Di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, è stato detto che potrebbe essere nominato patrono laico dei giardini e dei giardinieri statunitensi. Quella per la natura, le piante e i giardini fu infatti per lui una passione costante in tutte le fasi della vita, fino alla creazione dello splendido giardino di Monticello. Protagonista di una rete di "scambisti" di piante tra le due sponde dell'oceano, botanico dilettante, presidente della American Philosophical Society, ebbe anche il merito di sponsorizzare la grande spedizione di Lewis e Clark. Lo ricorda una pianta del sottobosco delle foreste americane, Jeffersonia diphylla, che coltivava in una delle aiuole del suo giardino, dove spesso gli faceva omaggio della sua candida fioritura come dono di compleanno. ![]() Una dedica all'uomo di scienza, non al politico La sera del 18 maggio 1792 sei uomini si incontrarono presso la Philosophical Hall di Filadelfia, la sede della American Philosophical Society, per la consueta riunione del venerdì; dopo il momento conviviale del pranzo, Benjamin Smith Barton, professore di botanica e storia naturale presso l'Università della Pennsylvania, lesse una lettera che aveva scritto ai colleghi europei circa una pianta nativa della Virginia. Linneo, basandosi solo su esemplari essiccati, l'aveva assegnata al genere Podophyllum, con il nome P, diphyllum. Barton, studiandola dal vivo, era giunto alla conclusione che andasse invece assegnata a un genere nuovo e, aggiunse, "Mi sono preso la libertà di renderlo noto ai botanici sotto il nome di Jeffersonia, in onore di Thomas Jefferson, segretario di Stato degli Stati Uniti". E ciò, aggiunse, non in considerazione dei suoi meriti politici, ma delle sue conoscenze di storia naturale che, soprattutto nei campi della zoologia e della botanica "sono eguagliate da poche persone negli Stati Uniti". In effetti, il multiforme Thomas Jefferson, estensore della Dichiarazione d'Indipendenza, quindi ambasciatore degli Stati Uniti in Francia, segretario di Stato, presidente per due mandati, oltre che uno dei padri fondatori degli Stati Uniti fu un intellettuale di notevole spessore, con forti interessi scientifici che spaziavano dalla matematica all'archeologia, dalla geografia alla paleontologia: le scienze naturali e la botanica furono una passione che coltivò tutta la vita. Si racconta che quando era presidente conoscesse tutte le piante dei dintorni della Casa Bianca, e non si facesse sfuggire una specie nuova per il suo erbario. Notevole fu il suo lascito in tre settori: la promozione dell'agricoltura del suo paese, con migliorie tecniche e l'introduzione di nuove specie; la creazione dello splendido giardino di Monticello; la promozione dell'esplorazione delle risorse naturali del territorio statunitense. Convinto che l'agricoltura fosse la base della prosperità, dell'indipendenza, ma anche della moralità di una nazione, sognava un paese di piccoli agricoltori liberi, anche se lui, da parte sua, era il proprietario schiavista di vaste piantagioni. Il suo contributo in questo campo fu soprattutto nella sperimentazione e nell'introduzione di nuove varietà: ad esempio, portò con sé dall'Europa una pianta di fico acquistata a Marsiglia, che a suo dire produceva i frutti migliori che mai avesse mangiato, e ne distribuì talee a vicini e amici; creò un vigneto sperimentale; incoraggiò la coltivazione del sesamo per la produzione familiare di olio. Ma il suo capolavoro fu Monticello, la sua residenza nei pressi di Charlottesville, Virginia, il cui nome italiano fa riferimento alla posizione della proprietà, sulla cima di un colle delle Southwest Mountains. Nel 1768 iniziò l'edificazione di una casa in stile palladiano, progettata dallo stesso Jefferson, che era quasi completa nel 1784 quando egli dovette lasciare gli Stati Uniti per la Francia, con l'incarico di ambasciatore presso la corte di Parigi. Contemporaneamente, cominciò a realizzare il giardino, sulle cui vicende siamo ben informati al suo Garden Book, ovvero al quaderno dove annotava piantagioni, semine, esperimenti. La prima annotazione risale al 1769, quando Jefferson fece piantare alberi da frutto sul versante sud della collina. Nel 1774, in collaborazione con l'italiano Filippo Mazzei, che procurò vignaioli e vitigni, impiantò la prima vigna della Virginia. Tra il 1778 e il 1782 fu la volta di un vasto frutteto di meli e peschi e del primo orto, lungo la strada principale della piantagione, dove vennero seminari asparagi, piselli e carciofi. Il soggiorno in Europa, che si protrasse dal 1784 al 1789, permise a Jefferson di allargare i suoi orizzonti culturali e di allacciare proficue relazioni. Oltre alla Francia, visitò la Gran Bretagna, l'Italia, il Belgio e I paesi Bassi, dove visitò case e giardini, rimanendo profondamente impressionato dallo stile libero dei nuovi parchi all'inglese. A Parigi incominciò a frequentare il salotto di Madame de Tessé, zia di Lafayette e grande appassionata di giardini, che gli chiese di procurargli piante americane; e così, tra Parigi e Monticello, iniziò un attivo scambio transoceanico di piante: mentre esemplari di Callicarpa americana, Diospyros virginiana, Calycanthus floridus procurati da amici e corrispondenti di Jefferson raggiungevano il parco di Chaville, a Monticello arrivavano semi di elitropio bianco (Helitropium arborescens), ranuncoli, cavolfiori, broccoli e bulbi di tulipani. Un altro contatto importante fu André Thouin, capo giardiniere del Jardin du Roi. ![]() Un giardino per frutti, verdure, fiori Tornato in patria, Jefferson cercò di conciliare l'attività politica (che egli definiva il suo dovere) con gli interessi scientifici (che egli definiva la sua passione). Così, nel 1791 lo troviamo ad erborizzare nel New England con l'amico James Madison. Nel 1797 fu nominato presidente della American Philosophical Society (incarico che mantenne per un ventennio, anche durante i due mandati presidenziali). Nel 1812, quando durante la guerra anglo-americana un incendio distrusse la biblioteca del Congresso, Jefferson offrì di reintegrarla con la sua collezione (che vantava il doppio dei volumi di quella perduta), dietro un compenso che doveva aiutarlo a ripianare i grandi debiti contratti per la ristrutturazione di Monticello; il congresso accettò, creando così il primo nucleo dell'attuale Library of Congress. Egli inoltre si impegnò attivamente nella creazione dell'Università della Virginia a Charlottesville, che fu infine inaugurata nel 1819. A partire dal 1794, lo stesso anno in cui divenne segretario di Stato, Jefferson intraprese la totale ristrutturazione della casa e del parco di Monticello, ispirandosi a quanto aveva visto in Europa. Come il Mount Vernon di Washington, anche il giardino concepito da Jefferson unisce la funzione di parco paesaggistico, frutteto, orto e giardino di piacere. I frutteti e gli orti si trovavano fuori del parco vero e proprio, lungo il viale principale della piantagione. I frutteti, con pianta formale a grata, erano due, uno posto a nord, l'altro a sud. Includevano anche meli per la produzione di sidro; a più riprese, venne impianta una vigna, ma con poco successo. L'orto venne collocato su una lunga terrazza ricavata dal lavoro degli schiavi sul fianco della collina; comprendeva 24 parcelle quadrate destinate alla produzione di "radici" (come rape e carote), "frutti" (pomodori, fagioli), "foglie" (insalate, cavoli). Al centro un piccolo padiglione da cui si poteva godere il panorama. Alla base del muro di sostegno venivano coltivate le primizie e le piante più delicate, come i piselli, una delle grandi passioni di Jefferson. Anche i fichi portati dalla Francia crescevano qui. L'orto era anche uno spazio sperimentale dove provare novità, come i broccoli e i cavolfiori importati dall'Europa o gli stessi pomodori. Si calcola che nel corso degli anni Jefferson vi abbia fatto coltivare 330 varietà di 70 specie. La sommità della collina era occupata da una spianata con un vasto prato dai contorni irregolari, il West Lawn, a nord ovest del quale si trova il Grove, il boschetto, un'area di 18 acri concepita come una foresta ornamentale in cui agli alberi nativi più alti (potati in modo da lasciare luce e spazio agli alberi minori) si affiancavano piante scelte per il contrasto di colori, forme, tessiture. Il sottobosco naturale doveva essere eliminato per lasciare posto a radure a prato, con erbacee perenni e gruppi di arbusti disposti secondo un disegno labirintico a spirale. Il collegamento tra le varie parti del giardino era garantito da quattro viali circolari concentrici, posti a livelli differenti, bordati di gelsi e Gleditsia triacanthos e collegati tra loro da sentieri diagonali. Se, proprio come Mount Vernon, all'inizio anche Monticello era stato concepito soprattutto con funzioni utilitarie, dopo l'esperienza europea l'interesse di Jefferson per i fiori e le piante ornamentali aumentò. Nel 1807, in previsione del suo ritiro dalla vita politica, egli disegnò venti aiuole ovali, poste ai quattro angoli della casa, ciascuna delle quali destinata a una specie diversa, con bulbose, erbacee perenni e piccoli alberi di fiori. Probabilmente nel 1808 fu creata la grande bordura serpeggiante che contorna il prato centrale. In entrambe le aree la figlie e le nipoti di Jefferson coltivavano una grande varietà di piante e bulbi, forniti soprattutto dal vivaista di Filadelfia Bernard MacMahon, in modo da assicurare fioriture dalla primavera all'autunno. C'erano i fiori coltivati tradizionalmente che i coloni avevano portato con sé dall'Europa; piante più inusuali o novità fornite dai contatti europei (ogni anno, una cassa giungeva dal Jardin des Plantes di Parigi). Almeno un quarto delle piante da fiore coltivate a Monticello erano tuttavia native; oltre a Jeffersonia diphylla, particolarmente gradita perché oltre a portare il suo nome fioriva proprio intorno al suo compleanno (il 2 aprile), c'erano diverse specie raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark, come Fritillaria pudica e Lobelia cardinalis. Siamo così giunti all'ultimo titolo di merito di Jefferson: quella spedizione era stata voluta e sponsorizzata proprio da lui, durante il suo primo mandato presidenziale. Negli anni successivi all'indipendenza, il territorio del nuovo stato era confinato nella stretta striscia tra gli Appalachi e l'Oceano, mentre si avevano scarse conoscenze delle terre poste al di là delle montagne. Jefferson era conscio delle enormi potenzialità di quel territorio inesplorato e sognava di trovare una via di comunicazione con l'Oceano Pacifico. Già quando si trovava a Parigi come ambasciatore sostenne il progetto dell'esploratore anglo-americano John Ledyard che si proponeva di raggiungere lo stretto di Bering attraversando la Russia via terra; da qui pensava di trovare un passaggio per l'Alaska, da dove sarebbe sceso verso sud per poi percorrere il continente americano fino alla Virginia. Ma, dopo essere arrivato in Siberia, nel febbraio del 1788 Ledyard fu arrestato per ordine dell'imperatrice Caterina e deportato in Polonia. Una seconda possibilità si presentò nel 1793, quando l'American Philosophical Society pensò di affidare la missione di "esplorare il paese lungo il Missouri e di lì proseguire verso ovest fino all'Oceano Pacifico" al botanico francese André Michaux, che da qualche anno viveva in Carolina del Sud e aveva una larga esperienza di viaggi di esplorazione e raccolta. Jefferson stesso organizzò la sottoscrizione che doveva finanziare la spedizione e ottenne l'assenso di Washington; tuttavia, quando fu chiaro che Michaux era coinvolto in un piano antispagnolo organizzato dall'ambasciatore francese, per evitare di peggiorare le relazioni diplomatiche con la Spagna il progetto fu annullato. Il sogno di Jefferson poté infine realizzarsi nel 1804 grazie alla spedizione capeggiata da Lewis e Clark, argomento su cui però tornerò in un altro post. Jefferson morì nel 1826, a ottantaquattro anni, ormai sprofondato nei debiti contratti per la sua vita troppo dispendiosa e soprattutto per la creazione di Monticello. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. La figlia fu costretta a vendere la tenuta che, dopo essere passata attraverso vari proprietari, nel 1836 fu acquistata da Uriah Levy, grande ammiratore di Jefferson, che nel 1862 la lasciò in eredità al popolo americano perché fosse usata come scuola agraria. Ma si era in piena guerra civile e il congresso rifiutò il lascito. Dopo complesse vicende, a cercare di salvare Monticello, che era ormai in uno stato deprecabile di abbandono, fu il nipote Jefferson Monroe Levy, che ne iniziò il restauro, poi proseguito a cura della Thomas Jefferson Foundation, nata nel 1923. Monticello come lo vediamo oggi è il frutto dei restauri da essa promossi: sono stati ricreati il prato e la sua bordura, le aiuole ovali, il viale circolare inferiore, la terrazza con l'orto, mentre i frutteti non esistono più e il Grove è ben diverso da come doveva presentarsi all'epoca del suo creatore. Dal 1987 la tenuta è inclusa nella lista del patrimonio dell'umanità UNESCO. Moltissime notizie sul giardino e sullo stesso Jefferson nel sito di Monticello. ![]() Una pianta americana Abbiamo già visto che Jeffersonia fu dedicata a Jefferson nel 1792 da Benjamin Smith Barton. Appartenente alla famiglia Berberidaceae, comprende una sola specie, appunto J. diphylla, una rara erbacea perenne a fioritura primaverile del sottobosco delle foreste decidue con suolo calcareo degli Stati Uniti orientali. Alta fino a 25 cm, ha grandi foglie bilobate con lobi da arrotondati ad acuti posti quasi ad ala di farfalla; all'inizio della primavera produce fiori a coppa con otto petali bianchi e stami gialli. Gli si attribuiscono proprietà antireumatiche. Qualche informazione in più nella scheda. Ha anche una bellissima cugina asiatica che oggi, dopo molte incertezze, è stata restituita al genere Plagiorhegma. Dunque dobbiamo rassegnarci a chiamare questa perla dei giardini boschivi con foglie lobate e fiori lilla con l'orrendo nome Plagiorhegma dubium anziché Jeffersonia dubia. Nel 1800 Brickell dedicò a Jefferson un secondo genere Jeffersonia; illegittimo per la regola della priorità, è oggi sinonimo di Gelsemium.
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Comandante dell'Esercito continentale, primo presidente degli Stati Uniti, padre fondatore della nazione. Ma oltre a tutto questo, George Washington fu anche un imprenditore agricolo di successo e il creatore di uno splendido giardino in cui si armonizzano utilità e piacere, rigore e libertà, giardino formale e parco paesaggistico. Mount Vernon, con i suoi sentieri sinuosi fiancheggiati da centinaia di alberi nativi fu anche un giardino programmaticamente "americano" che influenzò il gusto delle generazioni successive. A tanto personaggio, non potevano che essere dedicate piante speciali: le altissime palme americane del genere Washingtonia. ![]() Un imprenditore di successo Tra il 1758, quando lasciò l'esercito dopo aver combattuto nella guerra franco-indiana, e il 1775, quando fu nominato comandante in capo dell'Esercito Continentale, George Washington fu un piantatore di successo, impegnato a estendere le sue proprietà e a renderle sempre più produttive. Mentre la maggior parte dei suoi vicini coltivava soprattutto tabacco, egli capì che, da una parte, questo impoveriva il suolo; dall'altra, come prodotto destinato essenzialmente all'esportazione in Europa, lo rendeva economicamente dipendente dal mercato inglese. Decise così di differenziare le colture, puntando su prodotti destinati al mercato interno: grano, mais, altri cereali, fibre tessili come canapa, lino, cotone. Oltre ad almeno una sessantina di colture, sperimentò fertilizzanti, sementi, tecniche di rotazione, attrezzature innovative, affiancando alla produzione agricola altre attività come l'allevamento di pecore, una piccola flotta di pescherecci, un mulino e una distilleria di whisky. Da cadetto di una famiglia di piantatori di modeste fortune, si trasformò così in un facoltoso proprietario terriero. Per un uomo della sua classe sociale, una bella casa, dove ricevere signorilmente, circondata da un parco ameno era anche uno status symbol, e Washington adeguò alla sua nuova posizione sociale la tenuta di Mount Vernon, ereditata dal fratello maggiore. La casa, posta in un punto panoramico con un'eccezionale vista sul fiume Potomac, fu totalmente ricostruita in stile palladiano. Quanto al giardino, probabilmente all'inizio l'interesse del proprietario andava soprattutto alla sua dimensione utilitaria. Fin dagli anni '60 venne creato un vasto orto, circondato da un muro per proteggerlo dai cervi e dagli altri animali selvatici; Washington fece anche piantare centinaia di alberi da frutto, in particolare peri, meli, ciliegi e peschi. La frutta era molto richiesta, oltre che per il consumo immediato, per la preparazione di conserve e la fabbricazione del sidro. L'idea di ridisegnare il parco secondo i canoni del giardino paesaggistico nacque probabilmente più tardi, a ridosso degli eventi della Guerra d'indipendenza che avrebbero tenuto Washington lontano dalla sua casa per otto anni, dal 1775 al 1783. Tuttavia l'amato Mount Vernon continuava ad essere al centro dei suoi pensieri, tanto che in una lettera del 1776 istruisce il cugino Lund Washington sulle specie da piantare nelle bordure di arbusti lungo i sentieri che portano alla casa: rododendri, meli selvatici, Kalmia latifolia. Secondo Andrea Wulf, che ha dedicato a Washington e ai giardini di Mount Vernon uno dei capitoli del suo Founding Gardeners, questa lettera - sorprendente per il momento in cui fu scritta, la vigilia della battaglia di Long Island, in cui i britannici sconfissero le truppe indipendentiste, prendendo il controllo di New York - va intesa come un manifesto della volontà del generale di fare del suo giardino un manifesto patriottico, dove crescessero solo piante native, bandendo le specie europee, ancora tanto ricercate dai ricchi proprietari di giardini. Ritornato a Mount Vernon alla fine del 1783, al termine della guerra, nei sei anni che intercorsero fino alla sua elezione a presidente degli Stati Uniti, Washington si dedicò a realizzare questo programma e ridisegnò completamente il parco, dove volle che fossero in certo senso rappresentati gli interi Stati Uniti, affiancando alle specie locali ad esempio alberi e arbusti da fiore portati dalla Carolina o conifere giunte dagli Stati del Nord. Il progetto, completato poi durante i due mandati presidenziali (1789-1797) e negli ultimi anni, quando Washington tornò a vivere stabilmente a Mont Vernon (proprio qui morì nel 1799), diede al parco la fisionomia che ancora oggi possiamo apprezzare, grazie alla paziente opera di ricerca, conservazione e restauro promossa dalla benemerita Mount Vernon Ladies' Association, anche se quanto vediamo è solo il nucleo centrale (circa 500 acri degli 8000 su cui si estendeva la tenuta alla morte di Washington). Un sintetico profilo della sua vita nella sezione biografie. ![]() Mount Vernon: un parco paesaggistico e quattro ordinati giardini L'originalità del progetto di Mount Vernon, che non fu creato da un architetto alla moda ma dallo stesso Washington, nasce dalla capacità di integrare in un disegno unitario elementi a prima vista eterogenei: il piacere e la bellezza con l'utile, il rigore con la libertà, il giardino formale con il parco paesaggistico, caratterizzato da vasti prati dalle linee ondulate, viali e quinte di alberi, boschetti di alberi e arbusti , sentieri a serpentina. Il generale seppe inoltre sfruttare al meglio la posizione eccezionale della casa, posta sulla sommità di un dolce pendio che domina il fiume Potomac. La casa stessa, con le sue ali a mezza luna che abbracciano il cortile d'onore, il Mansion Circle, a forma di ellisse, costituisce il punto focale e unificante del disegno. Ma non vi si giunge attraverso il classico viale rettilineo; per raggiungerlo il visitatore deve percorrere uno dei due viali a serpentina immersi tra gli alberi. Washington fece infatti livellare l'area a ovest, di fronte alla casa, creando un vasto prato (detto Bowling green) dalle forme ondulate che ricordano la cassa armonica di una chitarra. Sui bordi fece disegnare due viali che ne seguono tutte le sinuosità, fiancheggiati a loro volta da centinaia di alberi, trapiantati dalle foreste circostanti. Molti di essi, oltre ad essere squisitamente "americani", uniscono alle belle fioriture primaverili spettacolari colori autunnali: meli selvatici, sassofrassi (Sassafras albidum), aceri, tupelo (Nyssa sylvatica). Gli alberi, fin dagli anni giovanili in cui aveva fatto l'agrimensore, erano la vera passione di Washington che ne piantò a profusione anche in altri spazi. A nord della casa venne creato un bosco di Robinia pseudoacacia; la radura verso sud venne riempita con sempreverdi, Cornus florida e alberi di Giuda (Cercis canadensis). A est, a creare una cornice alla veduta sul Potomac, la collina venne piantumata con una grande varietà di piante locali. Ma veniamo ai quattro giardini, partendo dal basso. Sul fianco destro del pendio che culmina con il Bowling Green, troviamo un vasto frutteto (Fruit Garden, lettera d nella mappa); questo terreno originariamente era una vigna sperimentale, piantata con ceppi di origine europea, che vennero distrutti dalla filossera. Nel 1785 Washington vi fece trapiantare gli alberi da frutto rimossi dall'Upper Garden e circa 200 meli ricevuti da un certo Major Jennifer. Protetta da un'alberata (soprattutto robinie), l'area è costituita da sei grandi rettangoli regolari, quattro coltivati a frutteto e due a orto, con verdure, piccoli frutti, erbe aromatiche, e include anche un vivaio. Immediatamente sopra il frutteto, da cui è separato da un viale e da un prato, si trova il giardino inferiore (Lower garden, lettera b), racchiuso da un muro di mattoni; è un vasto orto formale suddiviso in ordinatissime parcelle dove veniva coltivata una grande varietà di verdure e erbe aromatiche. Lungo i muri ci sono peri e meli coltivati a spalliera. Al livello più alto, al di là del prato, troviamo il giardino superiore (Upper Garden, lettera a). Simmetrico al Lower Garden, di cui riprende la forma e le dimensioni, inizialmente era un frutteto; nel 1785 Washington lo fece liberare dagli alberi per trasformarlo in un giardino di piacere. Anch'esso circondato da un muro su cui si appoggiano alberi da frutto a spalliera sui lati al sole e alberi ornamentali sui lati in ombra, ha un disegno formale che ricorda quello della finestra di una cattedrale, con sei aiuole, quattro rettangolari e due curvilinee, circondate da bordure di bosso nano. Le tre aiuole sulla sinistra (due rettangolari e una curvilinea) sono di dimensioni maggiori e combinano la funzione utilitaria dell'orto con quella estetica del giardino; il centro è occupato da file ordinate di verdure e erbe, lungo i bordi fiori e arbusti ornamentali formano una colorata cornice; anche in questo caso si tratta per lo più di specie native. Le due aiuole rettangolari sulla destra, più piccole, e separate tra loro dal piccolo cortile antistante la serra, ospitano un parterre di bosso che riproduce il "fleur de lys", ovvero il simbolo della Francia, preziosa alleata durante la guerra d'Indipendenza. L'ultima aiuola curvilinea sulla destra ospita invece piante da frutto. Bordure fiorite si trovano anche lungo i muri esposti al sole, ai piedi degli alberi a spalliera. Il punto focale di questo giardino è una serra molto innovativa per l'epoca dove venivano riparati aranci, limoni, limette e piante tropicali. Tra di esse una Cycas revoluta giunta dalle Antille, ancora oggi viva e in ottima forma. Infine, l'orto botanico (Botanical garden, lettera c), una piccola area rettangolare incuneata tra il viale superiore e l'Upper garden, seminascosta da diversi edifici utilitari. Washington, che lo amava molto, lo chiamava "my Little garden" o "my Botanick garden". Era lo spazio destinato alla sperimentazione di nuovi semi, bulbi e talee che giungevano sempre più numerosi da amici, ammiratori, ma anche governi stranieri. Tra di essi quello francese, che, tramite André Michaux, fornì un cipresso a piramide e altri sempreverdi. Qui Washington "giardinava" di persona annotando scrupolosamente sui suoi diari successi e fallimenti. Liberalmente aperto ai visitatori già quando il presidente vi viveva (nel 1794 scrisse: "Non obbietto al fatto che ogni persona sobria o in ordine gratifichi la sua curiosità vedendo le strutture, i giardini, ecc. di Mount Vernon.") il giardino "americano" di Washington divenne anche un prestigioso modello che non mancò di influenzare la progettazione dei giardini della nuova nazione. A chi desidera saperne di più, consiglio vivamente un visita all'ottimo sito George Washington's Mount Vernon, una vera miniera di informazioni e curiosità. ![]() Una palma americana per il generale Washington Ovviamente, non fu per i suoi meriti di appassionato e di creatore di giardini che Washington fu onorato con un nome botanico, ma in quanto padre della patria. Anche se la prima denominazione che lo celebra non è valida, ha una storia così curiosa che vale la pena raccontarla. Nel 1853 il botanico inglese John Lindley dedicò uno studio alla sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum) che proprio in quegli anni incominciava ad essere conosciuta in Europa; colpito dalla maestosità di questi alberi, i più alti del pianeta, nell'attribuirli a un nuovo genere li battezzò Wellingtonia gigantea, perché secondo lui il generale Wellington (il vincitore di Waterloo) superava ogni uomo proprio come la sequoia supera tutti gli altri alberi. Questa denominazione (illegittima secondo le leggi della botanica, perché il nome Wellingtonia era già stato usato per un'altra pianta) non mancò di suscitare indignazione dall'altra parte dell'oceano: come poteva un generale britannico dare il suo nome alla più maestosa pianta d'America? Infatti, l'anno dopo un certo Andreas Peter Winslow in articolo pubblicato su un settimanale locale, California Farmer, in cui raccontava il suo viaggio a Calaveras Grove, protestò contro questa denominazione poco patriottica, sostenendo che l'unico degno di dare il suo nome al gigante tra le piante americane fosse Washington. Aggiunse che, se la pianta fosse risultata appartenente al genere Taxodium doveva chiamarsi Taxodium washingtonium, se appartenente a un genere nuovo Washingtonia californica. Winslow non era un botanico e la sua denominazione, irregolare per diversi motivi, non è valida, ma rimane comunque molto interessante sul piano storico. La denominazione valida giunse nel 1873 da parte non di un patriota statunitense ma di un botanico tedesco, H. A. Wendland, che separò dal genere Pritchardia P. filifera, rinominandola Washingtonia filifera "in onore di un grande americano". Una terza Washingtpnia era stata creata da Rafinesque, ma, pubblicata da Coulter e Rose solo nel 1900, non può essere presa in considerazione per la regola della priorità. La dedica di Wendland è invece un omaggio indubbiamente adeguato; il genere Washingtonia, della famiglia Arecaceae, comprende due specie di palme native degli Stati Uniti sud-occidentali e del Messico settentrionale, note per la loro altezza, maestosità e bellezza: W. filifera, nota anche come palma della California, e W. robusta, nota come palma del Messico. Sono molto simili tra loro, ma W. robusta ha tronco più sottile, cresce più alta e più rapidamente; a distinguerle poi è il colore della base del picciolo, rosso-porpora in W. robusta e verde in W. filifera. Alte fino a 30 metri, con grandi foglie a ventaglio che formano una densa chioma tondeggiante, sono tra le palme più note e apprezzate, molto coltivate anche da noi in parchi e alberate; la specie californiana è anche relativamente rustica. Qualche informazione in più nella scheda. E' brevissima la vita di Robert James Petre, ottavo barone Petre. Ma lascia un'impronta indelebile nella storia dei giardini inglesi, anche se del mirabile giardino che creò a Thorndon non rimane neanche un'immagine; a evocare l'armonia che egli seppe creare disegnando il paesaggio con "matite vive" restano alcune lettere dell'amico Peter Collinson. A ricordare Petre, complice Linneo, provvede inoltre il genere Petrea, che comprende alcuni dei più spettacolari rampicanti tropicali. ![]() Un prototipo di giardino paesaggistico Nel 1742, quando lord Petre morì all'improvviso, vittima di un'epidemia di vaiolo (che portò alla tomba con lui una trentina tra famigliari e servitori), non aveva ancora compiuto 29 anni. Da pochi mesi gli era nato l'erede maschio e le attività nel parco di Thornton Hall erano al culmine. Nei due anni precedenti, vi aveva fatto piantare più di 60.000 piante (tra cui 10.000 tra arbusti e alberi americani) di 50 specie e altre decine di migliaia erano in attesa negli enormi vivai. Erano ormai dieci anni, da quando era diventato maggiorenne, che Petre aveva preso a rimodellare la tenuta di Thorndon Hall; per il palazzo, ridisegnato secondo lo stile palladiano allora in voga, aveva assunto l'architetto italiano Leoni; per il parco, si era rivolto all'artista francese H.F. Bourguignon (più tardi sarebbe diventato celebre con lo pseudonimo Gravelot). Ma il vero creatore del parco in realtà fu lo stesso Petre, che univa a un gusto sicuro una perfetta conoscenza delle esigenze delle piante. Era appassionato di botanica fin da ragazzo: si racconta che quando aveva 14 anni come regalo di Natale avesse ricevuto, graditissimo, uno speciale coltello da innesto. Poco più che adolescente, era stato ammesso alla Royal Society. Suo mentore fu Peter Collinson, più anziano di una ventina di anni, che lo coinvolse nell'introduzione in Inghilterra delle piante americane. Dapprima divise con lui i semi che gli giungevano dai suoi corrispondenti, poi, quando iniziò a finanziare le spedizioni di Bartram e creò il sistema delle sottoscrizioni, fece di Petre il primo e il più munifico dei suoi clienti. Al suo giardino di Mill-Hill Petre guardò per ridisegnare Thornton, ma disponendo di spazi ben maggiori (il parco era di 1000 acri, circa 400 ettari) e di ingenti capitali, poteva fare le cose in grande. Come altri gentiluomini appassionati del suo tempo, era in primo luogo un collezionista di piante esotiche e rare. Per accoglierle, fece edificare alcune serre, dette stufe, considerate le più moderne d'Europa. La Grande stufa, la più grande dell'epoca, era alta 9 m e conteneva alberi e arbusti alti fino a 7 m. Le pareti erano colme di rampicanti, tra cui passiflore, molte Clematis e Cereus ricadenti. Una serra lunga 18 metri era riservata alla coltivazione delle banane e degli ananas, allora così rari che non venivano mangiati ma mostrati agli ospiti durante le feste. C'era poi una serra temperata. In una di quelle serre fiorirono per la prima volta in Inghilterra le camelie (ma Petre non morì per il dolore della perdita di quelle rare piante, come vuole una persistente leggenda metropolitana). I semi procurati da Collinson e da altri fornitori venivano seminati nei vastissimi vivai, i più grandi non commerciali, presieduti dal capo giardiniere James Gordon. Mano a mano che le piante crescevano, venivano trapiantate nel parco, secondo un progetto nuovo e originale, che fece di Thorndon il prototipo del giardino naturale. La mescolanza di piante europee, asiatiche e americane consentì infatti a Petre di ridisegnare il paesaggio, secondo le parole di Collinson, usando "matite vive". L'effetto era ottenuto mescolando sapientemente le specie per la forma e le sfumature di colore delle chiome, la tessitura delle foglie, il colore e la struttura delle cortecce. L'arrivo di alberi e arbusti americani consentì di trasformare l'autunno in una stagione dai colori squillanti, grazie al rosso delle querce e dei frassini americani, allo scarlatto dei tupelo (Nyssa sylvatica), all'arancio degli aceri e al melanzana dei liquidambar. Molto apprezzati erano anche i sempreverdi: come fa notare A. Wulf in La confraternita dei giardinieri, la flora inglese comprende solo quattro sempreverdi autoctoni (il pino silvestre, l'agrifoglio, il bosso, il tasso); grazie alle introduzioni americane, a Thorndon se ne coltivavano almeno trenta, tra cui una decina di pini (il più amato da Petre era lo strobo, per i suoi lunghi aghi piumosi) e Juniperus virginiana, apprezzato per la forma colonnare e il colore glauco della chioma. Ricercatissimi erano poi gli alberi da fiore (così rari nella flora europea); il più desiderato e costoso era senza dubbio Liriodendron tulipifera di cui Petre fece impiantare ben novecento esemplari. Il parco, a differenza dei giardini formali barocchi, non era più pensato per essere visto dall'alto, dalle finestre del palazzo, ma per essere goduto percorrendone i sentieri sinuosi. Le piante, che dovevano "apparire distribuite a caso come in un bosco naturale" erano in realtà piantate con cura, non solo tenendo conto delle forme e dei colori, ma anche in ranghi disposti per altezza: davanti i fiori, poi gli arbusti (scelti per le fioriture, ma anche la struttura delle foglie e le bacche autunnali), quindi gli alberi sempre più maestosi. Questi criteri furono applicati da Petre anche al cosiddetto Amphiteatre di Worksop Manor, che creò nel 1738 per un altro nobile appassionato, il duca di Norfolk; era un emiciclo, racchiuso da una bassa siepe di tasso, piantato con cinque ranghi di sempreverdi, posti in ordine d'altezza, con colori e strutture contrastanti: bosso, viburno tino, corbezzolo formavano il primo rango, seguiti da agrifogli, quindi da conifere, il tutto coronato da un Cedrus. Petre non era solo un "pratico". Aveva una profonda conoscenza della botanica e la sua biblioteca era notevolissima (desideroso di tenersi al corrente di tutte le novità, acquistò anche diverse copie di Systema Naturae). Era in corrispondenza e in contatto con i più importanti botanici del tempo. Creò un notevolissimo erbario (avvalendose della consulenza di Gronovius). La sua morte precoce sembrò disperdere quegli esperimenti e quel patrimonio di competenze. La giovane vedova non intendeva sobbarcarsi la continuazione dei lavori; per recuperare almeno in parte i capitali investiti, decise di mettere in vendita gli esemplari coltivati nei vivai (secondo varie testimonianze dell'epoca, si trattava di quasi 220.000 esemplari di circa 700 specie). I nobili amici di Petre fecero a gara per portarseli via a prezzi di liquidazione, le "americane" invasero i parchi della nobiltà inglese, e, grazie alla moda lanciata dallo sfortunato barone, l'impresa di Collinson (disperato per la perdita del giovane amico) sopravvisse e trovò nuovi clienti. Non sopravvisse invece Thornton: pochi anni dopo la morte del suo creatore le serre erano ormai vuote, il parco trascurato. Divenuto maggiorenne, il figlio, il nono barone Petre, a sua volta appassionato di giardini, ma evidentemente insensibile all'eredità paterna, fece ridisegnare il parco da Capability Brown, cancellando quanto ne rimaneva. Il caso ha voluto che non ne rimangano neppure immagini, ad eccezione della pianta disegnata da Bourguignon. Una sintesi della vita di Petre, come sempre, nella sezione biografie. ![]() Un rampicante spettacolare Fu a Hartekamp, il meraviglioso giardino di George Clifford, che Linneo conobbe lo spettacolare rampicante che avrebbe battezzato Petrea volubilis. Arrivato da poco dal Messico grazie al medico e cacciatore di piante William Houstoun, che l'aveva raccolta nei pressi di Veracruz nel 1731, era ancora una primizia, degna di onorare un intenditore come Petre, che amava tappezzare le pareti della sua serra maggiore con lussureggianti rampicanti. In Hortus Cliffortianus (1737) Linneo descrisse la splendida pianta, facendo propria la denominazione proposta da Houstoun, con la seguente motivazione: "Questa pianta fu consacrata da Houstoun al nobilissimo Robert James Petre, barone di Writtle, estimatore e sommo coltivatore delle piante più rare e esotiche in Inghilterra". Lo stesso Linneo confermò poi la denominazione in Species Plantarum (1753). Il genere Petrea, della famiglia Verbenaceae, comprende una quindicina di specie origianarie dell'America tropicale (distribuite dal Messico al Perù e alla Bolivia, passando per le Antille); si tratta soprattutto di liane, ricadenti o rampicanti, che si distinguono dalle altre Verbenaceae per le foglie scabre e per il calice persistente che ha la funzione di aiutare la dispersione dei semi. La specie più nota, e anche quella più diffusa in natura, è appunto P. volubilis, una rampicante che può raggiungere i 12 metri, avvolgendosi ai supporti grazie ai fusti volubili. Ha una fioritura spettacolare grazie ai lunghi racemi penduli di fiori profumati, blu o viola pallido, in cui la piccola corolla lilla scuro, caduca, è circondata dai lunghissimi lobi del calice petaloideo, persistente, di colore più chiaro. Poco resistente al freddo, da noi può essere coltivata all'aperto solo nelle zone più miti, mentre altrove può essere allevata in vaso, anche come ricadente. E' stata introdotta in molte aree tropicali, dove assume la funzione del glicine in climi più freddi. Qualche informazione in più nella scheda. C'è stato un parco a Kew prima di Banks. A crearlo il politico più odiato e calunniato della storia britannica: accusato di ogni turpitudine, bruciato in effigie in piazza. Eppure proprio a lui tanto si deve se l'Inghilterra è diventata la patria del giardinaggio. Ha imposto una moda, creato quattro giardini, scritto libri di giardinaggio, per l'amore per le piante è persino morto. E' John Stuart, lord Bute. E almeno la dedica di due generi, Stewartia e Butea, gli ha reso un po' di giustizia. ![]() Un incontro alle corse L'incontro che è all'origine dei futuri Kew Royal Botanical Gardens, l'orto botanico più famoso al mondo, si deve a un temporale e a una partita di carte. Nel 1747, John Stuart, terzo earl di Bute, un gentiluomo scozzese che si è da poco stabilito sulle rive del Tamigi, decide di assistere alle corse a Egham, dove si reca insieme al suo medico-farmacista con la carrozza di quest'ultimo. Caso vuole che quel giorno alle corse assistano anche i principi di Galles, Frederick e sua moglie, Augusta di Saxe-Gotha; per la loro comodità, è stata eretta una tenda da campo. Quando il tempo volge al brutto, per intrattenere la coppia principesca si vorrebbe organizzare una partita di carte, ma manca il quarto giocatore: serve un gentiluomo di alto rango, degno di sedere di fronte a un principe reale. Qualcuno si ricorda di aver visto lord Bute sul campo da corsa; il suo rango è quello richiesto; lo convocano, lo presentano al principe, si gioca. Quando la compagnia si scioglie, lord Bute scopre di essere rimasto a piedi: il farmacista e la carrozza sono spariti; Frederick, informato, invita cortesemente lord Bute a passare la notte nella sua residenza di Cliefden. Lord Bute non può che accettare; inizia così un'amicizia destinata a cambiare le sorti di Bute stesso, della Gran Bretagna, ma soprattutto, dal nostro punto di vista, del giardinaggio. Lord Bute era un grandissimo appassionato di botanica e di giardini; era più di un dilettante: tra il 1728 e il 1732, quando studiava diritto all'università di Leida nei Paesi Bassi, aveva seguito anche corsi di botanica; al suo ritorno in patria, aveva ristrutturato il parco del castello avito, Mount Stuart, nell'isola scozzese di Bute, secondo il nuovo gusto, appena agli inizi, del giardino paesaggistico ricco di arbusti da fiore, soprattutto importanti dalle colonie dell'America settentrionale. Uomo di bellissimo aspetto, ma poco socievole, di modi gravi e riservati, diventava eloquente quando il discorso cadeva sulle piante e sui giardini, tanto da contagiare Frederick e ancor più Augusta, con la quale condivideva il carattere timido e taciturno. Il principe Frederick era un personaggio dal carattere bizzarro (sua madre diceva di lui: "il mio primo figlio è il più grande asino, il peggior bugiardo, la più grande canaglia e la maggiore bestia del mondo"), uno scialacquatore di idee politiche radicali che dirigeva pubblicamente l'opposizione al padre, ma anche un grande protettore delle arti. Facile agli entusiasmi, dopo l'incontro con Bute decise di trasformare il giardino di una delle sue residenze nei pressi di Londra, la White House di Kew, in un parco paesaggistico secondo la nuova moda; ne ampliò l'area, contattò architetti e artisti, ordinò migliaia di piante a Collinson (che già aveva tra i suoi clienti lord Bute) e avviò lavori grandiosi, che avrebbero dovuto includere piante esotiche, un acquedotto, una riproduzione del Parnaso con tanto di tempio. Progetti che mai si realizzarono, perché interrotti dalla morte improvvisa del principe di Galles, nel 1751, a soli 44 anni. Una morte collegata al fanatismo per il giardinaggio: già sofferente per essere stato colpito violentemente da una palla da tennis (o da cricket), mentre dirigeva la messa a dimora di alcuni alberi fu sorpreso da una grandinata, si prese un'infreddatura che presto si trasformò nella pleurite che doveva essergli fatale. In ogni caso, i lavori per il parco di Kew avevano alimentato lo spirito di competizione tra gli aristocratici britannici e gettato le basi della moda del parco all'inglese che presto sarebbe dilagata in Europa. ![]() Giardini e politica Si deve proprio a Bute se la vedova Augusta di Saxe-Gotha (la coppia reale aveva avuto il tempo di generare ben nove figli) decise di riprendere i progetti del marito, fissando a Kew la sua residenza di campagna. Bute, che nel frattempo era diventato il tutore del principe George (il futuro Giorgio III) divenne il suo principale consigliere in molti campi, ma soprattutto nella realizzazione del parco di Kew, di cui possiamo considerarlo il primo direttore ufficioso. Abbandonati i progetti megalomani di Frederick, si occupò in primo luogo di migliorare un terreno di per sé poco fertile; i 110 acri della proprietà vennero disboscati e recintati, in modo che un gregge di pecore vi potesse pascolare fertilizzando il terreno che venne reso meno piatto e più mosso con colline artificiali. Per sovrintendere meglio i lavori e anche per seguire l'educazione del suo pupillo, nel 1754 Bute si trasferì in un cottage a Kew, da dove poteva raggiungere il parco liberamente passando per una porta segreta. Il parco, benché non molto esteso, secondo lo stile del giardino paesaggistico comprendeva diversi edifici, affidati all'architetto William Chambers, tra cui una serra e una pagoda di dieci piani (ancora oggi uno dei simboli dei Royal Botanical Gardens). Bute volle mantenere ben distinte le collezioni botaniche, organizzate come un orto botanico con le piante sistemate secondo il sistema linneano e accuratamente etichettate, e il parco di piacere, con un arboretum dove crebbero la prima Aucuba japonica e il più vecchio Ginkgo biloba in terra britannica (piantato nel 1762, è ancora oggi la più venerabile pianta del giardino). A partire dal 1759 come giardiniere capo fu chiamato William Aiton (che vi lavorò fino alla morte e fu, in un certo senso, "ereditato" da Joseph Banks). Ma purtroppo, oltre che di giardini, Bute volle occuparsi anche di politica; era un terreno sul quale non aveva alcuna esperienza, se non gli slogan che aveva appreso dagli ambienti degli oppositori che frequentavano Leichester House, la residenza londinese del principe Frederick. Inculcò queste idee nel suo reale pupillo che quando salì al trono, nel 1760, a soli 23 anni, non sognava altro che liberarsi dei politici che allora governavano il paese che giudicava corrotti e inaffidabili guerrafondai. Divenuto il suo principale consigliere, in seguito a intricate vicende e scontri di potere, Bute fu nominato segretario di stato nel 1761 e primo ministro nel 1762 e in tale veste diresse la politica britannica negli anni finali della guerra dei sette anni, fino alla pace di Parigi. L'esperienza fu disastrosa; già da anni l'opinione pubblica era ostile al gentiluomo scozzese; la stampa scandalistica lo accusava apertamente di essere l'amante della principessa Augusta (ah, quella porticina segreta a Kew!) e i due vennero ripetutamente bruciati in effige nelle pubbliche piazze; ora veniva accusato di aver svenduto gli interessi britannici alla Francia, mostrandosi troppo tenero in occasione della pace di Parigi, e di dissanguare il paese con le tasse. Dopo poco più di un anno egli fu costretto alle dimissioni e allontanato dal favore del re: il sovrano, che fino allora lo aveva considerato il suo migliore amico e gli scriveva ogni giorno, interruppe ogni contatto. Non per questo cessò la campagna di stampa ostile a Bute, che per decenni fu dipinto come il malvagio Macbeth scozzese che stava dietro ogni atto di Giorgio III, raffigurato come una marionetta nelle sue mani. Le ragioni di tanto odio (che va al di là dell'innegabile incapacità politica di Bute)? Così si espresse un contemporaneo, il vescovo Warbarton: “Lord Bute è inadatto ad essere il primo ministro inglese: in primo luogo è scozzese; in secondo luogo è amico del re; in terzo luogo, è una persona onesta". Meno teneri gli storici di oggi: anche se ritengono unanimemente che le voci sulla liaison con la madre del re fossero calunnie infondate, hanno variamente sottolineato la sua incapacità politica (Bute non conosceva la reale situazione del paese, non sapeva parlare in pubblico, era bravissimo nello sparare a zero su chi deteneva il potere, ma incapace di dirigere la politica del paese quando il potere passò a lui). Perso il favore del re, lord Bute fu allontanato dalla politica ma anche da Kew (nel 1772, alla morte di Augusta, il parco passò a Giorgio III che lo affidò a Joseph Banks che lo avrebbe trasformato nella gloriosa istituzione che tutti conosciamo). Rimase la passione per il giardinaggio; dopo Mount Stuart e Kew, altri due tra i più bei giardini britannici ne ricevettero l'impronta. Nel 1763 acquistò Luton Hoo nel Bedfordshire, dove fece costruire un sontuoso palazzo da Robert Adam e affidò la ristrutturazione dell'enorme parco (1200 acri, quasi 5 km quadrati) a Capability Brown; vi creò anche un orto botanico e un grande erbario privato, per ampliare il quale entrò in corrispondenza con botanici di fama, come l'olandese Gronovius. Nel 1773, in cerca di un clima più adatto alla salute malferma, acquistò un terreno nei dintorni di Christchurch nell'Hampshire, di cui si era innamorato mentre erborizzava; nacque così il suo ultimo giardino, Highcliffe House, affacciato sul mare che guarda verso l'isola di Whrigt. Qui Bute visse dopo il suo ritiro definitivo dalla politica (fino al 1780 aveva mantenuto un seggio in parlamento) fino alla morte, avvenuta nel 1792, occupandosi con passione del giardino, delle collezioni di libri e di botanica. Frutto di questi ultimi anni fu un'opera divulgativa, Botanical Tables, uscita nel 1784, in nove volumi, con le illustrazioni di Johann Sebastian Müller, che si proponeva di fornire una chiave per identificare la flora britannica, basata in parte sul sistema linneano, in parte su un metodo proprio; scritta in inglese anziché in latino, si rivolgeva principalmente a un pubblico femminile (padre di 11 figli, Bute aveva fornito un'educazione scientifica non solo ai figli maschi, ma anche alle femmine); l'opera, dedicata alla regina Charlotte, moglie di Giorgio III, ebbe però scarsissima circolazione (ne vennero stampate solo 12 copie). Essa comprende circa 600 magnifiche tavole con illustrazioni dettagliate degli organi sessuali e dei frutti; oltre alle piante da fiore, alle erbe, agli alberi, sono rappresentati anche i muschi, i licheni, le alghe e i funghi. Proprio grazie alle tavole, ne risulta un'opera di grande pregio estetico e di innegabile valore didattico. Come quella del principe Frederick, anche la morte di lord Bute fu indirettamente causata dal suo amore per la botanica. Nel novembre del 1790 (all'epoca il gentiluomo aveva 79 anni), mentre tentava di raccogliere alcune piante che crescevano sulla scogliera, scivolò e cadde per un altezza di 30 piedi (circa 10 metri); non si riprese mai del tutto dalle ferite e morì nel marzo del 1792. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Stewartia, petali di seta Le sventure politiche ebbero un riflesso anche sul seguito scientifico di Bute; in patria era piuttosto isolato, mentre aveva molti contatti tra i botanici europei. Più che uno studioso, veniva considerato un dilettante ("virtuoso"), con interessi troppo vasti (collezionava oggetti naturali di vario tipo, si interessò anche di minerali, fossili, astronomia) per non essere superficiali. Non divenne mai membro della Royal Society o di altre importanti istituzioni scientifiche (fu invece per breve tempo tra i consiglieri del British Museum). Tuttavia, prima della caduta, il suo ruolo nella diffusione delle nuove specie americane gli aveva guadagnato la dedica di un genere di arbusti di eccezionale bellezza, Stewartia. Il primo esemplare di quella che sarebbe stata battezzata Stewartia malacodendron giunse in Inghilterra nel 1742 grazie a John Clayton, che la inviò all'amico Mark Catesby, il quale la coltivò con successo nel suo giardino di Fulham. Sembra che attraverso Catesby la pianta sia giunta a lord Bute che l'avrebbe piantata a Mount Stuart e più tardi a Kew; in ogni caso un esemplare che cresceva nei suoi giardini fu disegnato dal celebre illustratore botanico Georg Ehret. Sulla base di questo disegno e di uno degli esemplari secchi inviati da Clayton a Gronovius, nel 1746 Linneo battezzò il nuovo genere Stewartia (raccogliendo una suggestione dello stesso Catesby, che però usava la grafia Stuartia). L'errore ortografico di Linneo si è perpetrato e oggi il nome ufficiale è Stewartia (sebbene in passato sia prevalsa l'altra grafia). Una grafia comunque accettata da Bute stesso, che fece orgogliosamente ritrarre la pianta in una delle sue Botanical tables. Stewartia è un genere di 8-20 specie, due nordamericane (S. ovata e S. malacodendron), le altre del sud est-asiatico. Bella tra le belle, appartiene alla famiglia della Camellia (Theaceae); comprende arbusti e alberi sempreverdi (poche specie sono decidue); alla bellezza dei grandi fiori bianchi che sembrano di seta e contrastano con i numerosissimi stami, in alcune specie asiatiche si aggiunge l'attrattiva della corteccia, da arancione a giallo-bruno, dolce al tatto come velluto, che si sfoglia lasciando macchie color cannella o rosso-mattone, particolarmente decorativa nei mesi invernali nelle specie spoglianti. Forse la più coltivata e nota tra le cugine della Camellia (molte specie sono relativamente rustiche e riescono bene nei terreni freschi e acidi prediletti dalle altre Theaceae), nei nostri parchi è rappresentata soprattutto da due specie: l'americana S. malacodendron e la giapponese S. pseudocamellia. La prima è un grande arbusto con grandi fiori dalla consistenza setacea (in inglese è chiamata non a caso Silk camellia) candidi che contrastano mirabilmente con gli stami viola con antere blu. La seconda è un alberello, decorativo in tutte le stagioni dell'anno: in primavera grazie alle nuove foglie che, dapprima bronzee, si fanno via via verde profondo; in estate per i deliziosi fiori a coppa, bianchi con stami aranciati; in autunno per le foglie che, prima di cadere, si colorano di rosso fuoco; in inverno per i colori caldi della corteccia. Qualche notizia in più sulle altre specie nella scheda. ![]() Butea, fiamme nella foresta L'impopolarità di Bute presso l'opinione pubblica inglese si deve in gran parte al fatto che fosse scozzese (il primo a diventare primo ministro). Il suo stesso cognome lo faceva sospettare di essere in combutta con gli odiati pretendenti Stuart (in realtà, apparteneva a un altro ramo della famiglia ed era stato allevato dagli zii materni, i Campbell, famigerati in Scozia per la loro fedeltà agli Hannover). Benché fosse nativo della Scozia meridionale, nelle caricature veniva sempre raffigurato con berretto di tartan e kilt (costumi tipici degli higlanders, seguaci appunti del pretendente Carlo Stuart). Non stupisce quindi che sia stato un medico scozzese, William Roxburgh, studioso della flora del subcontinente indiano, a voler ulteriormente onorare il calunniato compatriota dedicandogli un nuovo genere che riuniva due Fabaceae indiane: la rampicante Butea superba e l'eretta Butea frondosa (in Plants of the Coromandel Coast, 1795). Dopo qualche vicissitudine tassonomica, il genere fu validato da Willdenow nel 1802. Butea è un piccolo genere di 2-4 specie di alberi e liane della foreste tropicali e subtropicali dell'India e del Sud Est asiatico. Butea monosperma (che è la stessa pianta denominata da Roxburgh B. frondosa) è uno albero deciduo che per la spettacolare fioritura è detto "fiamma della foresta". Noto in India con i nomi di pali, palasi, palash, ha importanti connotazioni culturali e rituali. Considerato una manifestazione del dio del fuoco, Agni, è utilizzato in diversi riti sacri, in particolare per accendere fuochi rituali. La sua bellezza dirompente, che spicca particolarmente quando nella stagione secca la maggior parte degli alberi della foresta ha perso le foglie, e gli alberi di pali sono nel pieno della fioritura, è stato celebrato da grandi poeti come simbolo stesso della primavera e dell'ardore poetico. Questo video dà almeno un'idea della spettacolare bellezza della sua fioritura. Butea superba è una liana nativa di Vietnam, Thailandia e India, particolarmente abbondante nelle foreste tailandesi dove, più che per la bellezza dei suoi fiori, è apprezzata per le (vere o supposte) virtù officinali delle sue radici. Gli si attribuiscono effetti ringiovanenti e afrodisiaci. Molti prodotti a base di estratti di B. superba sono disponibili anche in rete, anche se nessun studio scientifico conclusivo ne conferma l'efficacia. Come sempre, qualche approfondimento sul genere Butea nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
Febbraio 2019
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