla medesima radice). Nel marzo del 1576, dopo aver predisposto una seconda copia, Hernández affidò alla flotta reale la copia lussuosamente rilegata da donare al re, gli erbari, le piante vive, le casse con le raccolte. Si trattenne ancora un anno in Messico, a sperimentare e a curare le vittime di una epidemia. Partito il 30 marzo 1577, a settembre rientrava a Siviglia. Le strane avventure del Tesoro messicano Ma la Spagna in cui Francisco Hernández sbarcò non era quella da cui era partito. Filippo II accolse con cortesia il medico, ammirò i disegni e ne volle alcuni nei suoi appartamenti privati, ma il suo entusiasmo non andò oltre. L'opera si rivelava enorme e probabilmente aveva troppo ecceduto i suoi desideri: avrebbe voluto un catalogo di piante medicinali utili, da vendere sui mercati europei, invece si trovava nelle mani un'immensa enciclopedia naturalistica, con nomi incomprensibili e troppe concessioni alla sapienza indigena. In una Spagna alle prese con la seconda bancarotta e impegnata nel braccio di ferro con i Paesi Bassi e l'Inghilterra, la sua pubblicazione a stampa era impensabile (tra testi e disegni, secondi i calcoli dello stesso Hernández non meno di 16 volumi in folio); i soldi non c'erano, ma presumibilmente neppure la volontà. Per non perdere del tutto l'enorme investimento, forse per il declino della salute di Hernández, forse in polemica con l'impostazione troppo "indigenista", il re affidò a un altro dei medici reali, l'italiano Nardo Antonio Recchi, il compito di predisporre un'edizione abbreviata, in lingua latina, selezionando solo le piante di interesse medico. In una poesia latina, dedicata all'amico Arias Montano, Hernández, già molto malato, espresse con estrema dignità il suo dolore per essere stato emarginato dal frutto di tante fatiche. Morì nel 1587. Qualche approfondimento nella biografia. Anche l'impresa di Recchi però incontrò ostacoli. Benché epurata del suo indigenismo (si torna a far riferimento alla teoria galenica dei quattro umori), ridotta a un solo tomo (le piante passano a circa 800), più uno di tavole, e completata nel 1582, non venne mai pubblicata in Spagna. Nel 1589, al suo rientro in Italia per assumere l'incarico di protomedico del reame di Napoli, Recchi portò con sé il manoscritto, che passò al suo erede Marco Antonio Petilio; questi intorno al 1610 lo vendette a Federico Cesi, il fondatore dell'Accademia dei Lincei, che con la collaborazione di diversi membri dell'Accademia - Giovanni Faber (Johannes Schmidt), Giovanni Terrenzio (Johann Schreck), Fabio Colonna, Francesco Stelluti e Cassiano dal Pozzo - su di esso si basò per predisporre un'edizione a stampa, arricchita con commenti e nuove figure. Finalmente nel 1628, per i tipi del tipografo Mascardi a Roma, usciva la prima parte dell'opera sotto il titolo Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus (più conosciuta come "Tesoro messicano") che riproduceva, in dieci libri, il compendio di Nardo Recchi. Tra il 1631 e il 1648, usciranno la II, III e IV parte, con aggiunte, annotazioni e indici elaborati dai membri dell'Accademia. Sarà questa la via principale che farà conoscere Hernández alla scienza europea e ne consoliderà la fama come massimo conoscitore della natura del nuovo mondo. L'opera fantasma di Hernández, intanto, conosceva una vita carsica. Già nel 1607, in Messico, Juan de Barros, in appendice al suo Verdadera medicina, cirurgia y astrologia en tres libros, aveva pubblicato un ricettario - attribuito a Hernández - in cui le piante indigene, con nomi in lingua nahuatl, sono raggruppate in base alla parte del corpo che dovrebbero curare (disposte dalla testa ai piedi). Barrios si basò, presumibilmente, su un altro manoscritto di Hernández, rimasto in Messico: forse una prima versione del suo magnus opus, forse un estratto ad uso dei medici messicani, spagnoli e indigeni. Qualche anno dopo, sempre in Messico, questa volta sulla base della silloge di Recchi, Francisco Ximénez, frate e infermiere del convento di San Domingo di Città del Messico, nel 1615 pubblicò Cuatro libros de la naturaleza y virtudes de las plantas y animales de uso medicinal en la Nueva España, in cui il testo di Hernández-Recchi, senza figure, è integrato con osservazioni dovute all'esperienza medica dell'autore. Il manoscritto originale era conservato all'Escorial e sicuramente fu visto e consultato dagli studiosi che visitarono la Spagna, fu spesso citato e sicuramente se ne trassero copie parziali e estratti. Nel 1590 Filippo II donò a un altro medico di corte, Jaime Honorato Pomar - il titolare della più antica cattedra di botanica in Spagna - un prezioso manoscritto miniato, oggi noto come Codex Pomar, che contiene circa 200 acquarelli con animali e piante del vecchio e del nuovo mondo. Le figure di 7 animali e 25 piante, come ha dimostrato il confronto con le tavole dell'edizione romana del Tesoro del Messico, derivano dal manoscritto di Hernández. Quest'ultimo nel 1671 andò perduto nell'incendio della Biblioteca dell'Escorial. L'opera originale di Hernández, tuttavia, non scomparve del tutto: alla fine del Settecento, nella Biblioteca dei gesuiti di Madrid Juan Bauptista Munoz ne scoprì una copia parziale (tre volumi di botanica, uno di zoologia, uno di opuscoli vari); ne informò il re Carlo III che, nel pieno del rinnovamento della scienza spagnola, affidò l'incarico di pubblicarla al grande botanico Casimiro Gomez Ortega. Ma la maledizione hernandina continuava: neppure Gomez Ortega vide completata la sua fatica (riuscì a pubblicare solo la parte di botanica, nel 1790). Tuttavia, proprio questo ritrovamento stimolò la stagione delle grandi spedizioni naturalistiche finanziate dalla monarchia spagnola. Hernandia, frutti senza polpa Nonostante tanta sfortuna editoriale, Francisco Hernández, forse il più grande botanico spagnolo del Rinascimento, e la sua opera mai pubblicata, perduta, sconciata, rimasero un mito per le generazioni successive. Padre Plumier, sempre molto attento ai contributi spagnoli alla conoscenza delle piante americane, non poteva certo dimenticarlo e gli dedicò uno dei suoi nuovi generi (Nova plantarum americanarum genera, 1703). Nel 1753 Linneo convalidò il genere Hernandia, considerandolo appropriato non solo perché la specie-tipo, H. sonora, fa parte della flora messicana, ma perché nel curioso frutto della pianta scorgeva una corrispondenza ironica con le vicende della spedizione nella Nuova Spagna; come in quella un enorme investimento di denaro alla fine aveva prodotto ben pochi frutti, così i frutti delle Hernandiae sono piccole e modeste drupe racchiuse in una cupola carnosa vuota. Hernandia - che dà il nome alla famiglia delle Hernandiaceae - è un genere di alberi o arbusti pantropicali che comprende circa 25 specie. La sua particolare distribuzione - Antille, coste americane e africane, isole dell'Oceano Indiano, Australia e Polinesia - si spiega con la dispersione dei frutti da parte delle onde marine. Oltre al curioso frutto "vuoto", un'altra particolarità di questo genere è la spiccata eterofillia: le foglie giovanili, in genere a tre o cinque lobi, sono estremamente diverse da quelle adulte, semplici, spesso peltate. Il legname leggero e di facile lavorazione ha fatto sì che presso diverse popolazioni sia stato usato per costruire canoe. Qualche approfondimento nella scheda.
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Nel 1751, l'arrivo a Madrid di Pehr Loefling, discepolo prediletto di Linneo, scuote lo stagnante ambiente della botanica spagnola. Finalmente nella capitale nasce un orto botanico, destinato a diventare la più importante istituzione botanica del paese; con tatto e consumata abilità diplomatica, Loefing riesce ad appianare le ostilità iniziali. Della sua strategia di avvicinamento fa anche parte la dedica da parte del maestro di quattro nuovi generi ad altrettanti botanici spagnoli. Ed ecco nate Queria (ma - ed è appena giusto - il nome non è più valido), Minuartia, Ortegia e Velezia. In difesa dell'onore botanico della Spagna Nel Settecento, il progresso delle nazioni passa anche attraverso la botanica. Per la valorizzazione economica del territorio, è indispensabile la rilevazione delle risorse naturali, in primo luogo botaniche, tanto per un'agricoltura più produttiva e razionale quanto per una pratica medica e farmaceutica più efficace. Anche la nuova dinastia dei Borboni, installatasi in Spagna proprio all'inizio del secolo e riconosciuta dalle potenze europee nel 1714 con la pace di Utrecht, è coinvolta in questo processo. Sebbene il paese iberico nel Rinascimento fosse stato all'avanguardia nel campo della botanica, da almeno un secolo gli studi naturalistici sono stagnanti. Non mancano certamente né studiosi né investigatori sul campo, ma sono legati a modelli del passato: contrariamente a quanto è avvenuto almeno da un cinquantennio in Inghilterra come in Francia, in Olanda come in Svezia, la botanica in Spagna non è ancora una scienza autonoma, rimane un'ancella della medicina e anche più della farmacia (tutti i personaggi che incontreremo in questa storia sono farmacisti-raccoglitori, più che botanici). A metà del secolo, anche il modello teorico dominante, che è quello di Pitton de Tournefort, è decisamente superato. Ecco perché José de Carvajal, segretario di stato di Ferdinando VI, decidendo di aggregare una squadra di scienziati alla spedizione che doveva fissare i confini tra Spagna e Portogallo in America meridionale (Expedition de Limites de Orinoco) pensò di chiedere l'aiuto dell'astro delle scienze naturali europee, Carlo Linneo. Fu così che Pehr Loefling, giovanissimo e brillante allievo del luminare svedese, fu catapultato in Spagna, con il duplice compito di capeggiare l'équipe dell'Orinoco e di convertire i botanici spagnoli al metodo del maestro. Questo post è dedicato al secondo aspetto; un secondo sarà dedicato a Loefling e al suo contributo alla conoscenza della natura in Spagna e Venezuela. Il compito, per così dire diplomatico, del giovane naturalista svedese non era semplice: l'ambiente dei botanici spagnoli gli era decisamente ostile, e non senza responsabilità di Linneo stesso. Con il suo solito tono tronfio, nel 1736 in Bibliotheca botanica aveva dichiarato che la flora spagnola era tanto ricca quanto misconosciuta a causa dell'enorme "barbarie botanica" che imperversava nel paese. Ce n'era abbastanza per pungere l'orgoglio nazionale dei botanici spagnoli, in particolare del loro decano, José Quer y Martinez (1695-1764), che si affrettò a rispondere con un'apologia della scienza spagnola intitolata Discurso analítico sobre los métodos botánicos e rincarò la dose con il Catálogo de los autores españoles, que han escrito de Historia Natural in cui esaltò il contributo degli scienziati iberici alla conoscenza della flora e della fauna del nuovo mondo. Di fronte ai posteri, Quer ha pagato cara la sua ostilità a Linneo: medico e farmacista, era un ottimo raccoglitore e conoscitore di piante (il suo erbario, oggi conservato a Ginevra, comprende circa 2000 esemplari); tuttavia, mancava di metodo e si ostinò fino alla fine a non utilizzare la denominazione binomiale nella sua Flora española, che nacque già obsoleta. Di conseguenza, un po' ingiustamente è passato alla storia come il medico e botanico pasticcione e passatista che si è opposto a grande Linneo. La nascita del Real Jardin botanico de Madrid Diversamente dal collega, un atteggiamento non pregiudizialmente ostile verso Loefling e Linneo assunse il secondo uomo della botanica iberica, il farmacista Joan Minuart (Quer e Minuart saranno rispettivamente primo e secondo professore di botanica al Real jardin botanico); in effetti, la botanica catalana era la più avanzata del paese, grazie soprattutto alla famiglia Salvador che aveva collaborato con Tournefort e i Jussieu e manteneva contatti con gli ambienti scientifici d'oltralpe. Anche Minuart, allievo di Jaime Salvador, si era formato nel credo tournefortiano, ma era un uomo di animo buono e aperto che fece un'ottima impressione su Loefling; ammise che il metodo di Linneo era molto interessante, ma non faceva per lui: era troppo vecchio per cambiare, e la sua vista ormai indebolita gli impediva di mettersi a contare cose così piccole come stami e pistilli. Altre notizie su di lui nella biografia. Erano ovviamente i più giovani a vedere nell'arrivo di Loefling, giunto a Madrid nel 1751, un'opportunità per svecchiare la botanica del paese. La favorevole circostanza spinse il farmacista reale Josè Ortega a proporre al ministro Carvajal la trasformazione in Hortus Regius del piccolo giardino botanico privato creato nel 1744 dal duca di Atrisco, a partire da semi raccolti nei suoi viaggi in Spagna, Italia, Francia. "Un orto botanico o una scuola reale di botanica - scrisse nell'esposto - introdurranno la deliziosa scienza nel paese e, di conseguenza, da una parte lavorerà il gruppo madrileno, mentre dall'altra lo svedese potrà far mostra delle grandi cose che offre". E' il primo passo per la fondazione del Real jardin botanico inaugurato nel 1755, a Migas Calientes, alla periferia di Madrid. José Ortega aveva una buona conoscenza dell'Europa perché il re Ferdinando VII lo aveva inviato in varie capitali europee per raccogliere informazioni al fine di creare una Reale Accademia delle Scienze. Accolse Loefling calorosamente e si mostrò assai aperto al metodo linneano: "il più affamato di tutti", lo definisce Loefling. Una vera amicizia nacque poi con Cristobal Velez, un quarantenne farmacista madrileno che aprì allo svedese la sua casa e la sua biblioteca; purtroppo morì precocemente nel 1753. Bisogna attendere però la generazione successiva per la definita affermazione del metodo linneano in Spagna, soprattutto grazie a Casimiro Gomez Ortega, nipote di José Ortega e figura eminente della botanica spagnola di fine secolo. Qualche notizia in più su Ortega e Velez nella sezione biografie. Minuscole piante spagnole Per vincere la resistenza degli spagnoli, oltre alla simpatia personale, alla pazienza e alla dimostrazione quotidiana della competenza come naturalista, che ne faceva un esempio vivente della validità del metodo del maestro, Loefling seppe anche sfruttare la vanità umana. Ormai la parola di Linneo negli ambienti scientifici europei aveva la pregnanza di un oracolo e ottenere la dedica di una pianta in Species plantarum (a cui stava giusto lavorando e che uscirà nel 1753) era la più o meno confessata aspirazione di tutti i botanici europei. In una lettera di quell'anno al medico e naturalista tedesco Ludwig, Linneo espresse grande entusiasmo per alcune "minutissimae plantae Hispanicae" (minuscole piante spagnole) che gli erano state inviate dall'allievo; e su suo suggerimento, le incluse nell'opera, creando i quattro generi Queria, Minuatia, Ortegia e Velezia. Oggi sono tutti annoverati nella famiglia Caryophyllaceae/Dianthaceae. Con una certa giustizia poetica, Queria è un nome non valido (le sue specie sono ora incluse Minuartia); Ortegia è un genere monospecifico con la specie O. hispanica; Velezia è un piccolo genere di due specie, V. rigida e V. quadridentata. Quindi, alla fine, l'omaggio maggiore è toccato al buon Minuart, con il genere Minuartia, uno dei più vasti della famiglia, ben conosciuto dagli amanti della flora alpina per i suoi cuscinetti di fitte foglioline che ricordano il muschio, trapuntati dalle minute stelline bianche dei fiori. Per maggiori informazioni sui tre generi, si rimanda alle rispettiva schede. Nella seconda metà del Cinquecento, a Siviglia il medico Nicolas Monardes sperimenta i semplici che arrivano dalle Americhe e li coltiva nel suo giardino; è il primo a descriverli in un'opera scientifica dal lunghissimo titolo che ben presto diventa un bestseller, tradotto e letto in tutta Europa. Linneo gli dedicherà il genere Monarda, una soave labiata dalle foglie profumate e dai bellissimi fiori. Ma indirettamente, lo celebra anche Monardella. Un giardino americano in calle de las Sierpes Nel 1503 a Siviglia nasce la Casa de contractacion, l'organismo per il quale devono passare tutte le merci americane, sulle quali va versata un'imposta del 20% (il quinto real). La Casa è anche un luogo di studio e formazione scientifica, attraverso il quale scorre un incessante flusso di materiali, curiosità e notizie etnografiche che conquistadores e trafficanti riversano sulla madre patria. A Siviglia arrivano sempre più numerose anche le piante americane (inizialmente dalle isole, poi dalla Tierra Firme, com'è chiamato il territorio continentale attorno al golfo dei Caraibi, quindi dal Perù e dalla Florida) che, oltre a suscitare curiosità, vengono immediatamente rivestite di ogni possibile potere taumaturgico. Tra i sivigliani che si appassionano della flora del nuovo mondo, c'è anche Nicolas Monardes, un medico coltissimo, che appena può trasferirsi in una casa con un terreno coltivabile, trasforma la prima in un gabinetto di curiosità, la seconda in un giardino di acclimatazione delle specie del nuovo mondo. Prova a seminare tutti i semi che riesce a procurarsi: coltiva soprattutto le piante medicinali che usa nel suo lavoro, ma anche piante da frutto, come la guaiava, e qualche ornamentale, come la hierba del sol (cioè il girasole Helianthus annuus) e i flores de sangre (ovvero i nasturzi Tropeolum majus). Già diffuso come ornamentale negli altri giardini della città, ma appassionatamente studiato da Monardes per le sue virtù medicinali, c'è anche il tabacco; il dottore è un estimatore anche del peperoncino - che a quanto racconta era già popolarissimo negli orti sivigliani, dove se ne coltivavano esemplari alti come un albero - migliore nel gusto e molto meno costoso del pepe. Si duole di non poter sperimentare l'ananas: gliene sono pervenuti solo esemplari seccati o in conserva (tra l'altro, piuttosto acida, per essere stata preparata con frutti poco maturi). Gioiose notizie del nuovo mondo Il giardino di Monardes non è sopravvissuto ai secoli, ma ne sappiamo qualcosa grazie a quanto racconta l'autore nel suo capolavoro, un libro con un titolo da fare invita a Lina Wertmuller: Historia medicinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales, que sirven en medicina (1565-74, in tre volumi). Monardes è un vero uomo del suo tempo, con un piede nel passato e l'altro nel futuro. E' uno stretto seguace della teoria galenica, che ritiene che le malattie siano dovute a uno squilibrio dei quattro umori (bile nera, bile gialla, flemma, sangue) e vadano curate ristabilendo l'equilibrio; d'altra parte, non ha alcuna arroganza eurocentrica e pratica già il metodo sperimentale: interroga con passione soldati e avventurieri, clienti e viaggiatori per scoprire i segreti della farmacologia indigena del nuovo mondo; ma poi sottopone a verifica le proprietà medicinali delle sostanze medicinali americane (vegetali, ma anche sostanze di origine animale e minerale) provandole sui suoi pazienti nel corso di una carriera trentennale. Quando è possibile, coltiva le piante nel suo orto per avere sottomano il materiale fresco. Così ci racconta come, afflitto da un forte mal di denti, ricorre con successo a un cataplasma di foglie di tabacco e "carlo santo" (Aristolochia serpentaria) raccolte in giardino. L'Historia medicinal è un libro molto importante per la conoscenza della flora americana; per la prima volta vengono presentate al pubblico europeo in una pubblicazione scientifica quasi cento piante americane, selezionate per le loro virtù medicinali vere o presunte. Monardes ha anche uno scopo pratico immediato: in un momento di difficoltà economica - la sua impresa di import-export specializzata in farmaci americani ha appena fatto fallimento - vuole sia ristabilire la sua rispettabilità scientifica sia convincere i clienti delle virtù medicinali delle piante americane che sono, lo ribadisce a più riprese, molto più economiche di quelle che a caro prezzo i portoghesi trasportano dalle Indie orientali, ma anche più piacevoli e più efficaci. Riesce nel suo intento: non solo l'opera sarà un successo commerciale (tradotta in latino e nelle principali lingue europee, avrà 25 edizioni in sei lingue prima della fine del secolo), ma imporrà nell'immaginario collettivo europeo l'idea della favolosa virtù terapeutica delle piante europee; a dimostrarlo basta il titolo dell'edizione inglese, Ioyfull newes out of the newe founde worlde, "Gioiose notizie che arrivano dal nuovo mondo" (traduzione di J. Frampton, 1577). Ancora una volta non si tratta di un testo di botanica, ma di un manuale di farmacologia; tuttavia la descrizione delle essenze vegetali è chiara e precisa, almeno quando il medico sivigliano conosce direttamente la pianta; spesso in effetti in Europa erano commercializzate parti come cortecce e radici essiccate o prodotti come resine e balsami. Proprio con questi ultimi si apre il primo volume dove si parla di resine di origine vegetali quali copal, animé, tacamahaca e dei balsami del Perù e del Tolù; poi si passa ai purganti (che occupavano un ruolo centrale nella dottrina galenica, come restauratori dell'equilibrio tra gli umori), con l'olio del "fico dell'inferno" (Jatropha curcas), la "cañafístola" americana (Cassia grandis), considerata superiore a quella asiatica (C. fistula), le "nocciole purgative" (Jatropha multifida), ma soprattutto la radice di mechoacán (Convolvulus mechoacan), considerato il purgante ideale, molto preferibile alla gialappa (Exogonium purga) che per i suoi drastici effetti Monardes chiama "mechoacan furioso". Un capitolo a parte meritano il guayaco e il "palo santo" (Guaiacum officinale e G. sanctum), insuperabili contro la sifilide; il succedaneo americano (Smilax pseudo-china) della radice di China asiatica (S. china); le salsapariglie americane (Smilax spp.), di cui vengono esaminate diverse qualità. La trattazione del tabacco occupa da sola un trattatello con tanto di ricette degli svariati preparati; in ogni caso Monardes, pur considerandolo praticamente una panacea, lo raccomanda essenzialmente per impacchi o per clisteri ed è ben consapevole degli effetti stupefacenti del fumo, che accosta addirittura a quelli della coca. E' poi il primo a descrivere e introdurre nella farmacopea il sassofrasso (usato come succedaneo meno costoso del guayaco), la "cebadilla" (Schoenocaulon officinale), le cannelle americane Dicypelium caryophilatum e Canella alba, il pepe lungo (Piper angustifolium) - questi ultimi presentati come migliori e concorrenziali rispetto alle pregiate spezie asiatiche. Per un approfondimento su alcune specie medicinali descritte da Monardes, si rimanda al blog Plantas en America. Sebbene trattate più rapidamente, fanno la loro comparsa anche specie alimentari: il peperone, il mais, l'ananas, la guayaba, la granadilla, il fico d'India, la batata, la manioca e le noccioline americane, chiamate "frutto che cresce sotto terra". Tra le piante decorative, il girasole e la cappuccina, entrambe descritte in toni entusiastici. Altre notizie sulla vita di Monardes, piuttosto movimentata anche se non visitò mai l'America e non si allontanò dalla città natale se non per gli studi, nella biografia. Posso offrirvi una tazza di tè? Linneo che, presumibilmente aveva ricavato da Historia medicinal il nome specifico della nocciolina americana, Arachis ipogea (= "leguminosa che cresce sotto terra"), non mancò di dedicare un genere (in Species Plantarum, 1753) al medico spagnolo. Contrariamente a quanto si sostiene in alcune pubblicazioni, non si tratta di una delle tante specie descritte nel libro (che provenivano essenzialmente dalle Antille, dall'istmo di Panama e dal Perù, tranne tre dalla Florida), ma è ovviamente americano: Monarda, famiglia Lamiaceae (o Labiate), comprende una quindicina di specie di erbacee annuali o perenni, originarie delle praterie nordamericane. Conosciute in Europa almeno dal Seicento - furono tra quelle introdotte dai Tradescant - alcune di esse sono comunque piante medicinali, con le quali si preparano profumate tisane, molto più piacevoli dei drastici purganti prediletti dal dottore spagnolo. M. dydima, comunemente nota come tè degli Oswego, ha anche avuto un ruolo nella storia statunitense; quando, con il famoso Boston tea party, iniziò il boicottaggio del tè importato dalla Compagnia delle Indie, per un breve periodo fu usata come succedaneo, secondo l'uso appunto degli indiani Oswego. M. didyma e M. fistulosa sono anche splendide piante da giardino, soprattutto grazie ai numerosi ibridi orticoli. Come al solito, approfondimenti nella scheda. La nostra storia tuttavia non finisce qui. Nel 1834 il tassonomista George Bentham, in suo lavoro dedicato alle Labiate (Labiatarum genere et species) distacca dal genere Pycanthemum alcune specie e crea il genere Monardella (cioè "piccola monarda"), per la somiglianza nell'aspetto generale con Monarda fistulosa. Così al dottor Monardes riesce il colpaccio: due dediche al prezzo di una! Anche per Monardella, si rinvia alla scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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