Con otto edizioni durante la vita dell'autore (l'ultima era un mostro di otto chili di peso) The Gardeners Dictionary di Philip Miller fu la più importante opera di orticultura e giardinaggio del XVIII secolo. Ancora oggi, è un testo di riferimento per chi vuole ricostruire non solo le tecniche orticole del tempo, ma anche la storia dell'introduzione delle piante esotiche in Europa. Miller, grazie ai suoi contatti con raccoglitori, studiosi e collezionisti, ne introdusse in coltivazione a centinaia. Non era però solo un giardiniere (anzi, il "principe dei giardinieri" per dirla con Linneo), ma anche un eccellente botanico educato alla scuola di Ray e Tournefort; per decenni rifiutò ostinatamente sia il sistema sia i nomi di Linneo, con il risultato di "salvare" molte denominazioni prelinneane: i generi che portano il nome assegnato da Miller, spesso recuperato in tal modo, sono dozzine e dozzine. La dedica di Milleria, una curiosissima Asteracea dell'America centrale che fiorì per la prima volta nel giardino di Chelsea dai semi inviati a Miller da uno dei suoi corrispondenti, risale a quest'ultimo, William Houstoun, ma fu fatta propria e validata dall'amico-nemico Linneo. Una nuova stagione per il giardino di Chelsea Per il Chelsea Physic Garden, ovvero il giardino della Società dei farmacisti londinesi, il 1722 segna una duplice svolta. Fondato nel 1673 per provvedere le piante medicinali per i suoi membri, il giardino sorgeva in un terreno cintato lungo il Tamigi, all'interno della proprietà di lord Cheyne a Chelsea, all'epoca un villaggio di poche case a due miglia da Londra. Dopo un inizio brillante, durante il quale era stato anche stabilito un proficuo rapporto di scambio con l'orto botanico dell'Università di Leida, da qualche tempo, la Società aveva difficoltà a sostenere le spese di affitto e gestione. Nel 1712 Hans Sloane, il medico e naturalista che aveva fatto fortuna con le piantagioni di zucchero e da lì a qualche anno sarebbe diventato il presidente della Royal Society, acquistò la proprietà e appunto nel 1722 decise di cederla in perpetuo alla Società dei farmacisti in cambio di un affitto simbolico di 5 sterline annue, ma a una condizione: ogni anno la Società doveva fornire alla Royal Society 50 esemplari d'erbario di specie nuove, fino a raggiungere un totale di 2000 specie. Un compito che richiedeva un cambio di gestione, e un capo giardiniere all'altezza. Su raccomandazione dello stesso Sloane, al quale a sua volta era stato segnalato dal chirurgo e membro della Royal Society Patrick Blair, il comitato direttivo decise di assumere un giovane e preparato vivaista, Philip Miller. Egli avrebbe mantenuto l'incarico per 48 anni, e avrebbe trasformato il Chelsea Physic Garden nell'orto botanico più importante del mondo. Philip Miller era figlio d'arte e aveva imparato il mestiere dal padre, un giardiniere scozzese che intorno al 1660 si era trasferito a Londra e aveva creato un fiorente vivaio a Deptford, grazie ai cui proventi aveva potuto garantire al figlio un'eccellente educazione. Miller parlava fluentemente diverse lingue e da ragazzo aveva viaggiato a lungo sia in Gran Bretagna sia nei Paesi Bassi, che all'epoca erano il paese più all'avanguardia per le tecniche orticole e floricole. Al momento dell'assunzione, gestiva un proprio vivaio a St George's Fields a Southwark, specializzato nella coltivazione di fiori. Per rispettare la condizione posta da Sloane, il giardino doveva essere rinnovato, in modo da poter accogliere il maggior numero possibile di specie esotiche, coltivate secondo le tecniche più aggiornate. Poiché molte piante esotiche erano delicate e sarebbe stato impossibile coltivarle all'aperto, nel 1727 Miller tornò in Olanda per studiare le più innovative serre olandesi. Propose i suoi progetti al Comitato di gestione e nel 1732 Hans Sloane posò la prima pietra dei nuovi edifici del giardino, incluse una serra fredda e due "stufe", ovvero serre riscaldate con aria calda immessa nelle intercapedini dei muri. Miller introdusse anche la pratica dei lettorini caldi, che aveva ugualmente appreso in Olanda. Per procurarsi piante esotiche sempre nuove, Miller creò una vastissima rete di corrispondenti e fornitori: i colleghi vivaisti, altri orti botanici con cui scambiare esemplari (oltre a quello di Leida e di Parigi, spiccano quelli di Oxford e Edimburgo), studiosi e botanici come lo stesso Linneo, viaggiatori e raccoglitori occasionali o professionisti ai quattro angoli del globo. Tra i corrispondenti più attivi, ad esempio, il chirurgo William Houstoun che gli inviò dal Messico e dai Caraibi (dove prestava servizio sulle navi negriere) numerose specie neotropicali. La sua rete in qualche modo anticipò quello che Linneo fece con i suoi apostoli e quello che Banks (che disponeva di mezzi infinitamente superiori) fece con i cacciatori di piante di Kew. Non c'è bisogno di dire che Miller fu uno dei principali sottoscrittori degli invii di Bartram a Collinson, le famose "Bartram Boxes", cui si deve l'arrivo in Inghilterra di almeno 2000 specie di piante nordamericane. Durante la sua gestione, il numero di specie coltivate a Chelsea passò da 1000 a 4000. Come Kew a fine secolo (all'epoca era ancora soltanto il giardino privato della Principessa di Galles), Chelsea giocò anche un ruolo nell'introduzione di nuove coltivazioni nelle colonie: fu proprio Miller, nel 1732, a inviare a James Oglethorpe, il fondatore della Georgia, i primi semi di cotone da cui sarebbe nata un'intera economia di piantagione. Un capolavoro dell'orticoltura e del giardinaggio L'abilità professionale di Miller era leggendaria. Linneo, che visitò tre volte il giardino di Chelsea durante il suo viaggio in Inghilterra del 1736, lo proclamò "principe dei giardinieri". Ma Miller, vero figlio di quel secolo della divulgazione che fu il Settecento, non tenne per sé le sue conoscenze: fu anche l'autore della più importante opera di orticoltura e giardinaggio dell'epoca, il celebre (e celebrato) The Gardeners Dictionary. L'attività editoriale di Miller iniziò poco dopo l'assunzione a Chelsea, con The Gardeners and Florists Dictionary or a Complete System of Horticulture, due volumi in quarto di quasi 1000 pagine usciti nel 1724. Con la formula del dizionario con voci in ordine alfabetico, è un'opera essenzialmente compilatoria in cui Miller riassunse nozioni riprese da altri testi. Una soluzione che lasciò insoddisfatto per primo lo stesso autore, che invece nelle sue opere successive preferì sempre riscontrare i pareri autorevoli con l'esperienza diretta. L'anno successivo Miller fu tra i fondatori della Society of Gardeners, un club informale che riuniva una ventina di importanti vivaisti dell'area londinese; una volta al mese, gli aderenti si riunivano in un caffè o forse nel vivaio di uno di loro per mostrarsi le piante di nuova introduzione e individuarne il nome preciso. In una fase in cui il mercato inglese era sommerso da incessanti arrivi di piante esotiche, avidamente ricercate dai collezionisti, capitava spesso che la stessa pianta fosse introdotta con nomi diversi; inoltre, il miglioramento delle strade aveva favorito la nascita di un mercato nazionale delle piante e anche in questo caso era frequente che piante autoctone o da tempo introdotte nelle isole britanniche fossero note, e commercializzate, con nomi diversi nelle varie regioni del paese. A più di un vivaista era capitato di dover affrontare un cliente inferocito che, dopo aver pagato a caro prezzo una "novità", aveva scoperta che la possedeva già, sotto un altro nome. I nomi usati dai botanici di professione (siamo in epoca prelinneana) erano lunghissime e inutilizzabili descrizioni in latino, senza contare che variavano da un botanico all'altro. L'unica soluzione era quella di stilare un catalogo collettivo (una specie di antenato di Plant Finder) con la descrizione delle piante e le varie denominazioni. Miller, che era il segretario della società, collaborò attivamente alla stesura del Catalogus plantarum, di cui purtroppo uscì solo il primo volume, nel 1730, dedicato agli alberi e agli arbusti. Subito dopo la società si sciolse. In ogni caso, l'esperienza gli fu poi molto utile per The gardeners dictionary, la cui prima edizione uscì l'anno successivo. L'opera si propone come una vera e propria enciclopedia pratica del giardinaggio, come sottolinea il sottotitolo Containing the Methods of Cultivating and Improving the Kitchen, Fruit and Flower Garden, and the Wilderness, "con i metodi di coltivazione e miglioramento dell'orto, del frutteto, del giardino dei fiori e le piante selvatiche". Voce dopo voce, Miller spiega quali verdure coltivare nel corso dell'anno, come scegliere gli alberi e gli arbusti per parchi e giardini, come coltivare insieme fiori nativi ed esotici; fornisce istruzioni (e illustrazioni) per costruire strutture per il giardino, come lettorini, serre e stufe; elenca e spiega come coltivare nel modo migliore centinaia di piante. Pubblicata in un poderoso in-folio illustrato con 215 carte (ovvero 430 pagine), The gardeners dictionary era un'opera piuttosto costosa; per venire incontro a lettori meno abbienti, nel 1735 Miller ne pubblicò un'edizione ridotta in due volumi in quarto. Da quel momento, fino alla morte, egli non avrebbe cessato di aggiornare e accrescere il suo dizionario, curandone ben otto edizioni successive; l'ultima è del 1768, tre anni prima della morte dell'autore, ed è un mastodonte alto 48 cm, di quasi settecento pagine e otto chili di peso. In un periodo in cui le tecniche orticole erano in costante progresso, e sempre più numerose piante esotiche giungevano in Europa, le edizioni successive del dizionario di Miller sono dunque anche uno strumento straordinario per ricostruire la storia dell'orticultura e datare l'introduzione di nuove specie nel nostro continente. A lungo Miller, che in gioventù aveva conosciuto personalmente Ray, rimase fedele al suo sistema e rifiutò le denominazioni binomiali di Linneo, nonostante la loro evidente praticità. La cocciutaggine di questo giardiniere scozzese scorbutico e di pessimo carattere ha avuto risvolti positivi per la storia della botanica: grazie a lui, molte denominazioni introdotte dai botanici precedenti, e respinte da Linneo, sono state conservate e sono state poi accolte dai botanici successivi. I generi creati da Miller sono decine e decine, e a elencarli ci vorrebbero molte pagine; mi accontento di citare generi "pesanti" come Larix, Castanea, Acacia, Helianthemum, Petasites, Ananas, Cereus, Opuntia, Muscari, Polygonatum, Helichrysum, Foeniculus, Cotinus, Senna. Dopo un'ostinata battaglia durata più di trent'anni, Miller si arrese e, dopo una parziale apertura nella settima edizione, nell'ottava, e ultima edizione del The Gardeners Dictionary adottò finalmente le denominazioni binomie linneane; in fondo, gli affari sono affari, ed era quello che volevano i suoi clienti. Sfogliamola dunque insieme, questa mastodontica ottava edizione. Potete farlo comodamente da casa cliccando qui. Il volume si apre con un dizionario dei termini botanici, seguito da tavole con le varie parti delle piante e le strutture di fiori e frutti. Segue il dizionario vero e proprio, con le voci in ordine alfabetico. Ci sono le tecniche di coltivazione, propagazione, impianto, potatura; le indicazioni per realizzare sentieri, viali, aiuole, siepi, staccionate, grotte, lettorini, serre; i suggerimenti su come prevenire o rimediare ai danni del gelo, del fuoco, della pioggia, della neve e della siccità, di malattie e parassiti. E tante, tantissime piante, nelle intenzioni di Miller tutte le piante coltivate nelle isole britanniche e tutte quelle che vengono "dalle Alpi, i Pirenei, la Boemia, il Levante, l'Egitto, la Siberia, il nord e il sud America, l'est e l'ovest, l'India, la Cina e il Giappone". Ogni voce si apre con il nome generico in latino, seguito da una descrizione in inglese delle caratteristiche comuni al genere; segue poi l'elenco delle specie con il nome binomio e una breve diagnosi in latino, ricavata da Linneo o altri autori; per le specie coltivate, sono fornite dettagliate informazioni sull'origine, la data di introduzione, le varietà, la coltivazione. Dotata di indici in inglese e in latino e di un calendario dell'operazioni orticole, l'opera è anche riccamente illustrata; le piante di nuova introduzione sono accompagnate da tavole disegnate da artisti di grido, tra cui Georg Ehret, che era anche imparentato con Miller, avendo sposato la sorella di sua moglie. Nel 1729 Miller era stato accolto nella Royal Society e contribuì alle Transactions con molti interventi; la sua bibliografia conta non meno di 120 titoli. Il suo lavoro al Chelsea Physical Garden si protrasse fino al 1770, quando, riluttante, dopo uno sgradevole braccio di ferro con il Comitato di gestione, fu costretto al pensionamento. I testi dell'epoca parlano impietosi di "imbecillità e irascibilità dovuta alla tarda età". Malleabile non lo era stato mai. Ma, soprattutto, era cambiato il clima, e l'ostinata resistenza al sistema linneano era diventata imperdonabile; e se Miller si era rassegnato ad accettare la nomenclatura binomiale nel dizionario, non era disposto a fare altrettanto con il sistema di Linneo nelle sue aiuole, ancora rigorosamente ordinate secondo il sistema di Ray. Infatti, uno dei primi compiti del suo successore, William Forsyth, fu riorganizzare le piante secondo il nuovo sistema. Miller non assistette a tanto scempio; morì infatti un anno dopo il ritiro, a ottant'anni d'età (una sintesi della sua vita nella sezione biografie). Ma non finì la vita del suo capolavoro, un testo di riferimento tradotto nella principali lingue europee. A tenerlo aggiornato e a pubblicarne ulteriori edizioni pensarono altri botanici: la più importante è quella curata da George Don, pubblicata tra il 1832 e il 1838 con il titolo A general system of Gardening and Botany, founded upon Miller's Garden Dictionary. La curiosa Milleria I rapporti tra Miller e Linneo furono quanto meno contraddittori. In occasione delle sue visite a Chelsea nel 1736, lo svedese dovette fare appello a tutta la sua diplomazia per non contrariare lo scorbutico scozzese e farsi donare qualche esemplare per il suo datore di lavoro George Clifford; ovviamente tutti i suoi tentativi di fargli accettare il suo sistema fallirono, anzi Miller sentenziò che "sarebbe stato di corta durata". Nondimeno, tra i due si instaurò una corrispondenza che durò tutta la vita, con scambi di piante e pareri. E Linneo fu prodigo di lodi per The Gardeners Dictionary, anche se era evidente che si poneva in aperta concorrenza con Species plantarum. Di buon grado, accettò anche di far proprio il genere che rendeva omaggio all'amico-nemico, Milleria. Nel 1731, William Houstoun raccolse in Campeche una pianticella piuttosto curiosa di cui inviò i semi a Miller, proponendo di battezzarla in suo onore Milleria. Miller la pubblicò nell'edizione del 1735 del Dictionary, e Linneo accolse la denominazione prima in Hortus cliffortianus, poi nel secondo volume di Species plantarum. Com'è noto, Linneo amava che ci fosse qualche relazione tra la pianta e il dedicatario. In questo caso, i sepali piuttosto corti che si chiudono a coppa potevano suggerire la figura atticciata di Miller, mentre il calice che racchiude totalmente i semi richiamava "l'impegno di Miller per procurarsi rari semi americani e per preservarli", o magari più malignamente la sua riluttanza a dividerli con altri. D'altra parte, Milleria quinqueflora (l'unica specie nota a quel momento e l'unica oggi accettata) è una pianta interessante e curiosa, ma non particolarmente bella, anzi potrebbe rientrare tranquillamente nella categoria delle erbacce. Cioè in quella dove Linneo andava a scegliere le piante da dedicare ai colleghi che ostacolavano il cammino trionfale del suo sistema. Sia come sia, il genere Milleria Houst. ex L. si distingue all'interno della sua famiglia, le Asteraceae, per le caratteristiche singolari del fiori. Monotipico, è rappresento unicamente appunto da M. quinqueflora, abbastanza comune nei terreni disturbati in un'area che va dal Messico al sud America settentrionale. E' un'erbacea annuale piuttosto alta (anche due metri) con esili fusti molto ramificati e foglie cordate in basso e ovate nella parte alta, con nervature evidenti; in estate porta molti minuscoli capolini gialli sottesi da brattee, che da lontano possono richiamare il fiore di una labiata, con il labbro inferiore giallo trilobato; in realtà sono infiorescenze formate da quattro fiori del disco (maschili) che emergono dal ricettacolo a calice e da un unico fiore del raggio (femminile) giallo sgargiante che funziona da richiamo e da pista d'atterraggio per gli impollinatori. Singolare anche il frutto, ovviamente uno solo per capolino, un achenio racchiuso in una specie di borsetta legnosa raggrinzita. Le foglie e gli steli sono usati nella medicina tradizionale per curare le infezioni della pelle. Le radici essiccate sono talvolta vendute come dimagranti. Qualche approfondimento nella scheda.
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Con la sua pretesa di rinominare gli esseri viventi secondo il nuovo sistema binominale, Linneo si attirò l'accusa di sfrontatezza e arroganza. Tuttavia, mano a mano che crescevano le adesioni e i seguaci, essere immortalati dal nome di una pianta, ricevendo da Linneo in persona la dedica di un genere, divenne l'aspirazione principale di botanici e "curiosi", come venivano chiamato i dilettanti che sempre più numerosi si innamoravano della botanica grazie alla semplicità del sistema linneano. Ma anche su questo punto le critiche non mancarono: il principe dei naturalisti venne accusato di elargire nomi ad amici e studenti con eccessiva parzialità, sicché si fece assai prudente. Anzi talvolta riluttante, come nel caso del dottor Alexander Garden, medico scozzese trapiantato in South Carolina, che riuscì da aggiudicarsi il prestigioso genere Gardenia solo in seguito a una vera e propria manovra di accerchiamento di un altro linneano, John Ellis. Come una pianta cinese fu scambiata per un gelsomino sudafricano e ebbe il nome di un medico americano I cinesi la chiamavano zhi-zi e la coltivavano da secoli. Con viaggi complicati, che comprendono una tappa nella colonia del Capo in Sud Africa, nel 1754 la varietà a fiori doppi arrivò in Inghilterra e nel 1758 fiorì per la prima volta nella serra del botanico Richard Warner (ca. 1711-1775). Con le lussureggianti foglie verde scuro e i candidi fiori stradoppi dal pervasivo profumo, divenne l'idolo del momento e attorno alla sua classificazione e denominazione scoppiò una disputa botanica. Philip Miller, il cocciuto capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, pensò si trattasse di un gelsomino, e la battezzò Jasminum capense, ovvero "gelsomino del Capo di Buona Speranza". John Ellis, mercante e naturalista più che dilettante, non ne era convinto: pensava appartenesse a un genere sconosciuto, e ne inviò un esemplare essiccato a Linneo che confermò il suo parere. Intanto l'abilissimo vivaista James Gordon era riuscito ad averne quattro talee e le aveva moltiplicate con tanto successo che nel giro di pochi anni riuscì a guadagnare 500 sterline, rivendendo le cento piante che ne aveva ricavato. Nel suo vivaio di Miles End la ritrasse il più famoso artista botanico dell'epoca, Georg Dionysius Ehret, etichettandola provvisoriamente con il nome proposto da Miller. Ricevuta la conferma da Linneo, Ellis gli riscrisse proponendogli di battezzare il nuovo genere Warneria in onore del primo proprietario. Questa proposta imbarazzava enormemente Warner, che era amico di Miller e non desiderava contraddirlo; perciò si affrettò a scrivere a sua volta a Linneo, chiedendogli di rifiutarla. Ellis non demordeva e, dopo qualche esitazione, nel 1760 propose a Linneo un nuovo nome: Gardenia, in onore di un amico comune, il medico scozzese Alexander Garden. Anche questa volta Linneo rifiutò: non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in queste dispute tra botanici inglesi, inoltre non capiva qualche nesso ci fosse tra Garden e la pianta: non l'aveva né scoperta né coltivata, anzi neppure mai vista. Era disponibile a dedicargli a una pianta americana, ma che aveva mai a che fare con questa sudafricana (che, come noi sappiamo, in realtà era cinese)? Per mesi si dimostrò irremovibile, scrivendo tra l'altro: "Desidero tutelarmi dalle malevole obiezioni, tanto spesso sollevate contro di me, di chi mi accusa di battezzare le piante con i nomi di miei amici che non hanno dato alcun pubblico contributo al progresso della scienza". Alla fine Ellis mise Linneo di fronte al fatto compiuto: gli scrisse che Garden era già stato messo al corrente della dedica e che, al di là dell'Atlantico, la pianta era ormai nota come Gardenia. Poi la pubblicò lui stesso nelle Transactions della Royal Society. Linneo, che non desiderava esautorare il suo principale sostenitore in Inghilterra, che oltre tutto proprio in quei mesi aveva accolto ospitalmente Solander, dovette abbozzare, In questo modo contorto la bella zhi-zi ricevette il nome botanico Gardenia jasminoides J. Ellis. Uno scrupoloso ricercatore linneano E' ora di fare la conoscenza con l'inconsapevole oggetto umano di quella disputa, il dottor Alexander Garden, che - a posteriori - confermò che tanto onore non era stato immeritato. Scozzese, aveva studiato medicina a Edimburgo; nel 1752, essendosi ammalato di tubercolosi, nella speranza di un clima più propizio si trasferì a Charleston in South Carolina, dove esercitò la professione medica per molti anni. Come studente di medicina, aveva cominciato a studiare botanica in patria seguendo i sistemi di Ray e Tournefort; ma quando arrivò in Carolina, da una parte fu affascinato dalla varietà della flora di quella regione benedetta dalla natura, dall'altra fu frustrato dalla sua incapacità di ricondurre le specie non ancora descritte a quei complicati sistemi. In queste ricerche, dichiarerà più tardi, gettò via tre anni. Anche la sua salute non trovò il giovamento sperato. Dopo un anno di clima particolarmente avverso, nel 1754 decise di fare un viaggio a nord. Capitò così a New York, dove fu ospite Cadwallader Colden e di sua figlia Jane (la prima botanica americana), che gli misero a disposizione la loro biblioteca; su quegli scaffali, Garden trovò il suo santo Graal: Flora virginica di Gronovius, nonché Classes plantarum e Fundamenta botanica, due delle prime opere di Linneo. Passò poi da Philadelphia, dove incontrò John Bartram appena rientrato dalla sua escursione nelle Catskill mountains. Al suo ritorno in Carolina, Garden ebbe egli stesso occasione di conoscere più da vicino la selvaggia natura americana, visitando le Blue Montains in qualità di medico della missione incaricata di cercare l'alleanza dei Cherokee contro la Francia. Tornato poi a Charleston, si mise a studiare le opere di Linneo, e, come d'incanto, tutto quello che gli era rimasto oscuro, si chiarì: il cristallino sistema sessuale gli fornì il filo d'Arianna che cercava e si convertì in un fervente seguace del luminare svedese. Nel marzo 1755 osò scrivere al suo idolo una prima lettera, che rimase senza risposta. Solo dopo tre anni (e dopo molte lettere senza risposta) Linneo si degnò infine di rispondergli, iniziando una duratura e feconda corrispondenza. Il grande svedese non era l'unico corrispondente di Garden; l'ambiente in cui viveva, così ricco di specie da scoprire, era invece assai povero di naturalisti, tanto da fargli scrivere: "qui non c'è anima viva che conosca anche solo una iota di storia naturale". Iniziò così a corrispondere con moltissimi naturalisti al di qua e al di là dell'Oceano, come Colden, Bartram, Gronovius, Collinson, e soprattutto John Ellis, che divenne anche il suo principale intermediario con Linneo. Era a lui che inviava gli esemplari di piante e animali che andava raccogliendo nelle escursioni che alternava alla pur molto impegnativa attività di medico. Era un linneano così fervente che, quando Ellis gli propose di pubblicare alcune specie da lui scoperte sulle Transactions della Royal Society, rifiutò, perché avrebbe dovuto scriverle in inglese, mentre Linneo usava solo il latino. Il suo sogno era scoprire un genere sconosciuto, e che magari Linneo gli desse il suo nome. Dapprima credette di aver fatto centro quando gli inviò una pianta che propose di denominare Ellisia in onore dell'amico comune; ma Linneo lo disilluse, determinandola come Swertia difformis (oggi Sabatia difformis). E quando fu il turno di un nuovo tipo di storace, lo deluse di nuovo preferendo dedicarla, su suggerimento di Ellis, con il nome di Halesia a uno studioso ben più illustre di lui, il reverendo Stephen Hales. Il successo sarebbe arrivato solo nel 1765, con la scoperta di ben due nuovi generi; ma ormai Gardenia gli era già dedicato, ed essi furono battezzati Fothergilla e Stillingia, in onore rispettivamente di John Fothergill e Benjamin Stilling-Fleet. Il suo contributo alla scoperta del primo è comunque ricordato dal nome specifico Fothergilla gardenii. Più ancora che alle piante della Carolina, Linneo era però interessato agli insetti, ai rettili e agli anfibi di quella regione che sapeva ricca di specie sconosciute. Garden accondiscese alle sue richieste e da botanico diventò zoologo, inviando a Uppsala le sue eccellenti descrizioni dal vivo e dozzine di esemplari perfettamente conservati nel rum. Sono così almeno una trentina le specie di anfibi, rettili e pesci descritti in Systema naturae la cui scoperta si deve a Garden. La più nota di tutte è Siren lucertina, un anfibio anguiforme che gli sembrava intermedio tra una lucertola e un'anguilla. Qualche anno più tardi, nel 1774, Garden ebbe occasione di studiare le proprietà elettriche di alcune "anguille" giunte vive a Charleston dal Suriname. Le sottopose ad esperimenti ed inviò le sue osservazioni alla Royal Society di Londra, insieme a un esemplare vivo e ad alcuni esemplari perfettamente conservati sotto alcool, di cui John Hunter poté così studiare gli organi elettrici. L'anno prima, Garden aveva ottenuto l'ammissione alla Royal Society. Allo scoppio delle ostilità tra la Gran Bretagna e le colonie, si schierò con i lealisti. Nel 1781 le sue proprietà furono confiscate e due anni dopo ritornò in patria, stabilendosi nei pressi di Londra. Molto rispettato per "la sua benevolenza, la sua allegria, e le sue buone maniere", divenne vicepresidente della Royal Society. Morì di tubercolosi nel 1791. Una sintesi biografica nella sezione biografie. Gardenia, un fiore da leggenda Con circa 150-200 specie di arbusti e alberi sempreverdi diffusi nell'Africa e nell'Asia tropicale e subtropicale, il genere Gardenia è uno dei più notevoli della famiglia Rubiaceae. La specie più nota è indubbiamente G. jasminoides, tanto apprezzata per la sua bellezza e il suo profumo, quanto famigerata per la sua capricciosità. Croce e delizia dei giardinieri, è una pianta mitica, simbolo di bellezza, lusso e seduzione: era il fiore preferito di Sigmund Freud, i dandies francesi della fin du siècle la portavano all'occhiello e Billie Holiday ne appuntava tre alla chioma, tanto da essere soprannominata la "gardenia bianca del jazz"; la scelgono le spose per i loro bouquet, i bar Tiki la ostentano riunite in corone e le usano come ingrediente segreto dei cocktail. Oltre a una celebre rivista di giardinaggio, presta il suo nome a decine di ditte, esercizi commerciali, prodotti di bellezza, associazioni sui temi più vari. In giardino ne sono state selezionate innumerevoli varietà; già la forma doppia a tutti famigliare è frutto della selezione orticola millenaria in Cina, dove è stata preferita alla originaria forma a fiore semplice. Oggi si punta sempre più su quelle un po' più rustiche e meno schizzinose, come G. jasminoides radicans, di dimensioni minori, capace di sopportare l'inverno all'esterno, oppure 'Crown jewel', rustica fino a -10 gradi. Tuttavia, non c'è solo G. jasminoides. Al contrario di questa cinese entrata nella storia della botanica travestita da sudafricana, arriva davvero dalle foreste della regione del Capo G. thumbergia, la seconda specie a giungere in Europa intorno al 1773 grazie a Thunberg e al suo amico Masson. Arriva invece dall'India G. latifolia, un vero piccolo albero, apprezzato non solo per l'ombra offerta dalla densa chioma sempreverde e i fiori, ma anche per i frutti eduli, ampiamente coltivato nel subcontinente e introdotto in molte zone dell'Africa. Numerose sono le specie originarie delle isole del Pacifico, uno dei principali centri di diversità; tra di esse G. taitensis, che fu raccolta per la prima volta a Tahiti durante la seconda spedizione di Cook, uno dei fiori simbolo delle isole, molto apprezzato in profumeria. E non tutte le gardenie hanno fiori bianchi: ad esempio, l'asiatica G. tubifera ha corolle giallo oro. Qualche approfondimento sulle "altre gardenie" nella scheda. Linneo trascorse l'estate del 1736 in Inghilterra. Lo scopo ufficiale del viaggio, finanziato dal suo datore di lavoro George Clifford, era procurarsi piante rare per arricchire le collezioni del suo mecenate; ma per il giovane studioso svedese era soprattutto l'occasione per conoscere i "colleghi" britannici e propagandare il suo nuovo sistema. Contrariamente alle aspettative, fu tutt'altro che una tournée trionfale. A Londra, i big della botanica inglese, da Sloane a Miller, lo accolsero con freddezza; né meglio andò ad Oxford, dove Dillenius, il primo titolare della cattedra di botanica sherardiana, lo apostrofò come "l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". A sentire Linneo e i suoi biografi, quello che era iniziato come un increscioso incidente diplomatico si risolse tuttavia in una vittoria dello svedese e in una dimostrazione luminosa dell'efficacia del suo metodo, tanto che alla fine l'arcigno tedesco l'avrebbe pregato in lacrime di diventare il suo assistente. Probabilmente non andò davvero così, ma è certo che da quel momento tra i due ci fu reciproca stima; l'anno successo, Linneo dedicò a Dillenius la sua Critica botanica e creò in suo onore il genere Dillenia. Del resto, il botanico tedesco era uno studioso di grande valore, la cui Historia muscorum segnò una tappa decisiva nello studio delle cosiddette "piante inferiori". Linneo a Londra: una fredda accoglienza Come ho raccontato in questo post (a proposito, era il centesimo e questo è il numero duecento!), tra il 1735 e il 1737 Linneo lavorò per il ricchissimo George Clifford, borgomastro di Amsterdam e direttore della Compagnia olandese delle Indie orientali, riorganizzando e catalogando il suo orto botanico privato di Hartekamp. Clifford desiderava ardentemente arricchire le sue collezioni con qualcuna delle rarità esotiche di provenienza americana coltivate nelle serre di Londra e Oxford; per questo accettò di privarsi per qualche settimana del "suo" botanico, inviandolo in Inghilterra a far incetta di piante. Per Linneo, che nel 1735 aveva pubblicato proprio in Olanda la prima edizione di Systema naturae, era l'occasione per conoscere di persona i big della botanica britannica, di cui sperava di ottenere il riconoscimento, proprio come aveva ottenuto quello di studiosi olandesi del calibro di Gronovius e Boerhaave. Gli esiti, tuttavia, furono molto lontani dalle speranze. Freddissima fu l'accoglienza di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, cui Linneo si era presentato munito di una lettera proprio di Boerhaave, in cui quest'ultimo invitava l'illustre collezionista ad accogliere quel giovane degno di lui, aggiungendo che "chi vi vedesse insieme, vedrà una coppia di cui il mondo difficilmente potrà vedere l'uguale". Sloane, che aveva 77 anni ed era abituato ad essere universalmente riconosciuto e riverito, non gradì per nulla l'accostamento a quell'ignoto neolaureato svedese trentenne, e si degnò appena di mostrargli le sue collezioni e il suo erbario. Le cose non andarono meglio con Philip Miller, il capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, da cui Linneo sperava di ottenere piante rare per il suo mecenate. Dopo la brutta esperienza con Sloane, egli, che aveva sentito dire che Miller era uno scozzese piuttosto scorbutico, pensò che fosse meglio comportarsi con prudenza. Quando quest'ultimo lo accompagnò a visitare il giardino e incominciò a illustrare le piante usando i prolissi nome-descrizione e le classificazioni di Ray e Tournefort, per non irritarlo rimase in silenzio. Il giorno dopo, venne a sapere che Miller si era fatto beffe di lui con i suoi amici dicendo che "quel botanico del borgomastro di piante non sa un'acca". Era troppo per Linneo che, quanto a brutto carattere, non era da meno di Miller. Alla sua seconda visita a Chelsea, quando il giardiniere gli mostrò l'erbario, contestò le sue denominazioni, sostenendo che "se ne possono usare di migliori e più sintetiche" e cercò in ogni modo di fare sfoggio delle sue competenze. Il risultato fu di far imbufalire Miller, che non amava essere contraddetto e giudicava Linneo un arrogante presuntuoso, il cui sistema non aveva nulla a che fare con la realtà delle piante, serviva solo a mettersi in mostra e non avrebbe avuto futuro; egli avrebbe cambiato idea solo molti anni dopo, nel 1768, quando nell'ottava edizione del suo Gardeners Dictionary si convinse finalmente ad adottare il sistema linneano. Gli errori di Linneo... e quelli di Dillenius Linneo non fu accolto a braccia aperte neppure ad Oxford, dove era andato appositamente per incontrare Johann Jacob Dillenius, lo scienziato di origine tedesca che da qualche anno era il titolare della prima cattedra di botanica presso quell'università, nonché curatore dell'orto botanico. Durante il primo incontro Linneo mantenne una condotta cortese e deferente. Esordì scusandosi di dover parlare in latino, visto che non conosceva l'inglese. Dillenius bruscamente si rivolse a un altro gentiluomo che assisteva al colloquio (secondo i biografi di Linneo, si tratterebbe di James Sherard) che gli aveva chiesto chi fosse quel giovanotto, dicendo: "E' l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". Poiché aveva parlato in inglese, pensava che Linneo non avrebbe capito; lo svedese, invece, non solo capì che si parlava di lui, ma anche la sostanza delle parole di Dillenius (l'inglese confusion è simile al latino confusio), ma al momento decise di abbozzare. I tre quindi si spostarono in giardino; Linneo notò una pianta che non aveva mai visto: "Che pianta è?" "Dovreste dirlo voi a me!" "Certamente, se mi permettete di esaminare un fiore." "Avanti, lo faccia." Linneo eseguì e, contando gli stami e il pistillo, ne diede il nome corretto, ma non per questo Dillenius si sciolse. Linneo era ormai convinto che il suo viaggio fosse stato inutile e, visto che incominciavano anche a scarseggiare i soldi, il giorno dopo tornò da Dillenius per congedarsi. Questa volta il cattedratico era solo. Linneo lo pregò di inviare un servitore a fissare per lui la carrozza di posta che l'avrebbe riportato a Londra, quindi, con la massima cortesia di cui era capace, gli domandò: "Perché ieri avete detto all'uomo che era con voi che sono quello che porta confusione nell'intera botanica?" Dillenius, molto imbarazzato, cercò di cambiare argomento, ma Linneo insisteva. "Venite con me", disse allora il tedesco e lo portò nella sua biblioteca. Da uno scaffale estrasse una copia di Systema naturae che aveva ricevuto da Gronovius e mostrò quelle pagine costellate della sigla NB. "Che significa?" domandò Linneo. "Sono gli errori del vostro libro" "Non sono errori, ma se lo fossero, insegnatemi meglio. Riceverò con gratitudine le vostre correzioni". "Benissimo, proviamo. Ecco, ad esempio, il genere Blitum. Lei pretende che abbia un solo stame, ma ne ha tre". Linneo e Dillenius si spostarono in giardino, Linneo esaminò un fiore di Blitum e mostrò che lo stame era effettivamente uno. "Bah, è un esemplare anomalo". Li osservarono tutti e risultò che aveva ragione Linneo. L'esame continuò con altri generi, sempre dimostrando che le descrizioni di Linneo erano corrette. A questo punto, Dillenius cambiò totalmente atteggiamento, e, stando alla versione diffusa da Linneo, l'avrebbe addirittura supplicato in lacrime di non partire ma di fermarsi ad aiutarlo a classificare l'erbario di Sherard, in cambio di metà del suo salario. E' probabile che le cose non siano davvero andate così se poco dopo Dillenius scrisse a un collega "Linneo ha certamente una conoscenza approfondita della botanica, ma il suo metodo non funziona"; e qualche anno dopo avrebbe scritto allo stesso Linneo: "Non ha dubbi che voi stesso, un giorno, rigetterete il vostro sistema". In ogni caso tra i due si era stabilita una stima reciproca; iniziarono a scriversi e a scambiarsi esemplari e le rispettive pubblicazioni. Nel 1738 Linneo dedicò a Dillenius Critica botanica e tenne poi sempre in grande considerazione le opere del collega tedesco, da cui riprese diversi generi in Species plantarum. Un grande tassonomista e l'inizio dello studio scientifico delle crittogame Per quanto ritoccato da Linneo e dai suoi biografi, l'aneddoto assume quasi il valore di un metaforico passaggio di testimone tra la vecchia scuola tassonomica di Ray e Tournefort, di cui Dillenius fu un esponente di primo piano, e il nuovo sistema linneano. Del resto, tra i due protagonisti di questa storiella, curiosamente, c'è più di una affinità. Come Linneo si era trasferito in Olanda e aveva iniziato la sua carriera classificando le collezioni di un mecenate, lo stesso aveva fatto Dillenius, spostandosi dalla nativa Germania in Inghilterra al servizio del botanico e collezionista William Sherard. Nato nel 1684 a Darmstadt, si formò e insegnò medicina e botanica all'università di Giessen; nel 1719 pubblicò una flora dei dintorni di questa città, Catalogus plantarum sponte circa Gissam nascentium, che illustrò di propria mano, essendo anche un eccellente disegnatore e incisore. E' un'opera notevole perché, accanto alle fanerogame, tratta anche le crittogame e presenta uno dei primi tentativi di classificazione dei funghi; delle 160 specie di funghi descritte, 90 erano inedite; delle 200 specie di muschi, erano sconosciute ben 140. Questo lavoro diede fama europea a Dillenius e attrasse l'attenzione di William Sherard che nel 1721 lo invitò a trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo a catalogare il suo immenso erbario e ad allestire il catalogo del giardino di Eltham nel Kent, dove suo fratello James (anche lui appassionato botanico) coltivava piante rare. Lavorando fianco a fianco con William Sherard, che aveva studiato a Parigi con Tournefort, Dillenius divenne uno dei migliori tassonomisti della sua generazione, con un'approfondita conoscenza anche del sistema di Ray, di cui nel 1724 curò la terza edizione di Synopsis Methodica Stirpium Britannicarum, incorporandovi tra l'altra l'opera sui muschi del reverendo Adam Buddle. Stabilitosi a Eltham, Dillenius divenne il curatore di quel magnifico orto botanico privato, di cui documentò le collezioni in Hortus elthamensis, uscito infine dopo una lunga rielaborazione nel 1732; in due spettacolari volumi in folio, con 324 tavole disegnate e incise dallo stesso Dillenius, è uno dei capolavori della botanica prelinneana, per la precisione delle descrizioni (la parte tassonomica è per lo più dovuta allo stesso Sherard) e la bellezza delle immagini, in cui vengono trattate e illustrate 417 piante rare e esotiche; di grande importanza storica la trattazione delle succulente sudafricane, che fu ampiamente riutilizzata da Linneo. Catalogare l'immenso erbario del maggiore dei fratelli Sherard richiedeva un impegno anche più gravoso: rendendosi conto che non gli restava molto da vivere, nel suo testamento William lasciò all'università di Oxford la sua biblioteca, il suo erbario e un lascito di 3000 sterline, a condizione che venisse istituita una cattedra di botanica da affidare al professor Dillenius, che avrebbe dovuto completarne lo studio e la catalogazione. Sherard morì nel 1728, ma Dillenius, ancora impegnato a Eltham, poté assumere il nuovo incarico solo nel 1734. Possiamo credere che non gli sarebbe davvero spiaciuto essere affiancato da Linneo, come lui aveva affiancato il vecchio Sherard; nelle sue lettere, spesso lamenta di aver perso tempo e denaro (sembra che i fratelli Sherard lo pagassero molto poco) in quel compito immane, di cui non venne mai a capo, anche perché, probabilmente, preferiva ricerche più originali, in particolare lo studio delle sue amate crittogame. Frutto di un lavoro ventennale, il suo capolavoro è infatti Historia muscorum (1741), in cui vengono trattati, oltre ai muschi, altri gruppi di "piante inferiori": funghi, alghe, licheni, epatiche, antocerote e licopodi, per un totale di 661 taxa. Anche in questo caso, le 85 tavole che illustrano il grosso volume di 576 pagine sono di sua mano. I funghi sono classificati sulla base delle caratteristiche del corpo fruttifero (criterio poi fatto proprio da Linneo) e vengono creati numerosi generi, che poi furono mantenuti dallo svedese. Ogni voce comprende una dettagliata descrizione, la lista dei sinonimi e l'indicazione degli eventuali usi. Era un'opera costosa, di cui furono stampate solo 250 copie, vendute al prezzo di una ghinea l'una, che si rivelò un insuccesso finanziario; per recuperare almeno in parte le spese, Dillenius ne preparò una versione abbreviata, priva di illustrazioni, che conteneva solo i nomi, l'habitat e una breve descrizione, rimasta però allo stadio di manoscritto. Per raccogliere il materiale necessario, nel 1726, egli aveva fatto una lunga escursione in Galles, ma soprattutto ricorse al contributo di numerosissimi corrispondenti in Inghilterra e all'estero. Morì nel 1747 in seguito a un colpo apoplettico. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Dillenia ovvero una chicca per elefanti Nel 1736 Clifford ottenne alcuni semi di una pianta indiana detta syalita; seminati a Hartekamp, germinarono, ma le pianticelle sopravvissero solo due settimane. Quanto bastava perché Linneo potesse includere anche questa specie nel catalogo del giardino, Hortus Cliffortianus (1737), traendo la descrizione da Hortus Malabaricus e da Herbarium Amboinense di Rumphius; stando a queste fonti, si trattava di un albero di notevole bellezza; Linneo ritenne capitasse proprio al momento giusto per ingraziarsi il bisbetico professore tedesco e la denominò Dillenia indica, con queste parole: "Ho nominato questo albero dai bellissimi fiori e dai frutti enormi in onore di Dillenius, dottore in medicina, botanico incomparabile dei tempi nostri, professore sherardiano a Oxford e membro dell'Accademia Leopoldina". Confermò poi il genere in Species Plantarum, 1753. Dillenia L, che dà il nome alla famiglia Dilleniaceae, comprende un centinaio di specie di alberi, arbusti e liane tropicali, diffusi tra il Madagascar, l'India, il sud-est asiatico e l'Oceania occidentale. La specie più nota è proprio D. indica; è un grande arbusto o un piccolo albero con chioma tendenzialmente tondeggiante e spettacolari fiori candidi che possono ricordare quelli di Magnolia grandiflora, seguiti da enormi frutti tondeggianti giallo-verdastro. Di sapore tra l'acido e l'amarognolo, in India sono aggiunti ai curry o usati per preparare marmellate e gelatine. A esserne ghiotti sono soprattutto gli elefanti (i frutti crescono molto in alto, dove non sono raggiungibili da animali più piccoli), tanto da essere noti come "mela degli elefanti". Di grande valore ornamentale e talvolta usata in giardini e alberate in aree a clima tropicale è D. philippinensis, endemica delle Filippine; simile alla precedente, ha fiori con cinque sepali candidi che circondano una doppia corona di stami rossi e porpora, seguiti da frutti globosi. Di quest'albero, detto catmon, viene utilizzato tutto: il legname; la corteccia da cui si ricava un colorante rosso; i sepali carnosi eduli; i frutti, il cui sapore dovrebbe ricordare quello di una mela acida, usati per preparare salse e confetture e aromatizzare il pesce; corteccia e foglie hanno proprietà astringenti, antinfiammatorie, antimicrobiche e analgesiche. Può essere coltivata come pianta da interni o da serra in grandi contenitori. Qualche notizia in più nella scheda. Subito dopo l'indipendenza, il più bel giardino d'America era Woodlands, alla periferia di Filadelfia, creato dal ricco proprietario terriero e collezionista d'arte William Hamilton che, a quanto pare, vi faceva coltivare circa 10.000 specie tra native ed esotiche. Jefferson, che ammirava Woodlands e lo considerava il solo giardino al di qua dell'Oceano a poter competere con quelli britannici, volle che nelle sue aiuole e nelle sue serre venisse coltivata e moltiplicata una parte delle piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark. Il nostro protagonista, tuttavia, non è Hamilton (gli furono dedicati ben tre generi, ma nessuno oggi valido), bensì il sovrintendente di Woodlands, il giardiniere scozzese John Lyon, che, dopo qualche anno trascorso a lavorare qui, si trasformò in un infaticabile cacciatore di piante indipendente, al quale Aiton in Hortus Kewensis attribuisce l'introduzione in Europa di oltre trenta specie. Tra le più note oggi, Phlox paniculata e Pieris floribunda. Assai affine a Pieris è Lyonia (Ericaceae), il genere che ne preserva il ricordo. Dalle aiuole alle montagne del Nord America Al ritorno da un viaggio in Europa, in gran parte dedicato a visitare parchi e giardini britannici, il facoltoso proprietario terriero e collezionista William Hamilton (1749-1813) decise di far ricostruire la casa padronale della tenuta di Woodlands, nei pressi di Filadelfia, secondo lo stile di Adam; anche il parco venne ridisegnato secondo i canoni del giardino paesaggistico d'oltre Oceano. In pochi anni, le collezioni di piante, native o fatte venire dall'Europa, dall'Asia e dal Sud Africa, giunsero a comprendere diecimila specie. Nel 1807 Jefferson, grande ammiratore di Hamilton (Woodlands sarà uno dei modelli di Monticello), chiese a McMahon, cui aveva affidato i semi raccolti durante la spedizione di Lewis e Clark, di dividerli equamente con lui, per aumentare le possibilità di riuscita, vista l'esperienza e i mezzi di Hamilton. Quest'ultimo, del resto, era già in relazione con i due esploratori, che nel 1804 gli avevano inviato da Fort Mandan alcune talee di Maclura pomifera (arancio degli Osagi). Sappiamo che Hamilton ricevette i semi di almeno 19 specie, che includevano diverse varietà di Ribes e il tabacco selvatico Nicotiana quadrivalvis. Un anno dopo, egli informava il presidente che non tutti i semi erano germogliati, mentre le piante di Maclura prosperavano. Dopo la morte di Hamilton, quella magnifica collezione andò rapidamente in rovina; una parte del parco fu venduta dagli eredi e intorno al 1840 molto di ciò che rimaneva venne trasformato in un cimitero rurale; è un luogo affascinante e caro ai cittadini di Filadelfia, ma certo molto diverso rispetto ai suoi anni d'oro. Molte informazioni sulla sua storia in questo sito. Ma il nostro protagonista non è Hamilton; certamente questo patrono dei giardini attirò l'attenzione dei botanici che gli dedicarono ben tre generi Hamiltonia: nel 1806 il conterraneo Muhlenberg, nel 1824 Roxburgh, nel 1838 Harvey; nessuno dei tre oggi è però valido. Dunque la nostra attenzione si sposta su una figura forse più interessante, e sicuramente più simpatica: il sovrintendente, o capo giardiniere, di Woodlands, lo scozzese John Lyon. Nulla sappiamo della sua vita prima che fosse assunto da Hamilton nel 1785; ignoriamo persino se si trovasse già in America, o se abbia incontrato il futuro datore di lavoro in patria. Ci mancano notizie anche sul primo decennio trascorso a lavorare a Woodlands; la nostra principale fonte informativa è infatti il suo diario di campo, che inizia nel 1799. E' probabile che in quei sedici anni egli già affiancasse alla cura del giardino - di cui fu evidentemente il principale realizzatore - escursioni nei dintorni, per incrementare le collezioni di piante native. Il primo viaggio documentato è proprio di quell'anno, quando Hamilton lo inviò sugli Allegheny della Pennsylvania alla ricerca di Pyrularia pubera, una pianta emiparassita con semi oleosi e tossici di potenziale interesse farmacologico, che il collezionista non era riuscito fino ad allora a far germinare. La spedizione si concluse con un nulla di fatto. E' possibile che già allora Lyon mordesse il freno; preparato, intelligente, industrioso e di spirito indipendente, incominciava a sentirsi soffocare al servizio di un uomo arrogante, esigente e imperioso, tanto più che la figura sociale del capo giardiniere in America non godeva della stessa considerazione sociale che forse aveva potuto sperimentare in patria. A partire dal 1802, e per i successivi dodici anni, non avrebbe mai cessato di viaggiare, dapprima per conto di Hamilton, poi in proprio. Erano viaggi faticosi e pieni di insidie, in zone spesso poco conosciute e non segnate sulle carte. Lyon si muoveva a cavallo, alloggiava talvolta all'aperto, ma più spesso in locande o presso case ospitali; portava con sé provviste minime, carta per gli esemplari pressati, mentre le collezioni di radici e semi andavano crescendo. Gli incidenti non mancarono: fu morso da un cane rabbioso e dovette curare da sé la ferita infetta cauterizzandola con un ferro rovente; si intossicò gravemente raccogliendo semi del velenoso Rhus michauxii; affrontò una bufera così forte da abbattere gli alberi; perse più volte il cavallo. Viaggiava per lo più da solo, ma spesso faceva tappa presso altri botanici o appassionati, che talvolta gli facevano da guida o lo accompagnavano per qualche tratto. I suoi viaggi, in tutto dieci, lo portarono ad esplorare buona parte degli Stati centrali e meridionali dell'America atlantica, in particolare, oltre alla Pennsylvania e alla Virginia, le due Caroline, la Georgia e la Florida settentrionale, con una predilezione per le montagne che fanno da confine tra North Carolina e Tennessee; solo un viaggio lo portò a Nord, verso i grandi laghi. Tra i luoghi ricorrenti, dove si fermava presso amici, cui spesso affidava le sue raccolte o preparava i materiali per le spedizioni, Silk Hope, in North Carolina, dove abitava l'amico Stephen Elliott, che fu anche suo compagno di viaggio in diverse occasioni; le città portuali di Savannah in Georgia e Charleston nella Carolina del Sud, da dove spediva per nave a Filadelfia le sue raccolte; Nashville e Asheville, rispettivamente in Tennessee e North Carolina, punto di partenza per l'esplorazione delle amate montagne; Lancaster, tappa obbligata sulla via del ritorno per visitare l'amico Henry Muhlenberg. Le spedizioni più ampie e importanti sono probabilmente quelle del 1803-1804 e del 1807. Durante la prima Lyon percorse 2250 miglia, giungendo fino in Florida e esplorando anche, oltre a diverse aree montane, buona parte della costa e delle isole della Georgia. Proprio durante questo viaggio, nel 1803, fu l'ultima persona a vedere in natura alcuni esemplari di Franklinia alatamaha (e potrebbe avere qualche responsabilità nella sua estinzione). Durante la seconda, percorse 2500 miglia, muovendosi lungo le montagne sui confini tra North Carolina e Tennessee (dove sarebbe tornato altre volte e sarebbe morto); tra i suoi ospiti, la colonia morava della Cherokee Country, e tra gli incontri notevoli, quelli con Moses Fisk, pioniere degli insediamenti nel Tennessee, e con il pastore e botanico Samuel Gottlieb Kramsch. Una narrazione più dettagliata dei suoi viaggi nella vita. Collezioni di piante e spirito imprenditoriale Lyon è una figura interessante anche perché si distacca dagli altri cacciatori di piante per la sua indipendenza e intraprendenza. Mentre i suoi colleghi erano finanziati da sovrani, istituzioni pubbliche, mecenati oppure, sempre più spesso, lavoravano per qualche ditta commerciale, Lyon era un libero professionista che si assumeva le spese e i rischi e provvedeva da sé alla vendita delle sue raccolte. Probabilmente lasciò Hamilton (per il quale tornò a lavorare occasionalmente anche in seguito, ma solo come giardiniere) nella seconda metà del 1803; nel frattempo era stato sostituito con Frederick Pursh. Da quel momento, Lyon prese a creare una propria collezione, con l'obiettivo di commercializzarla in Inghilterra. In natura raccoglieva piante vive (in quantità che a noi fanno accapponare la pelle, come le 200 radici di Podophyllum di cui fece incetta nel 1804 in Georgia), ma ancora più semi; questi ultimi erano destinati alla vendita, ma anche alla riproduzione. In effetti, alla fine del 1804 il giardiniere avrebbe voluto imbarcarsi per l'Inghilterra, ma non trovando un imbarco si fermò a Filadelfia per quasi un anno, dedicato a seminare e curare le plantule da portare con sé in patria. A tal fine, si appoggiò al vivaista David Landreth (fondatore nel 1784 della più antica ditta sementiera statunitense), da cui affittò una parte del vivaio. Alla fine del 1805 Lyon poté finalmente imbarcarsi per Londra, via Dublino. Nella capitale inglese dimostrò ottime capacità imprenditoriali; per vendere le sue piante, si affidò non solo a una clientela privata, ma a un'asta pubblica, pubblicizzata con annunci su sette giornali e con la stampa di un catalogo, in cui le piante nuove (sp. nova!) sono ben evidenziate. Forte di questo successo, ritornò subito in America, dove investì i guadagni in nuovi viaggi, che si mossero principalmente lungo le predilette montagne tra North Carolina e Tennessee. Dopo cinque anni di fatiche aveva creato una seconda, ancora più ricca, collezione, che portò con sé in Inghilterra nell'inverno 1811-12. La clientela inglese fu impressionata dalla qualità e dalla quantità dell'offerta, anche questa volta venduta con un'asta pubblica (ce n'è rimasto il catalogo). L'infaticabile Lyon tornò quasi immediatamente in America, dove fece ancora due viaggi nei luoghi prediletti; ammalatosi probabilmente di febbre gialla, si spense a Asheville (North Carolina) nel 1814. Non conosciamo il luogo della sua sepoltura, ma i parenti gli eressero una lapide nel cimitero di Dundee, dove è ancora conservata. Nelle testimonianze dei contemporanei, l'importanza del suo contributo all'introduzione delle specie americane in Europa appare imponente. Secondo la seconda edizione di Hortus Kewensis, redatto da William T. Aiton, le specie nuove messe in vendita nel 1806 e nel 1812 sono 31; spesso non si tratta davvero di novità (molte erano già arrivate in Europa, in particolare grazie ai Michaux che avevano raccolto nelle stesse aree), ma piuttosto di reintroduzioni, rese però disponibili da Lyon in modo ben più massiccio. Nell'elenco figurano tra l'altro (uso le denominazioni attuali) Desmanthus illinoensis, Amsonia tabernemontana var. salicifolia, Asclepias pedicellata, Calycanthus floridus var. glaucus, Dicentra eximia, Hamamelis virginiana, Iris fulva, Cliftonia monophylla, Calycocarpum lyonii, Tradescantia subaspera. Ho lasciato volutamente per ultime le introduzioni più importanti e durature: Phlox paniculata, Pieris floribunda e Magnolia macrophylla (ma potrebbe trattarsi di una specie affine che vive nelle stesse aree, Magnolia fraseri var. pyramidata). Entrambe sono oggi considerate relativamente rare in natura, forse anche a causa del contributo di Lyon, che nel suo viaggio del 1809 in North Carolina ne raccolse ben 3600 esemplari. Amabile Lyonia
In questo atteggiamento predatorio verso la natura, Lyon era un figlio del suo tempo, e lo perdoneremo, tanto più che, come abbiamo visto, pagò di persona il suo accanimento di cacciatore di piante indipendente con la fatica, le malattie, la solitudine e infine con la morte precoce. La puntigliosa registrazione delle entrate e delle uscite annotata nel diario ci dice anche che, se la sua impresa non fu in perdita, neppure gli assicurò un largo guadagno. Come al suo datore di lavoro, anche a lui furono dedicati tre omonimi generi Lyonia; nel 1808 da Rafinesque; nel 1817 dall'amico Elliott; nel 1818 da Nuttall. Per una volta ad essere accettato da botanici è il più recente. Questa la dedica: "Per commemorare il nome del fu Mr. John Lyon, un raccoglitore infaticabile del Nord America, che cadde vittima di un'epidemia perniciosa in mezzo a quelle montagne selvagge e romantiche che erano state tanto spesso teatro delle sue fatiche". Numerose sono poi le specie che lo ricordano nel nome specifico, come Chelone lyonii o Rosa carolina var. lyonii. Lyonia Nutt. (famiglia Ericaceae) comprende circa 35 specie di piccoli alberi o arbusti diffusi nelle boscaglie dell'area himalayana, in Asia orientale, nel Nord America e nelle Antille. E' molto affine a Pieris, in cui in passato è anche confluito (oggi studi molecolari ne confermano l'indipendenza). Decidue o sempreverdi, le piante di questo genere hanno foglie alternate, intere, coriacee e lucide e graziosi fiori penduli tubolari o a forma di urna raccolti in racemi terminali, solitamente bianchi. Tra le specie americane vale la pena di ricordare L. ligustrina, nativa degli Stati Uniti orientali dal Maine alla Florida, notevolmente adattabile ad ambienti diversi e capace, grazie ai rizomi, di resistere agli incendi (molto frequenti nelle pinete in cui vive abitualmente); L. mariana, sempre degli Stati Uniti orientali, usata dai Cherokee come pianta medicinale, e oggi minacciata in Pennsylvania e Connecticut; L. lucida, la specie più nota e diffusa, raccolta anche da Lyon, presente nelle pianure costiere degli Stati Uniti orientali dalla Virginia alla Florida e alla Louisiana e nell'isola di Cuba, con graziosi fiori penduli cilindrici portati su rami arcuati, bianchi, ma anche rosa o rossi. Sono tutti arbusti, mentre può diventare un vero albero l'asiatica L. ovalifolia, diffusa nell'India himalayana, in Cina e in Giappone. Una curiosità: un tempo Lyonia viveva anche in Europa. Alcuni frutti fossili di †Lyonia danica, attribuiti al Miocene medio, sono stati infatti trovati nello Jutland centrale (Danimarca). Qualche approfondimento nella scheda. L'8 aprile 1788 nacque ufficialmente la Linnean Society di Londra, la più antica e più prestigiosa società dedicata allo studio e alla divulgazione della classificazione degli esseri viventi. Lo scopo fondamentale della nuova associazione era valorizzare le collezioni di Linneo che il giovane James Edward Smith aveva acquistato e fatto portare a Londra, probabilmente salvandole dal degrado o dalla dispersione. Per quarant'anni presidente della Linnean Society e custode di quella inestimabile eredità, egli stesso attivissimo studioso di botanica e entomologia, Smith faticò tuttavia a scrollarsi di dosso le riserve di coloro che pensavano dovesse il suo prestigio più ai soldi che alla competenza scientifica. Ne è prova la curiosa polemica che accompagnò la nascita del genere Smithia. Le collezioni di Linneo arrivano a Londra La mattina del 23 dicembre 1783 Joseph Banks sta facendo colazione nella sua elegante casa di Soho Square con un giovane ospite, lo studente di medicina James Edward Smith, quando riceve una lettera dalla Svezia: il figlio di Linneo è morto e la madre gli offre i manoscritti, la biblioteca e le collezioni del grande naturalista per 1000 sterline. Banks che, pure cinque anni prima aveva fatto un'offerta anche più consistente, è imbarazzato: pur ricchissimo, sul momento non dispone di quella somma (l'equivalente più o meno di 175.00 euro). Ma poi ha un'idea: perché il giovane Smith, figlio di un facoltoso mercante di Norwich, non chiede i soldi al padre, diventando così con un solo gesto il salvatore dell'eredità di Linneo e un benemerito della scienza e della patria? James Edward è entusiasta, il padre e il fratello maggiore un po' meno. "Mio caro James - gli scrive il padre - la somma è molto forte, il rischio e le difficoltà grandissimi, l'ansia prodigiosa e la possibilità di delusioni più grandi ancora". Ma quando dalla Svezia arriva il catalogo e il mercante scopre che il solo valore dei libri copre più che ampiamente la somma richiesta, annusa l'affare e apre il portafoglio. Nella primavera successiva, prima che si facciano avanti altri acquirenti (si vocifera che sia interessata anche la zarina Caterina II) o che le autorità svedesi pongano il veto, la trattativa viene conclusa; ad agosto Smith riesce anche a convincere il Tesoro a rinunciare alle tasse di importazione e ad ottobre, chiuse in 26 casse, le collezioni di Linneo lasciano la Svezia a bordo del brigantino Appareance. Si dice che il re di Svezia, appena rientrato dall'estero, abbia mandato una nave da guerra all'inseguimento; benché colorito (e raffigurato in una stampa dell'epoca), l'aneddoto è falso. Fu così che l'eredità scientifica di Linneo giunse in Inghilterra, e Londra sostituì Uppsala come capitale della biologia sistematica. Smith era ora il proprietario e il custode di una collezione inestimabile che comprendeva 19000 fogli di erbario, 3198 insetti, 1564 conchiglie, 2500 minerali, almeno 3000 libri e 4000 tra lettere e manoscritti. Inizialmente avrebbe voluto affidare il tutto al British Museum, ma poi decise di fare trasportare i materiali nella sua casa di Chelsea; Banks e il suo segretario Dryander lo aiutarono in un primo sommario esame, che servì soprattutto a individuare i doppioni. Intanto il padre di Smith sollecitava il figlio a riprendere gli studi di medicina; James Edward invece preferì partire per un grand tour di diciassette mesi in Europa, nel corso del quale si laureò in medicina a Leida, visitò la Francia e l'Italia e prese contatto con eminenti personalità dell'ambiente scientifico. Al suo ritorno a Londra, informò il padre che non intendeva seguire la carriera medica, ma che sarebbe diventato un naturalista (fin dal 1784 era stato ammesso alla Royal Society); il suo obiettivo principale era ora fondare una nuova società di storia naturale che divenisse custode e divulgatrice dell'eredità linneana. Per ospitare più degnamente le collezioni, affittò una nuova casa londinese a Great Marlborough Street; con il sostegno di Banks, insieme a Samuel Goodenough (classicista, teologo e naturalista dilettante, che qualche anno dopo sarebbe diventato vescovo di Carlisle) e Thomas Marsham (funzionario dello Scacchiere, appassionato di entomologia) fondò quindi la Linnean Society, le cui riunioni preliminari si tennero in un caffè di Marlborough Street il 26 febbraio e il 18 marzo; nella prima riunione generale (8 aprile 1788), tenuta invece nella casa di Smith, la società venne fondata ufficialmente e Smith, Goodenough e Marsham furono eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario; Dryander fu nominato bibliotecario onorario. Inizialmente i membri erano 20, cui si aggiungevano 39 corrispondenti esteri, 11 associati e tre membri onorari (uno dei quali era Joseph Banks). Un'attività febbrile e molte polemiche La società prese a riunirsi regolarmente a casa di Smith due volte al mese, con una pausa estiva da luglio a ottobre. In cambio di un affitto di 20 sterline l'anno, aveva a disposizione due stanze, il locale per le riunioni e la biblioteca, che incominciò a crescere anche grazie alle donazioni di molti privati, tra cui lo stesso Banks. Inoltre dal 1794 presero ad uscirne i rendiconti, Transactions of the Linnean Society of London, che ben presto divennero una delle più prestigiose riviste scientifiche del pianeta. L'attività della Società, tuttavia, si reggeva su una situazione ambigua: era preposta allo studio e alla divulgazione delle collezioni di Linneo, che tuttavia erano di proprietà di Smith. Si riuniva nella sua casa ma non sembra, a parte l'uso della biblioteca, che i membri godessero di particolari privilegi per l'accesso alle collezioni. La situazione peggiorò quando nel 1796 Smith si sposò e insieme alla moglie decise di vivere a Norwich nove mesi all'anno, trascorrendone a Londra solo tre. Le presenze di Smith alle riunioni si fecero sempre più rare; inoltre, egli mise in vendita i minerali e fece trasportare il resto delle collezioni nella sua residenza di Norwich. La decisione arrivò dopo anni di assiduo impegno, che avevano logorato i nervi e la salute di Smith. Oltre a intrattenere gli ospiti che visitavano la sua casa, teneva conferenze di botanica e zoologia al Guy hospital e nella sua stessa dimora; dava lezioni di scienze naturali alla regina e alle principesse reali; aveva un'intensa attività di pubblicista; tra il 1790 e il 1793 iniziò la collaborazione con il grande illustratore Sowerby, per il quale scrisse le descrizioni della sua flora dell'Australia Icones pictae plantarum rariorum descriptionibus et observationibus illustratae. La residenza a Norwich consentiva a Smith - che comunque rimaneva al centro di una vastissima rete di corrispondenti, ai quali scriveva assiduamente - di sottrarsi alle "invidie e alle maldicenze, o anche peggio, tipiche degli artisti e degli autori di una grande città", come scrisse a Banks. D'altra parte, la sua posizione di custode del verbo linneano gli dava prestigio, ma allo stesso tempo ne limitava le possibilità di affermarsi come ricercatore originale; è significativo il fatto che la sua opera più importante, English botany, una gigantesca flora illustrata della Gran Bretagna, in 36 volumi (in 267 fascicoli mensili pubblicati nell'arco di 23 anni, dal 1791 al 1814), non sia uscita sotto il suo nome, ma sotto quella dell'illustratore James Sowerby, quasi Smith avesse ritegno nel firmare pubblicamente un'opera divulgativa. Non a caso, nonostante il sostegno di amici importanti come Banks, l'indubbio prestigio internazionale, una produzione sterminata (si calcola che abbia curato 3348 voci per l'Enciclopedia di Rees, in cui tra l'altro descrisse numerose piante inedite), il ruolo di curatore della più bella opera di botanica del suo tempo, la Flora graeca di Sibthorp, Smith non riuscì ad affermarsi sul piano accademico: nel 1814, la sua candidatura come professore di botanica a Cambridge fu respinta a causa della sua affiliazione religiosa (apparteneva alla chiesa unitariana); nel 1819, anche l'università di Edimburgo respinse la sua candidatura. Ma i dispiaceri più cocenti arrivarono da un vecchio amico dei tempi dell'Università, anch'egli tra i primi membri della Linnean Society, Richard Salisbury. A dividerli, furono rivalità sia personali sia scientifiche. Nel 1802, una discussione sui sistemi di classificazione (Smith difendeva il sistema linneano, Salisbury la classificazione naturale di Antoine-Laurent de Jussieu) sfociò in un violento litigio, in seguito al quale il permaloso Smith cercò di fare terra bruciata intorno a Salisbury inviando lettere di fuoco ai suoi corrispondenti. Nel suo moralismo poco sopportava i modi disinvolti dell'ex amico che, per non pagare gli alimenti alla moglie, aveva dichiarato una finta bancarotta (a quanto pare, danneggiando anche gli interessi finanziari di una sorella di Smith) e non aveva trovato di meglio che accompagnare in un bordello londinese un sedicenne protegé di Smith, un futuro pastore appena arrivato nella capitale. La rivalità tra i due raggiunse il parossismo nel 1804, quando Salisbury pubblicò un opuscolo in cui accusava Smith di aver copiato parola per parola nei suoi libri ottocento descrizioni linneane. D'altra parte, di plagi Salisbury si intendeva perfettamente: pochi anni dopo, sarebbe stato messo al bando dalla botanica inglese per aver pubblicato come propri i nomi delle Proteaceae creati di R. Brown (l'ho raccontato in questo post). Ma torniamo a Smith e alle collezioni di Linneo. Che queste ultime fossero a suoi occhi una proprietà personale, benché se ne proclamasse il custode in nome dell'umanità, fu chiaro alla sua morte, avvenuta nel 1828. A ereditarle non fu la Linnean Society, come probabilmente tutti si aspettavano, ma la moglie, che si affrettò a metterle in vendita. L'acquirente fu la stessa Linnean Society, che sborsò oltre 3000 sterline : tre volte il prezzo iniziale! E' vero che nel frattempo si erano aggiunte le ingenti collezioni dello stesso Smith, ma si può dire ugualmente che suo padre aveva visto giusto: l'acquisto dei materiali di Linneo era stato davvero un ottimo affare. Per trovare il denaro, la società dovette ricorrere a prestiti, riuscendo a estinguere il proprio debito solo più di trent'anni dopo, nel 1861. Per altre informazioni sulla vita di Smith e almeno sulle principali tra le sue numerose pubblicazioni, rinvio alla sezione biografie. Piante e botanici irritabili La rivalità tra Smith e Salisbury ebbe un curioso strascico che riguarda il genere Smithia. Nel 1789 nel terzo volume del catalogo dell'orto botanico di Kew (Hortus kewensis), con il nome Smithia sensitiva viene descritta una pianta indiana, introdotta in Inghilterra nel 1785. Pubblicato sotto il nome di W. Aiton, il giardiniere capo di Kew, Hortus Kewensis è in realtà un'opera collettiva, in cui le descrizioni furono redatte dai segretari di Banks (prima Solander e poi Dryander), mentre Aiton vi aggiunse informazioni sulla provenienza, l'introduzione in Inghilterra e indicazioni di coltivazione. Benché venga indicato nei repertori come Smithia Aiton, il nome del genere si deve dunque congiuntamente a Aiton e Dryander. Essi avrebbero dedicato questa modesta annuale della famiglia Fabaceae al fondatore della Linnean Society perché si tratta di una pianta sensitiva, ovvero di una di quelle che quando sono sottoposte a uno stimolo ritraggono o chiudono le foglie (argomento al quale, l'anno prima, Smith aveva dedicato il saggio Some observations on the irritability of vegetables). Nel 1808, in una lettera al direttore del Monthly Magazine, Salisbury dichiarò tuttavia che a creare il nome era stato lui, che aveva coltivato la pianta prima di tutti (già nel 1786 ne aveva inviato i semi a André Thouin del Jardin des Plantes) e che l'aveva nominata Smithia tre anni prima di Dryander, ma non per le ragioni che credeva il suo rivale. Secondo una (maligna) tradizione risalente a Linneo, si trattava in realtà di un suo ritratto vegetale: il fatto era che lui, Smith, era proprio un tipo irritabile, come aveva dimostrato per altro prendendosela a male per quello che era in fondo uno scherzo innocente. E in Paradisus Londinensis, fingendo di fare ammenda, rincarerà la dose, scrivendo: "Non che io abbia mai pensato che [Smithia] sia adeguata a commemorare i suoi meriti botanici, trattandosi di un'insignificante e ispida annuale; ma quella è ancora la mia opinione su alcuni dei suoi lavori". Nel loro odio reciproco, i due rivali cercarono anche di mettere di mezzo de Candolle: come quest'ultimo ricorda nelle sue memorie, quando stava sottoponendo a revisione tassonomica alcune denominazioni, Smith lo pregò di cancellare Smithia, perché si trattava di una pianta indegna che gli era stata dedicata come gesto di disprezzo; a sua volta Salisbury chiese di cancellare Salisburia perché non voleva debiti di riconoscenza con Smith che gliela aveva dedicata quando erano ancora amici. Forte delle ferree regole della nomenclatura botanica che aveva contribuito lui stesso a dettare, de Candolle giudicò che Smithia fosse un nome perfettamente legittimo, e lo lasciò; cancellò invece Salisburia, ma non per fare un piacere a Salisbury, bensì in nome della regola della priorità (si tratta di Gingko L.). Ma com'è questa Smithia, la pianta dello scandalo? E' un piccolo genere di erbacee o arbustini della famiglia Fabaceae (leguminose) soprattutto asiatico, ma presente anche in Africa e Australia, con massima diversità nel subcontinente indiano (diciassette specie su venti, con undici endemismi, nove dei quali confinate nei Gathi occidentali); alcune specie sono invece molto diffuse (tra di esse proprio S. sensitiva, presente in una vasta fascia da tropicale a temperata dall'Africa all'Australia). A parte un'unica specie quasi arbustiva, sono piccole erbe annuali, a volte dal portamento strisciante, delicate, con un ciclo annuale legato alle piogge; hanno modesti fiori papilionacei di diversi colori, ma prevalentemente gialli, spesso così piccoli da risultare insignificanti; fa eccezione S. setulosa, con vistosi fiori gialli con macchie aranciate, che dopo le piogge trasformano in una distesa dorata gli altopiani dei Gathi. Alcune specie molto comuni sono usate come foraggio e diverse hanno usi officinali nella medicina tradizionale. Qualche particolare in più nella scheda. Doveva essere nata sotto una cattiva stella l'Ambasceria Amherst, che tra il 1816 e il 1817 visitò la Cina. Iniziata tra grandi aspettative, fallì i suoi obiettivi diplomatici per la caparbietà e l'orgoglioso nazionalismo tanto dei cinesi quanto dei britannici; i suoi risultati scientifici andarono letteralmente in fumo tra gli scogli dell'Indonesia. Eppure, per la prima volta un nutrito gruppo di occidentali poté percorre per mesi l'interno del Celeste Impero e le numerose narrazioni che diversi membri della spedizione pubblicarono al loro ritorno contribuirono a cambiare la percezione della Cina in Europa. Una la scrisse il medico e naturalista Clarke Abel, che, se perse tutti i frutti delle sue ricerche, si guadagnò almeno l'onore di dare il proprio nome ai generi Abelia e, indirettamente, Abeliophyllum. Primo disastro: mi spezzo ma non mi piego Nel 1815, la Gran Bretagna era un paese orgoglioso dei propri successi: aveva tenuto testa alla Francia rivoluzionaria e napoleonica; aveva sconfitto e imprigionato l'odiato Boney; era di fatto diventata l'unica grande potenza coloniale ai danni non solo della Francia, ma anche di Spagna e Olanda; le sue navi dominavano gli oceani e le sue merci invadevano i mercati. Ma non quello cinese, ancora e sempre chiuso all'esterno. Le uniche transazioni commerciali passavano dagli empori concessi agli occidentali a Canton (Guanghzou), a condizioni rigorosamente dettate dai cinesi. Una situazione sempre più mal tollerata dalla Compagnia delle Indie che, insofferente delle ingerenze del viceré di Canton, chiese al re d'Inghilterra di inviare in Cina una missione diplomatica ufficiale, per cercare di ottenere condizioni più favorevoli. Nell'entusiasmo delle recenti vittorie e certo di un risultato positivo, il governo britannico accettò la richiesta, tanto più che la Compagnia si sarebbe fatto carico delle spese. Venne organizzata una ambasceria in grande stile (tra diplomatici, marinai, soldati, vi parteciparono diverse centinaia di persone), capeggiata da lord Amherst, affiancato da Henri Ellis e da Thomas Stauton, che da ragazzo aveva preso parte alla prima missione diplomatica britannica in Cina, l'ambasceria Macartney. Fu consultato pure Banks, che vent'anni prima aveva collaborato alla preparazione di quella missione, e grazie a lui la spedizione assunse anche carattere scientifico. Fu così che il dottor Clarke Abel, che inizialmente avrebbe dovuto essere solo il medico della spedizione, ne divenne anche il naturalista ufficiale. Banks lo istruì personalmente sui suoi compiti, gli procurò libri e attrezzature e gli affiancò un abile assistente, il giardiniere Thomas Hooper, che da cinque anni lavorava a Kew ed era considerato un grande esperto nella cura e nella riproduzione delle piante. L'ambasceria lasciò l'Inghilterra l'8 febbraio 1816, a bordo di due navi da guerra: l'Alceste, comandata da Murray Maxwell, e la Lyra, comandata a Basil Hall. Dopo sei mesi di navigazione, con brevi scali a Rio de Janeiro, Giava e Hong Kong, giunse in Cina all'inizio d'agosto; i diplomatici sbarcarono alla foce del Fiume bianco (Pei Ho), da dove avrebbero proseguito per Pechino. Calcolando che la missione avrebbe richiesto parecchi mesi di trattative, Amherst diede appuntamento alle navi per la fine dell'autunno a Canton, dove contava di reimbarcarsi per il viaggio di ritorno. Maxwell e Hull ne approfittarono per esplorare il Mar Giallo, quasi sconosciuto agli europei. Visitarono il mare di Pogai, toccarono le coste occidentali della Corea e le isole Ryukyu; in entrambi i casi (si trattava di stati tributari della Cina) furono i primi europei a prendere contatto con le autorità locali, che ignorarono la proibizione cinese in tal senso. I due capitani poterono correggere molti errori delle carte; durante il viaggio furono anche raccolte collezioni naturalistiche rilevanti. Ma torniamo a Amherst e ai suoi; giunto a Pechino all'alba il 29 agosto, fu immediatamente convocato per essere ricevuto dall'imperatore al Palazzo d'estate. Deciso a non eseguire il kowtow, il tradizionale omaggio rituale, consistente nel piegarsi fino a toccare la terra con la fronte per nove volte, Amherst rifiutò la convocazione, dichiarandosi malato e provato dal viaggio notturno. Il kowtow, che implicava il riconoscimento della sovranità universale del Figlio del Cielo, era infatti ai suoi occhi lesivo dell'onore della Gran Bretagna. A sua volta, l'imperatore considerò il rifiuto dell'ambasciatore britannico un oltraggio irrimediabile e ordinò che gli stranieri partissero immediatamente. Dunque la missione diplomatica fallì ancora prima di cominciare. Non così quella scientifica. Per raggiungere Canton, la missione infatti attraversò buona parte della Cina orientale, muovendosi per lo più lungo il Grande Canale, in un lungo viaggio di oltre quattro mesi. Tranne brevi tratti, la delegazione si mosse via acqua. Era la prima volta che un gruppo consistente di occidentali visitava quelle regioni. Ovunque passassero, il solerte Abel osservava quale vegetazione spontanea e quali coltivazioni crescessero lungo le rive; approfittò di ogni sosta per esplorare la campagna alla ricerca di piante; raccolse piante e semi, altri ne acquistò (ad esempio, in un mercato fece incetta di varie specie di felci, vendute come piante medicinali). Lo affiancava l'abile Hooper, che accudiva le piante vive, seccava e impacchettava semi, spesso di specie e talvolta di generi sconosciuti. Ovunque, Abel è affascinato dalla bellezza e dall'esotismo della flora, tanto spontanea quanto coltivata: i loti che letteralmente ricoprono il lago Kunming presso il Palazzo d'estate o vengono coltivati in grandi vasi dove nuotano pesci rossi e dorati; il sorgo che cresce altissimo; le sofore (Syphnolobium japonicum) che ombreggiano le rive; il Ficus repens così rigoglioso da nascondere le mura della cittadella di Nan-Kuo; i boschi di querce e conifere; le piante nanizzate (noi, con parola giapponese, abbiamo imparato a chiamarle bonsai); le peonie mountan che giudica le piante più belle che abbia mai visto. Non disdegna comunque le verdure che vede negli orti (peperoncini, melanzane, zucche e cetrioli e l'immancabile Pe Tse, ovvero Brassica chinensis, l'ancora oggi popolarissimo pak choi; le arachidi, così comuni che la parte aerea è consumata come verdura), gli alberi da frutto, le piante industriali; lo interessano particolarmente quelle oleifere (ricino, sesamo e Camelia oleifera, di cui è il primo occidentale a segnalare l'uso). L'incontro decisivo, quello che l'avrebbe fatto entrare nella storia della tassonomia botanica, avviene sulle rive del lago Po-Yang, a sud est di Shangai, nei pressi del villaggio di Ta Koo Tang, dove l'ambasceria sosta dal 14 al 19 novembre, in attesa che cessino le piogge. Sono eleganti cespugli dai rami flessuosi; i fiori bianchi sono quasi sfioriti, ma rimane la bellezza dei calici rosati persistenti. Di lì a pochi anni, riceveranno il nome con il quale li conosciamo: Abelia chinensis. Il lungo tragitto si concluse giusto il giorno di capodanno (1 gennaio 1817), quando la delegazione raggiunse Canton, dove la attendevano le navi. In attesa della partenza per l'Inghilterra, Abel visitò Canton, si informò sulle tecniche di preparazione della Moxa (pratica tradizionale basata sulla combustione di polvere di Artemisia vulgaris) e fece incetta di piante, soprattutto nei celebri vivai Fati, sulla riva sud del fiume, a 3 miglia di Canton. C'erano anche pianticelle di Camellia sinensis, su cui Banks contava per avviare piantagioni di tè nelle colonie britanniche. Secondo disastro: mi spezzo e vado in cenere Il 23 gennaio 1817 l'Alceste e la Lyra salparono alla volta dell'Inghilterra, facendo rotta per Giava. Dopo aver toccato Manila (3 febbraio), il 17 nello stretto di Gaspar, l'insidioso braccio di mare che separa le isole indonesiane di Belitung e Banka, l'Alceste urtò uno scoglio sommerso; si produsse una vasta falla che rese inutile il lavoro delle pompe. Il capitano Maxwell fece imbarcare sulla scialuppa più grande Amherst e diresse la costruzione di una zattera che, insieme alle imbarcazioni più piccole, riuscì a portare in salvo marinai e passeggeri, sbarcandoli sulla vicina isola di Pulo Leat, insieme a una certa quantità di bagagli e provviste. Il tutto si svolse con professionalità e disciplina e, come da tradizione, Maxwell fu l'ultimo ad abbandonare la nave, all'alba del 19 febbraio. Un solo neo per il povero Abel: per ordine di "un nobiluomo dell'ambasceria", un marinaio svuotò il mare le casse che contenevano i 300 pacchi di semi tanto coscienziosamente raccolti e conservati da lui e Hooper e se ne servì per portare in salvo gli abiti di quel gentiluomo. Pulo Leat era in gran parte ricoperta da un'impenetrabile foresta di mangrovie e non sembrava in grado di sostentare per un luogo periodo un gruppo di circa 300 persone, soprattutto per la scarsità di acqua potabile. Maxwell ordinò al suo primo comandante, H.P. Hoppner, di dirigersi il più velocemente possibile a Batavia, insieme a lord Amherst e a una cinquantina di uomini, per chiedere soccorso; un viaggio che, comunque, tra andata e ritorno, avrebbe richiesto almeno nove giorni. Una squadra di marinai fu inviata a recuperare ciò che rimaneva sul relitto (comprese le collezioni di Abel), ma, priva di armi, dovette desistere alla vista di un gruppo di pirati malesi intenti al saccheggio. Mentre il problema dell'acqua veniva risolto scavando un pozzo, Maxwell dispose a difesa i superstiti cannoni dell'Alceste e fece costruire una palizzata attorno all'accampamento. Il 22 inviò una squadra armata per cercare di riprendere la nave, ma i pirati risposero appiccandole il fuoco. L'incendio divampò tutta la notte; le fiamme distrussero, tra l'altro, tutte le collezioni tanto pazientemente raccolte da Abel (non solo piante, ma anche animali, conchiglie, rocce, oggetti etnografici). All'alba del 26 febbraio i pirati tornarono in forze, a bordo di due praho e due canoe. Gli inglesi riuscirono a respingere l'attacco e ad affondare un praho. Ma nei due giorni successivi ne arrivarono altri e incominciarono a bombardare l'accampamento. Il 14 marzo nella baia c'erano ormai quattordici praho. Mentre si teneva un disperato consiglio di guerra, una nave apparve all'orizzonte; era la Ternate, una nave della Compagnia delle Indie armata con 16 cannoni, inviata da Batavia in risposta all'appello di Lord Amherst. I pirati batterono in ritirata. Trasportati a Batavia, dove intanto Amherst si era procurato un'altra nave, i membri della sfortunata spedizione poterono intraprendere il viaggio di ritorno, durante il quale si fermarono a Sant'Elena per una visita a Napoleone (che evidentemente stava diventando un'attrazione turistica). Durante l'incontro con Amherst, l'ex imperatore pronunciò una frase che è rimasta celebre: "La Cina è un gigante addormentato. Quando si sveglierà, farà tremare il mondo". Al povero Abel rimaneva solo una speranza: prima di lasciare Canton, aveva donato alcuni doppioni delle piante più rare a Stauton (agente della Compagnia delle Indie, quest'ultimo era rimasto in Cina). Stauton in effetti poco dopo rientrò in Inghilterra e gliele restituì. Così Abel poté documentare almeno in parte le proprie ricerche, raccontando le sue avventure in Narrative of a Journey in the Interior of China, pubblicato nel 1818. Determinante fu l'aiuto di Banks, che gli mise a disposizione la sua biblioteca e, per la determinazione delle piante citate, lo affidò al solito Robert Brown (ormai mi sono convinta che avesse giornate di 36 ore e non dormisse mai). Il volume contiene il racconto dettagliato del viaggio, punteggiato dalla citazione minuziosa delle piante viste e raccolte (non sempre identificabili con certezza); è illustrato da diverse tavole, cinque delle quali botaniche. Per la storia della scienza, è importante l'appendice che contiene tra l'altro la prima segnalazione in Occidente dell'orango di Sumatra (che in onore di Abel sarà poi battezzato Pongo abelii); un breve paragrafo è dedicato alle "querce cinese", Quercus densifolia (non è chiaro a quale specie attuale corrisponda) e Q. chinensis, oggi Castanopsis sclerophylla (quella di Abel è la prima segnalazione); un altro alle piante oleifere, tra cui Camellia oleifera, descritta per la prima volta e così battezzata dallo stesso Abel. Affidata alla penna di Brown, conclude l'appendice la descrizione delle tre specie nuove: Hamamelis chinensis (oggi Loropetalum chinense, la prima segnalazione di una specie di questo genere), Eurya chinensis, e Abelia chinensis, appartenente a un genere nuovo, dedicato con "amichevole parzialità" allo sfortunato scopritore. In quale non fu molto fortunato neppure in seguito: il viaggio e il libro gli procurarono l'ammissione alla Royal Sociery (1819), ma quando lord Amherst venne nominato Governatore Generale dell'India lo volle con sé come chirurgo capo; e propri in India, a Kanpur, morì a soli 37 anni. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Otre a Abel, altri membri della spedizione diedero alle stampe le loro memorie di viaggio, contribuendo a cambiare l'immagine della Cina: se per gli uomini del Settecento era paese di grande civiltà da cui trarre insegnamento, ora diveniva l'Impero immobile (come lo chiamerà Peyrefitte), tagliato fuori dalla corrente della storia dall'autocentrismo, dalla diffidenza verso gli stranieri e da un potere tirannico, ma in sostanza inefficace e impotente. La prima guerra dell'oppio vi troverà senza difficoltà la sua giustificazione ideologica. Abelia e Diabelia: peggio i pirati o i tassonomisti? Il genere Abelia R. Br., appartenente alla famiglia Caprifoliaceae (Linneaceae secondo altre classificazioni), è molto noto agli appassionati per almeno una specie assai coltivata (oltre a godere il vantaggio di essere il primo in ordine alfabetico in qualsiasi enciclopedia di giardinaggio). La prima ad arrivare in Europa fu A. chinensis, dove fu introdotta nel 1844 da Robert Fortune; l'anno dopo arrivò A. uniflora. Ben presto entrambe furono soppiantate da A. x grandiflora, un ibrido orticolo tra le due specie, ottenuto la prima volta nel 1886 nel vivaio Rovelli a Pallanza. E' un arbusto semi-sempreverde sterile a lunga fioritura, in fiore fino ai primi freddi, un tempo molto popolare nei giardini. Infatti nel corso dei decenni, le possibilità di scelta hanno continuato ad allargarsi e, soprattutto negli ultimi trent'anni, sono state immesse nel mercato decine di nuovi ibridi, sfruttando anche le potenzialità di altre specie, come A. macrotera; particolarmente popolari quelli a foglie variegate, almeno una dozzina, le varietà compatte e quelle con foglie autunnali dai colori vivaci. Qualche approfondimento nella scheda. Eppure la maledizione del dedicatario sembra trasmettersi anche sul suo genere celebrativo. Qualche anno fa, sulla base delle ricerche filogenetiche, è stata evidenziata una stretta parentela tra tutti i generi della sottofamiglia Linnaeoideae (Abelia, Diabelia, Dipelta, Kolkwitzia, Linnaea, Vesalea, Zabelia); su questa base nel 2013 M. Christenhusz ha proposto di far confluire in Linnaea tutti gli altri generi, ad esclusione di Zabelia. Ad esempio, A. chinensis R. Br. diventa Linnaea chinensis (R.Br.) A.Braun & Vatke. La proposta è stata accolta da alcuni grandi repertori, come Plants of the Word. Ma questa volta forse i pirati (mi correggo: i tassonomisti) non avranno il sopravvento. Altri ricercatori la pensano in modo molto diverso; ad esempio, in uno degli studi più recenti (2015) H.F. Wang sostiene l'evidenza di sei generi distinti: quattro dell'Asia orientale (Abelia, Diabelia, Dipelta, Kolkwitzia), uno messicano (Vesalea), uno circumboreale (Linnaea). Questa linea è quella seguita da Plant list e, quello che forse più conta, dai ricercatori e dai repertori cinesi e giapponesi. Ad esempio, l'autorevole Flora of China elenca cinque specie di Abelia, diffuse tra Cina, Corea e Giappone: A. chinensis, A. forrestii, A. x grandiflora, A. macrotera, A. uniflora (un complex che raccoglie un gruppo molto variabile un tempo assegnato a specie diverse). Secondo questa soluzione, meno traumatica e a quanto pare anche meglio supportata dalle evidenze filogenetiche, il genere Abelia viene ridotto (un tempo comprendeva 30-40 specie, oggi come si è visto, cinque), ma confermato; continuano a farne parte le specie più note e coltivate, mentre ad essere escluse e a cambiare nome sono specie meno importanti dal punto di vista orticolo: la messicana A. floribunda, unica specie non asiatica, diventa Vesalea floribunda; il nuovo genere Diabelia va ad accogliere le tre specie cinesi D. serrata, D. spathulata, D. tetrasepala; mantiene la sua autonomia anche Zabelia. Diabelia significa "Abelia diversa, altra Abelia" e quindi è a tutti gli effetti un altro genere dedicato al nostro travagliato eroe. Troverete una breve presentazione nella scheda. Una curiosità: Zabelia è invece un falso amico, essendo dedicata al botanico tedesco H. Zabel. Abeliophyllum ovvero la forsizia bianca In realtà, già da tempo esisteva un altro genere indirettamente legato a Abel. Nel 1919 il botanico giapponese Nakai Takenoshin raccolse un arbusto dai profumati fiori bianchi a Jincheon, nella Corea meridionale. Sulla base della forma della foglie lo denominò Abeliophyllum ("con le foglie simili a Abelia") distichum. Appartenente alla famiglia Oleaceae, ha fiori assai simili alla Forsythia e, come quest'ultima, fiorisce all'inizio della primavera. In natura è sempre più raro e minacciato di estinzione: è presente in sole nove stazioni in tre province della Corea meridionale, con una distribuzione molto frammentata; la minaccia più grave è la deforestazione, che riduce progressivamente la quantità e la qualità del suo ambiente naturale. In coltivazione, poco nota fino a pochi anni fa, si sta invece sempre più affermando: grazie alla precocità della fioritura, con una profusione di candidi fiori stellati dal delicato profumo, è una pregevole acquisizione per i nostri giardini. Per quanto mi riguarda, l'ho messa in cima alla mia lista dei desideri. Qualche informazione in più nella scheda. Negli anni eroici dell'esplorazione botanica, tra Settecento e Ottocento, le giovani vite spezzate sono quasi la norma. Nelle mie storie mi sono già imbattuta in tanti giovani e giovanissimi scienziati che hanno sacrificato la loro vita sull'altare della conoscenza; anche la perdita del frutto delle proprie ricerche in seguito a terremoti, naufragi, inondazioni, incendi, vicende belliche era tutt'altro che rara. Eppure la storia di William Jack, forse perché possiamo seguirla attraverso i ricordi commossi dell'amico Nathaniel Wallich e l'omaggio sincero di William Jackson Hooker, appare particolarmente commovente, con la doppia sciagura della morte precoce e della perdita delle collezioni. A ricordarlo il genere monotipico Jackiopsis che si riallaccia (in seguito a complicate vicissitudini) a Jackia, voluto da Wallich per celebrare l'amico tanto rimpianto. Precocità, passione e sventure Quella di William Jack, giovane medico scozzese, botanico appassionato e geniale, è una vita tutta di corsa, segnata da una precocità quasi presaga del poco tempo che il destino gli avrebbe riservato. E' un fanciullo prodigio che impara a leggere da solo a tre anni, frequenta la scuola con ragazzi che hanno il doppio della sua età, a sedici anni conclude gli studi superiori, a poco più di diciassette (nonostante una grave malattia che l'ha fermato per quasi un anno) supera l'esame come chirurgo e inizia una carriera di medico militare al servizio della Compagnia delle Indie. Ha scelto questa strada per andare in Oriente, dove conta di studiare le piante esotiche, lui che è appassionato di botanica fin da bambino. Il 29 gennaio 1813 festeggia il diciottesimo compleanno a bordo della nave che lo porterà in India; durante il viaggio due brevi scali a Funchal e Simon's Bay nella colonia del Capo gli offrono un primo assaggio della flora esotica. Alla fine dell'anno è di stanza a Dumdum, in Bengala, e tra il 1815 e il 1816 partecipa alla guerra anglo-nepalese. In Nepal contrae la tubercolosi; riprende anche le ricerche botaniche e sente il bisogno di entrare in contatto con altri studiosi, per confrontarsi sui risultati; sa che Roxburgh sta scrivendo un libro sulla flora indiana (i due volumi di Flora indica usciranno tra il 1820 e il 1824) e vorrebbe sapere se vi ha descritto le specie raccolte in Nepal che gli sembrano nuove per la scienza. Forse non osando prendere contatto direttamente con il patriarca della botanica indiana, nel 1817 scrive al suo assistente, Nathaniel Wallich: è un collega (anche lui è un chirurgo al servizio della Compagnia delle Indie), ha solo nove anni più di lui, ha fatto una spedizione in Nepal. Alla lettera acclude la descrizione di una Lobelia nepalese (non corrisponde ad alcuna descrizione, sarà una specie nuova?) e un pacchetto di semi. Seguirà una seconda missiva, con un pacco di specie nuove di cui verificare l'attribuzione. E' l'inizio di un'amicizia. Wallich presenta alcune delle piante nepalesi di Jack in un articolo per l'Asiatic Society e poi lo invita a raggiungerlo a Calcutta, dove potrà curarsi e iniziare la convalescenza. Jack arriva nel luglio 1818 e Wallich lo ospita addirittura a casa sua, chiedendogli di lavorare con lui all'Orto botanico. Jack accetta e inizia preparare la pubblicazione di alcune delle sue scoperte, realizzando egli stesso le illustrazioni (tra i suoi innumerevoli talenti, c'era anche la capacità di disegnare le piante con estrema precisione). Nel novembre in visita all'orto botanico di Calcutta arriva un ospite importante: il vulcanico Stamford Raffles, che è qui per proporre ai vertici della Compagnia delle Indie la fondazione di Singapore. Vi trascorre un'intera giornata, scortato dai due botanici. La preparazione di Jack lo colpisce e gli propone immediatamente di seguirlo a Sumatra (il botanico che lavorava per lui, James Arnold, è morto pochi mesi prima, subito dopo aver scoperto Rafflesia arnoldii). L'eco di quella scoperta e quella pianta stupefacente sono un richiamo irresistibile per Jack, nonostante la sua salute precaria: Sumatra è un territorio vergine, non ancora esplorato da nessun europeo, e promette meraviglie mai viste (in una lettera ai suoi, la definisce "la meraviglia del mondo vegetale"). E così accetta. Nei quattro anni successivi, come medico e botanico, farà parte dello staff di Raffles e lo seguirà prima a Penang, nella penisola malese, poi a Singapore e Bencoolen, nell'isola di Sumatra. Con un attivismo che è anche un modo per esorcizzare la malattia (scriverà alla madre che si sente malato solo quando non ha niente da fare) in questo brevissimo lasso di tempo realizza un lavoro eccezionale per quantità e qualità. A Penang, in un soggiorno di soli tre mesi, raccoglie 130 piante, 80 delle quali probabilmente nuove. A Singapore, dove l'insediamento cresce a velocità prodigiosa, raccoglie esemplari rari (tra cui due specie ignote di Nepenthes) prima che le asce dei boscaioli e dei carpentieri li distruggano per far posto alle costruzioni. A Sumatra, si occupa di botanica, ma non solo; impara il malese, aiuta Raffles nella stesura di articoli sulla fauna, svolge ricerche etnografiche, fa parte di una Commissione di studio sullo stato della società di Sumatra e sugli effetti del monopolio della Compagnia. Le esplorazioni e le raccolte botaniche toccano non solo l'area limitrofa a Bencoolen, ma anche il nord dell'isola (Tapanuli) e l'isola di Pulau. Nel 1821, con due amici, scala il Gunung Bungkuk; a un certo punto, le guide indigene rifiutano di proseguire, temendo la vendetta degli spiriti della montagna se degli stranieri violassero quella cima sacra. I tre non si fanno spaventare: completano da soli l'ascensione (che in effetti si rivela piuttosto impegnativa) e si godono il panorama. Chi crede alla maledizione di Tuthankamon, potrebbe evocare la maledizione degli spiriti della montagna: dei tre audaci, un anno dopo due erano morti (uno di loro era Jack). Lo sfortunato botanico contrasse la malattia fatale (la malaria) che aggiungendosi alla tisi l'avrebbe portato alla tomba in un'occasione apparentemente priva di pericoli: nel marzo del 1822, Raffles lo inviò in sua rappresentanza ad assistere all'incoronazione del nuovo sultano a Moco-Moco. Tornato a Bencoolen, la sua salute cominciò a deteriorasi rapidamente; a nulla servì neppure un soggiorno a Giava, dove era stato inviato nella speranza che gli giovasse cambiare aria. Quando ritornò a Sumatra a settembre, era ormai così grave che Raffles decise di rimandarlo in Inghilterra. Ma il maltempo impedì alla nave su cui era imbarcato di salpare; riportato a terra, spirò poco dopo nella casa del governatore. Aveva solo 27 anni. Una sintesi della sua vita breve ma intensa nella sezione biografie. Due anni dopo, una seconda tragedia: l'erbario di Jack, le sue note, i disegni fatti da lui stesso o da artisti locali, le copie non distribuite della rivista con la sua unica pubblicazione a stampa, andarono perduti nell'incendio della nave Fame. Una pietra miliare della botanica del sudest asiatico In tanta tragedia, una sola fortuna: tra il 1820 e il 1822, Jack aveva pubblicato una selezione delle piante da lui raccolte a Penang, Singapore e Sumatra in una rivista voluta dallo stesso Raffles, Malayan Miscellanies, sotto il modesto titolo Descriptions of Malayan Plants. E' un documento di grande importanza storica (si tratta della prima rassegna della flora dell'arcipelago malese e vi compiano per la prima volta decine di piante nuove per la scienza), ma anche di notevole valore; secondo il parere unanime dei botanici contemporanei e degli studiosi successivi, le descrizioni dello sfortunato botanico scozzese si segnalano per accuratezza, completezza e grande capacità di mettere a confronto e discriminare specie affini. L'importanza di questa pietra miliare della botanica dell'arcipelago malese è testimoniata dal fatto che nel corso dell'Ottocento è stata ripubblicata tre volte: tra il 1830 e il 1836, da W. J. Hooker successivamente in tre diverse riviste (Botanical Miscellany, Journal of Botany, Companion of the Botancal Magazine); nel 1843 da W. Griffith in Calcutta Journal of Natural History; tra il 1886 e il 1887 in Trübner's Oriental Series. Jack vi descrive circa 200 nuove specie; crea 31 nuovi generi (18 dei quali sono attualmente riconosciuti) e la famiglia Cyrtandraceae (oggi considerata una sottodivisione di Gesneriaceae). Tra i generi da lui stabiliti, forse il più noto agli appassionati è Aeschynanthus, che comprende alcune ricadenti dai fiori rossi oggi relativamente diffuse in coltivazione; ricordiamo poi Eurichoma, Euthemis, Lasianthus, Ixonanthes, Rhodamnia, Sphenodesme (ottimo linguista, cui il greco era familiare fin da bambino, Jack privilegiava nomi botanici formati da basi greche, non sempre eufonici). A questa pubblicazione principale, bisogna poi aggiungere tre comunicazioni inviate a Robert Brown e da questi pubblicate nel 1823 in Transaction of Linnean Society: sulle specie malesi del genere Melastoma; sulla famiglia Cyrtandraceae; sul genere Lansium e altre piante malesi. Dell'erbario si sono salvati pochi esemplari sparsi inviati ad altri botanici (soprattutto a Wallich e allo stesso Brown). Secondo la testimonianza di Hooker, sarebbe stata intenzione di Raffles scrivere una memoria sull'amico scomparso; ma prima la perdita dei materiali, poi la sua stessa morte, sopraggiunta dopo appena due anni dal rientro in Inghilterra, gli impedirono di realizzare il progetto. Su istanza di Wallich, a provvedere fu lo stesso Hooker che pubblicò un'informata biografia di Jack, in appendice a uno dei fascicoli della sua edizione di Description of Malayan Plants, avvalendosi dei ricordi di amici e familiari e di estratti di lettere dello stesso Jack. Un groviglio gordiano: perché Jackia è diventata Jackiopsis L'infelice destino di Jack, la sua reputazione e la stima universale che riscuoteva (come botanico e come persona: "la più bella mente e il più bel cuore io abbia mai incontrato", disse di lui Raffles) fecero sì che dopo la sua morte i colleghi facessero a gara a dedicargli un genere, creando non poca confusione. Non poteva mancare l'amico Wallich, che nel secondo volume di Flora indica di Roxburgh (1824) gli dedicò Jackia Wall. (famiglia Rubiaceae) con parole commoventi: "Ho dedicato questo nuovo genere alla memoria del mio amico dipartito, il fu Mr. Jack, della cui perdita prematura ho già parlato e le cui infaticabili e ben note attività nella storia naturale gli hanno da tempo guadagnato la più alta stima. E' stato per l'amabile modestia del suo carattere, e non per negligenza da parte mia, se ho rinunciato al mio progetto di dedicare una pianta a questo eccellente botanico finché era in vita". Un omaggio venne pure da un altro grande botanico attivo nel sud est asiatico, il tedesco Carl Ludwig Blume, che nel catalogo dell'orto botanico di Bogor (1823) creò Jakkia, famiglia Polygalaceae, commettendo un errore ortografico che corresse due anni dopo in Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Rinominando il genere Jackia scrisse così: "Ho attribuito questo nome già nel 1823 in Enumeratio Plantarum Horti botanici Buitenzorgiani in memoria del Dr. Jack, botanico e esploratore del'isola di Sumatra di grandissimo merito". Infine, nel 1826 Kurt Sprengel in Systema Vegetabilium creò una terza Jackia (Malvaceae). Dato che non è ammesso che due o più generi abbiamo lo stesso nome, in questi casi vale la legge della priorità. Per parecchi decenni, la situazione è stata la seguente: Jackia Wall (pubblicato nel 1824) nome valido; Jackia Blume (1825) nome invalido perché la forma corretta è Jakkia (un'altra regola prevede che le trascrizioni latine errate non si correggano), che d'altra parte è sinonimo di un genere precedentemente creato da Roxburgh, Xanthopyllum; Jackia Spreng. (1826) nome illegittimo (è sinonimo di Eriolaena DC). Così per 150 anni la pianta dedicata da Wallich all'amico Jack (si tratta di un genere monotipico) ha portato il nome Jackia ornata. Finché negli anni '70 del Novecento alcuni studiosi fecero notare che Jackia non può essere considerato un errore per Jakkia, ma una sua variante grafica; dunque Jackia Wall. perde la priorità e non è più legittimo (vi gira un po' la testa? anche a me). E così nel 1979, C.E. Ridsdale propose di tagliare il nodo gordiano, creando il nuovo nome Jackiopsis. Con il sospetto che i tassonomisti a volte discutano del sesso degli angeli o che la maledizione degli spiriti della montagna colpisca ancora, mi adeguo. Dunque, eccola qui Jackiopsis ornata (Wall.) Ridsdale; è un imponente albero, alto anche più di 40 metri, scelto da Wallich per commemorare l'amico per la sua bellezza, ma anche per due caratteristiche che ne sintetizzano il destino: i fiori a quattro petali, raccolti in grandi grappoli penduli, bianchi come la neve oppure rosati, simboleggiano il lutto, il frutti caduchi la morte precoce. Anche la distribuzione geografica (Borneo, Malesia, Sumatra) corrisponde alla regione esplorata da Jack. In Malesia, dove cresce nelle foreste pluviali primarie intorno ai 400 metri, è considerata una pianta medicinale, di cui si usano le radici essiccate, dal piacevole gusto di ginseng, come antidolorifico, energetico, epatoprotettore, afrodisiaco. Qualche approfondimento nella scheda. La rarissima, strabiliante, Rafflesia arnoldii vanta il fiore più grande al mondo (oltre un metro di diametro). Non meno curiosa e interessante è la sua scoperta da parte della scienza occidentale (ovviamente, era nota da secoli alla popolazione locale, e usata nella medicina tradizionale) che coinvolse i due personaggi per sempre uniti nel suo nome: il botanico Joseph Arnold e il suo mecenate, Thomas Stamford Raffles, futuro fondatore di Singapore. Antefatti: un botanico sfortunato e un funzionario ambizioso Ufficialmente, la scoperta di quella che sarà battezzata Raffelsia arnoldii avvenne il 19 maggio 1818 a Sumatra. Tuttavia per trovare il primo botanico occidentale che vide una Rafflesia dobbiamo tornare indietro di oltre vent'anni e spostarci nell'isola di Giava, dove il botanico francese Louis Auguste Deschamps, superstite della spedizione Entrecasteaux, su richiesta del governatore olandese aveva condotto estese ricerche scientifiche nell'interno dell'isola. Probabilmente nell'agosto 1797, nell'isola di Nusa Kambangan, di fronte alla costa meridionale di Giava, si imbatté in una pianta ignota alla scienza occidentale, nota agli indigeni come Bunga patma (quasi certamente una Rafflesia, anche se è in discussione di quale specie). La descrisse e la disegnò. Nel 1802, quando Napoleone concesse l'amnistia agli emigrati che non avessero impugnato le armi contro la Repubblica, Deschamps rientrò in patria; ma nel corso del viaggio di ritorno la nave su cui viaggiava fu fermata dagli inglesi, che sequestrarono esemplari, appunti e disegni. Nonostante la scoperta non sia mai stata pubblicata (le carte dello sfortunato botanico, tuttora inedite, si trovano al British Museum), era nota ai botanici che operavano in quell'area e sembra circolassero persino copie del suo disegno. Negli anni successivi, le guerre napoleoniche coinvolsero anche le colonie del sudest asiatico. Per sottrarla al controllo francese, nel 1811 i britannici occuparono Giava e la amministrarono fino alla pace del 1814, quando fu restituita all'Olanda. A governarla fu chiamato un giovane e brillante funzionario della Compagnia delle Indie orientali, Thomas Stamford Raffles. Durante il suo breve mandato, oltre che per le riforme amministrative, egli si segnalò per l'interesse per la storia, la cultura (iniziò il restauro del tempio di Borobudur) e la natura giavanese. Per procurarsi animali e esemplari botanici, organizzò una squadra di raccoglitori indigeni, sotto la guida di un medico e naturalista americano, Thomas Horsfield; creò una specie di zoo, un rudimento di orto botanico e una collezione di oggetti naturali e etnografici. Fu il vero e proprio inizio delle ricerche naturalistiche a Giava, che avrebbe ispirato iniziative come la creazione dell'orto botanico di Bogor, fondato dagli olandesi nel 1817. A far conoscere la natura di Giava contribuì anche l'importante History of Java (pubblicato da Raffles nel 1817), che comprende capitoli sulla flora e la fauna. Quest'opera introdusse Raffles nell'establishment scientifico britannico, guadagnandogli l'ammissione alla Royal Society e l'amicizia di personalità come Joseph Banks. Il re lo nominò baronetto. Apprezzato a Londra, ma molto meno dai vertici della Compagnia, con una vera e propria retrocessione nel 1817 Raffles tornò in Asia come governatore generale di Bencoolen, una base commerciale di scarsa importanza sulla costa occidentale di Sumatra. Anche qui, come a Giava, si segnalò per l'energia delle sue riforme, le capacità diplomatiche e l'interesse per il mondo naturale. Adesso al suo servizio c'era un altro giovane naturalista, il medico inglese Joseph Arnold. Una scoperta sensazionale Ed eccoci ritornati a quel maggio 1818 in cui fu scoperta Rafflesia arnoldii, nel corso di una breve spedizione a metà tra missione diplomatica e esplorazione scientifica. Temendo le incursioni delle popolazioni locali nei territori della Compagnia situati lungo la costa meridionale di Sumatra, Raffles decise di muovere verso sud per cercare un accordo. La spedizione, oltre a Raffles e al dottor Arnold, comprendeva la moglie di Raffles, l'intrepida lady Sophia, alcuni soldati e una sessantina di portatori. Partito da Bencoolen intorno al 15 maggio, viaggiando a cavallo dopo due giorni il gruppo raggiunse Manna, dove gli si unirono ufficiali locali, il Pangeran (un alto nobile locale) e il residente della compagnia, Edward Presgrave. Il 19 maggio, nei pressi del villaggio di Pulau Lebar, uno dei servitori malesi richiamò l'attenzione del dottor Arnold, che si era separato dal gruppo per esplorare la foresta: "Signore, venga, venga con me. Un fiore molto grande, bellissimo, meraviglioso!". Arnold non se lo fece dire due volte: ed eccolo di fronte a un oggetto mai visto: una corolla enorme, con un diametro di più di un metro e spessi petali carnosi rossastri, macchiettati di bianco. Il peso era di quasi sette chili e la coppa interna conteneva non meno di sei litri d'acqua. Il tutto emanava esattamente l'odore della carcassa di un bufalo in avanzato stato di decomposizione. Poco dopo allo stupefatto botanico si unirono Raffles, Sophia e Presgrave. Arnold disegnò e raccolse l'esemplare (un fiore maschile che si decompose rapidamente; fu possibile conservare solo una piccola parte dell'apparato riproduttivo) e alcuni boccioli ancora chiusi. Pochi mesi dopo, Arnold morì di una febbre contratta in questa o in una successiva spedizione nell'interno, senza aver potuto completare né la descrizione né il disegno (a completarlo fu Sophia Raffles). Le note di Arnold, il disegno, i boccioli e ciò che si era potuto preservare del fiore furono spediti a Banks, a Londra, che li affidò per il riconoscimento e la descrizione a Robert Brown. A Sumatra, il successore di Arnold come botanico della Compagnia delle Indie, William Jack, continuò le ricerche, raccogliendo anche un esemplare femminile (anche i boccioli raccolti da Arnold risultarono maschili). Nel 1820, scrisse un articolo in cui descrisse diverse specie tropicali ignote alla scienza, tra cui quella che denominò Rafflesia titan. Lo inviò alla madre, con la richiesta di farlo pubblicare se in Inghilterra Rafflesia era ancora inedita; altrimenti di sopprimerlo. Questa strana richiesta si spiega con il desiderio di assicurare la priorità alla scienza britannica: temeva infatti che Deschamps (la cui scoperta era ben nota ai botanici che operavano tra Sumatra e Giava), nonostante la perdita dei materiali, potesse pubblicarla per primo. Pubblicato solo nel 1822 in Malayan Miscellanies, il nome è oggi considerato illegittimo perché preceduto dalla denominazione di Brown. Basandosi sul disegno e i materiali di Arnold, quest'ultimo aveva infatti comunicato la scoperta del gigantesco fiore di Sumatra nella riunione della Linnean Society del 30 giugno 1820; nella seduta del 21 novembre, aggiunse altre informazioni ricevute da Raffles e Jack. La pubblicazione ufficiale avvenne l'anno successivo in Transaction of Linnean Society. Inizialmente Brown aveva pensato di denominare il fiore gigante Arnoldia grandiflora, ma poi, seguendo le abitudini dell'epoca (era usuale privilegiare lo sponsor più che il botanico) decise di riunire il nome di due scopritori in Rafflesia arnoldii, scrivendo che lo stesso dottor Arnold avrebbe voluto così (è probabile, come dimostra l'analoga scelta di Jack). Illustrata da un magnifico disegno di Bauer, la pubblicazione destò scalpore: quel fiore mostruoso corrispondeva perfettamente a ciò che l'immaginario collettivo dell'epoca associava all'Oriente: il mistero, l'eccesso, l'esuberanza di una natura che affascinava e allo stesso tempo respingeva. Come scrive T.P. Barnard in The East India Company and the Natural World, da una parte divenne il simbolo dell'alterità delle regioni tropicali, dall'altra una giustificazione delle spedizioni per conoscerle e prenderne possesso. Quasi immediatamente (1825) ne vennero ordinati tre modelli in cera a grandezza naturale, uno per lo stesso Raffles, uno per la Linnean Society, l'altro per la Royal Horticultural Society. Quest'ultimo è l'unico sopravvissuto e può essere tuttora ammirato ai Kew Gradens. Epilogo: distruzione e creazione di un eroe Come nei romanzi ottocenteschi, prima di salutare i tanti personaggi comparsi in questa storia, due parole sulle vicende successive. Lasciamo da parte Deschamps, Horsfield e Jack che, come dedicatari rispettivamente di Deschampsia, Horsfieldia e Jackiopsis, saranno protagonisti di post tutti per loro. Arnold, l'ho già anticipato, morì pochi mesi dopo la sensazionale scoperta. Dopo la sua morte, gli vennero dedicati ben due generi, ma nessuno dei due è tuttora valido: nel 1824 il botanico francese Henri Cassini gli dedicò Arnoldia (famiglia Asteraceae), oggi sinonimo di Dimorphoteca; nel 1826 una seconda Arnoldia (famiglia Cunoniaceae) gli fu dedicata dal tedesco Blume, denominazione non valida per la priorità di quella di Cassini. Quanto a Raffles, doveva ancora conquistare il suo maggior titolo di gloria: la fondazione di Singapore, di cui comprese l'enorme valenza strategica, suggerendone la creazione alla Compagnia nel 1818 e gettandone le basi l'anno successivo. Lasciando da parte le vicende politiche (qualche cenno si troverà nella biografia), negli anni che avrebbe ancora trascorso nel Sudest asiatico continuò a promuovere l'esplorazione naturalistica di Sumatra avvalendosi della collaborazione di Jack (anch'egli morto di febbri nel 1822) per mettere insieme una collezione di oltre 2000 pezzi, che comprendeva anche disegni commissionati a pittori locali. Nei brevi periodi trascorsi a Singapore (funestati dall'ostilità crescente dei vertici della Compagnia e dalla rivalità con il Residente William Farquahr) promosse istituzioni scientifiche, fondando tra l'altro una scuola dove si potesse studiare sia l'inglese sia le lingue locali, nell'obiettivo di formare i figli tanto degli impiegati della Compagnia quanto dei leader malesi e cinesi. Ospitò Nathaniel Wallich, venuto qui in convalescenza, e insieme crearono un orto botanico e un giardino sperimentale, dedicato soprattutto alle piante di interesse commerciale. Probabilmente Raffles progettava di scrivere un'opera su Sumatra analoga a quella su Giava. Tuttavia tutte le sue carte, le collezioni naturalistiche, i disegni di piante e animali, andarono perduti nell'incendio della nave "Fame" su cui si era imbarcato con la famiglia nel gennaio del 1823 per tornare in patria. Nelle otto settimane seguenti, in attesa di un nuovo imbarco, commissionò ad artisti locali una serie di disegni (44 uccelli, 7 mammiferi e 27 piante), oggi conservati nella British Library. Rientrato in patria in pessime condizioni di salute, in totale rottura con la Compagnia delle Indie, si concentrò sugli interessi naturalistici. Nel 1825 fu tra i fondatori della Società zoologica di Londra (di cui fu il primo presidente) e promosse la creazione dello Zoo di Londra. Morì nel 1826, il giorno prima del suo quarantacinquesimo compleanno. In odio alle sue posizioni antischiaviste, il vicario della sua parrocchia (la cui famiglia si era arricchita con il commercio di schivi) gli rifiutò la sepoltura; la compagnia negò ogni pensione alla vedova e requisì le sue proprietà in risarcimento delle perdite subite durante la sua amministrazione. A riabilitarne la memoria si dedicarono prima la moglie, che gli sopravvisse per un trentennio, poi gli esegeti del colonialismo vittoriano, che ne fecero un eroe. Piante rare a rischio d'estinzione Il genere Rafflesia comprende circa 28 specie di piante parassite endemiche delle foreste pluviali del Sudest asiatico (Thailandia, Indonesia, Malaysia, Filippine). Sono endoparassiti, che vivono totalmente all'interno dei tessuti della pianta ospite (diverse specie di Tetrastigma, una liana della famiglia Vitaceae); il corpo della pianta è costituito da filamenti presenti nelle radici dell'ospite; è priva di foglie, fusti, radici; l'unica manifestazione esterna sono i fiori. I boccioli tondeggianti, simili a un cavolo, emergono dalla corteccia dell'ospite e dopo circa 9 mesi si apre un fiore massiccio, con cinque petali e una profonda coppa centrale, che contiene numerosi organi appuntiti, la cui funzione è sconosciuta, e molti litri di nettare. In quasi tutte le specie, i fiori maschili (dotati di stami) e quelli femminili (dotati di pistillo) sono portati da piante diverse, spesso molto distanti tra loro; inoltre, quelli femminili sono particolarmente rari. L'impollinazione viene effettuata da insetti sarcofagi, attratti dall'intenso odore di carne putrefatta. Il fiore appassisce dopo pochissimi giorni (da 5 a 7); questo, insieme alla distanza tra gli esemplari femminili e maschili e ai lunghi tempi di sviluppo del bocciolo, che rendono rara la fioritura contemporanea in aree sufficientemente prossime di esemplari dei due sessi, rende piuttosto difficile l'impollinazione. Se invece le cose vanno lisce, alla fioritura seguirà un frutto tondeggiante, di circa 15 cm di diametro, che contiene migliaia di piccoli semi. La dispersione di questi ultimi avviene grazie a piccoli roditori che si cibano dei frutti. Tutte queste caratteristiche hanno due conseguenze: le Rafflesiae sono poco conosciute e rischiano di estinguersi. Per studiarne i tessuti, bisogna necessariamente uccidere sia la pianta sia l'ospite. Inoltre, mancando (fiore a parte) tutti gli altri organi tipici delle piante superiori, la classificazione di questo genere (e dei generi affini Rhizanthes e Sapria, che insieme formano la famiglia delle Rafflesiaceae) è un vero rebus, che è stato risolto solo di recente grazie allo studio del DNA, dimostrando con prove convincenti che la famiglia più vicina è costituita dalle Euphorbiaceae (il che desta stupore, pensando che a questa famiglia appartengono piante con fiori molto piccoli). Le particolarissime esigenze e le specificità della riproduzione delle Rafflesiae, unite alla costante diminuzione del loro habitat, ne mettono inoltre a rischio la sopravvivenza; nessun orto botanico, compreso quello di Singapore, è finora riuscito a coltivare con successo R. arnoldii; R. patma è invece coltivata nell'orto botanico di Bangor, a Giava, dove sono stati sperimentati con successo metodi di riproduzione agamica (mentre è fallita la riproduzione per semi). L'unica strada per conservare questa meraviglia della natura è dunque preservarne l'ambiente naturale, una sfida senza dubbio difficile. A Sabah, nel Borneo settentrionale, sono stati creati giardini di conservazione (la specie presente qui è R. keiti) e si incoraggiano i proprietari dei terreni dove ne è stata segnalata la presenza a mantenerli intatti, a proteggere i boccioli nei lunghi mesi che precederanno la fioritura, a segnalare l'apertura dei fiori e ad accogliere i turisti, in cambio di un contributo statale; in altri paesi sono in atto iniziative analoghe di turismo ecosostenibile. Con la sua rarità e il suo fascino esotico, Rafflesia è infatti anche un'attrazione turistica, che alimenta un'industria i cui proventi si spera possano contribuire a salvarla. Qualche approfondimento nella scheda. Hans Sloane fu una delle figure più influenti della scienza britannica della prima metà del Settecento. Non tanto per le sue opere scientifiche (che in sostanza si riducono a una sola, per quanto importante) quanto per la sua passione di raccogliere cose e per la capacità di coltivare relazioni. Di lui è stato detto che non c'era personalità scientifica, soprattutto nel campo della botanica, che non conoscesse o con cui non corrispondesse. Inoltre la sua lunghissima vita - nato nel 1660, morì a 93 anni, nel 1753 - gli permise di attraversare profonde trasformazioni, politiche, economiche e ovviamente scientifiche. Che il figlio di un modesto funzionario irlandese sia diventato il medico di nobili e sovrani, baronetto, presidente prima del Collegio reale dei medici poi della Royal Society, ricchissimo grazie alla sua professione ma anche ai proventi di piantagioni lavorate da schiavi neri, principe dei collezionisti e padre del British Museum, sta lì a dimostrarlo. Tra suoi ammiratori, anche Plumier e Linneo, che cooperarono alla creazione del genere Sloanea. Sloane il raccoglitore Nel 1684, al suo rientro dalla Francia, dove si era laureato in medicina dopo aver seguito i corsi di Tournefort e Magnol, il giovane Hans Sloane si presentò al celebre medico Thomas Sydenham (che, va sottolineato, non era un tradizionalista). Quando mostrò orgoglioso il suo curriculum, si sentì dire: "Ottimo, ma non serve a niente. Anatomia! Botanica! Non ha senso! Caro signore, conosco una vecchietta al Covent Garden che di botanica ne sa molto di più. Quanto poi all'anatomia, il mio macellaio può dissezionare un'articolazione in modo perfetto. No, giovanotto; è tutta robaccia. Deve andare al capezzale dei malati; è solo lì che si impara qualcosa sulle malattie". La congiunzione tra la pratica empirica e gli studi scientifici non era ancora avvenuta. Eppure Sydenham stimava abbastanza il "giovanotto" da farne il suo protetto, aiutandolo a inserirsi nell'ambiente medico londinese. Sloane da parte sua fin da studente aveva saputo stringere legami anche d'amicizia con personaggi del calibro di John Ray e Robert Boyle; nel 1685, fu ammesso alla Royal Society (nata proprio l'anno della sua nascita) e nel 1687 nel Collegio reale dei medici. Lo stesso anno, accettò di accompagnare in Giamaica il nuovo governatore, il secondo duca di Abermale, come medico personale e chirurgo della flotta. Con il fiuto per gli affari che l'avrebbe sempre contraddistinto, contrattò un ottimo trattamento economico, che una volta arrivato a destinazione investì nell'acquisto di zucchero e corteccia di china. Per un giovane medico appassionato di botanica un viaggio in Giamaica era l'occasione della vita. Oltre all'eccellente salario e all'appoggio di una nobile famiglia, ad attrarlo fu un ambiente naturale ricchissimo, ancora in gran parte inesplorato; a spingerlo ad accettare l'incarico fu in particolare John Ray, che contava sulle sue scoperte per risolvere i problemi posti dalla classificazione delle piante. Da questo punto di vista, era una scelta felice: la Giamaica è, tra le isole delle Antille, quella più ricca di biodiversità vegetale; il suo patrimonio di angiosperme è stimato a circa 2800 specie, 500 sono le felci, con più del 20% di specie endemiche (per fare un confronto, nelle piccole Antille sono il 13%). La piccola flotta del duca salpò da Portsmouth il 12 settembre 1687, toccando Madeira, Barbados, diverse isole delle piccole Antille, Haiti e raggiungendo la Giamaica il 19 dicembre. Durante il viaggio (come faranno dopo di lui tanti altri scienziati viaggiatori) Sloane fece osservazioni sulla fosforescenza e gli uccelli marini, approfittando delle poche soste per erborizzare. Ad esempio, a Madeira, dove si fermarono solo tre giorni, riuscì a raccogliere esemplari di ben 38 diverse specie e sottospecie. Quando vi giunsero Sloane e il suo datore di lavoro, la Giamaica era all'inizio di una profonda trasformazione economica, sociale e demografica. Strappato agli spagnoli nel 1655 con un colpo di mano, per qualche decennio questo avamposto della guerra coloniale tra monarchia britannica e spagnola aveva prosperato grazie alla guerra da corsa (famosa è rimasto il corsaro Henry Morgan che, per qualche anno, ne fu anche il governatore). Nel 1670, tuttavia, erano giunti la pace e il riconoscimento della sovranità inglese; i proventi delle spedizioni corsare incominciavano a passare in secondo piano rispetto all'economia di piantagione, basata sul lavoro degli schiavi neri importati dall'Africa. Al momento il processo era solo agli inizi (nel 1672 le piantagioni erano 70, nel 1770 sarebbero divenute 680; gli schiavi neri, circa 9500 negli anni '70 del Seicento, erano già 45.000 nel 1700, per toccare 300.000 nel 1800). Inoltre, gli inglesi controllavano di fatto solo i territori costieri; l'interno era il rifugio dei maroons, ex schiavi neri che erano stati liberati dagli spagnoli al momento dell'invasione inglese e avevano formato delle comunità indipendenti, fondendosi in parte con la popolazione indigena degli Arawak. Il governatore si stabilì nella vecchia capitale spagnola, Santiago de la Vega (oggi Spanishtown). Sloane, che prestava i suoi servizi anche ai ricchi piantatori bianchi, poté però visitare anche altre comunità dell'isola, passando da una piantagione all'altra. Durante il suo soggiorno di circa quindici mesi, tenne un diario di campo in cui annotò scrupolosamente osservazioni sulla fauna, la flora, i costumi della popolazione locali e fenomeni naturali, come un terremoto. Raccolse un'importante collezione di piante (circa 800 specie), insetti, molluschi, conchiglie, pesci, nonché oggetti di interesse etnografico. Poiché nel clima tropicale era spesso difficile o anche impossibile conservare gli esemplari (una parte della sua collezione fu divorata dalle formiche), si assicurò la collaborazione di un pittore locale, il reverendo Garrett Moore, che disegnò piante e animali dal vivo. Dopo poco più di un anno, il governatore (un pessimo paziente, che indulgeva al bere nonostante le rimostranze del suo medico) morì. La vedova, ottenuto il permesso da Londra - dove nel frattempo Giacomo II era stato rovesciato dalla Gloriosa rivoluzione - rientrò in patria nel maggio 1689, accompagnata dal cadavere imbalsamato del marito, dal dottor Sloane e dalla sua vasta collezione, inclusi alcuni animali vivi tra cui un'iguana, un alligatore e un serpente lungo sette piedi, che movimentarono il viaggio di ritorno. L'iguana cadde dal ponte, l'alligatore morì di morte naturale, il serpente fu ucciso da un terrorizzato servitore della duchessa. Sloane il medico e lo scienziato Sul quel viaggio Sloane seppe edificare la sua fortuna, professionale, economica, scientifica. Dopo essere rimasto per qualche anno al servizio della vedova di Abermale, divenne un medico alla moda con una clientela altolocata (inclusi i sovrani britannici, Anna, Giorgio I e Giorgio II). Nel 1716 fu fatto baronetto; nel 1719 divenne presidente del Collegio dei medici (incarico che resse per sedici anni); nel 1727 protomedico di Giorgio II. Altra fonte di proventi furono anche le sue ricette mediche, tra cui una pomata per gli occhi e una bevanda che sarebbe rimasta legata al suo nome (almeno nei paesi anglosassoni): la cioccolata calda. Durante il soggiorno in Giamaica, Sloane aveva osservato i vari modi in cui le diverse comunità dell'isola consumavano il cioccolato: i neri se ne servivano per svezzare i neonati; i nativi lo bevevano amaro e reso piccante dal pepe; gli spagnoli vi aggiungevano il peperoncino e ne consumavano anche 5 o 6 tazze al giorno. Quanto lui, lo trovava stomachevole, amaro e difficile da digerire. Ma diventava leggero e benefico se zuccherato e diluito con latte. Ecco la famosa formula della cioccolata di Sloane, un tonico venduto in farmacia che talvolta prescriveva ai suoi pazienti. Ma egli non fu affatto l'inventore di questa bevanda; non era l'unica formula del genere in commercio; a sfruttarla commercialmente e a legarla al nome di Sloane (un personaggio molto noto e universalmente stimato) fu, dopo la sua morte, un droghiere di nome Nicholas Sanders che creò probabilmente il primo marchio commerciale di cioccolata, sostenendo di rifarsi alla ricetta originale di Sloane; l'idea venne ripresa in più grande stile all'inizio dell'Ottocento dai fratelli Cadbury che finirono per imporre il mito di Sloane inventore della cioccolata in tutto il mondo anglosassone. Al di là della fortunata professione di medico, la ricchezza di Sloane aveva però anche altre basi. In Giamaica aveva incontrato Elizabeth Langley Rose, figlia di un facoltoso mercante londinese e moglie di uno dei più ricchi piantatori dell'isola. Quando Elisabeth rimase vedova, sposò in secondo nozze Sloane, portandogli in dote le piantagioni ereditate dal marito. E' dunque allo zucchero, e agli schiavi neri che lo coltivavano, che egli dovette la sua fortuna più volte milionaria. Membro attivo e influente della Royal Society, nel 1695 ne divenne segretario. In quel periodo, la società era in difficoltà economiche e amministrative; Sloane vi applicò il suo talento organizzativo, promuovendo la società attraverso la ripresa della pubblicazione delle Philiosophical Transactions (di cui fu curatore per circa vent'anni), l'assidua corrispondenza con studiosi di tutto il mondo, il risanamento finanziario ottenuto incoraggiando le donazioni e espellendo i soci morosi. Dopo la morte del Newton, nel 1727 divenne Presidente della Società, carica che resse fino al 1741, quando si ritirò ottantunenne per problemi di salute. I rapporti epistolari intessuti con gli scienziati di tutto il mondo (che continuò a coltivare anche dopo il ritiro) furono essenziali per ridare prestigio all'istituzione. Proprio nelle Philosphical Transactions comparve nel 1696 il catalogo delle piante giamaicane (Catalogus Plantarum quae in Insula Jamaica sponte proveniunt). Scritto in latino, e quindi destinato agli studiosi, è un'opera scarna, priva di illustrazioni, che elenca e descrive succintamente le circa 800 specie raccolte principalmente in Giamaica, ma anche durante le altre tappe del viaggio; segue l'indicazione del luogo di raccolta e, per le piante già note, i riferimenti bibliografici e i sinonimi. Ben accolta negli ambienti scientifici, era solo un'anticipazione della sua opera maggiore, Voyage to the Islands Madera, Barbados, Nieves, S. Christophers, and Jamaica, with the natural history . . . of the last of those islands, in due splendidi volumi illustrati, usciti rispettivamente nel 1707 e nel 1725. Scritti in inglese, in uno stile spesso brillante, si rivolgevano a un pubblico più largo anche di appassionati, ma divennero anche un'opera di riferimento, utilizzata anche da Linneo. Il primo volume si apre con una storia della Giamaica a partire da Cristoforo Colombo, seguita da una dettagliata descrizione dell'isola e delle varie comunità che vi vivevano: spagnoli e inglesi, nativi, africani. Uomo del suo tempo, Sloane descrive la schiavitù senza né giustificarla né condannarla, registrandola semplicemente come un dato di fatto, anche quando si sofferma sulle atroci punizioni inferte agli schiavi "ribelli". D'altra parte, ha un atteggiamento di rispetto verso le altre culture. Riconosce che le abitudini di vita degli amerindi e degli africani sono più sane di quelle degli europei (molti, come il duca di Abermale, morivano precocemente per gli eccessi nel bere) e più adatte al clima tropicale. Trascrive canzoni e ricette (compreso il Jerk chicken, un pollo speziato che è ancora uno dei piatti più celebri della cucina giamaicana), analizza le malattie più frequenti e i modi per curarli. La seconda e più ampia parte del volume è dedicata alle piante erbacee e i mammiferi, descritti in modo molto dettagliato e accurato. Il secondo volume (uscito, come si è visto, 18 anni dopo il primo), dopo un'introduzione in cui Sloane risponde ai suoi critici, passa in rassegna gli alberi, i pesci e altri animali marini, gli insetti, gli uccelli, la geologia dell'isola con sezioni sulle pietre, le terre e i minerali. Le bellissime illustrazioni a grandezza naturale contribuirono grandemente al successo dei volumi. In parte furono tratte dai disegni eseguiti in loco da Moore, in parte furono eseguite dall'artista scozzese di origini olandesi Everjardius Kickius sulla base degli esemplari essiccati. Le incisioni sono di Michiel van der Guscht. Il primo volume comprende 256 tavole, prevalentemente botaniche, il secondo 80 tavole di piante e 42 di animali. Sloane il collezionista Gli animali, le piante e gli altri oggetti raccolti in Giamaica furono il primo nucleo di una vastissima collezione, dedicata soprattutto agli oggetti naturali, che Sloane andò ampliando per tutta la vita, investendovi le sue cospicue fortune nell'acquisto delle raccolte di altri collezionisti. Così, nel 1701 ereditò - in cambio del pagamento dei suoi debiti - quella di William Corten, che si stima comprendesse 50.000 pezzi; acquisì la collezione d'arte del cardinale Gualterio, ma soprattutto le collezioni di storia naturale e gli erbari di botanici britannici e stranieri, che includono James Petiver, Nehemiah Grew, Leonard Plukenet, Adam Buddle, Paul Hermann e Herman Boerhaave. Il suo erbario, che inizialmente era formato dagli otto volumi con le piante raccolte durante il viaggio in Giamaica, giunse a comprenderne 265. Inizialmente la collezione era ospitata nella casa di Sloane al n. 3 di Bloomsbury Place; quando divenne troppo grande, Sloane risolse il problema acquistando il palazzo accanto, al n. 4. Ma neppure questo bastò. Così nel 1712 acquistò una proprietà a Chelsea, Chelsea Manor, dove si trasferì quando, superati gli ottant'anni, si ritirò dalla professione. Grazie a questo acquisto, la sua vita si intrecciò ancora in un altro modo con la storia della botanica. Fin dal 1673, sul quel terreno sorgeva il giardino dell'ordine dei farmacisti, ovvero il Chelsea Physic Garden (negli anni '80, prima di andare a studiare in Francia, il giovane Hans Sloane vi si era formato come apprendista) che al momento versava in grandi difficoltà economiche. Sloane risolse il problema affittando in perpetuo il terreno alla Società dei farmacisti per la cifra simbolica di 5 sterline l'anno. Inoltre, il giardino era tenuto a cedere alla Royal Society un certo numero di piante. Si interessò anche alla gestione, scegliendo personalmente come Capo giardiniere Philip Miller, che a partire dal 1722 avrebbe diretto il giardino per quasi mezzo secolo. Sloane desiderava che la sua collezione non fosse dispersa e potesse essere usufruita da tutti. Decise di lasciarla in eredità alla nazione, a condizione che venisse pagato un lascito di 20.000 £ ai suoi eredi (il valore reale superava il milione di sterline). Alla sua morte nel gennaio 1753, il parlamento con una legge apposita accettò la donazione. Nacque così il British Museum, le cui collezioni di storia naturale nell'Ottocento andarono poi a formare il Natural History Museum. Grazie alla passione e alla lungimiranza di Sloane si è così conservato un patrimonio inestimabile per la storia della botanica, costituito in particolare dagli erbari e dai manoscritti di numerosi scienziati. Una sintesi della sua lunga e attiva vita nella sezione biografie. L'imponente Sloanea A un personaggio di tale calibro non mancarono (e non mancano) i riconoscimenti. In primo luogo, a ricordarlo c'è la stessa topografia di Londra, dove abbiamo Sloane Square, Sloane Street, Sloane Gardens, Hans Place, Hans Crescent, Hans Road; gli sono stati dedicati monumenti, come la statua che campeggia al Chelsea Physic Garden; nel suo villaggio natale, Killyleagh, gli è stato intitolato un festival, ovviamente all'insegna della cioccolata (Hans Sloane Chocolate & fine Food Festival); non manca un marchio di cioccolato che si fregia del suo nome. In rete numerosi siti gli sono dedicati; forse il più interessante è The Sloane letters project, il progetto nato attorno alla sua corrispondenza, una fonte straordinaria per ricostruire la scienza e la società del primo Settecento. Nella nomenclatura scientifica, a ricordarlo sono il batrace Crinia sloanei, la splendida farfalla Urania sloanus e il genere botanico Sloanea. Quest'ultimo fu creato da Plumier nei suoi Nova plantarum americanarum genera (1703). E' un omaggio diretto al suo predecessore nell'esplorazione delle Antille; fu probabilmente proprio il fortunato esito del viaggio di Sloane in Giamaica a indurre la corona francese a finanziare le spedizioni di Plumier alla ricerca di piante medicinali, tra cui quella corteccia di china di cui il medico irlandese fu un convinto sostenitore. Il genere venne poi validato da Linneo nel 1753. Sloanea è un genere della famiglia Elaecarpaceae che comprende 130-150 specie di alberi e arbusti tropicali, diffusi soprattutto nelle Americhe tropicali, ma anche in Asia e Australia; assente nell'Africa continentale, è presente in Madagascar. Comprende alcuni degli alberi più belli e imponenti della foresta pluviale dell'America tropicale. Alti anche più di 40 metri, sono sostenuti da radici tabulari che disponendosi a raggiera intorno all'albero formano quasi un contrafforte. Alte fino a 10 metri, possono estendersi tutto attorno anche per una trentina di metri. E' un'ottima scelta per commemorare Sloane, viste che diverse specie vivono anche nelle Antille, compresa la Giamaica, con la specie S. jamaicensis. Qualche approfondimento nella scheda. In un sodalizio scientifico, può essere difficile distinguere il contributo dei singoli: si lavora insieme, si discute, le idee nascono, si scambiano, maturano dal confronto reciproco. Quanto deve Linneo all'amico Artedi? oppure L'Obel a Pena? Nel caso di John Ray e Francis Willughby, per secoli nessun dubbio: Ray era il cervello, Willughby il portafoglio. Ma in anni recenti, nuovi documenti hanno dimostrato che forse le cose non stanno proprio così. E, per ironia della sorte, il grandissimo John Ray, padre della classificazione naturale, si vede scippato del genere Rajania, mentre a Willughby resta l'onore del genere Willughbeia. Un maestro carismatico e una passione contagiosa Il nome di John Ray (1627-1705) è uno dei più noti della botanica prelinneana. A lui si deve la prima definizione scientifica di specie, l'introduzione di termini come petalo e pistillo, e soprattutto l'elaborazione di un metodo e di un sistema che ne fanno il fondatore della classificazione naturale degli esseri viventi. Ben meno celebre è il suo allievo Francis Willughby, che di Ray fu anche compagno di viaggio e sopratutto, per molti anni, il mecenate che ne rese possibile gli studi e lo introdusse negli ambienti scientifici londinesi. Francis era l'unico erede di ampi possedimenti nelle Midlands, tra cui la residenza di Middleton Hall; di intelligenza pronta e di interessi enciclopedici, arrivò a Cambridge nel 1657, a 22 anni. Ufficialmente, le uniche materie insegnate erano le lingue e la cultura classica, la filosofia, la teologia e la matematica; Willughby seguì con scrupolo il curriculum previsto, laureandosi nel 1662, ma il suo tutor John Ray - che a sua volta si era avvicinato allo studio delle scienze naturali da pochi anni, da autodidatta - gli trasmise la sua passione e lo coinvolse nelle sue ricerche. Al momento, Ray stava scrivendo la sua prima opera di botanica, Catalogus plantarum circa Cantabrigiam nascentium (1660), ovvero "Catalogo delle piante che nascono nei dintorni di Cambridge", che fu la prima flora regionale pubblicata in Inghilterra. Willughby collaborò alla raccolta di esemplari per il catalogo e seguì gli esperimenti del maestro nel piccolo orto botanico creato da Ray presso la sua residenza al Trinity College. Era intenzione di Ray continuare su questa strada, scrivendo una flora inglese, ma era anche interessato ad altri argomenti, in particolare alla riproduzione degli uccelli. Per raccogliere esemplari per la flora e approfondire le sue ricerche, prese a dedicare le estati a viaggi scientifici nel paese: nell'estate del 1658, da solo aveva, erborizzato in Galles e nelle Midlands; nel 1660, insieme a Willughby, visitò l'Inghilterra settentrionale e l'isola di Man; nel 1661 si spinse in Scozia con un altro allievo, Philip Skippon. Nel viaggio del 1660, Willughby ebbe probabilmente modo di scoprire la sua vera vocazione: più che alla botanica, i suoi interessi andavano alla zoologia, soprattutto agli uccelli e alla fauna marina. Insieme al maestro, fu tra i primi a intuire il fenomeno della migrazione degli uccelli, postulando che le rondini non andassero in letargo, come supponeva Aristotele, ma partissero per climi più miti. Nel 1662, dopo la restaurazione della monarchia, Ray, vicino alle posizioni dei puritani, rifiutò di aderire all'Act di Uniformity e fu costretto a lasciare la carriera universitaria. Da quel momento, per vivere, dovette "confidare nella Provvidenza e nei buoni amici; ma la libertà è una bella cosa!" La Provvidenza assunse il volto di Francis Willughby, che propose al maestro di accompagnarlo in un vero e proprio Grand Tour attraverso l'Europa. Forse i due ci pensavano da tempo: nonostante figure prestigiose come Bacone e Harvey, la scienza inglese era indietro rispetto alle acquisizioni della nuova scienza europea; nel paese non esisteva neppure un orto botanico e in nessuna università era possibile studiare anatomia, botanica o zoologia. Il viaggio durò tre anni e portò maestro ed allievo a visitare molte istituzioni scientifiche importanti, ma soprattutto permise loro di studiare dal vivo una natura multiforme, mettendo insieme vastissime collezioni di piante essiccate, animali, fossili, rocce, reperti naturali, archeologici, etnografici. Chi ha scritto questi libri? A partire da Dover il 18 aprile 1663 furono in quattro: Ray, Skippon, Willughby e il suo amico Nathaniel Bacon. Il gruppo visitò i Paesi Bassi, la Germania e la Svizzera, navigando lungo il Reno, quindi lungo il Danubio da Augusta a Vienna. Da qui, in carrozza, raggiunsero Venezia e Padova, dove Ray seguì lezioni di anatomia; quindi si spostarono a Ferrara e a Bologna, dove visitarono il famoso Teatro della natura di Aldrovandi. Da Parma risalirono a Milano, a Torino, poi riscesero a Sud toccando Lucca e Pisa. Via mare raggiunsero Napoli, dove scalarono il Vesuvio. Qui nella primavera del 1664 si divisero: Willughby si spostò in Spagna, per poi rientrare in Inghilterra, mentre Ray continuava verso sud, in Sicilia e a Malta. Mentre Ray proseguiva il viaggio (sarebbe rientrato in Inghilterra solo nel marzo del 1666, dopo aver visitato anche la Francia), probabilmente Willughby era tornato a casa alla fine del 1664, visto che nel gennaio 1665 lesse una comunicazione sul loro viaggio alla Royal Society, alla quale era stato ammesso nel marzo dell'anno precedente. La Royal Society era allora un'istituzione recentissima, fondata appena nel novembre del 1660. La morte del padre nel dicembre del 1665 aumentò i doveri di Willughby come capo della casata; egli si stabilì nella residenza di Middleton Hall dove, al ritorno dalla Francia, lo raggiunse Ray. Le enormi collezioni raccolte durante il viaggio dovevano essere organizzate e catalogate; questo fu il compito ufficiale affidato a Ray, anche se il ruolo di Willughby non fu semplicemente quello di mecenate, ma di studioso in prima persona. Con l'enorme massa di dati scientifici raccolti, i due amici si proponevano infatti di pubblicare una descrizione sistematica delle piante e degli animali conosciuti; si divisero i compiti: Ray si sarebbe occupato delle prime, Willughby dei secondi. Cedendo alle pressioni delle famiglia, all'inizio del 1668, Willughby si sposò; mentre la madre, Cassandra, vedeva di buon occhio le attività scientifiche del figlio e la presenza di Ray, a quanto pare l'atteggiamento della moglie Emma era meno entusiastico, se non ostile. Quando dal matrimonio nacquero tre figli, Ray fu incaricato della loro educazione, Mente poliedrica e geniale (i suoi manoscritti, dove si mescolano gli argomenti più vari e linee di scrittura si intersecano e si sovrappongono, mettono a dura prova chi cerca di decifrarli), Willughby si occupò contemporaneamente di vari argomenti; nel 1669, insieme a Ray presentò alla Royal Society una memoria sulla circolazione della linfa (Experiments concerning the Motion of Sap in Trees; nel 1667 anche Ray era stato ammesso alla Society, stringendo contatti che sarebbero stati preziosi dopo la morte di Willughby); studiò gli uccelli, i pesci, gli insetti, ma anche argomenti più frivoli, come i giochi. Nel 1672, a soli 37 anni, Willughby morì improvvisamente di pleurite. Lasciava numerosi manoscritti, ma nessuna opera compiuta. Ray, che continuava a percepire una pensione come curatore delle collezioni di Middleton Hall e come precettore dei bambini, sentì il dovere morale di assicurare la pubblicazione delle opere del suo protettore e amico. Nel 1676 uscì, sotto il nome di Willughby, Ornithologia libri tres, tre volumi corredati da splendide (e costose) illustrazioni finanziate dalla vedova Emma. Nel 1687 (quando Emma si era ormai risposata e Ray aveva definitivamente lasciato Middleton Hall) seguì Historia piscium, a spese della Royal Society; l'uscita di questo libro esaurì le risorse dell'istituzione, tanto da costringerla a procrastinare la pubblicazione dei Principia Mathematica di Newton. Ancora più tardi, rispettivamente nel 1705 e nel 1710, materiali di Willughby confluiranno in due opere della vecchiaia di Ray, Methodus insectorum e Historia insectorum. Di queste opere, quanto si deve a Willughby e quanto a Ray? Per secoli, la risposta è stata semplice: il vero autore era Ray che, per affetto e riconoscenza verso l'amico precocemente perduto, con finezza d'animo aveva voluto pubblicare sotto il nome di lui l'Ornithologia e l'Historia piscium. L'accesso agli archivi di Middleton e una lettura più attenta della corrispondenza dei protagonisti hanno invece dimostrato che quei libri sono il frutto delle ricerche di Willughby, e Ray ne può essere considerato quello che dichiarò di essere, cioè il curatore. Emerge anche come l'idea, generalmente attribuita a Ray che la classificazione degli esseri viventi dovesse basarsi sull'insieme delle loro caratteristiche fisiche, e non su un singolo tratto, nacque invece dal lavoro comune di entrambi. Prima che Ray lo applicasse alle piante, questo metodo trovò applicazione nei tre libri sugli uccelli, con i quali nasce l'ornitologia scientifica. Una sintesi della breve vita di Willughby nella sezione biografie. I dolci frutti della Willughbeia Venendo ora ai nostri nomi delle piante, ci troviamo di fronte a un paradosso. Al grande botanico John Ray, la cui gigantesca Historia platantarum (1686-1704) è una delle opere più importanti della botanica prelinneana, non mancò l'omaggio dei successori. A partire da Plumier, gli venne dedicato un genere di Dioscoreaceae, di cui generazioni di botanici si sono divertiti a cambiare la grafia (Janraja, Raya, Rayania, Rajania). Nella forma Rajania, fissata da Linneo nel 1753, questo piccolo genere per oltre 250 anni ha continuato a celebrare il nome di Ray; finché, in anni recentissimi, gli studi filogenetici l'hanno declassato a sinonimo di Dioscorea, di cui costituisce forse una sezione. John Ray, che polemizzava con i botanici del suo tempo che tendevano a moltiplicare le specie senza necessità, e che insisteva che non bisogna operare distinzioni tassonomiche sulla base di caratteristiche secondarie (aristotelicamente, accidentia), ma solo sulla base di caratteristiche sostanziali (substantia), benché scippato del suo genere non avrebbe avuto niente da obiettare. Rajania infatti si distingue dal genere Dioscorea solo per i frutti, che sono silique. Al mecenate, ma oggi sappiamo anche grande zoologo, Willughby spetta invece un genere valido, Willughbeia, creato nel 1820 da Roxburgh in Flora indica, riprendendo una denominazione di Scopoli. Lo ricordano anche i nomi specifici di Megachile willughbiella (un'ape tagliafoglie) e di Salvelinus willughbii (il salmerino del lago Windermere). Willughbeia è un genere della famiglia Apocynaceae che comprende una quindicina di specie native del Sud Est asiatico e del subcontinente indiano; sono per lo più liane, con piccoli fiori con ovario con una sola cella e frutti polposi indeiscenti. Abbastanza sorprendentemente (molte Apocynaceae sono tossiche) i frutti di diverse specie sono eduli. Citiamo W. edulis (sin. W. cochinchinensis), diffusa dall'India settentrionale alla penisola indocinese, che produce frutti tondeggianti, giallo aranciati, con polpa acidula; W. sarawacensis, nativa del Borneo e delle Filippine, con frutti che per colore e forma ricordano un pompelmo, ma con un gusto dolce che viene descritto come una combinazione di mango, guanabana e ananas; nativa della Tailandia, della Malaysia e dell'Indonesia è W. angustifolia (sin. W. elmeri), con grandi frutti dalla polpa bianca molto dolce. Poco noti da noi (poche informazioni sono reperibili in siti dedicati ai frutti tropicali), sono invece assai apprezzati a livello locale. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
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