Al servizio della celebre firma Veitch, il cacciatore di piante Richard Pearce fu il protagonista di due fruttuosissime spedizioni in America latina. Tra i suoi tanti contributi, la scoperta in Bolivia e Perù di tre specie di begonie tuberose che, nelle abili mani degli ibridatori dei Veitch, divennero le antenate di quelle che ogni estate arricchiscono i nostri balconi. Lo ricorda il genere Pearcea della famiglia Gesneriaceae. ![]() Un fruttuoso viaggio in Sudamerica Se, come me, avete un balcone ombroso, con le loro lunghissime e coloratissime fioriture non ci sono piante più facili e generose delle begonie tuberose ibride Begonia x tuberhybrida. Alla loro origine ci sono tre specie scoperte in Bolivia e Perù dal cacciatore di piante Richard Pearce (ca. 1835-1868). Intorno al 1858, dopo aver lavorato per qualche tempo come giardiniere per il vivaio Potney di Plymouth, passò al servizio del celebre vivaio Veitch. Questa firma era stata la prima ad impiegare propri raccoglitori, inviando fin dagli anni '40 i fratelli Lobb alla ricerca di piante da lanciare sul mercato. Limitandoci alle Americhe, particolarmente lucrosi erano stati gli invii di William Lobb dal Cile, con la massiccia raccolta di semi di Araucaria araucana, e dalla California, con la scoperta e l'introduzione di Sequoiadendron giganteum. Tuttavia dopo il 1854 Lobb aveva gradualmente interrotto i rapporti con i Veitch fino a interromperli del tutto, ed era urgente trovare un raccoglitore altrettanto abile che lo sostituisse. La scelta cadde appunto su Pearce che all'epoca lavorava in uno dei vivai della famiglia a Mount Radford. Nel febbraio 1859 partì per Valparaiso con un contratto di tre anni alla ricerca di "piante, semi, conchiglie terrestri e altri oggetti di storia naturale". Come era abitudine della casa, aveva precise istruzioni su cosa cercare: in primo luogo, la Cupressacea Libocedrus tetragona, all'epoca ritenuto l'albero da cui si ricavava il pregiato legname di Alerce; poi Lapageria rosea e la sua varietà bianca, Araucaria imbricata e altre piante rustiche. Nel 1860 Pearce fece numerose spedizioni lungo la Cordigliera cilena e nelle montagne dell'interno, trovando tutte le piante desiderate, ma anche molte altre: Prumnopitys elegans, Podocarpus nubigenus, Eucryphia glutinosa, diverse Bomarea, Cavendishia bracteata, Ourisia coccinea, Ourisia pearcei. Ma soprattutto scoprì che il legname di Alerce non si ricava da Libocedrus tetragona, ma da Fitzroya cupressoides, che nella regione patagonica, da lui scrupolosamente visitata, formava vaste foreste. All'inizio del 1862 lasciò il Cile e si imbarcò alla volta del Perù e della Bolivia, alla ricerca di piante da serra e con belle foglie. Si spostò quindi in Ecuador. Frutto di questa tappa del viaggio, un eccellente invio da Cuenca che comprendeva Befaria ledifolia, Lisianthus magnificus, Calceolaria ericoides e diverse specie di Tacsonia. Infine si imbarcò a Guayaquil con sei grandi scatole di Ward che contenevano tra l'altro una bella collezione di Marantaceae, tra cui Calathea veitchiana (sin. di Goeppertia veitchiana). ![]() La seconda spedizione e le begonie Il viaggio era stato estremamente fruttuoso e James Veitch & Sons propose immediatamente a Pearce un secondo contratto triennale. Questa volta avrebbe dovuto recarsi direttamente a Lima e da lì spostarsi verso zone ancora poco battute, secondo le istruzioni scritte che avrebbe via via ricevuto. Egli visitò il Perù, l'Ecuador e la Bolivia, dove raccolse tra l'altro Aphelandra nitens e Sanchezia nobilis. Passò poi in Argentina per battere la provincia di Tucuman, dove trovò diverse interessanti piante da serra, tra cui Nierembergia rivularis e N. veitchii, Palaua flexuosa, Mutisia decurrens e diverse varietà di Peperomia, Ritornò poi a La Paz, da dove spedì ancora alcune specie di Hippeastrum. Riprese poi ad esplorare le Ande boliviane e peruviane, dove fece le scoperte a cui poi il suo nome è rimasto più legato: oltre alla bella Masdevallia veitchiana, detta il "re delle Masdevallie" per le enormi dimensioni della sua infiorescenza e il colore acceso, tre specie di begonia, scoperte in Bolivia tra il 1864 e il 1866: Begonia boliviensis, B. pearcei e B. veitchii. Rientrò poi in Inghilterra. Essendo terminato il suo contratto, lasciò i Veitch, tornò a Plymouth e si sposò. Non resistette però a lungo alla vita sedentaria. Nel 1867 fu contattato da un altro vivaista, William Bull, il cui vivaio di Kings Road a Chelsea era specializzato in piante tropicali e in particolare di orchidee; questi gli chiese di tornare in Sudamerica e di raccogliere per lui Masdevallia veitchiana. Pearce accettò e sbarcò a Panama; qui partì alla ricerca di una specie di Cypripedium la cui presenza gli era stata segnalata nei dintorni; non la trovò, ma la vana ricerca gli costò la vita. Fu infatti colpito da febbre gialla e morì il 17 luglio 1867 all'età di 33 anni. Questa la commemorazione di James Herbert Veitch: "come raccoglitore di piante Pearce era uno dei migliori, e la sua morte prematura fu una grande perdita per il mondo dell'orticoltura". Le sue scoperte però stavano già imprimendo una svolta nella storia dell'ibridazione delle begonie. Nel 1868 John Seden, uno degli ibridatori di Veitch, incrociando Begonia boliviensis (inviata da Pearce nel 1864) con un'altra specie sconosciuta, ottenne Begonia × sedenii, la prima begonia tuberosa ibrida nota, con grandi fiori rossol magenta. Continuò poi il suo lavoro incrociando B. boliviensis con le altre specie scoperte da Pearce, producendo la prima B. x tuberhybrida. Il suo successo aprì la strada ad altri ibridatori. Nel 1874 l'incrocio tra B. × sedenii e la sudafricana B. dregei produsse B. 'White Queen', la prima begonia tuberosa bianca. Intorno al 1880, il grande ibridatore francese Victor Lemoine incrociando B x sedenii, B. veitchii e B. pearcei ottenne la prima begonia tuberosa doppia, 'Gloire de Nancy'. Intanto alle begonie introdotte da Pearce se ne aggiungevano altre: B. froebelii, spedita nel 1874 al vivaio Froebel di Zurigo dall'Ecuador; B. davisii, raccolta in Perù e introdotta nel 1877 da un altro cacciatore di piante della scuderia Veitch, Walter Davis; insieme alla già nota B. cinnabarina ed altre specie andine, anch'esse entrarono nel pedigree di B. x tuberhybrida. Nel 1894, quando Voss la ufficializzò, le varietà erano già molte decine . ![]() Un piccolo gioiello dalle Ande L'importanza delle raccolte di Pearce è testimoniata dalle numerose specie del Sud America che portano il suo nome, non meno di una quarantina; oltre a Begonia pearcei, vorrei ricordare almeno la spettacolare orchidea Phragmipedium pearcei. Anche il genere che celebra questo solerte e sfortunato cacciatore di piante viene dal Sudamerica e risale a una delle sue raccolte; la prima specie nota, inizialmente classificata da Hooker come Gloxinia hypocyrtiflora, fu infatti raccolta da Pearce nel 1866 sui monti della regione di Quito. A lungo a questo genere (famiglia Gesneriaceae) è stata assegnato un'unica specie, appunto Pearcea hypocyrtiflora; in seguito ad analisi molecolari ha però assorbito il genere Parakohleria ed alcune specie precedentemente assegnate a Kohleria; inoltre sono state scoperte altre specie, e ora ne comprende tra 17 e 19. E' distribuito sulle pendici andine orientali, dalla Colombia settentrionale alla Bolivia nordoccidentale attraverso il Perù e l'Ecuador, dove vive in una varietà di habitat, dalle foreste pluviali di bassa quota (attorno ai 700 metri) alle foreste nebulose (attorno ai 2500 metri), anche se sono le prime ad essere particolarmente ricche di specie. Piuttosto affine a Kohleria, è caratterizzato da foglie vellutate, e piccoli fiori urceolati (cioè a forma di urna, rigonfi alla base e ristretti alla gola), da gialli a rossi, presumibilmente impollinati da colibrì. La specie più nota e coltivata è Pearcea hypocyrtiflora con belle foglie verde scuro con nervature verde chiaro o rosate e fiori arancio con apice magenta rigonfi come palloncini. Di piccole dimensioni, è adatta alla coltivazione in terrario.
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Il tassonomista francese Adrien Franchet è stato uno dei maggiori studiosi della flora cinese e più in generale dell'Estremo Oriente. Eppure non ha mai messo piede né in Cina né in altri paesi dell'Asia orientale. Sono state piuttosto le piante cinesi a venire da lui, sotto forma di esemplari d'erbario spediti soprattutto dai missionari delle Missions Etrangères de Paris. Quando aveva ormai superato la quarantina, fu assunto al Museo di scienze naturali di Parigi per classificare le piante di Armand David; poi arrivarono quelle di Delavay, Farges, Soulié ed altri, moltissime delle quali inedite. Fu così che Franchet classificò e descrisse migliaia di nuove piante acquisendo una conoscenza senza pari della flora di quei paesi che mai aveva visto di persona. Lo ricorda, immancabilmente, una pianta cinese, Sinofranchetia chinensis. ![]() Dalla flora della valle della Loira a quella giapponese Come ho raccontato in questo post, il missionario francese Armand David tra il 1866 e il 1874 fece tre spedizioni in Cina, dalle quali inviò ingenti materiali al Museo di scienze naturali di Parigi. Per quanto riguarda le piante, si trattava di migliaia di esemplari d'erbario da esaminare, classificare e pubblicare, considerando che in una notevole percentuale erano nuove per la scienza. Nel 1880, Édouard Bureau, professore di botanica del Muséum, decise di affidare il lavoro al botanico Adrien René Franchet (1834-1900), che aveva attirato la sua attenzione come coautore di un volume sulla flora giapponese; grazie alla sua insistenza, egli fu assunto al Muséum come botanico ausiliario e si mise alacremente all'opera. Lavorando sui materiali raccolti dal padre David e poi da altri missionari attivi in Cina, Giappone e Corea, sarebbe diventato il massimo esperto della flora dell'estremo oriente, anche se non visitò mai di persona nessuno di quei paesi. Franchet era nato a Pezou, un paesino della valle della Loira, non lontano da Blois. Il padre era giardiniere e viticultore, ma morì quanto egli era ancora piccolo. Già era appassionato di piante e a dieci anni iniziò il suo primo erbario; quando ne aveva 12, la madre pensò di collocarlo come apprendista presso un farmacista di Blois. Il ragazzino ne fu felicissimo; si alzava all'alba e, prima di prendere servizio, andava ad erborizzare nella foresta di Russy. Ma ogni giorno gli era più difficile smettere; arrivava al lavoro sempre più in ritardo, finché in capo a un mese la madre lo ritirò e lo mandò a studiare al Petit séminaire de Saint François de Sales di Blois, una scuola secondaria di ottima reputazione che formava sia futuri seminaristi sia allievi laici. Qui seguì i classici studi liceali, ma senza dimenticare la passione per la botanica, cui dedicava il tempo libero. Al termine degli studi, forse pensava di diventare insegnante. Nel 1857 insegnava come supplente al collegio di Pontlevoy. Era un giovane serio e preparato e fu segnalato al marchese Paul de Vibraye, proprietario del castello di Cheverny, che lo assunse come curatore della sua collezione archeologica, geologica e paleontologica. Franchet si trasferì a Cour-Cheverny e divenne il braccio destro del marchese, uno dei pionieri degli studi preistorici in Francia, partecipando anche a scavi archeologici in Dordogna. Mentre la collezione del marchese cresceva (tra quelle private, era una delle più ricche, con decine di migliaia di oggetti tra cui 6000 reperti preistorici), Franchet continuava a dedicare il tempo libero alla botanica; erborizzava a Cheverny e nei dintorni, e accresceva il suo erbario con le raccolte e con gli scambi con altri appassionati. Al momento, si interessava solo di flora locale. Nel 1866 pubblicò il suo primo articolo (uno studio sulla distribuzione delle fanerogame nel dipartimento del Loir-et-Cher) e fu ammesso alla Société botanique. Nel 1868 il suo primo lavoro di sistematica, dedicato al genere Verbascum, incominciò a farlo conoscere negli ambienti scientifici. Più o meno nello stesso periodo cominciò a corrispondere con Ludovic Savatier (1830-1891), che nel 1865 era stato inviato a Yokosuka in Giappone come medico di una missione francese incaricata di costruire un complesso siderurgico, per poi divenire il responsabile sanitario dell'arsenale. Nei dieci anni durante i quali rimase in Giappone (1865-1876) Savatier contribuì allo scambio botanico tra Europa e Giappone sia raccogliendo e facendo raccogliere ai suoi collaboratori piante nipponiche, sia acclimatando piante europee nel paese del Sol Levante, sia soprattutto cercando di colmare la distanza culturale tra la botanica europea e quella nipponica. In Europa erano uscite due opere complessive su quella flora, Flora japonica di Thunberg (1784) e Flora japonica di Siebold e Zuccarini (1835-1848); in Giappone erano disponibili tre opere illustrate, Kwa-wi ("Raccolta di piante") di Shimada Yonan (1759), Honzo Zufu ("Trattato illustrato di botanica") di Iwasaki Tsunemasala (1828) e Somoko Zusetsu ("Illustrazioni e descrizioni di piante") di Jinuma Yokusai (1856). Anche se in quest'ultimo le piante erano organizzate secondo il sistema linneano e talvolta erano dati i nomi latini, non c'era corrispondenza sistematica tra il modo in cui le piante erano presentate in queste opere, con i loro nomi volgari, e la nomenclatura scientifica europea. Sollecitato dai suoi amici giapponesi, Savatier si era proposto di colmare questo gap, in primo luogo traducendo Kwa-wi con l'aiuto del suo allievo Saba, poi con un'opera illustrata che familiarizzasse i botanici nipponici con la nomenclatura e i sistemi di classificazione europei. A tal fine, fece intense raccolte, arricchite dagli invii di residenti europei e collaboratori giapponesi, mettendo insieme un erbario di almeno 1600 specie, di cui un centinaio nuove per la scienza; inoltre fece disegnare numerose tavole botaniche da artisti giapponesi. Non sappiamo esattamente come e quando cominciò la sua amicizia epistolare con Franchet; ci sono rimaste 221 lettere che egli inviò al botanico francese tra l'ottobre 1866 e il 1878 (non possediamo invece le risposte). Nonostante la distanza che rendeva lenti e difficili gli scambi, l'amicizia divenne intensa e a un certo punto Savatier coinvolse Franchet nel progetto; anche se fino ad allora si era occupato solo di piante europee, anzi prevalentemente del suo dipartimento natale, egli accettò, occupandosi da una parte del riscontro con la letteratura botanica europea, dall'altro con qle piante recentemente raccolte dal botanico russo Maximowicz e custodite presso l'orto botanico di San Pietroburgo, di cui poté ottenere i doppioni. Il risultato del lavoro a quattro mani fu Enumeratio plantarum: in Japonia sponte crescentium, in due volumi, usciti tra il 1875 e il 1879 a spese dello stesso Savatier, che con suo rammarico a causa dei costi dovette rinunciare a inserirvi le illustrazioni. Come leggiamo nella prefazione, voleva essere un manuale pratico: "Questo lavoro è stato redatto su richiesta dei botanici giapponesi e nella forma che essi stessi hanno indicato come più adatta a facilitare la ricerca e la conoscenza delle piante del loro paese". Le piante (circa 2600) sono organizzate in famiglie, generi e specie e per ciascuna specie sono dati i riferimenti alla letteratura botanica europea, l'eventuale riferimento alla letteratura botanica e iconografica nipponica, l'habitat, la distribuzione, il nome giapponese. Nel secondo volume, oltre all'aggiunta di specie segnalate nel frattempo fino al 1877, vengono date la diagnosi delle specie descritte per la prima volta (circa 400), chiavi per il riconoscimento di numerosi generi e una bibliografia aggiornata sulla flora nipponica. Non si tratta ovviamente di una flora completa del Giappone, ma è di notevole valore; sul piano storico, inoltre, fu la prima ad essere pubblicata dopo l'apertura delle frontiere agli stranieri. Per Franchet, cui si deve probabilmente gran parte del lavoro tassonomico, fu l'iniziazione alla flora dell'Asia orientale e, come ho anticipato, il biglietto d'ingresso al Museo di scienze naturali di Parigi. ![]() Pubblicare le piante dei missionari Nel 1880 il marchese di Vibraye morì e Franchet, dopo più di vent'anni al suo fianco, si trovò all'improvviso disoccupato; accettò dunque di buon grado la proposta di Bureau e nel 1881 si trasferì a Parigi. Da quel momento avrebbe lavorato al Muséum fino alla morte, prima come botanico aggiunto, poi dal 1886 come ripetitore presso il laboratorio di Alti Studi della cattedra di botanica, per le classi di classificazione e famiglie naturali. Di fatto fu distaccato all'erbario e si specializzò nella flora dell'estremo oriente. Il suo primo compito fu occuparsi delle piante inviate dal padre David, che dal 1875 viveva a Parigi nella casa madre del suo ordine. Gli era dunque possibile consultare il raccoglitore in persona, con il quale nacque anche un'amicizia personale. Nacquero così i due volumi di Plantae davidianae ex sinarum imperio, pubblicati tra il 1884 e il 1888, il primo dedicato alle piante raccolte in Mongolia e nella Cina centrale, il secondo a quelle del Tibet orientale. Quest'ultimo è certamente il più importante, sia per il gran numero di specie nuove (circa 150) sia per il loro carattere himalayano. Spiccano in particolare i numerosissimi rododendri (nella sua vita, Franchet ne avrebbe studiati e classificati 193). Tra le piante più note Davidia involucrata (che però fu descritta per la prima volta da Baillon, non da Franchet), Acer davidii, Buddleja davidii, Lilium duchartrei, Viola mongolica. Nel 1881 un altro missionario attivo in Cina, il padre Jean Marie Delavay, di passaggio a Parigi tra una missione e l'altra, incontrò padre David che lo presentò a Franchet. Egli durante una prima missione in Cina aveva già raccolto alcune piante, che però aveva consegnato al console britannico per il British Museum e per Kew. Franchet lo convinse a inviare invece al Muséum le piante che avrebbe raccolto nella nuova sede. Delavay fu assegnato allo Yunnan nordoccidentale, una regione ricchissima di biodiversità e sconosciuta ai botanici prima di lui. Fu l'inizio di un incredibile flusso di piante; tra il 1882 e il 1895 egli avrebbe raccolto e inviato al museo circa 200.000 esemplari appartenenti a oltre 4000 specie, 1500 delle quali di nuova segnalazione. Molte furono pubblicate da Franchet in vari articoli e nella sua seconda grande opera dedicata alla flora cinese, Plantae Delavayanae. Plantes de Chine recueillies au Yun-nan par l'abbé Delavay (1889-1890), che contiene tra l'altro 142 piante descritte per la prima volta; purtroppo, a causa del costo elevato delle numerose illustrazioni, ne uscirono solo tre fascicoli. Intanto, incoraggiati dai loro superiori, altri missionari dalle Missions Etrangères de Paris avevano incominciato a fare raccolte ed inviarle al Muséum. Tra quelli che furono pubblicati da Franchet, possiamo citare gli invii di Jean-André Soulié che raccolse più di 7000 specie in Tibet; di Paul Guillaume Farges, attivo a Chengkou nel Sichuan nord-orientale, raccoglitore di quasi 4000 specie; di Émile-Marie Bodinier dal Guizhou; di Urbain Jean Faurie dal Giappone, dalla Corea e da Formosa. In loro onore creò i generi Delavaya, Fargesia e Souliea (quest'ultimo, oggi non più accettato). Inoltre, in collaborazione con Bureau, studiò l'erbario della spedizione in Asia centrale, Tibet e Cina condotta nel 1890 da Gabriel Bonvalot e dal principe Henri d'Orléans. Anche se occasionalmente si occupò anche di piante di altre aree (ad esempio, pubblicò le piante raccolte in Somalia durante la missione Révoil del 1884), dedicò gran parte della sua attività alla flora dell'Asia orientale, con oltre ottanta tra libri ed articoli. In molti di essi approfondì la tassonomia di generi come Delphinium, Epimedium, Primula, Syringa, Gentiana, Lilium, Adonis, maturando sempre più la convinzione della profonda analogia tra la flora alpina europea e quella dei monti asiatici e dell'importanza dello studio di quella flora per comprendere la genesi delle piante delle nostre montagne; così nel 1896, a proposito di una nuova specie di Gentiana, scrisse: "Nel nostro periodo geologico, è proprio nell'Asia centrale e più propriamente nella Cina occidentale che si trova il maggior centro specifico di gran parte dei generi considerati a ragione caratteristici della regione alpina europea". Era su questo terreno che indirizzò i suoi studi negli ultimi anni della vita, ma senza poter giungere a un'opera complessiva, a causa della morte che lo colse improvisa nel 1900, all'età di 66 anni. Nella sua operosissima attività di botanico aveva pubblicato diverse migliaia di piante, 1400 delle quali tuttora accettate, e 17 generi validi. ![]() Grappoli di bacche viola-blu Non stupisce che questo grandissimo tassonomista, in contatto con i principali orti botanici, ed in particolare con Kew e San Pietroburgo, sia ricordato da una pletora di eponimi; sono almeno 138 le piante che si fregiano della denominazione franchetii o franchetianus, la più nota delle quali è probabilmente Cotoneaster franchetii. Ben quattro furono i generi che gli furono dedicati: in ordine di tempo, Franchetia, da parte di Baillon nel 1885; Franchetella da parte di Pierre nel 1890; un'altra Franchetella da parte di Kuntze nel 1891, (1891), Sinofranchetia da parte di Hemsley nel 1907 (ma già creati come sottogenere di Holboellia da Diels nel 1900). Solo quest'ultimo è tuttora accettato. Sinofranchetia (Diels) Hemsley è un genere monotipico della famiglia Lardizabalaceae, rappresentato dalla sola S. chinensis. Franchet era stato il primo a descriverla nel 1894, come Parvatia chinensis. E' una rampicante legnosa originaria delle foreste dense e dei margini forestali della Cina centro-meridionale. E' caratterizzata da belle foglie tripennate, con fogliolina centrale largamente obovata e foglioline laterali ovato-ellittiche disposte obliquamente, glauche nella pagina inferiore. I fiori unisessuali (talvolta portati su esemplari diversi), verdastri, piccoli e poco appariscenti, sono raccolti in lunghi racemi penduli. A farsi notare sono piuttosto i frutti, bacche blu-violaceo delle dimensioni di un chicco d'uva, disposti a coppie o in fascetti di tre a ogni nodo dell'infruttescenza pendula, lunga anche una ventina di centimetri. Sono eduli, ma insipidi. A differenza di specie di generi affini come Holboellia S. chinensis è quasi rustica. Finanziato da un consorzio che comprendeva anche l'orto botanico di Liverpool, il naturalista John Bradbury andò negli Stati Uniti alla ricerca di nuove varietà di cotone. Nel 1811, insieme a Nuttall, ebbe l'occasione di unirsi alla spedizione dei cosiddetti Astorians, che stavano aprendo una via verso il Pacifico. Poté così risalire il Missouri, facendo raccolte anche in un'area inesplorata prima di lui. Per una serie di sfortunate circostanze, tuttavia, la pubblicazione delle sue scoperte gli fu scippata da Pursh. Disgustato, lasciò per sempre la botanica. Del suo viaggio ha però lasciato una cronaca vivace e piena di informazioni sulle comunità native. Lo ricorda il piccolo genere Bradburia. ![]() Tre anni negli Stati Uniti e un viaggio lungo la frontiera Nel 1809 la direzione dell'orto botanico di Liverpool decise di cofinanziare il viaggio negli Stati Uniti di John Bradbury (1768-1823); lo scopo principale era trovare migliori forniture di cotone, che in quegli anni costituiva almeno la metà dei commerci della città. Attraverso i mediatori di Liverpool, poi il cotone proseguiva non solo per i cotonifici del Regno Unito, ma per la Germania, l'Europa orientale e la Russia. Bradbury era la persona giusta perché aveva competenze sia nel campo botanico sia in quello cotoniero. Nato in una famiglia di modesti mezzi del Cheshire, aveva avuto la fortuna di studiare alla Cocker Hill Academy di Stalybridge dove aveva avuto per maestro John Taylor che lo aveva avviato alla botanica e alle escursioni sul campo. Aveva poi trovato lavoro in un cotonificio, anche se aveva continuato ad interessarsi di botanica, tanto che nel 1792 era stato ammesso alla Linnean Society, e forse ai occupava anche di progettazione di giardini. Era così entrato in contatto con la Liverpool Philosophical Society, il conte di Derby un avido collezionista di naturalia che aveva anche interessi nell'industria cotoniera, con William Roscoe e con un altro dei fondatori dell'orto botanico di Liverpool, William Bullock, proprietario del Museum of Natural Curiosity. Dai contatti con questi diversi personaggi nacque la spedizione americana di Bradbury che, oltre cercare nuove fonti di cotone grezzo, avrebbe dovuto raccogliere piante e esemplari d'erbario per l'orto botanico e oggetti naturali per i suoi sponsor. Il progetto iniziale di Bradbury era andare a New Orleans insieme a uno dei suoi figli (ne aveva ben otto) e di creare un vivaio; mentre lui avrebbe viaggiato ed esplorato la Louisiana e il Kentucky, il figlio avrebbe coltivato e moltiplicato le piante raccolte per poi spedirle in Europa (come avevano fatto André Michaux e suo figlio a Charleston). Tuttavia, poiché gli sponsor non erano disposti a sborsare più di cento sterline l'anno, decise di partire da solo. Nel settembre 1809 sbarcò a Charleston; in nave, si recò poi a Baltimora e da qui a Washington, da dove raggiunse Monticello, la tenuta di Thomas Jefferson che aveva da poco terminato il suo mandato presidenziale. L'ex presidente lo ospitò per diverse settimane e gli fornì molte informazioni utili. Lo sconsigliò di esplorare la flora del Kentucky, che era già relativamente nota in seguito ai viaggi proprio di Michaux, mentre le terre bagnate dal fiume Missouri offrivano un campo di esplorazione pressoché vergine. Anche la spedizione di Lewis e Clark, tanto voluta da Jefferson, le aveva appena sfiorate. Bradbury si fece convincere e, anziché a New Orleans, decise di stabilire la sua base a San Louis, dove giunse l'ultimo giorno del 1809. Trascorse qui l'inverno, che quell'anno fu freddissimo, raccogliendo uccelli e altri animali; quindi prese in affitto un terreno di mezzo acro in cui trapiantò alberi, arbusti e altre piante native. In estate fu in grado di spedire a Liverpool un grosso invio di piante in vaso. Nell'autunno 1810 arrivò a San Louis Thomas Nuttall che stava esplorando il bacino del Mississippi per conto del professor Barton. Nei mesi successivi i due naturalisti britannici fecero diverse escursioni insieme, una delle quali li portò a sudovest lungo il Merimac River. Nel marzo 1811 partirono insieme e poco dopo raggiunsero Wilson Price Hunt e altri membri della Pacific Fur Company che si accingevano ad esplorare il bacino del Missouri per conto del mercante e imprenditore John Jacob Astor. Quest'ultimo intendeva sfruttare la via aperta da Lewis e Clark per controllare il traffico delle pellicce; a tal fine formò due gruppi di trapper, noti come Astorians; uno fu inviato via mare alla foce del Columbia River, dove fondò il Fort Astoria; l'altro, partendo da San Louis avrebbe dovuto raggiungere la costa pacifica via terra. Era appunto il gruppo guidato da Hunt. All'inizio di aprile raggiunsero Fort Osage nell'attuale Missouri, dove alla spedizione si unì Ramsay Crooks, che più tardi sarebbe diventato presidente dell'American Fur Company. Lasciato il grosso della spedizione, questi guidò Bradbury e due cacciatori canadesi fino al Platte River. Si ricongiunsero poi agli altri l'11 maggio presso un villaggio Omaha dove ci furono intensi scambi commerciali con i nativi. A giugno incontrarono lo spagnolo Manuel Lisa, trapper della rivale Missouri Fur Company, che faceva da guida all'avvocato Henry Marie Brackenridge, che Bradbury aveva già conosciuto a Saint Louis. C'era una vecchia ruggine tra Crooks e suoi e Lisa; inoltre Hunt aveva assunto a Saint Louis l'interprete Pierre Dorion che il precedenza aveva lavorato per la Missouri Fur Company e aveva ancora un debito con la compagnia; quando Lisa glielo ricordò, il duello tra i due fu evitato per un pelo dall'intervento di Bradbury e Brackenridge. Gli Astorians stabilirono il loro quartier generale nei villaggi Arikara nell'attuale Corson County (South Dakota); non trovando però un numero sufficiente di cavalli, Hunt decise che due gruppi avrebbero risalito il Missouri per duecento miglia fino al forte della Missouri Fur Company presso i villaggi Mandan; uno avrebbe accompagnato Lisa in battello (ne facevano parte anche Nuttall e Brackenridge), mentre l'altro (con Bradbury e Crooks) l'avrebbe raggiunto a piedi. Era una zona ancora inesplorata dai botanici, e Bradbury poté raccogliere diverse specie inedite delle grandi pianure. Dopo una decina di giorni gli esploratori ritornarono nella Corson County con un'ottantina di cavalli, Ora erano pronti per affrontare la grande traversava alla volta del Pacifico. Bradbury non voleva abbandonare le sue raccolte e preferì lasciare la spedizione, approfittando di uno dei due battelli carichi di pellicce spediti a Saint Louis da Lisa, Così si imbarcò con Brackenridge e diciassette casse di piante. Il 29 giugno era di nuovo a Saint Louis dove affittò un terreno dove trapiantarle. Tuttavia si ammalò, con la conseguenza che non le poté seguire e quattro quinti morirono. All'inizio di dicembre si imbarcò con le sue raccolte alla volta di New Orleans; l'imbarcazione si trovava al largo di New Madrid quando avvenne il primo di tre devastanti terremoti, un'esperienza di cui Bradbury avrebbe lasciato la prima testimonianza scritta nel libro in cui raccontò la sua spedizione. Si trattenne a New Orleans fino al 20 gennaio per spedire le sue raccolte in Inghilterra, poi si imbarcò alla volta di New York. Qui suo malgrado fu trattenuto negli Stati Uniti dalla guerra scoppiata tra i due paesi nel 1812. Nel frattempo le piante che aveva inviato in patria erano arrivate e, forse per un equivoco del figlio di Bradbury, i doppioni della collezione vennero consegnati a Aylmer Lambert. Pursh, che era ospite di Lambert e su suo incoraggiamento stava scrivendo Flora Americae Septentrionalis, decise di includere in un'appendice quaranta piante inedite raccolte da Bradbury. Fu con grande amarezza che questi lo scoprì: questo individuo "osò esaminare la collezione di esemplari che avevo spedito a Liverpool e la descrisse quasi per intero, privandomi sia della reputazione sia del profitto che spettavano solo a me". Non si sa molto della sua vita successiva. Nel 1816 tornò per un breve periodo a Inghilterra dove pubblicò il racconto del suo viaggio, Travels in the Interior of America, in the Years 1809, 1810, and 1811, molto interessante soprattutto come testimonianza della vita delle comunità native. Nel 1817 ripartì per gli Stati Uniti, forse con la moglie e i figli. La delusione lo spinse ad abbandonare del tutto le scienze naturali. Si stabilì a Middletown nel Kentucky dove secondo la testimonianza di Rafinesque lavorava in una manifattura di cotone. Qui morì nel 1823. ![]() Il genere Bradburia Qualche anno prima proprio Rafinesque, che ne aveva grande stima, gli aveva dedicato il genere Bradburya per aver scoperto "così tante piante risalendo il corso del Missouri". Purtroppo, essendo basato su due specie appartenenti ad altri generi, non è valido. A rimediare pensarono i due "papi" della botanica americana Torrey e Gray con una dedica che ha il sapore di una riparazione: "Dedichiamo questo notevole genere a John Bradbury che nel 1811 risalì il Missouri fino ai villaggi Mandan e fece un'interessante raccolta di piante che fu in parte pubblicata da Pursh come supplemento della sua Flora. Nel 1817 pubblicò a Londra il diario dei suoi viaggi in America negli anni 1809-11 che contiene molte interessanti informazioni sulla botanica del Missouri". Bradburia Torr. & A.Gray è un piccolo genere della famiglia Asteraceae che comprende due specie, Bradburia hirtella e B. pilosa, entrambe native degli Stati Uniti meridionali. Sono erbacee annuali talvolta perennanti di medio sviluppo, con radici caudiciformi, foglie e steli pelosi, e capolini radiati solitari o raccolti in infiorescenze panicolate lasse con flosculi del disco e del raggio giallo vivo. I frutti sono acheni muniti di pappi. B. pilosa è comune dal Texas centrale al Missouri sudoccidentale, mentre B. hirtella ha limitata diffusione. Dedicandogli il genere Shepherdia, Nuttall definì John Shepherd "orticultore scientifico". Molto si deve a lui se l'orto botanico di Liverpool, di cui fu il primo curatore, crebbe rapidamente, arrivando a competere persino con Kew nell'arco di pochissimi anni. A cinque-sei anni dalla fondazione la collezione superava 4000 specie, poi crebbe ancora, tanto che fu necessario spostare il giardino in una sede più ampia. Fu l'ultimo compito di questo abile giardiniere, morto subito dopo il trasferimento. ![]() Un orto botanico in grande espansione Al momento della fondazione dell'orto botanico di Liverpool, nel 1802 o nel 1803, venne assunto come curatore, ovvero capo giardiniere, John Shepherd (1763/64 - 1836); secondo alcune fonti, ma senza prove definitive, in precedenza avrebbe lavorato per John Leigh Philips, un imprenditore e collezionista di oggetti naturali di Manchester, che lo avrebbe consigliato a Roscoe. In realtà non si sa nulla di lui prima dell'arrivo a Liverpool, ma certamente la scelta si rivelò felicissima. Shepherd era un professionista molto preparato e sotto la sua cura il giardino crebbe rapidamente. Mentre l'impianto generale, con una serie di ordinate aiuole didattiche rettangolari, divise in parcelle con le piante erbacee collocate secondo il sistema linneano, è solitamente attribuito a Roscoe, si ritiene si debba a Shepherd la creazione della roccera, posta tra l'ingresso e le serre. Le rocce sarebbero state ricavate dalla zavotta delle navi che faceano scalo nel porto di Liverpool, il più importante del paese per il commercio triangolare, con collegamenti con l'Africa, le Antille, il Nord America, ma anche l'India e il Sudest asiatico. Certamente ebbe voce in capitolo anche nella creazione delle due serre, il grande conservatory lungo 73 metri e alto 7, con cinque ambienti separati con temperature diverse, e la stove, la stufa per le tropicali. I costi per queste strutture si rivelarono maggiori del previsto, e le 300 quote di sottoscrizione insufficenti; per far fronte ai debiti, vennero innalzare prima a 375, poi a 450, acquistabili però solo dai "proprietors", ovvero dai sottoscrittori iniziali. Ciò permise di completare i lavori e di creare una collezione notevole, come attesta il primo catalogo, pubblicato nel 1808; è anonimo, ma probabilmente fu scritto a quattro mani da Shepherd e Roscoe. Le specie elencate sono 4269; nell'introduzione un lungo ringraziamento chiarisce come sia stato possibile raggiungere un simile numero in appena cinque anni; le piante arrivarono dai sottoscrittori e da altri collezionisti; dai capitani delle navi; da appassionati che avevano raccolto le piante native più rare nelle loro escursioni; dalle università di Oxford, Cambridge e Dublino e dal sovrintendente dei Kew Gardens, ovvero William Townsend Aiton, che fornirono "molte valide aggiunte a questa collezione". Non mancarono gli acquisti da "alcuni dei più eminenti coltivatori commerciali di piante." Le piante, ordinatamente classificate nelle classi linneane proprio come nelle aiuole, sono divise in quattro categorie: alberi e arbusti (594 specie), distribuiti lungo il perimetro e nei boschetti ad est e sud del giardino; piante erbacee (2268 specie), coltivate sia nelle aiuole "didattiche" sia nella roccera sia ai lati dello specchio d'acqua; piante da serra (1046), coltivate nella grande serra “adatta a conservare piante da ogni parte del mondo”; piante da serra calda (461). Colpiscono per ricchezza alcune collezioni: tra gli arbusti, le azalee e i rododendri, le rose (34 specie e varietà); tra le erbacee, le iris (36 varietà), gli aster (61 varietà), le Poaceae (molte decine) e i carici (34), le felci (35); tra le piante da serra, le molte bulbose sudafricane, le eriche (ben 193 specie), le Proteaceae, i Pelargonium (79); tra le piante da serra calda, stapelie, cactacee, aloe, bromeliacee, palme e orchidee, qualcuna tropicale, ma per lo più nordamericane. Venivano davvero da tutto il mondo, ma sembrano prevalere le sudafricane e le nordamericane. Negli anni successivi i contatti di Roscoe con l'India, la missione di Bradbury, sponsorizzata proprio dall'orto botanico, gli scambi con altri giardini dovettero incrementare ancora più le collezioni, ma purtroppo non abbiamo cataloghi ad attestarlo. Le testimonianze d'epoca ci parlano di un giardino che era diventato una vera attrazione e aveva superato anche Kew per la ricchezza di piante e la cura con cui erano disposte e coltivate. Il nome di Shepherd ricorre una ventina di volte in "Botanical Cabinet" per aver fornito altrettante piante di nuova introduzione al vivaio Loddiges; arrivavano dalla Russia, dalla Cina e soprattutto dal Sudamerica; anche se alcune erano piante rustiche, si fanno notare le piante "da stufa" e in particolare le orchidee, di cui il giardino di Liverpool incominciava ad avere una delle migliori collezioni del paese: Cymbidium latifolium, forse dalla Cina, Epidendrum polybulbon dalla Giamaica, Paphiopedilum insigne raccolto in Nepal da Wallich. A Shepherd non mancarono i riconoscimenti personali: nel luglio 1824 fu invitato dalla Preston Horticultural Society come giudice della loro esposizione annuale in quanto "qualificato da ogni punto di vista per decidere i meriti delle piante". Nel 1827 l'Horticultural Society lo premiò con una medaglia d'argento, dichiarando: "Nessun giardino pubblico nel Regno Unito possiede piante meglio coltivate né piante da serra e serra calda così sane e vigorose". Tra il 1820 e il 1823, l'orto botanico di Liverpool, insieme a quelli di Kew, Chiswick, Chelsea, Edimburgo e Glasgow, fornì un'ampia collezione di piante all'orto botanico di San Pietroburgo, e nel 1824 fu tra i giardini visitati dal direttore di quest'ultimo, F. E. L. Fischer, prima di tornare in Russia con molte altre piante; il contributo di Liverpool fu così soddisfacente che nel 1828 Shepherd fu convocato dall'ambasciatore russo per ricevere un anello di diamanti da parte dello zar in persona. Oltre che un bravissimo giardiniere, Shepherd era un botanico competente, come attestano le note manoscritte sulle Scitamineae utilizzate da Roscoe per il suo libro (ma anche da altri, come Ker Gawler per la sua descrizione di Hedychium gardnerianum), nonché un valido progettista. Progettò alcuni giardini privati e nel 1825 collaborò con l'architetto John Foster Junior alla realizzazione del cimitero di St James, uno dei primi cimiteri-giardino; più tardi si occupò della sistemazione paesaggistica del giardino zoologico. Ma ormai a Mount Plaisant mancava lo spazio; la città era cresciuta tumultuosamente e gli edifici assediavano l'orto botanico, mentre l'aria sempre più inquinata danneggiava le piante. Nel 1831 la società proprietaria decise di trasferire il giardino in una località fuori città, infine individuata in Edge Lane a Wavertree. Shepherd progettò il nuovo giardino e diresse il trasferimento delle piante, che fu completato nel 1836. Anche gli alberi maturi vennero spostati a bordo di carri trainati da cavalli. Era l'ultima fatica del vecchio giardiniere, che morì subito dopo. Nel suo necrologio, Loudon lo definì infaticabile nei suoi sforzi di rendere l'orto botanico di Liverpool uno dei migliori d'Europa; la sua collezione di erbacee perenni era insuperabile, così come quella di Scitamineae. A succedergli come curatore fu un parente, Henry Shepherd (1836-1858), forse un cugino di secondo grado, che già lavorava al suo fianco come aiuto giardiniere fin dal 1808, quando aveva 24 anni. Anche lui era un eccellente professionista e divenne famoso per essere stato il primo a riprodurre le felci dalle spore, come riferisce J. E. Smith in una comunicazione del marzo 1819, “Directions for raising ferns from seed as practiced by Mr Henry Sheppard of Liverpool”; diede a Smith 60 vasi di felci ottenute in questo modo; riuscì addirittura a far germinare le spore di alcune felci dell'erbario di Forster, vecchie di 50 anni. Diresse l'orto botanico fino alla morte, per oltre vent'anni, mantenendo gli altri standard del suo parente e predecessore. Fu amico e corrispondente di Hooker cui comunicò tra l'altro diverse felci per il suo Genera Filicum. Purtroppo, durante la sua gestione, e non certo per colpa sua, il giardino conobbe crescenti difficoltà finanziarie, finché nel 1846 la società si decise a cederlo al Comune che lo trasformò in un parco pubblico. ![]() Shepherdia, le bacche dei bisonti Il più giovane degli Shepherd è ricordato dall'eponimo di alcune specie coltivate per la prima volta nell'orto botanico di Liverpool, come Adiantum shepherdii e Rhododendron shepherdii (ora R. kendrickii), mentre a onorare John Shepherd c'è il genere Shepherdia, dedica di Nuttall che prima di esplorare l'America settentrionale aveva lavorato a Liverpool. In The genera of North American plants leggiamo: "In onore di Mr. John Shepherd, curatore dell'orto botanico di Liverpool, un orticultore scientifico, grazie ai cui sforzi e al patronato del celebrato Roscoe questa istituzione deve i suoi presenti meriti". Shepherdia (famiglia Elaeagnaceae) è un piccolo genere di tre specie di arbusti, distributi esclusivamente nell'America settentrionale, dall'area subartica al Colorado. Dioci, portano fiori maschili e femminili su piante diverse. Ovviamente solo quelle femminili producono le bacche rosse ed eduli, benché amarognole e acidule, che ne sono la più evidente caratteristica. Sono utilizzate per gelatine, dolci, marmellate e una salsa utilizzata per accompagnare la carne, compresa quella di bisonte, da cui il nome popolare buffaloberry. Shepherdia argentea è la specie con maggior areale (dal Canada occidentale agli Stati Uniti centro- settentrionali); è un arbusto deciduo, alto fino a 5 metri, con foglie ovali con apice arrotondato, coriacee, ricoperte da un tomento grigio-argento, più fitto nella pagina inferiore. I fiori giallo chiaro hanno quattro sepali e sono privi di petali; i frutti sono drupe rosso brillante, dal diamentro di 5 mm. Le cultivar 'Xanthocarpa' e 'Goldeneye' hanno frutti gialli. Questa specie cresce in una varietà di habitat ed ha un importante ruolo ecologico come cibo per lepidotteri e diversi erbivori, nonché come rifugio per piccoli animali. La più settentrionale S. canadensis è un arbusto più basso (1-4 metri) con foglie dai margini lievemente arricciati, verdi nella pagina superiore, bianco-brunastre in quella inferiore. Il frutto è edule, ma ricco di saponine, tossiche in alte quantità. La più meridionale S. rotundifolia è un arbusto sempreverde, endemico dell'altopiano del Colorado, dove cresce in diverse comunità: gli arbusteti desertici misti, le boscaglie piñon-ginepro e le foreste di Pinus ponderosa fino a 2400 metri di altitudine. Ha foglie persistenti argentate, con margini retroflessi, e pagina inferiore tomentosa. Anche i frutti, singoli o in grappoli, sono ricoperti di peli stellati. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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